lunedì 17 dicembre 2018

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N. 7 18-12-2018






IN EVIDENZA



52° RAPPORTO CENSIS SU SITUAZIONE SOCIALE: EDUCAZIONE TERZIARIA. RICERCA. CORSI INTERNAZIONALI. INVESTIMENTI

Educazione terziaria: in Italia si spendono 11.257 $ per studente (7.352 $ se si escludono le spese per ricerca e sviluppo), mentre la media europea è pari a 15.998 $ (11.132 $ senza la R&S), con una differenza dunque di ben 4.741 $ (il 42% in più).

La spesa pubblica destinata in Italia alla ricerca è scesa da poco meno di 10 miliardi di euro nel 2008 a poco più di 8,5 miliardi nel 2017. Nel periodo è passata da 157,5 euro per abitante a 119,3 euro.

Il 78,4% degli italiani utilizza internet, il 73,8% gli smartphone con connessioni mobili e il 72,5% i social network. Per i giovani (14-29 anni) le percentuali salgono rispettivamente al 90,2%, all'86,3% e all'85,1%. Spesa per telefoni +221,6% nel decennio 2007-17.

I corsi a carattere internazionale nell'a. a. 2017-2018 sono 862, di cui 341 tutti e 161 parzialmente in inglese. Rispetto a 2 anni prima, i corsi in lingua italiana sono diminuiti del 2,1%, quelli tutti (+37,5%) o in parte (+147,7%) in inglese sono molto cresciuti.

Sono ingegneria-architettura e il gruppo economico-statistico le due aree disciplinari che accolgono le quote più alte di corsi universitari a carattere internazionale, rispettivamente con il 34,4% e il 31,8% del totale.

18% il tasso d'abbandono precoce dei percorsi d’istruzione dei giovani 18-24enni (media europea 10,6%). In 10 anni: da 236 a 99 i giovani laureati occupati ogni 100 anziani, da 249 a 143 i lavoratori laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani.

Alla sproporzione tra investimenti nei segmenti scolastici iniziali e l'Università (meno finanziata) si è sostituito "un omogeneo volare basso": investiamo il 3,9% del Pil, mentre la media europea è 4,7%. Investono meno di noi solo Slovacchia (3,8%), Romania (3,7%), Bulgaria (3,4%) e Irlanda (3,3%). (Fonte: http://www.censis.it 07-12-18)



ASSUNZIONI DI DOCENTI ANNUNCIATE DAL MINISTRO BUSSETTI

E’ annunciata dal ministro Busetti un’operazione in due tempi nelle prossime settimane che prevede assunzioni di docenti nelle università, riferisce il Sole24Ore. L’intervento passerà da una revisione del meccanismo dei “punti organico" che governa le assunzioni negli atenei. Il primo atto sarà lo sblocco del decreto ministeriale con i 2.038 "punti organico" validi per il 2018 che finora era rimasto congelato. E che assicurerà l'assunzione dei primi 2mila docenti considerando che un ordinario corrisponde a un punto e un associato a 0,7. Con una novità di rilievo nella ripartizione ateneo per ateneo: sarà eliminato il tetto del 110%, delle proprie cessazioni valido per tutti. Come? Dopo aver assicurato a tutte le università il 50% del proprio turnover, si attribuirà il restante 50% sulla base del livello di virtuosità dei bilanci. Più i conti saranno in ordine, più avranno mani libere. Il secondo intervento arriverà con un emendamento alla legge di bilancio all'esame di Palazzo Madama, che incrementerà le facoltà di assunzione "normali" del sistema universitario (100% del turn over sull'intero territorio nazionale) con 220 punti organico nel 2019 e altri 220 nel 2020. Almeno altri 440 posti, dunque. Riservati stavolta alle università virtuose. Una misura che si somma ai nuovi 1000 ricercatori di tipo b - quelli con tenure track - già contenuta nel testo ordinario della manovra e che potrebbe essere affiancata, grazie a un altro emendamento allo studio, da una prima "infornata" di ricercatori a tempo indeterminato. Previsti dalla riforma Gelmini del 2010 ma rimasti sulla carta. (Fonte: E. Bruno, IlSole24Ore 13-12-18)



GLI OBIETTIVI DELLE SELEZIONI PRELIMINARI (ACCESSO A NUMERO CHIUSO) IN UNA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

Nella loro disamina, su un caso di richiesta di accesso a un corso di laurea senza affrontare il test d’ingresso, i giudici del massimo consesso del Consiglio di Stato partono con lo stabilire che per l’iscrizione a un corso di laurea, quale esso sia, è necessario possedere il diploma quinquennale. L’altro passo è capire, nel caso in questione, se il titolo di massofisioterapista può, seppure conseguito in tre anni, essere considerato equipollente al diploma quinquennale per l’accesso al corso di laurea in Fisioterapia. La risposta è negativa. Va, però, ricordato che i richiedenti hanno dimostrato di possedere anche il diploma di scuola superiore. Si pone, pertanto, un’ulteriore domanda: l’unione dei due titoli permette di iscriversi al corso di laurea in Fisioterapia senza sostenere i test di ingresso, accedendo direttamente - come chiedevano i professionisti - al terzo anno? Se la ragione del test di ingresso fosse solo quella - come sostenevano i richiedenti - di accertare la predisposizione del candidato alle materie del corso di laurea, allora non ci sarebbero dubbi che per i massofisioterapisti tale sbarramento sarebbe superfluo, perché loro già si sono cimentati con quei temi. Però - chiarisce l’Adunanza plenaria del CdS con sentenza in data 17 ottobre 2018 - “le prove di ammissione ai corsi universitari ad accesso programmato, di cui all’art. 4 della l. 2 agosto 1999, n. 264, si collocano nel punto di intersezione di più esigenze e rispondono contemporaneamente a più funzioni. Se ne possono indicare, in via riassuntiva ma non esaustiva, almeno tre: a) verificare la sussistenza dei requisiti di cultura per lo studente che aspira ad essere accolto per la prima volta nel sistema universitario; b) garantire l’offerta di livelli di istruzione adeguati alle capacità formative degli atenei; c) consentire la circolazione nell’ambito dell’Unione europea delle qualifiche conseguite. Inoltre, ribadisce il consesso che “il limite numerico” è “elemento ineludibile, perché posto a garanzia di qualità dell'insegnamento secondo gli standard europei”. Infine Il CdS conclude che “si rende arduo ritenere che il requisito del previo superamento della prova di ammissione possa essere escluso sulla base di una osservazione angusta, limitata unicamente ai requisiti posseduti dal candidato partecipante, ponendo in disparte la plurifunzionalità dell’istituto selettivo”. (Fonte: A. Cherchi, IlSole24Ore 10-11-18)



L’ACCESSO ALL’UNIVERSITÀ TRA NUMERO PROGRAMMATO, SOPRANNUMERO GIUDIZIARIO E DEMAGOGIA RICORRENTE

Recenti proposte di fonte governativa di abolire il numero chiuso per l’accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, e di applicare invece il c.d. sistema francese, hanno fatto tornare d’attualità l’articolo di Paolo Stefano Marcato pubblicato sul tema nel webmagazine “Informazioni universitarie” (15-09-14) quando la ex ministra Giannini nel 2014 aveva avanzato analoga proposta. Segue il testo dell’articolo.



La regolamentazione delle immatricolazioni (numero chiuso o programmato o controllato) è stata per decenni, nella seconda metà del secolo scorso, un tema demonizzato dallo “sciocchezzaio ideologico e dalle fumisterie parademocratiche” (http://tinyurl.com/okoeuz8 ) al servizio di un’italica demagogia imperante che ha contribuito non poco al tentativo di squalificare l’università pubblica. Tuttavia, prima della liberalizzazione degli accessi all’università per tutti i diplomati dell’istruzione secondaria superiore (legge 11 dicembre 1969, n. 910, “liberalizzazione degli accessi universitari”) il numero chiuso era un tema su cui si sbatteva come contro un muro dato che gli accessi erano per legge preliminarmente discriminati dal tipo di istruzione secondaria frequentato. Con l’avvento dell’università di massa promosso da quella legge, il tabù demagogico dell’accesso indiscriminato si è rafforzato ma ha anche cominciato anno dopo anno a infrangersi contro la ragione. Che, vista la pletora delle iscrizioni, spesso sproporzionata ai contenitori e alla qualità dell’insegnamento, imponeva di valutare la possibilità dei singoli studenti di frequentare con profitto un determinato corso di studi regolato a misura di un definito numero di immatricolati, bilanciando le legittime attese dei giovani alle effettive disponibilità di docenti e strutture didattiche dei corsi. Le associazioni studentesche hanno tuttavia seguitato ad opporsi al numero chiuso, ritenendolo anche di recente “un abuso ingiustificato, che peggiora la qualità complessiva, favorisce i clientelismi, protegge le corporazioni e permette allo stato di non investire sull’università per quanto sarebbe necessario”.

Fino al 1999 è mancata una legge che disciplinasse in modo definitivo e omogeneo l'accesso ai corsi universitari a numero programmato. A fare chiarezza sulla questione è intervenuta dapprima la Corte Costituzionale che, già nel 1998 (sentenza 383, 27-11), ha dichiarato il numero programmato una misura legittima e non lesiva del diritto allo studio e, poco tempo dopo, la Legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accessi ai corsi universitari) che ha stabilito i corsi universitari i cui accessi sono programmati a livello nazionale: Corsi di Medicina e chirurgia, Medicina veterinaria, Odontoiatria e protesi dentaria; Corsi di Architettura; Corsi di primo livello dell'area sanitaria; Corsi in Scienze della formazione primaria; Corsi universitari di nuova istituzione o attivazione, per un numero di anni corrispondente alla durata legale del corso; Corsi di laurea per i quali l'ordinamento didattico preveda l'utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione; Corsi di diploma universitario (oggi sostituiti e riformati dai corsi di laurea triennali) per i quali l'ordinamento didattico preveda l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo. Per ogni corso di laurea ad accesso regolato, il Ministro stabilisce annualmente il numero massimo di posti disponibili sul territorio nazionale suddivisi per sede.

Va anche ricordato che l'istituzione del numero programmato in alcuni corsi universitari (Medicina e Chirurgia, Medicina Veterinaria, Odontoiatria e Protesi Dentaria) è norma di legge che recepisce raccomandazioni della Comunità europea volte ad armonizzare i sistemi di formazione nazionali e a rendere omogenee le caratteristiche professionali di figure come il medico o il dentista, in modo che possano muoversi liberamente nella Comunità Europea esercitando il proprio lavoro.

Nelle università il numero chiuso è ormai un dato acquisito e si è esteso da Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura a moltissimi altri corsi di laurea, che, localmente, hanno iniziato ad applicare i test selettivi per l’immatricolazione: i corsi a numero programmato in tutta Italia sono oggi (tutti i dati seguenti sono riferiti al 2014; per l’aggiornamento al 2018 si veda qui e qui ) 1.687 su 4.311, il 39 per cento. L'Università di Padova, ad esempio, prevede a "numero controllato" Economia, Psicologia, Agraria, Fisica, Scienze dell'educazione. A Palermo il test per entrare a Scienze di base e applicate è stato affrontato da 4.045 candidati: 1.358 i posti disponibili. Alla Ca' Foscari di Venezia in 2.973 hanno provato a entrare alla fine di agosto ai sei corsi di laurea (linguistici ed economici) ad accesso programmato. L'Università di Parma ha diciotto corsi chiusi. Giurisprudenza è a numero chiuso a Roma Tre, a Firenze, a Catania, a Palermo. Biologia è nella totalità dei casi a numero chiuso. La partecipazione alla prova selettiva iniziale per i corsi dell'Università di Milano-Bicocca quest'anno ha segnato un +49,6 per cento. A Bologna i corsi con lo sbarramento erano 61 nel 2013 e quest’anno ad aprile al test per Medicina si sono presentati in 2.835 per 440 posti. L'Anvur, il guardiano della valutazione, segnala che nei corsi ad accesso programmato, come Medicina, ci sono tassi bassi di abbandono, un’elevata quota di laureati regolari e un minor numero di iscritti fuori corso (http://tinyurl.com/lk49c3l ).

I test per l’accesso ai corsi e in particolare per l’accesso a Medicina e chirurgia sono entrati quest’anno nell’occhio del ciclone per l’effetto combinato di errori del MIUR e di ricorsi vinti dagli studenti davanti alla giustizia amministrativa.

Da parte del MIUR si è incappati nel (o non si è stati capaci d’impedire il) venir meno di uno dei principi cardini del test, l'anonimato: la modulistica stampata dal MIUR era facilmente decrittabile, con la possibilità di accoppiare il nome del ricorrente al codice personale della prova. In particolare il codice numerico aveva una prima parte uguale per tutti gli studenti della medesima aula e le ultime tre cifre, facilmente memorizzabili, individuavano il posto ed erano quindi abbinabili alla persona. È stato lo stesso MIUR a rendersi conto nei giorni precedenti il test del potenziale pasticcio e ha provato con telefonate a suggerire delle soluzioni agli atenei, come far imbustare separatamente il modulo con il nome e il codice. Ma le buste utilizzate dalle università, reperite all'ultimo momento utile, non garantivano la riservatezza perché erano leggibili in trasparenza. Una volta recuperati i moduli della persona da aiutare, era facilissimo correggere a penna le domande sbagliate perché la possibilità di ripensare le risposte date era esplicitamente prevista.

I Tar da parte loro hanno disposto in via cautelativa il diritto dei ricorrenti, come «risarcimento in forma specifica», a iscriversi anche se sono stati bocciati ai test e persino se non hanno risposto neppure a una domanda. In tal modo la lista dei 10.551 vincitori ufficiali del test per Medicina si è gonfiata di almeno 2.500 soggetti e altri 300 studenti potranno iscriversi ai corsi di Medicina a Palermo perché così hanno deciso i giudici del Consiglio di giustizia amministrativa. Ma il Tar del Lazio il 10 ottobre ha riconosciuto anche ad altri 2.500 ricorrenti il diritto all’iscrizione ai corsi di Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura, numero che si somma alle precedenti 2.500 immatricolazioni obbligatorie, sentenziate a luglio e a settembre dopo il maxi ricorso presentato dall’Unione degli universitari (http://tinyurl.com/lxe3x6e  ).

Oltre al “numero chiuso” l’Italia ha così inventato il “soprannumero”. Dunque gli studenti che hanno ottenuto un buon risultato al test, senza risultare tra i vincitori, si vedono scavalcare per un’ordinanza del Tar da chi ha fatto ricorso e magari non ha neppure ottenuto i 20 punti della sufficienza. Infine anche il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso di due studenti con una sentenza che recita: «A causa delle illustrate inadempienze riscontrate nell'attività dell'amministrazione - violazione dell'anonimato - le parti sono state illegittimamente private della possibilità di iscriversi alla facoltà cui aspiravano, subendo di conseguenza i relativi danni, anche in termini economici» (http://tinyurl.com/mk7x2w7 ).

Rimane la mesta constatazione che lo Stato non ha saputo né garantire la regolarità del concorso né ha preso provvedimenti idonei a rimediare in extremis alla situazione anomala. Non si può, infatti, giudicare un vero rimedio la circolare del MIUR del 23 settembre che ha disposto che i vincitori dei ricorsi al Tar del Lazio per l'ammissione in sovrannumero ai corsi di Medicina (sono 2.500) dovranno essere assegnati all'università in cui "risulta minimo lo scarto tra il punteggio del primo in graduatoria e il punteggio ottenuto dal ricorrente". Ovvero, tenendo conto delle sedi richieste dal candidato (escluso al test e riammesso da un Tar), la nuova matricola andrà là dove si avvicina di più ai voti dei migliori. Ma una nuova circolare del MIUR del 6 ottobre ha sbloccato il blocco delle iscrizioni laddove le ordinanze del Tar sono chiare ed esplicitano la sede cui fa riferimento il ricorso (caso di Bari). Se, invece, nei provvedimenti giudiziari non si fa espressa menzione della sede, bisognerà rispettare l'indicazione ministeriale precedente, cioè i ricorrenti dovranno iscriversi altrove rispetto alla sede scelta per il test e la destinazione sarà indicata dallo stesso ministero, attraverso una procedura telematica allestita sul sito del Cineca.

In definitiva, la prospettiva è di avere quest'anno studenti iscritti a Medicina appartenenti a quattro categorie (http://tinyurl.com/n5qphxa ): la prima è quella dei bravi che hanno superato brillantemente il test; la seconda è quella di chi ha superato il test grazie all'aiuto di qualcuno che ha utilizzato i buchi nella garanzia di anonimato; la terza categoria è di chi si è iscritto grazie al ricorso al Tar in soprannumero ma aveva comunque raggiunto l'idoneità minima al test; la quarta infine è di chi è stato bocciato al test e magari ha ottenuto un punteggio negativo ma si è dimostrato tempestivo nel fare ricorso assicurandosi, senza alcun merito, l'ambitissimo diritto a intraprendere la carriera di studente in Medicina.

Per superare l'attuale test di Medicina, che ha mostrato dei limiti e ha sollevato contenziosi giudiziari, il ministro Giannini, nella campagna elettorale per le Europee, ha cercato di attenuare lo scontento dei candidati e delle loro famiglie, promettendo di abolire i test di accesso e prospettando un'altra soluzione, simile al modello francese (http://tinyurl.com/qjr7lsq ). Nonostante le perplessità sollevate dagli ambienti accademici, ha consegnato alla Conferenza dei Rettori un documento che prevede un anno comune per tutte le matricole, una valutazione divisa in due semestri e alla fine della stagione una selezione dura per passare al secondo anno. Al ministro ha fatto eco un gruppo di deputati che in una nota (http://tinyurl.com/k42oq86 ) hanno affermato che “I test di accesso sono diventati un mero simulacro, non premiano il merito e sono un’ingiusta forma di sbarramento sociale". Dalla parte opposta dello schieramento politico un senatore ha sostenuto i diritti dei vincitori dei ricorsi ai Tar di essere comunque immatricolati nella propria sede. Evidentemente anche in Parlamento la demagogia, che ha come strumento il populismo, riemerge quando non si conoscono per incultura o si vogliono ignorare i problemi dell’università senza tener conto delle opinioni dei competenti e in particolare delle basi storiche non solo italiane dei test per gli accessi. Ma sull’ipotesi del superamento dei test d’accesso si leggono anche opinioni più meditate e realistiche come quella di A. Figà Talamanca (http://tinyurl.com/lt94mcp ) che riporto quasi integralmente: “Se il primo anno di Medicina sarà aperto a tutti quelli che hanno conseguito un diploma di maturità … (possiamo ipotizzare che anche coloro che avevano preferito non affrontare i test si iscrivano a Medicina) gli immatricolati per il 2015 dovrebbero essere tra i settantamila e i centomila … Si dovrebbe modificare l'ordinamento didattico di Medicina in modo da rendere il primo anno compatibile con il proseguimento degli studi in altre discipline, con convalida, almeno parziale, degli esami sostenuti. Bisognerà anche vincere le resistenze dei docenti di altre ex-facoltà per indurli ad accogliere, senza troppi ‘debiti’, gli studenti che hanno compiuto il primo anno a Medicina. Alla fine, la soluzione giusta dovrebbe essere quella di riservare il primo anno di Medicina alle materie scientifiche di base (matematica, fisica, chimica, biologia), che dovrebbero essere impartite dai rispettivi dipartimenti a tutti gli studenti il cui curriculum le richieda, indipendentemente dal corso di laurea di iscrizione. Stiamo parlando però di cambiamenti che incontrerebbero molte resistenze e necessitano comunque tempi lunghi. L'apparato ministeriale, l'agenzia per la valutazione, e, specialmente, il mondo accademico non sembrano pronti ad affrontare problemi di questo tipo e di questa portata, meno che mai in così poco tempo”.



L’accesso agli studi di Medicina in alcuni Paesi europei

In Francia per diventare un docteur en médecine (medico specialista) gli studi, che comprendono anche l'equivalente della specializzazione italiana, durano tra i 9 e gli 11 anni. L’iscrizione a un corso di laurea richiede il conseguimento del baccalauréat, il diploma attribuito agli studenti a 18 anni, al termine degli studi superiori. L’iscrizione va effettuata a marzo, qualche mese prima del conseguimento del diploma. La differenza fondamentale rispetto al meccanismo italiano è che non esiste uno sbarramento per l’accesso al primo anno; inoltre i primi due semestri di studi non sono riservati ai soli aspiranti medici, ma sono validi per altri tre indirizzi: odontoiatria, farmacia e ostetricia. Dunque l’iscrizione è libera, e gli studenti iniziano il corso comune alle quattro discipline, ma la selezione arriva comunque molto presto. Già al primo anno, gli iscritti sono chiamati a una prova che si articola in due momenti al termine dei due semestri (in dicembre-gennaio e in maggio). Altra differenza capitale con l’Italia: l’esame non riguarda una pluralità di materie non tutte direttamente collegate agli studi, ma tocca esclusivamente le discipline studiate nel corso dell’anno. Qualora, al termine del primo anno, lo studente non passi gli esami, ha la possibilità di ripetere l’annualità, ma una volta sola; in caso di insuccesso, può cambiare indirizzo di studi all’interno delle professioni sanitarie. Superato lo sbarramento, lo studente prosegue negli studi medici (http://tinyurl.com/np545r9 ). Il sistema francese è un sistema che spegne le proteste per l'iniquità percepita della selezione al primo anno, ma che sposta a un anno dopo una selezione ben più dura.

Nel Regno Unito sono simili a quelle statunitensi le strategie adottate: le scuole mediche fissano annualmente i propri criteri di selezione, frutto della combinazione di requisiti scolastici pregressi, di conoscenze scientifiche di base e di qualità personali (ad esempio lettere di presentazione, interviste, etc.). In generale, i candidati in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore Gcse (General Certificate of Secondary Education) possono inoltrare la domanda di ammissione a 4 Scuole mediche di loro scelta attraverso l'Ucas (Universities and Colleges Admission Service). Saranno poi sottoposti a specifici test (http://tinyurl.com/n24bjdz ): Clinical Aptitude Test (Ukcat); Biomedical Admission Test (Bmat); Graduate Medical School Admission Test (Gamsat). Solo i candidati che avranno superato il test previsto saranno convocati alla prova finale (l'interview), condotta da una commissione esaminatrice specializzata per accertare, oltre al possesso delle conoscenze teoriche (soprattutto chimica, fisica, biologia), eventuali esperienze professionali o di volontariato pregresse, la capacità di lavorare in gruppo e le motivazioni personali, che indirizzano i candidati alla professione medica.

In Germania è molto articolata per tipologia di ammissibili agli studi medici la strategia adottata, che è gestita da un organismo federale, l'Ufficio centrale per l'attribuzione dei posti nell'ambito dell'insegnamento superiore (Zentralstelle für die Vergabe von Studienplätzen - ZVS). Possono candidarsi i possessori dell'Abitur (Zeugnis der allgemeinen Hochschulreife), ma quote di posti sono riservate per il 2% agli studenti diversamente abili o con difficoltà socio-economiche (Heirtefeille), per il 20% ai Talented 20, che al diploma conclusivo degli studi secondari hanno riportato la media più alta della loro classe e per il 20% agli idonei degli anni precedenti in lista d'attesa da più tempo. Dopo l'abolizione del 1997, e stato reintrodotto il test Essai für Medizinische Studiengeinge, non obbligatorio, ma utile per migliorare il punteggio complessivo e la possibilità di essere positivamente selezionati nel corso dell'intervista conclusiva.

Modalità diverse per etnia riguardano invece la Svizzera dove la componente di lingua tedesca prevede - sul modello tedesco - il superamento di un test attitudinale. Per la parte di lingua francese e in Belgio l'accesso avviene senza particolari restrizioni, ma la selezione - analogamente al modello francese - è rinviata all'anno successivo e si basa sui risultati conseguiti nel primo anno di studi (http://tinyurl.com/n24bjdz).

In Spagna l'accesso a tutte le Facoltà universitarie è subordinato alla votazione riportata nel diploma di Bachiller e, per chi ha più di 25 anni - sulla base del Real Decreto 1892/2008 entrato in vigore dall'a.a. 2009/10 - al superamento di uno specifico esame denominato PAU (Prueba de Acceso a la Universidad) presso i singoli Atenei, destinato a valutare la maturità degli allievi, nonché le conoscenze e le competenze acquisite durante gli studi secondari. Il PAU è articolato in due fasi: una fase generale obbligatoria, che pone l'accento su quattro materie di base, e una specifica volontaria che può migliorare la votazione finale per l'ammissione universitaria (http://tinyurl.com/n24bjdz ).



L’opposizione alla proposta del “sistema francese” per l’accesso ai corsi di Medicina e chirurgia

La proposta del ministro Giannini di abolire per Medicina il test d’accesso ha sollevato molte perplessità e anche nette opposizioni in un’estesa platea non solo di accademici, rettori e presidi compresi, ma anche di ministri (ex o in carica) e di commentatori di cose universitarie sulla stampa e in rete. A favore solo le associazioni studentesche, ma non tutte, e alcuni parlamentari di destra e di sinistra nell’assordante silenzio di quasi tutti gli altri loro colleghi.

“Il modello francese così com’è non è applicabile, non ci sono risorse e strutture”, ha detto al Corriere dell’Università Maria Chiara Carrozza, ex ministro dell’istruzione, e ha aggiunto: ”Allo stato attuale non è applicabile, non ci sono le risorse e le strutture per affrontare un’immissione incontrollata di studenti al primo anno. Non dico che sia di principio infattibile, ma bisogna essere realisti e non demagogici”. Anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha espresso a controcampus.it il suo dissenso: “No, non sono favorevole all’abolizione dei test di accesso all’università” sia per le ovvie difficoltà organizzative e logistiche cui dovrebbero rispondere le università a fronte del prevedibile boom della popolazione studentesca (70-80mila unità secondo il ministro) sia per lo spettro di una possibile emorragia di camici bianchi, che finirebbero quasi tout court dalla laurea alla strada: aprire le porte della professione medica a una platea più ampia rischierebbe di congestionare un mercato dove, tuttavia, c’è sempre stata piena occupazione. Secondo il segretario della Conferenza dei corsi di laurea e delle professioni sanitarie, le proiezioni sul numero dei futuri laureati fanno già emergere un progressivo esubero degli stessi, con un valore complessivo di circa 9.000 in più dal 2014 al 2020.

Fra le opinioni raccolte da Universitas fra i rettori, particolarmente indicativa quella del nuovo rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio: “Il problema, a mio avviso, si deve risolvere con un sistema di selezione a tre gambe: la valutazione del percorso scolastico precedente, la verifica delle attitudini mediante test psicoattitudinale, il normale concorso a test a scelta multipla. Il fatto di aver posto il numero programmato ha consentito di migliorare le performance dell’università italiana, almeno nel settore medico: il 90% degli studenti si laurea, il 60% si laurea in corso; le facoltà di Medicina italiane sono tra le migliori in ambito europeo; chi si laurea trova lavoro. Negli anni 70-80 si è formata una pletora medica, che non ha frequentato né lezioni né corsie, e non è stato un bene: e questo lo dico soprattutto da potenziale paziente”. A La Repubblica Eugenio Gaudio ha fornito un esempio: “Alla Sapienza di Roma sono 6 le aule grandi di Medicina, e 36 più piccole. I docenti? 72. Considerando il rapporto tra i posti a disposizione e le aspiranti matricole, il passaggio al sistema d’oltralpe richiederebbe 36 aule grandi, 216 piccole e 432 professori”. Carmine Di Ilio, rettore dell’Università di Chieti-Pescara: “Il sistema vigente può essere migliorato selezionando con maggiore cura le domande. Comunque l’utilizzo di un test a scelta multipla sulle medesime tematiche correntemente utilizzate, a mio avviso garantisce un’adeguata trasparenza e pone gli studenti nelle medesime condizioni iniziali”. “Che il sistema dei quiz vada migliorato lo pensiamo un po’ tutti - dice Cristina Messa, rettrice della Bicocca -. Ma la soluzione non è eliminarli. Semmai bisognerebbe puntare molto di più sull’elemento attitudinale, che è fondamentale nella nostra professione”. Dello stesso parere è Roberto Lagalla, rettore dell’Università di Palermo e vice presidente della Conferenza dei rettori con delega alla Medicina: “La selezione preliminare tramite i test va mantenuta. Il punto è che i test dovrebbero essere molto più coerenti con i saperi liceali”, e aggiunge che il sistema dei test, per quanto imperfetto, dà maggiori garanzie di obiettività di un esame orale che è molto più esposto a favoritismi e raccomandazioni. “Le mie riserve principali rispetto al modello francese sono due – ha sostenuto il rettore dell’università di Padova Giuseppe Zaccaria -. Per quanto riguarda l’ipotesi di un tronco comune alle diverse lauree mediche, io non sono per niente convinto che la fisica che serve ai medici sia la stessa che serve agli infermieri. Quanto poi al sistema di selezione dei ragazzi, temo che affidarsi a degli esami universitari anziché a dei test “ciechi” esponga i docenti a una serie di pressioni indebite”. Gli esami orali si trasformerebbero inevitabilmente in un mercanteggiamento per mandare avanti questo o quel ragazzo, indipendentemente dalle sue qualità. Tra le altre personalità di spicco della Medicina di cui Universitas ha sentito l’opinione, Luigi Califano, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II: “Consentire l’iscrizione al primo anno a tutti gli studenti che ne facessero richiesta, creerebbe problematiche insormontabili legate sia alla logistica (carenza di spazi adeguati) sia alla didattica (carenza di personale docente). Le valutazioni alla fine del primo e del secondo semestre del primo anno dovrebbero poi essere assolutamente imparziali, cosa che non sempre avviene nel nostro Paese. Credo quindi che il sistema attuale, pur perfettibile in alcuni aspetti (tipologia dei quesiti, un maggiore e più efficace sistema di controllo), sia l’unico attuabile al momento”. Andrea Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale (Cun) e della Conferenza permanente dei presidenti di corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia: “Gli anni recenti di prove di ammissione hanno mostrato che vi erano evidenti differenze nei punteggi di accesso delle diverse sedi e questo aveva provocato un malumore diffuso. L’introduzione di una graduatoria nazionale consente di eliminare tali differenze. È necessario peraltro che siano approvate norme di sostenibilità economica per consentire alle famiglie le spese legate alla mobilità degli studenti, possibilità altrimenti riservata a studenti delle classi sociali più abbienti, in conseguenza alla scarsità di fondi e strutture riservate al cosiddetto diritto allo studio”.

In un articolo su lavoce.info (http://tinyurl.com/nn7lmj7 ) si sostiene che la proposta governativa presenta numerosi difetti che superano quelli della procedura attuale di ammissione, peraltro recentemente migliorata in modo significativo con la predisposizione di un’unica classifica nazionale dei risultati, che evita le iniquità e le inefficienze delle precedenti classifiche per ateneo. Tra i difetti della proposta si segnala in particolare: (1) I corsi del primo anno di medicina saranno invasi da un numero enorme di studenti, tale da rendere difficoltosa l’attività didattica tradizionale, anche solo per un problema di spazi, e tale da richiedere necessariamente tecnologie di e-learning, tutte da disegnare con costi considerevoli. (2) Il libero accesso al primo anno di Medicina provocherà un immediato calo di iscrizioni ai corsi di laurea affini. (3) La diminuzione della qualità media degli studenti iscritti a Medicina al primo anno e la congestione degli spazi educativi danneggerà gli studenti bravi e in grado di continuare, per i quali il primo anno universitario si ridurrà a essere solo un lungo e costoso modo per segnalare la loro qualità con benefici minimi in termini di capitale umano. (4) Anche la qualità media dei docenti del primo anno, che dovranno necessariamente aumentare, potrebbe diminuire peggiorando le conseguenze negative di cui ai punti precedenti. (5) Sarebbe comunque necessario, alla fine del primo anno, un test standardizzato nazionale che soffrirebbe sostanzialmente degli stessi problemi di quello attuale, senza particolari benefici; il primo anno di studi in medicina diventerebbe a tutti gli effetti un inutile sesto anno di liceo con scarsi vantaggi.

Coloro che già frequentano una scuola di specializzazione medica hanno deciso di aderire alla petizione promossa dall’on. Filippo Crimi contro il progetto del ministro Giannini di procedere all’abolizione del test per l’accesso a Medicina (http://tinyurl.com/ohrpgqj ). Rendendo noto il proprio sostegno all’iniziativa del deputato della maggioranza, Federspecializzandi sottolinea alcuni aspetti critici del modello francese. In primis, il fatto che il percorso formativo del primo anno di studi differisce notevolmente fra le diverse sedi del corso di laurea in Medicina e che “il superamento degli esami di profitto sia spesso affidato a valutazioni orali e quindi del tutto discrezionali da parte dei docenti”. Ciò, secondo gli allievi delle scuole di specializzazione, violerebbe il “principio della trasparenza e dell’oggettività della valutazione“, falsando gli esiti della selezione. Un altro dei motivi per i quali Federspecializzandi è contraria all’abolizione del test di Medicina è che “l’eventuale riforma dell’accesso a Medicina nella direzione del modello francese, richiederebbe da parte del MIUR un forte investimento in termini di rinnovamento e ampliamento delle strutture che ospitano la formazione”. Perché, secondo gli specializzandi – e anche i rettori – così come sono, esse non ce la farebbero a sostenere l’impennata del numero delle matricole.

La Conferenza Permanente delle Facoltà e Scuole di Medicina e Chirurgia, l’8 maggio ha approvato all’unanimità e inviato al Ministro Giannini una mozione sull’accesso ai corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia per l’anno accademico 2015-2016, dove si sottolinea la necessità irrinunciabile del numero programmato e l'efficacia ed efficienza dell'attuale metodo selettivo; nell'ipotesi di una revisione, i firmatari affermano l'importanza dell’orientamento nella scuola secondaria, della valutazione del percorso scolastico e la necessità di una prova di valutazione specifica per Medicina, con domande a risposta multipla come quella attualmente in vigore.

A proposito del «sistema francese» proposto dal ministro Giannini, e in fase di elaborazione al MIUR, sarebbe facile ironizzare su questa improvvida moda esterofila, come si è visto di così scarsa popolarità. Se non fosse invece il caso di rimeditare la proposta in base a una notizia seria: in Francia proprio Geneviève Fioraso (secrétaire d'Etat à l'Enseignement supérieur) e la CPU (Conférence des présidents d'université) non ne vogliono più sapere, dopo anni di applicazione, del loro sistema (sélection des étudiants entre la première et la deuxième année de master, M1 et M2) ora elevato a modello per l’Italia (http://tinyurl.com/ml97anu ). Il presidente della CPU Jean-Loup Salzmann ha qualificato la situazione attuale «stupide», mentre il tribunale amministrativo di Bordeaux ha stimato che la selezione degli studenti fra il primo e il secondo anno di corso (entre M1 et M2) è illegale. Il segretario di Stato all’istruzione superiore Fioraso ha messo sul tavolo la questione di anticipare di nuovo la selezione all’ingresso nel primo anno, anche sulla base di prerequisiti, e ha dichiarato a ‘Les Echos’ che, affrontando l’argomento degli accessi, vuole “sicuramente non lasciare più la selezione tra il primo e il secondo anno di corso”. Anche la Fage, un’organizzazione studentesca francese, sostiene un sistema di accesso post-bac da denominare Admission post-licence (dopo la secondaria superiore): tutti gli studenti dovrebbero presentare cinque domande d’immatricolazione e ne sarebbe accolta una in funzione del loro dossier. Il presidente della Fage Julien Blanchet: «Avoir une sélection entre M1 et M2 est ridicule». Si può aggiungere che la proposta di adottarla da noi lascia perplessi anche sulla correttezza della selezione se fatta con esami individuali in ambienti accademici non impermeabili a nepotismi e favoritismi.



Validità dei test e proposte alternative al sistema attuale di selezione per l’accesso a studi medici

Per l’accesso a Medicina nei Paesi anglosassoni (Nord America, Australia e Regno Unito) si utilizzano anche interviste e test psicometrici e si stanno diffondendo i centri di selezione, organismi accreditati in cui i candidati sono valutati da professionisti. Da revisioni sistematiche della letteratura emerge comunque che il risultato dei test sulle conoscenze ha un valore predittivo di oltre il 65%. La teoria dei test considera vari tipi di validità (http://tinyurl.com/o8j37tx ), ma quelli più rilevanti in questo contesto sono essenzialmente due: la validità di costrutto (il test misura effettivamente le variabili che intende misurare?) e la validità predittiva (il test seleziona persone che hanno poi una carriera studentesca e professionale soddisfacente?). Il test misura capacità logiche e mnemoniche nell'assunto che le capacità richieste per ottenere un buon punteggio siano le stesse necessarie per usufruire con profitto del corso di studi: può sprecare un quarto della scala di valutazione con domande astruse, ma se fa buon uso dei tre quarti rimanenti può ancora essere valido. Se il suo fine è selezionare studenti che abbiano la massima probabilità di completare con successo il corso di studi e di diventare validi professionisti, minimizzando gli abbandoni, la sua validità predittiva e di costrutto sono misurabili. Uno studio è stato effettuato per i test di ammissione delle Facoltà di Ingegneria che aderiscono al Cisia (Consorzio Interuniversitario Sistemi Integrati per l'Accesso) e i dati raccolti (per il Politecnico di Torino) hanno mostrato una “significativa correlazione tra punteggio del test di ammissione e risultati nella carriera studentesca: punteggi alti al test correlano con voti alti agli esami, laurea nei tempi previsti, basso rischio di abbandono”. E' importante notare che il test di ammissione di Ingegneria presenta lo stesso difetto già considerato per quello di Medicina, cioè la cattiva distribuzione dei punteggi, con la parte alta della scala di valutazione sostanzialmente spopolata; inoltre il punteggio del test di ammissione ha una correlazione molto debole con il voto di maturità. Uno studio analogo è in corso per i Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia. Giova anche ricordare che a Medicina “il tasso di abbandono precedente all'adozione del numero chiuso era di circa il 70% mentre quello attuale è inferiore al 30%. Sembra pertanto che i test di ammissione, sebbene alquanto inadeguati, abbiano ciononostante una buona validità predittiva e di costrutto”, ed è sicuramente giustificato sia cercare di migliorarli che monitorare costantemente la correlazione tra il punteggio in ingresso e la carriera universitaria fino alla laurea.

Una proposta, recentemente avanzata sul sito lavoce.info (http://tinyurl.com/nn7lmj7 ), è di modificare l'esame di maturità, introducendo moduli standardizzati per scegliere - secondo una graduatoria di merito redatta con criteri omogenei - gli studenti che proseguono nei corsi di laurea a numero chiuso, sistema, ad esempio, adottato fino a quest'anno in Spagna. Ogni ateneo (non solo per gli studi medici, ma anche per quelli in altre aree) stabilirebbe l’elenco di materie nelle quali uno studente dovrebbe sostenere l’esame e il punteggio minimo richiesto, materia per materia. Ad esempio la facoltà di medicina H potrebbe richiedere: italiano, inglese, con punteggi superiori all’80 e matematica, biologia, chimica e fisica con punteggi superiori al 90.

La scuola superiore, esordiscono gli autori della proposta, offre cinque anni di informazioni analoghe a quelle che sarebbero raccolte nel primo anno di studi con accesso libero ai corsi di Medicina previsto dalla proposta governativa. Meglio ancora sarebbe se nei cinque anni i nostri studenti potessero costruire gradualmente, á la carte, itinerari formativi diversificati a seconda delle loro doti e delle prospettive lavorative cui aspirano, tra i quali, in particolare, itinerari miranti a studi medici. Il vantaggio derivante dall’associare la procedura di ammissione alla performance scolastica (e non a quella del primo anno di università come nella proposta governativa) sarebbe la possibilità di intercettare studenti capaci e meritevoli che, per vincoli di bilancio familiari o altre ragioni socio-culturali, non continuerebbero gli studi oltre il liceo.

L'opzione alternativa, più realistica, è mantenere l'attuale schema della graduatoria nazionale, che nel complesso ha dato buona prova di sé, migliorando sensibilmente qualità e adeguatezza dei test. Se si aprono alle critiche degli esperti, l'attendibilità dei test può crescere nel tempo, rendendoli uno strumento affidabile e con garanzie di equità superiori a quella di altre soluzioni.

(Fonte: P. S. Marcato, Informazioni universitarie 15-09-14)



HIGHLY CITED RESEARCHERS (HCR), LISTA 2018 DI CLARIVATE ANALYTICS

La super lista dei ricercatori più citati al mondo, guardando all’autorevolezza e all’affidabilità, l’ha rilasciata, per il quinto anno consecutivo, la compagnia Clarivate Analytics. La lista dell’Highly Cited Researchers (HCR) comprende in tutto 6078 ricercatori e tra questi 98 sono italiani. L’edizione 2018 dello studio fa emergere alcuni dati interessanti: circa 4000 ricercatori altamente citati sono stati nominati in 21 settori delle scienze e delle scienze sociali. E poi, gli Stati Uniti ospitano il maggior numero di HCR, con 2.639 autori. Il Regno Unito da parte sua ne ha 546. Intanto la Cina sta guadagnando rapidamente terreno: adesso ha 482 ricercatori super citati, supera la Germania (356) e si piazza al terzo posto. Quarta la sorprendente Australia, che si vede riconosciuti 245 studiosi ad alta influenza. In questa edizione c’è una novità: sono stati identificati circa 2.000 ulteriori ricercatori ad alto impatto in diversi campi delle scienze. I ricercatori selezionati in questa categoria trasversale sono in Svezia (53%), Austria (53%), Singapore (47%), Danimarca (47%), Cina (43%) e Corea del Sud (42%). (Fonte: R.it Scienze 27-11-18)



NUOVO PROGRAMMA HORIZON EUROPE

Il nono programma quadro per la ricerca e l’innovazione, battezzato “Orizzonte Europa” (Horizon Europe) succederà all’attuale “Horizon 2020” (Horizon 2020). La struttura del nuovo programma Horizon Europe sembra sostanzialmente uguale al precedente, ma se la forma cambia poco, la sostanza invece muta profondamente. In questo senso il nuovo disegno sembra modificare non poco l’obiettivo finale del programma, trasformando sempre di più la sua idea originaria di finanziatore della migliore “ricerca europea” a vantaggio di un miglioramento della competitività industriale e di un maggiore coinvolgimento dei cittadini.

A partire da gennaio 2021, saranno disponibili circa 100 miliardi di euro di finanziamenti per un periodo di 7 anni (2021-2027), oltre agli investimenti nazionali pubblici e privati che questa somma attirerà, che serviranno, nelle intenzioni della Commissione: a finanziare la ricerca e l’innovazione innovativa, a creare fino a 320mila nuovi posti di lavoro altamente qualificati entro il 2040, a rafforzare i legami tra gli Stati membri e tra questi e i Paesi terzi, a fornire dati scientifici ad altri settori politici e programmi europei.

I ricercatori e gli innovatori potranno realizzare le migliori idee grazie all’intervento dell’ERC (European Research Council), potranno creare i mercati del futuro grazie alla geniale intuizione del nuovo EIC (European Innovation Council), l’organismo che punterà alla promozione di innovazioni pioneristiche in vari settori. La ricerca innovativa, infatti, affronterà problemi che plasmano la nostra vita quotidiana, dal cibo che mangiamo, alle cure sanitarie, all’aria che respiriamo, al modo in cui ci muoviamo, alla sicurezza che chiediamo. (Fonte: G. Ruggiero, agendadigitale.eu 01-12-18)





CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI



RUR World University Rankings

RUR World University Rankings, agenzia specializzata, dal 2010 valuta in collaborazione con Clarivate Analytics le performance dei maggiori istituti di alta formazione del mondo. Nel 2018 sono state valutate le performance di 761 istituzioni tramite 20 indicatori raggruppati in 4 aree chiave dell’attività universitaria: Teaching, Research, International Diversity, Financial Sustainability. Inoltre RUR Subject Rankings valuta gli atenei relativamente a 6 aree: Humanities, Life Sciences, Medical Sciences, Natural Sciences, Technical Sciences, Social Sciences. Inspiegabilmente nella classifica (Vedi sotto) non figura l’università di Bologna. (Fonte: D. D’Amelio, Il Piccolo 18-11-18)



RUR World University Rankings (le prime 10)

1          Harvard University                            

2          University of Chicago                                   

3          California Institute of Technology (Caltech)                        

4          Imperial College London                              

5          Stanford University    USA               

6          Massachusetts Institute of Technology (MIT)                                 

7          Columbia University USA                            

8          Northwestern University USA                      

9          Princeton University USA                

10        University of Cambridge UK            



RUR World University Rankings (Università italiane in classifica)

21        Scuola Normale Superiore di Pisa   

207      University of Milan

280      University of Trieste  

321      Sapienza University of Rome

349      University of Padua  

355      University of Pavia

376      University of Trento  

380      University of Pisa

389      University of Genoa  

409      University of Ferrara

412      University of Florence

416      Polytechnic University of Milan

452      University of Turin

479      Polytechnic University of Turin

487      University of Bari

509      University of Brescia

528      University of Modena and Reggio Emilia    

544      University of Palermo                       

545      Universita Cattolica del Sacro Cuore

547      University of Salento

576      University of Rome III

578      Ca` Foscari University of Venice



RUR Reputation Rankings (Università italiane)

101      Sapienza University of Rome

Teaching Ranking

6          Scuola Normale Superiore di Pisa

Research Ranking

42        Scuola Normale Superiore di Pisa   

International Diversity Ranking

252      Polytechnic University of Milan

Financial Sustainability Ranking

142      Scuola Normale Superiore di Pisa   



RUR Subject Rankings (Università italiane)

Life Sciences

85        Sapienza University of Rome

99        University of Trieste

Medical Science

99        University of Milan

194      University of Trieste

Natural Sciences

21        Scuola Normale Superiore di Pisa   

Technical Sciences

114      University of Trento  

Academic Ranking

59        Scuola Normale Superiore di Pisa   



I MIGLIORI ATENEI PER CAPACITÀ DI FAR TROVARE LAVORO AGLI STUDENTI

La nuova classifica dei 150 migliori atenei al mondo per la capacità di far trovare lavoro agli studenti, si è basata  sull'opinione di 7mila datori di lavoro di 22 Paesi. La novità è che si sta aprendo una crepa importante nel predominio un tempo inattaccabile nel mondo accademico: quello cioè delle università americane e inglesi che dal 2011 hanno perso posizioni e presenze nelle classifiche. Avanzano invece gli atenei tedeschi che raddoppiano la loro presenza, seguiti da quelli cinesi. Ma chi domina questa speciale classifica appena pubblicata dal Times Higher Education? Nei primissimi posti poche sorprese con 4 piazzamenti americani e uno inglese: dopo Harvard, segue il California Institute of Technology, il Mit di Boston, e l'inglese Cambridge, seguita da Stanford. Al sesto posto (dall'ottavo del 2017) ecco la prima sorpresa con l'università tecnica di Monaco. Completa la top ten Princeton (Usa), Yale (Usa) e due atenei orientali: Tokyo (Giappone) e Singapore. Fuori dalla top ten la prestigiosa e storica Oxford seguita dall'Eth di Zurigo. Molto più lontane le due università italiane: la Bocconi di Milano al 66esimo posto e il Politecnico di Milano al 104esimo posto. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 16-11-18)





CULTURA DEL DIGITALE E DELL’INNOVAZIONE



LE NUOVE TECNOLOGIE AL SERVIZIO DELLE CURE PRIMARIE

La tecnologia servirà a rilanciare (anche) l’assistenza sanitaria di base, in crisi un po’ ovunque?

Ne sono convinti i 194 Paesi membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che nell’ottobre scorso hanno sottoscritto all’unanimità la Dichiarazione di Astana (Kazakistan).

«Attraverso il digitale e altre tecnologie, consentiremo a individui e comunità di identificare i loro bisogni di salute, partecipare alla pianificazione e alla fornitura di servizi e svolgere un ruolo attivo nel mantenere la propria salute e il proprio benessere» recita, tra l’altro, l’impegno assunto dai firmatari. Dopo la Dichiarazione di Alma-Ata del 1978, che per 40 anni è stata la base di una politica globale per le cure primarie, la Conferenza mondiale dell’Oms ha dunque ribadito il ruolo fondamentale di quest’area dell’assistenza, ma ha anche riconosciuto nella tecnologia uno dei pilastri del suo rilancio, assieme alle maggiori risorse economiche e al personale in più da dedicare. In linea di principio, il ragionamento non fa una piega. Ma nella categoria esiste una preoccupazione di fondo: «La percezione è che i processi di digitalizzazione siano presentati come la panacea per risolvere i problemi della sanità e dell’assistenza, mettendo da parte tutte le questioni che riguardano l’essenza del processo di cura, che è appunto la relazione medico-paziente» sottolinea Nicola Calabrese, presidente di Netmedica Italia, la società della Fimmg che si occupa di servizi di sanità digitale per i suoi iscritti. I nostri medici di famiglia incassano un dato rassicurante: la maggior parte degli italiani - intervistati in una ricerca condotta da Eumetra per BNP Paribas Cardif - conosce l’Intelligenza artificiale, ma l’84% non rinuncerebbe mai al rapporto umano con un dottore. (Fonte: R. Corcella, CorSera 25-11-18)



 DIFFUSIONE DELLA CULTURA DELL’INNOVAZIONE. COMPETENCE CENTER (CC). DIGITAL INNOVATION HUB (DIH). CLUSTER

La diffusione della cultura dell’innovazione lungo l’intero ciclo formativo, dalla scuola all’università è necessaria all’economia e può stimolare l’occupazione giovanile.

L’istituzione dei Competence center (CC) risponde alla filosofia di dotare la nazione di una rete di formazione alle competenze in grado di coprire tutte le tecnologie 4.0. Hanno l’obiettivo di fornire l’advisory tecnologica soprattutto alle PMI, favorire la sperimentazione e la produzione di nuove tecnologie, formare i giovani ed accrescere le competenze dei lavoratori.

Se i CC rappresentano il risultato di forme di partenariato pubblico-privato, i Digital Innovation Hub (DIH) sono finanziati da Confindustria e dalle imprese. I DIH presenti in Italia sono 21 e rispondono a una logica orizzontale volta a diffondere l’innovazione nei territori. Essi hanno una dimensione regionale e svolgono un lavoro per molti aspetti “artigianale” per l’innovazione e la digitalizzazione soprattutto delle PMI. Da un lato, le imprese stanno manifestando grande interesse verso l’opportunità che viene loro offerta di intraprendere un percorso di innovazione, dall’altro lato, i DIH cercano di intercettare quante più imprese possibili da avviare alla digitalizzazione. Per la valutazione del grado di maturità digitale delle imprese e per accompagnarle nel percorso di innovazione, i DIH hanno a disposizione uno strumento di grande rilevanza: si tratta di un test, messo a punto dal Politecnico di Milano e da Assoconsult, che consente di misurare la maturità digitale delle aziende in relazione a vari macroprocessi con lo scopo di capire, da un lato la loro posizione di partenza e, dall’altro, di raccogliere i dati utili per stimare il posizionamento del sistema industriale italiano e per strutturare gli indirizzi strategici che potrebbero promuovere il processo di digitalizzazione nel Paese.

Il Cluster è il terzo elemento della rete di abilitazione alle competenze digitali. Si tratta di un anello molto importante in questa catena del valore: i Cluster nazionali sono 12, riconosciuti da una legge dello Stato che gli ha assegnato competenze ben precise. I Cluster sono un’emanazione del MIUR e hanno una specializzazione tematica, così come i Competence Center. Sono chiamati a tracciare delle roadmap di sviluppo per le imprese a partire dalle proprie aree di specializzazione che riguardano: l’aerospazio, l’agrifood, la chimica verde, la fabbrica intelligente, i mezzi ed i sistemi per la mobilità di superficie terrestre e marina, le scienze della vita, le tecnologie per gli ambienti di vita, le tecnologie per le smart communities, il patrimonio culturale, il design, la creatività e il made in Italy, l’economia del mare, l’energia. (Fonte: D. Pepe, agendadigitale.eu 28-11-18)





DOCENTI



CONTRO IL TAGLIO ALLE PENSIONI MEDIO-ALTE, ANCHE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI

“Gli attacchi alle pensioni dei ceti professionali hanno prodotto l'effetto di ricompattare tutte le categorie; siamo pronti a mobilitarci per respingere in blocco il taglio degli assegni medio-alti annunciato dal governo nella manovra economica”. Il presidente di Cida (Confederazione italiana dirigenti ed alte professionalità), Giorgio Ambrogioni, spiega in un’intervista a "Il Sole 24 Ore" come contro l'emendamento alla legge di Bilancio, che il governo intende presentare al Senato - con tagli dal 10 al 20 per cento delle pensioni sopra 90 mila euro per cinque anni -, si è costruito un ampio fronte che comprende i dirigenti del pubblico e del privato, medici, professori universitari, magistrati, avvocati, forze armate e diplomatici in pensione: "Con le principali associazioni di rappresentanza abbiamo inviato una lettera al premier Conte, in attesa di essere ricevuti ci appelliamo alle due forze di governo". Alla Lega, - aggiunge - affinché ritiri la misura che colpirà la sua base elettorale, considerando che gran parte dei dirigenti è del Centro-Nord: "Ai 5S diciamo che è sbagliato colpire i ceti professionali che non sono la casta ma rappresentano l'ossatura del Paese". (Fonte: Agenzia Nova 04-12-18)





DOTTORATO



REPORT SULL’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI DOTTORI DI RICERCA

Secondo l’Istat, che ha diffuso un report sull’inserimento professionale dei dottori di ricerca, nel 2018, a quattro anni dal conseguimento del titolo, lavora il 93,8% dei dottori di ricerca. Rispetto all’edizione precedente dell’indagine, condotta nel 2014 sui dottori di ricerca del 2008 e 2010, il tasso di occupazione a sei anni è sostanzialmente stabile mentre migliora del 2,3% quello a quattro anni. L’occupazione è elevata in tutte le aree disciplinari e in cima alla classifica ci sono i dottori dell’ingegneria industriale e dell’informazione (oltre il 96% lavora a quattro anni dal dottorato e oltre il 98% a sei anni) mentre in fondo, ma sempre con numeri molto alti, ci sono i dottori delle Scienze politiche e sociali.

A sei anni dal titolo, i dottori occupati percepiscono in media un reddito netto mensile di 1.789 euro. Ma anche qui lo stipendio varia a seconda delle aree disciplinari: da un minimo di 1.517 euro per i dottori in Scienze dell’antichità filologico-letterarie e storico-artistiche a un massimo di 2.400 euro per quelli delle Scienze mediche. I dottori di ricerca 2012 e 2014 che vivono all’estero sono il 17,2%, una percentuale superiore del 4,3% rispetto a quella registrata nel 2014. I Paesi verso cui è diretta la maggior parte dei dottori sono Stati Uniti, Regno Unito e Germania. A sei anni dal titolo il 24,1% degli occupati è impiegato nel settore dell’istruzione universitaria: tra questi, il 51,1% con un lavoro dipendente mentre il 36,6% è finanziato da assegni di ricerca. Un dottore su dieci lavora come professore o ricercatore universitario, ma fra coloro che vivono all’estero lo stesso rapporto è di un dottore su quattro. (Fonte: opinione.it 26-11-18)





FINANZIAMENTI



PER L’FFO 2019 DELLE UNIVERSITÀ 40 MILIONI IN AGGIUNTA

Per l'università e la ricerca il MIUR ha ottenuto in Legge di bilancio 2019 qualche risorsa aggiuntiva, o più esattamente la conferma di quanto già previsto dalla Legge di Bilancio 2018. Sono 40 milioni di euro per il sistema degli atenei e andranno a far crescere di poco il Fondo di Finanziamento ordinario (quello del 2018 è stato di 7 miliardi e 318 milioni di euro). Per le università, sempre in Legge di Bilancio, già erano previsti 100 milioni per il 2020. A La Repubblica il ministro Marco Bussetti aveva detto che intendeva trovare altri 100 milioni per il 2019, ma alla fine ne sono stati trovati 40. Nelle vorticose partite di giro in chiusura di Finanziaria, questi 40 milioni sono garantiti direttamente dal MEF.

Mettere 40 milioni “nelle casse dei nostri atenei” è mettere al centro la spesa per l’istruzione, come si afferma da fonte governativa? Al massimo il governo sta facendo quello che hanno fatto tutti i governi dal 2010 ad oggi: un aumento sempre assai limitato del FFO (V. tab.). Peraltro l’aumento di 40 mln per il 2019 era già stato stabilito dalla Legge 27-12-17 n. 205, art. 1. (Fonte: Next; La Repubblica 06-12-18). Tutto sull’FFO > https://tinyurl.com/ycdtqbs4 .



FFO degli atenei 2010-2018






CNR. IL FONDO ORDINARIO DI FINANZIAMENTO IN DEFICIT INTEGRATO CON 90 MLN DALLA LEGGE DI BILANCIO 2019

Il CNR, la più grande e per certi versi la più rilevante istituzione scientifica del Paese, ha un serio problema. Per la prima volta il Fondo ordinario (FOE) che lo Stato metterà a disposizione, per il 2019, di questa prestigiosa istituzione scientifica risulterà gravemente insufficiente (con un deficit di circa 100 milioni). E’ per questa ragione che lo scorso 25 ottobre i 102 direttori degli istituti scientifici del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno sottoscritto, come primi firmatari, e poi pubblicato sulla rete, un “Manifesto per salvare il CNR e rilanciare il futuro del Paese”. Al momento la sottoscrizione del Manifesto da parte del personale del CNR ha raggiunto le 3800 unità. Gli stessi direttori hanno poi inviato lettere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e al Ministro IUR Marco Bussetti, per sollecitare un loro intervento risolutivo. Come si afferma nel Manifesto, le ragioni principali per cui si è giunti a questa assai grave situazione risiedono in quattro eventi scatenanti, non essendo state previste le ovvie compensazioni finanziarie: negli ultimi anni un costante de-finanziamento del FOE, a scapito dei naturali incrementi dei costi e delle spese di personale; una decina di anni fa lo scorporo dal FOE di una quota, circa 70 milioni, fittiziamente vincolata a progetti di ricerca, ma in realtà rientrata in buona parte negli anni successivi nel calderone delle spese di funzionamento e oggi non più utilizzabile in questo modo in quanto vincolata alle nuove assunzioni; aggiornamento contrattuale fermo da vari anni; assunzione di oltre mille di unità di personale da troppo tempo precario.

Per fortuna, con la Legge di bilancio 2019 si annunciano in extremis 90 milioni per il CNR, in arrivo anche sulla scia delle pressioni dei 102 direttori di Dipartimento e di Istituto dello stesso ente. Altri 10 milioni sono destinati con la Legge di bilancio al Fondo ordinario di tutti gli enti di ricerca. Annuncia il ministro Bussetti (MIUR): "Le misure approvate in queste ultime ore favoriscono un rilancio del CNR, garantiscono una piena operatività all'Ebri, il centro di ricerca fondato da Rita Levi Montalcini, avviano la realizzazione della Scuola Normale a Napoli, un'eccellenza accademica che darà un contributo rilevante alla formazione delle nuove classi dirigenti del Mezzogiorno". Le risorse aggiuntive assegnate al CNR serviranno ad avviare la faticosa e stratificata questione delle stabilizzazioni: 1.200 precari cosiddetti comma 1 e altrettanti comma due.  

(Fonte: R. Falcone, scienzainrete 21-11-18; C. Zunino, La Repubblica 06-12-18)





LAUREE - DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE



SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE MEDICA. 41 SENZA I REQUISITI MINIMI

Quest’anno il Ministero dell’Istruzione, di concerto con quello della Salute, ha accreditato 1.123 Scuole di specializzazione, che dipendono da 42 Università e sono collegate agli ospedali dove viene svolto il tirocinio. Ogni anno si iscrivono quasi 7.000 neolaureati in Medicina, selezionati con un concorso nazionale a quiz, al quale partecipano oltre 16 mila candidati. Pochi, rispetto alla necessità di sostituire chi va in pensione: la stima è che tra dieci anni mancheranno oltre settemila medici. Il problema è che ogni specializzando costa al Ministero della Salute 1.700 euro netti al mese, e per allargare i numeri bisogna trovare i soldi. Ma almeno quei pochi sono messi nelle condizioni di avere una buona formazione? Per essere accreditate le Scuole di specializzazione devono garantire spazi e laboratori attrezzati, standard assistenziali di alto livello negli ospedali dove viene svolto il tirocinio e indicatori di performance dell’attività scientifica dei docenti. Oggi — carte riservate alla mano — ci sono almeno 41 Scuole di specializzazione senza i requisiti minimi, a cui vengono affidati ogni anno 383 giovani in formazione. (Fonte: M. Gabanelli e S. Ravizza, CorSera 12-11-18)



DI NUOVO SI PARLA DEL VALORE LEGALE DELLA LAUREA

Il valore legale del titolo di studio, la laurea, è un tema evergreen della politica. La funzione principale di questo istituto è quella di fornire un criterio oggettivo per la selezione dei candidati nei concorsi pubblici e per l'inclusione negli ordini professionali. Sulla questione si è espresso anche l'iperattivo ministro dell'Interno Matteo Salvini che in un intervento alla scuola di formazione politica della Lega ha dichiarato: «Negli ultimi anni scuola e università sono stati serbatoi elettorali e sindacali. L'abolizione del valore legale del titolo di studio è una questione da affrontare». Il ministro dell'istruzione, il leghista Bussetti, ha frenato lo slancio del vice premier, pur rimanendo possibilista: «In questo momento non è in programma, non è detto che non possa essere analizzato in futuro». Una proposta di abolizione era stata discussa anche nell'agenda del governo Monti, che nel 2012 aveva deciso di aprire una consultazione pubblica sul tema. Eliminando il valore legale, la valutazione delle competenze di un candidato sarebbe affidata in gran misura al «nome», o meglio al prestigio dell'università frequentata. Questo dovrebbe costituire un incentivo per gli atenei a competere tra loro, e migliorare in termini di efficienza e qualità dell'offerta didattica. Per i critici si tratta di una misura classista che favorirebbe solo coloro che possono permettersi l'iscrizione alle università d'élite. (Fonte: Il Manifesto 13-11-18)



TRE MOTIVI PER CUI NON CONVIENE ABOLIRE IL VALORE LEGALE DELLA LAUREA

Chi oggi si laurea nel nostro Paese, fra tante incertezze, può contare su una sicurezza di fondo: il suo titolo di studio gli offre, almeno formalmente, le stesse opportunità che hanno tutti gli altri laureati in quella stessa disciplina. Non fa differenza che il sudato pezzo di carta sia stato conseguito a Torino o a Palermo, a Milano o a Roma. Qualcuno potrà però obiettare che non tutte le università sono uguali: alcune sono più serie, più difficili, preparano meglio di altre. E allora perché non abolire il valore legale del titolo di studio? In questo modo sarà possibile esplicitare le differenze esistenti e, anzi, spingere gli atenei a confrontarsi e migliorarsi costantemente, in un circolo di competizione virtuosa. Rispetto a questo scenario, ci sono (almeno) tre questioni che vale la pena considerare.

La problematicità delle graduatorie universitarie. Come evidenziano i sociologi Wendy Espeland e Michael Sauder nel recente libro “Engines of Anxiety. Academic Rankings, Reputation, and Accountability”, i ranking accademici negli Stati Uniti producono una serie di effetti perversi che penalizzano gli studenti, i docenti e l’intero sistema universitario. Solo per citare alcuni esempi: gli atenei meglio posizionati innalzano sempre più le tasse, escludendo così di fatto parte della popolazione studentesca.

Il ruolo dello Stato in un sistema di istruzione pubblica. Siamo sicuri che all’attore pubblico spetti semplicemente il compito di certificare ex post il valore dei servizi erogati dai diversi atenei e non quello, certamente più oneroso, di intervenire ex ante per garantire una qualità uniforme in tutti i poli universitari

Il rischio, in questo modo, di creare un sistema a due (o più) velocità, con università di serie A e università di serie B. Gli studenti con maggiore disponibilità economica potranno scegliere le università migliori, anche se lontane dal luogo di origine e con tasse elevate. Gli altri, invece, dovranno accontentarsi degli atenei low cost sotto casa. (Fonte: FQ 16-11-18)



DOPPIE LAUREE

In Italia, il fenomeno delle doppie lauree dal profilo internazionale appare sempre più diffuso. Con 851 corsi totali, aumentati del 44% rispetto all’anno accademico 2017/18 e quasi triplicati sul 2011/2012 (quando erano 304). Complessivamente, l’anno scorso sono stati più di 32mila gli studenti dei corsi con titolo doppio o congiunto, a fronte dei 29mila dell’anno precedente e ai 19mila del 2014/15. Se i double degree nascono soprattutto con l’esigenza di aumentare le skill internazionali dei nostri ragazzi, migliorando anche le loro conoscenze linguistiche, l'idea a cui sta lavorando il Miur punta invece a creare delle professionalità più in linea con le nuove sfide lanciate dal mercato del lavoro. Sul modello di quanto sta accadendo nei Paesi Bassi o in Svizzera. Per riuscirci basta una norma di una riga che dica: è abrogato l’articolo 142 del Regio decreto 1592 del 1933. In base al quale, attualmente, è «vietata l’iscrizione contemporanea a diverse università e a diversi istituti d’istruzione superiore, a diverse facoltà o scuole della stessa università o dello stesso istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa facoltà o scuola». A disporre l’abrogazione dovrebbe essere un emendamento alle legge di bilancio che il Miur ha messo a punto nei giorni scorsi. Cancellare l’articolo 142 consentirebbe agli studenti di seguire più di un corso in contemporanea e agli atenei di fare squadra allargando la loro offerta formativa. (Fonte: E. Bruno, IlSole24Ore 14-11-18)



QUANTO COSTA UNA LAUREA TRIENNALE

In Italia ogni anno sono più di 1 milione e mezzo gli studenti universitari, di cui oltre 600.000 fuori sede. Dal momento che è molto difficile per uno studente riuscire a mantenersi autonomamente durante il ciclo di studi, specialmente se esso implica il trasferimento in un’altra città, sono quasi sempre le famiglie a sobbarcarsi il costo di questo investimento nel futuro professionale dei figli.

Per aiutare i genitori a operare un’opportuna pianificazione in vista di questa scelta, Moneyfarm ha stimato il costo di un ciclo universitario triennale in alcuni tra i principali atenei italiani: il Politecnico e la Bocconi di Milano, le università di Bologna, Pisa, Roma Sapienza, Napoli Federico II. La selezione delle università è stata effettuata per includere atenei di tutte le dimensioni, che fossero rappresentativi di città grandi, medie, piccole, delle aree del Paese dove si concentrano la maggior parte degli studenti, di realtà d’eccellenza pubbliche o private. La ricerca considera tre voci di spesa: tasse universitarie, vitto e alloggio. Ciò che emerge è che il costo da sostenere per un triennio all’università pubblica varia dai 34 ai 45 mila euro a seconda della fascia di reddito e dell’ateneo. L’esborso aumenta se si sceglie la soluzione privata. (Fonte: linkiesta 16-11-18)





NUMERO CHIUSO PER LE ISCRIZIONI IN MEDICINA



SUL NUMERO CHIUSO SI DISCUTE ALLA CAMERA

Alla Camera la Commissione Cultura discute sul numero chiuso (relatore Manuel Tuzi del M5S). Su questa questione sono già state presentate Proposte di Legge da FdI (AC 334) e Consiglio regionale del Veneto (AC 612), che prevedono l'abolizione del numero chiuso, e da M5S (AC 812) e Lega (AC 1162), che spostano il numero chiuso alla fine del primo anno. Un'altra Proposta di Legge è presentata da FI, che prevede di mantenere il numero chiuso all'ingresso 'integrando' il test con i voti della scuola e con una prova attitudinale.

Le Proposte che prevedono il numero chiuso all'inizio del secondo anno fanno riferimento al “modello francese”. In Francia a circa l'80% degli studenti che liberamente si possono iscrivere al primo anno di Medicina si rende poi impossibile proseguire negli studi con uno sbarramento per accedere al secondo anno sulla base di esami su materie propedeutiche alle professioni sanitarie



NUMERO CHIUSO. IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE CULTURA ALLA CAMERA: SUPERAMENTO DEL NUMERO CHIUSO IN DUE ANNI

Il presidente della Commissione Cultura, Luigi Gallo, parla di «superamento del numero chiuso» come una delle priorità del programma da realizzare «in dodici massimo ventiquattro mesi». Sul come, Gallo è più vago. Intanto rilancia l’aumento delle borse per gli specializzanti che saranno 900 in più l’anno prossimo, aiutando così «a cancellare il numero chiuso in uscita» da Medicina. In realtà ne servirebbero almeno di 2-3mila in più per garantire l’accesso alla specializzazione a tutti i laureati di Medicina, ma certamente c’è la questione dei costi.

Gallo sembra puntare molto sui Mooc «come ad Harvard e Yale», spiega, per aumentare i laureati. Quanto alla questione del numero chiuso, Gallo è generico. Oltre al non meglio precisato superamento, anticipa che il ministero dell’Istruzione sta «rivedendo l’impianto dei test», già per l’anno prossimo. Sulle quattro proposte di legge presentate per l’abolizione dei test, Gallo non si sbilancia: l’importante è trovare una soluzione che metta tutti d’accordo. (Fonte: CorSera 23-11-18)





RICERCA



ISTITUZIONE DELL’AGENZIA ITALIANA PER LA RICERCA SCIENTIFICA

In parallelo alla razionalizzazione degli enti di ricerca, andrebbe avviata la costituzione dell’Agenzia Italiana per la Ricerca, sull’esempio di quanto esistente negli Stati Uniti e in tutti gli altri Paesi europei. Agenzia alla quale si potrebbero affidare alcune competenze in materia di supporto tecnico nella redazione e presentazione dei progetti di ricerca, da sottomettere nei vari bandi, in modo da innalzare la qualità delle nostre proposte progettuali. L’Agenzia svolgerebbe il compito di individuare preventivamente e selezionare progetti innovativi completi, con alti livelli di maturità tecnologica, già pronti a operare in ambienti operativi industrialmente rilevanti. L’Agenzia, inoltre, dovrebbe promuovere collaborazioni con le Regioni, che contribuiscono a finanziare la ricerca sul proprio territorio. La costituzione dell’Agenzia avrebbe anche il pregio di andare incontro alla proposta della Commissione europea di rivedere l’approccio dei partenariati, avanzata con la richiesta di riduzione e razionalizzazione dei propri interlocutori nazionali, attraverso interfacce Paese-Commissione. L’Agenzia Italiana per la Ricerca potrebbe diventare il principale interlocutore a livello europeo per la ricerca nazionale, assumendo il ruolo di coordinamento del supporto scientifico alle decisioni interministeriali e alle linee di finanziamento da presentare sui tavoli europei. (Fonte: G. Ruggiero, agendadigitale.eu 01-12-18)



HORIZON 2020. IL SISTEMA PUBBLICO DELLA RICERCA. LA SPESA IN R&S. IL FONDO ORDINARIO DEGLI EPR

L’Italia incassa poco dal programma “Horizon 2020”. Il tasso di successo in rapporto al numero di domande presentate, nello strumento dedicato alle PMI, è decisamente al di sotto della media, così come accade per l’intero apparato dei fondi Horizon 2020. È vero che l’Italia, in termini di progetti, conquista una fetta importante (14,7% del totale), ma la quota scende all’8% in termini di fondi. Il che, probabilmente, è il risultato di progetti di piccole dimensioni (tra i 100 e i 250mila euro) e della minore stazza media delle nostre PMI, come testimoniato dalla relazione inversa presente per la Germania (il 6% in termini di progetti di successo, che però hanno raccolto il 17,7% dei fondi globali). Sul fronte degli interventi sostenuti dal MIUR, riferiti alle aree individuate dalla Strategia nazionale di specializzazione intelligente (Snsi), nonché dal pilastro Excellent Science all’interno di Horizon 2020, emerge una situazione di stallo, con una media dello stato di realizzazione dei progetti molto bassa. Peraltro, laddove l’erogazione delle risorse si è completata, non ha corrisposto, nella larga maggioranza dei casi, l’attuazione dei progetti nei tempi originariamente previsti. Fanno eccezione i settori Trasporti e Aerospazio.

Il sistema pubblico della ricerca italiana appare molto frammentato (21 enti di ricerca, vigilati da 7 diverse amministrazioni centrali) e sviluppa poco partenariato con le realtà industriali.

La spesa in R&S e la performance in innovazione sono al di sotto della media europea. In particolare, nel 2017, l’intensità complessiva di R&S (cioè la spesa totale destinata a ricerca e sviluppo in percentuale del PIL) è stata pari all’1,8%; un livello lievemente superiore a quello del 2016 (1,5%), ma ancora nettamente al di sotto della media UE (2,1%) e distante dagli obiettivi 2020 fissati dall’UE stessa (in media nell’area UE la spesa in R&S dovrà essere pari al 3% del PIL entro il 2020: 1% di finanziamenti pubblici, 2% di investimenti privati).

Il Fondo Ordinario di funzionamento degli Enti pubblici di ricerca (FOE) nella sua globalità ha subito una drastica diminuzione fra il 2010 ed il 2015, per poi rimanere stabile negli ultimi due anni. D’altro canto i Fondi premiali, la cui provenienza è quella del Fondo Ordinario, sono destinati da quest’anno alle stabilizzazioni del personale precario. Decisione di per sé lodevole, che consente di stabilizzare un numero elevato di aventi diritto, ma che ne impedisce l’utilizzo per finalità di sviluppo degli Enti, mettendo seriamente a rischio lo svolgimento delle attività di ricerca e ritardando quelle condizioni abilitanti che fanno sì che i ricercatori d’eccellenza conducano le loro ricerche nel nostro Paese. (Fonte: G. Ruggiero, agendadigitale.eu 01-12-18)



RETRACTION WATCH HA RESO PUBBLICO UN ARCHIVIO CONTENENTE OLTRE 18MILA ARTICOLI SCIENTIFICI RITIRATI

Retraction Watch è un progetto dei giornalisti scientifici Ivan Oransky e Adam Marcus, ed ha aperto i battenti ufficialmente nell’agosto del 2010. In quasi otto anni di lavoro hanno raccolto una lista di oltre 18mila articoli scientifici ritirati, e ora hanno deciso di renderla pubblica sotto forma di un database esplorabile gratuitamente. Sul piano degli autori emergono diverse curiosità. Innanzitutto, dati alla mano sembra che una manciata di “cattivi scienziati” siano responsabili della maggior parte dei problemi: su 30mila autori presenti nel database, i primi 20 hanno tutti almeno una trentina di paper ritirati a testa, i primi cento più di 13, e i primi 500 più di cinque. Andando a guardare poi la top ten, troviamo degli autentici pesi massimi. Al primo posto spicca il nome di Yoshitaka Fujii, anestesista giapponese che dal 2012 ha collezionato bel 169 paper ritirati a causa di frodi e falsificazioni dei dati. Anche il secondo classificato, comunque, non scherza: Joachim Boldt, anche lui anestesista, classe 1954, attualmente fermo a 96 articoli scientifici ritirati. (Fonte: S. Valesini, Wired 10-11-18)



CONTRO IL PIANO S PER LE RIVISTE ACCESSIBILI PROTESTANO PIÙ DI 700 SCIENZIATI

Se ci fosse un referendum, più di 700 scienziati, pur favorevoli all’apertura e alla gratuità dei paper scientifici per tutti, voterebbero no. Come mai? Perché contestano alcune linee di un piano, detto Piano S, da poco proposto e sottoscritto da diverse istituzioni scientifiche di 11 Paesi europei. L’obiettivo del piano è quello di rendere open access tutte le pubblicazioni di ricerche finanziate da enti pubblici. Varato agli inizi di settembre 2018 da diverse nazioni, inclusa l’Italia, il piano S entrerebbe in vigore dal 1° gennaio 2020. Oggi, più di 700 scienziati europei contrari a questo progetto hanno divulgato una lettera, o meglio una open letter, in cui spiegano le ragioni per cui secondo loro è estremo e troppo rischioso. B. O'Malley su UWN (13-11-18) riferisce: “The researchers say the plan is unfair for the scientists involved and is too risky for science in general”. Il focus centrale della lettera riguarda le riviste che seguono il modello ibrido di pubblicazione (che sono la maggior parte), ovvero per cui parte dei contenuti sono open access e parte a pagamento. Tali riviste guadagnano e si sostengono sia tramite gli abbonamenti dei lettori sia attraverso la tariffa per la pubblicazione, il cosiddetto pubblication fee, a carico dell’autore o dell’istituzione per cui lavora, per rendere l’articolo immediatamente accessibile. Nell’ipotesi che il piano S entri in vigore, si legge nella lettera, potrebbe anche accadere che sia vietato l’accesso alle riviste non open access (e così la possibilità di pubblicarvi), che rappresentano più dell’85% dei giornali prestigiosi e accreditati, collegati a importanti società scientifiche. (Fonte: Wired 13-11-18)



DEVASTAZIONE AL CENTRO DI RICERCA CREA. L'OBIETTIVO ERA COLPIRE IL MONDO DEGLI OGM

“Siamo entrati nelle proprietà del centro di ricerca Crea di Montanaso Lombardo. Abbiamo devastato le quattro grandi serre dell'istituto distruggendo la quasi totalità delle piante sperimentali contenute al loro interno. Solidarietà con chi lotta in difesa delle terre contro la civiltà industriale». Con un comunicato diffuso sul contenitore web «Croce nera anarchica» un gruppo di ecoterroristi ha rivendicato la distruzione di buona parte delle coltivazioni sperimentali del centro di ricerca in orticoltura ad Arcagna, pochi chilometri a nord di Lodi. L'azione risale al 2 ottobre scorso ed è stata resa nota dagli stessi anarchici il 27 ottobre. Ma non se n'è saputo nulla fino a oggi, nonostante la denuncia presentata il giorno successivo dai responsabili del centro ai carabinieri di Lodi. E dietro il blitz di Arcagna non sembra esserci un gruppo di ecologisti alle prime armi, bensì gente abituata a portare a termine azioni eversive più serie, legata alla galassia anarco-insurrezionalista. (Fonte: PressReader - Corriere della Sera, Brescia, 23-11-18)



SENSORI STELLARI ITALIANI

Nel lungo viaggio della sonda InSight verso Marte c'era un sensore stellare italiano ad aiutarla. «E’ un piccolo cannocchiale che guarda gli astri - spiega Enrico Suetta, responsabile dei sistemi elettro ottici e sensori d'assetto spaziali di Leonardo -. Confrontandoli con le tremila stelle immagazzinate nella sua memoria, comunicava ai computer di guida la giusta rotta». Il sofisticato strumento costruito a Firenze è una specificità tecnologica italiana e dagli anni 60 Leonardo ne ha prodotti centinaia, poi installati su satelliti e sonde di varie nazioni. (Fonte: CorSera 28-11-18)



HIGHLY CITED RESEARCHERS (HCR), LISTA 2018 DI CLARIVATE ANALYTICS

La super lista dei ricercatori più citati al mondo, guardando all’autorevolezza e all’affidabilità, l’ha rilasciata, per il quinto anno consecutivo, la compagnia Clarivate Analytics. La lista dell’Highly Cited Researchers (HCR) comprende in tutto 6078 ricercatori e tra questi 98 sono italiani. L’edizione 2018 dello studio fa emergere alcuni dati interessanti: circa 4000 ricercatori altamente citati sono stati nominati in 21 settori delle scienze e delle scienze sociali. E poi, gli Stati Uniti ospitano il maggior numero di HCR, con 2.639 autori. Il Regno Unito da parte sua ne ha 546. Intanto la Cina sta guadagnando rapidamente terreno: adesso ha 482 ricercatori super citati, supera la Germania (356) e si piazza al terzo posto. Quarta la sorprendente Australia, che si vede riconosciuti 245 studiosi ad alta influenza. In questa edizione c’è una novità: sono stati identificati circa 2.000 ulteriori ricercatori ad alto impatto in diversi campi delle scienze. I ricercatori selezionati in questa categoria trasversale sono in Svezia (53%), Austria (53%), Singapore (47%), Danimarca (47%), Cina (43%) e Corea del Sud (42%). (Fonte: R.it Scienze 27-11-18)



RICERCATORI PRECARI. LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Oggi il ruolo dell’Università come faro della vita democratica del nostro paese è in grave pericolo. Da anni nei nostri atenei, infatti, la libertà di acquisire conoscenze viene messa a rischio dalla precarietà a cui sono condannati decine di migliaia di ricercatori. Gli ultimi dati raccolti parlano chiaro: più del 58% del personale universitario è costituito da precari che, con contratti che vanno da pochi mesi ad un massimo di tre anni, garantiscono la sopravvivenza stessa dell’istituzione universitaria. Più del 90% dei precari non avrà mai modo di accedere ad una posizione di lavoro stabile nelle università italiane: molti di loro sceglieranno la via che porta all’estero, altri rinunceranno per sempre alla ricerca scientifica. Per i precari della ricerca è difficilissimo sviluppare liberamente il proprio percorso verso la conoscenza: costretti a saltare da un contratto all’altro, spesso si passa più tempo a preparare bandi, curriculum e concorsi, che a fare ricerca. Spesso si lavora con contratti ai limiti dello sfruttamento, per paghe orarie indegne dell’altissima preparazione acquisita: un contesto che rende impossibile anche solo pensare di progettare una vita con la propria compagna o il proprio compagno, di acquistare una casa, avere dei figli, realizzarsi come persone e cittadini. (Fonte: Da una lettera dei Ricercatori Determinati Sapienza al Presidente della Repubblica 11-12-18)



L’ITALIA TRA I PAESI EUROPEI IN CUI LA LIBERTÀ DI RICERCA È SOTTO MINACCIA SECONDO NATURE

La rivista scientifica Nature ha recentemente inserito l’Italia tra i Paesi europei in cui la libertà di ricerca è sotto minaccia, perché ci sono tentativi di controllare la ricerca, facendone terreno di conquista politica. Sono fatti delle ultime settimane – solo per citarne alcuni – la revoca del mandato di presidente dell'Agenzia spaziale italiana a Roberto Battiston e la revoca di 30 componenti non di diritto del Consiglio superiore di Sanità da parte del ministro della Salute.

La scienza, però, è per sua natura espressione libera della mente umana e deve sostenere la ricerca della verità con un metodo che è estremamente rigoroso. Bloccare la libertà individuale, bloccando la scienza, è una colpa gravissima e ricorda altri esempi avvenuti in passato, durante i regimi totalitari, socialisti, comunisti.  Questo vale per la scienza in assoluto, quindi come comunità mondiale di scienziati, ma vale anche per il singolo scienziato. (Fonte: G. Palù, IlBo 13-12-18)





SISTEMA UNIVERSITARIO



IL CONCETTO ORIGINARIO DI COMUNITÀ UNIVERSITARIA

Ove si consideri che la connessione fra ricerca universitaria tradizionalmente intesa e ricerca applicata con trasferimento conseguente al mercato tende a diventare uno dei principali obiettivi da conseguire, deve esserci una maggiore consapevolezza dell'importanza e delicatezza della questione. Ma l'Università non può essere confinata soltanto a questo ruolo e a questo compito, neanche come singola Università, poiché, se ciò fosse, sarebbe più utile e leale nei confronti del sistema favorire la creazione di nuovi Istituti di ricerca, di natura del tutto privata e privi della missione didattica. Alla base dell'idea e del significato della parola Università sta un'esigenza di ampiezza e di armonia che deve avere come obiettivo il graduale sviluppo di tutti i saperi. Non è da trascurare, anzi, è da analizzare, da chiarire e da diffondere fra i giovani il principio che le Università operano nella loro continua attività di ricerca critica non con la finalità di vendere professionalità, ma con la finalità di introdurre i giovani, potenzialmente tutti i giovani, nel processo di acquisizione e creazione della conoscenza. In tale contesto, i giovani possono essere messi nella condizione di raggiungere la consapevolezza dei propri individuali livelli di sapere, e questo sarebbe un canale prezioso anche per accompagnarli nella scelta degli indirizzi che li porteranno alle più svariate attività professionali. E in questo contesto che il concetto originario di comunità universitaria, che discende dalla Storia ed è ben definito nella Magna Charta, può essere tutelato e conservato, adeguandosi alle esigenze dei tempi. La perdurante validità del rapporto fra Università europee, confermato dalla Bologna Declaration, che viene espressa, in termini operativi, dalla European Higher Education Area, è fonte di una continuità di azione delle Istituzioni accademiche europee, che ha affidato un compito sufficientemente preciso a una consolidata realtà. (Fonte: F. A. Roversi Monaco, Carlino Bologna 18-09-18)





STUDENTI. TASSE UNIVERSITARIE



BORSE DI STUDIO E TASSE UNIVERSITARIE

Gli studenti universitari idonei per le borse di studio nel 2013/14 sono stati 161.735, mentre, nel 2016/17, erano pari a 167.340, un numero sostanzialmente stabile (l’incremento è dell’ordine del 3,5%). La percentuale di copertura delle borse di studio è aumentata in misura cospicua perché sono aumentate le risorse statali per finanziare le borse: il FIS nel 2013 è stato di 149,2 milioni di euro, mentre nel 2016 è arrivato a 216,8 milioni di euro. Tuttavia percepisce una borsa l’11,6% degli studenti. Per confronto, in Francia la platea di beneficiari di borse di studio è molto più ampia (32,5%).

Le tasse universitarie, nel Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema Universitario e della ricerca 2018 pubblicato da ANVUR, si definiscono “relativamente contenute in Italia”. Se il raffronto viene fatto con Stati Uniti, Cile, Giappone, Canada e Australia, per citare i primi cinque Paesi che compaiono nel rapporto ANVUR, l’affermazione può anche apparire veritiera. Ma si tratta di sistemi di formazione terziaria molto distanti dal nostro, sia geograficamente sia culturalmente. Se invece ci confrontiamo con il resto d’Europa, la situazione appare molto diversa: l’Italia ha la contribuzione media studentesca più alta, dopo l’Olanda e la Spagna, nelle università pubbliche. Il rapporto Eurydice (cfr. National Student Fee and Support Systems in European Higher Education 2017/18, Eurydice, European Commission) mostra come in alcuni Paesi l’istruzione universitaria sia gratuita o al massimo l’importo richiesto non superi i 100 euro. La media delle tasse universitarie annue In Italia è 1.345 euro per un corso di laurea triennale e di 1.520 per uno magistrale. Per confronto, in Francia le tasse sono molto più basse (260-333 euro). (Fonte: F. Laudisa, Roars 21-11-18)



STUDENTI FUORI SEDE

Nell’anno accademico 2017-2018, su 1.600.000 studenti iscritti negli atenei, oltre 1 su 4 (circa 400 mila) era fuori sede. Puglia e Sicilia sono le regioni da cui sono partiti più studenti nel 2017-2018. Sono infatti stati oltre 52 mila i pugliesi (su una popolazione studentesca di poco inferiore alle 130 mila unità) che sono andati a studiare altrove; più di 4 su 10. In Sicilia i fuori sede hanno superato quota 52 mila su una popolazione di 130 mila studenti, circa il 33%. La regione con più fuori sede è la Calabria, con 31 mila studenti iscritti altrove, che rappresentano il 44% di tutti gli studenti universitari iscritti nelle università calabresi. (Fonte: University Equipe 19-11-18)





VARIE



LA CONOSCENZA NON COMPARE TRA LE SCELTE DI INVESTIMENTO PER LA CRESCITA E LO SVILUPPO DEL PAESE

Le scelte di finanza pubblica che emergono dalla lettura della legge di bilancio 2019 delineano un quadro del tutto insufficiente per i settori della conoscenza. Il Governo non cambia la tendenza dei precedenti esecutivi reiterando una politica di definanziamento su scuola, università, ricerca e AFAM. Per quanto riguarda il sistema universitario, la proposta del Governo prevede solo alcuni parziali interventi in termini finanziari ed occupazionali, smentendo nei fatti anche quanto previsto nel “contratto di governo” che prevedeva il superamento del precariato, l’inversione di marcia sul finanziamento ordinario, l’ampliamento dei fondi per il diritto allo studio.

Infatti, la previsione del nuovo reclutamento di 1.000 nuovi ricercatori a tempo determinato di tipo b (v. articolo 24, comma 3, lettera b della Legge 30 dicembre 2010), per i quali vengono messe a disposizione del FFO degli Atenei pubblici rispettivamente 20 milioni di euro aggiuntivi per il 2019 e 50 milioni di euro a decorrere dall’anno 2020, non costituisce certo una significativa inversione rispetto al depotenziamento degli organici conseguente al blocco del turnover attuato negli anni passati. Sugli Enti di Ricerca sono pressoché assenti misure specifiche e non c’è traccia nemmeno degli interventi preannunciati nella Nota di Aggiornamento al DEF, peraltro a nostro avviso insufficienti. Completamente assenti finanziamenti per incrementare i Fondi Ordinari degli Enti, indeboliti da troppi anni di tagli, e per consentire investimenti diretti allo sviluppo delle risorse occupazionali, nonché per il completamento dei processi di stabilizzazione in corso. Vi è l’ennesima riproposizione del “credito d’imposta” per R&S alle imprese con qualche variazione, già sperimentato in passato, con risultati pressoché nulli. (Fonte: Flc Cgil 08-11-18)



PLAGIO ACCADEMICO, PIÙ FREQUENTE IN ITALIA CHE IN SPAGNA E GERMANIA

La politica spagnola negli ultimi mesi è stata scossa da diversi casi di plagio accademico: la stampa ha sollevato dubbi su come il presidente del governo e il leader del principale partito di opposizione hanno ottenuto i loro titoli accademici, mentre la presidente della comunità di Madrid e la ministra della Salute si sono dimesse dopo essere state accusate di aver copiato le loro tesi di master. Qualche anno fa, in Germania, ebbero simile sorte sia la ministra dell’Istruzione sia quello della Difesa.

Accuse analoghe, in Italia, non hanno avuto conseguenze né politiche né accademiche. Come si spiega la differenza rispetto a Spagna e Germania? Una prima spiegazione chiama in causa il ruolo dei media italiani che, con poche eccezioni (fra cui lavoce.info), non si sono comportati come quelli spagnoli e tedeschi. Una seconda spiegazione è invece legata all’alta tolleranza della comunità accademica nei confronti del plagio che, secondo la redazione di Noisefromamerika, rasenta l’omertà. Più in generale, quando sono in molti a infrangere le regole, i costi di farlo si abbassano: se così fan tutti (o molti), gli anticorpi hanno più difficoltà a entrare in azione. Per esempio, nei casi italiani, le istituzioni che per prime avrebbero dovuto chiarire le vicende non sono state particolarmente solerti.

Ma il plagio accademico e le altre frodi scientifiche sono davvero più diffusi in Italia di quanto non siano altrove? Per rispondere, l’autore dell’articolo, ha utilizzato una recente base dati che identifica gli articoli ritirati (retracted) da riviste scientifiche a causa di errori o vere e proprie frodi scientifiche. Nel periodo 1997-2017, tenendo conto del totale delle pubblicazioni, gli articoli ritirati con autori italiani sono leggermente più numerosi di quelli con autori statunitensi e più del doppio rispetto a quelli con autori francesi. Una parte importante delle differenze è dovuta proprio alla frequenza dei plagi. Quando si considerano i soli articoli ritirati perché copiati, la distanza si allarga notevolmente. I plagi italiani, sempre controllando per il numero delle pubblicazioni, sono quasi il triplo di quelli spagnoli e quasi cinque volte quelli tedeschi. (Fonte: F. Sylos Labini, lavoce.info 13-11-18)



UNITI AVVOCATI E GIURISTI CONTRO IL POPULISMO GIUSTIZIALISTA

La scena: un teatro gremito da oltre 500 persone. Molti sono in piedi. Si infiammano alle parole dei leader dell’Unione Camere penali. Del presidente Gian Domenico Caiazza, innanzitutto. Dei past presidenti Gustavo Pansini e Beniamino Migliucci. Ma fin qui niente di nuovo. Il fatto incredibile è un altro. È la mobilitazione dei giuristi. «Da qui deve nascere un’aggregazione continua» ( Fausto Giunta, docente di Diritto penale a Firenze). «È importante che l’accademia stia insieme con l’avvocatura» (Luigi Stortoni, ordinario a Bologna). «Quando la casa brucia, non è che si sta a vedere chi è il vigile del fuoco: serve l’aiuto di tutti» (Giorgio Spangher, professore alla Sapienza). Sono tutte tessere di un mosaico che rappresenta il miracolo. Nell’evento al teatro Manzoni di Roma, che conclude le quattro giornate di astensione, i penalisti italiani celebrano sì il pieno successo della loro iniziativa «contro il populismo giustizialista, in difesa della Costituzione e dei diritti». Eppure nella sala gremita non solo di avvocati ma anche di studiosi appassionati, i penalisti italiani colgono un obiettivo forse impensabile: vedono schierarsi al loro fianco l’accademia come fosse un sol uomo contro le riforme azzardate dal governo gialloverde. L’Ucpi mobilita i professori e li trasforma in una schiera unita, pronta a scendere in campo. (Fonte: ildubbio.news 24-11-18)





UNIVERSITÀ IN ITALIA



POLIMI. CONTESTATO UN CONVEGNO SULL’AGRICOLTURA BIODINAMICA

La polemica sull’opportunità di ospitare e organizzare un convegno su una pratica agricolo-esoterica teorizzata un secolo fa dal filosofo Rudolf Steiner che, senza alcun fondamento scientifico, ritiene di poter fertilizzare i campi attraverso i raggi cosmici catturati dai corni di vacca riempiti di letame, è montata quando Elena Cattaneo ha scritto al rettore del PoliMi Ferruccio Resta: “E’ sorprendente e allarmante che in una sede scientifica così prestigiosa si scelga di ospitare, figurandovi come ‘in collaborazione’, un ‘convegno sulla biodinamica’, vale a dire una delle pratiche più antiscientifiche che esistano”. E ancora, sempre rivolgendosi al rettore: “L’ateneo, i suoi ricercatori lo sanno? Concordano? Queste modalità non sono altro che la punta dell’iceberg di una galassia di persone e associazioni che, utilizzando luoghi e loghi ufficiali, compiono quotidianamente un’opera di ‘parassitismo istituzionale’”. La lettera della Cattaneo ha fatto molto rumore nel mondo scientifico. Sul tema è intervenuto anche Giorgio Parisi, da poco eletto presidente dell’Accademia dei Lincei, che nel discorso di apertura dell’anno accademico ha fatto un riferimento esplicito alla vicenda. Parlando delle “forti tendenze antiscientifiche nella società attuale” che si accompagna alla diffusione di “pratiche astrologiche, omeopatiche e antiscientifiche. Addirittura una prestigiosa università italiana è arrivata a ospitare un corso sulla agricoltura biodinamica, che è di poco lontana dalla magia”. Come era stato anticipato dal Foglio, anche i professori del Politecnico si sono mobilitati per tutelare l’immagine della propria università: “Una della più importanti università tecniche in Europa non può permettersi che circolino cose del genere, perché poi lasciano traccia – ha detto al Foglio la scorsa settimana Ezio Puppin, docente di fisica al Poli - Non possiamo permetterci di vedere affiancato il nostro nome al corno di vacca che accumula l’energia cosmica. Sentir dire per strada che il Politecnico è favorevole alla stregoneria è intollerabile”.

Un altro appello dello stesso tenore è stato inviato dal matematico Nicola Bellomo, a nome del “Gruppo 2003”, che raduna molti scienziati italiani highly cited: “Il Gruppo 2003 – ha scritto Bellomo al rettore del Politecnico – ha appreso con sconcerto del Convegno che il suo Ateneo ospita e che ha organizzato in collaborazione con l’Associazione per l’agricoltura biodinamica. Ci stupisce che una sede prestigiosa della scienza e della tecnologia italiana lasci spazio a pratiche esoteriche che nulla hanno di scientifico”. Tuttavia il 16 novembre in Aula Magna Rogers è iniziata la due giorni del convegno biodinamico e, contattato dal Foglio, il Politecnico dice che non c’è alcun commento sull’arrivo del “cornoletamente” in via Ampère. Nulla da dire, né ai giornali né ai propri professori. (Fonte: L. Capone, Il Foglio 17-11-18)



UNIBO. L’ALMA MATER ATTRAE TALENTI DALL’ITALIA E DALL’ESTERO     

L’Alma Mater ha avviato da tempo un’intensa attività di reclutamento destinata ad attrarre ricercatori e docenti, tanto stranieri che italiani, provenienti da università estere. Studiosi brillanti che arrivano o ritornano in Italia per fare ricerca e insegnare all’Università di Bologna. Sono 47 le ricercatrici e i ricercatori approdati all’Alma Mater dall’estero negli ultimi tre anni: un numero che comprende 32 studiosi assunti per “chiamata diretta” e 15 vincitori di ERC, i prestigiosi bandi europei che premiano i migliori progetti di ricerca su tematiche di frontiera. Dati che confermano e rafforzano il prestigio internazionale dell’Università di Bologna. Se aggiungiamo poi i 388 studiosi assunti tramite concorso negli ultimi tre anni, il numero di ricercatrici e ricercatori che hanno preso servizio all’Università di Bologna dal novembre 2015 ad oggi sale fino a 435. (Fonte: www.sassuolo2000.it 19-11-18)



UNISI. INAUGURAZIONE DEL 778° ANNO ACCADEMICO

Si è tenuta il 24-11-18 all’Università di Siena la cerimonia di inaugurazione del 778° Anno Accademico. Il rettore Francesco Frati ha pronunciato la sua relazione, che è iniziata accennando alla lunga storia e al ruolo dell’Ateneo: “un’Istituzione che da quasi otto secoli contribuisce al prestigio, al successo e alla crescita sociale ed economica della nostra città”. Ha poi presentato alcuni dati che definiscono l’Università così come è oggi: “Con 720 docenti e 950 unità di personale tecnico e amministrativo, l’Università di Siena ospita circa 16.000 studenti, cui si aggiungono altri 2000 studenti iscritti ai corsi post laurea. Oltre il 50% proviene da fuori regione e il 9% - stiamo parlando di quasi 1500 studenti iscritti ai corsi di I e II livello - hanno cittadinanza straniera”. (Fonte: oksiena)





UE. ESTERO



EU. PLAN S FOR OPEN ACCESS IS FAR TOO RISKY, SAY RESEARCHERS

More than 700 researchers from across Europe have signed an open letter criticising Plan S, a European plan for open access that is supported by the European Union and some national funding agencies. The researchers say the plan is “unfair for the scientists involved and is too risky for science in general”. (Fonte: B. O'Malley, UWN 13-11-18)



GERMANIA. RECORD DEGLI ITALIANI NEGLI ATENEI. DISTACCATI I CINESI, GLI AUSTRIACI E GLI INDIANI

Da sei anni, cioè dal 2012, gli italiani rappresentano il gruppo più folto tra gli stranieri che lavorano negli atenei tedeschi. Sono professionisti che insegnano o fanno ricerca. Secondo quanto riportato da La Repubblica, nel 2016, erano 3.185 gli accademici italiani a esercitare nelle università in Germania. Dietro di loro 2.615 cinesi, 2481 austriaci e 2.257 indiani. E, da quanto emerge dai dati di Daad e dal Das Zentrum für Hochschul - und Wissenschaftsforschung (Dzhw, Centro di studi accademici e scientifici), gli italiani sono ormai quasi il 7% dei 46mila collaboratori e docenti universitari negli atenei della Germania. Ma non ci sarebbero soltanto lavoratori tra queste percentuali, ma anche diversi studenti. Che, in numeri sempre più alti, decidono di lasciare l'Italia per raggiungere un luogo che sembra offrire prospettive decisamente diverse. Per il Rapporto Migrantes sugli italiani nel mondo gli studenti che hanno conseguito la maturità in Italia e decidono di iscriversi nelle università tedesche sarebbero più che raddoppiati in sette anni. Nel 2010 se ne contavano 3.976 e 8.550 nel 2017. (Fonte: Rapporto Migrantes riportato da La Repubblica, novembre 2018)



UK. UNA MINORANZA VIOLENTA DECIDE CHI È CHE PUÒ PARLARE E CHI NO A OXFORD

Oxford si fregia del titolo di produrre l'élite intellettuale del pianeta (lunga la lista di capi di stato, diplomatici e re che hanno studiato in quest'ateneo), eppure c'è una minoranza di studenti che impone con la forza la decisione su chi ha il diritto di parlare, diritto che dovrebbe essere universale ed universalmente difeso. Se c'è un personaggio con opinioni diverse da quelle di questa minoranza, questo deve essere silenziato ad ogni costo, o facendo pressioni perché si cancelli l'evento, come è recentemente successo al leader di Alternativ fur Deutschland il cui invito alla Union è stato revocato, oppure impedendo l'accesso a chiunque voglia ascoltare lo speaker in questione, come nel caso di Bannon. In questo modo però il confronto pubblico tra opinioni diverse viene meno e con esso si incoraggia il tribalismo, ovvero sentire ed ascoltare solo chi la pensa esattamente come noi per avere una implicita conferma delle nostre opinioni. Ma qualcosa di più sinistro è andato in scena ad Oxford con il restringimento della platea all'evento di Bannon: un po' di democrazia è morta perché si è ristretta la libertà di chi ha voluto (ma non ha potuto) ascoltare le opinioni politiche di un'altra persona. (Fonte: M. Sisti, ItaliaOggi 20-11-18)



CINA. SCIENCE NEEDS TO REGAIN CONTROL OVER GENE EDITING TECHNOLOGY

The news that a scientist in China had edited the genes of embryos, which have now been born, sent shockwaves around the world. Scientists lined up to condemn the actions of He Jiankui – an associate professor at the Southern University of Science and Technology in Shenzhen – as unethical and dangerous, and are now contemplating what happens next. Ellie Bothwell reports that academics have said science needs to regain control over gene editing technology. One researcher warns that it is not for scientists alone to prevent this kind of case, while another fears that the case will “lead to many to call for outright bans” on the development of genome editing. Another points out that while what he did was illegal, Dr He’s behaviour is impossible to prevent when “fame, glory and money” are involved. (Fonte: THE 03-12-18)





LIBRI. RAPPORTI. SAGGI



ARMI DI DISTRUZIONE MATEMATICA

Autore: Cathy O’Neill, ed. Bompiani, 2018. Pg. 368.

L’autrice è una matematica, con dottorato ad Harvard e postdottorato al Mit, che ha insegnato al Barnard College di New York, prima di passare a lavorare nel settore finanziario privato come analista quantitativa per l’hedge fund D.E. Shaw e poi come Data Scientist per diverse start-up dell’e-commerce. Il libro è una denuncia dell’uso di questo sapere per costruire quelle che l’autrice chiama “armi di distruzione di massa”. Un linguaggio costruttivo e dalle potenzialità infinite. Lungi dall'essere modelli matematici oggettivi e trasparenti, gli algoritmi che ormai dominano la nostra quotidianità iperconnessa sono spesso vere e proprie "armi di distruzione matematica": non tengono conto di variabili fondamentali, incorporano pregiudizi e se sbagliano non offrono possibilità di appello. Queste armi pericolose giudicano insegnanti e studenti, vagliano curricoli, stabiliscono se concedere o negare prestiti, valutano l'operato dei lavoratori, influenzano gli elettori, monitorano la nostra salute. Basandosi su case studies nei campi più disparati ma che appartengono alla vita di ognuno di noi, O'Neil espone i rischi della discriminazione algoritmica a favore di modelli matematici più equi ed etici. Perché rivestire i pregiudizi di un'apparenza statistica non li rende meno pregiudizi.

Un esempio calzante è quello dei ranking delle università. Ogni famiglia, dovendo scegliere l’università per i propri figli, s’informa su quale faccia al caso suo: un tempo avrebbe chiesto ad amici informati, magari docenti, o si sarebbe affidata alla “voce” popolare. Ma poi si è pensato: perché non usare la matematica per rendere la ricerca più rapida e meno aleatoria? Così ha pensato il giornale americano “U.S. News”, che ha cominciato a pubblicare una graduatoria delle migliori università. Per farlo, naturalmente, ha identificato degli indici di qualità, ne ha stabilito il peso e ha attribuito una valutazione a ciascun ateneo: come abbiamo detto, un processo nient’affatto oggettivo. Questo meccanismo naturalmente può avere anche affetti positivi, perché costringe le università a migliorare, ma ha due effetti assai negativi: la costruzione di uno standard omologante, perché la popolarità della graduatoria ha costretto le università ad adeguare la loro offerta agli indici di qualità stabiliti da “U.S.News” (anche mentendo); l’orientamento delle risorse verso chi si è adeguato agli standard e l’asfissia delle realtà che seguono altri modelli.

Ancor più disastrosi gli usi in campo finanziario o giuridico: algoritmi che decidono chi possa usufruire di pene più leggere o di misure alternative al carcere.

Il libro di Cathy O’Neill non è un invito a rinunciare al potere descrittivo e ‘modellizzante’ della matematica, ma a riconoscere il suo enorme potere, i suoi usi nefasti se non addirittura fraudolenti, per poterne così chiedere un uso corretto e legittimo. (Fonte: R. Paone, laletteraturaenoi 10-10-18)



“I «PESCI», IL «PAVONE» E L’‘ARTE’ DI ‘VALUTARE’ LA ‘QUALITÀ’ DELLA RICERCA SCIENTIFICA

Autore: Enrico Mauro, Palaver, 5 n.s. (2016), n. 1, , pp. 221-222. https://tinyurl.com/ycl2gtet . 

Being in service of the meritocratic dogma, the evaluative liturgy is by now so deep-rooted that often we cannot really appreciate how and how much the freedom of science and teaching is reduced and altered by those rituals. The new public management techniques for the ‘assessment’ of the research ‘quality’, based on a naive, childish trust in the objectivity of numbers, of numerical aims and indexes, make it impossible to discuss quality in qualitative terms. Only what can be numbered, standardized is considered scientific. What cannot be understood in these terms is considered irrelevant and so expelled from the scope of what is scientifically knowable. These way

we cannot know just that qualitative nuance, that decisive «almost-nothing» which makes it incomparable, inimitable, irreplaceable, unclassifiable a person or a thing, a process or a product, an event or a phenomenon. (Fonte: abstract del saggio)



LA RICERCA SCIENTIFICA NELL’ERA DEI BIG DATA

Cinque modi in cui i Big Data danneggiano la scienza, e come salvarla

Autore: Sabina Leonelli. Ed. Meltemi Press, 2018.

L’affidabilità e la legittimità della ricerca scientifica, e della conoscenza che ne viene tratta, è più che mai in discussione in Europa e negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, stiamo assistendo a una vertiginosa innovazione tecnologica nella produzione, comunicazione e analisi dei dati usati per scopi scientifici, accompagnata da un’enfasi crescente sul ruolo dell’intelligenza artificiale nell’interpretare i dati e nel facilitare la produzione di conoscenza. Il libro esamina queste tendenze apparentemente opposte, esamina la storia e l’epistemologia dei dati scientifici e mostra come l’adozione dei Big Data pone tante opportunità quanti rischi per la credibilità e la qualità del sapere scientifico che viene prodotto. I rischi possono essere evitati tramite l’integrazione dell’etica nel lavoro scientifico e la riforma della partecipazione sociale nella produzione, gestione e interpretazione dei dati. (Fonte: presentazione dell’editore)



THE EVALUATION OF RESEARCH IN SOCIAL SCIENCES AND HUMANITIES

Lessons from the Italian Experience

A cura di Andrea Bonaccorsi. Springer 2018. Formato Kindle. Dimensioni file: 2584 KB.

Lunghezza stampa: 416.

This book examines very important issues in research evaluation in the Social Sciences and Humanities. It is based on recent experiences carried out in Italy (2011-2015) in the fields of research assessment, peer review, journal classification, and construction of indicators, and presents a systematic review of theoretical issues influencing the evaluation of Social Sciences and Humanities. Several chapters analyse original data made available through research assessment exercises. Other chapters are the result of dedicated and independent research carried out in 2014-2015 aimed at addressing some of the debated and open issues, for example in the evaluation of books, the use of Library Catalog Analysis or Google Scholar, the definition of research quality criteria on internationalization, as well as opening the way to innovative indicators. The book is therefore a timely and important contribution to the international debate. (Fonte: www.amazon.it)