La
regolamentazione delle immatricolazioni (numero chiuso o programmato o
controllato) è stata per decenni, nella seconda metà del secolo scorso, un tema
demonizzato dallo “sciocchezzaio ideologico e dalle fumisterie parademocratiche”
(http://tinyurl.com/okoeuz8) al
servizio di un’italica demagogia imperante che ha contribuito non poco al
tentativo di squalificare l’università pubblica. Tuttavia, prima della
liberalizzazione degli accessi all’università per tutti i diplomati
dell’istruzione secondaria superiore (legge 11 dicembre 1969, n. 910,
“liberalizzazione degli accessi universitari”) il numero chiuso era un tema su
cui si sbatteva come contro un muro dato che gli accessi erano per legge preliminarmente
discriminati dal tipo di istruzione secondaria frequentato. Con l’avvento
dell’università di massa promosso da quella legge, il tabù demagogico
dell’accesso indiscriminato si è rafforzato ma ha anche cominciato anno dopo
anno a infrangersi contro la ragione. Che, vista la pletora delle iscrizioni,
spesso sproporzionata ai contenitori e alla qualità dell’insegnamento, imponeva
di valutare la possibilità dei singoli studenti di frequentare con profitto un
determinato corso di studi regolato a misura di un definito numero di
immatricolati, bilanciando le
legittime attese dei giovani alle effettive disponibilità di docenti e
strutture didattiche dei corsi. Le associazioni studentesche hanno tuttavia seguitato
ad opporsi al numero chiuso, ritenendolo anche di recente “un abuso
ingiustificato, che peggiora la qualità complessiva, favorisce i clientelismi,
protegge le corporazioni e permette allo stato di non investire sull’università
per quanto sarebbe necessario” (http://tinyurl.com/k48yyox).
Fino al 1999 è
mancata una legge
che disciplinasse in modo definitivo e omogeneo l'accesso ai corsi universitari
a numero programmato. A fare chiarezza sulla questione è intervenuta dapprima
la Corte Costituzionale che, già nel 1998 (sentenza 383, 27-11), ha dichiarato
il numero programmato una misura legittima e non lesiva del diritto allo studio
e, poco tempo dopo, la Legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accessi
ai corsi universitari) che ha stabilito i corsi universitari i cui accessi sono
programmati a livello nazionale: Corsi di Medicina e chirurgia, Medicina
veterinaria, Odontoiatria e protesi dentaria; Corsi di Architettura; Corsi di
primo livello dell'area sanitaria; Corsi in Scienze della formazione primaria;
Corsi universitari di nuova istituzione o attivazione, per un numero di anni
corrispondente alla durata legale del corso; Corsi di laurea per i quali
l'ordinamento didattico preveda l'utilizzazione di laboratori ad alta
specializzazione; Corsi di diploma universitario (oggi sostituiti e riformati
dai corsi di laurea triennali) per i quali l'ordinamento didattico preveda
l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo. Per
ogni corso di laurea ad accesso regolato, il Ministro stabilisce annualmente il
numero massimo di posti disponibili sul territorio nazionale suddivisi per
sede.
Va
anche ricordato che l'istituzione del numero programmato in alcuni corsi
universitari (Medicina e Chirurgia, Medicina Veterinaria, Odontoiatria e
Protesi Dentaria) è norma di legge che recepisce raccomandazioni della Comunità
europea volte ad armonizzare i sistemi di formazione nazionali e a rendere
omogenee le caratteristiche professionali di figure come il medico o il
dentista, in modo che possano muoversi liberamente nella Comunità Europea
esercitando il proprio lavoro.
Nelle
università il numero chiuso è ormai un dato acquisito e si è esteso da
Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura a moltissimi altri corsi di
laurea, che, localmente, hanno iniziato ad applicare i test selettivi per
l’immatricolazione: i corsi a numero programmato in tutta Italia sono oggi 1.687
su 4.311, il 39 per cento. L'Università di Padova, ad esempio, prevede a
"numero controllato" Economia, Psicologia, Agraria, Fisica, Scienze
dell'educazione. A Palermo il test per entrare a Scienze di base e applicate è
stato affrontato da 4.045 candidati: 1.358 i posti disponibili. Alla Ca' Foscari
di Venezia in 2.973 hanno provato a entrare alla fine di agosto ai sei corsi di
laurea (linguistici ed economici) ad accesso programmato. L'Università di Parma
ha diciotto corsi chiusi. Giurisprudenza è a numero chiuso a Roma Tre, a
Firenze, a Catania, a Palermo. Biologia è nella totalità dei casi a numero
chiuso. La partecipazione alla prova selettiva iniziale per i corsi
dell'Università di Milano-Bicocca quest'anno ha segnato un +49,6 per cento. A
Bologna i corsi con lo sbarramento erano 61 nel 2013 e quest’anno ad aprile al
test per Medicina si sono presentati in 2.835 per 440 posti. L'Anvur, il
guardiano della valutazione, segnala che nei corsi ad accesso programmato, come
Medicina, ci sono tassi bassi di abbandono, un’elevata quota di laureati
regolari e un minor numero di iscritti fuori corso (http://tinyurl.com/lk49c3l).
I
test per l’accesso ai corsi e in particolare per l’accesso a Medicina e
chirurgia sono entrati quest’anno nell’occhio del ciclone per l’effetto combinato
di errori del MIUR e di ricorsi vinti dagli studenti davanti alla giustizia
amministrativa.
A
livello MIUR si è incappati nel (o non si è stati capaci d’impedire il) venir
meno di uno dei principi cardini del test, l'anonimato: la modulistica stampata
dal MIUR era facilmente decrittabile, con la possibilità di accoppiare il nome
del ricorrente al codice personale della prova. In particolare il codice
numerico aveva una prima parte uguale per tutti gli studenti della medesima
aula e le ultime tre cifre, facilmente memorizzabili, individuavano il posto ed
erano quindi abbinabili alla persona. È stato lo stesso MIUR a rendersi conto
nei giorni precedenti il test del potenziale pasticcio e ha provato con
telefonate a suggerire delle soluzioni agli atenei, come far imbustare
separatamente il modulo con il nome e il codice. Ma le buste utilizzate dalle
università, reperite all'ultimo momento utile, non garantivano la riservatezza
perché erano leggibili in trasparenza. Una volta recuperati i moduli della persona
da aiutare, era facilissimo correggere a penna le domande sbagliate perché la
possibilità di ripensare le risposte date era esplicitamente prevista.
I
Tar da parte loro hanno disposto in via cautelativa il diritto dei ricorrenti,
come «risarcimento in forma specifica», a iscriversi anche se sono stati
bocciati ai test e persino se non hanno risposto neppure a una domanda. In tal
modo la lista dei 10.551 vincitori ufficiali del test per Medicina si è
gonfiata di almeno 2.500 soggetti e altri 300 studenti potranno iscriversi ai
corsi di Medicina a Palermo perché così hanno deciso i giudici del Consiglio di
giustizia amministrativa. Ma il Tar del Lazio il 10 ottobre ha riconosciuto
anche ad altri 2.500 ricorrenti il diritto all’iscrizione ai corsi di Medicina,
Odontoiatria, Veterinaria e Architettura, numero che si somma alle precedenti 2.500 immatricolazioni obbligatorie,
sentenziate a luglio e a settembre dopo il maxi ricorso presentato dall’Unione
degli universitari (http://tinyurl.com/lxe3x6e ).
Oltre
al “numero chiuso” l’Italia ha così inventato il “soprannumero”. Dunque gli
studenti che hanno ottenuto un buon risultato al test, senza risultare tra i
vincitori, si vedono scavalcare per un’ordinanza del Tar da chi ha fatto
ricorso e magari non ha neppure ottenuto i 20 punti della sufficienza. Infine anche
il Consiglio di Stato si è pronunciato sul ricorso di due studenti con una
sentenza che recita: «A causa delle
illustrate inadempienze riscontrate nell'attività dell'amministrazione -
violazione dell'anonimato - le parti sono state illegittimamente private della
possibilità di iscriversi alla facoltà cui aspiravano, subendo di conseguenza i
relativi danni, anche in termini economici» (http://tinyurl.com/mk7x2w7).
Rimane
la mesta constatazione che lo Stato non ha saputo né garantire la regolarità
del concorso né ha preso provvedimenti idonei a rimediare in extremis alla
situazione anomala. Non si può, infatti, giudicare un vero rimedio la circolare
del MIUR del 23 settembre che ha disposto che i vincitori dei ricorsi al Tar
del Lazio per l'ammissione in sovrannumero ai corsi di Medicina (sono 2.500)
dovranno essere assegnati all'università in cui "risulta minimo lo scarto
tra il punteggio del primo in graduatoria e il punteggio ottenuto dal
ricorrente". Ovvero, tenendo conto delle sedi richieste dal candidato (escluso
al test e riammesso da un Tar), la nuova matricola andrà là dove si avvicina di
più ai voti dei migliori. Ma una nuova circolare del MIUR del 6 ottobre ha sbloccato
il blocco delle iscrizioni laddove le ordinanze del Tar sono chiare ed
esplicitano la sede cui fa riferimento il ricorso (caso di Bari). Se, invece,
nei provvedimenti giudiziari non si fa espressa menzione della sede, bisognerà
rispettare l'indicazione ministeriale precedente, cioè i ricorrenti dovranno
iscriversi altrove rispetto alla sede scelta per il test e la destinazione sarà
indicata dallo stesso ministero, attraverso una procedura telematica allestita
sul sito del Cineca.
In
definitiva, la prospettiva è di avere quest'anno studenti iscritti a Medicina
appartenenti a quattro categorie (http://tinyurl.com/n5qphxa): la prima è
quella dei bravi che hanno superato brillantemente il test; la seconda è quella
di chi ha superato il test grazie all'aiuto di qualcuno che ha utilizzato i
buchi nella garanzia di anonimato; la terza categoria è di chi si è iscritto
grazie al ricorso al Tar in soprannumero ma aveva comunque raggiunto l'idoneità
minima al test; la quarta infine è di chi è stato bocciato al test e magari ha
ottenuto un punteggio negativo ma si è dimostrato tempestivo nel fare ricorso
assicurandosi, senza alcun merito, l'ambitissimo diritto a intraprendere la
carriera di studente in Medicina.
Per
superare l'attuale test di Medicina, che ha mostrato dei limiti e ha sollevato
contenziosi giudiziari, il ministro Giannini, nella campagna elettorale per le
Europee, ha cercato di attenuare lo scontento dei candidati e delle loro
famiglie, promettendo di abolire i test di accesso e prospettando un'altra
soluzione, simile al modello francese (http://tinyurl.com/qjr7lsq).
Nonostante le perplessità sollevate dagli ambienti accademici, ha consegnato alla
Conferenza dei Rettori un documento che prevede un anno comune per tutte le
matricole, una valutazione divisa in due semestri e alla fine della stagione
una selezione dura per passare al secondo anno. Al ministro ha fatto eco un
gruppo di deputati che in una nota (http://tinyurl.com/k42oq86) hanno affermato
che “I test di accesso sono diventati un mero simulacro, non premiano il merito
e sono un’ingiusta forma di sbarramento sociale". Dalla parte opposta
dello schieramento politico un senatore ha sostenuto i diritti dei vincitori
dei ricorsi ai Tar di essere comunque immatricolati nella propria sede. Evidentemente
anche in Parlamento la demagogia, che ha come strumento il populismo, riemerge
quando non si conoscono per incultura o si vogliono ignorare i problemi
dell’università senza tener conto delle opinioni dei competenti e in
particolare delle basi storiche non solo italiane dei test per gli accessi. Ma
sull’ipotesi del superamento dei test d’accesso si leggono anche opinioni più
meditate e realistiche come quella di A. Figà Talamanca (http://tinyurl.com/lt94mcp) che
riporto quasi integralmente: “Se il primo anno di Medicina sarà aperto a tutti
quelli che hanno conseguito un diploma di maturità … (possiamo ipotizzare che anche coloro che avevano
preferito non affrontare i test si iscrivano a Medicina) gli immatricolati per
il 2015 dovrebbero essere tra i settantamila e i centomila … Si dovrebbe
modificare l'ordinamento didattico di Medicina in modo da rendere il primo anno
compatibile con il proseguimento degli studi in altre discipline, con
convalida, almeno parziale, degli esami sostenuti. Bisognerà anche vincere le
resistenze dei docenti di altre ex-facoltà per indurli ad accogliere, senza
troppi ‘debiti’, gli studenti che hanno
compiuto il primo anno a Medicina. Alla fine, la soluzione giusta dovrebbe
essere quella di riservare il primo anno di Medicina alle materie scientifiche
di base (matematica, fisica, chimica, biologia), che dovrebbero essere
impartite dai rispettivi dipartimenti a tutti gli studenti il cui curriculum le
richieda, indipendentemente dal corso di laurea di iscrizione. Stiamo parlando
però di cambiamenti che incontrerebbero molte resistenze e necessitano comunque
tempi lunghi. L'apparato ministeriale, l'agenzia per la valutazione, e,
specialmente, il mondo accademico non sembrano pronti ad affrontare problemi di
questo tipo e di questa portata, meno che mai in così poco tempo”.
L’accesso agli studi di Medicina in alcuni Paesi europei
In Francia per diventare un docteur en
médecine (medico specialista) gli studi, che comprendono anche l'equivalente
della specializzazione italiana, durano tra i 9 e gli 11 anni. L’iscrizione a
un corso di laurea richiede il conseguimento del baccalauréat, il diploma
attribuito agli studenti a 18 anni, al termine degli studi superiori.
L’iscrizione va effettuata a marzo, qualche mese prima del conseguimento del
diploma. La differenza fondamentale rispetto al meccanismo italiano è che non
esiste uno sbarramento per l’accesso al primo anno; inoltre i primi due
semestri di studi non sono riservati ai soli aspiranti medici, ma sono validi
per altri tre indirizzi: odontoiatria, farmacia e ostetricia. Dunque
l’iscrizione è libera, e gli studenti iniziano il corso comune alle quattro
discipline, ma la selezione arriva comunque molto presto. Già al primo anno,
gli iscritti sono chiamati a una prova che si articola in due momenti al
termine dei due semestri (in dicembre-gennaio e in maggio). Altra differenza
capitale con l’Italia: l’esame non riguarda una pluralità di materie non tutte
direttamente collegate agli studi, ma tocca esclusivamente le discipline
studiate nel corso dell’anno. Qualora, al termine del primo anno, lo studente
non passi gli esami, ha la possibilità di ripetere l’annualità, ma una volta
sola; in caso di insuccesso, può cambiare indirizzo di studi all’interno delle
professioni sanitarie. Superato lo sbarramento, lo studente prosegue negli
studi medici (http://tinyurl.com/np545r9). Il sistema
francese è un sistema che spegne le proteste per l'iniquità percepita della
selezione al primo anno, ma che sposta a un anno dopo una selezione ben più
dura.
Nel
Regno Unito sono simili a quelle
statunitensi le strategie adottate: le scuole mediche fissano annualmente i
propri criteri di selezione, frutto della combinazione di requisiti scolastici
pregressi, di conoscenze scientifiche di base e di qualità personali (ad
esempio lettere di presentazione, interviste, etc.). In generale, i candidati
in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore Gcse (General
Certificate of Secondary Education) possono inoltrare la domanda di ammissione
a 4 Scuole mediche di loro scelta attraverso l'Ucas (Universities and Colleges
Admission Service). Saranno poi sottoposti a specifici test (http://tinyurl.com/n24bjdz): Clinical Aptitude Test (Ukcat);
Biomedical
Admission Test (Bmat); Graduate Medical School Admission Test (Gamsat). Solo i candidati
che avranno superato il test previsto saranno convocati alla prova finale
(l'interview), condotta da una commissione esaminatrice specializzata per
accertare, oltre al possesso delle conoscenze teoriche (soprattutto chimica,
fisica, biologia), eventuali esperienze professionali o di volontariato
pregresse, la capacità di lavorare in gruppo e le motivazioni personali, che
indirizzano i candidati alla professione medica.
In Germania è molto articolata per
tipologia di ammissibili agli studi medici la strategia adottata, che è gestita
da un organismo federale, l'Ufficio centrale per l'attribuzione dei posti
nell'ambito dell'insegnamento superiore (Zentralstelle für die Vergabe von Studienplätzen
- ZVS). Possono candidarsi i possessori dell'Abitur (Zeugnis der allgemeinen
Hochschulreife), ma quote di posti sono riservate per il 2% agli studenti
diversamente abili o con difficoltà socio-economiche (Heirtefeille), per il 20%
ai Talented 20, che al diploma conclusivo degli studi secondari hanno riportato
la media più alta della loro classe e per il 20% agli idonei degli anni
precedenti in lista d'attesa da più tempo. Dopo l'abolizione del 1997, e stato
reintrodotto il test Essai für Medizinische Studiengeinge, non obbligatorio, ma
utile per migliorare il punteggio complessivo e la possibilità di essere
positivamente selezionati nel corso dell'intervista conclusiva.
Modalità
diverse per etnia riguardano invece la Svizzera
dove la componente di lingua tedesca prevede - sul modello tedesco - il
superamento di un test attitudinale. Per la parte di lingua francese e in Belgio l'accesso avviene senza
particolari restrizioni, ma la selezione - analogamente al modello francese - è
rinviata all'anno successivo e si basa sui risultati conseguiti nel primo anno
di studi (http://tinyurl.com/n24bjdz).
In Spagna l'accesso a tutte le Facoltà
universitarie è subordinato alla votazione riportata nel diploma di Bachiller
e, per chi ha più di 25 anni - sulla base del Real Decreto 1892/2008 entrato in
vigore dall'a.a. 2009/10 - al superamento di uno specifico esame denominato PAU
(Prueba de Acceso a la Universidad) presso i singoli Atenei, destinato a
valutare la maturità degli allievi, nonché le conoscenze e le competenze
acquisite durante gli studi secondari. Il PAU è articolato in due fasi: una
fase generale obbligatoria, che pone l'accento su quattro materie di base, e
una specifica volontaria che può migliorare la votazione finale per
l'ammissione universitaria (http://tinyurl.com/n24bjdz).
L’opposizione alla proposta del “sistema francese” per l’accesso
ai corsi di Medicina e chirurgia
La
proposta del ministro Giannini di abolire per Medicina il test d’accesso ha
sollevato molte perplessità e anche nette opposizioni in un’estesa platea non
solo di accademici, rettori e presidi compresi, ma anche di ministri (ex o in
carica) e di commentatori di cose universitarie sulla stampa e in rete. A
favore solo le associazioni studentesche, ma non tutte, e alcuni parlamentari
di destra e di sinistra nell’assordante silenzio di quasi tutti gli altri loro
colleghi.
“Il modello francese così com’è non è applicabile,
non ci sono risorse e strutture”, ha detto al Corriere dell’Università Maria
Chiara Carrozza, ex ministro dell’istruzione, e ha aggiunto: ”Allo stato
attuale non è applicabile, non ci sono le risorse e le strutture per affrontare
un’immissione incontrollata di studenti al primo anno. Non dico che sia di
principio infattibile, ma bisogna essere realisti e non demagogici”. Anche il ministro della
Salute Beatrice Lorenzin ha espresso a controcampus.it il suo dissenso: “No,
non sono favorevole all’abolizione dei test di accesso all’università” sia per
le ovvie difficoltà organizzative e logistiche cui dovrebbero rispondere le
università a fronte del prevedibile boom della popolazione studentesca
(70-80mila unità secondo il ministro) sia per lo spettro di una possibile
emorragia di camici bianchi, che finirebbero quasi tout court dalla laurea alla
strada: aprire le porte della professione medica a una platea più ampia
rischierebbe di congestionare un mercato dove, tuttavia, c’è sempre stata piena
occupazione. Secondo il
segretario della Conferenza dei corsi di laurea e delle professioni sanitarie,
le proiezioni sul numero dei futuri laureati fanno già emergere un progressivo
esubero degli stessi, con un valore complessivo di circa 9.000 in più dal 2014 al 2020.
Fra
le opinioni raccolte da Universitas (http://tinyurl.com/n73cvsz) fra i rettori,
particolarmente indicativa quella del nuovo rettore della Sapienza, Eugenio
Gaudio: “Il problema, a mio avviso, si deve risolvere con un sistema di
selezione a tre gambe: la valutazione del percorso scolastico precedente, la
verifica delle attitudini mediante test psicoattitudinale, il normale concorso
a test a scelta multipla. Il fatto di aver posto il numero programmato ha
consentito di migliorare le performance dell’università italiana, almeno nel
settore medico: il 90% degli studenti si laurea, il 60% si laurea in corso; le
facoltà di Medicina italiane sono tra le migliori in ambito europeo; chi si
laurea trova lavoro. Negli anni 70-80 si è formata una pletora medica, che non
ha frequentato né lezioni né corsie, e non è stato un bene: e questo lo dico
soprattutto da potenziale paziente”. A La Repubblica Eugenio Gaudio ha fornito
un esempio: “Alla Sapienza di Roma sono 6 le aule grandi di Medicina, e 36 più
piccole. I docenti? 72. Considerando il rapporto tra i posti a disposizione e
le aspiranti matricole, il passaggio al sistema d’oltralpe richiederebbe 36
aule grandi, 216 piccole e 432 professori”. Carmine Di Ilio, rettore dell’Università
di Chieti-Pescara: “Il sistema vigente può essere migliorato selezionando con
maggiore cura le domande. Comunque l’utilizzo di un test a scelta multipla
sulle medesime tematiche correntemente utilizzate, a mio avviso garantisce
un’adeguata trasparenza e pone gli studenti nelle medesime condizioni
iniziali”. “Che il sistema dei quiz vada migliorato lo pensiamo un po’ tutti -
dice Cristina Messa, rettrice della Bicocca -. Ma la soluzione non è
eliminarli. Semmai bisognerebbe puntare molto di più sull’elemento attitudinale,
che è fondamentale nella nostra professione”. Dello stesso parere è Roberto
Lagalla, rettore dell’Università di Palermo e vice presidente della Conferenza
dei rettori con delega alla Medicina: “La selezione preliminare tramite i test va
mantenuta. Il punto è che i test dovrebbero essere molto più coerenti con i
saperi liceali”, e aggiunge che il sistema dei test, per quanto imperfetto, dà
maggiori garanzie di obiettività di un esame orale che è molto più esposto a
favoritismi e raccomandazioni. “Le mie riserve principali rispetto al modello
francese sono due – ha sostenuto il rettore dell’università di Padova Giuseppe Zaccaria
-. Per quanto riguarda l’ipotesi di un tronco comune alle diverse lauree
mediche, io non sono per niente convinto che la fisica che serve ai medici sia
la stessa che serve agli infermieri. Quanto poi al sistema di selezione dei
ragazzi, temo che affidarsi a degli esami universitari anziché a dei test
“ciechi” esponga i docenti a una serie di pressioni indebite”. Gli esami orali
si trasformerebbero inevitabilmente in un mercanteggiamento per mandare avanti
questo o quel ragazzo, indipendentemente dalle sue qualità. Tra le altre
personalità di spicco della Medicina di cui universitas ha sentito l’opinione,
Luigi Califano, presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università
di Napoli Federico II: “Consentire l’iscrizione al primo anno a tutti gli
studenti che ne facessero richiesta, creerebbe problematiche insormontabili
legate sia alla logistica (carenza di spazi adeguati) sia alla didattica
(carenza di personale docente). Le valutazioni alla fine del primo e del
secondo semestre del primo anno dovrebbero poi essere assolutamente imparziali,
cosa che non sempre avviene nel nostro Paese. Credo quindi che il sistema
attuale, pur perfettibile in alcuni aspetti (tipologia dei quesiti, un maggiore
e più efficace sistema di controllo), sia l’unico attuabile al momento”. Andrea
Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale (Cun) e della
Conferenza permanente dei presidenti di corso di laurea magistrale in Medicina
e Chirurgia: “Gli anni recenti di prove di ammissione hanno mostrato che vi
erano evidenti differenze nei punteggi di accesso delle diverse sedi e questo
aveva provocato un malumore diffuso. L’introduzione di una graduatoria
nazionale consente di eliminare tali differenze. È necessario peraltro che
siano approvate norme di sostenibilità economica per consentire alle famiglie
le spese legate alla mobilità degli studenti, possibilità altrimenti riservata
a studenti delle classi sociali più abbienti, in conseguenza alla scarsità di
fondi e strutture riservate al cosiddetto diritto allo studio”.
In
un articolo su lavoce.info (http://tinyurl.com/nn7lmj7) si sostiene che
la proposta governativa presenta numerosi difetti che superano quelli della
procedura attuale di ammissione, peraltro recentemente migliorata in modo
significativo con la predisposizione di un’unica classifica nazionale dei
risultati, che evita le iniquità e le inefficienze delle precedenti classifiche
per ateneo. Tra i difetti della proposta si segnala in particolare: (1) I corsi
del primo anno di medicina saranno invasi da un numero enorme di studenti, tale
da rendere difficoltosa l’attività didattica tradizionale, anche solo per un
problema di spazi, e tale da richiedere necessariamente tecnologie di
e-learning, tutte da disegnare con costi considerevoli. (2) Il libero accesso
al primo anno di medicina provocherà un immediato calo di iscrizioni ai corsi
di laurea affini. (3) La diminuzione della qualità media degli studenti
iscritti a Medicina al primo anno e la congestione degli spazi educativi
danneggerà gli studenti bravi e in grado di continuare, per i quali il primo
anno universitario si ridurrà a essere solo un lungo e costoso modo per
segnalare la loro qualità con benefici minimi in termini di capitale umano. (4)
Anche la qualità media dei docenti del primo anno, che dovranno necessariamente
aumentare, potrebbe diminuire peggiorando le conseguenze negative di cui ai
punti precedenti. (5) Sarebbe comunque necessario, alla fine del primo anno, un
test standardizzato nazionale che soffrirebbe sostanzialmente degli stessi
problemi di quello attuale, senza particolari benefici; il primo anno di studi
in medicina diventerebbe a tutti gli effetti un inutile sesto anno di liceo con
scarsi vantaggi.
Coloro
che già frequentano una scuola di specializzazione medica hanno deciso di
aderire alla petizione promossa dall’on. Filippo Crimì contro il progetto del
ministro Giannini di procedere all’abolizione del test per l’accesso a Medicina
(http://tinyurl.com/ohrpgqj). Rendendo noto
il proprio sostegno all’iniziativa del deputato della maggioranza,
Federspecializzandi sottolinea alcuni aspetti critici del modello francese. In
primis, il fatto che il percorso formativo del primo anno di studi differisce
notevolmente fra le diverse sedi del corso di laurea in Medicina e che “il
superamento degli esami di profitto sia spesso affidato a valutazioni orali e
quindi del tutto discrezionali da parte dei docenti”. Ciò, secondo gli allievi
delle scuole di specializzazione, violerebbe il “principio della trasparenza e
dell’oggettività della valutazione“, falsando gli esiti della selezione. Un altro
dei motivi per i quali Federspecializzandi è contraria all’abolizione del test
di Medicina è che “l’eventuale riforma dell’accesso a Medicina nella direzione
del modello francese, richiederebbe da parte del MIUR un forte investimento in
termini di rinnovamento e ampliamento delle strutture che ospitano la
formazione”. Perché, secondo gli specializzandi – e anche i rettori – così come
sono, esse non ce la farebbero a sostenere l’impennata del numero delle
matricole.
La
Conferenza Permanente delle Facoltà e Scuole di Medicina e Chirurgia, l’8
maggio ha approvato all’unanimità e inviato al Ministro Giannini una mozione (http://tinyurl.com/lctjexr) sull’accesso ai
corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia per l’anno accademico 2015-2016, dove
si sottolinea la necessità irrinunciabile del numero programmato e l'efficacia
ed efficienza dell'attuale metodo selettivo; nell'ipotesi di una revisione, i
firmatari affermano l'importanza dell’orientamento nella scuola secondaria,
della valutazione del percorso scolastico e la necessità di una prova di
valutazione specifica per Medicina, con domande a risposta multipla come quella
attualmente in vigore.
A
proposito del «sistema francese» proposto dal ministro Giannini, e in fase di
elaborazione al MIUR, sarebbe facile ironizzare su questa improvvida moda
esterofila, come si è visto di così scarsa popolarità. Se non fosse invece il
caso di rimeditare la proposta in base a una notizia seria: in Francia proprio
Geneviève Fioraso (secrétaire d'Etat à l'Enseignement supérieur) e la CPU
(Conférence des présidents d'université) non ne vogliono più sapere, dopo anni
di applicazione, del loro sistema (sélection des étudiants entre la première et
la deuxième année de master, M1 et M2) ora elevato a modello per l’Italia (http://tinyurl.com/ml97anu). Il presidente della CPU Jean-Loup Salzmann ha
qualificato la situazione attuale «stupide», mentre il tribunale amministrativo
di Bordeaux ha stimato che la selezione degli studenti fra il primo e il
secondo anno di corso (entre M1 et M2) è illegale. Il segretario di Stato
all’istruzione superiore Fioraso ha messo sul tavolo la questione di anticipare
di nuovo la selezione all’ingresso nel primo anno, anche sulla base di
prerequisiti, e ha dichiarato a ‘Les Echos’ che, affrontando l’argomento degli
accessi, vuole “sicuramente non lasciare più la selezione tra il primo e il
secondo anno di corso”. Anche la Fage,
un’organizzazione studentesca francese, sostiene un sistema di accesso post-bac
da denominare Admission post-licence (dopo la secondaria superiore): tutti gli
studenti dovrebbero presentare cinque domande d’immatricolazione e ne sarebbe
accolta una in funzione del loro dossier. Il presidente
della Fage Julien Blanchet: «Avoir une sélection entre M1 et M2 est ridicule». Si può aggiungere
che la proposta di adottarla da noi lascia perplessi anche sulla correttezza
della selezione se fatta con esami individuali in ambienti accademici non
impermeabili a nepotismi e favoritismi.
Validità dei test e proposte alternative al sistema attuale di selezione
per l’accesso a studi medici
Per
l’accesso a Medicina nei Paesi anglosassoni (Nord America, Australia e Regno
Unito) si utilizzano anche interviste e test psicometrici e si stanno
diffondendo i centri di selezione, organismi accreditati in cui i candidati sono
valutati da professionisti. Da revisioni sistematiche della letteratura emerge
comunque che il risultato dei test sulle conoscenze ha un valore predittivo di
oltre il 65%. La teoria dei test considera vari tipi di validità (http://tinyurl.com/o8j37tx), ma
quelli più rilevanti in questo contesto sono essenzialmente due: la validità di
costrutto (il test misura effettivamente le variabili che intende misurare?) e
la validità predittiva (il test seleziona persone che hanno poi una carriera
studentesca e professionale soddisfacente?). Il test misura capacità logiche e
mnemoniche nell'assunto che le capacità richieste per ottenere un buon
punteggio siano le stesse necessarie per usufruire con profitto del corso di
studi: può sprecare un quarto della scala di valutazione con domande astruse,
ma se fa buon uso dei tre quarti rimanenti può ancora essere valido. Se il suo
fine è selezionare studenti che abbiano la massima probabilità di completare
con successo il corso di studi e di diventare validi professionisti,
minimizzando gli abbandoni, la sua validità predittiva e di costrutto sono
misurabili. Uno studio è stato effettuato per i test di ammissione delle
Facoltà di Ingegneria che aderiscono al Cisia (Consorzio Interuniversitario
Sistemi Integrati per l'Accesso) e i dati raccolti (per il Politecnico di
Torino) hanno mostrato una “significativa correlazione tra punteggio del test
di ammissione e risultati nella carriera studentesca: punteggi alti al test
correlano con voti alti agli esami, Laurea nei tempi previsti, basso rischio di
abbandono”. E' importante notare che il test di ammissione di Ingegneria
presenta lo stesso difetto già considerato per quello di Medicina, cioè la
cattiva distribuzione dei punteggi, con la parte alta della scala di
valutazione sostanzialmente spopolata; inoltre il punteggio del test di
ammissione ha una correlazione molto debole con il voto di maturità. Uno studio
analogo è in corso per i Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia. Giova anche
ricordare che a Medicina “il tasso di abbandono precedente all'adozione del
numero chiuso era di circa il 70% mentre quello attuale è inferiore al 30%. Sembra
pertanto che i test di ammissione, sebbene alquanto inadeguati, abbiano
ciononostante una buona validità predittiva e di costrutto”, ed è sicuramente
giustificato sia cercare di migliorarli che monitorare costantemente la
correlazione tra il punteggio in ingresso e la carriera universitaria fino alla
laurea.
Una
proposta, recentemente avanzata sul sito lavoce.info (http://tinyurl.com/nn7lmj7), è di modificare l'esame di maturità, introducendo
moduli standardizzati per scegliere - secondo una graduatoria di merito redatta
con criteri omogenei - gli studenti che proseguono nei corsi di laurea a numero
chiuso, sistema, ad esempio, adottato fino a quest'anno in Spagna. Ogni ateneo
(non solo per gli studi medici, ma anche per quelli in altre aree) stabilirebbe
l’elenco di materie nelle quali uno studente dovrebbe sostenere l’esame e il
punteggio minimo richiesto, materia per materia. Ad esempio la facoltà di
medicina H potrebbe richiedere: italiano, inglese, con punteggi superiori
all’80 e matematica, biologia, chimica e fisica con punteggi superiori al 90.
La
scuola superiore, esordiscono gli autori della proposta, offre cinque anni di
informazioni analoghe a quelle che sarebbero raccolte nel primo anno di studi
con accesso libero ai corsi di Medicina previsto dalla proposta governativa.
Meglio ancora sarebbe se nei cinque anni i nostri studenti potessero costruire
gradualmente, á la carte, itinerari formativi diversificati a seconda delle
loro doti e delle prospettive lavorative cui aspirano, tra i quali, in
particolare, itinerari miranti a studi medici. Il vantaggio derivante
dall’associare la procedura di ammissione alla performance scolastica (e non a
quella del primo anno di università come nella proposta governativa) sarebbe la
possibilità di intercettare studenti capaci e meritevoli che, per vincoli di
bilancio familiari o altre ragioni socio-culturali, non continuerebbero gli
studi oltre il liceo.
L'opzione alternativa, più realistica, è
mantenere l'attuale schema della graduatoria nazionale, che nel complesso ha
dato buona prova di sé, migliorando sensibilmente qualità e adeguatezza dei
test. Se si aprono alle critiche degli esperti, l'attendibilità dei test può
crescere nel tempo, rendendoli uno strumento affidabile e con garanzie di
equità superiori a quella di altre soluzioni