FINANZIAMENTI E RECLUTAMENTO. NOVITÀ PER IL 2015
Per il fondo di finanziamento
ordinario 2015 un'aggiunta di 150 milioni di euro sarà destinata alla quota
«premiale», quella cioè distribuita in base alle performance ottenute da ogni
ateneo nella ricerca e nella didattica: una quota che già quest'anno supera 1,2
miliardi contro gli 800 milioni dell'anno scorso. In cambio, però, le
università devono garantire risparmi per 32 milioni alla voce «acquisti» di
beni e servizi (42 milioni sono chiesti agli enti di ricerca, a partire dal
Cnr). Viste le premesse, la bozza di legge di stabilità per il 2015 si rivela
tutto sommato meno peggio del previsto per i rettori italiani, almeno dal punto
di vista delle risorse complessive. In bilico per le università c’è inoltre una
serie di norme che dovrebbero riaprire un po' di spazio per le assunzioni di
ricercatori e docenti quasi bloccate negli ultimi anni da paletti molto
stringenti sul turn over. Se le novità a cui ha lavorato il ministero
dell'Istruzione saranno confermate nel testo definitivo della legge di
stabilità, ci sarà innanzitutto la possibilità di reclutare liberamente
ricercatori a tempo determinato (con contratti di durata triennale. Ancora in
bilico le norme preparate dal ministero per ampliare gli spazi delle assunzioni
nelle sedi «virtuose» prorogabili per due anni) per tutti quegli atenei
«virtuosi» che hanno le risorse per assumere e i conti a posto, a cominciare
dal fatto che non superano la soglia dell'80% di costi complessivi destinati a
pagare gli stipendi del personale. Prevista anche la modifica dell'attuale
vincolo che prevede l'assunzione di un ricercatore a tempo determinato di
tipologia h) (con contratti triennali non rinnovabili) per ogni assunzione di
docente ordinario. Infine si dovrebbero estendere anche alle università le
norme della recente riforma della PA che prevedono dal 2014 il cumulo delle
risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale di tre anni. Norma che
dovrebbe consentire agli atenei di utilizzare i «punti organico» accumulati a
tre anni dalla loro assegnazione. (Fonte: Mar. B., G.
Tr., IlSole24Ore 17-10-2014)
RIFORMA DELLA PA. ALLARME SULL’AUTONOMIA FUNZIONALE DELLE UNIVERSITÀ
All’esame della Commissione Affari
Costituzionali del Senato è approdato il ddl n. 1577 di “Riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche”, la ormai famosa riforma Madia della PA.
Provvedimento che si propone di rifondare l’assetto della pubblica
amministrazione, in tutte le sue articolazioni: norma o legge “madre” alla
quale tutte le altre dovranno riferirsi. L’art. 8 di questo disegno di legge,
nel proporre una nuova sistemazione delle pubbliche amministrazioni, “al fine
di agevolare l’individuazione dei destinatari” e perciò l’ambito di
applicazione di tutte le future norme che interesseranno i soggetti della sfera
pubblica, separa il sistema universitario: da una parte le c.d. università
statali, dall’altra le c.d. università non statali. E fin qui, forse, potrebbe
anche apparire naturale questa distinzione, stante le diverse fonti di
finanziamento che ne alimentano le attività. Non è più naturale o comunque
rischia di condurre a esiti imprevisti e imprevedibili, ma si potrebbe dire
perniciosi, quando la distinzione va oltre sino a estendersi a tutte le future
norme che potranno riguardarne l’organizzazione e l’azione.
Le università statali, infatti, sono
“apparentate”, nelle loro sorti, ai musei, agli archivi, alle biblioteche
statali, ossia a soggetti che sono, ad oggi, vere e proprie articolazioni
periferiche del Mibact ancora, e da sempre, alla ricerca di una propria
“autonomia” che questa disposizione non si prefigge comunque di accrescere,
come espressamente si sottolinea nella Relazione al testo. Le università non
statali sono “apparentate” alle società a partecipazione pubblica che operano
in regime di concorrenza e ad altri soggetti “privati” che orientano la loro
attività a finalità lucrative.
Che ne sarà della nozione unitaria
di universitas costruita nei secoli se queste scelte dovessero essere
confermate? Come saranno garantite le funzioni di formazione superiore e di
ricerca scientifica in nome delle quali il Costituente intese riconoscere
l’autonomia delle Università e perciò la loro diversa soggettività? Avremo
soggetti che giocano la medesima partita, nello stesso campo da gioco, ma con
regole differenti ben oltre le differenze collegate alle diverse fonti di
finanziamento? Da qui l’allarme e le richieste forti e congiunte che CUN e CRUI
hanno rappresentato alla Commissione Affari Costituzionali del Senato.
NORME CHE RIGUARDANO I DOCENTI NEL TESTO COORDINATO
DEL DECRETO-LEGGE 24 GIUGNO 2014, N. 90
Dal 24
giugno è in vigore la legge
di conversione del “decreto pubblica amministrazione”, che tocca lo
status del personale, il reclutamento dei docenti, la didattica. Ricapitoliamo
i punti fondamentali oggetto di modifica. Trattenimento in servizio. La
legge ha eliminato la facoltà, per tutte le categorie del personale
universitario, di chiedere la permanenza biennale in servizio oltre i limiti di
età per il collocamento a riposo. Risoluzione unilaterale del rapporto di
lavoro. L’ateneo di appartenenza può disporre, in via unilaterale, la
fine del rapporto di lavoro per il personale che maturi i requisiti di
anzianità contributiva per il pensionamento. Tra le categorie esentate, però,
c’è quella dei professori universitari, i quali dunque non sono toccati da
questa disposizione (che si applica invece alle altre categorie di personale
degli atenei). Turn over. In sede di conversione è stato approvato
un emendamento che inserisce le università tra i soggetti esentati dalle nuove
norme sulle assunzioni. Chiamate dirette di professori. Il nulla
osta del Miur sulle chiamate dirette di docenti da parte degli atenei non dovrà
più essere preceduto dal parere di una commissione nominata dal Cun: l’organo
che si pronuncerà preventivamente sarà invece la commissione per l’abilitazione
scientifica competente per il settore per il quale la chiamata è proposta.
Scuole di specializzazione mediche. Entro il 31 dicembre 2014 il MIUR
dovrà pubblicare il decreto con cui viene ridotta la durata dei corsi di
formazione specialistica. Abilitazione scientifica nazionale. Le
commissioni per l’Asn 2013 possono prolungare i lavori fino al 30 settembre
2014; è prorogata al 30 giugno 2015 anche la scadenza per le chiamate di professori associati relative al piano
straordinario 2012/2013.
All’efficacia
immediata delle norme in materia di rapporto di lavoro si contrappongono i due
nodi delle specializzazioni mediche e, soprattutto, dell’abilitazione
scientifica, che richiederanno, di qui alla fine dell’anno o poco oltre,
complesse e delicate disposizioni applicative. (Fonte: http://tinyurl.com/ou472h6
30-09-2014)
FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO). ONERI SOSTENUTI DAL SISTEMA
UNIVERSITARIO NEI CONFRONTI DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
Il fondo è distribuito alle diverse
sedi in massima parte sulla base di quanto hanno ricevuto l’anno precedente
(quota storica) e per una percentuale modesta sulla base di criteri oggettivi
che dovrebbero tener conto dell’attività didattica e di ricerca (quota di
riequilibrio, o quota premiale).
I parametri utilizzati dal MIUR per
la “quota di riequilibrio” riguardano la didattica e la ricerca, ma ignorano
un’attività che è svolta solo dalle facoltà di medicina e cioè l’attività
assistenziale. L’esistenza di una facoltà di medicina, anche se efficiente
nella didattica e forte nella ricerca, finisce per costituire un peso per
l’università che la ospita. Complessivamente gli oneri che il sistema
universitario sostiene a favore del Sistema Sanitario Nazionale sono stati
stimati, nel rapporto del dicembre 2008 presentato dal Comitato Nazionale per
la Valutazione del Sistema Universitario (CNVSU), in 350 milioni di euro.
Se non si può dire che il decreto di
ripartizione del FFO del 2014 riconosca il problema degli oneri sostenuti dal
sistema universitario nei confronti del Sistema Sanitario Nazionale, è
importante prendere atto che questo problema è finalmente riconosciuto dalla
CRUI, che propone che gli oneri derivanti dall’attività assistenziale siano a
carico del SSN. Il parere del CUN sul decreto di ripartizione del FFO 2014, a
commento dell’art. 4 del decreto, contiene la seguente osservazione: … si
ritiene che la soluzione complessiva della questione concernente gli oneri che
il sistema universitario sostiene a favore del SSN debba essere ricercata a
livello interministeriale e interistituzionale. (Fonte: A. Figà Talamanca, Roars 17-10-2014)
RECLUTAMENTO. LE ORIGINI DEL LOCALISMO BLINDATO
Il
meccanismo combinato dell’idoneità nazionale e dei sistemi per le chiamate e
per i concorsi sembra fatto per rafforzare e non per combattere il localismo.
Negli ultimi anni l’università italiana ha subito un significativo processo di
riforma che ha portato all’istituzione di farraginosi meccanismi di
valutazione, alle graduatorie dell’ANVUR, alla riforma dei concorsi e così via.
Uno dei cambiamenti più vistosi è quello relativo all’abilitazione nazionale su
cui in questo periodo sono apparsi molti articoli che hanno criticato questo o
quell’’aspetto della procedura avanzando differenti proposte correttive. Ci
pare però che sia rimasta fuori da queste riflessioni la questione della
mobilità geografica dei docenti universitari italiani, che è forse la più
importante. L’obiettivo di tutto il processo di riforma è quello di rendere le
università italiane più internazionalizzate e più meritocratiche. Obiettivo
certamente condivisibile. Uno dei più gravi problemi dell’università italiana è
certamente il suo localismo. Si tratta di un termine assai ambiguo, che si
riferisce all’atteggiamento campanilistico dei gruppi culturali dominanti
all’interno delle università italiane ed in particolare prevede, come
condizione necessaria per poter accedere all’insegnamento universitario, quella
di aver compiuto l’intero percorso accademico in seno ad uno stesso ateneo, il
cosiddetto ius loci. Non vi è dubbio che questa inclinazione penalizzi chi
sceglie un percorso caratterizzato dalla mobilità. Per spezzare il localismo,
il meccanismo dell’idoneità andava però accompagnato da una norma che impedisse
di svolgere la propria carriera accademica all’interno della stessa università.
Nella maggior parte dei paesi europei i ricercatori (o i loro equivalenti) non
possono diventare professore associato (o il suo equivalente) nella propria
università, analogamente il professore associato non può diventare professore
ordinario (o il suo equivalente) nella propria università, ma deve trovare un’altra
università che lo vuole in questo ruolo. La ragione di questa norma è decisiva:
favorire la mobilità geografica dei docenti, il loro rimescolamento nelle varie
università per evitare i fenomeni tipici del localismo.
La
legislazione italiana invece incentiva il localismo attraverso un complesso
meccanismo grazie al quale, utilizzando lo stesso budget, un’università può
promuovere ad ordinari 5 professori associati della propria università o
chiamare un solo esterno per ricoprire un analogo ruolo. È chiaro che nessuna
università sceglierà di privilegiare un esterno contro 5 propri docenti, già
dichiarati scientificamente idonei. Trasformando i concorsi in un sostanziale
avanzamento di carriera, la legge non ha però modificato le modalità con cui
devono essere organizzati i concorsi per i posti di ricercatore che
costituiscono la principale modalità di reclutamento e sono rigorosamente
gestiti su base locale. Per cui abbiamo un primo ingresso nella carriera
docente che avviene su base strettamente locale, e determinerà tutta la
successiva carriera dello studioso nel caso decida di rimanere in Italia. Per
concludere una facile profezia: i vincitori dei concorsi per associato saranno
solo i ricercatori dell’università che bandisce quei posti. (Fonte: http://tinyurl.com/ncwvtl6 27-09-2014)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA
NAZIONALE
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. LE NUOVE REGOLE
Con
l'entrata in vigore della legge 114/2014 cambia il sistema per l'abilitazione
scientifica nazionale dei professori universitari. L'articolo 14 del
provvedimento abolisce, infatti, il sistema del "bando-domande"
applicato nelle ultime due tornate (2012 e 2013). Dalla prossima tornata, le
cui procedure dovranno essere indette entro il prossimo 28 Febbraio 2015, la
presentazione dell'istanza per essere abilitati e poter accedere così alle
chiamate dei singoli atenei avverrà "senza scadenze prefissate" cioè
la selezione degli aspiranti professori sarà ancorata al numero di riunioni delle
commissioni esaminatrici (in pratica 3 volte l'anno) con la precisazione
ulteriore che la nuova abilitazione nazionale terrà in carreggiata i vincitori
per sei anni invece che quattro. Incluse le due tornate che si sono già svolte.
Inoltre chi non ha superato l'esame dovrà aspettare solo un anno per poter
ripresentare una domanda "per lo stesso settore e per la stessa fascia o
per la fascia superiore" anziché due anni; senza contare che anche i
"bocciati" delle tornate già fatte negli anni passati avranno la
possibilità di ripresentarsi il prossimo anno con le nuove regole. Cambiano
anche i criteri di valutazione degli aspiranti professori. Da un lato
l'emendamento prevede che le pubblicazioni minime da allegare alla richiesta
saranno dieci e non dodici; dall'altro si precisa che se gli atenei faranno
cattivo reclutamento saranno penalizzati nella distribuzione della quota
premiale del fondo di finanziamento ordinario (Ffo) delle università. Le
Commissioni inoltre vedranno la riduzione da 30 a 20 del numero di professori
di prima fascia che devono afferire, a regime, a ciascun settore concorsuale e
ci sarà l'aumento, come già indicato, da 4 a 6 anni della durata
dell'abilitazione riferendo l'aumento anche alle abilitazioni conseguite nelle
tornate 2012 e 2013. E' previsto inoltre il coinvolgimento di CUN e ANVUR nella
definizione di criteri e parametri (che dovranno essere differenziati per
settore concorsuale, e non più per area disciplinare) per l'attribuzione
dell'abilitazione con verifica dell'adeguatezza dei criteri adottati dopo il
primo biennio. Viene inoltre eliminata
la partecipazione alla commissione nazionale di un commissario in servizio
all'estero. (Fonte: http://tinyurl.com/kelct3n 17-09-2014)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. LIMITI NON SOLO TEMPORALI DELLE
COMMISSIONI
In base alla più recente
legislazione universitaria, i vari settori in cui si articolano le diverse
discipline universitarie (poniamo filologia classica, letteratura cristiana
antica, papirologia...) sono stati accorpati in un numero limitato di settori
più ampi, o macrosettori. Di conseguenza è accaduto che i cinque commissari, i
quali venivano estratti a sorte da tali macrosettori, non rappresentassero
tutte le discipline in essi raggruppate, ma solo alcune. Questo ha fatto sì
che, in sede di valutazione, importanti aree di ricerca non fossero
rappresentate affatto. Tratte le debite conseguenze da questa somma di fattori,
nel caso più sfortunato, ma neppure così improbabile, è accaduto che a determinare
il futuro di una certa area di ricerca — cioè a dire della vita scientifica,
accademica e anche materiale di decine e decine di studiosi giovani e meno
giovani — fossero solo una o due persone che avevano pubblicato poche cose,
magari marginali, e di conseguenza avevano una visione molto ristretta del
proprio campo di studi. O addirittura che fossero persone che si occupavano di
tutt'altro. In conclusione, un meccanismo di valutazione inteso a favorire
oggettività e merito ha finito per schiacciare l'oggettività su valori
equivalenti perfino all'1, che è decisamente pochino, e per fondarsi su un
principio di indiscriminata uguaglianza fra i potenziali 'giudici' che sa di
sindacalismo corporativo. Se a questa condizione si aggiunge infine il fatto che,
com'è stato più volte notato, anche la miglior commissione del mondo — e ce ne
sono state molte di serie e responsabili — non avrebbe avuto né il tempo
materiale né le energie necessarie per valutare soggettivamente le migliaia di
pubblicazioni presentate dai candidati, non stupisce che questa prima tornata
di abilitazioni si sia trasformata in una colossale macchina di frustrazioni,
polemiche e ricorsi (fonti autorevoli affermano che siano già oltre duemila). (Fonte: M. Bettini, Il Mulino 5/2014)
ASN. RACCOMANDAZIONE CUN SUL VARO DEI DECRETI
Prima
dell’estate è stata modificata la legge 240 per consentire di avviare delle
nuove procedure di abilitazione che la legge stabilisce debbano iniziare a
febbraio 2015. Tuttavia, il ministero non ha ancora avviato l’iter di
predisposizione dei nuovi regolamenti e del decreto sui criteri di valutazione.
Se questo iter non venisse avviato immediatamente, sarebbe inevitabile uno
slittamento della data di avvio delle abilitazioni oltre il febbraio 2015. Nel documento il CUN esprime preoccupazione
per questo probabile rinvio e sollecita il Ministro a procedere celermente al varo dei decreti.
(Fonte:
http://tinyurl.com/mbtyyce 30-09-2014)
RICONOSCIMENTO DEI TITOLI DI ABILITAZIONE PER
L’ACCESSO ALLA DOCENZA UNIVERSITARIA IN AMBITO EUROPEO. STORIA DI ITALICI
CAVILLI
L’Italia
esporta “cervelli” in grande quantità verso l’Europa, ma ne importa pochissimi.
Il nostro è quindi uno dei sistemi più chiusi del Continente per quanto
riguarda gli ingressi e più aperto per quanto riguarda le uscite (o fughe…). Da
ciò si dovrebbe supporre che, da tempo, si stia facendo, a tutti i livelli,
ogni sforzo per porre un argine a questo squilibrio, le cui conseguenze
negative si ripercuotono, in ultima analisi, sul benessere del Paese, che perde
di anno in anno parte del proprio capitale umano senza che questa venga
rimpiazzata da ingressi altrettanto qualificati dall’estero. Ma, francamente,
la sensazione è che le cose non stiano esattamente così.
Prendiamo,
per esempio, il caso della docenza universitaria. Già la legge del 3 luglio
1998, numero 210 presentava diversi elementi di dubbia equità riguardo al
trattamento riservato agli studiosi europei che volessero lavorare nel nostro
Paese. Il “concorso”, per esempio, si concludeva con l’identificazione di due
“idonei” che poi potevano essere chiamati direttamente da qualsiasi Ateneo
nazionale al ruolo di professore. Ma ai possessori di idoneità comunitarie (per
esempio l’Habilitation tedesca) o ai professori attivi in Paesi dell’Unione non
veniva dato alcun riconoscimento. La “Legge Moratti” (legge 4 novembre 2005,
numero 230) rappresentò un’importante svolta per quel che riguarda il valore da
riconoscere ai titoli per l’accesso alla docenza conseguiti in Paesi stranieri.
La legge introdusse un’idoneità scientifica nazionale (ISN, vedi sopra) a
numero chiuso e sancì la spendibilità (non il riconoscimento…) delle idoneità
straniere. Di conseguenza, gli studiosi in possesso di idoneità di “pari
livello” potevano essere chiamati direttamente al ruolo di professore, proprio
come accadeva per gli idonei italiani. L’applicazione di questa norma,
purtroppo, ebbe vita breve, perché, poco tempo dopo essere stata emanata, essa
fu abrogata da un decreto “milleproroghe”. La “Legge Gelmini” (legge 240/2010),
con l’introduzione dell’abilitazione scientifica nazionale a “numero aperto”
poneva di nuovo sul tappeto il problema della riconoscibilità delle
abilitazioni comunitarie. Se non vi è più valutazione comparativa
l’abilitazione italiana era a tutti gli effetti una “qualifica professionale”
nel senso comunitario e quindi la professione di professore universitario è
regolamentata in Italia ai sensi della direttiva 2005/36/CE e del decreto
legislativo 206/2007. Dopo tale novità normativa, l’autore di questo articolo
richiese nuovamente al MIUR il riconoscimento della sua abilitazione tedesca.
Il MIUR, per risolvere la faccenda, chiese dunque il parere del Consiglio di
Stato (affare 05107/2012), Il quale istituì all’uopo una commissione speciale.
Il Consiglio di Stato, al termine dei lavori della commissione speciale,
sanciva il “potere dovere” del MIUR di “valutare ed eventualmente accogliere
istanze di equipollenza”. In altri termini, il Consiglio di Stato riconosceva
che un titolo tedesco per l’accesso alla docenza universitaria può essere
dichiarato equipollente a quello richiesto in Italia. Però attenzione: le
abilitazioni comunitarie vecchie di più di 4 anni (ora di 6…) debbono essere
considerate “scadute” e quindi l’abilitazione tedesca dell’articolista, conseguita nel 2005, era già “morta” all’atto
dell’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale italiana! La speranza
comunque non era ancora morta: un altro studioso possedeva un’abilitazione
tedesca che rientrava nei vincoli temporali richiesti dal Consiglio di Stato.
Fece domanda di riconoscimento al MIUR…La sua domanda venne quindi, come
prescritto, presa in considerazione. Si intraprese, addirittura, una sorta di
attività ispettiva per comprendere più a fondo e in maniera diretta (anche se
certificati consolari ufficiali attestanti natura e valore del titolo erano in
possesso del MIUR da anni …) la natura e il valore del titolo tedesco. L’esito
di tale attività fu una lista di “differenze” tra l’abilitazione tedesca e
quella italiana (vedi il parere generale numero 13 del CUN, adunanza del
18/12/2012) anche sulla base della quale il riconoscimento venne negato.
Prima la
natura particolare dell’idoneità italiana (idoneità/concorso) non implicava che
la professione di professore universitario fosse una professione regolamentata
e quindi che si potesse applicare la legge europea sul riconoscimento delle
qualifiche professionali. Poi, una volta che il Consiglio di Stato ha sancito
la riconoscibilità delle idoneità comunitarie (e quindi ha stabilito che
l’abilitazione scientifica nazionale si configura ora a tutti gli effetti quale
qualifica professionale di una professione regolamentata) il MIUR ha ritenuto
che il titolo tedesco sia “troppo diverso” da quello italiano, anche sulla base
delle indicazioni fornite dal CUN. E’ da notare che lo stesso CUN, oggi,
auspica che si pongano le basi per un “riconoscimento automatico” di
abilitazioni comunitarie… Infatti, Il 25 giugno scorso il CUN ha approvato una
raccomandazione per “l’armonizzazione del Sistema Europeo dell’Istruzione
Superiore… tramite l’adozione di politiche che consentano… il mutuo
riconoscimento automatico dei titoli di abilitazione per l’accesso alla docenza
universitaria, attraverso l’adozione di direttive che determinino le condizioni
di equivalenza, nel rispetto della diversità dei sistemi di Istruzione
Superiore nazionali…”. (Fonte: http://tinyurl.com/nl25utc
13-09-2014)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. ADOTTARE UN MODELLO SUL TIPO DELLA
QUALIFICATION FRANCESE
Così com'è concepita l'Abilitazione
scientifica nazionale non funziona, e deve lasciar posto a un sistema diverso.
Non è possibile affidare a un unico direttorio - del quale abbiamo peraltro
visto i labili criteri di composizione - il potere di decidere sul futuro
destino di intere aree di ricerca. Per quanto mi riguarda, almeno per gli studi
umanistici riterrei meno dispendioso, meno traumatico e più efficace un modello
sul tipo della qualification francese: in cui il candidato (in possesso del
titolo di dottorato o di abilitazione a dirigere la ricerca, a seconda del
grado a cui aspira) presenta a un'apposita commissione del Cnu un dossier che
contiene anche una scelta delle proprie pubblicazioni. Esse vengono lette da
due rapporteurs, scelti in quanto competenti sulle specifiche ricerche del
candidato - e non perché appartengono burocraticamente a un determinato settore
scientifico-disciplinare, superano una certa mediana aritmetica (oltretutto
bassa) e sono stati estratti a sorte. Questi rapporteurs, dopo aver letto le
pubblicazioni presentate dal candidato, formulano poi un giudizio e lo
presentano a una commissione allargata, che decide.
Nonostante tutto, ritengo però che
la vera decisione da prendere non riguardi l'adottare o meno parametri di
carattere «oggettivo» nella valutazione della ricerca, problema di cui oggi
soprattutto si discute. Questi meccanismi di valutazione potremo decidere di
abolirli, come molti auspicano, oppure di mantenerli, emendandone almeno i
difetti più grossolani — tanto per cominciare assegnando almeno alle riviste un
punteggio omogeneo e valido per tutte le aree di competenza umanistica, e non
solo per alcune. Anche se adottassimo questo modello, però, resterebbe il
problema che ritengo fondamentale: non oggettivo ma, prima di tutto,
soggettivo, cioè nostro, di tutti noi, e della diversa consapevolezza che
dovremmo assumere nell'operare la valutazione dei futuri professori, nel campo
degli studi umanistici, all'interno della nostra università. (Fonte: M. Bettini, Il Mulino 5/2014)
CLASSIFICAZIONI DEGLI
ATENEI
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI. AFFINCHÉ L'ANALISI
COMPARATIVA ABBIA SENSO DEVE AVVENIRE TRA SITUAZIONI COMPARABILI
I ranking
sono il risultato di parametrazioni che coprono cose estremamente diverse,
"medie improprie". Questo vale anche per le componenti
"reputazionali". Non esiste una "università tipo". Se
l'università ha una caratteristica - che è nel nome - è proprio la diversità.
La diversità è il paradigma del mondo universitario, sia che si guardi alla
ricerca sia che si guardi all'insegnamento. Abbiamo università con 80mila
studenti e altre con 800. Abbiamo università con la facoltà di medicina e altre
senza; università con le ingegnerie e poi abbiamo i politecnici.
All'interno
di queste diversità, coesistono corsi di base con centinaia di studenti e corsi
specialistici con poche unità, convivono ricerche che richiedono gruppi
numerosi e numerosi milioni di euro e ricerche che richiedono principalmente il
tempo per farle. C'è chi insegna fermandosi davanti al letto di un paziente e
chi per insegnare deve portare gli studenti in uno scavo archeologico o sulla
bocca di un vulcano. E tutto questo è diversamente mescolato da università a
università. I ranking delle università comprimono la diversità in una tabella
di excel. Perché l'analisi comparativa abbia senso occorre che avvenga tra
situazioni comparabili. E sicuramente il nostro sistema universitario non è
facilmente comparabile con altri. Forse gli unici veri utenti dei
"ranking" dovrebbero essere il Parlamento e il Governo. Lì ci si
dovrebbe chiedere come mai le università "migliori" (notate l'uso
delle virgolette) si trovano in Paesi dove i sistemi universitari funzionano in
altro modo, con meno lacci e lacciuoli, e tante risorse in più, con meccanismi
di selezione del personale meno cervellotici, con rapporti tra studenti e
percorsi formativi di altro genere eccetera, con ben altri livelli di mobilità
interuniversitaria e università-imprese. Questa sarebbe materia della quale
discutere a livello politico e di Conferenza dei rettori. Potrebbe/dovrebbe
portare ad atti conseguenti interessanti. Se non ammoderniamo il nostro sistema
formativo, il resto serve a poco. (Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 22-09-2014)
CLASSIFICA QS-WORLD UNIVERSITY RANKINGS. L'ITALIA COLLOCA 26 ATENEI TRA I PRIMI 400
Segnali
di miglioramento delle università italiane nella classifica Qs-World University
Ranking basata sull'osservazione di oltre 800 atenei nel mondo.
L'Università di Bologna si conferma tra
le prime 200 posizioni (è 182esima con un miglioramento di sei posizioni),
mentre esce per due posizioni (è 202esima) la Sapienza di Roma. Restano
comunque gli atenei italiani meglio collocati nella classifica che al primo
posto vede piazzarsi per il terzo anno consecutivo lo statunitense MIT,
Massachusetts Institute of Tecnology. E nord americane o inglesi sono le
università nei primi dieci posti. Sul versante italiano si assiste a un
miglioramento, a volte anche consistente, delle posizioni dei nostri atenei. E
il caso dell'Università Cattolica di Milano che balza dal 454° al 371° posto in
classifica. Soddisfazione anche all'Università di Siena che passa al 460° dal
551° posto. Anche il Politecnico di Milano commenta positivamente il
mantenimento del 229° posto, superando di 9 posizioni l'Università degli Studi
di Milano. Bene anche l'Università di Pisa (245esima), quella di Padova
(262esima), di Roma Tor Vergata (305esima), la Federico II di Napoli
(345esima), l'Università di Firenze (352esima), il Politecnico di Torino
(365esima) e l'ateneo di Pavia (371esimo). Complessivamente in classifica
l'Italia colloca 26 atenei. (Fonte: Corsera 17-09-2014)
CLASSIFICAZIONI INTERNAZIONALI DEGLI ATENEI. UNA
GARA PER ENTRARE NEI 100 MIGLIORI
Nella
maggioranza dei Paesi da anni è partita una vera propria gara alla scalata dei
vari World University Ranking. I ricercatori di THE osservano come oramai si
sia aperta una vera e propria «caccia» per mettere a punto Atenei in grado di
brillare nelle liste che contano. Una «ossessione globale» cresciuta
nell’ultimo decennio ovvero da quando i governi di tutto il mondo hanno messo
lo sviluppo dei sistemi di istruzione superiore e ricerca al centro delle loro
strategie economiche. Usa ed Europa hanno capito che se non si offre
un’istruzione adeguata non è possibile alcuno sviluppo economico e si rischia
di perdere la sfida con i paesi asiatici. Intanto in Russia Vladimir Putin ha
messo a punto una strategia tesa far entrare almeno 5 atenei russi tra le prime
100 università della classifica di THE entro il 2020. In Giappone il presidente
Shinzo Abe ha detto che dieci università giapponesi dovranno entrare nel top
100 entro il 2023. E non si tratta di annunci a vuoto. Proprio la classifica
THE dello scorso anno ha segnato un punto a sfavore delle Università europee
oscurate dalle brillanti performances degli asiatici in continua ascesa. Nel
2013 si è assistito ad un arretramento della Germania, uscita dai primi 50 a
favore della Corea del Sud e le classifiche hanno mostrato un’Europa in affanno
rispetto all’agile rincorsa delle Università dell’est asiatico. In testa Tokyo
salita al numero 23 così come la National University of Singapore dal numero 29
al 26. Stipendi alti per professori e ricercatori. Un nutrito e diversificato
corpo docente in modo che il rapporto tra numero di studenti e staff educativo
sia al massimo di 11 a uno. Internazionalizzazione: almeno un 20 per cento di
docenti stranieri e un 19 per cento di studenti che arrivino da altri paesi.
Collaborazioni internazionali per le pubblicazioni scientifiche.
Sono
questi gli elementi che portano un Ateneo al top delle classifiche mondiali.
Almeno secondo Times Higher Education (THE), organismo che da anni si occupa
appunto di stilare questo genere di classifiche. (Fonte: http://tinyurl.com/ot3nf3p
14-09-2014)
TIMES HIGHER EDUCATION (THE-WORLD UNIVERSITY
RANKINGS). UNA NUOVA FORMULA PER
LE CLASSIFICHE DEGLI ATENEI
Se in
genere i dati materiali che vengono raccolti dai compilatori dei vari ranking
sono riferiti a misure di prestazioni istituzionali aggregate a partire da
quelle riferite a singoli accademici, oppure a un mix di queste con dati
strutturali e di mezzi a disposizione delle Università, il gruppo di
intelligence del prestigioso settimanale britannico Times ha pensato di
estrarre un cocktail di dati riferiti alle sole risorse materiali e umane delle
prime 200 o 400 istituzioni in classifica. Con l’idea, neanche tanto velata, ma
proprio dichiarata, che una simile combinazione di fattori costituisca la tanto
agognata ricetta per produrre una World-Class University, a beneficio di
politici e amministratori accademici. E cioè, la tipica Università del primo gruppo
(i.e. la media delle prime 200): • dispone di entrate totali annue pari a
751.139 $ per accademico (da confrontare con i 606.345 $ delle Università nelle
prime 400 posizioni); • ha un rapporto studente/personale accademico di 11,7:1
(da confrontare con il 12,5:1 delle prime 400 Università); • assume il 20% del
proprio personale dall’estero (il 18% per le prime 400 Università); • dispone
di entrate totali per la ricerca pari a 229.109 $ per accademico (168.739 $ per
le prime 400); • pubblica il 43% di tutti i propri articoli di ricerca con
almeno un co-autore straniero (il 42% per le prime 400); • ha un corpo
studentesco composto per il 19% di studenti internazionali (il 16% per le prime
400). (Fonte: http://tinyurl.com/of6gvzc
17-09-2014)
QS (QUACQUARELLI SYMONDS) WORLD UNIVERSITY
RANKINGS. MOLTI ERRORI
Nel
panorama delle classifiche internazionali degli atenei la classifica QS è una
di quelle con maggiore tradizione. La classifica QS si distingue per il peso
considerevole che attribuisce alla reputazione degli atenei, misurata
attraverso un sondaggio condotto tra gli accademici. Ma «QS has shown a remarkable flair for
error. In terms of quantity and variety they have no peers. All rankers make
mistakes now and then but so far there has been nobody quite like QS». Questo è quanto scrive
Richard Holmes, un esperto di classifiche internazionali il cui blog, University Ranking Watch, è una
delle migliori sedi di critica e analisi delle più svariate classifiche diffuse
a livello mondiale. Nell’attesa che venga pubblicata l’edizione 2014 della
classifica curata da Quacquarelli Symonds, rinfreschiamoci la memoria per
quanto riguarda gli svarioni più spettacolari commessi da QS nel passato. Ci
troviamo un po’ di tutto: l’effetto farfalla scatenato da un mouse disattento,
l’ascesa e la caduta degli ingenui malesi, l’armata dei professori fantasma di
Duke University, l’improduttività scientifica di un’università inesistente, la
trasfusione di citazioni da un ateneo ad un altro con il nome simile. Oltre che
essere spettacolari, questi errori contengono molti spunti istruttivi per farsi
un’idea del grado di affidabilità delle classifiche internazionali degli
atenei, considerate oracoli da parte dei media, ma accreditate anche da
colleghi dallo spirito critico non troppo acuto. (Fonte: http://tinyurl.com/n3pfb49
15-09-2014)
BIENNIO BOCCONI DI INTERNATIONAL MANAGEMENT AL
12ESIMO POSTO AL MONDO
Con un
balzo di cinque posti, che lo colloca in 12esima posizione al mondo nei ranking
dei Master in Management pubblicati da Financial Times, la laurea biennale in
International Management conferma il trend positivo dell’Università Bocconi nei
ranking internazionali. Negli scorsi mesi il biennio in finanza aveva
guadagnato 12 posizioni e l’MBA era salito di otto in due distinte classifiche
del quotidiano londinese. Il riconoscimento è per il programma Master of
science in International Management, corso di laurea biennale tenuto in
inglese, e la valutazione per la classifica è basata su una serie di criteri,
tra cui il placement dei laureati, l’esperienza internazionale degli studenti
durante il biennio e il progresso dei laureati in termini di salario e
carriera. Tra i singoli criteri la laurea Bocconi si distingue particolarmente
per la mobilità internazionale dei suoi laureati (quarta al mondo). La Bocconi
è presente in classifica anche con il programma Cems, di cui è partner
fondatore, che si posiziona al 5° posto. (Fonte: http://tinyurl.com/nrw2hky )
CLASSIFICHE DEGLI ATENEI. SFUGGE IL "VALORE MEDIO" DEL PRODOTTO
DELL'UNIVERSITÀ: IL LAUREATO
Quanto peso dare alle
"classifiche" che annualmente più o meno dalla fine del secolo
tentano un ranking globale? Esistono almeno tre grandi classifiche mondiali. La
prima è stata quella redatta dalla rivista Times Higer Education in
collaborazione con QS (Quacquarelli Sysmonds è un'agenzia britannica fondata da
Nunzio Quacquarelli, un inglese di lontana discendenza italiana): da essa sono
nati due ranking globali, uno per ciascuno dei due soggetti che inizialmente
collaboravano. Con essi ormai da qualche anno compare la classifica Arwu
(Academic Ranking of World Universities), realizzata dall’Università Jiao Tong
di Shanghai. Analizzando le classifiche, si possono trovare nelle prime
posizioni poche sorprese o molte conferme rispetto a quanto anche i non addetti
possono pensare: per esempio si può scoprire che nelle prime dieci - dodici
posizioni trovano sempre — anche se in ordine diverso a seconda di chi fa la
classifica — i nomi più famosi, come il Mit, Harvard, Oxford, Berkeley, il
Caltech, Princeton, Stanford, Cambridge, la Columbia.
Questo non dovrebbe impressionare più
di tanto: chi non sapeva già che il Mit è una delle migliori università del
mondo? E che dire di Stanford?
Lungi da un affronto sistematico e
analitico del problema, impossibile in questa sede, il tema vero delle
classifiche è, infatti, la scelta dei criteri. Da un rapido confronto dei
meccanismi con cui questi ranking vengono stilati appare chiaro che l'interesse
è fortemente orientato alla ricerca e all'esito post-laurea del percorso
accademico (per esempio si contano i premi Nobel e le medaglie Fields che hanno
frequentato l'università in esame), e si pone grande attenzione a elementi che
potremmo dire "procedurali" del sistema formativo, quali ampiezza
delle aule, infrastrutture fisiche e tecnologiche ecc. che sono tutte cose
assolutamente importanti da tenere in conto in una valutazione complessiva di
un ateneo. Quello che non risulta chiaramente dai ranking (e il discorso
dovrebbe essere trasferito a livello italiano, prendendo i primi ranking
realizzati dell'Anvur) è il "valore medio" del prodotto
dell'università: il laureato. Noi, da bravi provinciali italiani, possiamo
continuare a pensare che altri sistemi accademici siano per noi inarrivabili
come per esempio quello anglosassone. Ma ci sono campi — per esempio le scienze
naturali: fisica, matematica, le biotecnologie — nei quali i nostri laureati
riescono molto bene a competere con tutti gli altri studenti, anche nel sistema
anglosassone. Quindi gli italiani sembrano "giocarsela" alla pari con
i più quotati colleghi inglesi, americani, ecc. Aprire gli occhi su questo
aspetto, e cercare di valorizzarlo, cioè di trovare un modo perché emerga come
punto qualificante in una valutazione competitiva con altre università,
potrebbe essere una strada utile per fare crescere il sistema universitario
italiano, magari favorendo sempre più la messa in rete di punti di eccellenza
del nostro territorio. Altrimenti dovremmo accettare in modo illogico un
paradosso: quello di avere in alcuni settori università scadenti (secondo i
ranking) che producono laureati eccellenti e in grado di competere con chiunque
nel mondo. (Fonte: N. Sabattini, ilsussidiario.net
06-10-2014)
DOCENTI
SIMPOSIO DOCENTI UNIVERSITARI. PUNTI NODALI
Puntare sulla formazione e sulla
ricerca senza dimenticare però la forza delle proprie radici e la tradizione
sempre rinnovata e mai uguale nella trasmissione del sapere. Sono questi i
punti nodali dell’XI Simposio
internazionale dei docenti universitari, promosso, fino al 4 ottobre,
dall’Ufficio per la pastorale universitaria del vicariato di Roma, in
collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca. “Il nostro compito - ha spiegato Cesare Mirabelli, presidente del
Comitato scientifico del Simposio - può essere riassunto in tre punti:
l’impegno costante di fare ricerca sempre con passione; la formazione dei
giovani, dandogli sempre linee guida per il loro futuro e il costante dibattito
con i nostri colleghi. Restando isolati nelle proprie idee non si arriva a
nulla, solo insieme si raggiungono dei risultati”. La necessità di un confronto
tra i diversi atenei è stato sottolineato anche da Luigi Nicolais, presidente
del Consiglio nazionale delle ricerche. “Oggi tutto cambia molto velocemente, -
ha ricordato - gli avanzamenti tecnologici sono continui e tutto sta nella capacità
delle imprese di saper competere e non restare indietro. Diventa quindi
fondamentale anche un raffronto tra impresa e università”. (Fonte: agensir.it 07-10-2014)
RECLUTAMENTO E PROGRESSIONE DI CARRIERA DEI DOCENTI
Il Consiglio Universitario Nazionale
nella riunione del 7 e 8 ottobre ha approvato il documento “Ripensare l’assetto
della docenza universitaria: reclutamento e progressione di carriera”. Il
documento fa seguito a quello approvato dal CUN il 10 giugno scorso e
prospetta, tra l’altro, la definitiva separazione delle risorse impiegate per
il reclutamento da quelle per la
progressione di carriera e le modalità di accesso e progressione nella
carriera. Il documento si legge qui > http://tinyurl.com/q5559au.
DOTTORATO
DOTTORATO. VALUTAZIONE DEI CORSI
L’ANVUR
ha sottoposto a consultazione i criteri con cui intende non solo valutare i
corsi di dottorato, ma anche stilare una graduatoria, un compito che nessuna
legge o decreto ministeriale attribuisce all’agenzia. Infatti, l’ANVUR ha solo
il compito di definire “criteri e metodologie per la valutazione” dei
dottorati, utilizzando i quali sarà il MIUR a ripartire il finanziamento in
modo autonomo, “sentita l’ANVUR”. Ne segue che, senza una decisione ministeriale
sull’importanza relativa dei diversi criteri, nessuna ripartizione e nessuna
graduatoria è possibile. Ma gli sconfinamenti non si fermano qui. Sebbene il DM
45/2013 elenchi sei criteri per cui l’ANVUR dovrebbe definire indicatori
oggettivi e certificabili, l’ANVUR
introduce un settimo indicatore che non corrisponde a nessuno dei criteri
ministeriali. In ogni caso, anche gli indicatori dei criteri realmente
esistenti non sono privi di criticità che richiedono opportuni interventi
emendativi. Proprio nel momento in cui le comunità di scientometristi e
bibliometristi spingono verso standard e linee guida internazionali (Paris
2014, Leiden 2014) e ad una scelta ed un utilizzo davvero
informati degli indicatori bibliometrici, in Italia ancora si gioca ai piccoli
bibliometristi, del tutto incuranti degli effetti che questa bibliometria
fai-da-te ha scatenato. Inoltre, si propone l’uso di una congerie di
indicatori, che comportano oneri burocratici tutt’altro che irrilevanti, senza
essere peraltro in grado di fornire indicazioni affidabili e comparabili da un
dottorato all’altro. A fronte di un DM sbilanciato nella direzione degli
indicatori quantitativi, il meglio che si può fare è ricorrere ad indicatori
semplici, lasciando al Ministro il compito di calibrarne l’importanza
relativa. (Fonte: Redazione Roars
21-09-2014)
I docenti che fanno un dottorato di ricerca o una
specializzazione post laurea perdono la posizione nella graduatoria d'istituto
per poi recuperarla soltanto l'anno successivo. Questa assurda e palese ingiustizia
è prevista dal contratto collettivo nazionale integrativo concernente la
mobilità del personale docente, educativo ed Ata per l'anno 2014/2015. Il
periodo di congedo straordinario non viene valutato ai fini dell'attribuzione
del punteggio relativo alla continuità del servizio nella stessa scuola. In
questo modo l'insegnante in congedo non solo non matura punteggio ma, nel
momento in cui fa rientro a scuola, viene inserito in fondo alla graduatoria d'istituto per
ritrovare la propria posizione solo all'inizio dell'anno scolastico successivo.
E' un'assurdità, soprattutto se consideriamo che la frequenza del corso di
dottorato di ricerca costituisce un'occasione
di aggiornamento e specializzazione del docente e, allo stesso
tempo, consente il miglioramento della sua professionalità, a beneficio della
scuola in generale e degli studenti. Per questo abbiamo presentato
un'interrogazione in Commissione Istruzione per sollecitare il ministro
Giannini a garantire la continuità di punteggio e un trattamento più equo per
quei docenti in congedo temporaneo per la frequenza di corsi di dottorato di
ricerca e/o di specializzazione post lauream.
(Fonte: M. Serra, M5S Senato News 30-09-2014)
FINANZIAMENTI
FINANZIAMENTI. AL DEBUTTO I COSTI STANDARD
I costi
standard dell'università, che stanno per debuttare in attuazione di uno dei
capitoli più importanti della «riforma Gelmini» del 2009, nella loro prima
applicazione distribuiranno fra gli atenei statali 982 milioni di euro I costi
standard devono incidere sulla geografia del fondo di finanziamento ordinario
2014. L'obiettivo è di trovare il "prezzo giusto" di ogni ateneo
sulla base di quattro indicatori principali: il numero di docenti (misurati
secondo il sistema dei «punti organico», che pesa 1 gli ordinari, 0,7 gli
associati e 0,5 i ricercatori) a seconda delle diverse aree di studio, secondo
un meccanismo analogo a quello dell'accreditamento dei corsi di laurea; il
quadro dei servizi didattici e amministrativi; i costi di funzionamento; la
presenza di collaboratori, esperti linguistici e così via. Queste grandezze,
come chiede il decreto attuativo della riforma (articolo 8 del DLgs 49/2012)
andranno rapportati agli studenti regolari (cioè con l'esclusione dei fuori
corso), per trovare il costo standard per studente. Il peso degli
"standard" sulle assegnazioni del fondo-base dovrebbe raddoppiare il
prossimo anno, guadagnare un altro 20% nel 2016 e arrivare a coprire il100% dal
2018. (Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 23-09-2014)
FINANZIAMENTI. COSTO STANDARD PER OGNI STUDENTE
ISCRITTO
Nella
bozza del decreto del Miur che stabilisce i meccanismi di riparto dei
finanziamenti agli atenei italiani il «costo standard» per ogni iscritto, il
nuovo criterio scelto per valutare le quote da conferire, si riferisce
esclusivamente agli «studenti in corso». Chi resta indietro sarà in tutto e per
tutto un costo che grava sulle casse, già malandate, dell’università. Funziona
così: la cosiddetta «quota premiale» passa dal 13,5 al 18 per cento (vale a
dire da 819 milioni a 1 miliardo e 300 milioni) e sarà in gran parte assegnata
in base alla valutazione Anvur sulla qualità della ricerca. Quel che resta dei
sette miliardi e dieci milioni che si dovranno spartire quest’anno gli atenei
sarà assegnato per l’80 per cento sugli stanziamenti degli anni passati, per il
20 per cento sul nuovo parametro. Si devono ancora stabilire i criteri per
«pesare» il costo di ogni iscritto, ma l’introduzione della soglia è graduale:
il prossimo anno dovrebbe balzare al 40 per cento, e così via per i prossimi tre
anni.
Negli
anni i criteri sono cambiati diverse volte: anche in passato si è pensato di
basarsi sul conto degli studenti in corso, ma accompagnato dal sistema dei
crediti. Così se uno studente, anche se non in regola, supera un esame viene
conteggiato nelle attività didattiche. «C’è il rischio che si sia costretti ad
abbassare l’asticella della qualità per far quadrare i conti - commenta Flavio
Corradini, rettore dell’Università di Camerino -. Certo che la mia università
ideale non ha fuoricorso, ma i ragazzi vanno accompagnati e indirizzati,
soprattutto all'inizio: noi per esempio abbiamo scelto per il primo anno dei
docenti particolarmente adatti ai più giovani. Ma per risolvere il problema non
servono altri tagli, ma più risorse».
(Fonte: http://tinyurl.com/nlnwojc 19-09-2014)
STUDENTI ERASMUS NELLA VALUTAZIONE PER L’ASSEGNAZIONE DI FONDI
Tra le novità della bozza di decreto
di riparto del Fondo ordinario di finanziamento per il 2014 del ministero
dell'Istruzione, Università e Ricerca - su cui la Crui e il Cun hanno espresso
già il loro parere - c'è anche l’assegnazione di soldi in più (121 milioni) a
quegli atenei che si dimostreranno più capaci di attirare studenti dagli altri
Paesi europei. Una novità, questa, dal forte valore simbolico, che fa entrare
per la prima volta la «generazione Erasmus» tra i complicati indicatori che
provano a misurare le università più virtuose: il 10% della quota premiale sarà,
infatti, assegnato prendendo in considerazione quanti sono gli Erasmus
nell'ateneo, sia in entrata che in uscita. Peseranno anche quanti crediti sono
stati conquistati durante la trasferta di studio e il numero dei laureati che
hanno conquistato almeno 9 crediti all'estero. C’è l’università di Bologna che
di studenti Erasmus ne ha sfornati 1.566, più della Sapienza di Roma che ne ha
visti partire 1.182 o di Padova dove hanno fatto le valigie in 1.097. Gli altri
atenei sono tutti sotto il migliaio, mentre diversi ne contano solo qualche
decina. La loro presenza negli anni è cresciuta (sia tra quelli in uscita
diretti negli altri Paesi Ue che tra quelli in entrata, gli studenti stranieri
ospitati) e da quest’anno per la prima volta “peseranno” sulla distribuzione
delle risorse premiali del Fondo di finanziamento ordinario delle università.
Chi ha più Erasmus insomma avrà più fondi. Come detto gli atenei che contano
numericamente più studenti in uscita sono Bologna, Roma La Sapienza e Padova.
Ma se si va a pesare il numero di Erasmus in percentuale a quella degli
iscritti la classifica cambia. Se si prendono in considerazione tutti gli
atenei - senza differenze tra pubblici e privati - si scopre che al primo posto
c’è l’università Cattaneo di Milano (5,4%), seguita dalla Bocconi (3,6%) e
dall’università per stranieri di Perugia (3,4%). Buone performance si segnalano
anche alla Iuav di Venezia (3%), alla libera università di Bolzano (2,8%) e poi
alla università Jean Monnet (2,4%), al Politecnico di Milano (2%), a Trento
(2%) Bologna e Macerata (1,9%). (Fonte:
M. Bortoloni, scuola24.ilsole24ore.com 06-10-2014)
FORMAZIONE. OCCUPAZIONE
SPECIALIZZAZIONI MEDICHE. TEST DI AMMISSIONE CON GLI STESSI STANDARD DI
AFFIDABILITÀ IN TUTTE LE SEDI?
Per l'accesso alle specializzazioni
di Medicina, con l'introduzione, quest'anno, del concorso nazionale, le
Università stanno mettendo a punto una nuova macchina organizzativa, forse più
complessa di quanto ci si aspettasse. Per lo svolgimento della prova, in
programma dal 28 al 31 ottobre e identica in tutta Italia, gli atenei stanno
testando in queste ore il sistema applicativo che verrà utilizzato dai
concorrenti e stanno completando gli elenchi del personale da impiegare.
Non tutte le sedi accademiche, però,
sono convinte che il nuovo sistema, voluto dal Governo per uniformare gli
standard di qualità e di sicurezza, sia esente da lacune. Tra gli argomenti più
dibattuti c'è proprio il tema dei controlli preventivi e durante lo svolgimento
del concorso.
Sarà possibile, con una serie di
sedi individuate per lo scopo, e non più soltanto le Università, riuscire a
garantire ovunque gli stessi standard di affidabilità? In ogni sede saranno
allestite un certo numero di postazioni informatiche. La prova consisterà in
110 quesiti a risposta multipla, di cui 70 su argomenti caratterizzanti il
corso di Medicina, 40 su scenari predefiniti di dati clinici, diagnostici e
analitici, ed altri 10 quesiti specifici per ciascuna scuola di
specializzazione.
Il risultato sarà fornito al termine
del test, che durerà due ore. Una riunione, con i rappresentanti del ministero
e degli atenei, si è svolta venerdì scorso a Bologna, presso la sede del
Cineca, che è il consorzio incaricato della gestione e correzione degli
elaborati. In quell'occasione è intervenuto, mostrando una certa
preoccupazione, Nico Longo, capo divisione scuole di specializzazione dell'area
sanitaria dell'Università di Bari, il quale ha detto chiaramente che i
presupposti sono quelli di una procedura nazionale solo sulla carta, in quanto
affidata alle sedi locali nella pratica. Intanto, proseguono i preparativi. A
livello nazionale sono stati banditi 5.000 posti, ai quali si aggiungono i 471
messi a disposizione dalle Regioni e i 33 garantiti da altri enti, per un
totale di 5.504 contratti. (Fonte: L. Barile, Gazzetta del Mezzogiorno
15-10-2014)
PRESENTE E FUTURO DEI MASSIVE ONLINE OPEN COURSES
(MOOC). CONSEGUENZE SUGLI ATENEI
I massive
online open courses (Mooc) sono piattaforme che offrono gratuitamente corsi
universitari e materiale didattico per la scuola secondaria (Khan Academy),
decollate nel 2008 e cresciute con una dinamica esponenziale negli ultimi anni.
Si tratta della classica disruptive innovation e lo mostrano i numeri:
Coursera, leader del settore, vanta 9 milioni di studenti iscritti in tutto il
mondo, 453 corsi e partnership con università di diversi paesi per l’offerta e
lo sviluppo di corsi ad hoc. Non è affatto certo che i Mooc possano costituire
il futuro dell’educazione, e, anzi, ci sono diversi campanelli d’allarme. In
primis, l’elevatissimo tasso di abbandono, spesso superiore all’85 per cento:
molte delle persone che iniziano un corso, cioè, non lo portano a termine. In
secondo luogo, quello che si presenta come un modello volto a estendere
l’accesso all’istruzione di qualità a chi ne è escluso, per il momento mostra
evidenze non incoraggianti: dei milioni di iscritti, infatti, l’80 per cento
viene dagli Stati Uniti o da un paese Ocse e, informazione ancora più saliente,
si tratta di persone già altamente istruite, spesso in possesso di una laurea.
C’è poi una questione assolutamente rilevante che concerne il modello di business
delle piattaforme-aziende e i problemi di copyright (condivisione gratuita di
materiale coperto da diritti d’autore): Coursera, Udacity, Edx, a un certo
momento dovranno cominciare a produrre reddito e profitti, altrimenti non è
chiaro dove possa portare questa proliferazione, se non a una sorta di bolla in
pieno stile dotcom di inizio millennio. Quale che possa essere il futuro di
questo mercato, si tratta innegabilmente di una rivoluzione e, principalmente,
per tre motivi, che hanno attirato anche l’attenzione dell’Economist:
1)
l’effetto Baumol, per cui il costo unitario in un’organizzazione ad alta
intensità di lavoro, quale l’istruzione, grava moltissimo su un settore a bassa
crescita di produttività. Ciò si riflette nel tempo in un aumento delle tasse
con, tuttavia, pressioni crescenti sulla sostenibilità dei bilanci di molti
atenei, e anche degli istituti della scuola primaria e secondaria;
2) la
dinamica del mercato del lavoro: la crescente automazione e gli effetti
dell’innovazione tecnologica portano a rapidi cambiamenti. Un lavoro empirico
dell’Università di Oxford stima che il 47 per cento dei lavori attuali possa
essere automatizzato in un futuro prossimo e di conseguenza molti adulti sopra
i 30 anni di età potranno manifestare, e presto, la necessità di reinvestire in
capitale umano per acquisire nuove competenze professionali;
3)
l’innovazione tecnologica che, indubbiamente, ha consentito la dinamica
esponenziale delle piattaforme Mooc attuali e che promette di sostenerne a
lungo la crescita, anche se è da capire in quale direzione.
La
qualità delle infrastrutture e l’alfabetizzazione digitale saranno, sempre più,
elementi centrali per garantire al sistema educativo di rispondere a un quadro
della domanda e dell’offerta didattica in profonda e accelerata trasformazione.
Al di là
di quello che potrà succedere con la rivoluzione dei Mooc, lo scenario più
probabile, e già in atto in realtà, è quello di una forte divaricazione tra
università top e università mediocri: i migliori atenei, in grado di offrire a
una platea globale i corsi dei loro
professori-star, per di più a costi irrisori, potranno beneficiarne, mentre
quelli mediocri potrebbero trovarsi completamente spiazzati dalla massiccia
diffusione di didattica di eccellenza, senza un adeguato piano di regolazione e
gestione. L’Economist traccia uno scenario da incubo per il mercato educativo,
facendo il confronto con quello per certi versi simile dell’informazione: se al
mondo delle università succedesse quello che è accaduto ai giornali dopo
l’avvento di Internet, si assisterebbe a un crollo dei ricavi degli atenei del
50 per cento, una riduzione occupazionale del 30 per cento e la chiusura di
centinaia di istituzioni. (Fonte: http://tinyurl.com/lrtbyp8 16-09-2014)
LAUREE INUTILI. MA LA GRADUATORIA VUOLE PRUDENZA
Su una
classifica delle lauree “inutili”, stilata sulla base dei dati emersi
dall’ultima indagine AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati
italiani, proprio il consorzio interuniversitario invita a riflettere e
considerare la graduatoria con prudenza. La classifica mette in fila le lauree
che offrono meno opportunità e presentano la percentuale maggiore di
disoccupati, e potrebbe scoraggiare qualcuno dal perseguire le proprie
inclinazioni, cosa che – avverte AlmaLaurea – può compromettere la
realizzazione personale. La classifica delle lauree inutili riserva alcune
sorprese. Al primo posto c’è Giurisprudenza, uno dei percorsi di studio più
gettonato e ritenuto – almeno fino a qualche tempo fa – con maggiori sbocchi
professionali, che invece conta un tasso di disoccupazione dei propri laureati
dopo un anno dal conseguimento del titolo pari al 24 per cento. Seconda in
graduatoria è Psicologia, con una percentuale di senza lavoro che si attesta al
18 per cento, mentre al terzo posto finisce Lettere, che ha 15 laureati su 100
privi di impiego. Nelle prime cinque della classifica delle lauree più inutili
ci sono anche Scienze sociali (14,3 per cento i disoccupati) e Lingue (intorno
al 13 per cento).
Per
trovare livelli occupazionali davvero alti occorre guardare alle lauree a
numero programmato a livello nazionale – Medicina, Odontoiatria, Veterinaria, Farmacia,
Professioni sanitarie – oppure a quelle considerate più “forti”, come Ingegneria
ed Economia.
Tuttavia,
la classifica delle lauree più inutili va maneggiata con attenzione. In primo
luogo, essa si basa sui dati relativi ai livelli occupazionali a un anno dalla
laurea, ma si tratta di dati molto parziali per giudicare effettivamente
l’utilità di un determinato percorso di studi. In secondo luogo, per una
valutazione vera, sarebbe “opportuno considerare i diversi aspetti che misurano
la qualità dell’inserimento occupazionale (retribuzione, tasso di occupazione e
di disoccupazione, utilizzo delle competenze), incluso il grado di
soddisfazione“, perché un fattore molto importante nella vita di ciascuno è
anche il livello percepito di realizzazione personale. (Fonte: universita.it 26-09-2014)
NUOVE MODALITÀ DI AMMISSIONE ALLE SCUOLE DI
SPECIALIZZAZIONE IN MEDICINA
È stato
pubblicato in Gazzetta Ufficiale (29 agosto 2014, n. 67) il Bando per
l'ammissione alle Scuole di Specializzazione in Medicina a. a. 2013-2014, che
sancisce il passaggio dai concorsi locali alle graduatorie nazionali per
ciascuna Scuola. Nel bando è prevista l'assegnazione di posti in sovrannumero a
categorie riservatarie (Medici Militari e Personale medico SSN a tempo
indeterminato presso strutture sanitarie pubbliche accreditate). Al concorso
possono partecipare, alle stesse condizioni degli italiani, i medici cittadini
comunitari, i rifugiati politici e quelli extracomunitari titolari, tra
l'altro, di carta di soggiorno, ovvero di permesso di soggiorno per lavoro
subordinato o autonomo, per motivi familiari, per asilo politico, per asilo
umanitario, per motivi religiosi. Precluso lo scambio di sede tra i vincitori
dei posti a concorso. La selezione è per titoli (massimo 15 punti attribuibili
al voto di laurea, al curriculum, al voto ottenuto negli esami fondamentali e
caratterizzanti la singola Scuola ecc.) ed esami (massimo 120 punti). Le prove
si svolgeranno telematicamente, in maniera identica a livello nazionale, con
riferimento a ciascuna Scuola. (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas
settembre 2014)
NEODIPLOMATI IMPREPARATI SOPRATTUTTO PERCHÈ IN DIFFICOLTA' NEL PARLARE UNA
LINGUA STRANIERA E NEL PROBLEM SOLVING
I neo-diplomati italiani non
arrivano alla sufficienza secondo i docenti universitari che in media assegnano
un misero 5,5 alla loro preparazione e trovano che solo uno su quattro sia
brillante.
E' il risultato di un sondaggio
dell'Osservatorio sull'internazionalizzazione delle scuole promosso da
Intercultura e Fondazione Telecom Italia. Nell'ambito dello studio 'Generazione
Inoccupati? No grazie', l'Osservatorio ha intervistato un campione di 500 tra
professori delle scuole superiori e docenti universitari. Per questi ultimi, i
neodiplomati sono impreparati soprattutto perché sono fortemente in difficoltà
nel parlare una lingua straniera e nel problem solving. Gli adolescenti
italiani sono invece promossi nella capacità di relazionarsi con altre culture,
per la capacità di lavorare in gruppo e l'utilizzo di tecnologia e strumenti
informatici. La ricerca ha anche indagato le caratteristiche dello studente 'brillante',
necessarie per affrontare un percorso di successo all'università e nel lavoro.
Ne è emerso un mix tra tratti caratteriali, competenze trasversali e adeguata
preparazione scolastica. Se, allo stato attuale - secondo i docenti
universitari - gli studenti brillanti sono solo uno su quattro tra i
neodiplomati, il numero potrebbe crescere se solo le scuole investissero nelle
competenze trasversali, creando un ambiente didattico che promuova la voglia di
approfondire e la curiosità (29%), accompagnate da un atteggiamento di impegno
e sacrificio (26%), la capacità di ragionamento e di elaborazione critica
(30%), l'autonomia (23%), una buona preparazione scolastica (13%) e la
conoscenza delle lingue straniere (7%). (Fonte: Il Sole 24 Ore Radiocor 01-10-2014)
REPORT 2014 DELL’OSSERVATORIO JOB PRICING. DATI SUI LAUREATI
Secondo l'analisi e i dati contenuti
all’interno del Report 2014 dell’Osservatorio Job Pricing, la laurea vale
ancora molto per guadagnare di più. L’indagine ha preso in considerazione oltre
50.000 lavoratori dipendenti tra operai, impiegati, quadri e dirigenti,
distinguendo tra laureati (20.621) e non laureati. Per chi possiede una laurea
il reddito globale annuo ammonta a 52.912 € contro i 42.182 € di chi non è
laureato: più sono gli anni dedicati allo studio, più elevata è la retribuzione
percepita. Le lauree triennali fanno guadagnare meno rispetto alle lauree
specialistiche con una differenza di circa 14.000 € annui. Le lauree triennali
sono addirittura sorpassate dal diploma di scuola superiore, di ben 6.000 €. La
laurea triennale consentirebbe un reddito (38.939 €) di poco superiore rispetto
a un diplomato in una scuola professionale (37.694). Ponendo a confronto 6600
laureati delle università statali con il maggior numero di iscritti (La
Sapienza, Bologna, Federico II di Napoli, Torino e Milano), delle 3 università
private principali (Bocconi, Luiss e Cattolica) e dei 3 politecnici (Torino,
Milano e Bari) il reddito globale annuo risultato è: Università Private 64.281
€; Politecnici 54.139 €; Statali 53.233 €; pertanto i livelli retributivi sono
mediamente più elevati del 20% per i dottori laureati in atenei privati. Chi ha
frequentato un’università del Nord o del Centro guadagnerebbe circa il 10% in
più di chi ha frequentato un’università del Sud. Il 62% dei laureati del Sud,
che hanno partecipato al sondaggio, ha dichiarato di essere attualmente
occupato in un’azienda del Centro (27%) o in un’azienda del Nord (37%). (Fonte: G. Boffa,
OrizzonteScuola 07-10-214)
RECLUTAMENTO
RECLUTAMENTO. EMERGENZA TURNOVER
Che le
università si trovino di fronte a un'emergenza lo dicono i numeri, a cominciare
da quello dei docenti. Nel 2006 si contavano 19.853 professori ordinari e
19.087 professori associati. Oggi i primi si sono ridotti quasi di un terzo
(13.800, il 30% in meno) e gli associati del 17% (15.849), mentre il numero dei
ricercatori è rimasto pressoché invariato, ma il loro ruolo è stato posto a
esaurimento, con la nuova figura dei tenure track – punto di passaggio verso la
docenza – che non decolla (se ne contano solo 172). Nelle università italiane
mancano quindi più di 9.000 professori rispetto a pochi anni fa, e le
proiezioni per i prossimi 5 anni prevedono 1.200-1.500 uscite all'anno per
pensionamento. Quindi, a conti fatti, senza nuove immissioni in ruolo nel 2018
il numero degli ordinari risulterà dimezzato e quello degli associati sarà
ridotto di oltre un quarto rispetto al 2006. Come uscirne dunque? Risponde il
presidente del CUN, Andrea Lenzi: «Tenendo conto del fatto che il bilancio del
sistema universitario incide su quello dello Stato tramite un'unica voce, il
Fondo di finanziamento ordinario, l'abolizione dei vincoli sul turn over non
avrebbe effetti finanziari diretti sulla legge di stabilità, a meno che già non
si pensi a ulteriori micidiali tagli», avverte Lenzi che pensa a operazioni di
reclutamento che alleggerirebbero la situazione didattica con l'assorbimento
nel ruolo dei professori di una quota adeguata di abilitati meritevoli. «Quanto
ai giovani che ancora non hanno una posizione all'interno del sistema, si
potrebbe – aggiunge il presidente del CUN - prevedere un intervento analogo,
anche se di proporzioni molto minori, a quello ipotizzato per i docenti precari
della scuola. Creare diecimila nuovi professori junior nel corso del prossimo
quinquennio non sarebbe un azzardo». (Fonte IlSole24Ore 23-09-2014)
RECLUTAMENTO. MECCANISMI DIFFICILI DA SPIEGARE
Come funziona il sistema di
reclutamento che vige all'interno della nostra istituzione? Si pensi solo al
meccanismo dei famigerati «concorsi»: questo ritualizzato meccanismo
cerimoniale, così squisitamente accademico, in cui si intersecano consorteria e
merito, regole e trasgressione, centralità nazionale e redistribuzione locale,
malignità della sorte e prevaricazione del potere. Come spiegare tutto ciò a
qualcuno che l'università la conosce al massimo per esservisi laureato (ed è
ingenuamente convinto che i concorsi siano semplicemente «truccati») o peggio
ancora a un professore del Missouri? Ora, da un po' di tempo a questa parte le
leggi sono cambiate e, a quanto pare, il reclutamento universitario non sarà
più realizzato attraverso i concorsi. Purtroppo, però, bisogna rassegnarsi
all'idea che anche il nuovo sistema continua a rassomigliare molto al palio di
Siena: almeno perché risulta altrettanto difficile spiegarne i meccanismi a chi
non viva dentro l'università (e spesso anche a chi ci vive, il che costituisce
una novità di rilievo). (Fonte: M. Bettini, Il Mulino
5/2014)
RETRIBUZIONI
CONTRO IL BLOCCO DEGLI SCATTI DI STIPENDIO PER I
DOCENTI ANCHE L’USPUR
Si
allarga il fronte di protesta contro il blocco degli scatti di stipendio per i
docenti e contro i tagli all’università. Ad annunciare l’adesione alla
mobilitazione contro il governo è ora l’Unione sindacale professori e
ricercatori universitari (USPUR), che si unisce così alla rete di oltre 16mila
docenti di circa 80 università in tutta Italia che già nei giorni scorsi aveva
annunciato la linea dura. «Il ministro non ha accettato la nostra richiesta di
incontro e, pertanto, ci uniamo agli altri colleghi e chiediamo direttamente al
presidente del Consiglio di volerci fissare un incontro», è stato spiegato in
una nota dell’Unione, in cui si punta l’indice contro l’estensione al 2015 del
blocco degli scatti triennali, la sospensione delle progressioni automatiche di
carriera, la sospensione dei meccanismi di adeguamento retributivo, senza la
possibilità di successivi recuperi. Si tratta degli stessi argomenti oggetto
della dura presa di posizione del “fronte dei 16mila”. Meno di una settimana fa
questi docenti avevano inviato una lettera-appello a Matteo Renzi in cui
chiedevano di essere ascoltati o «bloccheremo gli esami e le sessioni di
laurea». Una lettera in cui, tra l’altro, veniva ricordata la disparità di
trattamento rispetto ad altre categorie di dipendenti pubblici per le quali il
blocco degli scatti degli stipendi legati al merito era stato annullato: Magistrati,
avvocati e procuratori dello Stato. Il testo sottolineava, tra l’altro, che i
docenti universitari di ogni ordine – dai ricercatori agli ordinari - in «virtù
del blocco degli scatti stipendiali di merito, danno al Paese in media ben 180
euro netti ogni mese». Una situazione che si protrae da quattro anni. (Fonte:
Secolo d’Italia 13-09-2014)
RETRIBUZIONI. USPUR CONTRO LA SOSPENSIONE DEI
MECCANISMI DI ADEGUAMENTO RETRIBUTIVO
Il
meccanismo di adeguamento retributivo è stato a suo tempo introdotto per
garantire in maniera stabile la salvaguardia del potere d’acquisto del salario.
Sulla base di tale meccanismo l’ISTAT calcolava l’aumento medio registrato
dalle retribuzioni dei lavoratori del pubblico impiego nel periodo precedente e
determinava, di conseguenza, l’aumento da attribuire come conguaglio agli
stipendi
dei docenti universitari (aumento tardivo rispetto a quanto percepito dagli
altri impiegati del pubblico impiego). Si trattava di uno strumento
fondamentale e irrinunciabile che ha garantito negli anni il mantenimento del
“salario reale”, non esistendo, per i soli docenti universitari, la possibilità
di sedersi periodicamente al tavolo della contrattazione (possibilità, questa,
che è stata data alle altre categorie della dirigenza generale dello Stato di
cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 Marzo 2001, n. 165). La Corte
Costituzionale, con sentenza 17 Dicembre 2013, n. 310, ha precisato
che il
contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può
attuarsi una politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici
gravosi, come quello del blocco degli stipendi di dipendenti pubblici non
contrattualizzati, tra i quali i docenti universitari, che trovano
giustificazione nella situazione di crisi economica. In particolare – prosegue
la Consulta - in ragione delle necessarie attuali prospettive pluriennali del
ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare periodi, certo
definiti, ma più lunghi rispetto a quelli presi in considerazione dalle
richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate con riguardo alla manovra
economica del 1992. Tuttavia si sottolinea che il periodo di tempo di validità
delle norme di contenimento della spesa pubblica può avere sì durata pluriennale,
che una volta fissata non può
rinnovarsi
di anno in anno, ma assumendo così carattere di continuità illimitata al di
fuori di ogni vaglio di ragionevolezza. (Fonte: Segreteria nazionale USPUR
12-09-2014)
RETRIBUZIONI: DIFFERENZE TRA LAUREATI E DIPLOMATI
NEI PAESI OCSE
Secondo
l’ultimo rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico (Ocse) ‘Education at a glance’, avere o no una laurea in Italia fa
poca differenza, almeno a livello di retribuzione. Rispetto al diploma, da noi
un titolo di studio più alto non “paga” abbastanza.
Un
laureato da noi guadagna solo il 46,5 per cento in più rispetto a un diplomato,
a fronte di una media Ocse che si attesta al +70,4 per cento. E siamo sotto anche
alla media dell’Europa a 21 Paesi, che è pari al +68,3 per cento. Mentre da noi
proseguire gli studi non “paga” abbastanza, altrove la laurea fa davvero una
grossa differenza: è il caso del Cile, ad esempio. Nella nazione sudamericana,
chi è in possesso di un titolo universitario guadagna il 208,7 per cento in più
rispetto a chi si è fermato al grado di istruzione inferiore.
La laurea
“paga” molto anche in altri paesi: in Ungheria e Irlanda consente di guadagnare
circa il doppio rispetto al diploma (rispettivamente il 108,6 e il 100,6 in
più). Decisamente meglio di noi fanno anche gli altri “sorvegliati speciali”
dell’area euro – Grecia (+97,8), Portogallo (+70,9) e Spagna (+55,6) – e il Paese
che traina l’economia europea, la Germania (+82,8), così come la Francia
(+69,9), che è al livello della media Ocse. Sotto tale media rimangono, invece,
le retribuzioni dei “dottori” del Regno Unito (+63,7).
Se negli
USA un laureato guadagna l’81,7 per cento in più di un diplomato e in Giappone
il 71,6 per cento, tra i Paesi nei quali avere completato o no gli studi
universitari conta poco o nulla ci sono quelli scandinavi. La Norvegia è quello
in cui la laurea “paga” meno in assoluto (+28,4 per cento), ma anche in
Danimarca la situazione è simile (+30). (Fonte: http://tinyurl.com/np9dml9 10-09-2014)
CONSIGLIO DI STATO CONFERMA LEGITTIMITÀ DELLA SOSPENSIONE DEL BANDO
DISPOSTA DA TAR VENETO PER INCENTIVI AI DOCENTI CÀ FOSCARI SOLO SU BASE VQR
Nel 2011 il Governo disponeva il
blocco degli scatti per i docenti universitari e, successivamente, con la Legge
Gelmini veniva previsto che il vecchio scatto fosse compensato con un incentivo
una tantum da riconoscere in favore dei professori e ricercatori universitari
sulla base dei criteri prestabiliti dal decreto interministeriale n. 314 del
2011. L’Università Cà Foscari decide di applicare per la valutazione soggettiva
dei candidati i risultati della VQR – Valutazione della Qualità e della
Ricerca. Diversi candidati proponevano ricorso al TAR Veneto impugnando il
bando dell’Università evidenziando, tra l’altro, che la VQR non avrebbe potuto
trovare applicazione per l’attribuzione degli incentivi in quanto il suddetto
criterio era stato previsto dal Legislatore unicamente per la valutazione della
qualità della ricerca degli Enti e, quindi, non era assolutamente adattabile
alla valutazione individuale dei singoli ricercatori e professori universitari.
I giudici amministrativi con ordinanza n. 340 del 2014 accoglievano la
richiesta cautelare e disponevano la sospensione della procedura. Avverso tale
provvedimento proponeva appello il MIUR e l’Università Cà Foscari di Venezia
sostenendo l’errore del provvedimento del TAR Veneto e chiedendo il suo
annullamento.
Il Consiglio di Stato, con apposita
ordinanza n. 4496 del 2 ottobre 2014, ha confermato la legittimità della
sospensione del bando disposta dal TAR Veneto e respinto il ricorso del MIUR. (Fonte: http://tinyurl.com/mr5f6js ottobre
2014)
RICERCA. RICERCATORI
RICERCA. INVESTIAMO POCO MA SIAMO SECONDI IN EUROPA
NEL NUMERO DI PUBBLICAZIONI PER RICERCATORE
Le donne
a capo di università ed enti di istruzione terziaria in Italia sono poche, ma
evidentemente negli altri Paesi europei sono ancora meno. La percentuale
italiana è del 23,4% contro un ben più ridotto 15,5% della media dell’Unione
Europea. I dati, presentati oggi dalla Commissione europea, ci pongono così al
terzo posto nella classifica. Le donne con dottorato di ricerca (PhD) superano
il numero degli uomini: 53,2% in Italia contro il 47% europeo. Certo il quadro
generale è un po’ più desolante: l’Italia, infatti, è solo 17esima in Europa
sulle spese pubbliche totali destinate alla ricerca. Siamo all’1,1% del Pil a
fronte dell’1,4% della media dei 28 Paesi dell’Unione europea. E la situazione
non migliora granché se si guarda alla spesa totale in ricerca di settore
pubblico e imprese private messe insieme: in questo caso l’Italia si piazza
16esima. Eppure il nostro Paese continua ad essere secondo in Europa nel numero
di pubblicazioni per ricercatore, 4,5 in media nel periodo 2000-2011 a fronte
delle 2,98 dell’Ue. Mancano i soldi, ma non certo le idee.. (Fonte: IlSole24Ore
16-09-2014)
RICERCATORI. TROPPO POCHI CONTRATTI DI TIPO B
Per 150
ricercatori dell’Università La Sapienza i contratti a tempo determinato sono in
scadenza. Molti hanno seguito importanti progetti di ricerca, la maggioranza di
area scientifica e tecnologica ma provengono da tutte le aree, anche
umanistiche e sociali. Saranno cancellati tout court perché la legge Gelmini,
che ha riformato la precedente legge Moratti, ha fatto diventare i ricercatori
universitari definitivamente una figura a tempo determinato, formulata in due
tipi di contratti. La prima è il ricercatore di tipo A di durata triennale (con
la possibilità di una proroga di 2 anni se i fondi lo consentono), alla fine
dei quali non è previsto nessun altro tipo di contratto. Poi ci sono i
ricercatori di tipo B, di durata triennale (con biennio di proroga se il
finanziamento lo consente) alla fine dei quali, se il candidato ha ottenuto
l’Abilitazione Scientifica Nazionale può essere chiamato come professore
associato. Ma se l’intenzione del legislatore era di “vincolare” il contratto
di tipo B a chi avesse già svolto i tre anni di tipo A, nei fatti il mancato
impegno di finanziamenti per permettere questo percorso ha praticamente
disgiunto il primo tipo di contratto dal secondo. Dal 2010 al 2014, in tutta Italia,
sono stati stipulati circa 3.000 contratti di tipo A a fronte di soli 146 posti
di tipo B. Questo scenario ha di fatto chiuso l’accesso ai ruoli universitari
stabili, obbligando invece più di 3.000 persone a svolgere gran parte
dell’attività didattica e di ricerca degli atenei in questo modo precario.
(Fonte: http://tinyurl.com/k3cq2bg 24-09-2014)
RICERCATORI. TROPPE DUE FIGURE DIVERSE DI RTD (A e
B)
Il
reclutamento universitario basato su passaggi a tempo determinato è argomento
complesso:
dopo il
dottorato si inizia con assegni di ricerca per un massimo di 4 anni, si
prosegue come ricercatore a tempo determinato di tipo A («RtdA») con contratto
di 3 anni rinnovabile fino a un massimo di 5 e si continua per altri 3 anni
come ricercatore di tipo B («RtdB») con la previsione, in presenza di
abilitazione nazionale, del passaggio finale a professore associato.
Per buona
sostanza, un modello di selezione progressiva, basato su reiterati concorsi, con
"uscite laterali" in corrispondenza di ciascun passaggio. Il percorso
dura al massimo 12 anni dal momento della conclusione del dottorato di ricerca.
Età nominale a fine percorso: circa 38 anni. Ragionevole per diventare
professori associati. In paesi normali, non in Italia. Per gli RtdA della prima
ora si sta presentando il problema della proroga oppure dell'uscita inevitabile
dal sistema universitario, con età spesso vicina ai 40; solo per pochi sarà
possibile proseguire come RtdB entrando in tenure track. La teoria del
temporary job alla base della legge 240 ha fallito per due motivi:
A) perché
non ha considerato migliaia di assegnisti già operanti nei dipartimenti al
momento dell'entrata in vigore;
B) perché
non ha previsto misure parallele per incentivare l'assunzione di ricercatori da
parte delle imprese e del sistema pubblico non accademico.
Alla
prova dei fatti due figure diverse di Rtd (A e B) sono davvero troppe. Teniamo
il Rtd come canale di accesso (tenure track), semmai portandolo a 5 anni, e
rinunciamo al Rtda (che, de minimis, andrebbe comunque svincolato dai “punti
organico”). Allarghiamo per converso la possibilità di utilizzare gli assegni
di ricerca in modo più efficiente e flessibile rimuovendo il limite dei quattro
anni ma, introducendo, al contempo, un gradino salariale che garantisca dopo il
quarto anno incrementi salariali consistenti e compensativi. Se poi proprio
volessimo "cambiare verso", dovremmo superare la logica di gestire il
personale mediante "punti organico" lasciando agli atenei la libertà
di lavorare sui loro bilanci in funzione delle risorse reali e non sulla base
di programmazioni virtuali. (Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 04-08-2014)
RICERCA: PREMI CER. ITALIANI SECONDI MA SOLO 20 SU 42 RESTANO IN ITALIA
I premi assegnati nell’ultimo anno
dal Consiglio Europeo della Ricerca (Cer): i 312 ricercatori premiati si
divideranno 575 milioni di euro, che utilizzeranno per migliorare il loro
progetto e naturalmente il centro in cui fanno ricerca. Tra loro ben 46 sono
italiani. Un vero successo per il nostro Paese, battuto in classifica solo dai
ricercatori tedeschi (48 premiati), ma l’altra faccia della medaglia di questa
vittoria dice che su 46 vincitori solo 20 restano in Italia. Il Regno Unito,
invece, attira nelle sue università ben 62 ricercatori premiati, a fronte di
soli 31 vincitori britannici.
(Fonte:
http://tinyurl.com/lck648j 08-102014)
TAGLI ALLA RICERCA IN EUROPA. SU NATURE
NE PARLA UN GRUPPO DI RICERCATORI EUROPEI
I tagli alla ricerca in Europa
dettati delle politiche di austerità minacciano il futuro stesso dei Paesi. Lo
scrive su Nature un gruppo di
ricercatori europei. Dal 2009, scrivono i ricercatori, i finanziamenti per la
ricerca di base in Italia sono scesi a zero e l'assunzione dei ricercatori si è
ridotta del 90%. La lettera, che si può sottoscrivere all'indirizzo
openletter.euroscience.org, è rivolta ai governi nazionali, Parlamento europeo
e Commissione Europea, ed è pubblicata in coincidenza con le iniziative in corso
in diversi Paesi, la Francia in testa, dove una marcia organizzata dai
ricercatori confluirà a Parigi il 17 ottobre. In Grecia ad esempio il bilancio
di centri di ricerca e università si è dimezzato dal 2011. Stessa cosa per il
Portogallo, che rischia di chiudere metà dei centri di ricerca. In Spagna il
budget per la ricerca è sceso del 40% e il turnover dei ricercatori è inferiore
al 10%. In Francia i concorsi per i ricercatori sono scesi del 20-25% e in
Germania il precariato rende incerto il futuro dei giovani ricercatori. (Fonte: ANSA.it
09-10-2014)
RICERCATORI. NON POSSONO ISCRIVERSI ALL`ALBO DEGLI
AVVOCATI ANCHE SE PROFESSORI AGGREGATI
Con il
parere n. 20 del 9 aprile 2014 il Consiglio nazionale forense ha chiarito che i
ricercatori universitari, anche con qualifica di Professori Aggregati e 5 anni
di insegnamento, non possono essere iscritti di diritto all`Albo degli
Avvocati. L`art. 2, comma 3 della nuova Legge Professionale Forense, infatti,
consente l`iscrizione di diritto ad un albo circondariale "solo ai
professori universitari di ruolo, dopo cinque anni di insegnamento in materie
giuridiche" e non a ricercatori confermati, né a professori aggregati che
assumono tale qualifica "non in modo stabile, ma subordinatamente
all`eventuale conferimento di incarichi di insegnamento". (Fonte con approfondimenti http://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=30877
20-09-2014)
CUN. DETERMINAZIONE SUI PASSAGGI DI SETTORE SCIENTIFICO-DISCIPLINARE E CONCORSUALE DEI RICERCATORI A TEMPO
DETERMINATO
Il CUN ha adottato la seguente
determinazione: per i ricercatori a tempo determinato, destinatari dei
contratti di cui alla lettera a) e alla lettera b) dell’art. 24, comma 3, della
l. 30 dicembre 2010, n. 240, il
passaggio di Settore Scientifico Disciplinare, sottoposto al parere del
Consiglio Universitario Nazionale, deve ritenersi ammissibile soltanto nel caso
in cui esso avvenga all’interno del Settore Concorsuale per il quale è stata
bandita la posizione e, anche in questo caso, il passaggio non è ammissibile se
il bando prevedeva esplicitamente un profilo specificato dall’indicazione di un
determinato Settore Scientifico-Disciplinare.
NOBEL A TRE SCIENZIATI PER AVER PORTATO LA MICROSCOPIA OTTICA NELLA
NANODIMENSIONE
Il premio Nobel per la chimica è
stato assegnato agli americani Eric Betzig e William Moerner e al tedesco
Stefan Hell per aver messo a punto microscopi capaci di entrare nella
nanodimensione. Nella motivazione si legge: Betzig, Moerner e Hell sono
premiati “per aver portato la microscopia ottica nella nanodimensione e aver
superato il presunto limite scientifico secondo cui si riteneva che un
microscopio ottico non possa mai avere una risoluzione superiore agli 0.2.
micrometri”. (Fonte: ASCA 08-10-2014)
ACCESSO APERTO AI LAVORI SCIENTIFICI PER LO SVILUPPO DELLA SCIENZA
Roberto Caso, una delle voci più
autorevoli su questi temi in Italia, in un articolo pubblicato su ‘Scienza e
Società’, e poi ripubblicato su ‘Scienza in rete’, analizza in maniera
dettagliata la legge italiana sull’open access (legge 112/2013) anche in
termini comparativi con le leggi di Stati Uniti, Germania e Spagna e con le
raccomandazioni dell’Unione Europea. Della legge italiana, che come le altre
leggi europee prevede fondamentalmente la “via verde” all’accesso aperto,
vengono evidenziati i punti di debolezza e i punti che potrebbero essere
migliorati, e viene indicata una roadmap a breve termine per la realizzazione
dell’open access nel nostro Paese. Al di là delle pecche della legge italiana, l’autore
sottolinea come l’attuazione dell’accesso aperto passi attraverso un processo
sistemico: un processo in cui tutti hanno responsabilità: legislatore, governo,
soggetti finanziati con fondi pubblici e ricercatori. Senza investimenti
economici e organizzativi, senza lo sviluppo di una cultura dell’apertura della
conoscenza scientifica (che richiede innanzitutto impegno sul piano della
divulgazione e della formazione) e senza regolamentazioni di dettaglio, il
cammino dell’accesso aperto rischia di arrestarsi o di rallentare sempre più. (Fonte: Scienzainrete.it
agosto 2014)
RICERCA. RISOLUZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE VII DEL SENATO SUGLI ENTI
DI RICERCA
Il 7 ottobre la VII Commissione
Istruzione pubblica e Beni culturali del Senato, all’esito di un’indagine
conoscitiva iniziata a febbraio scorso, ha approvato, ai sensi dell'art. 50
comma 2 del Regolamento dello stesso Senato, una relazione, in materia di enti
pubblici di ricerca. Si riporta il testo completo della risoluzione qui > http://tinyurl.com/ow84ejl (Fonte Foglietto della ricerca 14-10-2014)
STUDENTI
STUDENTI. TEST DI ACCESSO DICHIARATI NULLI DAI TAR
DI PALERMO E DEL LAZIO
Il Tar di
Palermo ha bollato i test di accesso ai corsi di Medicina, Odontoiatria e
Veterinaria dell'Università che si sono svolti lo scorso 8 aprile nel capoluogo
isolano, a Catania e a Messina. A smuovere le acque sono stati venti aspiranti
matricole isolane rappresentate dagli avvocati Santi Delia e Michele Bonetti di
Palermo che hanno chiesto e ottenuto, nel corso dell'udienza della prima
sezione presieduta dal giudice Filoreto D'Agostino, di dichiarare nulle le
prove di ammissione al Tar di Palermo. La ragione è presto detta, si è trattato
di una «violazione del principio dell'anonimato»: il tribunale amministrativo,
infatti, ha ritenuto illegittima l'indicazione del Miur (applicata poi da tutte
le università in cui si sono svolti i test, ndr) di fare compilare una scheda anagrafica
prima dello svolgimento dei test ed esporla sul banco accanto al documento di
riconoscimento. Allo stesso modo si è espresso il Tar del Lazio che, a sua
volta, ha accolto il ricorso di cinquecento studenti, di cui quasi 40 quelli
siciliani. Che, di fatto, si vanno a sommare ai venti vincitori nel foro di
Palermo. (Fonte: Giornale di Sicilia 18-09-2014)
IMMATRICOLAZIONI. AL 10 OTTOBRE AMMESSI PIÙ DI 5000 STUDENTI IN
SOPRANNUMERO
Test d’ingresso per le facoltà
universitarie a numero chiuso sempre più nel caos. L’accesso programmato ai
corsi di laurea è stato stravolto dalle ultime ordinanze emanate dalla terza
sezione bis del Tar del Lazio. Ben 2.500 i ricorrenti che ieri si sono visti
riconoscere dal tribunale amministrativo il diritto all’iscrizione alle facoltà
di Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura. Ed è un numero ingente,
se si somma alle altre 2.500 immatricolazioni obbligatorie, sentenziate a
luglio e a settembre dopo il maxi ricorso presentato dall’Unione degli
universitari contro l’ultimo test d’accesso per la facoltà di Medicina e
chirurgia. (Fonte: http://tinyurl.com/lxe3x6e 11-10-2014). Articolo “L’ACCESSO ALL’UNIVERSITÀ TRA NUMERO
PROGRAMMATO, SOPRANNUMERO GIUDIZIARIO E DEMAGOGIA RICORRENTE” qui >
STUDENTI. ATTACCO AL NUMERO CHIUSO. VINCE IL SOPRANNUMERO GIUDIZIARIO
Ad annunciare che il tribunale
amministrativo ha riammesso un altro nutrito gruppo di ricorrenti (2.500) è
stata l’Unione degli universitari (UDU), che ha patrocinato numerose delle
azioni legali contro il test di Medicina 2014 andate a buon fine. Con le
duemila riammissioni — sempre del Tar — di luglio e le altre 500 di queste
settimane in Sicilia, le facoltà dovranno trovare posto per altri cinquemila
studenti. Tradotto: il 47,4 per cento in più di quanto previsto quest’anno tra
Medicina e Odontoiatria (10.551). Un aumento che, già da ora, fa saltare la
programmazione di decine di rettori. La notizia arriva alla fine di una
settimana nella quale già si era tornati a parlare di test di ammissione per i
futuri camici bianchi. Prima con un articolo pubblicato su Lavoce.info che
metteva in guardia contro i possibili rischi legati all’abolizione della prova
di selezione prospettata fin dall’estate dal ministro dell’Istruzione Stefania
Giannini. Poi per via della proroga da parte del MIUR della vigenza della
graduatoria nazionale, a causa degli intoppi negli scorrimenti. Il quadro della
situazione, a dir poco caotico anche senza considerare la decisione del TAR di
riammettere un numero così alto di esclusi, diventa ancora più intricato
se si tiene conto che dell’abolizione
del test di Medicina – dopo l’incontro tra il ministro e i rettori – non si è
saputo più nulla di ufficiale. Nei fatti, però, il numero chiuso è già
cancellato dalle sentenze del tribunale amministrativo, visto che per l’anno
accademico 2014-2015 il numero di posti è stato aumentato del 50 per cento e
che, in generale, chiunque tra i non ammessi abbia i soldi per intraprendere un’azione
legale ha ottime probabilità di riuscire comunque a immatricolarsi. Il
ministero dovrebbe, quindi, prendere in mano la situazione e intervenire con
urgenza, soprattutto perché la primavera non è poi così lontana e ancora nulla
si sa del sistema che determinerà l’accesso a Medicina per il prossimo anno.
Per il momento, però, a viale Trastevere tutto tace. E così ora da Milano a
Bari, passando per Bologna, Roma e Napoli, nei prossimi giorni centinaia di
aspiranti medici si presenteranno nelle segreterie per l’immatricolazione. Ma
poi dove frequenteranno le lezioni? Le aule sono organizzate sulla base dei
numeri programmati. Non parliamo dei laboratori. (Fonti: universita.it, Corsera, Les
Echos ottobre 2014).
La serietà degli studi in un settore
delicato come la salute non può essere condizionata da un tribunale
amministrativo. Con buona pace della demagogia e del populismo di cui certa
stampa è piena senza calcolare i danni che provoca inneggiando alla “vittoria”
dei ricorrenti contro il numero chiuso e alla faccia della Comunità europea che
lo ha sempre raccomandato agli Stati membri. Quanto ai test universitari di
Medicina, il ministro Giannini afferma di non aver «mai messo in discussione
l’accesso programmato»: «metto in discussione la qualità di questa selezione;
per me il modello da seguire è quello francese, che prevede la selezione alla
fine del primo anno. Oppure anche prima, unificando anche le discipline annuali
al primo semestre». Forse non è stata informata che in Francia il “modello
francese” non lo vogliono più sia il ministro sia la conferenza dei presidenti
delle università (CPU). Data la loro esperienza pluriennale del “modello”
avranno buone ragioni.
50MILA BORSE DI STUDIO A RISCHIO CON IL DL SBLOCCA ITALIA
Con il dl Sblocca-Italia sono a
rischio 50mila borse di studio. ''Da anni denunciamo l'insufficienza dei
finanziamenti sul diritto allo studio, da anni denunciamo la figura vergognosa
degli idonei non beneficiari: anziché aumentare i fondi per il diritto allo
studio, il decreto (s)blocca Italia mette a rischio quasi 50.000 borse di
studio'', ha denunciato l'Unione degli universitari. ''All'articolo 42 del
decreto - spiega una nota - trova attuazione un'intesa tra Stato e Regioni per
la quale queste ultime potranno inserire all'interno del Patto di Stabilità i
fondi provenienti dal Fondo integrativo nazionale per le Borse di Studio,
bloccando, di fatto, l'utilizzo di queste risorse e mettendo a rischio il futuro
di quasi 50.000 studenti''. In Commissione Istruzione della Camera Manuela
Ghizzoni ha presentato un emendamento allo “sblocca-Italia” per «tornare allo
spirito originario della norma». Anche perché - ha commentato - sul diritto
allo studio già siamo il fanalino di coda dell’Ue: «Nel 2013 in Italia sono
state erogate 141.310 borse di studio, quando in Spagna erano state 305.454, in
Germania 440.217 e addirittura in Francia 629.115». (Fonte:
ASCA 02-10-2014)
ERASMUS+.
PREVISTI 15 MILIARDI FINO AL 2020
Il programma Erasmus+ (il programma
che ha sostituito e ampliato Erasmus) si applicherà ai prossimi 7 anni, fino al
2020. Con una dotazione totale di 15 miliardi di euro, ovvero circa il 40% in
più rispetto alla vecchia programmazione 2007-2013. Ne beneficeranno 4 milioni
di persone, tra cui 2 milioni di studenti e 300.000 docenti dell'istruzione
superiore. Solo nel 2014 l'Italia ha ricevuto da Erasmus+ circa 124 milioni di
euro, «il che corrisponde - avverte Battistotti - a un aumento del 12% rispetto
ai finanziamenti che l'Italia ha ricevuto l'anno scorso». I fondi sono già in
mano alle agenzie nazionali che gestiscono il programma e nella maggior parte
dei casi sono stati distribuiti agli enti destinatari delle sovvenzioni per
consegnarli agli studenti in partenza per un periodo di mobilità all'estero.
E Battistotti segnala che «l'importo destinato all'Italia aumenterà annualmente
fino al 2020». «Gli italiani beneficeranno inoltre - ricorda il direttore della
rappresentanza italiana di Bruxelles - dell'azione Jean Monnet per studi
sull'integrazione europea nell'istruzione superiore e di borse per progetti
sportivi transnazionali». (Fonte:
scuola24.ilsole24ore.com 03-10-2014)
ERASMUS. CONTRADDIZIONI TRA TAGLI AI FINANZIAMENTI E SUCCESSI DAL 1987
Se è vero che in epoca di crisi i
tagli alle spese sono una necessità, è meno comprensibile il fatto che a
rimetterci possano essere le iniziative che funzionano. Sono di pochi giorni fa
due notizie, paradossalmente contrastanti, che riguardano l’Erasmus, il celebre
programma europeo che consente agli studenti universitari di effettuare in
un’università straniera un periodo di studio legalmente riconosciuto dalla loro
sede d’appartenenza. Da un lato, i risultati dell’Erasmus Impact Study,
un’indagine condotta per conto della Commissione UE, ci dicono che il programma
garantisce agli studenti migliori prospettive lavorative. Dall’altro, il
commissario europeo al Bilancio ha fatto sapere che il budget 2014 è già a un
livello di spesa mai raggiunto prima e che i tagli potrebbero toccare le borse
Erasmus per gli studenti. L’interruzione di questo finanziamento è stata
indicata dal commissario Jacek Dominik come uno dei possibili «effetti
collaterali» dell’inevitabile sforbiciata. Se dovesse accadere sarebbe ben più
che un paradosso: non solo, infatti, il programma Erasmus rappresenta, da oltre
25 anni, il fiore all’occhiello dell’Europa unita, ma i tagli andrebbero a
colpire proprio il settore – istruzione, ricerca, innovazione – che i governi
dei 28 paesi membri indicano da sempre come quello che farà ripartire crescita
e occupazione. Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha ammesso che si
tratta di una «situazione contraddittoria» e assicurato che la presidenza
italiana del Consiglio UE farà di tutto perché non siano sacrificati i
finanziamenti alla ricerca e ai programmi di mobilità studentesca.
I dati dello studio della
Commissione sull’impatto dell’Erasmus in ambito lavorativo e nelle relazioni
sociali e interpersonali degli studenti che vi hanno partecipato dicono che
questi giovani hanno un tasso di disoccupazione del 23 %, la metà circa
rispetto ai coetanei che non hanno effettuato un periodo di studio all’estero.
Oltre il 90% dei datori di lavoro, infatti, dice di ricercare nei futuri
dipendenti proprio le qualità e competenze che il programma Erasmus sembra
potenziare.
Dal 1987, anno in cui è partito il
progetto, i bambini nati «sotto il segno dell’Erasmus» sono circa un milione.
«Dove si può trovare l’amore nel XXI secolo?» – si è domandato l’’Independent’
nel commentare i risultati di questa ricerca - non solo sui siti di incontri e
grazie alle app dei cellulari – ha scritto – ma anche semplicemente andando
all’estero in Erasmus. In effetti, il 33% degli ex studenti Erasmus ha una
relazione stabile con un partner di altra nazionalità, contro il 13% dei giovani
che restano nel proprio Paese. Se non ci saranno tagli, la Commissione europea
prevede che nel prossimo quadriennio saranno circa 4 milioni le persone, tra
studenti e docenti, ad usufruire dei finanziamenti del nuovo progetto Erasmus
Plus. (Fonte: http://tinyurl.com/lp8q7y2 09-10-2014)
MATURITÀ (ESAME DI STATO). ANCHE LA GIANNINI LO
VUOLE CAMBIARE
«Deve
perdere quell'aspetto da giudizio divino che, tra l'altro, lo ha fatto
diventare costoso». Giudizio divino? Di che maturità sta parlando la ministra?
Facendo due rapidi calcoli, Stefania Giannini ha sostenuto la maturità voluta
dal suo predecessore Fiorentino Sullo, che a me, allora, sembrava un gioco da
ragazzi: due prove scritte e due materie per il colloquio (di cui una a scelta
del candidato). Punteggio finale espresso in sessantesimi. La commissione era
completamente esterna tranne che per la presenza di un membro interno. Dico
gioco da ragazzi perché la mia maturità era stata invece quella voluta dal
ministro Guido Gonella, che aveva ripristinato la formula di Giovanni Gentile:
quattro prove scritte e orale su tutte le materie dell'intero corso di studi
(nel caso mio i tre anni di liceo). Non era uno scherzo e la storia che per
molti è stato l'esame più duro sostenuto nel corso degli anni (molto più duro che
qualsiasi esame universitario) è profondamente vera. Però allora si poteva
sognare un futuro diverso e, pur di prendere l'ascensore sociale (una buona
media assicurava il "presalario" all'Università), non si badava alla
fatica. Ancora oggi devo dire grazie a quella maturità. Avendo a che fare con
l'insegnamento, mi sono sempre tenuto aggiornato sugli esami di maturità. Nel
1994 il ministro Francesco D'Onofrio, per ridurre i costi, pone dei limiti territoriali
nella scelta di presidente e commissari (con il rischio di un aumento di
raccomandazioni "territoriali"). Poi nel 1997 arriva il ministro
Luigi Berlinguer e trasforma la maturità in Esame di Stato, con la votazione
macchinosa espressa in centesimi e tre prove scritte. Nel 2001 la ministra
Letizia Moratti cambia ancora: la commissione è costituita da membri interni,
solo il presidente è esterno. Cinque anni dopo Giuseppe Fioroni torna ai membri
esterni e interni e modifica anche il punteggio: il credito scolastico passa da
20 a 25 punti, il colloquio scende da 35 a 30. Volete che Maria Stella Gelmini
non abbia toccato la Maturità? Per accedervi è necessario riportare un voto
almeno pari al sei in tutte le discipline. Adesso la ministra Giannini: una delle novità più rilevanti è che dalla
prossima Maturità dalle commissioni spariranno i membri esterni. Al loro posto
subentrano gli insegnanti interni. Soltanto il presidente della commissione
arriverà da un altro istituto. A furia di togliere ostacoli, facilitare i
percorsi di apprendimento, allontanare lo spettro dei "giudizi
divini", succede che la Maturità (o Esame di Stato come si chiama ora) non
discrimini più niente. A scapito degli studenti meno abbienti. Chi può va
all'estero, impara bene le lingue, frequenta un master. Chi non può ringrazia
la ministra Giannini. (Fonte: A. Grasso, Sette 26-09-2014)
VARIE
LETTERA DI SCIENZIATI DI OTTO NAZIONI EUROPEE E PETIZIONE IN DIFESA DELLA
SCIENZA
Scienziati di diversi paesi europei
descrivono in questa lettera che, nonostante una marcata eterogeneità nella
situazione della ricerca scientifica nei rispettivi Paesi, ci sono forti
somiglianze nelle politiche distruttive che vengono seguite. Quest’analisi
critica, pubblicata contemporaneamente su diversi quotidiani in Europa, vuole
suonare un campanello d’allarme per i responsabili politici perché correggano
la rotta, e per i ricercatori e i cittadini perché si attivino per difendere il
ruolo essenziale della scienza nella società. Si può leggere la lettera anche in italiano e firmare la petizione qui http://openletter.euroscience.org/ (10-10-2014).
UN’IDEA DELLA NATURA DELL’UNIVERSITÀ
L'Università non può essere ridotta
a funzione della società (o dell'economia, o del mondo del lavoro). La sua
forza sta nella sua totale autonomia e nel rispetto dei suoi scopi così come
essa li individua dentro il suo percorso storico. Un'Università che non sia
completamente libera e autonoma è un'Università completamente inutile, anche
quando sembrerebbe funzionare. Fin dalla sua origine, infatti, l'Università non
condivide l'indirizzo della civiltà verso una progressiva stanzializzazione (agricoltura
che prevale sulla caccia e sulla pastorizia. la città che prevale sulla campagna),
la territorializzazione delle domande, bisogni, e delle risposte, biopolitica,
non la riguardano, perché la natura dell'Università non è territoriale. Niente
governance per questa bizzarra istituzione affine più alla caccia che
all'agricoltura, originariamente nomade, rifugio dei figli secondogeniti senza
eredità, dei chierici mascalzoni. In altre epoche l'Università era zona
pericolosa, gli studenti — senza famiglia, senza rendiconti — una massa di
sbandati spesso ubriachi e non di rado dediti alla violenza. Per molto tempo
l'Università ha rappresentato, dentro il tessuto urbano, un'area pericolosa,
dove la legge poteva assumere solo la forma della carica, dell'arresto, della
guerriglia. Noi lo sentiamo ancora oggi: l'Università è una specie di corpo
estraneo rispetto al resto della città. Il suo scopo non è innanzitutto quello
di istruire i giovani, di prepararli all'ingresso nel mondo del lavoro, di far
crescere la nuova classe dirigente di un Paese. Il suo primo scopo è la pura
conoscenza: il tentativo cioè di traslocare ciò che pensiamo di conoscere
dall'approssimazione in cui naviga quasi sempre per condurlo alla precisione,
passando dall'immagine al concetto, dalla rappresentazione alla definizione. Il
suo scopo è quello di poter illuminare la realtà non "da fuori" bensì
"da dentro". Tolta questa radice di pura gratuità, nella quale
consiste la sua natura profonda, l'Università perde per intero il suo scopo per
essere sostituita da un avatar costoso e mal funzionante, che di norma produce
per la società più problemi che soddisfazioni. (Fonte: L. Doninelli, Avvenire
15-10-2014)
MOBILITAZIONE “PER LA SCIENZA PER LA CULTURA”
Lo scorso
giugno a Copenaghen si è tenuto un incontro nell’ambito di un convegno
internazionale (ESOF2014) in cui i ricercatori del sud Europa (Italia Spagna,
Grecia e Portogallo) hanno discusso con alcuni policy makers europei, tra cui
il Direttore Generale della Commissione Europea per Ricerca e Innovazione. Il
punto centrale della discussione è stato la constatazione che i Paesi del sud
Europa stanno compromettendo il futuro di intere generazioni di giovani
ricercatori e con loro anche la possibilità, a medio termine, di uscire dalla
crisi e di avere dunque la possibilità di rimanere Paesi tecnologicamente
avanzati. Da quell’evento è nata una discussione più ampia, cui si sono uniti
anche alcuni ricercatori francesi e tedeschi. I ricercatori francesi in
particolare hanno organizzato per il 18 ottobre una marcia in bicicletta dalla
provincia a Parigi per portare all’attenzione dell’opinione pubblica del loro Paese
il pericolante stato della ricerca e dell’università e nel contempo per
sollevare un tema fondamentale: senza ricerca e innovazione non si esce dalla
crisi.
La
mobilitazione europea ha per obiettivo di mettere questo tema al centro del
dibattito pubblico, delle agende dei governi nazionali e del governo europeo.
Perché questo accada ci vuole una pressione finora inattuata, ed perciò
necessario che vi sia, come in Francia, una grande mobilitazione dei
ricercatori, dei docenti degli studenti e di tutti coloro che sono convinti che
la ricerca, l’innovazione, la scienza e la cultura giochino il ruolo chiave per
lo sviluppo economico. Il Fatto Quotidiano ha dedicato un ampio servizio a
questa mobilitazione, con interviste a colleghi di altri Paesi europei
impegnati in prima linea nei loro rispettivi Paesi. Oltre che in Francia, anche
in Spagna, Grecia e Portogallo sono in preparazione diversi tipi di
mobilitazione.
Per
queste ragioni Roars ha pensato che sia necessario dare un contributo anche in
Italia a questo movimento, sperando che una mobilitazione dal basso degli
scienziati e degli uomini cultura possa dare una scossa a un sistema che sembra
non reagire più di fronte alle più impensabili avversità. Roars ha preparato
delle slides che raccontano, attraverso numeri “certificati”, la situazione
della ricerca, dell’università, del diritto allo studio, della difficoltà delle
nuove generazioni nella ricerca e dell’importanza della ricerca per lo sviluppo
dei Paesi. A questo link potete scaricare le slides
(Fonte:
Roars 16 e 28-09-2014)
UNIVERSITÀ CHIAMATE A COLLABORARE IN BASE ALLA
NUOVA LEGGE SULLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ALLO SVILUPPO
Il 1°
agosto la Commissione Esteri del Senato ha approvato definitivamente, quasi
all'unanimità, il ddl n. 1326-B recante "Disciplina generale sulla
cooperazione internazionale per lo sviluppo", pubblicato sulla GU (serie
generale n. 199 del 28-8-2014) come Legge 11 agosto 2014, n. 125.
È
prevista la partecipazione di un rappresentante dell'Università al nuovo
Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo, che dovrà essere
istituito con decreto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione
internazionale (MAECI), uno strumento permanente di partecipazione,
consultazione e proposta. L'art. 24 della nuova Legge parla espressamente anche
delle università come soggetti della cooperazione allo sviluppo: «L'Italia
favorisce l'apporto e la partecipazione [...] delle Università [...] alle
iniziative di cooperazione allo sviluppo», anche promuovendo collaborazioni
interistituzionali. La neo Agenzia italiana per la cooperazione può affidare
anche alle Università l'«attuazione di iniziative di cooperazione previste
dalla presente legge o può concedere contributi per la realizzazione di
proposte progettuali da essi presentate».
(Fonte: http://tinyurl.com/ojek8w5
agosto 2014)
RAPPORTO OCSE. PER L’ITALIA PIÙ ASPETTI NEGATIVI
CHE POSITIVI
L’Italia
migliora ma rimane in coda tra i 34 Paesi della ricerca. Calano docenti e spesa
pubblica, crescono diplomati e laureati. "Se non serve a trovare lavoro,
non studio": questo deve essere il pensiero costante, negli ultimi anni,
di studenti e famiglie italiane. Un numero "allarmante" di giovani
che non studiano e non lavorano (i cosiddetti «Neet»). Nel 2012, in Italia,
quasi un giovane su tre (31,5%) dai 20 ai 24 anni non lavorava e non era
iscritto a nessun corso di studi, con un aumento di ben 10 punti rispetto al
2008. In confronto, nel 2012 nei Paesi Bassi solo il 7% dei giovani 20-24enni
non studiava e non lavorava e in Austria e Germania solo l'11%. Nello stesso
anno, in Italia circa 1 su 7 (14%) tra i 17enni aveva già abbandonato la scuola
(la media Ocse per il 2012 è del 10%). Una scuola in cui gli insegnanti sono
pagati sempre meno ma devono insegnare a un numero sempre maggiore di studenti.
Oggi si è arrivati a un rapporto di un insegnante ogni 12 studenti, rispetto a
una media Ocse di 15 studenti nella scuola primaria e 13 nella secondaria. È il
risultato del calo di ore di lezione degli studenti e del blocco del turn-over,
infatti, il 62% degli insegnanti delle scuole secondarie ha più di 50 anni. E,
quindi, «la qualità dell’istruzione - spiega Francesco Avvisati, ricercatore
Ocse autore della nota sull’Italia - non dipende dal numero degli insegnanti ma
dalla loro preparazione».
L’istruzione
vede calare gli investimenti anno dopo anno, unica nel mondo Ocse. Sono alcuni
dei dati che raccontano bene le difficoltà della scuola italiana, contenuti nel
rapporto «Uno sguardo sull’Istruzione 2014: indicatori Ocse», presentato ieri.
Ma ci sono anche aspetti positivi. Negli ultimi 15 anni è aumentato il numero
di diplomati e laureati, in particolare tra le donne, anche se è ancora
inferiore alla maggior parte degli altri Paesi Ocse (l’organizzazione raccoglie
34 nazioni sviluppate con un sistema di governo democratico e un’economia di
mercato). Le donne sono sempre più presenti in professioni un tempo considerate
maschili come l’ingegneria. Il bilancio potrebbe essere positivo, la qualità
dell’istruzione migliora. Resta il drammatico dato del calo della spesa pubblica
in questo settore, e l’Italia è l’unico Paese Ocse dove accade. Si investe
appena il 9% rispetto al 13% dei Paesi Ocse e al 12% dei 21 Paesi Ue. Tra il
1995 e il 2011 la spesa per studente nella scuola primaria, secondaria e post
secondaria non terziaria è diminuita del 4%. (Fonti: ANSA, La Stampa,
IlSole24Ore 10-09-2014)
INGEGNERIA. UN NUMERO DI LAUREATE SOPRA LA MEDIA
OCSE
Il nostro
Paese ha il primato di donne con lauree tecniche e sono molto più preparate
delle colleghe dei Paesi Ocse. In Italia il 40% dei nuovi laureati in
ingegneria è donna: in Germania la percentuale precipita al 22% mentre nel
Regno Unito al 23%. E non è l’unica novità. Le donne che si iscrivono
all’università sono in aumento: si è passati da 60% nel 2005 al 69% nel 2010,
mentre la quota maschile è aumentata nello stesso quinquennio dal 48% al 55%.
Le donne oggi rappresentano il 59% dei laureati di primo livello. Ciò vuol dire
che a un colloquio con 5 candidati laureati, tre sono donne. Restano ancora
poco rappresentate in facoltà come l’informatica, dove sono il 25% dei laureati
e in fisica dove arrivano al 22%. È interessante il paragone con i Paesi
dell’Ocse, dove in media il 28% dei laureati in ingegneria è donna, contro il
40% italiano. (Fonte: http://tinyurl.com/ntveyg8 29-09-2014)
PENSIONE PER IL RETTORE. UN’INTERROGAZIONE «A
RISPOSTA SCRITTA» AL MINISTRO IUR
Nell’interrogazione
si ricorda che in alcune università i rettori sono stati eletti nel novembre
2010 per un quadriennio e successivamente il loro mandato è stato prorogato di
altri due anni (con carica non rinnovabile). Con il decreto di fine giugno è
stato «stabilito l’obbligo di collocamento a riposo per i professori
universitari di ruolo al 31 ottobre 2014 se hanno compiuti i 70 anni». È questo
il caso del rettore Pecorelli e, anche, del suo collega di Napoli Parthenope
Claudio Quintano. «Il medesimo decreto legge - si legge nell’interrogazione -
vieta il conferimento di incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi
di governo delle amministrazioni a soggetti in quiescenza». Da qui la richiesta
se sia stata fatta una ricognizione per capire se ci sono «professori che,
collocati in riposo il 31 ottobre, perdono di conseguenza il requisito
soggettivo per ricoprire la carica di rettore» e, in secondo luogo, quali
provvedimenti eventualmente il ministro intenda adottare. La questione è sul
tavolo del governo. Quando il ministro risponderà si saprà se il rettore potrà
mantenere il suo incarico fino al 2016 o se dovrà iniziare la campagna
elettorale per il rinnovo della carica. (Fonte: Corsera 14-09-2014)
ATENEI. IT
UNIBO. PARTE IL DOTTORATO INDUSTRIALE.
Parte
all'Alma Mater il dottorato industriale, finanziato da Bruxelles, per collegare
sempre di più la ricerca accademica con le esigenze dell'industria. Si chiama
Wakeupcall ed è il progetto che si è aggiudicato un finanziamento di 1,5
milioni di euro nell'ambito del programma europeo "First Horizon 2020 Work
Programme". Scopo del progetto è quello di creare un'opportunità di
incontro fra ricercatori accademici in finanza matematica e professionisti di
alto livello nei settori finanziario e assicurativo, per discutere e interagire
coinvolgendo giovani ricercatori. Il finanziamento servirà per borse a giovani
ricercatori la cui attività si svolgerà per il 50% presso un soggetto privato.
(Fonte: http://tinyurl.com/p86l7h6
25-09-2014)
UNIBO. PSEUDOSTUDENTI BLOCCANO IL TRAFFICO E SEGNALANO DOCENTI SGRADITI
Tutti insieme, alla fine di una
giornata sfiancante (per le forze dell’ordine e per quanti si sono trovati a
incrociare il loro corteo selvaggio con relativi blocchi del traffico), quelli
di Hobo saranno stati sì e no un centinaio, compresi i «rinforzi» di altri
collettivi universitari antagonisti. Cento su 80 mila studenti dell’Alma Mater.
Pochi, pochissimi, nulla a che vedere con i movimenti studenteschi del passato
(anche recente, vedi l’Onda) che, piacessero oppure no, riuscivano a mobilitare
migliaia di giovani. Un pugno di persone a cui è riuscito di tenere sotto
scacco un pezzetto di città (la zona universitaria, da via Irnerio a via
Zamboni) e che, è certo, replicherà appena possibile. Un ricatto per Bologna e
per le sue istituzioni. Hobo, dunque, sgomberato da uno spazio occupato in via
Filippo Re destinato a tutti gli studenti, non soltanto a quelli che la pensano
come loro. Hobo, protagonista delle aggressioni verbali al professor Angelo
Panebianco per i suoi editoriali sul Corriere della sera. Hobo che sul web ha
aperto un sito per segnalare i docenti universitari che non piacciono (a loro).
Il sindaco Merola ieri ha marcato un confine: «Smetterei di chiamarli studenti,
perché gli studenti studiano, si preoccupano del loro futuro, fanno anche dei
lavoretti per mantenersi e non approfittano delle loro famiglie». Una grande
Università come la nostra non deve temere spazi di dissenso, che ci sono sempre
stati e sempre ci saranno. Ma a tutto c’è un limite. Ed è stato superato da
tempo. (Fonte:
http://tinyurl.com/q3x7z8s 08-10-2014)
UNIMI. UN FAMOSO ARCHITETTO GIAPPONESE PER IL NUOVO DIPARTIMENTO DI SCIENZE
VETERINARIE
Firma di un archistar per il nuovo
dipartimento di Scienze Veterinarie alla Statale. Si tratta dell'architetto
giapponese Kengo Kuma, autore del progetto che verrà presentato nei prossimi
giorni dai vertici di via Festa del Perdono. È la ciliegina sulla torta di un
lungo — e tormentato — processo di trasferimento del dipartimento dall'attuale
sede di via Celoria al nuovo polo di Lodi, molto più grande e accogliente degli
spazi di Città Studi. Ad aggiudicarsi la gara d'appalto per l'affidamento
dell'incarico è stato un pool guidato dal prestigioso studio internazionale
Kuma and associates Europe. «Sarà un progetto molto bello — spiega Mauro Di
Giancamillo, professore del dipartimento di scienze veterinarie e sanità
pubblica — e diventerà un centro di eccellenza completo in tutto. Ci sarà anche
una parte di campus, con un'idea di facoltà che favorisce l'integrazione degli
studenti. Non mancheranno anche locali bar, sale studio, centri d'accoglienza».
(Fonte: La Repubblica Milano
14-10-2014)
UNIPD. UN MODELLO ACCADEMICO DI SANITÀ
I
professori universitari, i medici ospedalieri e i referenti delle 22
professioni sanitarie lavoreranno nei prossimi mesi a stretto contatto per la
stesura del “piano” che verrà presentato all’inizio dell’anno nuovo. La sanità
padovana nella sua totalità e, per la prima volta congiuntamente, metterà
dunque sul tavolo un progetto sinergico. Un lavoro mai tentato prima, che
dimostra l’importanza e l’emergenza del momento per una città che ha nella
sanità la sua eccellenza. Una città che ora guarda con preoccupazione al futuro
di fronte all’impasse creatasi sul nuovo ospedale, con le contrapposte
posizioni tra Comune da una parte e Regione, Azienda ospedaliera e Università
dall’altra. La decisione di elaborare un modello unitario è frutto di una
decisione presa all’unanimità nell’incontro convocato lo scorso giovedì dalla
Scuola di Medicina e Chirurgia. Che ha fissato
un appuntamento cui parteciperanno gli universitari e gli ospedalieri
insieme; sono stati invitati il rettore, il direttore generale della Sanità
veneta, il direttore generale dell’azienda ospedaliera, il direttore generale
dell’Usl 16, il presidente dell’Ordine dei Medici, il presidente della
Commissione Regionale della Sanità. Tutti referenti, tengono a precisare gli
organizzatori, che non sono dei politici. «Dopo l’incontro, la Scuola
proseguirà il suo percorso di approfondimento per arrivare alla definizione di
un modello accademico di sanità», afferma il presidente della Scuola di
Medicina e Chirurgia. (Fonte: http://tinyurl.com/ot7gazz 25-09-2014)
TOR VERGATA. UNICO ATENEO ITALIANO PRESENTE NEL
RANKING QS TOP 50 UNDER 50
In cima
alla classifica - compilata da QS, la società di consulenza e ricerca britannica
che pubblica il World University Rankings - si piazza la Nanyang Technological
University di Singapore che prende il posto della Hong Kong University of
Science and Technology. Secondo questa indagine il 20% delle migliori giovani
università al mondo si trova in Australia, che conta il maggior numero di atenei
classificati tra tutti I 25 Paesi rappresentati nella classifica, seguita dalla
Spagna con cinque. Hong Kong e il Regno Unito ne hanno quattro a testa, mentre
la Germania ne ha tre. Due università classificate per Corea, Canada, Svezia e
Stati Uniti. L’Università degli Studi di Roma Tor Vergata - collocata al
33esimo posto - fondata nel 1982, é l'unica italiana in classifica e guadagna
cinque posizioni rispetto allo scorso anno. Il suo slogan "Oggi, L'Ateneo
del Domani" trova dunque riscontro in questa classifica. (Fonte: ANSA
24-09-2014)
UNIVERSITÀ BOCCONI. NUOVO MOOC
“MANAGING FASHION AND LUXURY COMPANIES” CON 20.000 ISCRITTI
La Bocconi fa un passo avanti nel
mondo dei Massive open online courses (Mooc). Nel giugno 2014 l’Università e il
laboratorio dedicato all’innovazione didattica Beta hanno pubblicato sulla
piattaforma Coursera il corso in Financing and Investing in Infrastructure. È
stato un successo, con un retention rate superiore alla media del sito di
formazione online. Ora, con SDA Bocconi School of Management coinvolta nel
progetto, un nuovo Mooc è sulla rampa di lancio: il corso di Erica Corbellini e
Stefania Saviolo Managing Fashion and Luxury Companies (#mafash14 su Twitter)
inizia il 3 ottobre. Il corso mira a fornire una conoscenza approfondita del
business globale della moda e del lusso. È il primo corso di moda ad essere
ospitato da Coursera e può essere seguito gratuitamente da chiunque,
indipendentemente da età, sesso, classe, istruzione. Finora si sono iscritte
20.000 persone che vivono in 157 Paesi diversi. Per la maggior parte (18%) si
tratta di statunitensi, il 53% è di sesso femminile, il 44% ha un’età compresa
tra i 20 e i 29 anni. Seguiranno le lezioni online per cinque settimane,
discuteranno i contenuti su un forum, lavoreranno tre o quattro ore alla
settimana. Per ottenere un certificato di frequenza dovranno superare un test
basato su quiz e P2P, vale a dire un esercizio che verrà valutato da altri
utenti. (Fonte: http://www.stampa.unibocconi.it
03-10-2014)
UE. ESTERO
UE. BILANCCIO DEL PROCESSO DI BOLOGNA
A sedici
anni dalla partenza del Processo di Bologna (in volgare italiano il 3+2)
esistono oggi le condizioni per fare un bilancio del risultato. Per non
accontentarsi dei giudizi sommari (fallimento) o delle versioni
trionfalistiche. L’obiettivo era di far convergere i sistemi didattici
universitari degli Stati europei per assicurare validità su tutto il territorio
d’Europa a ciascuna laurea conseguita in ogni singolo ateneo e garantire, così,
mobilità e occupabilità in un mercato del lavoro comune a tutti i laureati
europei. Solo un gruppo di Stati (segnatamente i soliti nordici ed il nucleo
dell’Europa continentale più vicina a Bruxelles) è ormai avanti
nell’integrazione. Il resto procede più lentamente. Gli ultimi rapporti Anvur e
Ocse ci documentano che gli immatricolati crescono (dal 10,6% del 2000 al 17,3%
del 2006 e al 22,3% del 2012). Crescono anche i laureati, e fra questi gli
appartenenti a famiglie senza titoli universitari in casa (socialmente
significativo). Questi dati non sono definitivamente consolidati, mentre
potrebbero migliorare ulteriormente se si lavorasse con intelligenza a
correggere gli errori e le resistenze. Il processo ha anche favorito
l’affermarsi di una sensibilità - nei curricoli - nell’introdurre attività
formative per il miglioramento dell’occupabilità. L’Anvur ci dice che ormai la
totalità degli atenei organizza stages e tirocini, anche per il dopo laurea, di
avviamento al lavoro, di accompagnamento in azienda. AlmaLaurea calcola che nel
maggio 2014 la partecipazione studentesca al tirocinio è stata del 57%. La
situazione non è statica né regressiva, ma certo non soddisfacente. Di fronte
alle sfide che incontra l’Europa, il contributo all’integrazione universitaria
non può fermarsi qui. Molti aspetti sono ancora «sulla carta», o percepiti come
adempimenti burocratici anziché come opportunità di miglioramento della
qualità. Credo che si imponga più che mai che gli Stati e i sistemi
universitari assumano più energicamente il governo del processo, sollecitando
anche l’autonomia degli atenei nello stesso senso. L’impegno, però, non va
riaffermato in direzione centripeta, trovando soluzioni nazionali a problemi
percepiti come nazionali. Le sfide da affrontare – europee e globali nella loro
sostanza – vanno affrontate chiedendo «più Europa», e non il contrario. Ad
esempio è improrogabile garantire il riconoscimento dei titoli di mobilità
degli studenti, ottenuti in altri Paesi europei, coinvolgendo anche gli Stati.
L’enciclopedismo e l’eccesso di disciplinarismo limitano in questi casi la
capacità valutativa delle università. Va inoltre tenuto presente che il mutuo
riconoscimento delle lauree è possibile solo se funzionano il riconoscimento
dei sistemi di valutazione e una reciproca fiducia: solo una forte volontà
governativa può però assicurare un’efficace collaborazione fra le Agenzie di
valutazione e di «assicurazione della qualità». Inoltre è opportuno che in
questa fase si favorisca il moltiplicarsi di corsi di studio congiunti. Infine,
particolare attenzione va riservata al primo ciclo, triennale, trascurato ed
ostacolato da taluni governi o gruppi accademici, mentre è in pieno sviluppo e
con successo in altri Paesi. Pari durata dei corsi, pari articolazione in tre
livelli dei titoli e uniformità di sistema sono punti imprescindibili. (Fonte:
Corsera 22-09-2014)
UE. PROBLEMI DI FINANZIAMENTO PER ERASMUS E HORIZON
2020
Sono
quasi finiti i soldi previsti dal bilancio 2014 dell’Unione Europea, ma mancano
ancora più di tre mesi alla fine dell’anno. Una situazione che si ripercuoterà,
secondo il commissario Ue al bilancio, Jacek Dominik, sui fondi destinati alle
borse di studio per gli studenti Erasmus, sui finanziamenti alle piccole e
medie imprese, sui beneficiari dei fondi di coesione e, probabilmente, anche
sugli stanziamenti per progetti legati ad ambiente, politiche di vicinato,
cooperazione e aiuti umanitari. Il commissario polacco dell’Unione lancia
l’allarme: “Questa volta non si tratta più di ‘business as usual’”, cioè la
mancanza di fondi non è una cosa calcolata o fisiologica. A legittimare la sua
preoccupazione, dice, il fatto che l’80% degli stanziamenti siano già stati
utilizzati e che rimangano solo 175 milioni di euro a disposizione per
rifinanziare capitoli di spesa per più di 3 mesi. Il commissario è preoccupato
anche per la richiesta di tagli per 2,1 miliardi di euro, da parte degli Stati
membri, al bilancio 2015. Un’ulteriore riduzione dei fondi potrebbe lasciare a
secco le casse dell’Unione ancora prima di ottobre. Per questo, Dominik ha
chiesto di non modificare la proposta avanzata dalla Commissione. Ulteriori
ritocchi al budget andrebbero a gravare su una situazione di per sé già
critica, continua il commissario, che parla di pagamenti arretrati sul 2014,
dagli anni precedenti, pari a 26 miliardi e a cui Bruxelles ha dovuto far
fronte. Dominik prende ad esempio il programma Horizon 2020 per descrivere come
la carenza di denaro abbia ridimensionato i piani precedentemente stabiliti:
“La Commissione – spiega – ha dovuto ridurre il livello di prefinanziamento per
i nuovi impegni dal 60% al 35% ” e “attualmente oltre 70 progetti per un
importo di 36 milioni di euro sono bloccati e pagheranno interessi di mora”.
Non meno critica la situazione che riguarda i tagli al programma Erasmus. “Ci
aspettiamo un ritardo nel pagamento delle sovvenzioni ai beneficiari – dice il
commissario -, che sono soprattutto studenti”. (Fonte: FQ 24-09-2014)
FRANCIA. IN
CRISI FINANZIAMENTI ALLA RICERCA
Over the last decade, the global R&D effort of our
country (public + corporate) has remained desperately stagnant, slightly above
2%. Thus, the Lisbon treaty of 2000 (and its 3% objective) has by no means been
respected. There have even been clear
attempts to reduce our public effort, for instance by Jacques Chirac in 2003,
which has led to the movement “Sauvons La Recherche” in 2004, which has blocked
this first cutting attempt. Since then, the only major change has been the huge
increase of the “Crédit Impôt Recherche“, decided by Nicolas Sarkozy in
2007. This measure, which now costs 6000
million euros every year, is a tax reduction for private companies that have a
research activity (or pretend to do so, for some banks and insurance
companies). This is counted in the “public effort for research”, but is not at
all for public research or universities. This and other tricks have allowed N.
Sarkozy to claim that he has been doing major efforts in favour of research, in
an attempt to hide the real stagnation for global funding (with major changes
in the allocation system), and clear reductions in stable jobs in public
research. This reduction has become very clear after 2009, and François
Hollande now applies very conscientiously the policy of Sarkozy. The latter,
inspired by the “excellence initiative” initiated by Germany, has launched in
2010 a similar initiative called “Programme d’investissement d’avenir (PIA)”,
for which he has decided a 20 billion euros public loan. However, his
government has simultaneously operated a series of cuts, so that the global
balance is close to zero. (Fonte: A. Trautmann,
interview was made by C. di Foggia for the issue of ll Fatto Quotidiano
08-09-2014)
FRANCIA. PROBLEMI DELLA RICERCA E
GRANDES ECOLES
French politicians exhibit a high level of ignorance
concerning research. One of the reasons is French-specific, and is called the
“Grandes Ecoles” system. Parents who believe in excellence and competition
above all, and want the best for their children do not send them to
universities but to these “Grandes Ecoles” (Polytechnique, Ecole des Mines,
Ecole Nationale d’Administration). All the French elite (in economy, politics
and high administration) comes from these establishments. In most of them,
there is no research activity, thus they have had no research training, but
still, they are convinced (aren’t they the elite?) that they are able to decide
for everything and everybody, including for choosing which research questions
are important, and which should be abandoned. This system creates major
problems in our country, including a marked depreciation of the PhD.
(Fonte: A. Trautmann,
interview was made by C. di Foggia for the issue of ll Fatto Quotidiano
08-09-2014)
FRANCIA. ACCESSO AI CORSI UNIVERSITARI. I FRANCESI
NON VOGLIONO PIÙ IL “SISTEMA FRANCESE” PROPOSTO IN ITALIA DAL MINISTRO GIANNINI
A
proposito del «sistema francese» per l’acceso ai corsi di studio proposto dal
ministro Giannini, e in fase di elaborazione al MIUR, sarebbe il caso di
rimeditare la proposta in base a una notizia seria: in Francia proprio
Geneviève Fioraso (secrétaire d'Etat à l'Enseignement supérieur) e la CPU
(Conférence des présidents d'université) non ne vogliono più sapere, dopo anni
di applicazione, del loro sistema (sélection des étudiants entre la première et
la deuxième année de master, M1 et M2) ora elevato a modello per l’Italia (http://tinyurl.com/ml97anu). Il presidente della CPU Jean-Loup Salzmann ha
qualificato la situazione attuale «stupide», mentre il tribunale amministrativo
di Bordeaux ha stimato che la selezione degli studenti fra il primo e il
secondo anno di corso (entre M1 et M2) è illegale. Il segretario di Stato
all’istruzione superiore Fioraso ha messo sul tavolo la questione di anticipare
di nuovo la selezione all’ingresso nel primo anno, anche sulla base di
prerequisiti, e ha dichiarato a ‘Les Echos’ che, affrontando l’argomento degli
accessi, vuole “sicuramente non lasciare più la selezione tra il primo e il
secondo anno di corso”. Anche la Fage,
un’organizzazione studentesca francese, sostiene un sistema di accesso post-bac
da denominare Admission post-licence (dopo la secondaria superiore): tutti gli
studenti dovrebbero presentare cinque domande d’immatricolazione e ne sarebbe
accolta una in funzione del loro dossier. Il presidente della
Fage Julien Blanchet: «Avoir une sélection entre M1 et M2 est ridicule». Si può aggiungere che
la proposta di adottarla da noi lascia perplessi anche sulla correttezza della
selezione se fatta con esami individuali in ambienti accademici non
impermeabili a nepotismi e favoritismi. (Fonte: Les Echos 25-09-2014)
GERMANIA. ATTIVITÀ EXTRA DEI PROFESSORI
All'università,
la legge consente attività extra ma per non più di otto ore settimanali. Ogni
ateneo e ogni docente interpreta la norma alla sua maniera, commenta «Die
Zeit». Alla Hochschule di Norinberga, un professore ha dichiarato al fisco 900
mila euro guadagnati in tre anni. Una media di mille euro al giorno, senza
contare le domeniche. Difficile immaginare che se li sia meritati con otto ore
alla settimana. A Berlino, un docente ha svolto una ricerca sull'industria
atomica ma ha fatto versare l'onorario sul conto della moglie. A Regensburg, un
suo collega ha trovato il tempo per dirigere, contemporaneamente all'impegno
didattico, una grande impresa edilizia. Forse ha dedicato troppo impegno agli
studenti, perché l'impresa ha dichiarato fallimento. Sono casi eccezionali?
Piuttosto la norma. Gerhard Vogt, funzionario del ministero della pubblica
istruzione in Nord Renania Wetsfalia, ha condotto un'indagine tra i docenti, e ha
esaminato 1.100 dossier di professori universitari e altrettanti di insegnanti
nelle scuole tecniche. Il risultato: tutti avevano svolto attività extra, tutti
avevano ottenuto le necessarie autorizzazioni, ma in pochissimi casi dopo un
controllo sia pure formale. E molti avevano svolto altre attività, non solo
quella dichiarata. Le autorità tedesche sembrano rassegnate: un professore
universitario guadagna fino a 8 mila euro al mese, ma per questa cifra come si
può convincere un architetto di gran nome a rinunciare al suo studio privato
per dedicarsi solo agli studenti? Per una conferenza, un docente di chiara
fama, ottiene almeno 4 mila euro, per una lezione extra all'ateneo, non più di
39 euro. (Fonte: http://tinyurl.com/ls4nvlq
16-09-2014)
GERMANIA. PROBLEMI DI SOTTOFINANZIAMENTO DELLA
RICERCA E DI PRECARIETÀ DELLE CARRIERE
In Germany the two
main problems of the science system currently are underfunding of universities
and the overall lack of permanent positions in science, a development triggered
by the present employment laws. In Germany, there are two kinds of research
institutions: universities and non-universitarian research institutions (e.g.
Max-Planck institutes or Helmholtz institutes). Within the so-called „pact for
research and innovation“, the federal government has been increasing the
funding for the non-universitarian researchers institutions over the last
years. There has also been an initiative to temporarily allocate more federal
funding also to universities („initiative of excellence“). However, according
to the German constitution only the federal states are responsible for the
universities, also financially: The federal government is not allowed to
continuously fund universities. Due to e.g. budgetary constraints of the
federal states, universities tend to be „underfunded“ and rely strongly on
third party funding, with all its problems and the overhead they induce.
Furthermore, in some states s.a. Saxony the universities suffer from continuous
and ongoing cuts of their state funding, which have reached of even crossed a
critical level. Despite of the financial efforts, the law on fixed-term
contracts in science has led to a dramatic deterioration of the scientific job
market in Germany, including the non-universitarian institutions. The market is
now totally dominated by fixed-term contracts which spread a feeling of
personal insecurity. Sometimes the contracts run for a few months only, and to
many scientist a permanent position rather seems like an unreachable Fata
Morgana. (Fonte: http://tinyurl.com/pj6w233 28-09-2014)
GERMANIA. GLI STUDENTI PAGHERANNO SOLO 500 EURO L’ANNO
L’istruzione universitaria tedesca
era sempre stata gratuita, a parte una tassa di circa 250 € a semestre per
costi amministrativi che include però un abbonamento per i trasporti pubblici.
Nel 2006, la Corte Costituzionale permise agli atenei di imporre tasse sugli
studenti, e fu così che alcuni Länder autorizzarono gli atenei ad imporre una
tassa aggiuntiva che si aggirava sui mille euro l’anno: una cifra comunque
molto bassa in confronto a quella degli atenei italiani, che arrivano a
chiedere quasi 3000 € l’anno per gli studenti in ultima fascia ISEE. Ma, con il
tempo, un Länder dopo l’altro ha abolito la norma, e così, dalla settimana
prossima, rimarrà solo la tassa semestrale. La notizia dell’abolizione è stata
accolta molto male dai professori. Secondo Holger Fischer, vicepresidente
dell’università di Amburgo, “per l’università è una catastrofe”, lamentando che
i mancati proventi costringeranno gli atenei a tagliare i fondi destinati alla
ricerca. (Fonte: FQ 03-10-2014)
GRECIA.
STATO DELLA RICERCA E BRAIN DRAIN
Since 2009,
research centers and universities have seen their budgets cut by about 30% and
50% respectively. Salaries of scientists and faculty members have been cut by
about 30%, leaving a typical lecturer/researcher with only €1,000 to take home
each month. In 2003 the budget for research as a percentage of the GDP stood at
0.5% which in 2012 became 0.67% of a falling GDP (GDP has fallen by 25% in the
last 6 years). The 2014 education budget
will reduce funds by another billion, effectively condemning Greek science to a
state of dormancy. There are no signs that the Greek government understands
that long-term commitment to funding science and education must be part of the
strategy to boost economic growth. The unemployment rate among young people has
reached almost 60% and the best brains are flying away to join the 130,000
Greek graduates who, according to a 2011 estimate, are already living and
working outside the country. Greek brain
drain has reached alarming levels. There are no clear figures but according to
a recent poll, 53% of university-age Greeks are considering emigration, and 17%
have already made plans to emigrate. (Fonte:
http://tinyurl.com/p6dc4vv 20-09-2014)
SPAGNA. SPESA IN R&D
The latest data
available, corresponding to 2012, indicate that in Spain the total R&D
spending (public + private) is only 1.3% of the GDP, well below the 2.08%
average in the EU-27 and very far from the 3% goal set by the Lisbon Strategy.
The gap is increasing, not only in Spain but also in other Southern European
countries. It is no accident that the European countries that have been rescued
or intervened are those that invest in R&D below the EU-27 average. In
these countries, the austerity measures are undermining a sector that can
actually help them boost their economy. Under the current conditions, we are
facing a multi-speed Europe, not only in terms of scientific production and
knowledge generation but also in terms of future economic growth. “Give a man a
fish and you feed him for a day. Teach a man to fish and you feed him for a
lifetime.” This Chinese proverb calls for a common European science policy in
terms of R&D investment. (Fonte:
SVIZZERA. I POLITECNICI DI ZURIGO E LOSANNA TRA I
PRIMI 20 NELLA CLASSIFICA QS
I due
politecnici federali di Zurigo e Losanna figurano anche quest'anno entrambi fra
i "top 20" nella prestigiosa classifica mondiale delle università
stilata dalla società britannica Quacquarelli Symonds (QS) che ha per obiettivo
di censire gli 800 migliori atenei del mondo. L'ateneo zurighese si piazza al
12esimo posto (invariato rispetto alla precedente classifica), mentre l'EPFL di
Losanna al 17esimo (guadagna due posti). Nei "top 100" figurano anche
l'Università di Zurigo (passa da 78esima a 57esima) e quella di Ginevra (da
71esima a 85esima). Losanna è 105esima (avanza di sei posizioni), Basilea
116esima (meno sei) e Berna passa da 154esima a 145esima. Per la terza volta
guida la classifica l'americano Massachussetts Institute of Technology (MIT),
seguito a pari merito dall'università inglese di Cambridge e dall'Imperial
College di Londra. L'americana Harvard University passa invece dalla seconda
alla quinta posizione. (Fonte: http://tinyurl.com/n3pfb49 16-09-2014)
BRASILE. MENO DEL 25% DEGLI STUDENTI È ISCRITTO A UNIVERSITÀ STATALI
L’autorità antitrust brasiliana ha
approvato la fusione di due società di prima grandezza nel settore
dell’istruzione for-profit, Kroton Educational di Belo Horizonte, nel sud est
del Paese, e Anhanguera Educational Participações di Valinhos, una municipalità
nello stato di São Paulo. Il merger, poi finalizzato a inizio giugno, ha dato
vita a un vero e proprio colosso, con la nuova azienda che può ora vantarsi di
essere la più grande del genere al mondo, valutata in circa 8 miliardi di
dollari. La notizia è stata accolta con entusiasmo in alcuni ambiti. Il
settimanale The Economist, ad esempio, ne ha scritto come della dimostrazione
che le università private possono garantire “sia la quantità sia la qualità”
dell’insegnamento. Il Brasile rappresenta un’eccezione se paragonato al resto
del mondo. Oltre il 50% di laureandi frequenta qui istituti privati for-profit
(con un altro 20% circa iscritto ad atenei privati non-profit, come ad esempio
quelli a sfondo religioso, in particolare cattolici) mentre meno del 25% è
iscritto a università statali. Gli atenei pubblici intanto continuano a
dominare il mondo della ricerca e i corsi di studio post-laurea, come master e
dottorati. “Le istituzioni for-profit in Brasile controllano tre quarti del
mercato nazionale dell’istruzione superiore e hanno costi bassi e qualità in
rapido aumento – scrive l’Economist – E poiché una laurea fa aumentare il
salario di un individuo di più in Brasile che in qualsiasi altro paese di cui
l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) tiene le
statistiche, i laureati recuperano i soldi spesi per frequentare l’università
in appena qualche anno”.
Non c’è dubbio che, tra i tanti
fattori, la pressione demografica ed economica di un paese giovane e in
crescita come il Brasile abbia contribuito decisamente a questo fenomeno. In
particolare perché il sistema universitario pubblico non è fin qui stato capace
di tenere il passo con la rapida espansione della domanda, sopratutto da parte
dei giovani meno abbienti. Nonostante non impongano tasse di iscrizione,
infatti, gli atenei statali rimangono complessivamente piuttosto elitari. “Il
sistema brasiliano di università pubbliche è molto rigido – dice Pedrosa – Si
fonda solo sul modello tradizionale dell’università di ricerca, mentre nel
settore privato, specialmente quello for-profit, c’è più varietà”. (Fonte: V. Pasquali, IlBo
03-10-2014)
IRAN. COSTRETTO A DIMETTERESI IL MINISTRO DELL’UNIVERSITÀ RITENUTO TROPPO
LIBERALE
Il presidente Hassan Rouhani ha
fatto molte promesse, ma quando qualcuno ha cercato di attuarle ha trovato un
muro davanti come il ministro dell'Alta istruzione che si occupa
dell’università, che ha riammesso alcuni studenti espulsi durante il governo di
Ahimadinejad e ha ripreso i professori prepensionati per motivi politici, ma il
Parlamento gli ha votato la sfiducia e questo ministro si è dovuto dimettere.
È stata adottata una politica più
restrittiva per l'accesso delle donne all'università e sono state vietate alcune
facoltà alle donne, come per esempio l'ingegneria mineraria e civile. La
ragione sarebbe quella di non consentire alle ragazze di studiare quelle
materie che in seguito le porterebbero a lavorare in ambiti riservati agli
uomini. Nel campo educativo assistiamo anche alla riduzione o all'abolizione di
alcune materie ritenute troppo laiche e poco islamiche, come filosofia e
scienze politiche. Non a caso il ministro dell'Università del governo
Rouhani costretto alle dimissioni era
ritenuto troppo liberale dagli ambienti religiosi e conservatori che dominano
il Parlamento. (Fonte: A. Rafat, La Città del II rinascimento sett. 2014)
USA. EVOLUZIONE DELL’UNIVERSITÀ NELL’ERA DIGITALE
Intervista
a John Hennessy, da 14 anni presidente di Stanford, l’università dalla quale
sono passati quasi tutti i geni americani delle tecnologie digitali:
«L’università fisica continuerà a esistere. Il “campus” non diventerà virtuale.
Ma l’insegnamento fatto di lezioni nelle quali il professore parla come un
conferenziere è finito. Quelle cose gli studenti le assorbiranno, sempre più,
dalle “lecture” disponibili su Internet. Quel tempo va dedicato all’interazione
personale tra studenti e docenti: è questa la parte vitale del processo di
apprendimento. È quello che cerchiamo di fare a Stanford: siamo nel cuore della
rivoluzione tecnologica, moltiplichiamo i corsi orientati all’esperienza nei
quali gli studenti sono stimolati a trovare soluzioni e devono affrontare sfide
creative. Sparirà la lezione-conferenza ma non il “campus”, il rapporto
personale col docente resta essenziale. La vera rivoluzione, un grosso
“business”, la vedremo nel “professional higher education market”, la
formazione continua di professionisti e manager che devono continuare a seguire
corsi di aggiornamento mentre lavorano: loro lo faranno quasi solo online.
Troppo indaffarati per frequentare aule universitarie. Si ragiona anche da noi
sul punto di equilibrio tra innovazione ed etica. La realtà è che il mondo
digitale è diventato talmente centrale nelle nostre vite che cose che un tempo
non concepivamo nemmeno di poter rendere pubbliche, lo diventano all’improvviso
e in modi che non avevamo nemmeno preso in considerazione. Le università sono
il luogo ideale di discussione tra tutori della riservatezza - governo,
attivisti, associazioni di cittadini - e aziende che devono comunque creare un
rapporto di fiducia e di protezione con l’utente. A certi quesiti la risposta
la deve dare la società: cosa siamo disposti a sacrificare per difendere la
privacy? Io credo che l’automazione sia ineluttabile, le cose che le macchine
possono fare meglio dell’uomo crescono di continuo. Ma c’è uno spazio per
graduare questa evoluzione. Di quante volte il robot deve essere più efficace e
sicuro dell’uomo per sostituirlo in una funzione e poter essere accettato?
Cinque volte? Dieci volte? Stabilire il criterio spetta a noi». (Fonte: M.
Gaggi, Corsera 21-09-2014)
USA. CRITICATI I RANKING
“L’aspetto
più problematico di questi ranking è che si vantano di valutare i college
utilizzando una taglia unica – dice Christopher Nelson, presidente del St.
John’s College di Annapolis in Maryland – E questo porta le famiglie fuori
strada, convincendole che tutti gli atenei americani stiano facendo le stesse
cose, mentre in realtà sono molto diversi gli uni dagli altri, proprio come
sono diversi gli studenti delle superiori che devono scegliere tra loro.
L’istituto che funziona per un ragazzo non va necessariamente bene per un
altro”. A questo desiderio di misurare quantitativamente, aggregare e mettere a
confronto parametri qualitativi spesso molto diversi l’uno dall’altro si somma
un’enfasi eccessiva sui punteggi finali, che hanno la presunzione di esprimere
con un semplice numero o posizione in classifica la performance complessiva di
un’università. Nel migliore dei casi, questo approccio produce una fotografia
approssimativa, e poco scientifica, della situazione, giacché ne offre una
rappresentazione puramente astratta (la media delle pubblicazioni per docente,
la media dei salari guadagnati dai neo-laureati, la media dei fondi ottenuti
dai ricercatori). La realtà è spesso molto diversa, fatta di grandi variazioni
e relativamente poca uniformità anche all’interno dei singoli atenei. Leggi
tutto l’articolo http://tinyurl.com/m8rpjab (30-09-2014).
USA. 76% DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA AFFIDATA A PROFESSORI PRECARI
Il dorato mondo delle università
americane non è così dorato. The Atlantic dedica un articolo alle misere
condizioni economiche degli adjunct
professors, prendendo le mosse da un precedente articolo del New York Times
dedicato ad una homeless prof. Un rapporto della American Association of
University Professors e uno studio della U.S. House of Representatives indicano
che non si tratta di casi episodici, ma che il 76% della docenza universitaria
è affidato a professori precari, spesso al di sotto della soglia di povertà.
Eppure, negli ultimi anni la spesa per le università è cresciuta a ritmi sempre
più insostenibili per le tasche degli studenti che faticano a ripagare i
prestiti contratti per pagarsi gli studi. Paradossalmente, una quantità sempre
maggiore di risorse è stata assorbita da spese accessorie, mentre il management
universitario provvedeva a tagliare i costi della docenza ricorrendo in misura
crescente a personale docente precario e sottopagato. (Fonte:
Redazione ROARS 03-10-2014)
USA E CINA RICALCANO LO STILE GOTICO DEGLI ATENEI
INGLESI
Tanto più
gli atenei sono esclusivi, quanto più sembrano ricalcare lo stile gotico degli
omologhi inglesi. Questo è ancor più evidente negli atenei appartenenti alla
cosiddetta Ivy League, che altro non sono che le otto più elitarie università
statunitensi, tutte site nel Nord-Est del Paese (Brown
University, Columbia University, Cornell University, Dartmouth
College, Harvard University, Princeton University, University of
Pennsylvania, Yale University). L’effetto visivo è, infatti, lo stesso: i
campus si sviluppano attorno a due edifici principali edificati in stile
gotico: il rettorato e la biblioteca centrale. Tutt’intorno poi, sorgono
facoltà, aule, laboratori e dormitori contenuti in edifici i cui fregi,
sculture e perfino il grigio delle pietre intendono ricordare gli omologhi
britannici. E il calco va oltre lo stile e le strutture: anche uniformi, organizzazione
e perfino confraternite sono state fedelmente riprodotte.
Se fino a
metà del secolo scorso le grandi università americane prendevano a modello i
più importanti atenei britannici, è ora interessante osservare fenomeni
analoghi che stanno accadendo in Cina. A sud di Shanghai un’università pubblica
ha costruito un campus interamente costituito da manieri fortificati in stile
inglese alternati a case a graticcio adibite a dormitori. Nella provincia di
Hebei, il locale ateneo ha un corpo centrale che sembra una perfetta
riproduzione del castello di Hogwarts, la scuola di magia di Harry Potter.
Infine, il campus cinese della University of Nottingham, situato a Ningbo, è
anch’esso in pieno stile gotico e gli edifici principali sono circondati da un
giardino all’inglese. Ma se per quest’ultimo si tratta di un caso di ateneo
frutto di una joint-venture anglo-cinese, esiste un consorzio di università
cantonesi che ha affidato un importante progetto edilizio alla californiana
Dahlin Group, il cui tratto distintivo è proprio la realizzazione di
campus universitari fatti a immagine e somiglianza dei più noti atenei
statunitensi. (Fonte: http://tinyurl.com/qhzkwtc 24-09-2014)
SIRIA. LIBIA. EGITTO. GIORDANIA. ALCUNE NOTIZIE SULLE LORO UNIVERSITÀ
A descrivere la difficile situazione
in cui versano i giovani universitari siriani e libici è Sultan Abu-Orabi,
segretario generale dell'Associazione delle Università arabe (Aua). ''Molti
studenti siriani sono fuggiti, lasciando vuoti gli atenei, e oggi studiano in
Turchia, Giordania, Libano o in Europa'', spiega ad ANSAmed a margine delle due
giornate di incontri dedicate alla politica di Vicinato, mobilità e formazione
dei giovani del Mediterraneo, ospitate all'Università La Sapienza di Roma e
organizzate in collaborazione con Unimed (Unione delle Università del
Mediterraneo), Ambasciata di Francia in Italia e Istituto francese in Italia.
''Per aiutare i ragazzi siriani a trovare lavoro subito dopo la laurea, la
nostra Associazione - che conta 208 università in tutto il mondo arabo - ha
istituito un fondo''.
Anche in Libia la situazione è
drammatica. ''Attualmente l'unica università rimasta aperta è la Omar
al-Mukhtar di Beida (nel Nord del Paese, ndr)''. Prima del crollo del regime di
Gheddafi erano invece attivi 13 atenei.
La situazione va invece migliorando
in Egitto, che conta oltre una quarantina di istituti universitari, fulcro, dal
2011 a oggi, di numerose proteste spesso finite nel sangue. Le cose vanno
meglio anche nella non lontana Giordania, racconta Abu-Orabi. Il Regno
hashemita conta 32 università (di cui 22 private) e riesce ad attrarre anche
giovani studenti europei. (Fonte: ANSAmed 01-10-2014)
LIBRI. RAPPORTI
L' AMMISSIONE ALLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE A NUMERO PROGRAMMATO. ANNO
ACCADEMICO 2013-2014
Autore: Antonella Bonetto. Editore
De Agostini. Marzo 2013. Pagine 936.
Con questa diciottesima edizione il
volume rinnova e garantisce agli studenti un prezioso servizio d'informazione e
formazione, che sarà certamente utile a coloro che intendono accedere ai corsi
di laurea a numero chiuso in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi
Dentaria, ai corsi di laurea triennale dell'area sanitaria o al corso di laurea
in Biotecnologie. Il volume è, infatti, diventato nel tempo un essenziale punto
di riferimento per i candidati che si preparano ad affrontare i test di
selezione con domande a risposta multipla. Nel corso degli anni sono stati
aggiunti capitoli per spiegare la dinamica della soluzione di un test, altri
per informare gli studenti su ogni aspetto caratterizzante l'esame di
ammissione, altri ancora sui percorsi formativi offerti nell'ambito dell'area
sanitaria e una parte di quelli proposti nell'area scientifica. La
pubblicazione (nata nel 1993) ha avuto varie riedizioni, ciascuna ampliata
rispetto alla precedente. L'attuale edizione, che contiene circa 7500 test
ufficiali e aggiornati fino all'ultimo anno accademico, ospita dal 1998 anche i
test utilizzati negli anni precedenti per le prove di selezione nazionale.
Questa nuova edizione comprende, inoltre, un nuovo capitolo relativo alle prove
di ammissione per l'accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia in
inglese proposti in alcuni Atenei italiani. (Fonte:
libreriauniversitaria.it)
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