IN EVIDENZA
LE OTTIME PERFORMANCE PRO CAPITE
DEI RICERCATORI ITALIANI SI ACCOMPAGNANO ALL’IMPOSSIBILITÀ STRUTTURALE DI
RECUPERARE BUONA PARTE DEI FONDI STANZIATI DALLA UE PER LA RICERCA (PERDITA DI
OLTRE SETTE MLD)
L’Italia
ha attualmente un numero bassissimo di ricercatori (pubblici e privati), circa
150.000, a fronte dei 510.000 della Germania, 430.000 dell’Inghilterra, 340.000
della Francia e 220.000 della Spagna (dati Eurostat). Rispetto a questi Paesi i
ricercatori italiani hanno mostrato maggiore competitività, ricevendo il più
alto finanziamento pro-capite nei bandi europei dell’ultimo programma quadro.
I dati
mostrano chiaramente che la ricerca italiana soffre dell’assenza di politiche
strategiche. Formiamo un capitale umano di ricercatori di livello, che però il
sistema della ricerca sottodimensionato non può assorbire, dati i vincoli di
bilancio. L’evoluzione socio-economica è talmente rapida da far prevedere già
nei prossimi 15 anni un enorme cambiamento del mondo del lavoro, dominato da
figure professionali altamente qualificate che devono essere formate. È questa
esigenza che rende necessario arrestare immediatamente l’emorragia verso
l’estero sia dei giovani ricercatori, sia dei quarantenni di successo che in
Italia non hanno né prospettive di carriera né accesso ai fondi e ricevono
invece allettanti proposte altrove. Nell’ultimo ventennio è mancato un
interlocutore istituzionale efficace che tutelasse le ragioni della ricerca e
dell’innovazione, indebolendo, di fatto, un settore (in maggioranza pubblico)
cruciale per il futuro del Paese.
Il
contributo che l'Italia offre al fondo europeo per la ricerca è molto alto
(circa il 14%) perché è calcolato non sul PIL, ma sull'IVA. Negli ultimi 7 anni
l'UE ha distribuito ai ricercatori d'Europa attraverso il 7° programma quadro (2007-2013)
48 miliardi di euro. Di questi, quasi 6 miliardi arrivano dall’Italia.
L’analisi ex post sul 7° programma quadro dell’EU e la proiezione dei risultati
su Horizon2020 forniscono un quadro chiarissimo della situazione: le ottime performance
pro capite dei ricercatori italiani nel settennio passato s’accompagnano all’impossibilità
strutturale di recuperare buona parte dei fondi stanziati per il
sottodimensionamento del settore. Ovvero abbiamo troppo pochi ricercatori
attivi. A causa della mancanza di personale addetto alla ricerca abbiamo perso
2 miliardi nel precedente programma quadro (7° PQ), e perderemo oltre 5 dei 10 miliardi
che lo stato italiano si è impegnato a versare all’UE per Horizon2020. Ci sono
i margini per interventi di tipo perequativo, per esempio ottenendo di derogare
al patto di stabilità per un ammontare equivalente a fronte di un piano serio e
credibile di assunzioni e di investimenti in ricerca, volto a colmare il gap
strutturale in un tempo definito e concordato con Bruxelles; oppure
contrattando la possibilità di attingere ai fondi strutturali sempre con
intento perequativo. Questa è la posizione che l’Italia durante il semestre di
Presidenza ha inserito nel documento finale dei Ministri della Ricerca. (Fonte:
Sintesi della giornata di ascolto sull’università’
e la ricerca promosso dal PD – Roma 26 febbraio 2015)
ON LINE. FONTI DELL’INFORMAZIONE
SUI PROBLEMI DELL’UNIVERSITÀ
Una
rassegna non esaustiva delle fonti d’informazione sull’attualità e la politica
universitaria. ROARS (http://www.roars.it) a partire dal 2011 ha raggiunto
oggi 10.000.000 di visite. Il sito ha iniziato a funzionare a novembre del
2011, ma, in effetti, è entrato in pieno regime a gennaio 2012. Dunque ha
ricevuto più di 3 milioni di visite l’anno. Il giorno in cui ha ricevuto più
visite (il 4 dicembre 2013), ci sono stati 38.747 click. Ha pubblicato 1.966
articoli, cui hanno contribuito più di 240 autori, ha ricevuto 28.853 commenti,
ci sono 4.937 utenti iscritti alla newsletter e ha 1.325 blog follower. Quasi
8.000 utenti popolano il gruppo Facebook di Roars e più di 1.900 la seguono su
Twitter.
INFORMAZIONI
UNIVERSITARIE (http://www.universitastrends.info) a partire dal 2010 ha raggiunto oggi 2.546.000
visite. A differenza di Roars, IF pubblica pochissimi articoli e fa prevalere
recensioni e sintesi di articoli, documenti e saggi selezionati sulla stampa
(anche estera) e soprattutto sul web. Il sito ha abbinato Twitter con
aggiornamenti quotidiani (https://twitter.com/univtrends).
ILBO (http://www.unipd.it/ilbo/) pubblica periodicamente
articoli originali su questioni universitarie.
UNIVERSITAS
(http://www.rivistauniversitas.it/) è molto ricca di contenuti, sia come articoli
che come recensioni, ed è l’unica a vantare un indice storico che va dal 1980
al 2015.
UNIVERSITA.it
(http://www.universita.it/) e SKUOLA.NET (http://www.skuola.net) sono dedicate soprattutto agli
studenti ma pubblicano anche articoli di interesse generale sull’università.
SCIENZAINRETE
(http://www.scienzainrete.it/canale/osservatorio-universita) ha anche la rubrica
“Osservatorio sull’università”.
CORRIEREUNIV.it
(http://www.corriereuniv.it/) pubblica articoli e
informazione sia sulla scuola sia sull’università.
LA
TECNICA DELLA SCUOLA (http://www.tecnicadellascuola.it/) si interessa anche dell’università con articoli
pertinenti.
LAVOCE.INFO
(http://www.lavoce.info/archives/category/argomenti/scuola-e-universita/) alla
voce del menu Argomenti pubblica articoli su scuola e università.
MIUR e
CNR. Le rassegne stampa più complete sull’università (per non citare quelle che
compaiono nei portali degli atenei e quelle delle organizzazioni sindacali come
l’USPUR e FLCCGIL) sono pubblicate dal MIUR (http://rstampa.pubblica.istruzione.it/rassegna/rassegna.asp) e dal CNR (http://www.stampa.cnr.it/Rassegna.asp?Parametri=9). Il CNR pubblica la rassegna
anche nei fine settimana. (20-02-2015)
SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE
MEDICHE. PER IL TAR LAZIO IL TEST PER L'ACCESSO È VALIDO. RESPINTO IL RICORSO
Il TAR
del Lazio ha deciso che il test per l'accesso alle scuole di specializzazione
mediche, finito davanti ai giudici per un errore procedurale, è valido: a
stabilirlo una sentenza (03926/2015) che ha respinto il ricorso presentato dal
Codacons e da un gruppo di giovani medici per contestare le modalità di
svolgimento della prova e le successive modifiche che i tecnici del MIUR
avevano elaborato per sanare la vicenda. Il tutto prende il via lo scorso 31
ottobre, quando alla conclusione del primo concorso nazionale per l'accesso
alle scuole, il MIUR parlò di una «grave anomalia nella somministrazione delle
prove scritte», che aveva portato all'inversione dei quiz del 29 ottobre con
quelli del 31. Una situazione che aveva indotto, in una prima fase, il MIUR ad
annullare le prove indicendo nuovi test. In un secondo momento invece si optò
per cancellare le domande invertite, considerando comunque valide quelle
giuste. Ma questa soluzione non era andata giù a tutti, tanto che il Codacons
aveva deciso di presentare una maxi causa collettiva, respinta però, in prima
istanza, dai giudici del Tribunale capitolino. Il Tar ha ritenuto infondato il
ricorso, specificando che l'inversione delle domande era avvenuta sì ma che
«pur erroneamente effettuata» non può «essere ritenuta radicalmente inficiante
l'intera procedura». (Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 17-03-2015)
LA CORTE COSTITUZIONALE. DECIDE
SE LE PENSIONI SUPERIORI A 3 VOLTE IL TRATTAMENTO MINIMO INPS DOVRANNO ESSERE O
NO RIADEGUATE
Il 10
marzo la Corte Costituzionale, presieduta da Alessandro Criscuolo, dovrebbe
avere deciso se le pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo INPS
dovranno essere – o no – riadeguate all’effettivo costo della vita. Si tratta
di una questione di grande interesse per milioni di cittadini perché la mancata
perequazione porterebbe via via alla lenta ma graduale ed inesorabile erosione
dei vitalizi stessi, cioè più tempo passa e più la pensione perde valore. A
subire maggiormente il danno connesso al blocco della rivalutazione monetaria
in base agli indici Istat deciso dal governo Monti a partire dal 1° gennaio
2012, ma ottenendo soltanto un modesto “contentino” solo dal 1° gennaio 2014 in
poi, sono stati soprattutto i titolari di pensioni medio-alte (ex magistrati,
avvocati dello Stato, docenti
universitari, ammiragli, generali, ambasciatori, notai, manager pubblici e
privati, dirigenti bancari, piloti, giornalisti, ecc.).
Leggendo
a fondo le 4 ordinanze pervenute al palazzo della Consulta dal tribunale di
Palermo e dalla Corte dei Conti della Liguria e dell’Emilia Romagna, non
dovrebbe esservi alcun dubbio sull’incostituzionalità del blocco per contrasto
con gli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53 e 117 della Costituzione, nonché con gli
articoli 6, 21, 25, 33 e 34 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Anche perché viene
espressamente richiamato quanto scrissero – quasi profeticamente – proprio i
giudici dell’Alta Corte nella loro ultima sentenza, la n. 316 del 2010, che
ritenne legittimo il congelamento delle pensioni deciso nel 2008 dal Governo
Prodi (lo stesso Governo aveva deciso anche nel 1998 un analogo blocco).
Infatti, nonostante la dichiarata conformità alla Costituzione della legge del
2008, la Corte con la stessa decisione n. 316, inviò, però, un fermo monito al
legislatore ricordandogli che “la frequente
reiterazione di misure intese a penalizzare il meccanismo perequativo
esporrebbe il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di
ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore
consistenza potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai
mutamenti del potere di acquisto della moneta”.
La Corte
ha ora davanti 3 possibili soluzioni prima di emettere il suo verdetto finale,
che sarà redatto dalla professoressa Silvana Sciarra:
1)
respingere tutte le eccezioni, come chiedono il premier Matteo Renzi e il
presidente INPS Tito Boeri, e lasciare tutto invariato;
2)
accogliere in pieno le varie eccezioni, riadeguando le pensioni al costo della
vita dal 2012 in poi;
3)
accogliere le varie eccezioni, ma riadeguando le pensioni al costo della vita
solo da oggi in poi senza quindi alcun effetto retroattivo a partire dal 1°
gennaio 2012.
Da media
statistica, la decisione dovrebbe arrivare fra alcune settimane, da quattro a
otto. Pertanto, per il momento, abbiamo soltanto la possibilità di parlare
delle impressioni. Impressioni, a detta degli avvocati, di una causa difficile
da vincere, ancorché sostenuta dai dubbi della Corte dei conti ligure ed
emiliana, che hanno rimesso ai giudici costituzionali la medesima questione
trattata il 10 c.m. Difficile perché giunge in un momento economico
difficilissimo per il Paese, vessato da una crisi che dal 2008 non accenna a
risolversi. Difficile considerando l’arroccamento difensivo dell’Avvocatura
dello Stato, che ha posto sul piatto della bilancia, quale contropartita
all’eventuale accoglimento del ricorso, le pesanti ragioni della finanza
pubblica, che dovrebbe restituire ai pensionati circa 1,8 miliardi per il 2012
e 3 miliardi per il 2013. (Fonti: P.L. Franz, blitzquotidiano.it; pensioni.manageritalia.it 10-03-2015)
UNIVERSITÀ. RISORSE FINANZIARIE,
MERITO, RECLUTAMENTO
Nella sintesi
della “Giornata di ascolto sull’università e la ricerca” promossa dal PD (Roma
26-02-2015) si leggono le seguenti proposte di azioni, quasi tutte reputate a
costo zero:
1.
Restituire autonomia agli Atenei con l’uscita dell’università dal campo di
applicazione del diritto amministrativo (cioè dalla pubblica amministrazione).
Questo non vorrebbe dire deregolamentare il sistema, ma ottimizzare e
semplificare le regole.
2. Forte
collegamento tra le risorse assegnate tramite FFO e le politiche di
reclutamento;
3.
Superare la distribuzione ministeriale dei punti organico, consentendo libertà
di reclutamento nel rispetto dei vincoli di bilancio e nel rispetto della
normativa;
4.
Ammettere l’integrazione stipendiale di ricercatori e docenti con fondi fuori
FFO derivanti da progetti di ricerca o fund raising dedicato da parte degli
Atenei;
5.
Incrementare la mobilità di docenti e ricercatori, promuovendo periodi
all’estero del personale dipendente e le chiamate dirette (anche temporanee) di
docenti e ricercatori internazionali (anche joint chair)
6.
Obbligare tutti gli atenei ad avere (entro 3 anni) almeno il 30% dei corsi in
inglese e un minimo del 30% di corsi in italiano
7.
Accrescere le azioni Marie Curie a favore della mobilità europea dei
ricercatori e semplificare e consolidare il programma Montalcini per il rientro
di giovani ricercatori dall’estero.
(Fonte: Sintesi della “Giornata di ascolto
sull’università e la ricerca” promossa dal partito democratico – Roma 26
febbraio 2015)
RECLUTAMENTO. STORIA DEL “PUNTO
ORGANICO”
A
determinare la paralisi del reclutamento (dai 62.000 docenti di fine 2006 siamo
passati agli attuali 51.800) concorrono da un lato le normative, continuamente
cangianti e sempre più restrittive, e d’altro canto la disponibilità delle
risorse finanziarie, in gran parte largamente ridotta dai continui “tagli”, ma
fortemente limitata anche da un criterio di calcolo delle quote spendibili
consistente nella conversione del valore monetario in “Punti Organico”.
Comprendere la storia del “Punto Organico” è dunque interessante, non soltanto
per i pochi “addetti ai lavori”, che ne possono trarre spunti di meditazione
sulle difficoltà che possono nascere dall’uso e dall’abuso di una normativa
tanto rigida nelle intenzioni quanto interpretabile in modo arbitrario all’atto
della sua applicazione. Questa storia può essere anche un punto di partenza per
un serio ripensamento e un adeguamento della normativa stessa che tenga conto
di alcuni errori concettuali di base e soprattutto delle mutate condizioni di
contesto. L’autore dell’articolo: “Percorreremo quindi ogni singolo passaggio
di questa vicenda, chiedendo anticipatamente perdono per il lessico burocratico
che non mancherà di segnare i passaggi cruciali”.
Leggi il
testo integrale de “Il Punto Organico: una storia italiana” > http://tinyurl.com/mll7jbh . (Fonte: P. Rossi, RT. A Journal on Research Policy
& Evaluation 3/2015, 05-02-2015)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ABILITAZIONE SCIENTIFICA
NAZIONALE. UN DOCUMENTO DEL CUN SUGGERISCE SOLUZIONI MIGLIORATIVE
Il CUN è
intervenuto il 18 febbraio con un documento (“Analisi e Proposte per la
definizione di criteri e parametri per l’Abilitazione Scientifica Nazionale -
Dopo le «prime» applicazioni della l. 30 dicembre 2010, n. 240”) in cui
suggerisce alcune soluzioni per migliorare le procedure dell’ASN. Il CUN ritiene
che i “valori di soglia” in base ai quali giudicare la validità scientifica dei
candidati non possano in nessun caso escludere “interi sottosettori con
modalità di pubblicazione diverse dalla media del settore”. Di conseguenza non
sarebbe accettabile che i valori di riferimento siano identificati, come
avviene ora, come “medi o mediani”, perché dipendono spesso “dalla disomogenea
composizione del settore concorsuale”. Secondo il CUN è necessario che i
parametri di valutazione siano sia estensivi (“relativi alla produzione
globale”) sia intensivi (“riferiti alla produzione per unità di tempo, con
particolare riferimento ai periodi più recenti”). Per leggere tutto il
documento >
ABILITAZIONE SCIENTIFICA
NAZIONALE. IL TAR CHIARISCE LE MODALITÀ DI VALUTAZIONE PER L’ASN
Con la
sentenza n. 3288 del 25 febbraio 2015, il Tar del Lazio chiarisce le modalità
di valutazione per l’abilitazione scientifica da parte delle commissioni
esaminatrici. Il Tar fa notare che la valutazione complessiva del candidato
deve avere basi soprattutto sull’analisi del merito della produzione
scientifica dello stesso. Secondo l’articolo 16 comma 3 l’abilitazione deve
basarsi su “un motivato giudizio fondato sulla valutazione analitica dei titoli
e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del contributo
individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte, ed espresso sulla base
di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare,
definiti con decreto del ministro”. Quindi la stessa norma che ha introdotto
l’abilitazione scientifica ha stabilito espressamente che le commissioni
avrebbero dovuto esaminare non solo le pubblicazioni scientifiche, ma anche i
titoli e il contributo individuale alle attività di ricerca dei candidati. Nel
caso di specie (un ricorso di una candidata), dunque, la Commissione non poteva
limitarsi a valutare le pubblicazioni presentate in modi generici, ma avrebbe
dovuto esaminare anche gli altri titoli allegati dall’interessata. La
determinazione della Commissione ha così alterato la ratio e le finalità
sottese alla procedura in esame, perché non ha soltanto eluso un criterio o un
parametro di giudizio, ma ha alterato l’impianto stesso del sistema di
valutazione, che ha ad oggetto sia titoli che pubblicazioni. “Ne è conseguita
la pretermissione, nella valutazione, delle esperienze curriculari indicate
dalla candidata a cui la commissione non ha fatto alcun accenno”. (Fonte: P.
Del Pidio, Roars 02-03-2015)
SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
SULL’ASN DI DIRITTO PRIVATO (IUS/01).
La
seconda tornata è già stata annullata dal MIUR in autotutela. Ora il Consiglio
di Stato sembra mettere la pietra tombale anche sulla prima tornata. La
decisione del Consiglio di Stato mina alla base le fondamenta dell’ASN 2012, e
ciò a causa di un noto vizio di composizione del collegio giudicante, che ha
visto la presenza, come commissario straniero, di un docente spagnolo
ascrivibile però ad altro settore scientifico disciplinare. Proprio per questa
ragione il Consiglio invita l’Amministrazione ad astenersi da chiamare in
servizio abilitati di quella tornata. Non sono pochi i problemi che ora si
aprono. Fra questi – tacciamo per ora la questione di eventuali azioni per il
risarcimento del danno – uno dei più rilevanti è costituito dal destino
(incerto) degli abilitati 2012 già chiamati, e che si troveranno presto ad
essere privi del titolo. (Fonte:
Redazione Roars 04-03-2015)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
WORLD REPUTATION RANKINGS 2015 DEL TIMES HIGHER
EDUCATION. MIGLIORANO IN CLASSIFICA LE
UNIVERSITÀ EUROPEE
La buona
reputazione nel mondo accademico è un fattore importante per aumentare il
"prestigio" di un'università. La reputazione, secondo studi
specifici, è anche una delle caratteristiche maggiormente prese in
considerazione dagli studenti nella scelta dell'università e del Paese dove
frequentarla, nonché il primo fattore che spinge gli accademici a cercare
lavoro nelle istituzioni più prestigiose. La rivista "Times Higher
Education" ha pubblicato la nuova edizione della World Reputation Rankings 2015, la classifica delle università
ritenute più prestigiose da parte degli accademici di tutto il mondo. La
metodologia di lavoro ha previsto interviste a più di diecimila docenti
universitari di 142 paesi (9.794 sono state le risposte pervenute), incaricati
di elencare le dieci migliori istituzioni di istruzione superiore in base alla
propria esperienza e al maggiore prestigio delle stesse.
Ai primi
posti rimangono la Harvard University e le università di Cambridge e Oxford. Il
MIT di Boston perde due posizioni (dalla seconda alla quarta), ma si mantiene
sempre in alto per eccellenza e qualità. In totale, sui 21 Paesi presenti nelle
prime cento posizioni in classifica con almeno un’istituzione, in testa ci sono
gli USA (43 istituzioni), seguiti da Regno Unito (12) e, a sorpresa, la
Germania (6). Migliorano la loro presenza Francia e Olanda (5 istituzioni a
testa), e da quest'anno sono presenti in classifica anche Danimarca, Finlandia
e Svezia con una o due istituzioni. Oltre all'Italia, tra le prime cento della
classifica non sono rappresentati Israele e Turchia, mentre restano stabili,
seppure con poche istituzioni, Cina, Russia e Giappone.
Per
visualizzare la classifica 2015 completa: www.thewur.com . (Fonte: D. Gentilozzi,
rivistauniversitas 12-03-2015)
Di seguito
le prime dieci università classificate:
UNIMI E UNIBO TRA LE PRIME CENTO NEL TIMES HIGHER
EDUCATION TOP 100 UNIVERSITIES FOR CLINICAL, PRE-CLINICAL AND HEALTH 2014-2015
The 2014-2015 Times Higher Education World
University Rankings' Clinical, Pre-Clinical
and Health table judges world class universities across all of their core
missions - teaching, research, knowledge transfer and international outlook.
The ranking of the world's top 100
universities for clinical and health subjects employs 13 carefully
calibrated performance indicators to provide the most comprehensive and
balanced comparisons available, which are trusted by students, academics,
university leaders, industry and governments. UNIMI e
UNIBO si sono classificate tra le top 100. Per vedere l’intera classificazione
> http://tinyurl.com/os7nh7c.
UNIPI
TRA LE PRIME CENTO NEL TIMES HIGHER EDUCATION TOP 100
UNIVERSITIES FOR PHYSICAL SCIENCES 2014-2015
The 2014-2015 Times Higher Education World University
Rankings' Physical Sciences table
judges world class universities across all of their core missions - teaching,
research, knowledge transfer and international outlook. The ranking of the
world's top 100 universities for physical
sciences employs 13 carefully calibrated performance indicators to provide
the most comprehensive and balanced comparisons available, which are trusted by
students, academics, university leaders, industry and governments. UNIPI si è classificata tra le top 100.
LA “TOP TEN” DEGLI ATENEI
ITALIANI PER LO STUDIO DELLE SCIENZE MEDICHE SECONDO CENSIS. UPO AL PRIMO POSTO
I
migliori dieci atenei in cui studiare medicina secondo Censis, che basa la
propria classifica sulla media di due dati, “Progetti di ricerca” e
“Produttività scientifica”, sono i seguenti: Università di Bologna, Università
di Ferrara, Università di Firenze, Università di Torino, Università di Verona,
Università di Padova, Università di Milano-Bicocca, Università di Pisa,
Università di Perugia, Università del Piemonte Orientale. Con ben 100 punti su
100 la Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale (UPO) si
aggiudica il primo posto della classifica divenendo, così, il miglior ateneo in
cui studiare medicina. (Fonte: Skuola.net 27-02-2015)
LA “TOP 20” DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE
CALCOLATA DA ROARS SECONDO I CRITERI ANVUR
Per conoscere le 20 università che costituiscono
la serie A dell’università italiana ci riferiamo alla classifica ANVUR degli
“atenei al top”. La classifica è stata ottenuta con una semplice operazione di
riordinamento effettuata sul foglio Excel fornito dall’ANVUR che contiene tutti
i dati necessari per costruire le classifiche delle “università al top”. Gli
atenei sono stati ordinati in base ai criteri dichiarati dall’ANVUR: “La
graduatoria premia le strutture che hanno lo scarto maggiore tra il numero di
aree azzurre e verdi e il numero di aree rosse.
Nei casi di ex equo, è stata considerata come migliore la struttura che ha il
numero maggiore di aree verdi”. In
caso di ulteriore ex-aequo, sono state considerate migliori le strutture con
minor numero di aree rosse, facendo
infine ricorso all’ordine alfabetico nei casi non risolti. Seguendo il
suggerimento di Giavazzi, le università che non rientrano nelle top 20,
andrebbero declassate a “teaching universities”. (Fonte: G. De Nicolao, Roars
19-02-2015)
Tabella.
La “top 20″ delle università italiane secondo i criteri ANVUR.
MGU DI MOSCA SCALA LA CLASSIFICA
MONDIALE DELLE MIGLIORI UNIVERSITÀ
MGU
(Università statale di Mosca) è al 25°posto nel World Reputation Ranking, la
classifica mondiale delle università ritenute più prestigiose da parte degli
accademici di tutto il mondo. Si tratta della posizione più alta raggiunta da
un ateneo russo. La classifica, realizzata dal giornale britannico Times
insieme all’agenzia Thomson Reuter, ha preso in considerazione i cento migliori
atenei del mondo. Per la realizzazione dell’indagine sono state valutate oltre
10.000 università in 140 paesi. Nella classifica è stata inserita anche
l’Università statale di San Pietroburgo, che occupa il rank 71-80. (Fonte: http://it.rbth.com 12-03-2015)
DOCENTI
MEGADIPARTIMENTI E CROLLO DEGLI
ORGANICI
Ha
scritto sul Corriere G.A. Stella che all’università di Chieti, a causa prima
delle spaccature interne e poi della necessità di trovare una scappatoia alla
rigidità della legge voluta nel 2009/2010 da Mariastella Gelmini, decisa (con
buone ragioni, anche) ad arginare l’eccesso di dipartimenti spesso mignon con
la soppressione o l’accorpamento di quelli più piccoli, è nato il Disputer,
Dipartimento di Scienze Psicologiche Umanistiche e del Territorio. Che tiene
insieme gli psicologi che indagano nel sottosuolo delle menti umane e geologi
che studiano il suolo e il sottosuolo della terra. Un capolavoro. Come se, per
sopravvivere a una spending review, si fondessero insieme una
carpenteria navale e un quartetto di violini. Quello del Disputer non
è certo un caso isolato (e non c’è bisogno di andare fino a Chieti): anzi, è la
norma, visto che, oggi come oggi, sono poche le sedi capaci di squadernare i
grandi numeri richiesti dalla legge per la sostenibilità di un
“megadipartimento”, nell’accezione gelminiana. E sarà sempre peggio. Il blocco
del turnover, dei concorsi e l’abbassamento dell’età pensionabile hanno
provocato un crollo verticale esattamente del 30% dei professori ordinari e del
17% degli associati. Si fa notare che il crollo «supera ampiamente la
diminuzione del numero degli studenti.» Entro il 2018 le cose peggioreranno
ancora; i professori ordinari in Italia caleranno del 50%: nel 2018 infatti
saranno solo 9.443 a fronte dei 18.929 del 2008, anche a causa del
pensionamento di 4.400 docenti. I professori associati, invece, caleranno del
27%: nel 2018 13.278, a causa di 2.552 cessazioni, a fronte dei 18.225 del
2008.
Un commento di fliegendehollaender all’articolo
che sopra è sintetizzato: ‘Ma quella che Lei plasticamente descrive, ossia il calo
drastico del numero di docenti a turn over, o fermo, o ridotto al lumicino (a
seconda degli atenei), e contemporaneamente la richiesta di un numero
esorbitante di docenti sia per costituire un dipartimento sia per accreditare
un corso di studi, nonostante la lieve attenuazione dovuta alla Carrozza, è una
morsa letale che sta stritolando molti atenei e che a mio avviso rivela ancora
una volta quale è il problema di questo Paese: non saper decidere su che
direzione intraprendere. Volete chiudere un po’ di atenei? E allora chiudeteli:
cosa aspettate? (Fonte: ilsensodellamisura.com 01-03-2015)
DOCENTI. DIECIMILA POSTI PER
VENTINOVEMILA ABILITATI (CHE RADDOPPIERANNO CON LA NUOVA TORNATA DI
ABILITAZIONI)
I circa
29.000 idonei usciti dalle prime due tornate di abilitazione, il nuovo sistema
di selezione partito nel 2012 per superare i contestati concorsi locali e ora alle
fasi conclusive, possono contendersi non più di 10.000 posti. Tante sono le
assunzioni a disposizione negli atenei, se si sommano i punti organico degli
ultimi anni che stabiliscono gli “spazi assunzionali” con le risorse del piano
straordinario associati che si dovrebbe concludere quest'anno. Insomma per
almeno due aspiranti docenti su tre non c'è posto nonostante la forte domanda
di nuove leve accademiche: basti pensare che solo gli ordinari, l'ultima tappa
della docenza, sono crollati - tra pensionamenti e blocco del turn over - a
quota 12.531 dai 18.227 dell'inizio del 2009 (il 31% in meno). E il bacino di
chi sogna una cattedra potrebbe crescere ancora a dismisura quando partirà la
nuova tornata la prossima estate con le regole semplificate: a questo terzo
appuntamento per ottenere la “patente” di professore sono attesi 30-40 mila
candidati, molti dei quali bocciati nei primi due round dell'abilitazione. «Se
vogliamo evitare una deriva come quella dei precari della scuola bisogna
intervenire, cominciando con un piano per assumere giovani ricercatori stabili
che libererebbe le risorse anche per assumere docenti ordinari e associati»,
avverte Stefano Paleari presidente della Crui. Che al Governo chiede le risorse
per un piano triennale: «Servono almeno 100 milioni all'anno per far entrare 2.000
giovani ricercatori con un contratto di tipo b, quello che poi porta alla
docenza e dunque alla stabilizzazione». Il loro ingresso oltre a riempire nel
medio-lungo periodo i posti da associato, darebbe spazio anche per gli
ordinari: «Avremmo a disposizione fino a mille punti organico per promuovere 2.000
ordinari, in questo modo le università potrebbero finalmente assorbire energie
fresche». (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 11-03-2015)
TRATTENIMENTI IN SERVIZIO. PER
MAGISTRATI E PROFESSORI UNIVERSITARI NON POTRANNO AVER EFFICACIA OLTRE IL 31
DICEMBRE PROSSIMO
Tutte le
amministrazioni nonché le Authority potranno procedere alla risoluzione
unilaterale del rapporto di lavoro dei propri dipendenti quando maturano i
requisiti per l’anzianità contributiva (42 anni e sei mesi se uomini, 41 e sei
mesi se donne) e hanno compiuto 62 anni di età. Lo prevede la circolare firmata
dal ministro per la Semplificazione e la Pa, Marianna Madia, in applicazione
del dl 90 del giugno scorso. Per magistrati e professori universitari i
trattenimenti in servizio non potranno aver efficacia oltre il 31 dicembre
prossimo. Le nuove regole che dovrebbero far scattare il ricambio generazionale
nella Pa (sui numeri effettivi del personale interessato non è ancora stata
data un’indicazione ufficiale) rispetteranno i regimi speciali dei dirigenti
medici. Il limite massimo per il pensionamento è per questi professionisti a 65
anni o, su richiesta dell’interessato, a 40 anni di contributi purché non si
superino i 70 anni di età. L’amministrazione, in questi casi, potrà concedere
l’allungamento del rapporto di lavoro se non si determina un «aumento del
numero dei dirigenti». I regimi speciali per i quali non si applica il
pensionamento unilaterale, oltre ai dirigenti medici responsabili di «strutture
complesse» sono i magistrati, appunto, e i professori universitari. (Fonte: Scuola24 - Il Sole 24 Ore
19-02-2015)
DOTTORATO
PROROGA PER I CONTRIBUTI
ECONOMICI SULLE ASSUNZIONI DI DOTTORI DI RICERCA
Slittano
al 31 dicembre 2015 i termini (scaduti il 28 febbraio) per presentare le
richieste dei benefici sulle assunzioni di dottori di ricerca e su quelle di
giovani con contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca. A
disposizione circa 5 milioni di euro (1 milione per i dottori di ricerca e 3
milioni 216 mila euro per l'apprendistato). A stabilirlo due avvisi di
ItaliaLavoro. Possono presentare domanda di contributo le imprese che assumano
a tempo pieno dottori di ricerca di età compresa tra i 30 e i 35 anni non
compiuti. Le imprese potranno ricevere un contributo fino a 8 mila euro per
ogni soggetto assunto con contratto di lavoro subordinato full time (a tempo
indeterminato oppure determinato, ma almeno di 12 mesi di durata), più un
eventuale contributo fino a 2 mila euro per le attività di assistenza didattica
individuale. (Fonte: C. De Stefani, ItaliaOggi 04-03-2015)
SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
SU TESI DOTTORATO
La
valutazione della tesi finale di dottorato non è una fase a sé stante rimessa
alla Commissione esaminatrice, ma rientra nel giudizio sulle attività svolte
nell’ultimo anno di corso. Di conseguenza, se il Collegio dei docenti ritiene
che la tesi sia copiata, è legittima l'esclusione dall'esame finale del
dottorando, con conseguente mancata acquisizione del titolo. Lo ha affermato il
Consiglio di Stato con la sentenza 412/2015 (Fonte: Sole Scuola24 24-02-2015)
FINANZIAMENTI
FINANZIAMENTI. LA QUOTA PREMIALE
E ALCUNE ANOMALIE
Quest'anno
la premialità vale un miliardo e 200 milioni, ripartiti tra le 56 università
statali italiane. Una somma che a fine 2014 è stata suddivisa in base a sei
parametri, per tener conto della qualità della ricerca, delle politiche di
reclutamento, del numero di studenti Erasmus in ingresso e in uscita, del tasso
di internazionalizzazione misurato dai crediti formativi conseguiti all'estero
degli studenti e dai laureati. Tuttavia ci sono alcune anomalie evidenti. Per
esempio, la «più premiata» università italiana, Siena, non è nella top-20 delle
classifiche di qualità dell'Anvur e anzi è appena trentottesima. Anche Udine,
Bergamo, Foggia, Molise, Insubria sono nella parte alta per quota di
finanziamenti premiali, però non rientrano nella top-20 dell'Anvur. Trieste è a
metà classifica come premialità eppure è negli ultimi dieci posti nella
valutazione Anvur. E nelle valutazioni Anvur, che comprendono anche gli atenei
privati, la Bocconi varrebbe meno della Piemonte Orientale. Come a dire che
ogni classifica segue criteri diversi e può smentire la precedente, ma mentre
molte graduatorie portano solo prestigio quella effettuata dal Miur sposta denari
freschi. Anche il fatto che in coda si trovino simultaneamente tutti i grandi
atenei delle città del Sud (Napoli, Bari, Catania, Messina e Palermo) consente
di ipotizzare una forma di disagio territoriale piuttosto che una sincronica
prova di inefficienza. E anche qui con delle anomalie, la più sorprendente
delle quali riguarda la SUN (unina2). Per la premialità ufficiale è la peggiore
università della Campania nonché terzultima in Italia, mentre nelle graduatorie
dell'Anvur si piazza alla pari della Cattolica di Milano. (Fonte: M. Esposito,
Il Mattino 20-03-2015)
FINANZIAMENTO DEGLI ATENEI E
COSTO STANDARD UNITARIO PER STUDENTE IN CORSO
Il Costo
standard unitario per studente in corso, introdotto nell’FFO dal 2014,
costituisce una rivoluzione del sistema di finanziamento delle università
pubbliche; tale costo, infatti, pesa per ora il 20% dell’FFO ma nel 2018
arriverà a pesare il 100% della quota base. Tale scelta, dopo anni di richiami
alla valutazione e al merito nella didattica, nella ricerca e nei servizi, è
del tutto in contrasto con una reale selezione della qualità, della trasparenza
e della responsabilità gestionale dei singoli atenei.
Tra
l’altro essa si somma alla volontà - sancita dal recente decreto sui punti
organico - di vincolare, di fatto, il turn-over alle entrate nette degli atenei
e in particolare alle tasse studentesche, con esiti poco logici - per non dire
assurdi - sul piano della distribuzione dei punti organico (ci sono atenei che
arrivano a perdere quasi la metà dei punti organico liberati dal turn-over, con
esiti disastrosi sul piano della garanzia del pubblico servizio; altri invece
guadagnano oltre il 300% pur non essendo particolarmente virtuosi sul piano
finanziario...).
Il costo
standard è calcolato solo sugli studenti in corso (a tempo pieno e part time).
Attribuire valore zero agli studenti fuori corso non fa altro che scaricare su
di essi il costo (con la discutibile decisione degli atenei di aumentare le
loro tasse che contribuiranno alla virtuosità degli atenei stessi). Si potrebbe
tenere conto degli studenti fuori corso assegnando loro un peso come gli
studenti part time. Inoltre, un pericolo, come anche affermato dal CUN, potrebbe essere quello di scelte poco
virtuose adottate dagli Atenei al fine di ridurre il numero dei fuori corso.
E’ da
apprezzare la perequazione del costo standard che tiene conto dei differenti
contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui ogni Università si
trova ad operare; qui si può migliorare ancora.
Richiamiamo
dunque, come sindacato dei docenti, l’attenzione del Ministro e della politica
dinanzi a scelte che produrranno, senza robusti correttivi, un solo e unico
risultato: quello di spingere verso la marginalizzazione buona parte degli
atenei del Sud del paese o periferici, benché eccellenti per molte altre
caratteristiche, sul piano della didattica e della ricerca, senza per questo
migliorare nel complesso il sistema dell’alta formazione.
Questo
ci pare ad oggi l’esito, non oppugnabile, dei tre decreti licenziati alla fine
del 2014, ovvero il Decreto FFO 2014, quello sul Costo standard unitario di
formazione per studente in corso e il decreto che disciplina la possibilità di
reclutamento (Decreto Punti Organico 2014).
Se il
risultato della distribuzione delle risorse avrà come conseguenza quella di
spingere molti studenti del Sud a iscriversi nelle università del Centro-Nord
dove, a parità di iscritti, si avranno più docenti che seguiranno meglio gli
studenti, ciò avrà come conseguenza quella di allargare ancor di più il divario
economico e culturale fra le diverse aree geografiche dell’Italia. (Fonte: G. Mulone, UNICT, documento per la
Giunta dell’Uspur 23-02-2015)
FONDO PER IL SOSTEGNO DEI
GIOVANI. DECRETO MINISTERIALE 976/2014 SUI CRITERI DI RIPARTIZIONE DEL FONDO
PER LA MOBILITÀ INTERNAZIONALE E IL PIANO LAUREE SCIENTIFICHE NEL TRIENNIO
2014-2016
Il
decreto assegna il 75% delle risorse del Fondo annualmente attribuibili alle
Università statali e il 100% delle risorse erogabili alle Università non
statali per iniziative di mobilità degli studenti universitari. Tassativi i
parametri indicati per la ripartizione delle risorse: numero degli studenti
regolari; crediti formativi conseguiti all'estero nell'anno accademico
precedente; laureati che abbiano acquisito almeno 9 CFU all'estero nell'anno
precedente; dottori di ricerca dell'ultimo ciclo, concluso con almeno 3 mesi
trascorsi all'estero. Per le attività formative integrative e per la mobilità
dei dottori di ricerca è previsto l'incremento dell'importo mensile delle borse
stabilito dal programma Erasmus+ o l'attivazione di ulteriori borse di mobilità
internazionale. Il rimanente 15% delle risorse del Fondo è destinato alle
azioni di tutorato e alle attività didattiche propedeutiche (e di recupero).
Ogni università potrà erogare agli studenti capaci e meritevoli assegni per
l'incentivazione delle attività di tutorato e didattico-integrative. Per gli
studenti iscritti ai corsi di laurea magistrale l'importo dell'assegno mensile
non potrà comunque superare il limite annuale di 4 mila euro.
Novità
anche per il Piano "Lauree Scientifiche", cui è destinato il 10%
delle risorse a disposizione del Fondo giovani. Per incoraggiare le iscrizioni
in classi di interesse nazionale o europeo, il decreto attribuisce un 20% di
risorse in proporzione alla media tra il numero degli studenti iscritti al
secondo anno che abbiano acquisito almeno 30 CFU e il numero di laureati entro
il primo anno oltre la durata regolare. Il Ministero consente l'esonero totale
o il rimborso parziale delle tasse e dei contributi dovuti dagli studenti
iscritti ai corsi di laurea delle classi di riferimento, in rapporto alla
regolarità degli studi, al reddito e al merito. (Fonte: A. Lombardinilo,
rivistauniversitas 18-02-2015)
SU UNIVERSITÀ E RICERCA AMBIZIOSO
ATTO D’INDIRIZZO DEL MINISTRO GIANNINI
Nell’atto
di indirizzo con cui il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha riassunto
le sue priorità politiche per il 2015 svettano ambiziosi i capitoli su
università e ricerca: ambiti vastissimi, per i quali l’atto di indirizzo
propone obiettivi tanto ambiziosi quanto complessi. Sul finanziamento degli
atenei il documento Giannini contiene un avverbio che, se preso alla lettera,
costituisce il passaggio più importante dell’intero testo: vi si legge che “il
livello di finanziamento e la libertà di spesa di un ateneo” devono dipendere “soltanto dalle sue performance”, e non
“dalla sua dimensione, dalla sua storia o dalla sua fortuna”. Un’affermazione
che sembrerebbe prefigurare un’accelerazione della componente premiale nell’attribuzione
delle risorse statali agli atenei, tale da arrivare al 100% dell’erogazione in
base a criteri di merito. Come prendere una dichiarazione così impegnativa? Se
un’interpretazione letterale mal si concilia con i compromessi della politica,
è lecito attendersi la fine di quel groviglio di vincoli, formule, clausole di
salvaguardia, che ogni anno rendono lenta e incerta la procedura di
finanziamento delle università e attenuano gli effetti del “premio ai
risultati”.
Affermazioni
di principio rimarcate più volte dal ministro sono quelle che animano i punti
programmatici sul reclutamento (più spazio ai giovani ricercatori), il diritto
allo studio (eliminazione del fenomeno degli idonei senza borsa di studio), la
semplificazione nell’accreditamento dei corsi di laurea,
l’internazionalizzazione degli atenei con maggiore mobilità per studenti e
docenti. Più articolati i passaggi sui finanziamenti alla ricerca: l’atto di
indirizzo delinea una programmazione pluriennale che permetta ad atenei ed enti
di ricerca di conoscere in anticipo, con un orizzonte di medio-lungo termine,
le risorse disponibili (anche “mediante competizione”); uno degli strumenti
individuati è l’adozione di un piano finanziario unico della ricerca, che
accorpi i tanti capitoli di spesa tra i quali i fondi sono disseminati, per
snellire le procedure amministrative e soprattutto evitare l’utilizzo
inefficiente o parziale, quando non il totale spreco dei denari a disposizone.
L’apertura internazionale è prospettiva chiave anche per la ricerca: il
documento Giannini lo definisce criterio di valutazione valido e da utilizzare
per tutti gli enti di ricerca. Incentivi in vista, almeno a parole, sono infine
previsti per la mobilità dei ricercatori tra enti e università: tra gli
strumenti da potenziare, l’atto di indirizzo cita in particolare la chiamata
diretta, “istituto importante per promuovere la qualità” del sistema della
ricerca. (Fonte: M. Periti, IlBo 20-02-2015)
IL RITORNO PER L’ECONOMIA DEI
FINANZIAMENTI ALLA RICERCA
C'è un
solo modo per uscire dalla crisi, più soldi pubblici per la ricerca e saper
«corteggiare» i filantropi come negli Stati Uniti. Nel 2010 Obama aveva
lanciato Star Metrics per chiedere agli scienziati di aiutarlo a capire che
cosa abbia fruttato all'economia americana tutto quello che era stato investito
in ricerca negli ultimi anni. Ne è uscito un rapporto di 600 pagine. Sembra
fuori discussione che gran parte della crescita del Paese dipenda dall'aver
investito in ricerca e l'esempio più convincente è quello del genoma. Per
decodificare quello dell'uomo, negli Stati Uniti si sono investiti 3,8 miliardi
di dollari, ma il ritorno per l'economia è stato di 800 miliardi in 13 anni:
vuol dire che un dollaro speso ne rende 140. Solo nel 2010 quel progetto ha
consentito di creare 310 mila posti di lavoro (e dal 1998 al 2010 i posti in
più sono stati 3 milioni e 800 mila). Ci sono costi associati all'investire in
ricerca: per esempio, le cure di oggi mantengono in vita grandi anziani che
qualche anno fa sarebbero morti; è certamente un successo della ricerca medica,
ma il mantenere in vita queste persone costa. Se parli coi nostri politici ti
dicono che non è tempo di pensare alla ricerca, è un momento difficile. Ma
quando Abraham Lincoln lanciò il Morrill Act — il decreto che metteva le basi
perché i giovani di talento potessero accedere all'educazione avanzata — si era
in piena guerra civile. A chi gli chiese perché, Lincoln rispose: «Per dare un
futuro alla nazione». Si chiama lungimiranza. Certo, lui era Lincoln, ma la
cosa che a me fa più impressione è che questo succedeva il 22 aprile 1863. Sono
passati più di 150 anni. Da noi si fanno previsioni, proclami e promesse. Ma
tutto lascia il tempo che trova. (Fonte: G. Remuzzi, Corriere La Lettura
22-02-2015)
LAUREE. DIPLOMI. FORMAZIONE POST LAUREA. OCCUPAZIONE
LAUREATI. CRESCIUTA LA DIFFERENZA
FRA IL NUMERO DI LAUREATI DELLE CLASSI PIÙ RICCHE E DI QUELLI DELLE FAMIGLIE
MENO ABBIENTI
Negli
ultimi quarantacinque anni, la differenza fra il numero di laureati delle
classi più ricche e di quelli delle famiglie meno abbienti è cresciuta
esponenzialmente. Lo rivela un
recente studio ripreso da The Atlantic e condotto da Pell Institute for the
study of opportunity in higher education e dall’University of Pennsylvania -
Alliance for higher education and democracy. In base ai dati, nel 2013, i figli del 25% della
popolazione più ricca – famiglie il cui reddito supera i 108mila dollari l’anno
– hanno avuto otto volte più possibilità di laurearsi rispetto a quelli del 25%
della popolazione più povera, ovvero nuclei familiari con un reddito inferiore
a 34mila dollari.
Un salto
rispetto al 1970, quando il gruppo più ricco aveva cinque volte più possibilità
di laurearsi. In pratica, la percentuale di figli di famiglie ricche che
raggiunge la laurea è passata dal 40% del 1970 al 77% del 2013, una crescita di
37 punti percentuali. Per contro, la percentuale di figli delle famiglie più povere
in grado di raggiungere la laurea è passata dal 6% del 1970 al 9% del 2013.
Paradossalmente,
nella stessa finestra cronologica, il numero di studenti meno abbienti che si
sono iscritti all’università è cresciuto molto di più, rispetto a quanto
avvenuto nel quartile di redditi alti. Infatti, nel 1970, il 76% dei figli
delle famiglie più ricche era iscritto all’università, contro il 28% di quelli
delle famiglie più povere. Nel 2013, il 45% dei figli di famiglie meno abbienti
è entrato all’università. Quindi, mentre la differenza nella partecipazione
all’università si è ridotta, è cresciuta la distanza fra chi ce la fa a
conseguire una laurea e chi no. Nel 2013, il 99% degli studenti benestanti
iscritto all’università si è laureato (mentre era il 55% nel 1970), solo poco
più del 20% dei meno abbienti, invece, ha completato gli studi, un dato in
linea con le percentuali del 1970. Dai dati emerge che, in media, gli studenti
meno abbienti sono più vecchi, vivono fuori dal college e in molti casi, non
potendo contare sul supporto finanziario da parte dei propri genitori, devono
lavorare per mantenersi. Nell’equazione bisogna considerare anche il fatto che
le borse di studio non sono cresciute proporzionalmente al raddoppio dei costi
di accesso all’università, con il risultato che gli studenti meno abbienti nel
2013 sono percentualmente più esposti finanziariamente rispetto a quelli del
1970. (Fonte: S. Medetti, panorama.it/economia 02-03-2015)
CONFERMARE E RAFFORZARE IL VALORE
LEGALE DELLA LAUREA TRIENNALE
Le
chiacchiere su università di serie A e di serie B, come tutte le posizioni
massimaliste, contribuiscono a nascondere i veri problemi. Io credo che sia
necessario incrementare il numero dei laureati e che per questo sia opportuna
una maggiore concentrazione degli sforzi e delle risorse di docenza sul primo
livello di laurea. Se la distribuzione delle risorse seguisse le necessità
didattiche, questa maggiore concentrazione dovrebbe prodursi automaticamente se
solo una minoranza dei laureati proseguisse con la laurea magistrale. Questo
effetto avrebbe luogo se venisse confermato e rafforzato il valore legale della
laurea triennale. Ad esempio bisognerebbe esigere che le amministrazioni
pubbliche, in ottemperanza a disposizioni già in vigore, evitassero di
richiedere la laurea magistrale nei concorsi per posizioni non dirigenziali e
consentissero comunque ai laureati triennali che hanno all’attivo cinque anni
di impiego nelle pubbliche amministrazioni la partecipazione ai concorsi per
posizioni dirigenziali. Un intervento analogo di valorizzazione delle lauree
triennali potrebbe essere disegnato per l’accesso agli ordini professionali per
le professioni non regolate in sede europea. Infine si potrebbe consentire ai
laureati triennali di concorrere per l’ammissione ai TFA, cioè al tirocinio per
l’insegnamento. Bisognerebbe anche resistere alla tentazione di conferire
valore legale al dottorato di ricerca. (Fonte: A. Figà Talamanca, commento a un
articolo di De Nicolao su Roars 19-02-2015)
GEOLOGIA AI MARGINI
DELL’UNIVERSITÀ
Mentre
si registrano sempre più danni, diluvio dopo diluvio, la geologia è sempre più
ai margini dell'università italiana. Una tabella del CUN (Consiglio
universitario nazionale) dice tutto: dal 2000 al 2014 i professori ordinari di
Scienze della Terra hanno avuto un crollo del 44,4%. E dipartimenti «puri» di
geologia, senza gli accorpamenti con altre materie magari a capriccio, sono
scesi da 27 (in origine erano 38) a 8. Con la prospettiva di ridursi fra tre
anni, visti i numeri, a cinque: Milano, Padova, Firenze, Roma, Bari. (Fonte:
CorSera 22-02-2015)
LAUREATI NELLE DISCIPLINE
TECNICO-SCIENTIFICHE. DIVARI NEI PAESI UE
In
Italia nel 2012 i laureati nelle discipline tecnico-scientifiche erano 13,2
ogni mille abitanti tra i 20 e i 29 anni. Questa quota risulta in costante
aumento dal 2000, infatti, e questo ha permesso al nostro Paese di raggiungere
l’obiettivo fissato dalla Strategia di Lisbona (aumento del 10% in dieci anni).
La media dei paesi Ue è pari a 17,1 laureati ogni mille 20-29enni. I divari
all'interno dell’Unione sono rilevanti: le quote dei laureati in S&T
superano il 20 per mille in Lituania, Irlanda, Francia e Finlandia; anche Regno
Unito, Portogallo, Danimarca e Romania registrano incidenze elevate, ben al di
sopra della media europea. L’Italia, con i suoi 13,2 per mille, si colloca al
ventunesimo posto nella graduatoria dei Paesi europei, al pari dell’Estonia,
con uno scarto in negativo di quasi 4 punti percentuali dalla media
comunitaria. (Fonte: A. D. Ficara,
tecnicadellascuola.it 20-02-2015)
ISCRIZIONI ALL’UNIVERSITÀ E
PROSPETTIVE LAVORATIVE DEI TIROCINI DURANTE O DOPO GLI STUDI
Sono
pochi gli studenti che finite le superiori si iscrivono all'università.
Dall'indagine AlmaLaurea – AlmaDiploma che ha riguardato circa 90 mila ragazzi,
emerge come, a un anno dal diploma, solo il 65% prosegue la propria formazione
(a tre anni dal diploma saranno il 63%, a cinque il 49%), mentre il 28%
preferisce inserirsi direttamente nel mercato del lavoro, con i restanti 20
divisi tra chi è alla ricerca di un impiego (16%) e chi invece, per motivi
vari, non lo cerca nemmeno (4%). Dati, questi che - si legge nel rapporto -
confermano "il ridotto interesse, le difficoltà economiche delle famiglie
e la mancanza di politiche per il diritto allo studio, rispetto all'accesso
agli studi universitari di questa fascia di popolazione giovanile".
Dall'indagine è emerso anche che le esperienze lavorative, cosi come tirocini o
stage, compiuti durante o dopo gli studi, esercitano un effetto positivo in
termini occupazionali. Chi ha svolto le attività di tirocinio durante gli studi
ha il 42% in più di probabilità di lavorare rispetto a chi non l'ha fatto;
percentuale che sale al 69% se si considerano le esperienze di stage svolte in
azienda dopo il diploma. E sono positivi anche i risultati dell'alternanza
scuola-lavoro, che è uno dei punti su cui insisterà la riforma del Governo: a
un anno dal titolo, infatti, fra gli occupati che hanno svolto l'alternanza,
ben il 34% lavora nella stessa azienda in cui ha svolto il progetto; quota che
raggiunge il 38% tra i diplomati tecnici. (Fonte: Corriere Adriatico
26-02-2015)
CERVELLI IN FUGA. AIUTANO LA
CRESCITA DELLA STIMA INTERNAZIONALE DELL’ITALIA
Come
molti dicono, è una perdita secca per il Paese che ha investito negli studi di
questi suoi figli e poi li vede andare via. Ma dall'altra, succede che una
bella Italia, un'Italia della sapienza e dello studio, si diffonda per il mondo
e sia riconosciuta e apprezzata: questi ragazzi preparati, seri e fattivi,
aiutano la crescita della stima internazionale. È come se il nostro Paese,
nelle sue giovinezze piene di speranza, si diffondesse per il mondo evoluto,
portando non solo cervelli disponibili, ma anche idee, tradizioni e l'amore per
una lingua di origine che sempre più si diffonde come lingua della cultura. Ci
stiamo trasformando in un popolo nomade senza accorgercene? Stiamo diventando un
Paese che manda avanti le sue avanguardie colte che si insediano nei luoghi
dove si studia, si scopre, si costruisce? Sembra proprio così. Questi giovani
laureati fanno tesoro di una disgrazia: quella di dovere emigrare per trovare
lavoro. Eppure manca qualcosa, ed è la voglia di investire su queste giovani
forze perché sia loro consentito di mantenere, attraverso una rete di sostegno
istituzionale, l'attaccamento che dimostrano verso la lingua e la cultura di
origine. Qui in California c'è una forte emigrazione di italiani. Hanno
facilità nell'integrarsi e un'incredibile capacità di lavoro, che a casa
nessuno sospettava, ma qui dove la meritocrazia funziona, fa presto a fiorire.
E ormai gli americani si rendono conto che la comunità italiana legata alle superstizioni
più arcaiche, incapace di sottrarsi alla malavita, è morta per sempre,
sostituita da una popolazione moderna, pronta a rispettare le regole del Paese
ospitante. E un bene prezioso che non apprezziamo abbastanza. Presi dal
quotidiano bisticcio politico e dalle risse in televisione, non ci rendiamo
conto che il mondo sta cambiando, e chi ne sta cogliendo gli aspetti migliori
sono proprio i nostri giovani cervelli in fuga. Vogliamo dare loro il giusto
riconoscimento? (Fonte: D. Maraini, CorSera 24-02-2015)
LE 15 LAUREE PIÙ STRANE DEL MONDO
Le 15
lauree più strane del mondo, tra le quali laurea in comicità, impacchettamento,
pompe funebri, enigmologia ecc. http://tinyurl.com/nj37vjg . (Fonte 06-03-2015):
RECLUTAMENTO
RECLUTAMENTO. LA STATISTICA NON
CONSENTE DI ACCUSARE I PROFESSORI UNIVERSITARI DI ESSERE RESPONSABILI
DELL’INVECCHIAMENTO DEGLI ACCADEMICI
Ernesto
Galli della Loggia dalla prima pagina del Corriere della Sera (26-02-15) ha
sferrato un duro attacco ai professori universitari quali prevalenti colpevoli,
a suo avviso, di aver dirottato le risorse sulle promozioni di amici e allievi
invece che sul rinnovo generazionale, e perciò ha ribaltato sugli stessi
universitari la responsabilità principale dell’invecchiamento del ceto
accademico. È indubbio che la fascia
dei ricercatori, cioè il primo grado della carriera accademica, rappresenti a
tutt’oggi meno della metà del numero complessivo di docenti. Ma bisognerebbe
anche spiegare che, nel momento in cui ne veniva istituito il ruolo, si
prevedeva una percentuale di ricercatori intorno al 35%, mentre nel 2008 la
percentuale superava il 40% e nel 2013 erano il 44,4% del personale a tempo indeterminato.
Se tenessimo conto anche dei ricercatori a tempo determinato, nel 2013 il
totale dei ricercatori era pari al 47,7% dei professori e ricercatori, molto
vicino a quel 50% cui fa riferimento Galli della Loggia.
Un’altra
accusa di Galli Della Loggia è quella di aver preferito le promozioni interne
alla necessaria immissione di nuove forze.
Ma l’unica categoria che è cresciuta, seppure di poco, è quella dei
ricercatori: 7.442 reclutamenti a fronte di 6.752 uscite, comprensive di
promozioni e pensionamenti. Mentre
in sei anni, i professori ordinari sono calati del 29%.
Roars
commenta che per non essere approssimativi basta saper usare un browser ed
eseguire semplici interrogazioni su Google. È difficile immaginare di esprimere
un parere minimamente competente sulle risorse ed il reclutamento
dell’università, senza basarsi – direttamente o indirettamente – sui rapporti
OCSE, le statistiche Eurostat e quelle nazionali, che l’ANVUR riporta con
dovizia di grafici e tabelle. Tutto materiale liberamente accessibile in rete.
In
definitiva le affermazioni di GdL sono facilmente contestabili: nel periodo
2007-2013, il ruolo dei ricercatori è l’unico che è cresciuto sia in termini
percentuali sia assoluti, mentre sono calati gli associati e, soprattutto, gli
ordinari (-29%). (Fonte: G. De Nicolao e A. Banfi, Roars 28-02-2015)
RECLUTAMENTO. INADEGUATEZZA DEL
“TENURE-TRACK ALL’ITALIANA” RESPONSANBILE DEL FRENO AL TURNOVER
Oggi il
grave problema del reclutamento accademico è causato dal sostanziale fallimento
del c.d. “tenure-track all’italiana”, in assenza di quei fondi necessari a
sostenere un flusso adeguato di “ricercatori a tempo determinato che diventano
Professori”. E di un consenso politico-accademico necessario ad evitare uno
scontro di interessi con le pari pretese del personale ricercatore a tempo
indeterminato ad accedere alla fascia di Professore Associato. In un periodo di
risorse magre, meglio avrebbe deciso il Legislatore se avesse istituito una
terza fascia docente al posto di quella di ricercatore – decisione che peraltro
avrebbe impattato contro la tradizionale opposizione continentale
all’istituzione di più fasce docenti con doveri d’ufficio simili e scala
stipendiale diversa. A peggiorare la situazione del reclutamento dei giovani la
legge di stabilità 2015: le università dovranno attivare un posto (a tempo
determinato) di ricercatore ogni due professori ordinari reclutati. (Fonte: R.
Rubele, Roars 28-02-2015)
RICERCA. RICERCATORI
RICERCATORI ITALIANI COMPONENTE
NAZIONALE PIÙ COSPICUA AL CERN
Fabiola
Gianotti - già coordinatore del progetto Atlas (l'esperimento del bosone col
concorso di tremila studiosi), direttore generale (designato) fino al 2020 del
Cern (Conseil Européen pour la Recherche
Nucléaire) - non ha mancato di sottolineare, che al Cern, cioè nel
tempio della ricerca più avanzata, popolosa ed eterogenea, su 10mila scienziati
di 20 Paesi europei che operano o accedono, la componente nazionale più
cospicua è data dai ricercatori italiani (non meno di 1500 persone tra giovani
e veterani dello staff e collaboratori). Ciò dimostra che in Italia gli studi
universitari sono ancora di primissima qualità. Cerchiamo solo di difenderli,
di mantenerli alti e, in generale, di estendere la qualità culturale ed
educativa d'insegnamento lasciata in eredità dalla nostra tradizione. (Fonte: L. Montecchi, ilsussidiario.net
10-03-2015)
RICERCATORI. TAR
LOMBARDIA: AMMESSA SOLO LA DIDATTICA INTEGRATIVA (NON LA CURRICOLARE) E SE
ASSEGNATARI DELLA TITOLARITÀ DI UN CORSO, OCCORRE UNA RETRIBUZIONE AGGIUNTIVA
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, a valle dell’udienza
tenutasi il 22 gennaio 2015, ha emanato la sentenza n. 00644/2015 relativa al
ricorso presentato il 7 gennaio 2013 da 87 ricercatori di ruolo del Politecnico
di Milano contro il proprio Ateneo. In tale ricorso i ricercatori chiedevano
l’abolizione del “Regolamento per l’impegno didattico dei professori e dei
ricercatori”. Il TAR ha accolto le istanze dei ricorsisti e ha disposto
“l’annullamento dell’atto impugnato, nei limiti della parte censurata”. La
legge è chiara nel puntualizzare che i compiti didattici dei ricercatori
possono riguardare solo la didattica integrativa (dunque non curricolare) e
che, nel caso di assegnazione della titolarità di un corso, si debba
determinare una retribuzione aggiuntiva. Con la sentenza ora depositata il
Tribunale Amministrativo accoglie nella sua interezza il ricorso,
stigmatizzando il fatto che l’Ateneo abbia “operato in sostanziale elusione
della ratio e della lettera della legge”. La sentenza esclude la possibilità di
un monte ore obbligatorio di esercitazioni/laboratori per i ricercatori, così
come a maggior ragione la possibilità di scambiare tale monte ore con la
titolarità gratuita di un corso. La sentenza afferma, infatti, che “l’eventuale
attività di docenza curricolare posta in essere dai ricercatori debba ricevere
una congrua retribuzione aggiuntiva, in ragione del diverso impegno
professionale e della maggiore responsabilità inerenti a detta attività di
docenza”. (Fonte: Redazione Roars 12-03-2015)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. IL
COSTO DEL DEL REF E DALLA VQR
Il REF
(Research Excellence Framework) inglese è uno sviluppo del RAE cui sono stati
aggiunti gli studi di caso, e la nostra VQR è figlia del RAE. E’ dunque lecito
proporre alcuni parallelismi. Se alla stima prudenziale del costo del REF di
500 milioni di sterline vengono sottratti i 100 milioni relativi agli studi di
caso, si scende a 400 milioni di sterline, pari a 540 milioni di euro. Una
stima del costo della VQR da noi effettuata nell’aprile 2012 era dell’ordine di
300 milioni di euro, ottenuti come somma dei seguenti addendi: 7 milioni ANVUR,
9 milioni GEV, 51 milioni predisposizione dei prodotti da valutare, 19 milioni
per costi interni di università ed enti di ricerca, 216 per i referaggi
(http://www.roars.it/online/si-puo-stimare-che-la-vqr-costera-300-milioni-di-euro-e-a-pagarli-sara-luniversita/).
Tale stima è stata in più occasioni contestata dall’ANVUR e da altri
osservatori in base all’assunzione che il costo opportunità del tempo dedicato
dai revisori non debba essere incluso nel computo. E tale è stata la scelta di
Bowman che, tuttavia, è giunto ad una cifra quasi doppia della nostra (540
milioni rispetto a 300).
Geuna e
Piolatto hanno pubblicato un rapporto dal titolo: “Lo sviluppo della
valutazione della ricerca nel Regno Unito e in Italia: costoso e difficile, ma
probabilmente meritevole di essere fatto (per un po’)”
(http://www.de.unito.it/unitoWAR/ShowBinary/FSRepo/D031/Allegati/WP2014Dip/WP_16_2014.pdf ). La loro stima del costo della
VQR è la seguente: 10 milioni di euro CINECA, 1 milione ANVUR, 66 milioni costi
interni delle università ed enti, 105 referaggi (l’assunzione è che la
revisione delle pubblicazioni è parte del lavoro dei ricercatori e che i
ricercatori acquisiscono in tal modo nuove conoscenze, per cui il costo
opportunità è stato scontato del 50%), per un totale di 182 milioni. (Fonte: G.
Sirilli, Roars 06-03-2015)
RICERCATORI PRECARI. IL MINISTRO
ANNUNCIA UN PIANO DI STABILIZZAZIONE MA È INCERTA SUL SUO FINANZIAMENTO
Il 5
marzo il ministro Giannini ha incontrato il Consiglio Nazionale Studenti
Universitari, dopo circa un anno dall’ultimo incontro. “Le novità emerse si
possono definire positive poiché riguardano la volontà del ministro di
raggiungere l’obiettivo di predisporre un piano di stabilizzazione dei precari
dell’Università da 500 milioni che riguarderà ben 1200 persone” – commenta in
una nota al Corriere dell’Università l’associazione studentesca LINK. “Non
possiamo comunque esultare – afferma Alberto
Campailla, portavoce nazionale di LINK – Coordinamento Universitario - poiché
il ministro stesso ha ribadito che il
raggiungimento di quest’obiettivo è tutt’altro che scontato e subordinato al
difficile reperimento dei fondi. Rischia quindi di risolversi tutto in uno spot
se l’anno prossimo non si troveranno le coperture per l’attuazione di questo
piano. (Fonte: corriereuniv.it 06-03-2015)
RICERCA. IL RILANCIO POSTBELLICO
PER OPERA DI EDOARDO AMALDI
Subito
dopo la fine della guerra, il fenomeno della fuga dei cervelli ha stimolato le
menti rimaste fortunosamente in patria a riorganizzare la struttura del sistema
di ricerca, particolarmente in alcuni settori molto avanzati come quello della
fisica. Sono spuntati perciò, allora, accanto a ricercatori di eccellente
cultura e competenza, anche alcuni scienziati che hanno ritenuto indispensabile
“far politica”, cioè sviluppare un settore di importanza primaria per lo
sviluppo del Paese e del welfare. Per esempio, Edoardo Amaldi, allievo di
Enrico Fermi (che già aveva conquistato il Nobel nel 1938 con le sue ricerche
romane sulla fisica dei neutroni). Amaldi comprese ben presto che bisognava
riattivare le collaborazioni sia tra i fisici italiani sia tra gli italiani e
quelli di tutto il resto del mondo, avendo una chiara idea – ben prima che si
parlasse di unificazione europea – del fatto che l’evoluzione culturale non può
essere che un’impresa sovranazionale. Amaldi si rivelò così quello che oggi
possiamo chiamare un perfetto servitore dello Stato perché le sue proposte, più
che mirare al soddisfacimento di suoi interessi personali o accademici,
puntavano alla promozione dell’accreditamento mondiale della fisica italiana.
Fu così che Amaldi, già ben noto a tutta la comunità internazionale, si
qualificò come il promotore principale di imprese (Europee!!!) come la CECA
(Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), EURATOM (per lo sviluppo dello
sfruttamento dell’Energia Atomica), il CERN (Centro Europeo di Ricerca
Nucleare) e, più tardi, dell’ESA (European Space Agency): in tutte queste
imprese gli scienziati italiani ebbero collocazioni e ruoli di primo piano.
Amaldi trovò un terreno fertile sia nel suo campo specialistico sia in quello
politico, indipendentemente dalle esigenze ideologiche di ciascuna politica:
sicché le sue imprese lasciarono un segno che ancora oggi è chiaramente
visibile nelle strutture di ricerca che abbiamo ereditato: particolarmente
l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), con i suoi laboratori
nazionali, aperti all’attività senza limiti geografici. Amaldi si giovò del
contributo di tutti i suoi colleghi, ma, in particolare, di alcune figure
dinamiche e intraprendenti, come quella di Felice Ippolito, che staccò dal CNR
– Consiglio Nazionale della Ricerche – un CNRN dedicato al settore nucleare.
(Fonte: C. Bernardini, Roars 14-02-2015)
CUN. ARMONIZZARE CONTRATTI
PRE-RUOLO (ASSEGNI DI RICERCA E RTD) CON INTRODUZIONE DI UN'UNICA FIGURA
CONTRATTUALE
Il CUN
nella seduta del 28 e 29 gennaio ha approvato un interessante documento in cui
propone l’armonizzazione di alcune tipologie di contratti di ricerca pre-ruolo.
Il documento, facendo seguito alla proposta di superamento della duplice figura
di ricercatore a tempo determinato di tipo a e di tipo b, prospetta una
modifica complessiva dei contratti pre-ruolo (assegni di ricerca e posizioni di
ricercatore a tempo determinato). Nel documento viene proposta l'introduzione
di un'unica figura contrattuale coerente con gli intenti e con le previsioni
della Carta Europea dei Ricercatori. Per leggere il documento “Ripensare
l’assetto della docenza universitaria III. I Contratti pre-ruolo” > http://tinyurl.com/o3s9vnx .
SCHEDA UNICA ANNUALE DELLA
RICERCA NEI DIPARTIMENTI (SUA - RD). UN CONTRIBUTO ALLA COSTRUZIONE
DELL’ANPREPS (L'ANAGRAFE NAZIONALE DELLA RICERCA)?
Secondo
l’ANVUR «la rielaborazione della tipologia delle pubblicazioni su cui si è
lavorato nella preparazione della SUA-RD (Scheda unica annuale della ricerca
nei dipartimenti), e che l’ANVUR si propone di adottare in tutte le sue future
attività di valutazione, a partire dai Dottorati e dalla prossima VQR,
rappresenta un importante passo avanti nella direzione di una migliore e più
fine specificazione dei risultati della ricerca» e «costituisce quindi un
contributo cruciale alla costruzione dell’ANPRePS (l'anagrafe nazionale della
ricerca)». L’allegato A alle linee guida sulla SUA RD riporta un albero di
tipologie di pubblicazione che non è uguale a quello presente nel sito docente
e che non sarà uguale a quello presente nei cataloghi degli atenei che comunque
hanno già mappato (adeguato) le loro tipologie a quelle del sito docente. Le
riclassificazioni fatte per la SUA RD restano nella SUA RD e non si propagano
affatto alle anagrafi locali, e neppure al sito docente. Il risultato è quindi
un disallineamento di SUA RD, anagrafi locali e loginmiur. Poiché i diversi
coautori dello stesso ateneo o di atenei diversi possono avere un’idea diversa
sulle classificazioni o sulle specificazioni delle diverse tipologie, una
stessa pubblicazione potrà essere classificata diversamente nelle schede SUA RD
dei diversi coautori e solo una di queste definizioni sarà accettata nella SUA
RD del Dipartimento. Così alla fine il disallineamento ci potrebbe essere anche
fra SUA RD dei singoli coautori e SUA RD del Dipartimento e SUA RD di
Dipartimenti diversi. Ma non esiste un’entità centrale che risolva i conflitti
di definizione all’interno dell’ateneo o fra atenei. E senza definizioni
condivise sulle tipologie e soprattutto senza un’autorità centrale che le
validi e le renda uniformi per tutti gli atenei, ANPRePS non farà altro che
ripetere i limiti del sito docente. (Fonte: P. Galimberti, Roars 16-02-2015)
RICERCATORI HANNO INVIATO AL
MINISTRO LETTERA APERTA SUL BANDO SIR
Un
gruppo di 407 giovani ricercatori italiani e stranieri, afferenti a svariati
settori disciplinari, che circa un anno fa hanno deciso di partecipare al bando
SIR (Scientific Independence of young Researchers) hanno indirizzato al
ministro Giannini una lettera con alcune richieste:
“Le
chiediamo di fornirci una spiegazione sulla mancata uscita del bando SIR per
ricercatori senior, al quale il Ministro Carrozza aveva destinato 53 dei 100
milioni che erano stati messi a disposizione per l’intero Programma. Le
chiediamo infine di rendere noto se e come il MIUR abbia intenzione di
procedere con il bando SIR 2015, dato che quello precedente non si è ancora
chiuso: una questione delicata, visto che alcuni di noi, se il bando 2015
dovesse “saltare”, potrebbero non avere più i requisiti (di età, “anzianità”
del titolo o entrambi) per partecipare a quello successivo.
Più in
generale, Le chiediamo di lavorare a piani di finanziamento più stabili per la
ricerca italiana, come accade nella maggior parte dei Paesi europei, con
programmi definiti, che prevedano bandi con scadenza annuale e non siano legati
solo alla disponibilità di fondi dell’anno in corso”. (Fonte: Redazione Roars
17-02-2015)
RICERCA. BANDO SIR (SCIENTIFIC INDEPENDENCE OF YOUNG
RESEARCHERS)
Dopo più di 13
mesi dall’uscita del bando e a ben 11 mesi e mezzo dalla sua chiusura, sono
finalmente usciti i risultati della prima fase della valutazione dei progetti
presentati per il bando SIR (Scientific Independence of Young Researchers). La
valutazione dei progetti si è poi formalmente conclusa il 2 marzo, e il 4 marzo
sono stati pubblicati i risultati. Passa alla seconda fase circa il 9% dei 5250
progetti presentati. Il sogno del SIR si sarebbe dunque spento per molti
ricercatori nostrani, alcuni dei quali avevano già comunque nel frattempo
riparato all’estero. A contendersi i 47 milioni rimangono in gara in 607 (232
del macro-settore PE, 162 del macro-settore SH, 213 del macro-settore LS) e i
risultati finali si conosceranno auspicabilmente a fine aprile, anche se
nessuno è pronto a scommetterci. Specialmente perché è lecito prevedere un
congruo numero di ricorsi. Molti di coloro che non sono stati ammessi alla
seconda fase, infatti, hanno riscontrato delle anomalie nella valutazione del
proprio progetto e nella formulazione dei giudizi. Non solo, visto che siamo
nell’era dei social network e gli aspiranti hanno avuto modo di comparare i
propri giudizi con quelli altrui, si è potuta evincere grande difformità nelle
procedure di valutazione. (Fonte: L.M Paternicò, Roars 09-03-2015)
RICERCA. CHE COSA MANCA ALLA
RICERCA BIOMEDICA ITALIANA?
Innanzitutto
si investe poco. Siamo lontani dai budget che altri governi dedicano alla
ricerca in campo biomedico. Ci troviamo in un sistema scarsamente meritocratico
e flessibile, che ha pochi rapporti col mondo industriale. Non riusciamo a
focalizzare i nostri sforzi e a premiare i nostri giovani. Quest’ultimo aspetto
è quello che fa più male perché di giovani e promettenti ricercatori nel nostro
Paese ce ne sono tanti come dimostrano i grant Erc che otteniamo ogni anno.
Inoltre i dati SCImago, reperibili all’indirizzo web http://tinyurl.com/ycgmp4z, mostrano che l’Italia si
colloca all’ottavo posto nel mondo non solo per numero di documenti scientifici
prodotti ma anche per numero di citazioni ricevute, malgrado il numero
comparativamente limitato di ricercatori. Ma, poi, a causa delle strutture e
della troppa burocrazia sono costretti a sviluppare i propri progetti lontano
dall’Italia. Ecco, la nostra speranza sono proprio le nuove leve ma dobbiamo,
prima, eliminare i lacci e lacciuoli che tengono ancorata la ricerca italiana. (Fonte: scienzainrete 16-02-2015)
RICERCA. NEI FINANZIAMENTI
ECCELLE LA GERMANIA
«Sembrano
non sapere - prosegue un commento di Amaya Moro-Martin pubblicato su Nature -
che quanto più la ricerca è forte, tanto meglio andrà l'economia», e questo è
specialmente vero per i Paesi dove la crisi si sente di più. I politici invece
cosa fanno? Tagliano la ricerca e così rendono quei Paesi ancora più
vulnerabili. «Ci sono tanti esempi - continua la Moro-Martin, un'astrofisica
americana membro della commissione dell'Euroscienza -, in Italia per esempio il
reclutamento dei ricercatori è calato del 90 per cento e quello che si spende
in ricerca fondamentale è calato al punto che non è rimasto più nulla». Ci sono
problemi anche in Spagna, dove gli investimenti sono calati del 50 per cento e
degli scienziati che vanno in pensione viene sostituito il 10 per cento. La
situazione è molto critica in Grecia e Portogallo. E in Germania? È tutto
diverso. Anche là produzione ed esportazioni sono calate e tre anni fa hanno
tagliato il bilancio federale di 80 miliardi, ma hanno aumentato del 15 per
cento gli investimenti in ricerca, soprattutto biomedica, e continuano a farlo.
Il 30 ottobre sono stati stanziati oltre 25 miliardi di euro. E sì che la
Germania spende già 100 miliardi all'anno ed è il quarto Paese al mondo dopo
Stati Uniti, Cina e Giappone per attenzione alla ricerca. Gran parte di quei
soldi va alle circa 300 università, che insieme contano oltre 2 milioni e mezzo
di studenti, 400 mila in più del 2005. Ma c'è dell'altro: governo federale e
Laender hanno siglato un accordo per garantire un aumento dei finanziamenti a
quattro organizzazioni di ricerca non universitarie, fra cui gli Istituti Max
Planck. Insieme, le quattro organizzazioni contano 254 istituti, e il budget è
passato dai 5 miliardi e 200 milioni del 2005 ai quasi 8 miliardi di oggi.
(Fonte: G. Remuzzi, Corriere La Lettura 22-02-2015)
MIGLIORAMENTO DELLA
RAPPRESENTANZA NEGLI ORGANI DI ATENEO CHIESTA DALL’ADI PER ASSEGNISTI E RTD
L’Adi,
l’associazione che riunisce dottori e dottorandi di ricerca, dà atto al CUN e
al suo presidente Lenzi di aver «coraggiosamente» affrontato la questione del
blocco del turnover (su questo il CUN ha prodotto una serie di documenti per
«Ripensare l’assetto della docenza universitaria») e rivolge ora un nuovo appello all’organo
consultivo per intervenire anche su un altro tema: quello dei diritti di
rappresentanza. «A partire dall’approvazione della legge 240/2010, l’Adi - si
legge nella lettera inviata a Lenzi - si è impegnata nei molteplici percorsi di
riscrittura degli statuti universitari, al fine di garantire ai dottorandi il
proprio legittimo spazio di rappresentanza in seno agli organi di ateneo, in
primo luogo nei senati accademici». «Lì dove questa nostra battaglia è riuscita
- continua la missiva -, le istanze dei dottorandi e dei dottori di ricerca
hanno sempre goduto di piena cittadinanza. Da questa esperienza vogliamo
ripartire oggi, nella matura consapevolezza della centralità che gli oltre
15mila assegnisti di ricerca e i 4mila Rtd rivestono ormai nella comunità
accademica». «Riteniamo dunque - conclude il testo - non più procrastinabile un
intervento complessivo per il miglioramento delle condizioni di rappresentanza
di Assegnisti e Ricercatori a tempo determinato negli organi di ateneo,
condizioni attualmente poco garantite, gravemente lacunose o del tutto
compromesse dalla mancata corrispondenza dell’elettorato attivo con quello
passivo». (Fonte: M. Bortoloni, Scuola24 20-02-2015)
I GIOVANI RICERCATORI DEL
CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE SONO IN ATTESA DI UN BANDO DI CONCORSO
I
giovani ricercatori del CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, sono in attesa
di un bando di concorso che potrebbe stabilizzare 50 persone quest'anno e altre
300 entro il 2016. Ma se le cose continuano così non saranno più tanto giovani
quando otterranno l'assunzione. E dire che a bloccare tutto è solo un’autorizzazione,
parte di una procedura che paradossalmente è stata semplificata nel 2013, che
il ministero fa sapere (con una nota in risposta a quest'articolo, che trovate
a fondo pagina) di aver dato pochi giorni fa. In attesa delle autorizzazioni,
che comunque prima o poi arriveranno, il cruccio del CNR è il blocco del turn
over. "Se vogliamo mantenere la capacità di ricerca ai più alti livelli
internazionali, abbiamo bisogno di assicurare un flusso di ricercatori
attentamente selezionato: occorrerebbero almeno 500 nuove posizioni per tornare
al livello del 2009", dice Annunziato. Il piano di assunzione, per il
momento, è meno ambizioso: "Noi siamo pronti -
assicura Annunziato - appena ci arriveranno le ulteriori autorizzazioni
previste, ad attuare il piano di fabbisogno 2014-2016, assumendo immediatamente
circa 50 persone, tra ricercatori, tecnologi e tecnici attraverso la procedura
degli scorrimenti di graduatorie esistenti e ancora valide e bandendo altri 300
posti, per assunzioni che saranno realizzate nel corso del 2015 e del
2016".
La
replica del Ministero. Riceviamo e pubblichiamo: “Il Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca precisa di aver già dato il proprio via libera
definitivo al piano triennale di assunzioni di cui si parla nel testo con un
atto ufficiale dello scorso 13 febbraio. Quanto alla tempistica, si fa presente
che il Piano ha subito delle modifiche nel corso del 2014, l'ultima delle quali
comunicata dal CNR al MIUR il 4 dicembre 2014. Il Dipartimento della Funzione
pubblica ha approvato il Piano il 30 gennaio 2015 e il MIUR ha acquisito il
parere il 3 febbraio scorso. Dopo dieci giorni ha dato il proprio ok. In tempi,
quindi, del tutto consoni". (Fonte: C. Gubbini, repubblica.it/scuola
23-02-2015)
RICERCATORI. UN’INTERROGAZIONE
PARLAMENTARE SULLA MOBILITÀ
I
ricercatori a tempo indeterminato sono una figura “in via di estinzione”,
perché sostituita nel 2010 da quella dei ricercatori a tempo determinato (di
tipo a e b) della riforma Gelmini, che però conta ancora quasi ventimila
persone. Per loro la mobilità da un ateneo all’altro è praticamente un
miraggio. La colpa è da una parte dei vincoli normativi e dall’altra del taglio
delle risorse che in passato servivano proprio a questo compito. Nasce da qui
una interrogazione a firma di Manuela Ghizzoni (Pd) e Ilaria Capua (Scelta
civica) depositata nei giorni scorsi in cui si chiede una soluzione al ministro
Giannini.
Nella
loro interrogazione le due deputate ricordano come i ricercatori universitari a
tempo indeterminato rappresentino ancora oggi «nonostante che il ruolo sia
stato posto sostanzialmente ad esaurimento» dalla riforma Gelmini una «quota
notevole» del personale docente universitario. E tra di loro ci sono anche
persone «relativamente giovani assunte dal 2008 al 2010» con le risorse della
finanziaria del 2007, ma «a causa delle vigenti normative è divenuto quasi
impossibile per questa categoria di ricercatori trasferirsi da un ateneo
all’altro». L’interrogazione spiega, infatti, come da un lato non possono
partecipare a concorsi a posti di ricercatore a tempo indeterminato «in quanto
questi non possono essere più banditi» come prevede la riforma Gelmini e dall’altro
non possono usufruire facilmente delle procedure di trasferimento previste
dalla stessa riforma per due motivi. Innanzitutto «il costo, in denaro e in
punti organico, di una chiamata per trasferimento – ricordano le due deputate –
sarebbe interamente a carico dell’ateneo», questo significa che è «meno
appetibile» rispetto ad una promozione interna a professore associato o
ordinario, o a un’assunzione di un ricercatore a tempo determinato. E poi,
prosegue l’interrogazione «queste procedure non possono essere né conteggiate
ai fini della condizione di reclutamento esterno di docenti prevista
dall’articolo 18, comma 4, della legge n. 240 del 2010, né sono incentivate da
specifici finanziamenti ministeriali». E qui c’è l’altro nodo. Come ricordano
le due parlamentari, in passato il ministero metteva da parte delle risorse ad
hoc per facilitare la mobilità: «Per molti anni e fino all’anno 2010, il
decreto ministeriale di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (Ffo)
prevedeva una quota destinata ad un intervento per favorire la mobilità del
personale docente e ricercatore tramite l’assegnazione, a determinate
condizioni, di un cofinanziamento dello stipendio della persona chiamata posto
a carico della quota prestabilita del Ffo». Ma questa quota a partire dall’anno
2011, è stata «dapprima ridotta e resa applicabile solo ai trasferimenti dei
professori di I e II fascia, poi definitivamente eliminata dal decreto di
ripartizione del Ffo». A certificarlo sarebbe l’ultimo Ffo, quello relativo al
2014, che non prevede risorse in questo senso. «Eppure la mobilità tra gli
atenei del personale docente e ricercatore è unanimemente ritenuta essere un
elemento fondamentale per la qualità del sistema universitario, in quanto –
spiega in conclusione l’interrogazione – favorisce il ricambio e una continua
innovazione di temi e metodologie sia nella ricerca che nella didattica di un
ateneo, anche aprendo spazi culturali e fornendo stimoli importanti per nuove
collaborazioni interdisciplinari e interuniversitarie». (Fonte: Scuola24 26.02.2015)
DECRETO 1000PROROGHE. PROROGA
DEGLI INCENTIVI DESTINATI A CONTENERE LA “FUGA DEI CERVELLI” E AUMENTATA LA
DURATA MASSIMA DEGLI ASSEGNI DI RICERCA
La
proroga degli incentivi destinati a contenere la “fuga dei cervelli”, annunciata
in sede di Investment Compact, ha trovato spazio definitivo nel decreto
Milleproroghe. Per rendere maggiormente invitante la prospettiva del rientro in
patria, infatti, le agevolazioni fiscali introdotte nel 2010 per i cittadini
che “studiano, lavorano o hanno conseguito una specializzazione post laurea
all’estero e decidono di fare rientro in Italia” sono prorogate di un altro
biennio. Aumentata anche la durata massima degli assegni di ricerca che passa
da 4 a 6 anni. (Fonte: http://tinyurl.com/q9v24rj 27-02-2015))
ASSEGNI DI RICERCA. PROROGA PER
DUE ANNI
Il 27
febbraio il Senato ha dato il via libera definitivo al disegno di legge di
conversione del decreto 192 del 31 dicembre 2014, cosiddetto “mille proroghe” (Legge
11 del 27 febbraio 2015). Tra le modifiche, la proroga per 2 anni degli assegni
di ricerca in scadenza. Tuttavia non si può procedere per proroghe periodiche,
tanto più che dal prossimo anno giungeranno a scadenza anche i contratti per i
Ricercatori di tipo A, che rischiano di scontare il sostanziale fallimento
della tenure track all’italiana (articolo 24 delle Legge 240/10). È necessario
un piano straordinario di assunzioni nelle Università e negli Enti di Ricerca.
Si tratta di stabilizzare le migliaia di persone che da anni con borse, assegni
di ricerca e contratti a termine sostengono la ricerca pubblica nei nostri
atenei e negli enti. E si tratta di attivare un nuovo reclutamento. (Fonte:
FlcCgil 02-03-2015)
Un commento on line di un’associazione di
ricercatori precari: ‘Attenzione comunque che questo non implica una proroga
automatica degli assegni in essere! Non è stato esteso da 12 a 14 anni il
periodo complessivo di durata di Assegni+RTD. Così ora gli assegnisti dovranno
scegliere se bruciarsi degli anni di RTD con un assegno sottopagato e non
riconosciuto (in alcune delle categorie, nell’ASN gli assegnisti sono stati
sistematicamente bocciati). D'altra parte, c'è stato un emendamento (di Ilaria
Capua) per estendere anche i 12 anni, ma purtroppo è stato cestinato come tutti
gli altri dalla fiducia messa dal governo sul provvedimento’. Pertanto si
intende che è incrementato il limite massimo di anni trascorsi quale
assegnista, non che i rapporti in essere siano prorogati. Resta dunque fermo
l’altro limite previsto dalla l. 240/2010, art. 22, c. 9:
La durata complessiva dei
rapporti instaurati con i titolari degli assegni di cui al presente articolo e
dei contratti di cui all’articolo 24 (ricercatori a tempo determinato),
intercorsi anche con atenei diversi, statali, non statali o telematici, nonché
con gli enti di cui al comma 1 del presente articolo, con il medesimo soggetto,
non può in ogni caso superare i dodici anni, anche non continuativi.
RICERCATORI. GRAZIE
AL CREDITO D’IMPOSTA VERSO MILLE ASSUNZIONI NELLE IMPRESE ENTRO L’ANNO
Sono più di 300 le aziende che hanno chiesto negli
ultimi mesi di ricorrere al credito d’imposta del 35% per assumere a tempo
indeterminato 652 tra laureati o dottori di ricerca per svolgere attività di
ricerca. Ma le richieste del bonus, che arrivano a un ritmo ancora non troppo
spedito, supereranno secondo stime prudenziali le mille domande entro la fine
dell’anno per le assunzioni del 2013. Finora sono stati spesi 17 milioni in
tutto dei 59 complessivi: quindi per le imprese interessate ci sono ancora
parecchie risorse a disposizione. (Fonte: IlSole24Ore 12-03-2015)
RICERCA MEDICA INDIPENDENTE IN
CRISI
La
ricerca indipendente in Italia è allo sbaraglio. Un’eccellenza in Europa che
stiamo perdendo perché lo Stato non ha mai investito un soldo. Una risorsa
importantissima per il diritto alla salute, finalizzata alla prevenzione delle
malattie e al confronto delle diverse terapie farmacologiche per scoprire
quelle che danno meno effetti collaterali. Emarginata anche da Big Pharma,
perché in questo caso gli studi clinici non sono mirati alla registrazione di
nuove molecole. Nel 2009 il numero complessivo delle sperimentazioni
autorizzate dall’Aifa era di 761. Nel 2013, di 583. In quei cinque anni quelle
no profit si sono ridotte a 139, da 318. A lanciare l’allarme è il Gruppo
oncologico italiano di ricerca clinica (Goirc), nato nel 1980 e formato dalle
oncologie di trenta ospedali, la cooperativa di studi indipendenti più antica
d’Italia. “La nostra ricerca rischia di scomparire – denuncia Rodolfo
Passalacqua, presidente Goirc e direttore del reparto di oncologia
dell’ospedale di Cremona -. Servono misure urgenti e finanziamenti pubblici.
Fino al 2009 potevamo contare sui bandi dell’Aifa, adesso non ci sono più
neanche quelli”. Nel 2005 l’Aifa ha
istituito un fondo alimentato con il cinque per cento delle spese promozionali
versato dalle aziende farmaceutiche per le sperimentazioni cliniche comparative
tra medicinali, farmaci orfani e malattie rare. Ma nel 2010 la Commissione
Ricerca e sviluppo che aveva il compito di selezionare i progetti di ricerca
non viene più rinominata e si blocca tutto. L’Aifa, interpellata dal Fatto,
assicura che comunque “il fondo non è stato soppresso”, che prima di indire
altri bandi deve costituire “una nuova commissione di esperti internazionali”,
e che si sta dando da fare insieme al ministero della Salute per risolvere
l’impasse. Intanto però i ricercatori rimangono a bocca asciutta. (Fonte: C.
Daina, FQ 09-03-2015)
RICERCA. UNO STUDIO ITALIANO SU COME
SI MASCHERA NELLE CULLULE IL VIRUS DELL’AIDS
Mauro
Giacca, a capo dell'International centre for genetic engineering and
biotechnology di Trieste, ha svelato un enigma che durava dall'inizio degli
anni Ottanta, cioè da quando l'epidemia di Aids cominciò a dilagare, infettando
quasi 80 milioni di persone. Il rebus scientifico è perché il virus sceglie
soltanto alcuni dei 20mila geni umani per integrarsi ma, soprattutto, come
riesce all’interno di questi geni a nascondersi ai farmaci. Giacca e i suoi collaboratori
hanno scoperto come sia proprio l'architettura del nucleo dei linfociti e le
zone che il virus sceglie per localizzarsi a favorire il suo mascheramento e a
impedire quindi ai farmaci oggi disponibili di sconfiggere definitivamente la
malattia. Lo studio italiano rappresenta un importante passo verso lo sviluppo
di nuove molecole che possano portare a una cura definitiva, a differenza dei
medicinali con cui oggi riusciamo solo a rallentare la progressione verso
l'Aids, senza però riuscire a eliminare l'infezione. (Fonte: IlSole24Ore 03-03-2015)
RIFORMA UNIVERSITARIA
LA RIFORMA DEL 3+2. UN BILANCIO
DOPO 15 ANNI
È tempo
di un bilancio a 15 anni dalla riforma Berlinguer dell’Università (anno 2000).
I successivi ministri (Moratti, Mussi, Gelmini, Carrozza ecc.) hanno lasciato
intatto lo schema base del c.d. 3+2. E cioè un triennio propedeutico seguito da
uno di specializzazione, articolati in corsi trimestrali o quadrimestrali per
circa 3.000 corsi di laurea e con doppio sistema di valutazione in voto di
esami e crediti. Lo schema del 3+2 nasceva dalla constatazione per la quale
troppi studenti abbandonano gli studi prima della conclusione e, quindi, senza
conseguire nessun titolo: abbreviando il corso di base e dando un primo titolo,
si sarebbe ottenuta una maggiore percentuale di laureati e meno ritardi
accademici. In effetti, in un primo momento, i laureati ritardatari sono
diminuiti e il numero degli studenti che arrivano alla laurea (anche se solo di
primo livello) è un po’ aumentato, ma l’Italia resta ultima in Europa per
numero di laureati: nella fascia fra i 30 ed i 34 anni (proprio quella che ha
frequentato l’università dopo la riforma Berlinguer, i laureati sono il 22,4%
contro una media europea del 36,8%. Stando all’Anvur, su 100 immatricolati
dell’anno 2003-04 (inizio effettivo della riforma Berlinguer), dopo 9 anni, a
laurearsi sono stati intorno alla metà, il resto è in ritardo o ha abbandonato
gli studi. E le coorti successive, anno per anno, hanno segnalano valori
decrescenti di laureati e crescenti di ritardo. Gli immatricolati del 2009-10
in regola con il corso di studi, dopo 3 anni, sono solo il 23,2%, e,
considerando l’aumento delle tasse universitarie e la linea di tendenza degli
ultimi anni, è possibile prevedere che entro 9 anni i laureati di triennale
saranno meno del 40% degli immatricolati di quell’anno. Considerato il totale
della popolazione lavorativa, la riforma Berlinguer ha prodotto un aumento
percentuale dei laureati dal 5,5% al 12,7% ma con un anno in meno di corso di studi
e con un divario crescente rispetto al resto d’Europa. E negli ultimi anni si è
registrata una tendenza al calo delle immatricolazioni per il quale ci sono
circa 60.000 studenti in meno rispetto al 2009-10, nonostante una leggera
crescita di studenti stranieri. E conta il fatto che l’università italiana è
fra le più care d’Europa, con continui rincari delle tasse che ammontano a circa
1.000 euro annui in media. (Fonte: A. Giannuli, agoravox.it 06-03-2015)
LA “BUONA UNIVERSITÀ” ANTICIPATA
IN PILLOLE
In un
articolo su La Repubblica, a firma c.z., riguardante la visita del premier al
Politecnico di Torino, si legge quanto segue a proposito dell’apertura della
c.d. “Buona Università” (non è specificato se siano state parole di Renzi): “Alla fine del mese si apre il viaggio
politico-amministrativo della buona università. Questi i cardini della futura
legge: uscita dei lavoratori degli atenei dalla pubblica amministrazione,
creazione di un comparto autonomo con un contratto unico e poi, sulla strada
del jobs act, tutele crescenti per i precari e soprattutto i ricercatori,
quindi superamento del sistema ingabbiante dei punti organico”. (Fonte: La
Repubblica 19-02-2015)
SCUOLA
LA SCUOLA. GLI STUDENTI COME
“CLIENTI” DA ACCONTENTARE, NON COME DISCEPOLI CHE DEVONO FORMARSI
Come chiunque abbia un minimo di esperienza scolastica
nell’insegnamento sa benissimo, chiedere a studenti e genitori di decidere sui
modi e i contenuti dell’insegnamento è quantomeno azzardato. Con l’esclusione
di un piccolo segmento di volenterosi, la maggior parte degli studenti,
soprattutto negli anni dell’obbligo, sogna soprattutto meno disciplina, meno
carico didattico e meno compiti a casa, in questo sostenuti da genitori che
gradiscono poco brutti voti e bocciature ma raramente spronano i propri
rampolli a lavorare di più. I problemi degli insegnanti in Italia sono
certamente tanti. Sono poco selezionati, poco incentivati, poco pagati, poco
apprezzati e meno ancora rispettati. Quello di cui sicuramente non hanno
bisogno è di essere esposti ad un giudizio continuo che non mette in
discussione le competenze e o risultati (magari!) ma il loro indice di
gradimento: estrema conseguenza di una visione cialtronesca della scuola (e
dell’università) in cui gli studenti (e i genitori) si percepiscono come
“clienti” da accontentare, non come dei discepoli che devono formarsi (e,
orrore!, magari faticare ed essere selezionati). Il profilo ideale del “buon
insegnante” oggi diventa così quello di un bravo imbonitore, un conduttore da
ruota della fortuna simpatico e amichevole. (Fonte: N. Novelli, Mente Politica 07-03-2015)
LA SCUOLA. FA ARRIVARE
ALL’UNIVERSITÀ STUDENTI INCAPACI DI SCRIVERE IN ITALIANO SENZA ERRORI
La
scuola è ciò che dopo un paio di decenni sarà il Paese: non il suo Prodotto
interno lordo, il suo mercato del lavoro: o meglio, anche queste cose ma
soprattutto i suoi valori, la sua antropologia, il suo ordito morale, la sua
tenuta. Un Paese che non legge un libro ma ha il record dei cellulari, con
troppi parlamentari semianalfabeti e perfino incapaci di parlare la lingua
nazionale, dove prosperano illegalità e corruzione, dove sono prassi abituale
tutti i comportamenti che denotano mancanza di spirito civico (dal non pagare
sui mezzi pubblici a lordare qualunque ambiente in comune). Un Paese di cui
vedi i giovani dediti solo a compulsare ossessivamente i loro smartphone come
membri di fantomatiche gang di «amici» e di follower; le cui energie, allorché
si trovano in pubblico, sono perlopiù impiegate in un gridio ininterrotto, nel
turpiloquio, nel fumo, nella guida omicida-suicida di motorini e macchinette
varie; di cui uno su mille, se vede un novantenne barcollante su un autobus,
gli cede il posto. Essendo tutti, come si capisce, adeguatamente e regolarmente
scolarizzati. A ciò si rimedia con la cultura, con un progetto educativo
articolato in contenuti culturali mirati a valori etico-politici di cui
l’intero ciclo scolastico sappia farsi carico. Un progetto educativo che
perciò, a differenza di quanto fa da tempo il ministero dell’Istruzione, non
idoleggi ciecamente i «valori dell’impresa» e il «rapporto scuola-lavoro», non
consideri l’inglese la pietra filosofale dell’insegnamento, non si faccia
sedurre, come invece avviene da anni, da qualunque materia abbia il sapore
della modernità, inzeppandone i curriculum scolastici a continuo discapito di
materie fondamentali come la letteratura, le scienze, la storia, la matematica.
Con il bel risultato finale, lo può testimoniare chiunque, che oggi giungono in
gran numero all’Università (all’università!) studenti incapaci di scrivere in
italiano senza errori di ortografia o di riassumere correttamente la pagina di
un testo: lo sanno il ministro e il suo entourage ?
All’imbarbarimento
che incombe sulle giovani generazioni si rimedia altresì creando nelle scuole
un’atmosfera diversa da quella che vi regna ormai da anni. In troppe scuole
italiane, infatti - complici quasi sempre le famiglie e nel vagheggiamento di
un impossibile rapporto paritario tra chi insegna e chi apprende - domina un
permissivismo sciatto, un’indulgenza rassegnata. Troppo spesso è consentito
fare il comodo proprio o quasi, si può tranquillamente uscire ed entrare
dall’aula praticamente quando si vuole, usare a proprio piacere il cellulare,
interloquire da pari a pari con l’insegnante. Ogni obbligo disciplinare è
divenuto opzionale o quanto meno negoziabile, e l’autorità di chi si siede
dietro la cattedra un puro orpello. Mentre su ogni scrutinio pende sempre la
minaccia di un ricorso al Tar. (Fonte:
E. Galli Della Loggia, CorSera 08-03-2015)
LA SCUOLA MEDIA DIMENTICATA
Ma c’è
una grande assente nella riforma elaborata in questo anno, pressoché mai citata
nei lunghi dibattiti: la scuola media. La più grande innovazione scolastica del
secolo scorso, dopo cinquant’anni, segna il passo: per organizzazione,
programmi e struttura. Doveva servire a dare una preparazione di base a tutti.
E così è stato. Ma è diventata il vero moltiplicatore delle differenze
socio-economiche. Un triennio dal quale i ragazzi escono senza una preparazione
adeguata ai tempi e senza le idee chiare su che cosa fare dopo. Ed è anche una
delle cause principali della dispersione scolastica che rovina molti giovani
subito dopo la licenza media, portandoli ad addii prematuri. I numeri parlano
da soli: al Sud un ragazzo su quattro lascia la scuola già al primo biennio
delle superiori, mentre l’Europa ha fissato come obiettivo comune per il 2020
la soglia massima del 10% di abbandoni. Ora che ci si è resi conto che, in
assenza di un’idea forte sulla riforma, ci vuole un supplemento di lavoro, ci
sarebbe da pensare anche a questo: non solo a come dividere il miliardo
stanziato nella legge di Stabilità tra assunzioni di precari, di cui nelle
ultime ore si sono persi anche i numeri, bonus, scatti di stipendio, sgravi per
le scuole paritarie e fondi per i laboratori, ma anche a come raddrizzare quel
ramo fragile della scuola italiana, che ancora una volta è stato dimenticato. (Fonte: G. Fregonara, O. Riva, CorSera 04-03-2015)
STUDENTI
STUDENTI. AUMENTATI I FONDI PER
L’ERASMUS
51
milioni di euro l’anno, invece degli 11 milioni annuali stanziati per il
triennio 2011-2013: il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca (MIUR) ha aumentato i fondi per
l’Erasmus da destinare alla copertura delle borse di mobilità. Nel periodo
2014-2016 il finanziamento per i giovani del nostro Paese è stato addirittura
quintuplicato e si prevede che ciò possa consentire un incremento delle
partenze pari almeno al 10 per cento. Il governo italiano ha scommesso sulla
mobilità internazionale degli studenti: “è doveroso incentivare questo tipo di
esperienza se vogliamo garantire un curriculum di studi che risponda sempre di
più alle aspettative del mondo del lavoro”, ha sottolineato il ministro
Stefania Giannini nel dare l’annuncio dell’aumento dei fondi per finanziare le
borse Erasmus. Un incremento così elevato è stato reso possibile grazie
all’aumento delle risorse a disposizione del Fondo Giovani, mediante il quale
si coprirà non solo un maggior numero di borse Erasmus, ma si finanzieranno
anche progetti di tutorato (cui andranno 9,6 milioni di euro) e il Piano Lauree
Scientifiche (3 milioni), con il quale si mira a far crescere il numero di
iscritti ai corsi di laurea a carattere scientifico. (Fonte: universita.it
07-03-2015)
STUDENTI. CALO DELLE
IMMATRICOLAZIONI
Dall’anno
accademico 2007-08 al 2013-14, le immatricolazioni nelle università italiane
sono scese di circa 40mila unità (-13,2 per cento). Il calo ha riguardato tutte
le aree disciplinari (in quella scientifica la flessione è molto lieve) e
soprattutto gli atenei più grandi, ed è stato più accentuato per gli studenti
già da tempo usciti dalla scuola superiore (con più di 20 anni). Questo è un
aspetto di per sé preoccupante, in quanto l’Italia già sconta, nel confronto
internazionale, una bassissima incidenza di studenti-lavoratori. Si è però
ridotto anche il numero di immatricolati neodiplomati (-7,0 per cento), quasi
esclusivamente tra gli studenti meridionali.
L’andamento
delle iscrizioni dipende innanzitutto da fattori demografici. È soprattutto la
dinamica della popolazione di riferimento che spiega le differenze tra
Centro-Nord (dove è aumentata) e Mezzogiorno (dove invece è diminuita).
Tuttavia, anche a parità di popolazione (e di diplomati), la propensione a
immatricolarsi si è ridotta di più nel Mezzogiorno. E questo comincia ad avere
effetti anche sul numero di laureati, se si guarda a quanto poco sia cresciuta
al Sud la scolarizzazione terziaria
dei 25-34enni tra il 2007 e il 2013 (tabella).
STUDENTI FUORI CORSO E FONDI
PUBBLICI AGLI ATENEI
Il
numero eccessivo di studenti italiani che non si laureano “in tempo” è diventato
un problema contabile serio. Da quando dalle stanze ministeriali è uscita la
tabella che assegna i fondi pubblici agli atenei, mettendo in pratica la grande
novità del “costo standard per studente in corso”. Che, di fatto, cancella
dall’università italiana almeno 700.000 persone, perché fuori corso. Risultato:
gli atenei con maggior numero di studenti che non si laureano nei tempi dovuti
hanno un danno economico consistente, e crescente. E crescono i timori per due
conseguenze perverse del nuovo meccanismo: da un lato, l’aumento a tappeto
delle tasse per i fuori corso; dall’altro, la tentazione di abbassare
l’asticella delle prove d’esame, in modo da accelerare il percorso verso la
laurea. “Nella nostra università ci sono circa 20mila studenti fuori corso: è
pensabile che non pesino per niente? A loro non dobbiamo dare servizi, offerte,
insegnamenti?”. Il rettore di Pisa Massimo Mario Augello è stato uno dei primi
a protestare contro le nuove regole. L’ateneo che lui guida è uno dei più
penalizzati: “non è questione di virtuosi o no”, afferma, ricordando
classifiche internazionali sulle università che vedono Pisa tra le prime
italiane. Il problema è un altro: “il numero dei fuori corso è più alto nei
grandi atenei, quelli con un bacino di utenza più ampio”. Se in percentuale,
nella classifica delle università, abbiamo quote di fuori corso superiori al 40
per cento in molte piccole università soprattutto del Sud, sopra la media ci
sono anche alcune grandi, dalla Sapienza di Roma all’università di Pisa, da
Napoli a Palermo. Atenei dai numeri imponenti, nei quali gli studenti messi
fuori con il nuovo calcolo dei fondi sono migliaia e migliaia: alla Sapienza si
“perdono”, ai fini delle entrate di bilancio, 42 mila iscritti, a Palermo 20
mila, alla Federico II di Napoli oltre 30 mila, alla Statale di Milano 18.000.
In soldi, la differenza è dolorosa: per fare un esempio, la prima università
d’Italia e d’Europa, la Sapienza, ha perso una decina di milioni di euro di
fondi con il nuovo meccanismo. E siamo solo all’inizio: infatti, se per
quest’anno solo il 20 per cento del finanziamento è attribuito sulla base di
questo calcolo, entro cinque anni si salirà al 100 per cento. Cioè, i fuori
corso saranno solo un “peso morto” per gli atenei, un costo che c’è ma non
conta nulla ai fini del finanziamento pubblico. “Il concetto di fuori corso è
cambiato – dice Guido Fiegna, già direttore generale del Politecnico di Torino
ed esperto dei numeri dell’università italiana – già si farebbe molta pulizia
se si utilizzassero di più le iscrizioni a part time per gli studenti
lavoratori, per le quali però le università fanno resistenza, proprio per non
perdere iscritti e fondi”. Non solo: “Non si capisce perché nel costo standard
si calcolano solo gli studenti iscritti ai corsi, e non chi sta facendo il
dottorato di ricerca, come se questi non studiassero”. (Fonte: R. Carlini, L’Espresso 05-03-2015)
I dati
per singolo ateneo (% di fuori corso) si possono vedere nel grafico che segue (Fonte: MIUR e D.
Mancino): il numero degli studenti in corso è quello risultante dalla tabella
di ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario 2014, mentre il numero
complessivo degli iscritti è da Anagrafe degli studenti. Tutti i dati si
riferiscono all’anno accademico 2012/2013.
LA VOCE DELL'UNIONE DEGLI
UNIVERSITARI (UDU)
“Leggendo
gli indirizzi del MIUR per il 2015, ci si trova davanti, ancora una volta,
all’esaltazione di un’idea completamente distorta di merito, nella quale
l’unico obiettivo sembra essere valutare e punire studenti ed atenei, per far
sopravvivere solo i migliori", dice l’UDU. Il nodo riguarda soprattutto i
finanziamenti: "Si arriva a dire che gli Atenei devono essere finanziati
esclusivamente in base alle loro performance: si fa della qualità della
didattica e della ricerca una questione di prestazioni, quasi si trattasse
della resa di un macchinario". E lo stesso schema viene applicato agli
studenti: perché "in uno dei paesi d’Europa con meno giovani laureati,
dove le immatricolazioni calano costantemente da dieci anni e i morsi della
crisi spingono sempre più persone ad abbandonare gli studi, si continua a
farneticare di eccellenza ed efficienza". La realtà è fatta di altri
numeri. "Abbiamo 46.000 studenti che avrebbero diritto ad una borsa di studio
ma non la percepiscono per mancanza di fondi, una vergogna unica in Europa, e
la risposta del ministero, celata dietro una frase sibillina, è che bisogna
innalzare i criteri di merito per ridurre chi ne ha diritto; siamo davvero
stufi!”. E la proposta degli studenti si basa sul superamento "di ricette
aziendalistiche e sulla centralità che l’istruzione universitaria deve
ritrovare per lo sviluppo del Paese”. (Fonte: R.it Blog 13-02-2015)
STUDENTI. 10 BUONI MOTIVI PER
ESSERE UNO STUDENTE FREQUENTANTE
Studiate
all'università e seguire quel corso piuttosto che un altro spesso è faticoso
quanto lavorare. Questo spinge molti universitari ad evitare, qualora non ne
abbiano l'obbligo, di frequentare alcune lezioni ritenute piuttosto semplici o
per le quali si pensa che il prof sia un incompetente. Eppure un buon motivo
per essere frequentante c'è sempre, anzi ce ne sono ben 10. Si possono leggere qui > http://tinyurl.com/qxyrpmh .
ATTIVITÀ A SCELTA DEGLI STUDENTI.
PARERE GENERALE DEL CUN
Su
richiesta del Ministero il CUN ha espresso il parere generale in merito alle
attività formative a scelta degli studenti nell'ambito dei regolamenti
didattici di Ateneo.
Leggi il
parere > https://www.cun.it/uploads/5754/parere_generale_n19.pdf?v=(21-02-2015)
STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO E
COMPETENZE TRA STATO E REGIONI
Nell’ambito
della ridefinizione del titolo V della Costituzione stiamo, infatti, assistendo
a una modifica dell’articolo 117 riguardante la suddivisione di competenze tra
Stato e Regioni: per la prima volta il diritto allo studio universitario sarà
citato esplicitamente nell’ambito delle competenze esclusive delle Regioni ma
solo per quanto riguarda la sua ‘promozione’. Dichiara Gianluca Scuccimarra,
coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari: “Si tratta di una novità
non di poco conto per il sistema del diritto allo studio italiano che, se la
riforma dovesse andare in porto, non sarebbe più competenza esclusiva delle Regioni.
Secondo l’interpretazione del relatore di maggioranza Fiano, infatti, con
questa nuova formulazione lo stato si riapproprierebbe del potere di “definizione
dei principi e delle regole di organizzazione del sistema, nonché
dell’elaborazione di piani per l’erogazione di borse di studio“. “In realtà la
formulazione del testo presente nella riforma si presta a diverse
interpretazioni e non chiarisce in pieno le responsabilità legate a questa
materia”, continua Scuccimarra, “ma se prevarrà l’interpretazione attuale, in
caso di approvazione, senza dubbio si aprirebbe uno scenario nuovo, con un
evidente spostamento di competenze dalle Regioni allo Stato”. Conclude
Scuccimarra “In questo scenario la priorità deve essere la garanzia di un
sistema non solo uniforme su tutto il territorio nazionale, ma veramente in
grado di garantire l’accesso all’istruzione superiore a tutti gli studenti
capaci anche se privi di mezzi, a partire dall’eliminazione della piaga degli
idonei non beneficiari”. (Fonte: da comunicato stampa dell’UDU pubblicato da
Roars 27-02-2014)
STUDENTI. TEST DI AMMISSIONE
ALL’UNIVERSITÀ BOCCONI IN QUARTA SUPERIORE
Alla
Bocconi hanno deciso che il test di ammissione possa essere svolto già in
quarta superiore. Gli studenti che hanno ancora davanti a sé un altro anno di
scuola, ma puntano ad iscriversi alla prestigiosa università privata milanese
nell’anno accademico 2016-2017, potranno conquistarsi un posto già nell’estate
di quest’anno, grazie al progetto “Scopri il tuo talento”. Il progetto accoppia
una tre giorni di orientamento, destinata agli studenti del penultimo anno
delle superiori, con la possibilità di provare il test di ammissione alla
Bocconi con un anno di anticipo. Ma questa opportunità non è per tutti: per poterne
usufruire bisogna aver avuto una media almeno pari all’8 al termine del terzo
anno. Le iscrizioni al progetto “Scopri il tuo talento” si sono aperte il 10
marzo 2015, e si chiuderanno il 22 aprile per la partecipazione congiunta alle
giornate di orientamento e al test di ammissione alla Bocconi, mentre andranno
avanti fino al 14 maggio prossimo per il solo test di selezione. La media per
poter sostenere il test già durante il quarto anno delle superiori viene
calcolata considerando i voti ottenuti in sei materie: italiano, storia,
inglese, matematica, più altre due materie a scelta.
L’ateneo
di via Sarfatti non è il primo a lanciare questa iniziativa. Il Politecnico di
Milano, ad esempio, dà questa opportunità alle aspiranti matricole di
Ingegneria a partire dal 2005, anche se la prova alla quale sono sottoposti gli
studenti non è un vero e proprio test selettivo, in quanto non è previsto un
numero rigidamente programmato di iscritti. (Fonte: universita.it 10-03-2015)
STUDENTI STRANIERI. Il LORO VALORE
IN TERMINI FINANZIARI
È ormai
internazionalmente riconosciuto il valore in termini finanziari degli studenti
stranieri, tanto che questa consapevolezza ha da tempo scatenato la corsa degli
atenei alla conquista delle loro immatricolazioni, calamite per finanziamenti
soprattutto in Europa. Negli Stati Uniti, durante l’anno accademico 2013/14,
gli 886.052 studenti internazionali e le loro famiglie hanno dato vita a
340.000 posti di lavoro (+8,5% rispetto al 2012/13) e contribuito all’economia
americana per 26,8 miliardi di dollari, incrementando così di quasi 12 punti
percentuali il guadagno rispetto all’anno precedente.
Se a
livello globale l’aumento delle immatricolazioni è guidato da studenti provenienti da nazioni
con reddito pro-capite medi e bassi, sono gli studenti di paesi a reddito
medio-alto a registrare un aumento vertiginoso, un +161% fra 2000 e il 2012 (+29%
è la media Ocse). In molti Paesi non Ocse ad alto reddito, come Russia, Arabia
Saudita, Emirati Arabi e Singapore, il meccanismo che dal 2006 guida l’iscrizione a università straniere è
oliato abbondantemente da iniziative dei governi domestici, come borse di
studio ed estesi programmi di mobilità. Secondo i dati dell’Institute of
International Education negli Stati Uniti gli studenti internazionali sono
aumentati del 55% fra il 2003 e il 2014; di questi, quasi i due terzi si
autofinanziano, circa 66.000 ricevono aiuti dal proprio governo e 50.000 sono
sponsorizzati da un datore di lavoro. In media gli Stati Uniti oggi spendono
per ogni studente straniero il 23% in meno che nel 2008. Eppure il tasso di
crescita delle immatricolazioni è in continua crescita. E il contributo netto
che questi studenti portano agli Stati Uniti è cresciuto del 72% rispetto
all’anno accademico 2007/2008, da 16 a 27 miliardi, con tre posti di lavoro creato ogni sette
studenti internazionali. (Fonte:
C. Mezzalira, IlBo 05-03-2015)
VARIE
INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA
CRUI STEFANO PALEARI SUL CORRIERE DI MILANO
Alla
vigilia di quello che il premier ha definito un anno costituente per
l'Università, anche i media prestano crescente attenzione al tema. Per questo è
importante la presa d'atto del percorso svolto fin qui. Anni fa ci lamentavano
di quattro situazioni: a) rettori a vita; b) finanziamenti a pioggia; c) assenza
di valutazione; d) concorsi locali. Oggi invece: a) il mandato dei rettori è
unico e di 6 anni; b) il 50% dei fondi 2015 è erogato su base competitiva; c)
c'è un'agenzia di valutazione che accredita i corsi di studio e l'attività di
ricerca; d) i concorsi prevedono la cosiddetta «abilitazione» per il ruolo di
professore. In questi anni sono però anche accadute altre cose: il Fondo di
finanziamento ordinario (Ffo), la principale voce che alimenta le università,
si è ridotto dei 12% per le statali e di oltre il 40% per le non statali; i
docenti e i ricercatori sono scesi da 62 a 52 mila unità e, con un turnover del
50% si è azzerato il numero di giovani professori e bloccato l'accesso ai
ricercatori. Il confronto con l'estero è impietoso: il nostro Ffo vale 100 euro
per abitante mentre quello di Francia e Germania è di 300 euro. Ultimo, la
burocrazia è tale per cui un piccolo ente locale e una grande università devono
seguire le stesse procedure di gestione. Per tutto questo, quando lamentiamo il
comportamento delle università milanesi in materia di selezione, non
dimentichiamoci di dire che esse sono state giudicate tra le migliori in Italia
per quanto attiene ricerca e attrattività degli studenti. E con riferimento al
reclutamento chiariamo due aspetti. Il primo è che per legge una quota minima
del 20% è riservata a «esterni», cioè a candidati non nei ruoli dell'università
che li bandisce. Il secondo è che un bravo ricercatore «interno» è giusto che
aspiri a diventar professore. E non vi è dubbio che le università milanesi,
così come altre università italiane, abbiano eccellenti ricercatori e
professori che meritano di veder riconosciuto il lavoro svolto. Certo, nel
reclutamento occorre sempre vigilare e contrastare vecchie abitudini ma stiamo
attenti a buttare il bambino con l'acqua sporca. Con spirito anglosassone, di
fronte a concorsi trasparenti, riconosciamo anche il merito (a ragion veduta)
dei vincitori. Solo così possiamo rispondere ai rilievi di chi vuole
un'università migliore. Facciamo critiche ma anche proposte. La Conferenza dei
rettori ha proposto come priorità l'ingresso del 20% dei migliori dottori di
ricerca selezionati secondo standard europei. Così come ha chiesto severità nel
reclutamento che, dallo scorso anno, rientra nella valutazione del ministero. E
altro ancora. Vogliamo un'università forte e vogliamo che le critiche ci
aiutino in questo perché puntuali e ben fondate. (Fonte: Stefano Paleari,
CorSera Milano 24-02-2915)
UNIVERSITÀ E RICERCA NON SONO UN
SECCHIO BUCATO. RIDURRE GLI ONERI DELLA VALUTAZIONE. RIDARE UN RUOLO AL MIUR
L’intervento
di Mario Ricciardi (Redazione Roars) a YOUniversity.Lab, “Giornata di ascolto e
di confronto con il mondo dell’Università e della Ricerca”, organizzata dal PD
a Roma il 26 febbraio, si è focalizzato su tre punti seguenti.
1. Il
sottofinanziamento del sistema dell’università e della ricerca:
università
e ricerca non sono un secchio bucato, ma sono elementi chiave per lo sviluppo
economico, sociale e civile di questo paese. Da qui si parte.
2.
Ridurre gli oneri della valutazione, che paiono allo stato sproporzionati:
assolutamente
no alla proliferazione burocratica alla quale abbiamo assistito negli ultimi
anni. Il processo che impropriamente viene chiamato riforma Gelmini era partito
sventolando la bandiera della libertà e si è concluso con una specie di mostro
burocratico di carattere sovietico. [...] Tra un po’ di tempo verrà anche il
momento di valutare i valutatori [...] bisognerà fare un ragionamento, come si
sta facendo in altri Paesi [...], per capire se c’è un modo per aiutare le
persone che sono incaricate di questo lavoro per fare ciò che stanno facendo,
non solo meglio, ma con un onere inferiore per i fondi pubblici.
3.
Riportare l’università al centro del dibattito pubblico italiano:
bisogna smettere
di scrivere le leggi nei retrobottega dei ministeri. Mi sembra preoccupante
quello che sta accadendo per l’abilitazione. Circolano voci di progetti di
revisione delle regole dell’abilitazione, sui quali, però, non c’è nessun tipo
di dibattito pubblico e rispetto ai quali sarebbe interessante sapere se il PD,
non dico abbia delle posizioni, ma almeno ne abbia notizia. Chiudo con un punto
che è politico, ma centrale: bisogna ridare un ruolo al MIUR. Non si può andare
avanti così, ci vuole una guida politica, una guida politica che si prenda la
responsabilità di pensare nel lungo periodo il sistema dell’università e della
ricerca. (Fonte: Roars 15-03-2015)
UNA VALUTAZIONE PROSPETTICA
INVECE DI UNA RETROGRADA
La
valutazione messa in atto nelle università (e nelle scuole) è solo di tipo
retrogrado: non solo essa ignora l’esistenza di differenziazioni interne ai
singoli atenei, ma si limita a sanzionare l’esistente senza fare nulla,
assolutamente nulla, per cambiarlo. Per fare ciò sarebbe necessaria una politica
opposta a quella attuale: effettuare una valutazione sì di accertamento (anche
se con altri sistemi rispetto a quelli sinora utilizzati), ma orientata a
interventi che – realtà per realtà, dipartimento per dipartimento – possano
portare ad un aumento del tasso di qualità. Per dirla all’ingrosso, se si
constata che un certo dipartimento ha un tasso di clientelismo e localismo
assai elevato è inutile punire l’esistente, in un’ottica moralistica,
attraverso la decurtazione delle risorse; bisognerebbe piuttosto finanziare, ad
es., solo assunzioni nella direzione della acquisizione di personale di alta
qualità (studiosi residenti all’estero, che abbiano certi requisiti, che siano
selezionati in modi particolari, o comunque provenienti da altre realtà universitarie
e così via); o incoraggiare l’internazionalizzazione, o migliorare i laboratori
e via dicendo. Insomma, piuttosto che dare o togliere quote di FFO all’intera
università, che non hanno altro effetto se non canalizzare le poche risorse
residue verso i gruppi più forti, oltre che a creare su scala nazionale il
modello dipolare, sarebbe necessaria una politica attenta alle specificità,
flessibile nelle sue soluzioni, e mirata allo sviluppo piuttosto che alla
depressione. Insomma una “politica dell’università”, analogamente a come
sarebbero anche necessarie una “politica industriale” (che manca), una
“politica dell’ambiente” (che manca) e una “politica della salute” (che manca),
ecc. In questa luce l’Anvur dovrebbe ridefinire radicalmente il proprio ruolo
nella direzione di uno organismo strumentale di accertamento delle situazioni
di difficoltà delle varie sede universitarie, in modo da fornire le
informazioni necessarie affinché possa essere decisa a livello politico la
strategia da seguire per superarle, di concerto con le singole università
interessate e le loro rappresentanze (come il CUN). (Fonte: F. Coniglione,
Roars 04-03-2015)
LA CODIFICAZIONE DIGITALE
ACCENTUA LA DIFFERENZA TRA DATI E INFORMAZIONE E NE SQUILIBRA IL RAPPORTO
Si stima
che nel 2020 ci saranno 500 miliardi di dispositivi connessi a Internet. Una
sovrabbondanza di dati in entrata e in uscita, ma il tempo quotidiano a
disposizione è e resta limitato. La selezione dei dati per costruire
informazione richiede tempo e risorse analitiche, sia sul lato dell’offerta che
della domanda. La codificazione digitale accentua – anziché ridurre – la
differenza tra dati e informazione e ne squilibra il rapporto. Per due motivi.
Il primo è la “datificazione” dell’informazione. Il secondo ne è una conseguenza:
la digitalizzazione espande più che proporzionalmente la produzione di dati,
poiché richiede la produzione supplementare di dati digitali (metadati)
necessari a generarli, classificarli, archiviarli, esplorarli e utilizzarli. La
codificazione digitale, infatti, decontestualizzando e atomizzando
l’informazione, esige che altra informazione venga generata per descriverla e
per collegarla ad altre descrizioni. La digitalizzazione e la circolazione in
rete accentuano le caratteristiche di autoreferenzialità e di autopropulsione
della produzione di dati, amplificando la scala della loro crescita. Le
imprese, la pubblica amministrazione, le organizzazioni non-profit, le aziende
sanitarie, i servizi di sicurezza, qualunque tipo di organizzazione che applica
tecnologie digitali di rete ai processi produttivi e gestionali generano
quantità ciclopiche di “big data” che si accumulano e lievitano per le loro
stesse procedure di raccolta e archiviazione, sono sovradimensionati rispetto
alle capacità analitiche dei database relazionali ordinari, non diventano
informazione. L’espansione della cosiddetta “Internet of Things” (IoT) e della
“Machine-to-Machine” (M2M) con cui i dati digitali vengono emanati e comunicati
direttamente da oggetti provvisti di sensori (autoveicoli, elettrodomestici,
impianti sanitari, etc.) o da “smart objects” tramite dispositivi di
comunicazione autonomi, contribuisce a far impennare in modo esponenziale la
produzione di dati digitali, dando luogo a quello che viene nominato “data
deluge” e stimato con unità di misura fantasmagoriche (exa-zetta-yottabyte). La
sovrapproduzione di dati digitali ostruisce il canale diretto tra utente e
informazione che ci si aspetta con l’accesso a Internet e al World Wide Web,
aumenta la necessità di operatori e servizi di intermediazione per navigare
nell’oceano dei dati, e quindi assegna un ruolo centrale agli intermediari che
si specializzano nella raccolta e nella gestione dei “big data”, per farli
parlare. Man mano che i dati si espandono, non è più possibile concentrare
nello stesso dispositivo l’accesso e l’archivio, occorre spostare i dati nella
“cloud” e delegarne la gestione, la ricerca, l’elaborazione agli specialisti.
(Fonte: P. Fariselli, mentepolitica.it 14-02-2015)
CONSIGLIO DI STATO. ORDINANZA CAUTELARE
ESCLUDE UNIVERSITÀ TELEMATICA DAI TFA, I TIROCINI FORMATIVI ATTIVI
Il
Consiglio di Stato boccia le università telematiche sui Tfa, i tirocini
formativi attivi indispensabili per chi vorrà diventare insegnante. Con
un'ordinanza cautelare (n. 00653/2015), infatti, la sesta sezione del CdS, su
ricorso del Comitato di coordinamento regionale delle università campane, ha
annullato la sospensiva concessa invece in prima istanza dal Tar Lazio
all'università telematica Pegaso. Che resta così esclusa per il momento
dall'elenco delle istituzioni che potranno realizzare i percorsi di Tfa. Per i
giudici di palazzo Spada la motivazione è chiara: il Tfa «comprende
l'espletamento di attività che necessariamente presuppongono la presenza fisica
dei partecipanti mediante la partecipazione a laboratori e attività presso
istituzioni scolastiche, che non possono essere soddisfatte in via telematica».
L'ordinanza cautelare però non chiude i giochi e Pegaso si giocherà il tutto in
fase di merito davanti al Tar Lazio. L'udienza è fissata per il prossimo 18
giugno. (Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 18-02-2015)
MIGLIAIA DI PERSONE A SERVIZIO DI
AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, COMUNI ED ENTI LOCALI IN ATTESA DEL COMPENSO ANCHE
PER ANNI
Avvocati
d’ufficio, docenti, revisori dei conti, custodi giudiziari, architetti,
ingegneri, maestri di scuola: tutti in attesa di essere pagati dallo Stato. I
numeri dei tempi d’attesa sono a tre zeri, e la crisi economica gonfia il
contatore, tanto che nell’ultimo anno in molti hanno gettato la spugna: 180
giorni per i commercialisti; 217 per gli architetti; 90 per i docenti a
contratto; da sei mesi a quattro anni per gli avvocati. Nel variegato bestiario
dei creditori la menzione di merito va ai docenti a contratto nelle università
italiane: un esercito di 26mila persone (dati 2013, ma i numeri sono in
crescita), asse portante di un sistema che ne abusa da anni. Per aggirare i
vincoli al turn over gli atenei di tutta Italia ricorrono sempre più spesso ai
contratti precari: sei mesi o un anno, cioè la durata di un corso, esami
compresi. Il costo si aggira tra i 50 euro lordi orari della Sapienza e i 25 di
Pescara, il minimo legale per corsi che in media non superano le 75 ore l’anno
(900 euro netti). “In molte università, soprattutto private – spiega Luisa
Paternicò, docente a contratto di Cinese alla Unint di Roma – rappresentano
l’80 per cento dei docenti. Purtroppo in quelle pubbliche i ritardi arrivano
fino a un anno. A volte non pagano proprio o bandiscono contratti gratis”.
Stesso discorso per la scuola, dove le supplenze vengono pagate con ritardi
fino a sei mesi (500 milioni l’arretrato). (Fonte: C. Di Foggia, FQ 24-02-2015)
SISTEMA D’ISTRUZIONE E GUADAGNI.
IL PREMIO NOBEL KRUGMAN TRADOTTO MALE
Sulla
pagina del Corriere.it del 9 marzo c’è un trafiletto a
firma di Paolo Romano dal titolo “La laurea non serve per fare soldi. La tesi
controcorrente di Krugman”. Che un elevato livello di istruzione serva a fare
soldi è una “fantasia poco seria”. Il virgolettato (secondo Corriere.it)
sarebbe di Paul Krugman, premio Nobel. Peccato che basti una mediocre
conoscenza della lingua inglese per comprendere che il senso dell’articolo di
Krugman era tutt’altro. Krugman, infatti, denuncia la pretestuosità dello
“skills gap” come spiegazione dei problemi di occupazione e di reddito che
dipendono piuttosto dall’aver incentivato le disuguaglianze economiche. Ecco quale era la “fantasia poco seria” per
Krugman: “the desire to see the whole thing as an education problem”. Quando in America un premio Nobel
dice che considerare le carenze del sistema di istruzione come la causa di
bassa crescita e crescente disuguaglianza è “a deeply unserious fantasy”, in
Italia diventa «una fantasia poco seria» pensare che un alto livello di
istruzione garantisca lavori migliori o salari più alti. (Fonte: B. Bruno, Roars
10-03-2015)
UNIVERSITÀ. AUTONOMIA,
RESPONSABILITÀ, VALUTAZIONE
Nella
sintesi della “Giornata di ascolto sull’università e la ricerca” promossa dal PD
(Roma 26-02-2015) si legge quanto segue a proposito di autonomia,
responsabilità e valutazione.
Le
Università nella loro autonomia devono essere libere di decidere cosa fare e
come farlo, ma debbono rendere conto alla società e alle istituzioni pubbliche,
dalle quali ricevono gran parte dei finanziamenti, rispetto a ciò che stanno
facendo e ai risultati che riescono a raggiungere.
Prevedere
livelli differenti di autonomia per gli atenei. Per valorizzare le
caratteristiche distintive degli atenei, favorendo lo sviluppo di un sistema di
higher education plurale come avviene nelle principali nazioni avanzate, è
necessario provvedere a fissare una pluralità di indicatori di qualità in modo
che gli atenei possano differenziarsi tra loro, scegliendo autonomamente
diversi aspetti su cui puntare e non inseguendo inutilmente tutti gli altri nel
tentativo di risalire i posti di una discutibile graduatoria fondata su un solo
indicatore che pondera e media tutti gli altri.
Ridefinizione
dei compiti dell’ANVUR, limitando la sua funzione a quella di realtà simili
nelle esperienze internazionali. L’Agenzia deve esercitare solo i compiti
connessi alla valutazione della ricerca e della didattica e la gestione
dell’accreditamento, senza generare inutili appesantimenti burocratici in una
miriade di microcompetenze e senza sostituire Governo e Parlamento. (Fonte: Sintesi della “Giornata di ascolto
sull’università e la ricerca” promossa dal partito democratico – Roma 26
febbraio 2015)
ATENEI. IT
UNIBO. NEL «PIANO DELLA
CONOSCENZA» DEL «GRANDE PROGETTO POMPEI» PRIMEGGIA L’ALMA MATER
Il
«Piano della Conoscenza» del «Grande Progetto Pompei» sarà scritto
dall'università di Bologna, l'unico ateneo italiano che si è aggiudicato
l'appalto da 700mila euro. Il dipartimento di storia culture e civiltà
dell’Alma Mater, diretto dal professor Giuseppe Sassatelli, è stato il «primo
della classe» rispetto ai dipartimenti delle altre università che hanno
partecipato al bando, comprese le due della Campania. «Siamo stati davvero
bravi - ha commentato il rettore Ivano Dionigi - altri dipartimenti
d'eccezione, come Roma, Firenze, Padova, Napoli e Lecce, non sono riusciti a
primeggiare». Tra i vincitori c'è anche l'università di Salerno, che però ha
partecipato al bando con una rete di imprese private creata ad hoc. L'ateneo
bolognese è quindi l'unico italiano a essersi aggiudicato uno dei sei lotti in
prima persona e in totale autonomia. Il piano prevede la realizzazione di una
planimetria di tutta la città antica in scala 1:50 e l'analisi delle unità
murarie, in modo tale da avere un modello 3D di tutte le strutture comprese nel
perimetro del lotto contrassegnato dal numero 3, a cui seguirà una schedatura
che ne valuterà l'esatto stato di degrado. Saranno inoltre realizzate scansioni
lasertridimensionali dei principali complessi abitativi, che confluiranno nel
database informatizzato finalizzato alla manutenzione futura. (Fonte: S.
Malafronte, Il Mattino 18-02-2015)
UNIBO. PIÙ DI 200MILA
PUBBLICAZIONI NEL CATALOGO ITALIANO DEI PERIODICI GESTITO DALL'AREA SISTEMI
DIPARTIMENTALI E DOCUMENTALI DELL'UNIBO
Traguardo
importante per Acnp, il Catalogo Italiano dei Periodici: sono più di 200mila le
pubblicazioni catalogate sulla piattaforma. Servizio gestito dall'Area Sistemi
Dipartimentali e Documentali dell'Università di Bologna, Acnp è uno strumento
di ricerca, ad accesso gratuito e raggiungibile da qualunque postazione
internet, che consente di conoscere i dati bibliografici di periodici italiani
e stranieri, su supporto cartaceo o elettronico, localizzare sul territorio
italiano le istituzioni che li possiedono e ottenerne una copia cartacea o
digitale. Fondato nel 1972 dall'Istituto di studi sulla ricerca e
documentazione scientifica del Consiglio nazionale delle ricerche, il progetto
Archivio Collettivo Nazionale dei Periodici rispondeva all'esigenza, grazie
anche alla collaborazione delle biblioteche che aderirono al progetto, di
fornire su supporto cartaceo o elettronico le registrazioni bibliografiche
delle pubblicazioni periodiche e localizzarne la disponibilità sul territorio
nazionale. Nel 1989 il Centro Interfacoltà per le Biblioteche (Cib)
dell'Università di Bologna, in accordo con l'Isrds, iniziò a caricare
l'archivio sul proprio sistema di interrogazione e, consentendone la libera
consultazione online, lo rese accessibile alla comunità scientifica
internazionale. (Fonte: AdnKronos 22-02-2015)
UNIBO. LABORATORIO CICLOPE
(CENTRE FOR INTERNATIONAL COOPERATION IN LONG PIPE EXPERIMENTS) REALIZZATO CON
IL CONTRIBUTO FONDAMENTALE DELL’UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
Inaugurazione
del laboratorio CICLoPE (Centre for International Cooperation in Long Pipe
Experiments), sabato 14 marzo presso il Teatro Comunale di Predappio (FC). Il
laboratorio nasce sotto gli auspici della comunità scientifica internazionale,
con l’idea di fornire una piattaforma sperimentale, unica al mondo per
precisione e qualità dei dati, per lo studio della turbolenza ad alti numeri di
Reynolds. E’ stato realizzato all’interno dei tunnel delle Ex-Industrie Caproni
a Predappio, concessi in comodato gratuito all’Università di Bologna
dall’Aeronautica Militare Italiana. Grazie alle dimensioni dei tunnel, alla
stabilità delle caratteristiche ambientali e alla assenza di disturbi esterni,
il CICLoPE sarà in grado di ospitare attrezzature capaci di riprodurre le
fenomenologie tipiche dei flussi reali garantendo un’estrema qualità dei dati
misurati.
Il
laboratorio è stato realizzato grazie ad una serie di finanziamenti della
Comunità Europea, veicolati dalla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito dei
programmi Obiettivo 2 e POR-FESR e con il contributo fondamentale
dell’Università di Bologna. (Fonte:
sassuolo2000.it 10-03-2015)
UNIBO. OCCUPAZIONI-PARTY IN AULE
CONTESE DA COLLETTIVI ANTAGONISTI
L'aula
di Lettere al numero 38 di via Zamboni ha attratto come una calamita le
irrequietezze dei movimenti studenteschi dal remoto '68 alla rivolta del '77,
fino alle occupazioni degli ultimi anni. Di recente però le occupazioni si sono
spesso trasformate in party veri e propri, con annessi dj e impianti di
amplificazione. Una situazione che sta provocando polemiche e malumori per
l'utilizzo improprio delle aule. I fondi poi, vengono utilizzati dai gruppi per
le loro attività politiche, comprese, sostiene il presidente della scuola di
Lettere e Beni culturali Costantino Marmo, «le spese legali per le denunce,
oppure le trasferte a Cremona o in Val Susa per partecipare alle
manifestazioni». C'è poi un'altra aula di Lettere, al numero 36 della stessa
via, che è occupata in pianta stabile: «E' un soppalco della biblioteca di
discipline umanistiche che è diventata la sede dell'ufficio del Cua (Collettivo
universitario autonomo, ndr), che qui svolge le sue consulenze e dove si
scaricavano anche libri piratati via internet», aggiunge il docente. E mentre a
Scienze politiche l'occupazione della mitologica aula C da parte degli
anarchici ha polverizzato tutti i record, dato che dura quasi ininterrottamente
da un quarto di secolo, a Lettere nelle ultime settimane la situazione si è
fatta tesa: dopo che una vetrata è andata in frantumi durante una delle famose
feste, è stato convocato un consiglio di dipartimento. «Al consiglio si sono
presentati gli esponenti del Cua e hanno interrotto la riunione - spiega il
professor Marmo -, al che noi li abbiamo denunciati per interruzione di
pubblico servizio». A questo punto si è mosso il senato accademico, annunciando
provvedimenti disciplinari a carico dei responsabili. Ma il clima si è
appesantito anche fra i diversi gruppi antagonisti, Cua da una parte e Hobo e
Labàs dall'altra, che si contendono gli stessi spazi per organizzarvi i party
di autofinanziamento e di recente sono pure venuti alle mani, pare proprio per
questo motivo. «Non l’intervento della polizia - precisa Marmo - piuttosto
servirebbe una squadra di buttafuori di venti persone per risolvere certe
situazioni. E' molto avvilente, questi giovani che fanno parte dei collettivi
sono contro qualsiasi regola e vogliono fare come pare a loro. E noi, a volte,
purtroppo siamo addirittura costretti a ridefinire la nostra attività in
funzione loro». (Fonte: F.
Giubilei, La Stampa 23-02-2015)
UNIPR GUIDA L’IMPORTANTE PROGETTO
EUROPEO, SUPRABARRIER, UN EUROPEAN INDUSTRIAL DOCTORATE (EID)
Si
chiama Suprabarrier, ed è un importante progetto europeo guidato
dall’Università di Parma nel campo dei materiali polimerici. Venerdì 27
febbraio è avvenuto il “kick-off meeting” del progetto, coordinato dal prof.
Enrico Dalcanale del Dipartimento di Chimica dell’Ateneo e finanziato per il
quadriennio 2015-2018 nell’ambito delle azioni Marie Sklodowska-Curie (MSCA)
del programma Horizon 2020. Il progetto ha la peculiarità di essere un European
Industrial Doctorate (EID), cioè un dottorato europeo gestito congiuntamente da
un Ateneo e un’azienda di paesi diversi. L’EID è una nuova iniziativa della
Commissione Europea, finalizzata a promuovere la collaborazione tra accademia e
industria nell’ambito dei programmi di dottorato. Il progetto Suprabarrier è
stato l’unico progetto italiano approvato nella prima “call” MSCA di Horizon
2020 sui 19 complessivamente finanziati e 101 presentati. Nello specifico,
Suprabarrier (SUPRAmolecular polyolefins as oxygen BARRIER materials) mira alla
preparazione di figure professionali di alto profilo specializzate nel settore
dei materiali polimerici di nuova generazione per il settore del packaging
alimentare e sanitario. Il progetto prevede il reclutamento di due studenti di
dottorato di ricerca, che svolgeranno la loro attività per metà tempo all’Università
di Parma e per l’altra metà nel centro di ricerca di Sabic, leader mondiale
nella produzione di poliolefine, a Geleen nei Paesi Bassi. Essi completeranno
la loro formazione internazionale con “secondments” nei Centri di ricerca Sabic
in Arabia Saudita (Gedda) e Cina (Shangai). (Fonte: parmadaily.it 23-02-2015)
RENZI: CI SONO UNIVERSITÀ DI
SERIE A E B NEI FATTI. PALEARI: A E B SONO UN MODO PER DIRE CHE CI SONO
FUNZIONI DIVERSE NEI DIVERSI ATENEI
Il
presidente del Consiglio si presenta al Politecnico di Torino, ateneo
dell'eccellenza italiana dove il 91 per cento degli ingegneri lavora un anno
dopo la laurea, e chiaramente dice: «Negare che vi siano diverse qualità
nell'università italiana è ridicolo. Ci sono università di serie A e B nei fatti
e rifiutare la logica del merito e la valutazione dentro le facoltà, pensare
che tutte possano essere uguali, è antidemocratico, non solo
antimeritocratico». Oggi, alla vigilia della chiusura del decreto "La
buona scuola" e dell'apertura della “Buona università", il presidente
del Consiglio esprime la sostanza del suo pensiero: «Non possiamo pensare di
portare tutte le novanta università italiane nella competizione globale, cosi
ci spazzerebbero via tutti quanti». Ancora: «Un grande ateneo ha il compito di stare
non sul mercato, ma nello scenario internazionale. Ci serve un passo in più
affinché le grandi realtà non siano stritolate dai confini amministrativi. Non
si può gestire il Politecnico di Torino come fosse un comune di cinquemila
persone». Il 2015 sarà un anno costituente per il mondo accademico, dice.
Stefano Paleari, presidente della Crui, è vicino a Renzi mentre lui dichiara. E
successivamente preferisce non aprire un fronte polemico: «Non ho letto
aggressività nelle parole del premier», dice Paleari, «le università di A e B
sono un modo per dire che ci sono funzioni diverse nei diversi atenei. Alcuni
stanno sul mercato internazionale, curano le eccellenze, altri sono veri e
propri insediamenti sociali in territori difficili. Resta il fatto che la qualità
media di tutti deve restare buona». Crede nell'anno costituente, Paleari:
«Nelle ultime cinque stagioni ci sono stati sottratti 800 milioni, abbiamo
perso diecimila ricercatori e tutti i docenti sotto i quarant'anni.
L'inversione di tendenza è obbligatoria, ma non sarà necessario chiudere
atenei. Il mondo accademico è cambiato dal 2011 a oggi. Non riceviamo più
finanziamenti a pioggia, non abbiamo più rettori a vita. Io ho 50 anni e a fine
anno torno a fare il professore e il ricercatore nella mia università di
Bergamo». (Fonte: La Repubblica 19-02-2015)
UNIBURO. IL MEPA, UN INTRALCIO
BUROCRATICO SENZA CONVENIENZA ECONOMICA IMPOSTO ALLE UNIVERSITÀ
Da
alcuni anni il MePa (Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione)
angustia burocraticamente l’esistenza di tutti coloro che lavorano nella
Pubblica Amministrazione, ma in particolare modo di chi opera nelle Università
e negli Enti di Ricerca. Si tratta di un sito web di commercio elettronico,
emanazione del CONSIP (Concessionaria Servizi Informativi Pubblici), messo a
disposizione delle pubbliche amministrazioni con il nobile scopo di facilitare
e rendere più convenienti gli approvvigionamenti di beni e servizi di importo
inferiore alla soglia comunitaria, in modo da risparmiare soldi pubblici. Peccato
che lo strumento informatico sia stato realizzato con criteri e logiche
obsolete, che sia macchinoso e complesso, che non sia affatto “messo a
disposizione” bensì imposto alla Pubblica Amministrazione, che non faciliti
proprio niente aggiungendo straordinaria complessità alle cose semplici, che
non si traduca in alcun risparmio o beneficio economico per la spesa pubblica
poiché si presta ad ogni genere di truffa. La trasmissione Report di Rai 3 ha
dedicato agli sprechi del MePa un’intera puntata, scegliendo esempi di
disservizi e assurdità anche in ambito universitario. Il MePa non è un mercato
elettronico perché è concepito in maniera burocratica e notarile, è tutt’altro
che semplice da usare e non ha alcun meccanismo di feedback. Chiunque può
iscriversi sul MePa, truffare la PA con clausole di servizio poco chiare, e la
PA non può difendersi dalle frodi se non per vie legali. (Fonte: N. Casagli, Roars 02-03-2015)
UE. ESTERO
EU. RAPPORTO EUA “DEFINE THEMATIC REPORT: FUNDING FOR
EXCELLENCE”
Il
recente Rapporto EUA “Define thematic report: funding for excellence” -
realizzato dall'EUA (European University Association) in collaborazione con la
Friedrich-Alexander Universität Erlangen-Nürnberg (Germania) e con le
Conferenze dei Rettori dei Paesi che hanno partecipato all'iniziativa - prende
in esame i meccanismi di finanziamento pubblico attivati in alcuni Paesi
europei per rafforzare l'eccellenza nel settore universitario.
Prima
delle tre indagini tematiche previste dal Progetto Define - che analizza l'efficienza
dei finanziamenti pubblici all'istruzione superiore - il Rapporto utilizza i
dati raccolti in 29 Paesi europei nel periodo 2000-2014, evidenziando
caratteristiche e obiettivi di alcune esperienze già realizzate. Ne emerge un
panorama molto variegato per quanto riguarda i meccanismi messi in atto dalle
istituzioni europee di istruzione superiore per utilizzare al meglio le
risorse. Per leggere il
rapporto > http://tinyurl.com/n8vhjg4 (09-02-2015)
DANIMARCA. I BENEFICI FINANZIARI
PORTATI DAGLI STUDENTI STRANIERI ALLO STATO
In
Danimarca, alla luce di uno studio pubblicato a febbraio, i benefici finanziari
portati dagli studenti stranieri allo Stato sono maggiori delle spese che
questo si sobbarca per far loro completare il percorso di studi universitari.
Nei 16 anni analizzati, dal 1996 al 2012, l’impatto degli studenti
internazionali in termini economici ha infatti prodotto in Danimarca un
guadagno netto per lo Stato di 24 milioni di dollari. Lo studio si spinge ad
affermare che finché le aziende danesi assumeranno un numero sufficiente di
laureati stranieri che rimangano per diversi anni, il beneficio economico per
lo Stato continuerà ad essere maggiore della spesa affrontata per la loro
formazione. Infatti le statistiche dicono che quasi il 40% degli studenti che
hanno studiato in quel Paese un anno dopo ci vive ancora, contribuendo così
alla forza lavoro locale. E chi è rimasto per più di un anno, mediamente non se
n’è andato prima di 5 anni e mezzo. Il ministro danese per l’educazione
superiore e la scienza, evidentemente convinto dall’equazione elaborata dagli
studiosi secondo cui per ogni 1.000 laureati trattenuti in Danimarca si
creerebbero fra i 1.000 e i 1.500 nuovi posti di lavoro, nel 2014 ha messo a punto
una serie di misure indirizzate a trattenere gli stranieri qualificati, che
vanno dalle facilitazioni per le aziende che li assumono, all’abbassamento
delle tasse sui salari, alle semplificazioni burocratiche per la green card,
per le operazioni bancarie e l’accesso alla sanità. La questione si fa ancora
più interessante se si considera che la Danimarca è la nazione con il sistema
di finanziamento e sostegno agli studi più favorevole al mondo e nella quale
non esistono tasse universitarie. In soli due anni, fra il 2012 e il 2014 sono
decuplicati i cittadini europei non danesi che hanno avuto accesso ai fondi per
l’istruzione di quel Paese, anche in seguito a una decisione della Corte
europea di giustizia che nel 2013 ha imposto alla Danimarca di estendere agli
studenti lavoratori dell’Unione europea i benefici del proprio programma per la
tutela del diritto allo studio, lo Statens Uddannelsesstøtte (SU). (Fonte: C.
Mezzalira, IlBo 05-03-2015)
GERMANIA. CHE COSA OFFRE IL SUO
SISTEMA EDUCATICO DIFFERENZIATO
In
Germania il sistema educativo differenziato offre non solo diversi livelli di
istruzione, ma anche percorsi articolati con passaggi dallo studio
all’applicazione pratica. Il ciclo intermedio (scuola media) introduce un
sistema cosiddetto “duale”, che prevede due luoghi atti al trasferimento del
sapere e delle competenze: la scuola professionale e l’azienda (apprendistato).
A questo
tema il volume “Educare alla cittadinanza, al lavoro ed all’innovazione. il modello
tedesco e proposte per l’italia” dedica consistente spazio, evidenziando le
differenze con l’Italia e ponendolo come «perno del rapporto tra educazione ed
economia» in Germania. Ma è a livello terziario che si apre una grande quantità
di offerte formative, sia a carattere umanistico-scientifico sia a carattere
tecnico-professionale. Oltre all’università organizzata in 3 cicli che portano
al conseguimento dei titoli di Bachelor, Master e PhD, vi sono altre 6 opzioni
formative, tra cui le Fachhochschulen e le Berufsakademien, entrambe altamente
professionalizzanti. Queste ultime, in particolare, sono strettamente collegate
alle istituzioni federali e regionali e ai rappresentanti del mondo del lavoro
(associazioni, imprese, organizzazioni sindacali, autorità garanti del lavoro,
etc.). In Germania, inoltre, i progetti di Ricerca & Sviluppo sono
allineati alle richieste della società e del mondo economico – che li sostiene
massicciamente. Questa collaborazione funziona in Germania principalmente per
due motivi: uno politico (la stabilità del sistema di governance e il generale
consenso-fiducia sulle regole e i poteri di garanzia della Repubblica Federale
Tedesca) e uno culturale (l’impegno etico-culturale delle parti sociali
economiche per una formazione di qualità dei giovani, futuri cittadini e
lavoratori). (Fonte: A. Soave, rivistauniversitas.it marzo 2015)
MACEDONIA. PROTESTE CONTRO LA
NUOVA LEGGE SULL’UNIVERSITÀ
Non si
fermano dal 10 dicembre scorso le manifestazioni che hanno visto scendere in piazza
a Skopje oltre 12.000 tra studenti e professori, in quella che è la più grande
ed intensa serie di manifestazioni a sfondo non etnico nella storia della
Macedonia indipendente. Motivo scatenante è stato il varo da parte del governo
conservatore, guidato dal Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone
del premier Nikola Gruevski, di una nuova e controversa legge riguardante il
sistema universitario che prevede l’introduzione di un esame a supervisione
statale che, a dire dell’Esecutivo, contribuirà a migliorare la qualità
dell’istruzione superiore. Di diverso avviso sono invece quelli che con il
mondo accademico e con i problemi dell’università hanno a che fare
quotidianamente: studenti e docenti si sono infatti dimostrati molto critici
nei confronti di questa riforma, organizzandosi in comitati volti a resistere
ed a far sentire la loro voce con manifestazioni di piazza ed occupazioni degli
istituti. (Fonte: G. Dolzani,
notiziegeopolitiche.net 01-03-2015)
SPAGNA. LA SEGRETARIA DI STATO
ALL’EDUCAZIONE: IL SISTEMA UNIVERSITARIO ATTUALE “NO ES SOSTENIBLE"
Quién, cuândo y cémo pagar la Universidad pública. La secretaria de Estado
de Educación, Montserrat Gomendio, enunciò ayer en voz alta estas tres
preguntas para pedir que se reabra el debate de la financiación de los campus
espanoles. El modelo actual "no es sostenible". Las universidades,
con un millón y medio de estudiantes, se financian principalmente con fondos
públicos provenientes de las comunidades autónomas, junto con las tasas que
pagan las familias, que se han disparado en los últimos tres anos en algunas
regiones.
El ministerio no prevé convocar reuniones con las comunidades ni los
rectores para abordar este asunto, según indica ayer Gomendio. La secretaria de
Estado no desgranó a qué cifras o estadisticas se refiere cuando defiende que
es "insostenible", en unas declaraciones que la oposición socialista
ve como "la ante-sala de una nueva reforma o re-corte adicional" en
educacion. Gomendio considerò ayer en un desayuno informativo de Europa Press
que es una "ecuaciôn imposible" que España tenga "una de las
tasas mâs bajas de matriculas, impuestos bajos y prâcticamente ninguna
seleccion [de alumnos] para acceder a la universidad" ademâs de que España
tiene "una de las mayores tasas de acceso" de la UE. Esto último
contradice los datos del informe de la OCDE al que remiten en su departamento.
Según recoge Education at a glance, la tasa de acceso de universitarios en
España es del 52%, cuatro puntos menos que la media europea (56%) y sels menos
que la media de la OCDE (58%). El 78,2% del gasto en educaciôn pública superior
española depende de fondos públicos, según un estudio de la Fundaciôn CyD, que
cifra un porcentaje similar al de los paises de la Uniôn Europea miembros de la
OCDE (77,3%) y superior en 10 puntos al global de esta. El dinero que aportan
las familias puede variar considerablemente de una comunidad autônoma a otra.
Un primer curso de Derecho en Madrid, por ejemplo, cuesta este curso casi tres
veces mâs que en Galicia o Medicina es el triple de caro en Cataluña que en
Andalucia. Frente a esto, estân las avudas públicas a las que también hizo
referencia Gomendio. España beca "a mâs del 20 % de los alumnos en la
universidad y, por lo tanto, es muy generoso", dijo. La cuantia de las
becas universitarias que reciben los alumnos, no obstante, ha caido 466 euros
de media basta quedar en 2.063 por estudiante y ano, con un descenso del 18%.
España dedica el 0,11% del PIB a las becas, casi una tercera parte que la OCDE
(0,31%) y muy alejado de lo que destina Estados Unidos (0,39%). (Fonte: P.
Alvarez, El Pais 24-02-2015)
UK. ANTISEMIITISMO ALLA LONDON UNIVERSITY
Neanche con
l'Iran che nega con decreto di Stato la verità storica della Shoah, si
impedisce la circolazione degli studenti di Teheran. Perché il boicottaggio
delle idee e delle persone è incivile, supera ogni limite di decenza. Il
boicottaggio contro le merci si può capire: può essere un errore, lo è quasi
sempre, ma non calpesta la dignità delle persone. Il boicottaggio contro i libri,
la ricerca, gli studenti, i professori è invece una barbarie contro la cultura,
il sapere, i valori stessi dell'Europa.
Purtroppo
alla prestigiosa School of Oriental and African Studies, prestigioso college
della Università di Londra, su sollecitazione del movimento antisraeliano Bda
(ovvero Boycott, Divestment, Sanctions, boicottaggio e sanzioni contro Israele)
l’Unione degli studenti ha indetto un referendum per sollecitare la rottura dei
rapporti proprio con l’Università ebraica e con altre istituzioni ebraiche. Ma
il guaio è che vi hanno preso parte anche dipendenti e docenti, persino gli
addetti alle pulizie. Il risultato, sconcertante, è che su circa 1.800 ragazzi
votanti, ben 1.283 (il 75%) si sono espressi per «tagliare» i rapporti con
Israele, spalleggiati dal 60% dei 300 accademici e dal 91% dei 40 lavoratori
che sistemano aule e corridoi. (Fonte: CorSera 09-03-2015)
UK. STUDENTI ITALIANI IN UK
AUMENTATI DEL 20% IN UN ANNO
Sempre
più studenti italiani fuggono in Inghilterra. Secondo dati recenti, nel 2014 le
matricole tricolori sul suolo britannico hanno raggiunto quota 11.685, pari al
10 per cento del totale degli studenti stranieri. Rispetto all’anno precedente,
il numero di coloro i quali hanno fatto le valigie e hanno lasciato il Bel Paese
per approdare in Inghilterra è aumentato del 20 per cento. Il Regno Unito si
conferma una delle mete preferite dai nostri giovani (si calcola che i nostri
connazionali che vi si sono trasferiti siano 600mila), ma se un tempo erano per
lo più i laureati a cercare fortuna professionale in Gran Bretagna, adesso
anche gli studenti italiani fuggono in Inghilterra. Così, tra i 44mila che nel
2014 hanno detto arrivederci all’Italia e si sono diretti verso la terra di Sua
Maestà la Regina Elisabetta II, il 50 per cento in più rispetto al 2013, c’è un
abbondante 26 per cento di studenti. Gli stranieri – italiani compresi –
scelgono la Gran Bretagna soprattutto per studiare Economia (28 per cento del
totale) e Ingegneria (scelta soprattutto per corsi di II livello). Manchester è
la città preferita dagli studenti internazionali (sono 13.320), seguita da
Londra con lo University College of London e la Queen Mary University. Molto gettonate sono anche Sheffield,
Birmingham, Glasgow, Cardiff e Liverpool. (Fonte: universita.it 27-02-2015)
UK. DEBITI D’ONORE DEGLI
STUDENTI: 330 MILIARDI DI STERLINE ENTRO IL 2044
Un
articolo del Guardian si occupa del debito crescente che grava sulle spalle
degli studenti universitari del Regno Unito da che le tasse universitarie sono
state elevate fino a un massimo di 9000 sterline e legate a programmi di
“prestiti d’onore”. Una misura, peraltro, che non sta scoraggiando i giovani
dall’iscriversi all’università, anche quando essi provengono dalle classi meno
agiate. In compenso, le proiezioni delle dimensioni del debito prevedono il
raggiungimento di cifre stratosferiche (330 miliardi di sterline) entro il
2044. D’altra parte, la competizione fra atenei è esplosa, generando una corsa
generalizzata al marketing. Una
politica sostenibile? (Fonte: Redazione Roars 11-03-2015)
LA LETTONIA ALLA GUIDA
DELL’EUROPA: IL PROGRAMMA DEL NUOVO SEMESTRE DI PRESIDENZA UE
La
Lettonia ha assunto la presidenza semestrale del Consiglio europeo da gennaio
2015. Le priorità della presidenza lettone sono le stesse definite insieme al
predecessore alla guida dell'Unione, l'Italia, e al successore, il Lussemburgo:
Competitive Europe, Digital Europe and Engaged Europe. Queste tre presidenze -
che si alternano nei tre semestri che vanno dalla seconda metà del 2014 a tutto
il 2015 - hanno come obiettivo comune il superamento definitivo della crisi
economica, il rilancio della crescita e dell'occupazione, e lo sviluppo delle
opportunità offerte dell'economia digitale. Pertanto, nell'agenda del semestre
di presidenza lettone viene rivolta grande attenzione al tema della ricerca e
dell'innovazione. Questo significa un impegno a sviluppare lo spazio europeo
della ricerca (ERA), la verifica della strategia di Europe 2020 e l'impegno ad
attrarre investimenti privati a lungo termine per migliorare e rafforzare la
cooperazione tra ricerca e industria. Per quanto riguarda i temi
dell'istruzione e della formazione, la Lettonia è impegnata a rafforzare il
legame tra istruzione e nuove sfide economiche e sociali che l'Unione sta vivendo.
Rispetto all'istruzione superiore, sotto la presidenza lettone ci sarà la
valutazione dei progressi del Processo di Bologna che sarà discussa in maggio
alla conferenza interministeriale di Erevan (Armenia). Inoltre, un sostegno
all'internazionalizzazione dell'istruzione superiore, e in particolare al
rafforzamento dei rapporti con i paesi asiatici, verrà dal 5° incontro ASEM dei
ministri dell'Istruzione che svolgerà a Riga il prossimo aprile. (Fonte: C. Finocchietti, rivistauniversitas
03-03-2015)
USA. SINGULARITY UNIVERSITY
Nel
labirinto di laboratori dell’Ames Research Center, l’istituto per la
sperimentazione scientifica di ultimissima generazione che la Nasa gestisce nel
cuore della Silicon Valley, c'è una organizzazione in erba ma estremamente ambiziosa,
e generosamente finanziata dai soldi del settore tecnologico, che nella
California settentrionale ha il suo cuore pulsante. Si chiama Singularity University ma, nonostante il nome, non è un
ateneo tradizionale, per quanto la formazione sia una componente essenziale
delle sue attività, che ne fanno un'istituzione ibrida. Singularity, che dal
punto di vista giuridico è una benefit corporation (una categoria di gruppi
for-profit riconosciuta in alcuni stati americani per via del fatto che questi
hanno, da statuto, obblighi che vanno oltre il semplice profitto e includono
anche un impatto positivo a livello sociale), è piuttosto un incrocio fra
gruppo filantropico, acceleratore di start-up, fondo di venture capital,
società coordinatrice di convegni internazionali e sede di una serie di corsi e
workshop tra i più originali al mondo.
“Singularity
è nata dal desiderio di capire come si possono usare le nuove tecnologie per
risolvere i grandi problemi del mondo contemporaneo, dalla povertà alla
scarsità d’acqua”, dice Chiara Giovenzana, modenese ex-studente di Singularity
che ne è poi diventata il direttore per il Community Engagement. Deve il
proprio nome al principio unificatore dell’utopia tecnologica, la Singolarità.
Ovvero, la prefigurazione del momento nel quale, grazie alle nuove tecnologie,
l'uomo potrà emanciparsi definitivamente, dal punto di vista delle facoltà
fisiche e soprattutto intellettive, dai suoi limiti biologici. Un'auspicata
nuova fase della storia umana che il New York Times descrive, non
acriticamente, come “un’epoca, forse anche solo vent’anni nel futuro, nella
quale una forma superiore di intelligenza dominerà e la vita prenderà una forma
alterata che, nel nostro limitato stato attuale, non possiamo né predire né
comprendere”. Il programma di punta di questa istituzione è il corso estivo, il
Graduate Studies Program, della durata di dieci settimane e dal costo
complessivo di circa 30.000 dollari. Vi prendono parte 80 studenti provenienti
da tutto il mondo e con bagagli personali e professionali anche molto diversi,
uniti soprattutto dal loro essere "sognatori" e dall’aver superato un
processo di selezione molto competitivo, cui partecipano migliaia di persone
ogni anno. (Fonte: V.
Pasquali, IlBo 25-02-2015)
USA. DOCENTI PRECARI
Negli
USA il 76% dei docenti operanti nell’istruzione terziaria sono dei precari
malpagati, spesso sotto la soglia di povertà. Il problema del precariato
universitario non deve essere considerato solo un problema interno all’accademia.
Un articolo tratteggia sinteticamente ed
efficacemente uno dei paradossi meno noti ma più significativi dell’higher
education statunitense. Bastano un paio di numeri per apprezzare le dimensioni
del problema: la retribuzione media per tenere un corso è $ 2.700; negli USA ci
si aspetta che su 40.000 postdoc solo il 15%
riuscirà ad ottenere una posizione accademica permanente. (Fonte: http://tinyurl.com/m9d9smf 24-02-2015)
LIBRI. DOSSIER. CONVEGNI
BUILDING UNIVERSITY. IN UNA
SOCIETÀ APERTA E COMPETITIVA
Autore:
Andrea Lombardinilo. Armando Editore, Roma, 2014. 448 pg.
Il
volume riesce a cogliere molteplici sfaccettature del processo riformistico
rispetto alle istanze socio-formative e agli esiti comunicazionali, come
sottolinea Mario Morcellini nella prefazione. È un documentato lavoro di
ricerca «focalizzato sulla dimensione comunicativa e culturale dei mutamenti in
atto nei nostri atenei, sospesi tra ansia di rinnovamento e ancoraggio
normativo». La dialettica tra passato, presente e futuro è la chiave
interpretativa cui si ispira il volume: la prima parte, infatti, è dedicata
alla sociologia dell’università, con riferimenti ad alcuni studiosi e classici
– non solo della letteratura sociologica – che pongono le basi per comprendere
meglio origini e successivi sviluppi del sistema, della sua mission e delle
riforme più recenti, in particolare di quelle didattiche e della governance,
arrivando a toccare diversi altri temi più o meno connessi a queste ultime, al
centro dei cambiamenti in corso. Su questi si concentrano sia la seconda parte
– puntando l’attenzione sulla L. 240/2010, anche in questo caso, sull’aspetto
socio-comunicativo, senza prescindere da un’analisi normativa – sia la terza,
nella quale vengono approfonditi, con uno sguardo al presente e al tempo stesso
alle prospettive evolutive del sistema, alcuni nodi quali razionalizzazione
dell’offerta formativa, comunicazione, riforma del lavoro, dottorato di
ricerca, diritto allo studio, accreditamento. Tra i meriti del volume, c’è la
scelta di aprire la narrazione con una lettura storico-sociologica che pone le
basi per l’interpretazione dei processi di mutamento, avvalendosi dei
contributi di sociologi, anche della comunicazione e dell’educazione, filosofi
e pedagogisti che si sono occupati di università. (Fonte: E. Valentini,
rivistauniversitas 12-03-2015)
LA NUOVA DISCIPLINA
AMMINISTRATIVA, FINANZIARIA E CONTABILE DEGLI ATENEI E I SUOI RIFLESSI
SULL'AUTONOMIA UNIVERSITARIA
Autore:
Vittoria Berlingò. Federalismi.it, n. 4/2015. 20 pg.
Appare
quanto mai opportuna una indagine diretta a verificare la rilevanza del nuovo
assetto normativo delineato dal d.lgs. n. 18 del 2012, rispetto ai tratti
fisionomici propri dell’autonomia universitaria, presidiati dall’art. 33, comma
6, della Costituzione, nel cui contesto si colloca anche l’aspetto
amministrativo-contabile (oltre a quello normativo ed organizzativo).
Sommario: 1. La nuova disciplina
amministrativa, finanziaria e contabile degli Atenei: indizi di un nuovo
„centralismo‟?. – 2. I testi normativi previgenti ed il loro rapporto con la
disciplina e il modello della contabilità di Stato (rectius pubblica).– 3. L’attuazione
della delega di cui all’art. 5, comma 2, della l. n. 240 del 2010, in combinato
disposto con le norme in materia di armonizzazione dei sistemi contabili. – 4.
Una possibile chiave di lettura: la contabilità pubblica come strumento di
governo e di indirizzo delle amministrazioni pubbliche. – 5. La tipizzazione
ministeriale del sistema di contabilità economico-patrimoniale. – 6. Le norme
di contabilità pubblica ed il sistema universitario. Considerazioni conclusive.
UN LIBRO E UN GIOCO CONTRO LA
CORRUZIONE
Si
chiama “Alla ricerca della legalità perduta. Gioca il tuo ruolo!” ed è il gioco
di ruolo ideato da un team di giovani ricercatori dell'Università di Bologna
(Valentina Aiello, Jacopo Fanti e Pierre Maurice Reverberi, coordinati dalla
docente Cristina Brasili) per spiegare come sconfiggere la corruzione. Il
progetto è ora raccolto in un libro presentato mercoledì 25 febbraio
nell'ambito dell'iniziativa 100 Passi verso la XX Giornata della Memoria e
dell'Impegno organizzata dall’associazione contro le mafie “Libera”. Il
progetto è nato per diffondere una vera e propria cultura di contrasto alla
corruzione, mediante una presa di coscienza collettiva dei costi economici e
sociali del fenomeno, ma non solo. Il vero intento dei ricercatori, infatti, è
quello di mostrare, attraverso la riproposizione di dinamiche reali, come il
fenomeno corruttivo possa essere combattuto grazie all’applicazione di leggi
efficaci e alla collaborazione di una cittadinanza educata alla legalità.
Il
volume è suddiviso in due parti: nelle prime pagine sono spiegate le regole del
gioco e le istruzioni per il suo uso e la sua diffusione. I capitoli
successivi, invece, entrano nel merito della ricerca del team accademico e si
concentrano nell’analisi del fenomeno corruttivo in diversi ambiti, tra cui
grandi opere, sicurezza alimentare e ambiente. “Il gioco è lo strumento
perfetto per far comprendere gli effetti devastanti che la corruzione esercita
sulle nostre vite, ma anche, e soprattutto, per mostrare che svolgendo al
meglio il nostro ruolo di cittadini possiamo vincere la battaglia per la
legalità e costruire un mondo senza corruzione" ha dichiarato la docente
coordinatrice. (Fonte: magazine.unibo.it 25-02-2015)
PAROLA DI SCIENZIATO. LA
CONOSCENZA RIDOTTA A OPINIONE
Francesca
Dragotto e Marco Ferrazzoli (a cura di). UniversItalia, Roma, 2014.
Il libro
affronta il tema della comunicazione scientifica dal punto di vista del comunicatore.
In tale chiave, gli autori dei vari capitoli si cimentano su eventi che hanno
segnato, nel nostro paese nei tempi più recenti, il rapporto
scienza-società-etica-politica: l’utilità dei vaccini, l’alimentazione, la
sperimentazione animale, il processo per il terremoto dell’Aquila, il bosone di
Higgs, il riscaldamento globale, l’omeopatia, la questione Stamina, l’etica
degli scienziati. Nel saggio introduttivo Marco Ferrazzoli, capo dell’Ufficio
stampa del CNR, fornisce uno stato dell’arte sulle problematiche riguardanti la
comunicazione scientifica con grande onestà intellettuale e competenza. Pone al
centro della riflessione il triangolo del processo di comunicazione: il
comunicatore, la fonte delle informazioni – ricercatore, accademico – e il destinatario
– spettatore, lettore, navigatore in internet, cittadino. Il mondo mediatico,
osserva, è segnato dalla tendenza al sensazionalismo, dalle dispute
ideologiche, dall’alternanza tra l’affastellamento di notizie confuse e
contraddittorie e il silenzio disinteressato, dall’eccessiva enfasi sugli
eventi emergenziali. Al contempo, i nuovi media consentono un’interazione tale
da abbattere quasi la distinzione tra fonti e destinatari dei messaggi, da far
coincidere consenso e ragione, da amplificare luoghi comuni e complottismi, da
indurre l’abitudine di ricevere qualsiasi risposta pressoché all’istante. Il
libro, che può essere definito un “Manuale delle giovani marmotte” per i
divulgatori, pone una domanda esistenziale: se sia preferibile che un professionista
della disseminazione scientifica provenga da una formazione specialistica o
meno. La salomonica risposta di Ferrazzoli è che, in entrambi i casi, è
indispensabile perseguire, con la massima dose di onestà intellettuale e di
curiosa ignoranza socratica, il migliore equilibrio possibile tra rigore dei
contenuti e interesse per la notizia. Ma, messo alle strette dal suo stesso
argomentare, dà una implicita risposta citando il fatto che Piero Angela,
massimo divulgatore scientifico nazionale, ha iniziato la carriera come
cronista. (Fonte: G. Sirilli,
Roars 01-03-2015)
LA ZONA DEGLI ASTEROIDI.
L’UNIVERSITÀ E LA CITTÀ. DUE MONDI PARALLELI
Luca
Doninelli (a cura di). Guerini e Associati, Milano 2014, pp. 160.
Chiaro
fin dal titolo, questa raccolta di racconti scritti dagli allievi della Scuola
Flannery O’Connor diretta dallo scrittore Luca Doninelli rappresenta in modo
goliardico l’intricato e quasi impossibile intreccio di rapporti che collega
l’Università alla città in cui ha sede.
Sarà la sua origine di fenomeno pressoché nomade, sarà lo stile di vita
che essa impone, sta di fatto che l'università appare spesso come un corpo
estraneo nel tessuto urbano: la zona degli asteroidi. Forse perché il suo scopo
è quello di poter illuminare la realtà non "da fuori" bensì "da
dentro". Qui le schiume del sapere che anche i mezzi d'informazione
riversano sulla popolazione col loro tasso di approssimazione e di errore (dati
erronei, citazioni sbagliate, le ondate melmose cariche di relitti, di rifiuti,
di scarti) di cui la cultura urbana non si può liberare, tutto questo
s'interrompe. La maggior parte delle storie qui raccolte, alcune davvero
esilaranti, ruotano intorno alla diversità e capacità dei luoghi universitari
di produrre e alimentare un'antropologia a parte. Persone che ci vivono o
potrebbero viverci dentro o durante, o a vita, perché in quel tempo si
concentrano i ricordi più belli, le amicizie più durature, l'armi, gli amori.
Un po' come le loro facciate che promettono ordine e disciplina, ma che poi si
disperdono in un labirinto di cunicoli e nascondigli. Ma l'università non era
nata per il motivo opposto, per ricondurre le nostre menti erranti allo
splendore e alla semplicità del Vero? Prefazione di Mauro Magatti. (Fonte: F. Bellezza, marzo 2015)
EDUCARE ALLA CITTADINANZA, AL
LAVORO E ALL’INNOVAZIONE. Il modello tedesco e proposte per l’Italia
Editore:
Associazione Treellle, Fondazione Rocca, 2014. La pubblicazione è scaricabile
dal seguente link http://www.inumeridacambiare.it .
L'Associazione
TreeLLLe e la Fondazione Rocca con questo volume oggi propongono una nuova
ricerca, questa volta centrata sulla Germania e in particolare su alcune
peculiarità del suo sistema educativo a confronto con il nostro e sulle ben più
rilevanti risorse (pubbliche e private) investite in ricerca e innovazione. Il
titolo di questa pubblicazione "Educare alla cittadinanza, al lavoro e
alla innovazione" ne sottolinea gli elementi di differenziazione e gli
obiettivi strategici sottesi. Ovviamente sul ben noto successo della Germania
giocano varie ragioni: il consenso su valori di fondo (etica del lavoro e
spirito di cooperazione), l'investimento sulla cultura democratica tra i
giovani, i principi della economia sociale di mercato condivisi fin dagli anni
60, una dialettica non antagonista tra lavoratori e imprenditori e soprattutto
una invidiabile stabilità del sistema istituzionale e di conduzione politica:
solo otto cancellieri in settant'anni! Dell'Italia di questi aspetti non si può
dire altrettanto anche se ha altri meriti e rimane uno dei principali paesi
avanzati. Tra i fattori più importanti della salute di cui godono l'economia e
la società tedesca rientra certamente il sistema educativo. (Fonte: http://tinyurl.com/m3vpvdp
marzo 2015)
GLOBAL OPPORTUNITIES AND CHALLENGES FOR HIGHER
EDUCATION LEADERS: BRIEFS ON KEY THEMES
Laura E. Rumbley,
Robin Matross Helms, Patti McGill Peterson, Philip G. Altbach (eds.).
Sense Publishers,
Rotterdam-The Netherlands 2014, pp. 253.
Il
volume – della serie specificamente destinata dall’American Council on
Education (ACE) e dal Boston College Center for International Higher Education
(CIHE) agli amministratori universitari – intende offrire loro concreti argomenti
da approfondire e da analizzare, modalità ed esempi in positivo o in negativo
da seguire o da evitare, per ampliare le conoscenze ed assumere le giuste
decisioni. In particolare viene presentata al lettore un’ampia ma agile (ogni
articolo non supera le 1.000 parole) rassegna di contributi di esperti del
settore (rettori, docenti, amministratori, etc.), che si soffermano sui
differenti aspetti del global engagement, prestando attenzione al contesto
americano per poi spaziare all’applicabilità nel resto del mondo. La
pubblicazione – suddivisa in quattro parti oltre ad un’ampia introduzione – nel
capitolo iniziale esplora le varie modalità di approccio e di sviluppo della
cooperazione internazionale. Vengono evidenziati in particolare, oltre ai
meccanismi più tradizionali di attività, le prospettive e le ricadute
particolari, legate alla tipologia delle singole istituzioni (ad esempio,
università propriamente dette, community colleges, etc.) e agli aspetti
particolari relativi ai consorzi e alle reti internazionali, alla creazione di
campus all’estero nonché al rilascio di titoli di studio accademici doppi o
congiunti (in crescita soprattutto in Cina, Francia, Germania, Spagna e Stati
Uniti). I rimanenti tre capitoli sono dedicati alla localizzazione nel panorama
mondiale di alcuni modelli di partnership finora avviati in Cina, India e
Sudamerica, che da soli originano circa un terzo degli studenti internazionali,
ma i cui ampi e complessi sistemi di istruzione superiore rappresentano ancora
un territorio inesplorato per molti operatori universitari. Il volume si legge qui http://tinyurl.com/pt9ac5s .
THE DEVELOPMENT OF RESEARCH ASSESSMENT IN THE UK AND
ITALY:
COSTLY AND DIFFICULT, BUT PROBABLY WORTH (FOR A WHILE)
Autori: Aldo Geuna e Matteo Piolatto, LEI&BRICK Working Paper 5/2014.
Abstract. This
paper provides a comparative analysis of the development of the UK and Italian
university research funding systems with special focus on research assessment
and its costs. Much of the debate
surrounding the value of research assessment and allocation systems hinges on
the disadvantages of implementation versus benefits, while there is very little
evidence either on its absolute cost or on the cost relative to other
allocation systems. Our objective has been to put together the best possible
estimates of these costs to inform the ongoing debate. As the experience of the
Research Assessment Exercise (RAE) in the UK clearly shows, performance-based
research funding is neither easy to develop, nor to implement and it is not
readily accepted by the academic community. The Italian research assessment was
inspired by the UK RAE and it has benefited from that experience. However, also
in the Italian case its implementation was marred by problems and it was
resisted by part of the academic community. The potential efficiency gains from
research assessment-based allocation system depend on the concentration level
and on the reliance on other competitive systems for research funding. The UK
and Italy are in opposite situations. For the former further increase in the
use of selective systems might well result in minimal benefits that do not
cover the additional costs, while for the latter there are quite some margins
for efficiency improvements and therefore the benefits gained through selective
systems can outweigh the costs. (Fonte: Prefazione degli autori)
LA VALUTAZIONE NEL SISTEMA
UNIVERSITARIO. ELEMENTI PER UN BILANCIO
Seminario.
Roma, mercoledì 25 marzo 2015, ore 10.30.
Il
Seminario si concentra, in sintonia con iniziative seminariali promosse da
Società scientifiche e altri organismi, sulla necessità di rileggere il ruolo
dell’ANVUR e più complessivamente la prima fase della valutazione italiana in
un’ottica di ricapitolazione storica e di analisi dell’impatto della
valutazione. Si tratta della parola chiave che più diffusamente si è associata
– nella percezione di tutti – al cambiamento radicale dell'esperienza universitaria,
caricandosi dunque di aspettative più o meno disattese ed anche concentrando
l'attenzione di quanti considerano il cambiamento un attacco alle sicurezze e
alle rendite di posizione consolidate. Sgombrando il campo da giudizi di questo
genere, il Seminario vuole avviare un primo resoconto dell'esperienza della
valutazione e dell'Anvur, per un giudizio storico meditato e comunque decisivo
per costruire il futuro. Per
informazioni: interconferenza@gmail.com
.