martedì 27 gennaio 2015

INFO UNIVERSITARIE n. 1 (27-01-2015)

IN EVIDENZA

NUOVE ABILITAZIONI E RECLUTAMENTO
SEMINARIO PUBBLICO PROMOSSO DALL’INTERCONFERENZA NAZIONALE DEI DIPARTIMENTI – COORDINAMENTO DELLE CONFERENZE DI DIRETTORI, PRESIDI E RESPONSABILI DI STRUTTURE UNIVERSITARIE
“Il contributo dell’Interconferenza all’analisi delle criticità nel sistema universitario” è il titolo dell’incontro che si è tenuto mercoledì 15 ottobre alla Facoltà di Ingegneria della Sapienza.
Parte del seminario si è concentrata su nuove abilitazioni e reclutamento.
Attilio Corradi (Conferenza di Medicina Veterinaria) si è soffermato sui numeri: le domande presentate per l’Abilitazione Scientifica Nazionale sono state quasi 60mila; il 40,6% degli abilitati è sopra la mediana; su un totale di 105 casi solo in due occasioni, peraltro ininfluenti sull’esito finale, il commissario OCSE ha dato un parere diverso rispetto a quello degli altri commissari. (Slides dell’intervento di Corradi visibili tramite il link riportato sotto da usare su Google Chrome).
Fabrizio Micari (Conferenza di Ingegneria) ha criticato l’approccio “notarile” applicato nell’ASN, a suo avviso causa di “risultati di validità limitata”, ed ha proposto che nella procedura per l’abilitazione si inserisca un colloquio orale con i candidati sui risultati delle ricerche da loro condotte, per verificarne in modo più appropriato la maturità scientifica.
Paolo Rossi (CUN) ha invece presentato la proposta del CUN di istituire un meccanismo concorsuale di tipo comparativo per diventare junior professor per cinque anni, entro i quali conseguire l’abilitazione per divenire, attraverso un meccanismo valutativo, professore associato.
Alessandro Arienzo (CUN) ha individuato il rischio che circa il 30% degli abilitati non riuscirà ad essere reclutato a causa del blocco del turn-over e all’assenza di risorse. Sul processo di formazione delle commissioni e sui criteri di valutazione si è incentrato, infine, l’intervento di Carlo Pennisi (Conferenza di Sociologia).
Fonti, materiali e audio degli interventi qui  http://www.radiosapienza.net/2013/news/dalla-sapienza/2041-primo-seminario-interconferenza-gli-audio.html (link da usare su Google Chrome)

PRINCIPALI CRITICITÀ DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
SEMINARIO PUBBLICO PROMOSSO DALL’INTERCONFERENZA NAZIONALE DEI DIPARTIMENTI – COORDINAMENTO DELLE CONFERENZE DI DIRETTORI, PRESIDI E RESPONSABILI DI STRUTTURE UNIVERSITARIE
“Il contributo dell’Interconferenza all’analisi delle criticità nel sistema universitario” è il titolo dell’incontro che si è tenuto mercoledì 15 ottobre alla Facoltà di Ingegneria della Sapienza.
Parte dell’incontro è stata dedicata alla discussione sulle principali criticità dell’università italiana. Nell’intervento introduttivo, il Portavoce dell’Interconferenza Mario Morcellini ha sottolineato come i docenti non abbiano fatto sentire adeguatamente la loro voce nel corso dei processi di cambiamento del sistema universitario e come le trasformazioni della governance abbiano prodotto un contesto che non favorisce le istanze democratiche e le istituzioni elettive.
Sul tema “La 240/2010 tra attuazione e manutenzione” è intervenuto Giuseppe Catalano (Sapienza), il quale ha messo in evidenza come il richiamo all’autonomia e alla responsabilità presente nell’art. 1 della Legge Gelmini sia ampiamente disatteso negli altri 25 articoli e nei provvedimenti attuativi. Gli aspetti incompiuti della Riforma sono il sistema di finanziamento e gli interventi per il diritto allo studio.
Rocco Curto (Conferenza di Architettura), Claudio Bosio (Conferenza di Psicologia) e Fabrizio Vestroni (Conferenza di Ingegneria) hanno invece affrontato il tema “Formazione universitaria, mondo del lavoro, professioni”. Curto ha richiamato la crisi anche nelle sue connotazioni strutturali. Ha riportato l’attenzione sulle nuove professioni, sottolineando l’attuale scollamento tra formazione e mercato del lavoro, scollamento dovuto all’autoreferenzialità dello stesso sistema formativo italiano e, soprattutto, all’assenza di un piano della formazione e alla ricerca connesso alle politiche di sviluppo del paese.
La trattazione del tema “La valutazione tra formazione e ricerca” è stata affidata a Marco Abate (CUN) e Stefano Semplici (Università di Tor Vergata). Il primo ha esaminato vantaggi e pericoli della valutazione della ricerca, sottolineando in particolare come essa sia un importante strumento per un governo informato del sistema universitario, e come sia essenziale non ridurla, soprattutto quando si valutano singoli ricercatori, al calcolo di meri numeri; l’altro ha criticato i provvedimenti del Parlamento, del Governo e dell’ANVUR, che sottovalutano e di conseguenza disincentivano la didattica.
In merito al tema “La costituzione dei corsi di dottorato: analisi e nuove proposte”, Carlo Maria Bertoni (Conferenza di Scienze MM.FF.NN.) ha illustrato il notevole calo dei corsi di dottorato negli ultimi anni in seguito alle nuove normative sull’accreditamento, mentre Giuseppe Fabio Montalbano (CUN e rappresentante ADI) ha parlato di una “ipertrofia normativa” della legislazione italiana che ha però lasciato scoperti i “nervi sensibili” dei corsi di dottorato nel nostro paese. Sergio Ferrari (Conferenza di Biotecnologie) ha invece presentato una “Proposta per un’Agenzia per l’Internazionalizzazione”, con gli obiettivi, tra gli altri, di coordinare i servizi per gli studenti stranieri e promuovere la conoscenza della lingua italiana all’estero.
Fonti, materiali e audio degli interventi qui http://www.radiosapienza.net/2013/news/dalla-sapienza/2041-primo-seminario-interconferenza-gli-audio.html (link da usare su Google Chrome)

UNIVERSITÀ. NEL DDL 1577 UNA INOPPORTUNA DIVISIONE INTERNA AL SISTEMA UNIVERSITARIO.
L’art. 8 del disegno di legge n. 1577 (presentato al Senato il 23 luglio 2014, che contiene molteplici deleghe di potere legislativo al governo) opera una divisione interna al sistema universitario che suscita preoccupazione. La disposizione colloca le «università statali» tra le «amministrazioni di istruzione e di cultura»; mentre tra gli «organismi privati di interesse pubblico» sono menzionate le «università non statali». L’inserimento delle università in due distinte categorie classificatorie è stato criticato, con argomenti pienamente condivisibili, dal Cun in sede di audizione parlamentare proprio sul disegno di legge n. 1577. In particolare si osserva che «sulla base della sistemazione proposta dal disegno di legge, una qualificazione delle università non statali come soggetti ‘diversi’, in relazione alla loro supposta natura giuridica ‘privata’, supera, quasi a negarla, una costante giurisprudenza amministrativa, civile e contabile per la quale la natura del soggetto (università) deve definirsi in senso pubblicistico, ossia in relazione alla natura delle funzioni pubbliche (di ricerca e formazione) assolte, al di là del diverso sistema di finanziamento (appunto derivato dallo Stato in parte maggioritaria o meno)». D’altra parte, «questa separazione interna al sistema universitario supera alla radice la nozione unitaria di universitas, costruita nei secoli sull’esercizio della funzione di trasmissione delle conoscenze e di avanzamento dei saperi scientifici, a prescindere dalla natura pubblica e privata dei soggetti eroganti e, ancor, più dalle mire lucrative dell’attività svolta». Si tratta di «una nozione unitaria che è stata appunto sviluppata dalla Costituzione sul concetto di ‘autonomia’ e che ha consentito poi al legislatore di elaborare il concetto di ‘autonomia funzionale’, il quale connota sia le università statali sia quelle non statali». In particolare, si paventa la possibilità «di assoggettare le università statali alle ‘regole’ proprie delle articolazioni di un ministero (come è per i musei, gli archivi, le biblioteche)» e di inserirle «in linee di comando altrettanto complesse, tanto più che, come esplicita la relazione, non è intento di questa collocazione conferire particolari forme di autonomia». Inoltre, si può «alimentare la propensione delle università cosiddette non statali a un esercizio della funzione pubblica di istruzione superiore e ricerca orientata a finalità lucrative, come già avviene per talune loro espressioni, quali quelle dedite a erogare formazione a distanza». E proprio rispetto alle università non statali si fa notare che «la loro assimilazione a soggetti che operano in regime di mercato e in base a meccanismi concorrenziali, come le società a partecipazione pubblica che operano in regime di concorrenza, è piuttosto eloquente». Sicché, la distinzione prefigurata dal riformatore «oltre a rompere l’unità di un sistema che tale è in considerazione delle funzioni di rilevanza costituzionale che lo qualificano (negli artt. 9 e 33 Costituzione), apre a trattamenti differenziati, anche per i profili dell’azione e non solo dell’organizzazione, di molto superiori a quelli che le norme generali dell’ordinamento riconducono alla differente fonte di finanziamento».
Tutto questo, se fosse realizzato, comprometterebbe la capacità competitiva delle università statali rispetto a quelle non statali e pertanto è opportuno che entrambe vadano ricomprese nella medesima categoria classificatoria. (Fonte: A. Bellavista, Roars 27-11-2014)

FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO 2014 DELLE UNIVERSITÀ. NUOVE REGOLE CON I COSTI STANDARD
Pubblicati oggi (16-12) i numeri del fondo di finanziamento ordinario 2014 delle Università. Il tassello inedito è rappresentato dai costi standard, che quest'anno decideranno la distribuzione del 20% delle risorse "non premiali", cioè 982 milioni di euro, per crescere poi in cinque anni a coprire tutti i 5 miliardi che non sono influenzati dalle performance ottenute da ogni sede sulla ricerca e sulla didattica. «In questo modo - ha sottolineato ieri Marco Mancini, capo dipartimento del Miur per l'Università, l'alta formazione artistica, musicale e coreutica e la ricerca - l'Università diventa il primo comparto pubblico in cui l'intero finanziamento statale è assegnato sulla base di parametri misurati su indicatori di qualità». Il finanziamento universitario, infatti, in questa chiave poggia su due capitoli. Quello "premiale", che nel 2014 vale 1.215 milioni di euro, dipende dai risultati raggiunti dagli atenei in tre campi: la qualità delle strutture impegnate nella ricerca, misurata dalla valutazione Anvur (850,5 milioni), le pagelle (sempre Anvur) sulla qualità della produzione scientifica realizzata dai docenti reclutati dagli atenei nel periodo valutato (243 milioni) e l'orizzonte internazionale della didattica, pesato in base al numero di studenti Erasmus e ai crediti conseguiti all'estero da studenti e laureati (121,5 milioni). Il secondo capitolo è invece rappresentato dalla spesa "storica", quella che a partire da quest'anno viene appunto erosa dal meccanismo dei «costi standard per studente in corso». Parametri, questi ultimi, che devono valutare il "prezzo giusto" di ogni corso di laurea in base all'offerta formativa e di strutture. Un passaggio, questo, previsto fin dalla riforma Gelmini del 2010, che ora però muove il passo decisivo verso l'attuazione.
Rispetto all'anno scorso, il balzo maggiore è quello compiuto da Bergamo, l'università guidata dal presidente della Crui Stefano Paleari, che dalle nuove regole ottiene 38 milioni di euro contro i 33,9 assegnati nel 2013 (+12,07%). Appena dietro nella classifica dei fondi in crescita arriva la Bicocca di Milano (112,4milioni, +8,13% rispetto all'anno scorso). A veder crescere la colonna delle entrate statali sono quasi tutte le università del Nord, ma tra i fortunati ci sono anche atenei meridionali come Napoli Parthenope, Benevento e Foggia. La divisione Nord-Sud torna a farsi sentire in maniera più pesante quando si guarda alle Università in cui l'assegno statale si alleggerisce: da Messina a Catania, da Palermo a Lecce fino a Cagliari, Bari e Potenza, il segno meno è quasi sempre affiancato ad atenei meridionali. Una flessione del 2,1% caratterizza anche La Sapienza di Roma, mentre la Federico II di Napoli quasi pareggia i conti del 2013 (-0,27%) e la Statale di Milano guadagna l'1,41 per cento.
Per il 67% delle università, fa notare il ministero nella nota che accompagna la pubblicazione di decreti e numeri, il fondo cresce rispetto all'anno scorso, e il fenomeno si spiega soprattutto con il consolidamento di alcune voci che ha fatto aumentare da 6,4 a 6,21 miliardi (+1,23%) la base di calcolo. Per il presidente dei rettori Paleari l'ingresso del costo standard è una «novità positiva», anche se sulla sua applicazione pratica si può sempre discutere: «È indubbio che siamo la prima pubblica amministrazione a introdurre questo indicatore di efficienza che scatta una fotografia dell'esistente per ogni ateneo aiutandolo a intervenire al suo interno sui singoli corsi che sono fuori linea per numero di docenti o di studenti iscritti». (Fonte: G. Trovati, M. Bartoloni, IlSole24Ore 16 e 18-12-2014)

UN POSTO PER RICERCATORE DI TIPO B OGNI DUE PROFESSORI ORDINARI. NOVITÀ NELLA LEGGE DI STABILITÀ
Dopo un lungo pressing fuori e dentro il Parlamento, con tanto di benedizione del Quirinale, arriva l’atteso “salvataggio” dei ricercatori di tipo «b», l'unica figura che tramite un meccanismo di tenure-track all'italiana ha in prospettiva un accesso al ruolo di professore associato e quindi a un percorso di stabilizzazione. Ma si tratta comunque di un salvataggio a metà: non viene infatti ristabilito in pieno l’obbligo - cancellato proprio dalla l. di stabilità - di bandire almeno un posto di ricercatore di tipo b per ogni avanzamento di carriera a professore ordinario previsto dal DLgs 49/2912. Bensì gli atenei dovranno bandire almeno un posto per ricercatore di tipo b ogni due professori ordinari. Nel maxi emendamento finale votato dal Senato compare una norma che solo per la programmazione delle annualità 2015, 2016 e 2017 prevede che il reclutamento di questi ricercatori introdotti dalla riforma Gelmini «non può essere inferiore alla metà di quello dei professori di 1ª fascia reclutati nel medesimo periodo, nei limiti delle risorse disponibili». Per questa misura saranno stanziati in tutto 5 milioni all’anno per tre anni. (Fonte: M. Bartoloni, Scuola24 22-12-2014)

FINANZIAMENTI E RECLUTAMENTO NELLA LEGGE DI STABILITÀ
Nella legge di stabilità restano alcune misure a favore degli atenei: a fianco del taglio sugli acquisti (34 milioni in meno per il 2015 e poi 32 per i due successivi) c’è un’aggiunta di 150 milioni di euro - da destinare alla quota «premiale» - che azzera quasi del tutto la sforbiciata prevista da una finanziaria di tre anni fa. Sempre sul reclutamento si prevede che le università con i conti a un livello sostenibile, a cominciare dal fatto che non spendano più dell'80% in stipendi, potranno assumere con un turn over pieno ricercatori a tempo determinato. Secondo il ministro Giannini questa misura dovrebbe aprire le porte a 1500 assunzioni in due anni. Viene poi acconsentito agli atenei di cumulare, come accade per altri comparti della Pa, le risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale di tre anni.
Corposi i finanziamenti sono previsti per l'Agenzia spaziale italiana, in modo da consentirle una partecipazione piena ai programmi europei sullo spazio gestiti dall'Esa (Agenzia europea) con 60 milioni in più nel 2016 e 170 milioni all'anno dal 2017 al 2020 per una dote complessiva di 740 milioni. A questi fondi si aggiungono altri 30 milioni all’anno dal 2015 al 2017 per il finanziamento dei programmi spaziali strategici nazionali in corso di svolgimento.
Per il finanziamento di interventi in favore dei collegi universitari di merito è autorizzata una spesa integrativa di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017.
Tre milioni in più all’anno anche per l’Iit di Genova per «promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l'alta formazione tecnologica».
Infine 10 milioni all’anno per tre anni sono destinati all’Istituto nazionale di astrofisica per sostenere le ricerche e lo sviluppo di partenariati con imprese di alta tecnologia sui progetti internazionali nel campo della radioastronomia e dell’astronomia a raggi gamma. (Fonte: M. Bartoloni, Scuola24 22-12-2014)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

INFORMATICA. LE UNIVERSITÀ NELLA TOP 10
L'informatica non è solo lo strano mondo in cui i nerd si perdono con i loro codici, programmi e videogiochi, ma è anche una delle specializzazioni più redditizie. Lo conferma l'ultimo rapporto Excelsior-Unioncamere, secondo il quale gli ingegneri informatici sono tra i più ricercati dalle aziende e allo stesso tempo sono tra le figure professionali di più difficile reperimento. Una laurea, dunque, quella in informatica che sul mercato del lavoro «paga». Ma dove conviene laurearsi? Le università collocate nella top 10 - sottolinea Skuola.Net - le ha decretate la QS World Universities Ranking 2014, classifica che consente di confrontare tra loro gli atenei mondiali in base alla materia da studiare. Vedi www.topuniversities.com.
Nel 2014 è stato il Mit, Massachusetts Institute of Technology, a sbaragliare la concorrenza rispetto agli studi in campo informatico. Ha strappato la prima posizione nella QS World Universities Ranking per due anni di fila. Anche nel 2013, infatti, era in prima posizione. Al secondo posto la californiana Stanford mentre sul terzo gradino del podio si piazza un ateneo europeo, Oxford, nel Regno Unito. Con un nome meno altisonante, sotto al podio si trova la Carnegie Mellon University che ha sede a Pittsburgh, in Pennsylvania. È tra le più giovani di questa particolare classifica: fondata nel 1967, ha solo 47 anni.
La seconda tra le europee si trova in quinta posizione, a metà classifica delle top 10, ed è l'università di Cambridge. Harvard, il super-ateneo americano si trova solo al sesto posto della classifica sui migliori corsi di informatica da seguire al mondo. Le sue specializzazioni sono altre: è prima, infatti, negli studi in Giurisprudenza ed Economia. Per il settimo posto di nuovo in California, a Berkeley. In ottava posizione si trova la National university di Singapore: la prima università per gli studi in Informatica che non si trovi in un paese anglosassone; rappresenta l'alternativa orientale degli studi di qualità nel settore.
La Svizzera conquista il nono posto. Poco oltre le alpi, a Zurigo, si trova una delle università migliori del mondo dove studiare: Eth Zurich Swiss Federal Institute of Technology. Infine, l'Asia chiude la classifica delle top ten dell'informatica con l'Università di Hong Kong, area che tanto sta investendo nel campo dell'innovazione e della tecnologia. (Fonte: 25-11-2014)

CLASSIFICA QS BEST STUDENT CITIES 2014. MILANO AL 36° POSTO
Parigi è la regina della classifica QS Best Student Cities 2014. La capitale francese si conferma per il terzo anno consecutivo al primo posto nella graduatoria che mette in fila le città universitarie più amate dagli studenti. Sul podio insieme alla Ville Lumière anche Melbourne e Londra. La città australiana conquista il secondo posto, mentre quella inglese cede una posizione rispetto all’anno scorso e deve accontentarsi della medaglia di bronzo. Sono  selezionate in base a due requisiti: avere oltre 250mila abitanti e almeno due università nel QS World University Rankings. Di queste, la graduatoria accoglie solo le prime 50, valutandole secondo criteri come la posizione nel Global Liveability Index dell’Economist.
L’unica italiana presente nella classifica QS Best Student Cities 2014 è Milano, che si piazza al 36esimo posto, scendendo di ben dodici posizioni rispetto al 2013. Nessun’altra città del nostro Paese è rappresentata nella graduatoria, ma siamo in buona compagnia. Anche gli USA, infatti, che pure da anni dominano incontrastate tutte le classifiche internazionali degli atenei (compresa la QS), non brillano in questo particolare elenco, potendo contare solo su una città nella top ten, Boston. Tra le prime dieci della classifica QS Best Student Cities 2014 ci sono anche Sydney, Hong Kong, Tokyo, Montreal, Toronto e Seoul. La prima della classe, Parigi, si piazza bene in tutti gli indicatori, pur non arrivando in vetta in nessuno, ma queste performance le bastano per guardare tutti dall’alto in basso. Londra, invece, è la città che offre le migliori università e le maggiori opportunità lavorative, ma è penalizzata dal fatto di essere anche la più costosa. Quanto a Melbourne, è la città universitaria con il maggior numero di studenti internazionali, mentre l’altra canadese, Toronto, offre la migliore qualità della vita. (Fonte: universita.it 26-11-2014)

NELLA TOP 10 DEGLI ATENEI EUROPEI L’UNIVERSITÀ LUIGI BOCCONI E LA SDA BOCCONI SECONDO IL FINANCIAL TIMES
Il Financial Times conferma l’Università Luigi Bocconi e la SDA Bocconi nella Top 10 degli atenei europei. L’università milanese è all’ottavo posto, conseguito grazie ai risultati ottenuti dai programmi specialistici degli ultimi 12 mesi. Il Master of science in International management della Bocconi, ha spiegato l’ateneo in una nota, è salito al 12mo posto al mondo mentre l’Mba di SDA Bocconi ha guadagnato l’11° posto in Europa. L’Executive Mba si è collocato al 30° gradino in Europa mentre nella classifica dell’executive education, la business school ha conquistato il 10° posto nel vecchio continente. Non incluso nel calcolo del ranking il Master of science in Finance della Bocconi, che ha raggiunto invece l’8° posto nel mondo. (Fonte: CorSera 02-12-2014)

CLASSIFICHE CENSIS-REPUBBLICA. CRITICITÀ EVIDENZIATE DA ROARS
La Grande Guida CENSIS Repubblica offre davvero «una panoramica completa e approfondita sull’universo accademico italiano. Una vera e propria bussola soprattutto per le future matricole»? Secondo Roars (articolo di G. De Nicolao) qualche dubbio è legittimo se nella classifica della ricerca di Ingegneria industriale e dell’informazione finisce al terzo posto un ateneo senza nessun corso di laurea in ingegneria. Incidente di percorso o sintomo di carenze strutturali? Per capirlo, l’articolo analizza in dettaglio indicatori e metodi delle classifiche CENSIS-Repubblica, discutendone incongruenze, criticità e fragilità.
Attualmente, esistono due grandi database bibliometrici: Web of Science della Thomson-Reuters e Scopus di Elsevier. È ben noto che offrono una diversa copertura della letteratura scientifica e che la produzione scientifica di molte discipline, soprattutto nell’ambito delle scienze umane e sociali, è rappresentata in modo assai lacunoso. Il CENSIS non utilizza nessuno di questi due database, ma ricorre a Google Scholar, che è un motore di ricerca specializzato nella letteratura scientifica. In virtù della maggiore eterogeneità dei contenuti accessibili attraverso Google Scholar, non è la prima volta che se ne propone l’uso per una valutazione bibliometrica estesa anche nel campo delle scienze umane e sociali. Ma è una soluzione illusoria. Google Scholar è uno strumento inadeguato allo scopo, anche perché introduce distorsioni grossolane come ha mostrato a più riprese su Roars: alle intrinseche debolezze di Google Scholar si aggiungevano le distorsioni introdotte da un’interfaccia fatta in casa, denominata Scholar Search, sviluppata e mantenuta dal Molecolar Genetics Group dell’Università di Roma Tor Vergata. Nella Grande Guida non è precisato se si sia fatto ricorso o meno a Scholar Search, ma a pagina 10 della versione cartacea si ringraziano “il prof. Cesareni e il dr. Peluso per il supporto sui dati Google Scholar“. A prescindere dall’utilizzo dell’interfaccia Scholar Search, rimane il fatto che la letteratura scientometrica ritiene Google Scholar inutilizzabile ai fini della valutazione. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 14-01-2015)


DOCENTI

TAR E CDS: IMPROPRIO L’USO DEI GIUDIZI VQR 2004-2010 PER L’ATTRIBUZIONE AI DOCENTI UNIVERSITARI DELL’INCENTIVO “UNA TANTUM“
Il bando dell’Università Ca’ Foscari Venezia per l’attribuzione ai docenti universitari dell’incentivo “una tantum“ in base all’art. 29 comma 19 della Legge 240/2010, impugnato soprattutto per l’uso improprio dei giudizi VQR 2004-2010, in seguito al ricorso della FLC Veneto, è stato sospeso con ordinanza del TAR del Veneto, confermata anche dal Consiglio di Stato. Si conferma pertanto come giusta la scelta di impugnare al TAR e al Consiglio di Stato il regolamento di Ca’ Foscari anche per evitare che altre sedi universitarie utilizzino impropriamente i risultati della VQR. (Fonte 09-12-2014)

MERITOCRAZIA «SENZA NUOVI O MAGGIORI ONERI PER LA FINANZA PUBBLICA»
Le progressioni stipendiali sono ormai tutte esplicitamente legate al ‘merito’, ma bloccate dal 2011. Bloccati fino a tutto il 2015 rimarranno gli scatti stipendiali triennali attribuibili a quanti conseguono una valutazione positiva del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale. A parziale compensazione di questo blocco, la legge stabilisce attribuzioni ‘una tantum’ per il triennio 2011-2013. Che, infatti, proprio in questi giorni sono in distribuzione secondo criteri di merito accademico e scientifico, a chi avrebbe ‘meritato’ lo scatto nel triennio bloccato. Ma, comunque, a non più del 50% del personale. Questi ‘premi al merito’ sono stati resi possibili grazie a un grazioso gioco contabile: i fondi per le premialità provengono, infatti, dallo storno di risorse già stanziate, «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», secondo il leitmotiv della legge Gelmini.  E in generale, mentre – come ricercatori, dipartimenti, università – di ‘merito’ non se ne accumula mai abbastanza, i premi promessi sembrano decisamente modesti e non proporzionati all’impegno necessario ad ottenerli ed erogarli. Anche i complicati esercizi MIUR/ANVUR finalizzati a ‘premiare’ le università ‘virtuose’ generano ricompense ambigue. Mentre i costi e gli oneri organizzativi della valutazione sono sicuramente elevati (si pensi alla sola VQR, i cui costi pare si aggirino intorno ai 300 milioni di euro), in un regime di risorse continuamente decrescenti la quota premiale relativa si è, di fatto, trasformata in una quota punitiva. Grazie ad essa, gli Atenei più meritevoli al più riescono a mantenere approssimativamente invariate le risorse. Per gli altri il ‘premio’ ha la sola funzione di calcolare quante risorse sottrarre. (Fonte: M. Stazio e D. Borrelli, Roars 15-12-2014)

RIFORMA DI ACCADEMIE E CONSERVATORI
Dalla creazione dei Politecnici delle Arti ai dottorati di ricerca per gli artisti, dalla valutazione a un concorso e nuove regole per il reclutamento dei docenti, arriva la riforma del MIUR anche per Accademie di Belle Arti, dei Conservatori e di tutti gli Istituti che forniscono una preparazione artistica e musicale in Italia. Era quello che il ministero aveva promesso tre settimane fa quando La Stampa aveva raccontato del boom di studenti cinesi che sta creando difficoltà in alcune Accademie di Belle Arti italiane. Per il momento la riforma è una bozza che sarà resa pubblica lunedì e che dovrà essere esaminata e discussa nelle prossime settimane dagli interlocutori del settore. Le  principali novità previste si possono leggere qui. (Fonte: F. Amabile, La Stampa 14-12-2014)

AL GIUDICE ORDINARIO LE CONTROVERSIE SUGLI EMOLUMENTI ECONOMICI DEI PROFESSORI (MEDICI) UNIVERSITARI
Le controversie instaurate da ricercatori e docenti universitari aventi a oggetto il rapporto con Aziende ospedaliere, e lo svolgimento presso le stesse di attività assistenziale, sfuggono alla giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo e vanno ricondotte al principio generale di cui all'art. 63, comma 1, D.lgs. n. 165/2001 che sottopone al Giudice ordinario le controversie dei dipendenti delle Aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale. (TAR Emilia Romagna, Sentenza, Sez. I, 05/11/2014, n. 409)

CRITICITÀ CHE AFFLIGGONO LA DIDATTICA UNIVERSITARIA
"Insegnare all'Università oggi. Riforme, burocrazia e doveri verso gli studenti", è stato il titolo del secondo incontro del ciclo di seminari promossi dall'Interconferenza nazionale dei Dipartimenti, svoltosi a Roma presso il Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale (Coris) della Sapienza Università di Roma, con la partecipazione di Roars e in collaborazione con il Cnsu (Consiglio nazionale degli studenti universitari).
Argomento principale dell'incontro sono state le criticità che affliggono la didattica universitaria, vessata dalla stretta normativa che grava complessivamente sul sistema universitario, sottoposto al ridimensionamento dell'autonomia e al disinvestimento da parte della politica.
Una situazione preoccupante, sintetizzata nell'intervento introduttivo da Mario Morcellini, Portavoce dell'Interconferenza e Direttore del Coris: «Nell'ultimo decennio abbiamo assistito alla progressiva separazione tra didattica e ricerca. A ben vedere, il cantiere aperto della didattica, inauguratosi con la riforma del "3+2", non è mai stato chiuso. Come se non bastasse, il sistema subisce un mobbing normativo senza precedenti: con la legge 240/2010 si è intrapresa la strada dell'irrigidimento di tutti gli aspetti della vita accademica. Inoltre le università sono state distratte dalla scomparsa delle facoltà e dalla costituzione delle scuole, senza alcuna sperimentazione né analisi di marketing sociale dell'offerta formativa. Di qui la necessità di restituire centralità al rapporto docente-studente, superando le inefficienze di una legislazione tecnicamente incompetente o addirittura nemica».
Sulla scia di Morcellini anche Andrea Stella (CUN - Consiglio Universitario Nazionale) e Vincenzo Zara (Conferenza dei Rettori - CRUI) nelle rispettive relazioni introduttive che hanno messo in luce i due fattori determinanti lo stato di stress diffuso: il definanziamento e l'aumento di complessità.
Altro elemento di criticità è il basso grado di internazionalizzazione dei nostri atenei: Maria Sticchi Damiani, coordinatrice degli esperti del Processo di Bologna, ha rimarcato la distanza tra il sistema italiano e lo Spazio europeo dell'istruzione superiore, «sia nella progettazione dei corsi di studio, sia nella didattica e verifica del profitto nelle singole attività formative». (Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas dicembre 2014)

UNIVERSITÀ. AUMENTANO LE POSIZIONI DI PRECARIATO TRA I DOCENTI
Negli ultimi anni è avvenuto un processo di precarizzazione impressionante nell’università: i docenti strutturati sono calati del 20% mentre i diversi contratti a tempo determinato sono raddoppiati, con il risultato che oggi meno del 50% del personale universitario che svolge didattica o ricerca ha contratti a tempo indeterminato. Nella tabella che segue si delinea la forbice (2004-2013) tra l’aumento degli assegni di ricerca e il calo dei contratti attivati per anno relativi a ricercatori a tempo indeterminato (RTI) e ricercatori a tempo determinato con possibilità di tenure track verso la posizione di professore associato (RTDb). (Fonte: F. Sylos Labini, http://tinyurl.com/o3naqqm 20-12-2014)



DOTTORATO

LA VERSIONE FINALE DEL DOCUMENTO SULLA VALUTAZIONE DEI CORSI DI DOTTORATO PUBBLICATA DALL’ANVUR
Sulla soglia dell’anno nuovo, l’ANVUR pubblica la versione finale del documento sulla valutazione dei corsi di dottorato. Roars segnala che la due versioni presentano alcune significative differenze. La differenza più rilevante è che nella seconda versione l’ANVUR si tiene le mani libere nella scelta degli indicatori. Per esempio, relativamente alle “aree bibliometriche”, la prima versione menzionava l’Impact Factor, mentre nella nota della seconda versione ci si limita a dire che “Tale indicatore potrà coincidere con uno di quelli adottati nella pratica bibliometrica (IF, Article influence, Eigenfactor, SJR, SNIP, …), oppure da una opportuna combinazione, ad esempio utilizzando la tecnica della Principal Component Analysis, degli stessi“. Sembra un’allusione alla VQR in cui ciascun GEV delle “aree bibliometriche” aveva inventato i suoi indicatori fai-da-te. In particolare, Roars aveva mostrato che la tecnica della Principal Component Analyis, sviluppata dal  GEV 09, aveva prodotto classifiche paradossali. Per fare un esempio, INF TECHNOL CONTROL era inferiore ad  ASSEMBLY AUTOMATION sia come Impact Factor che come Eigenfactor. Eppure, per l’ANVUR, INF TECHNOL CONTROL finiva in classe 3, mentre ASSEMBLY AUTOMATION veniva collocata nella classe 4. Insomma, potremmo assistere  al ritorno di sgangherati bricolage bibliometrici che si sperava fossere stati archiviati per sempre insieme agli inaffidabili risultati della VQR 2004-2010 (Messina meglio del Politecnico di Milano nell’Area 9 di Ingegneria industriale e dell’informazione). Considerazioni del tutto analoghe valgono per le aree “non bibliometriche”. Infatti, nella seconda versione si parla di “somma pesata delle pubblicazioni“, evitando di specificare i valori dei pesi, il che lascia piena discrezionalità all’agenzia. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 12-01-2015)

DOTTORATO DI RICERCA. UNA LETTERA AL PRESIDENTE DEL CDM
Il Dottorato di ricerca costituisce il grado d'istruzione più elevato previsto nell'ordinamento Universitario Italiano e, strano ma vero, a tutt'oggi serve a tutto meno che a costruirti un futuro. Al termine dei tre anni previsti, per la gran parte dei Dottorati, non c’è niente. Infatti, soprattutto per quanto riguarda le discipline umanistiche, questa formazione post-laurea non sembra per nulla vincente sul mercato del lavoro con l'unica conseguenza di produrre un numero ancora maggiore di dotti ma frustrati trentenni in cerca di un lavoro che forse non troveranno mai. L’Università  non li assume, né è pensabile che li assumerà in un futuro prossimo, dati i tagli ai budget, la contrazione nel numero degli iscritti, le lunghissime liste d’attesa. Se riusciranno a entrare in Università ci entreranno tardi, molto tardi, quando i loro coetanei lavoreranno già da tempo; ed entreranno sapendo di dover accettare contratti che li lasceranno nella condizione di precari per anni, e senza la certezza di un’assunzione definitiva.
Per non parlare della strada delle professioni poi, che è quasi sbarrata. Resterebbe la scuola ma anche lì per i Dottorati la strada è tutto meno che in discesa.
Nel dossier ministeriale intitolato La buona scuola, che consta di 136 pagine, il “Dottorato di Ricerca” viene richiamato solo una volta e in via del tutto incidentale, in relazione al reclutamento dei docenti (ossia per l’eventuale ripescaggio – al fine del loro inserimento nelle cosiddette graduatorie ad esaurimento - dei cosiddetti “congelati SSIS”, ossia di quegli specializzandi della SSIS che congelarono la frequenza ai corsi universitari di abilitazione per frequentare il Dottorato. Manca in sostanza qualsiasi riferimento a una valutazione puntuale e priva di ambiguità del Dottorato di Ricerca nel percorso di accesso all'insegnamento nella scuola. Come se quei giovani studiosi non avessero alcun rapporto con la scuola. In Italia, infatti, purtroppo è così.  Chi sceglie di completare la sua formazione universitaria attraverso un Dottorato, sarà poi de facto escluso anche dall'insegnamento nelle scuole.
A chi controbatterà dicendo che La Buona Scuola prevede l'introduzione delle “magistrali abilitanti”, non possiamo non rispondere che questo finisce con il compromettere ulteriormente le possibilità di valorizzare in modo adeguato il titolo di Dottore di Ricerca. Se si assume il dato secondo cui il Dottorato costituisce il terzo e più alto livello di formazione universitaria, emergono con chiarezza i profili di contraddittoria e problematica compatibilità con un sistema di abilitazione costruito su magistrali ad hoc. Un ricercatore terminato il Dottorato di Ricerca secondo la conseguente proposta di riforma dovrebbe  re-iscriversi all'Università per altri due anni, pur essendo già in possesso di un titolo di grado superiore o equivalente ad una Laurea specialistica/magistrale, e venendo di fatto equiparati a neo-laureati triennali. Inoltre, nella creazione di percorsi abilitanti, si trascura il fatto che il Dottore di Ricerca ha già dovuto superare un concorso pubblico estremamente selettivo per l'accesso al Dottorato. Quindi, a parte le liste d’attesa interminabili, a insegnare a scuola ci andranno, in futuro, solo quelli che avranno fatto un percorso formativo ad hoc, Tfa o biennio professionalizzante che sia.
Noi crediamo che se continua così, i concorsi di Dottorato cominceranno ad andare deserti: se un laureato in storia sa che, conseguito il Dottorato, avrà scarse possibilità di fare carriera accademica (perché così stanno le cose) e nessuna possibilità di insegnare (perché avrebbe dovuto frequentare il biennio abilitante), il laureato in storia ci penserà due volte prima di fare un dottorato. (Fonte: dalla lettera a M. Renzi di Marta Nicolò e Paolo Furia 18-12-2014)

DOTTORATO. RETRIBUZIONE SUPPLENZA E DOTTORATO DI RICERCA
Sentenza positiva riguardo alla retribuzione del docente con contratto a tempo determinato che fruisce del congedo straordinario per la partecipazione al corso di dottorato di ricerca. La sentenza stabilisce la conservazione del trattamento economico, dovuto per tutto il periodo di sospensione dell'attività lavorativa. Questo in applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato previsto della direttiva europea 99/70/CE, espressamente assunto dalla normativa italiana con il D.Lgs. 368/2001, ribadito di recente dalla sentenza della Corte di Giustizia europea del 26 novembre 2014 e che pertanto non può più essere eluso nei confronti dei lavoratori della scuola pubblica. Alla luce di ciò l'Amministrazione è stata condannata a pagare le retribuzioni maturate dal ricorrente per tutti i tre anni di durata del dottorato, compresi i ratei di tredicesima mensilità e gli interessi maturati. (Fonte 10-12-2014)


FINANZIAMENTI

FFO. NE PARLA IL MINISTRO
“Proprio oggi (09-12-14) ho firmato il decreto con i 7 miliardi di finanziamento (FFO) dopo una lunga procedura complessa che andrebbe rivista. Noi eravamo pronti in settembre, ma nell'attesa del via libera di Economia e Corte dei conti, siamo arrivati quasi a Natale. Il prossimo anno partiremo con l'iter a gennaio, grazie al fatto che conosciamo già le risorse disponibili, per arrivare ad assegnare i fondi agli atenei almeno in estate”.
E il decreto sul costo standard che serve a distribuire parte dei fondi?
“Ora posso ufficializzarlo. Il ministero dell'Economia ha firmato il decreto. Si tratta di un passo importante di cui vado molto fiera: l'università è la prima amministrazione pubblica che si avvale di questo importante strumento di riequilibrio tra le molte disomogeneità del Paese. Sarà applicato in maniera progressiva, per un 20% della quota complessiva, e aiuterà moltissimo le università del Sud attraverso una valutazione equa del costo della didattica calcolata in base agli studenti in corso. A questo si aggiunge la quota premiale. Oggi vale il 18% dei fondi complessivi, per 1,3 miliardi e può spingersi oltre. Da quest'anno per la prima volta mettiamo insieme due principi fondamentali: il riconoscimento delle differenti condizioni di contesto che incidono sulle attività degli atenei attraverso i costi standard e poi la valutazione delle performance nella ricerca, nella didattica e nell'internazionalizzazione”. Il testo integrale dell'intervista: http://tinyurl.com/m9ggez7
(Fonte: www.scuola24.ilsole24ore.com 10-12-2014)

FFO. RIPARTO 2014
Il MIUR ha reso pubblico il decreto relativo al riparto dell’FFO 2014, la cui assegnazione è stata calcolata incrementando al 18% la quota premiale e adottando per la prima volta, per il 20% della quota base, il cosiddetto costo standard per studente. Il testo del decreto e i relativi allegati sono disponibili a questo indirizzo http://tinyurl.com/kfc8wno.  E’ stato pubblicato anche il decreto interministeriale relativo al costo standard per studente http://attiministeriali.miur.it/anno-2014/dicembre/di-09122014.aspx .

FINANZIAMENTO DEGLI ATENEI. CONSIDERAZIONI SUL NUOVO METODO DI RIPARTIZIONE IN BASE AL COSTO STANDARD PER STUDENTE 
Il Costo Standard per studente in corso è il nuovo metodo di ripartizione dei finanziamenti alle università statali, introdotto dalla riforma Gelmini (legge 240/2010) e adottato per la prima volta quest’anno per allocare una percentuale pari al 20% della quota base del Fondo di Finanziamento Ordinario. Esso è garantito agli atenei appunto solo in relazione agli studenti in corso, definiti come gli studenti regolarmente iscritti nell’Ateneo da un numero di anni complessivi non superiore alla durata normale del corso frequentato (peso pari a 1), mentre gli studenti iscritti part-time sono considerati in relazione alla maggiore durata normale del loro percorso e con peso pari a 0,5. L’intento proferito dal Ministro è quello di eliminare la spesa storica, verso una ripartizione dei fondi che tenga conto delle effettive spese degli atenei. Il calcolo del costo standard tiene conto di cinque fattori (Vedi il testo integrale dell’articolo).
Dalla tabella pubblicata da Roars emerge che alcuni atenei perderanno molto del loro finanziamento (con punte del 25% ad esempio a Siena). Molti, anche se ad onor del vero non tutti, tra gli atenei in perdita si concentrano nel Centro–Sud: Sassari, Cagliari, Messina, Macerata, Palermo sono alcuni esempi. Con una valutazione superficiale, si potrebbe dire che i fondi che si stanno tagliando a questi atenei non corrispondono a loro effettive esigenze di spesa, e che quindi questo decurtamento non dovrebbe causare loro danni reali a patto che essi siano in grado di riorganizzare le proprie risorse.
La riflessione da attuare è però più ampia. Negli ultimi anni gli stravolgimenti in materia di finanziamenti all'università sono stati di grossa portata. L’inserimento di un meccanismo di primalità – i cui indicatori tra l’altro cambiano ogni anno, impedendo quindi una reale programmazione degli atenei – il cui peso aumenta sempre più velocemente rischia di sommarsi con conseguenze drammatiche al nuovo provvedimento sul Costo Standard. Molti atenei potrebbero subire un taglio dei fondi eccessivo rispetto alle possibilità di riorganizzazione in tempi brevi della propria struttura. Senza contare che il parametro sulla dotazione di personale docente non tiene conto del pesantissimo blocco del turn over che ha colpito in modo molto difforme gli atenei.
Un taglio delle risorse statali in parecchi casi superiore al 10% porterà alcuni atenei a dover effettuare un notevole contrazione dell’offerta formativa. L’inserimento del Costo Standard non condurrà semplicemente alla ‘buona gestione’ dei finanziamenti, ma comporterebbe la scelta di ridimensionare notevolmente gli atenei a bassa attrattività oppure quelli che non hanno saputo organizzare ‘adeguatamente’ le loro risorse. Ma allora viene spontaneo chiedersi: possiamo davvero permetterci di disinvestire così pesantemente in alcuni atenei? Forse sarebbe il caso di valutare più attentamente ciò che se ne produrrebbe in termini di impatto sociale e culturale sia per gli studenti che li frequentano sia per il territorio in cui sono inseriti. (Fonte: C. Chiocchetta, Roars 30-12-2014)

EFFETTI DELL’INTRODUZIONE NELL’FFO DEL COSTO STANDARD UNITARIO DI FORMAZIONE PER STUDENTE IN CORSO
«Molte strutture – spiega Mario Pittoni, responsabile Istruzione della Lega Nord  – erano penalizzate dal fatto che non si teneva conto dell'aumento di iscritti degli ultimi anni. D'ora in poi i finanziamenti arriveranno sulla base dell’effettivo fabbisogno in rapporto al numero degli studenti, risolvendo il problema alla radice. Il provvedimento è in attuazione di un articolo della riforma del 2010, che fa riferimento all'introduzione del “costo standard unitario di formazione per studente in corso, a cui è collegata l’attribuzione di una percentuale della parte del Fondo ordinario che non rientra nella quota premiale di cui alla legge 1/2009”.  Il finanziamento “per studente” va ad aggiungersi alla quota premiale a suo tempo attivata, vero “salvagente” per le strutture virtuose in un periodo di pesanti tagli conseguenti alla crisi economica. L'art. 13 comma 1 bis prevede infatti che il fondo di merito cresca ogni anno tra lo 0,5 e il 2% del Fondo ordinario. Siamo partiti nel 2008 da meno dell’1% delle risorse assegnate per merito. Quest'anno arriviamo al 18% (1,2 miliardi) e nel giro di alcuni anni – conclude Pittoni - contiamo di centrare l'obiettivo del 30% di fondi assegnati su criteri di qualità, come nei Paesi più avanzati». (Fonte: tuttoscuola 18-12-2014)


LAUREE. DIPLOMI. FORMAZIONE POST LAUREA. OCCUPAZIONE

LAUREATI. BASSISSIMA RICHIESTA DI PERSONALE CON FORMAZIONE AVANZATA
L’Italia ha circa la metà (21%) di laureati, nella fascia di popolazione tra 25 e 34 anni, della media OCSE (38%). Inoltre nel decennio 2003-2013 il numero d’immatricolati è diminuito del 20%: il capro espiatorio della crisi sembra essere l’università incapace di preparare al mondo del lavoro. In realtà c’è una bassissima richiesta di personale con formazione avanzata: la quota di occupati nelle professioni ad alta specializzazione è tra le più basse in Europa, come anche la spesa in ricerca e sviluppo delle imprese italiane (la metà rispetto alla media europea) mentre i ricercatori delle imprese rispetto agli occupati sono un terzo della Francia e della Germania. Continuando a tagliare sul finanziamento di università e ricerca si continuerà ad aggravare una situazione che già ora sembra essere irrecuperabile. (Fonte: F. Sylos Labini, Roars 15-11-2014). Per fortuna si registra ultimamente un aumento di richieste nelle professioni tecniche come evidenzia la nota che segue (PSM).

LAUREATI. AUMENTANO LE RICHIESTE NELLE PROFESSIONI TECNICHE
La laurea con la crisi ha perso valore sul mercato del lavoro? Al contrario: secondo le elaborazioni AlmaLaurea, stavolta sulla base di dati Istat, per chi non ha un titolo universitario le cose vanno addirittura peggio. Se, infatti, tra il 2007 e il 2013 il tasso di disoccupazione misurato nella fase di entrata nel mercato del lavoro è passato per i laureati all'incirca dal 10 al 16%, per i diplomati è cresciuto dal 13 al 28%, mentre per i titolari di licenza media addirittura dal 22 al 45%. Nel corso della vita lavorativa poi, rispetto ai non laureati si allarga il gap non solo per quanto riguarda occupazione e livelli di reddito, ma anche la stabilità e le condizioni contrattuali. Un titolo accademico quindi al giorno d’oggi è sempre più percepito come una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per entrare nel mercato del lavoro, con le lauree magistrali che manifestano un differenziale positivo, leggero ma crescente, rispetto a quelle triennali. Un quadro che viene confermato dalle ricerche Excelsior di Unioncamere, che danno informazioni su cosa le aziende cercano sul mercato del lavoro, con oltre 1,6 milioni di imprese e 11,4 milioni di lavoratori monitoriati. Emerge ad esempio come le imprese chiedano laureati più frequentemente di quanto non accadeva in passato: oggi, infatti, la laurea viene giudicata indispensabile per l’assunzione nel 60% dei casi, nel 51,2% anche se manca un’esperienza lavorativa precedente. Tra le lauree più richieste ci sono innanzitutto quelle di ambito economico, i vari indirizzi di ingegneria, quelle che attengono all'insegnamento e alla formazione e tutto il settore sanitario, con una forte crescita nell'ultimo periodo della statistica e delle hard sciences come fisica e matematica. Oggi infatti la domanda di laureati si concentra sempre più verso le professioni tecniche, richieste anche per ricoprire ruoli che prima richiedevano il semplice diploma di maturità, in particolare nei settori industriali “tradizionali”, nell’Information and Communication Technology e nei servizi finanziari. Un modo per le imprese per elevare il livello professionale del personale relativamente a buon mercato, data la contrazione dei salari. (Fonte: D. Mont D’Arpizio, IlBo 15-12-2014)

PROFESSIONI SANITARIE. LIVELLI OCCUPAZIONALI PER REGIONI E PER TIPOLOGIA
Un’indagine condotta su quaranta Università italiane sedi dei corsi di laurea delle professioni sanitarie delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, riferendosi al 90% dei laureati, evidenzia la nota differenza Nord-Sud. Infatti sul tasso nazionale di occupazione relativo al lavoro nella sanità, vede il Nord con il 91%, il Centro con l’81% e il Sud con il 75%. Per quanto riguarda i dati relativi alle Regioni prese in esame, troviamo al 93% Piemonte, al 92% Liguria, Veneto e Lombardia; al 91% Friuli e Sardegna; all’89% Emilia Romagna e all’84% la Toscana. Seguono con l’82% Abruzzo; 80% Umbria; 77% Lazio e Sicilia; 75% Puglia; 74% Campania e 63% Calabria.
Ai primi posti troviamo le professioni di Fisioterapista , Logopedista, Tecnico di Radiologia e Igienista Dentale, Infermiere, Ortottista, Podologo e Tecnico della Prevenzione. In alcuni casi si rilevano differenze sostanziali, come ad esempio per la professione infermieristica che a fronte di un tasso occupazionale del 93% vede un rapporto domande/posto di 2,2 che è dovuto al grande numero di posti, 16.000 circa sul totale di 28.000 per tutte le professioni sanitarie. Per quanto riguarda la professione di Ostetrica il tasso occupazionale del 57% evidenzia un penultimo posto, con il 71% al Nord, il 50% al Centro e il 37% al Sud. La professione di Dietista invece si colloca al quintultimo posto per tasso occupazionale che si attesta intorno al 63%. Delle restanti professioni come Tecnico di Neurofisiopatologia abbiamo livelli occupazionali del 62%, Tecnico di Laboratorio il 60%, Tecnico di Fisiopatologia Cardiocircolatoria circa il 56%.
In conclusione, in generale, pur in presenza di alcuni tassi occupazionali bassi fra le 22 professioni sanitarie, gli stessi tassi restano comunque superiori a tutti gli altri gruppi disciplinari. Segno inequivocabile del maggior numero di offerte di lavoro nella sanità e perciò maggior successo delle lauree relative a queste professioni, sia per quanto riguarda al nord e sia al sud anche se con alcune differenze.
Il Rapporto Censis ricorda che la sanità italiana è formata da oltre 724mila occupati in questo settore: 334 mila infermieri, 237 mila medici, 49 mila unità di personale con funzioni riabilitative, 45 mila con funzioni tecnico-sanitarie, 11 mila di vigilanza e ispezione. Il giudizio complessivo, come già detto, può definirsi positivo. (Fonte: www.newnotizie.it 08-01-2015)

NO AI MEDICI SENZA SPECIALIZZAZIONE
No all'accesso alla professione medica senza specializzazione, che rischia di creare "medici-infermieri". E no al numero aperto per le iscrizioni alle facoltà di medicina. Di fronte a questi rischi, serve una risposta politica e serve urgentemente. E l'appello congiunto che arriva da politici, università e giovani medici riguardo alla riforma della formazione medica prevista dalla legge delega sull'attuazione dall'articolo 22 del Patto per la Salute, la cui bozza del 5 novembre scorso prevede, tra l'altro, l'inserimento all'interno dell'ospedale di medici abilitati che ancora non hanno ottenuto l'accesso alle scuole di specializzazione. Sarebbe il modo più semplice per ovviare alla carenza di personale e reperire risorse umane a basso costo, ha spiegato Raffaele Calabro (Ncd) nel corso della conferenza stampa organizzata da Paola Binetti (Udc) alla Camera del Deputati. Ma - prosegue - l'idea di medici-infermieri nelle corsie degli ospedali rischia di dequalificare il nostro sistema sanitario. Alla fine avremo un personale medico con una formazione improvvisata e la lenta eutanasia delle scuole di specializzazione. (Fonte: Avvenire 20-11-2014)

CORSI DI SPECIALIZZAZIONE DI AREA MEDICA. UNA PETIZIONE PUBBLICA DELLA CONFERENZA PERMANENTE DEI PRESIDENTI DEI COLLEGI DI AREA MEDICA
La Conferenza Permanente dei Presidenti dei Collegi di Area Medica ha pubblicato sul sito de “La Repubblica” il 17 novembre u.s. una Petizione, “MANIFESTO SULLA FORMAZIONE DI MEDICINA”, che ha raccolto in una settimana (17–24 Novembre) 2805 firme di Professori e Ricercatori Universitari di Area Medica (http://tinyurl.com/nvu986r) a testimonianza della profonda preoccupazione che ha pervaso tutta la Comunità Accademica.
I Professori Universitari di Area Medica denunciano con forza che:
1. I risultati della “nazionalizzazione” del concorso di ammissione alle Scuole di Specializzazione sono l’inevitabile conseguenza di un percorso di cambiamento, che ha aspetti positivi, soprattutto se condiviso e approfondito e che è stato, viceversa, condotto frettolosamente, con il concreto rischio adesso di un’ammissione di massa.
2. La riforma della durata dei corsi di specializzazione di area medica, disposto da una norma perentoria, rischia di compromettere un’equilibrata redistribuzione delle attività formative e, conseguentemente, il futuro professionale e la competitività dei nostri giovani medici.
3. L’attuale formazione degli Specialisti, in conformità con la riforma del 2005, prevede l’acquisizione di capacità professionali adeguate agli standard della formazione europea e conseguente riconoscimento del titolo di specialista in ambito europeo. Quanto attualmente ventilato nella proposta di riforma introdurrebbe di fatto due categorie di specialisti:
una categoria A che, dopo una procedura selettiva di accesso in ambito nazionale, completi un percorso specialistico definito dal Consiglio della Scuola, in linea con gli standard europei relativi agli aspetti teorici e professionalizzanti della formazione specialistica, che contempla un ampio ventaglio di esperienze formative in ambito universitario e in più sedi della rete formativa, incluse strutture di eccellenza nazionali ed estere;
una categoria B, ammessa in sovrannumero alla scuola di specializzazione, con modalità di accesso non chiare, che svolge le sue attività professionalizzanti in un’unica unità operativa complessa con l’unica supervisione del Responsabile dell’unità stessa e che accede alla sola didattica frontale in ambito universitario.
Quanto attualmente ventilato nella proposta di riforma potrebbe non rispondere agli standard europei e potrebbe pertanto non essere certificabile dai consigli delle Scuole di Specializzazione nel Supplemento al Diploma, rilasciato dalle Università ai sensi dell’art.11, comma 8, del DM 270/2004, che documenta l’intero percorso formativo svolto dallo specializzando nonché le competenze professionali acquisite. (Fonte 10-12-2014)

SPECIALIZZANDI IN MEDICINA. RIDURRE IL RUOLO DELLE UNIVERSITÀ?
Al Senato si discute il disegno di legge n. 1324 che prevede che nel biennio finale gli specializzandi siano sottratti alla struttura universitaria sede della Scuola di specializzazione e destinati a concludere la formazione nelle Asl o Aziende ospedaliere della rete formativa secondo accordi nell'ambito della Conferenza Stato-Regioni. Accordi che, prevedibilmente, andranno incontro alle esigenze dei sistemi sanitari regionali. Anche un non-medico sa che la formazione di uno specializzando non è solo didattica frontale e assistenza, ma è affiancamento e contatto con l'innovazione della medicina. La specializzazione di qualità richiede che gli specializzandi partecipino all'attività di ricerca in prima persona. Non a caso l'Anvur da quest'anno censisce anche la produzione scientifica degli specializzandi, così come la stessa Legge Gelmini consente di iniziare il dottorato già all'interno della scuola di specialità. Sottrarre le scuole all'Università, o anche solo ridurne il ruolo a quello di mero supporto didattico, rischia di mettere in serio pericolo il sistema formativo nella sanità. Forse porterà a risparmi immediati (forse) ma sicuramente porterà a un arretramento della nostra capacità di produrre buoni medici. (Fonte: D. Braga, Corriere di Bologna 09-12-2014)

TEST NAZIONALE PER L'ACCESSO ALLE SPECIALIZZAZIONI DI MEDICINA. UN ALTRO “PASTICCIACCIO BRUTTO”
Al termine dello svolgimento delle prove del primo test nazionale per l'accesso alle specializzazioni di medicina il Miur emetteva una circolare per annunciare l'annullamento dei risultati, a causa di una «grave anomalia» nella preparazione delle buste da parte del consorzio Cineca; poi faceva marcia indietro dichiarando validi i test ma «neutralizzando» due domande. Ieri il Tar del Lazio ha preso una decisione che apre nuovi imbarazzanti interrogativi sull'organizzazione del concorso da parte del ministero, mentre solo due giorni fa in procura a Roma è atterrato nientemeno che un esposto penale con denunce di pesanti irregolarità. Alcuni soggetti sarebbero stati liberi di copiare, in alcuni atenei i computer sarebbero stati connessi a Internet. La segnalazione più grave, però, è un'altra. Dopo il pasticcio dell'inversione dei quiz somministrati da parte del Cineca, il ministero ha dichiarato comunque valide le prove abbonando (cioè assegnando il massimo punteggio a ogni concorrente a prescindere dal grado di correttezza della risposta data) due quiz. «Invece di limitarsi a comunicare la decisione», spiega però uno degli avvocati autori dell’esposto, «qualcuno è intervenuto materialmente in ciascuno dei compiti salvati per invalidare le due domande. Le prove sono state riaperte e modificate dall'interno nei giorni successivi alla consegna. Siccome i candidati non hanno potuto stampare le loro prove, chi ci garantisce che queste non possano essere state manipolate alzando il punteggio di qualcuno a discapito di altri?». Ipotesi gravissima, visto che le prove al pc avrebbero dovuto prevenire le manomissioni materiali delle prove denunciate in passato da inchieste e trasmissioni televisive. Gli avvocati dopo un accesso agli atti, hanno anche riscontrato che le giravolte del ministero non sarebbero state accompagnate dai necessari atti formali. «La decisione di abbuonare le due domande si sarebbe dovuta prendere con un decreto motivato, di cui non c'è traccia», dicono. Gli avvocati avevano anche chiesto al Tar del Lazio di emettere un decreto cautelare urgente che bloccasse il «count down» di cinque giorni che scatta per ogni medico nel momento in cui riceve la lettera di assegnazione. Il giudice amministrativo ha accolto la richiesta. E ora bisognerebbe anche rivedere la graduatoria per quei giovani specializzandi che hanno già dovuto accettare la destinazione assegnata. Ma il Miur frena: «I posti saranno assegnati secondo i criteri previsti nel bando». (Fonte: M. Villosio, Il Tempo 18-12-2014)

SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE MEDICA. PRONTO IL RESTYLING
Già dal prossimo anno sarà accorciata la durata dei corsi di specializzazione medica che saranno ridotti a 4 anni in media, contro i 5 di oggi. Il decreto interministeriale, a firma del ministero dell'Istruzione con quello della Salute, che introduce un restyling delle scuole di specializzazione è pronto. Nei giorni scorsi il Consiglio universitario nazionale - presieduto da Andrea Lenzi che ha lavorato alla riforma con un gruppo di esperti – ha dato parere favorevole e ora il Miur entro l'anno dovrebbe dare il via libera definitivo.
La riforma appena sarà a regime porterà anche dei risparmi, che dovranno essere reinvestiti per finanziare nuovi contratti di specializzazione: secondo le prime stime 700-800 specializzandi in più potranno entrare nelle scuole in aggiunta ai 5.500 previsti oggi. La bozza di decreto prevede innanzitutto l'accorciamento della durata dei corsi che attualmente – come prevede il Dm dell’agosto del 2005 - sono in media più lunghi rispetto agli standard europei stabiliti dalla direttiva Ue 36 del 2005. Da qui la decisione di abbreviare di un anno il percorso di formazione post laurea per 30 scuole di specializzazione che non dureranno comunque più di 5 anni (oggi le chirurgie arrivano anche a 6). Il decreto riduce tra l'altro anche il numero di scuole che scendono a 50 dalle attuali 58 (anche se quelle operative sono 56). Ma la riforma va anche più in profondità, con dei corposi allegati al decreto che rivedono gli ordinamenti delineando le regole su obiettivi formativi, tronco comune e attività professionalizzanti. Queste ultime, in particolare, si concretizzeranno in una maggiore pratica al letto del paziente. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 19-12-2014)

MASTER. TROPPI ACCREDITAMENTI
Il funzionamento dei Master universitari è stato esaminato, nelle settimane passate, in un’interrogazione dell’on. Manuela Ghizzoni e nella risposta che le ha dato il Governo. Dal testo di tale risposta emerge che il MIUR mira sistematicamente, in un’ottica quasi monomaniacale, all'accreditamento di ogni singolo percorso formativo. Ciò mentre un importante studio evidenzia il fatto che la maggior parte dei Paesi europei, nell’attuare le indicazioni ENQA sugli European Standards and Guidelines (ESG) per l’Assicurazione della qualità didattica, puntano a valutare non i singoli percorsi, bensì l’efficacia degli strumenti di cui un Ateneo si è dotato per garantirne la qualità stessa. (Fonte: G. Luzzatto, Roars 22-11-2014)

QUALITÀ DELL'INSEGNAMENTO E SUCCESSIVA PERFORMANCE DEGLI ALUNNI SUL MERCATO DEL LAVORO. UNO STUDIO DELLA BANCA D’ITALIA
Sulla carta è ovvio: maestri migliori, allievi migliori. Ma se si parla di lavoro, quanto pesa la qualità dei docenti universitari su reddito e futuro degli ex allievi? Se lo è chiesto uno studio pubblicato da Banca d'Italia, «The academic and labor market returns of university professor»: l'impatto dei docenti universitari su risultati accademici e salari. La ricerca, firmata da Michela Braga (Bocconi), Marco Paccagnella (Ocse) e Michele Pellizzari (Università di Ginevra) ha provato a quantificare l'influenza di un gruppo di professori sui propri allievi secondo due indicatori: performance accademica (i voti registrati negli esami successivi) e successo nel mercato del lavoro (gli stipendi percepiti dopo la discussione). Risultato? A una maggiore qualità didattica corrisponde un aumento dello 0,6% nella media dei voti futuri e di oltre il 5% nel reddito d'ingresso per la prima occupazione: l'equivalente di un “premio” da 1000 euro lordi. Questo lavoro analizza il legame tra qualità dell'insegnamento e successiva performance degli alunni sul mercato del lavoro. Si evidenzia come l'efficacia dei docenti nel migliorare la performance accademica e quella nell'innalzare i redditi da lavoro futuri siano positivamente correlate, ma in misura contenuta. Inoltre, i dati mostrano che l'efficacia dei singoli docenti non è invariante al mutare dell'abilità pregressa degli studenti. (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 17-01-2015)

RAPPORTO EURES - CAO SU "LE SFIDE DELLA CRISI ALLA PROFESSIONE ODONTOIATRICA, TRA QUALITÀ DELLE PRESTAZIONI E DISTORSIONI DI MERCATO"
Tra il 2012 e il 2013 il tasso di occupazione dei laureati in odontoiatria ad un anno dal conseguimento del titolo è sceso di 7 punti, passando dal 70,1% al 63,1%, evidenziando la forte difficoltà dei neo-odontoiatri ad inserirsi nel mercato. Tale contrazione è confermata anche dai dati relativi agli ultimi 5 anni (-7,2 punti a fronte di -5,8 per i laureati in medicina e -13,8 per quelli delle altre Facoltà). A tre anni dal conseguimento della laurea il tasso di occupazione dei dottori in odontoiatria raggiunge il 90,9%, con un calo di 1,3 punti percentuali rispetto a quanto rilevato nel 2010 (Fonte Indagine AlmaLaurea).
Tra i neo-odontoiatri che lavorano a un anno dalla laurea, se la maggioranza (61,8%) svolge un’attività autonoma, e il 2,4% un’attività subordinata a tempo indeterminato, molto significativa è la quota di quanti dichiarano di svolgere un lavoro intermittente (26,3%), attraverso contratti di collaborazione, formativi, parasubordinati, ecc, e di quelli che lavorano in nero (9,4%), ovvero presso terzi, senza alcun contratto; tale percentuale scende al 5,9% tra i medici, per raggiungere il valore più alto (13,5%) tra i neo-laureati delle altre Facoltà a ciclo unico.
Scendono le retribuzioni (-7,1%)…ma non le aspettative. Penalizzate le donne. Nel 2013 la retribuzione media dei neolaureati in odontoiatria a un anno dal conseguimento del titolo risulta pari a 1.058 euro mensili (1.176 euro tra gli uomini contro 876 euro tra le donne), registrando una flessione del 7,1% rispetto alla rilevazione del 2009 (quando era pari a 1.139 euro). A tre anni dal conseguimento del titolo la retribuzione sale a 1.568 euro (1.693 tra gli uomini e 1.384 tra le donne).
A livello europeo l’Italia risulta il Paese con il maggior numero di Corsi di Laurea attivi in Odontoiatria (ben 34), seguita dalla Germania (con 27 Corsi); il numero dei Corsi presenti in Francia e nel Regno Unito (16 in ciascun Paese) è pari a meno della metà di quello italiano, mentre in Spagna il numero delle sedi formative risulta ancora inferiore (pari a 13).
Il costo medio della formazione universitaria sostenuta dallo Stato Italiano per l’intero percorso formativo di un odontoiatra è stimabile in circa 30 mila euro (24 milioni complessivi per i Corsi di Laurea in Odontoiatria). Il Sole24Ore stima inoltre una spesa di analoga entità a carico delle famiglie (23 mila euro per la formazione di 6 anni di uno studente universitario in sede – comprensivi di tasse, vitto, alloggio, spostamenti e materiali didattici -  e 50 mila per uno studente “fuori sede”), una cifra, questa, che può rappresentare un criterio selettivo “ex ante” (gli studenti di Odontoiatria nel 69,9% dei casi vivono, infatti, in un contesto socio-economico elevato, avendo genitori che esercitano una professione altamente qualificata, che nel 43,1% dei casi attiene all'ambito medico o dentistico).
A fronte del quadro evidenziato, appare quindi necessario un ripensamento complessivo della formazione in odontoiatria e dei criteri di accesso alla professione, attraverso la collaborazione tra i diversi soggetti che operano in questo settore: occorre cioè mettere a sistema le competenze e le esperienze del mondo universitario e delle professioni, accanto alle Istituzioni, presidio indispensabile nella produzione di regolamenti e normative che mantengano la tutela della salute del paziente al centro di qualsivoglia intervento. (Fonte: quotidianosanità.it  06-12-2014)

SOTTOMANSIONAMENTO DEI LAUREATI
Il 48° Rapporto del Censis denuncia il fenomeno dell’«overeducation»: più di 4 milioni di lavoratori ricoprono posizioni per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto: un esercito costituito per la metà da «semplici» diplomati (53,3%), ma per un 41,3% anche da laureati (1,8 milioni di occupati). Il sottomansionamento dei laureati italiani è un fenomeno trasversale, che non interessa solo le lauree più deboli sul mercato del lavoro come quelle in Scienze sociali e umanistiche (43,7%), ma è addirittura più elevato tra i laureati in Scienze economiche e statistiche (57,3%) e colpisce anche un ingegnere su tre. Solo il settore medico e infermieristico si posiziona ampiamente sotto la soglia del 20% (13,95). (Fonte: CorSera 06-12-2014)

ISTITUTI TECNICI SUPERIORI. 68 SCUOLE SPECIALI DI TECNOLOGIA. NEI CASI MIGLIORI L'80-85% DEI DIPLOMATI TROVA IMMEDIATAMENTE UN POSTO
Secondo la dizione ufficiale gli istituti tecnici superiori italiani sono «scuole speciali di tecnologia», parallele alla tradizionale università e basate su una stretta collaborazione tra formazione e mondo del lavoro, Proprio per questo vengono gestite da Fondazioni al cui interno devono essere presenti università e centri di ricerca, ma anche aziende ed enti locali (spesso le ex province), Sono previste sei aree di studio: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile, Tecnologie della vita, Tecnologie per il made in Italy, Tecnologie per beni culturali e turismo e Tecnologie dell'informazione.
Partiti con i tempi ordinari della burocrazia (quasi tutti hanno avviato i primi corsi biennali tra il 2010 e il 2011), oggi gli Its sono 68 (Abruzzo 4, Liguria 4, Toscana 3, Umbria 1, Puglia 3, Piemonte 3, Lombardia 7, Friuli Venezia Giulia 2, Veneto 6, Emilia Romagna 7, Marche 3, Lazio 7, Campania 3, Calabria 4). In un momento in cui la disoccupazione giovanile raggiunge in Italia livelli record, sono un'eccezione: nei casi migliori l'80-85% e più dei diplomati trova immediatamente un posto. A livello nazionale la media degli assunti subito dopo la conclusione degli studi è pari, secondo i dati ministeriali, al 65%. Rispetto alla formazione tradizionale rappresentano una sorta di rivoluzione copernicana: strettissimo rapporto con il mondo del lavoro, periodi di tirocinio nelle aziende (almeno il 40% delle ore) organicamente inseriti nel curriculum che porta al diploma, il 50% degli insegnanti proveniente dal mondo professionale e non da quello accademico. Il loro principio ispiratore, mutuato dalle esperienze di Paesi come Francia e Germania, è chiaro: fornire dopo la maturità una formazione tecnica di alto livello.
«Per raggiungere l'obiettivo la legge ha previsto che gli Its abbiano una struttura complessa», spiega Eugenio Massolo, presidente dell'Accademia della Marina Mercantile. «A gestirli sono delle Fondazioni in cui per legge devono essere rappresentate università e centri di ricerca, enti locali, ma soprattutto aziende». Nel caso dell'Accademia le aziende sono i più grandi armatori italiani. Il numero dei corsisti e i programmi di studio vengono calibrati periodicamente in relazione alla capacità di assorbimento di nuovi diplomati e alle caratteristiche tecniche richieste dal settore. Per tutti gli istituti tecnici comunque il 2015 sarà un anno di svolta. Fino ad ora sono stati una realtà sperimentale e tutto sommato di nicchia: a oggi i diplomati sono stati circa 2000, gli iscritti ai corsi sono circa 6000. Da adesso il MIUR ha deciso di cambiare marcia. «Gli Its sono stati una rivoluzione e hanno dato la possibilità ai ragazzi di formarsi sperimentando l'alternanza scuola-lavoro», dice Gabriele Toccafondi, sottosegretario con delega agli Its. «Dopo la fase iniziale ora parte il monitoraggio del rendimento degli istituti e delle loro Fondazioni. Il finanziamento non sarà più a pioggia ma secondo un metodo premiale». Per ogni Its è stata stilata una pagella: quelli che hanno avuto i tassi di abbandono minori e che hanno collocato le percentuali più alte di allievi sul mondo del lavoro, riceveranno più soldi. Gli altri hanno un anno di tempo per migliorare le loro performance. Poi via alla riduzione dei finanziamenti, senza escludere nemmeno la chiusura dei corsi che in termini di risultato non sono riusciti a mettersi al passo. (Fonte: A. Allegri, Il Giornale 19-01-2015)


RECLUTAMENTO

PUNTI ORGANICO 2014. DECRETO DEL MIUR
È stato pubblicato sul sito del Ministero il decreto che attribuisce i punti organico per l’anno 2014. Si ricorda che per il 2014 e il 2015 il turnover rimane limitato al 50%. Nel collegamento ipertestuale che segue si accede al testo con acclusa anche la tabella con le assegnazioni ai singoli atenei.

RECLUTAMENTO. DOCUMENTO DEL CUN
Nel documento del CUN “Ripensare l’assetto della docenza universitaria. Reclutamento e progressione di carriera” (08-10-2014) viene formulata la seguente proposta:
1) Nella programmazione del personale docente da parte degli Atenei dovrebbero essere definitivamente separate le quote da destinarsi al primo reclutamento da quelle destinate al passaggio dalla seconda alla prima fascia e dal ruolo a esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato a quello dei professori nella fascia degli associati.
2) Nell'ambito di un quadro programmatico, da definirsi opportunamente anche in funzione della tenure track, passaggi di cui al punto precedente che si svolgono all'interno di ciascun Ateneo dovrebbero avvenire in via permanente con un rigoroso meccanismo valutativo individuale in conformità a quanto previsto dall'art. 24 comma 5 della I. 30 dicembre 2010, n. 240, prevedendo la definitiva rimozione del limite temporale di sei anni e del vincolo costituito dal tetto del 50% per tale utilizzo delle risorse. A tale proposito è fondamentale che le procedure di abilitazione nazionale e quelle relative all'applicazione dell'art. 24 siano disciplinate da linee guida nazionali atte a garantire sufficiente omogeneità di comportamenti tra le sedi e tra le discipline e a incentivare l'assunzione di responsabilità degli Atenei e dei Dipartimenti nella definizione e nella realizzazione di efficaci policies di reclutamento.
3) I trasferimenti e i reclutamenti diretti nel ruolo dei professori di soggetti in precedenza non formalmente inquadrati nel sistema universitario e nel singolo Ateneo dovrebbero invece avvenire unicamente con le modalità di cui all'art. 18 della I. 30 dicembre 2010, n. 240, fatta eventualmente salva la possibilità di attivare procedure di chiamata diretta e di chiara fama ai sensi della legislazione già vigente, riservando al complesso di tali modalità di reclutamento una percentuale non inferiore a un reale 10% delle posizioni attivate, e facendo espresso divieto ai soggetti interni all'Ateneo di partecipare a tali procedure.
4) I profili stipendiali delle due fasce dovrebbero essere adeguatamente rimodulati per far si che il passaggio di fascia non comporti alcuna penalizzazione economica né immediata né a lungo termine, se non eventualmente in seguito come conseguenza di valutazioni negative dell'attività svolta nel triennio precedente, ai sensi dell'art. 6 comma 14 della l. 30 dicembre 2010, n. 240. (Fonte 03-12-2014)

RICERCATORI. PROSPETTIVE DI RECLUTAMENTO
La riforma Gelmini sostituisce ai ricercatori a tempo indeterminato i ricercatori a tempo determinato Rtda (tre anni) e i cosiddetti tenure track (Rtdb) che dopo valutazione positiva dovrebbero poi diventare direttamente professori associati. Gli assegnisti non possono rimanere in questo ruolo per più di quattro anni, tuttavia sono necessari tre anni di ricerca post dottorato per accedere al concorso per Rtd. Cos’è successo in pratica? Che le università hanno bandito pochissimi posti come Rtda (senza prospettive future) e un numero irrisorio delle posizioni più preziose come Rtdb. Il reclutamento è stato di fatto bloccato e nell’università non entra nessuno a parte pochissime eccezioni. Quale squadra di calcio competitiva terrebbe sempre gli stessi giocatori per quattro o più anni di fila? Quale azienda sospenderebbe le assunzioni di nuovo personale per un tempo lungo e indefinito? Senza un’immissione costante di nuove forze, l’università inevitabilmente peggiora. In ogni generazione c’è sempre l’inestimabile valore aggiunto costituito dal “Cristiano Ronaldo” o dal “Totti” della ricerca. Non è un danno rinunciarvi? (Fonte: FQ 11-12-2014)

FINANZIAMENTI. POSSIBILITÀ DI ASSUMERE
Nonostante le restrizioni nel turn over ancora una volta l'università di Bologna primeggia nella possibilità di assunzioni, seguita da Statale e Politecnico di Milano, mentre la Sapienza si piazza al quarto posto. Porte chiuse, invece, per assunzioni e promozioni a Teramo, Foggia, Cassino, Reggio Calabria e Benevento, dove gli organici attuali sono già superiori a quelli che sarebbero consentiti dalla legge. A dirlo è la tabella allegata al decreto sui «punti organico» che il ministero dell'Università ha diffuso ieri per distribuire il migliaio di assunzioni possibili negli atenei statali. Decreto che, in realtà, servirebbe agli atenei per programmare le politiche di reclutamento ma che, arrivando a fine anno dopo i mesi difficili per la costruzione del nuovo fondo ordinario, si rifletterà inevitabilmente sul prossimo anno. Dal 2015, però, il ministero promette cambiamenti importanti, che dovrebbero tagliare anche i tempi di assegnazione degli spazi per le assunzioni. A distribuire i «punti organico», dopo la riforma del 2012, sono anche i parametri di sostenibilità finanziaria dei costi del personale e dell'indebitamento. Indicatori che puniscono in particolare Sassari, dove finisce in stipendi il 96,8% delle entrate da finanziamenti statali e contributi studenteschi. (Fonte: G.Tr., IlSole24Ore 23-12-2014)

RECLUTAMENTO. SI POTRÀ COPRIRE SOLTANTO IL 50 PER CENTO DEI POSTI LASCIATI VACANTI
Per calcolare quanti nuovi docenti e ricercatori ogni singolo ateneo potrà assumere nel prossimo triennio, quest’anno, si parte dal 50 per cento dei punti organico lasciati vacanti da coloro che hanno passato la mano. Un punto organico equivale al costo medio di un docente universitario di prima fascia, pari a 116.968 euro annui. Facendo la somma degli importi lasciati liberi in ogni ateneo dai pensionati nel 2013 e dividendo il totale per 116.968 euro si ottengono i punti organico relativi alle cessazioni. La nuova normativa stabilisce che, a livello nazionale, si potrà coprire soltanto il 50 per cento dei posti lasciati vacanti. Ma nella distribuzione degli 814 punti organico disponibili a livello nazionale, gli atenei meritevoli vengono premiati con quote maggiori di assunzioni, mentre quelli con i bilanci ancora da rivedere vengono penalizzati.
È quello che avverrà alle università siciliane. A Messina e Palermo, le assunzioni potranno coprire al massimo il 20 per cento dei pensionamenti, il tasso di turnover più basso previsto dal decreto pubblicato a ridosso di Natale. L’università di Catania, con un tasso di assunzione del 39 per cento, è soltanto rimandata a settembre. Mentre il Politecnico di Milano, a titolo di esempio, potrà coprire più posti di quelli lasciati vacanti: il 115 per cento. A pesare sulla distribuzione delle risorse per le nuove assunzioni soprattutto il peso delle spese di personale sul totale delle entrate e la percentuale di indebitamento. A Palermo e Messina, oltre l’80 per cento delle entrate complessive viene assorbito dagli stipendi del personale, docente e non. Troppo, secondo i nuovi canoni, per essere annoverati tra gli atenei meritevoli. (Fonte: S. Intravaia, La Repubblica Palermo 28-12-2014)

RECLUTAMENTO. SPEREQUAZIONI NORD - SUD
Le dichiarazioni del ministro Giannini in merito alla volontà di modificare il criterio adottato per assegnare alle varie istituzioni pubbliche i fondi necessari a finanziare il turn over universitario, pur risalendo solo a qualche mese fa (luglio 2014), sembrano lontane anni luce, visto che il decreto pubblicato lo scorso 22 dicembre ripropone più o meno il medesimo scenario dell’anno scorso: una netta sperequazione tra le possibilità degli atenei settentrionali e quelli meridionali di assumere nuovo personale. Insomma, il cambio di verso non c’è stato, almeno per adesso, e molte università rischiano di non riuscire più a mandare avanti le attività per le forti carenze di organico. I punti organico per il turn over universitario premiano in particolare il Politecnico di Milano (+ 29,4 P.O.) e l’Università di Milano (+ 19,3 P.O.), mentre gli atenei più penalizzati sono “La Sapienza” (-26,5 P.O.) e la “Federico II” di Napoli (-22,1 P.O.). Questo, segnala il professor Cappelletti Montano, nonostante siano entrambe università “virtuose”: “Gli indicatori di bilancio di Roma La Sapienza e di Napoli Federico II – scrive il docente – soddisfano pienamente le prescrizioni previste dal MIUR per il rilascio della ‘patente di virtuosità’ (Indicatore Spese Personale < 80 per cento e ISEF ≥ 1)”. Una sorte simile tocca anche ad altre università, in regola con i bilanci, ma ugualmente “punite”:  quella della Calabria, gli atenei di Cagliari, Urbino, Pavia, Torino, Parma e Napoli “Orientale”, la Tuscia, le università di Firenze, Catania, Roma “Tor Vergata”, Genova, Perugia e Udine e il Politecnico di Bari. (Fonte: universita.it 05-01-2015)


RETRIBUZIONI

RETRIBUZIONI. IL BLOCCO RESTA PER I DOCENTI UNIVERSITARI
Tra le varie novità introdotte dalla manovra (legge 190/2014) c'è, infatti, in primo luogo, la proroga fino al 31 dicembre 2015 del blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dalla normativa vigente, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018. Viene prorogato, altresì, fino al 31 dicembre 2015 il blocco degli automatismi stipendiali per il solo personale non contrattualizzato, (cioè dei docenti e dei ricercatori universitari, del personale dirigente della Polizia di Stato e gradi di qualifiche corrispondenti, dei Corpi di polizia civili e militari, dei colonnelli e generali delle Forze armate, del personale dirigente della carriera prefettizia, nonché del personale della carriera diplomatica) ferma restando l’esclusione dei magistrati. Per tutti gli altri dipendenti pubblici, quindi, pur rimanendo bloccato per un altro anno il rinnovo del contratto nella sua parte economica, riprenderà, almeno, la dinamica legata alla carriera permettendo agli stipendi di salire nel caso in cui siano previsti scatti automatici o nel caso di promozioni di carriera. (Fonte: www.pensionioggi.it 08-01-2015)

COME SI CALCOLA LA PENSIONE PER DOCENTI UNIVERSITARI DI RUOLO
Per un calcolo preciso della pensione dei docenti e dei ricercatori universitari di ruolo è necessario fare riferimento ai parametri della Riforma Monti-Fornero, che ha toccato tantissime categorie, tra cui quella dei professionisti del mondo accademico.
I docenti universitari di ruolo con meno di 18 anni di contributi al 31/12/1995 hanno diritto a una pensione il cui calcolo si basa sul cosiddetto sistema “misto”. In questo caso l’ammontare del trattamento pensionistico può variare dal 54% all’87% dell’ultimo stipendio percepito. Chi invece entrerà in ruolo entro il 2020 con alle spalle contributi maturati come assegnista o ricercatore a tempo determinato, riceverà una pensione pari al 59% dell’ultimo stipendio percepito. Quali sono le indicazioni per chi non rientra in queste due situazioni?
Calcolo pensione per docenti universitari: cosa succede agli assunti in ruolo dopo il 1/1/1996?
Il calcolo della pensione dei docenti universitari entrati in ruolo dopo il 1/1/1996 si basa unicamente sul sistema contributivo. Per i professionisti già in ruolo prima del 2012, il trattamento pensionistico è pari al 54%-55% dell’ultimo stipendio percepito.
Per quanto riguarda la buonuscita, la situazione dei professori e dei ricercatori universitari di ruolo che cessano l’attività lavorativa è equiparabile a quella dei dipendenti privati, sempre a partire dal 1° gennaio 2012. In base al  DL 78/2010, le buonuscite di entità compresa tra i 90.000 e i 150.000 euro vengono erogate con un anno di ritardo rispetto all’effettivo inizio del periodo di pensione. L’attesa sale a due anni per cifre oltre i 150.000 euro. (Fonte: http://www.calcolo-pensione.com/pensione-per-docenti-universitari-di-ruolo-come-si-calcola/ 15-01-2015)


RICERCA. RICERCATORI

RIENTRO DEI CERVELLI. NOVITÀ PER I RICERCATORI CHE PRIMA LAVORAVANO ALL'ESTERO
Dalla fuga al rientro dei cervelli. E invece il progetto inaugurato nel 2009 dall'allora ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini e intitolato a Rita Levi Montalcini è stato un mezzo flop. Tanti erano e rimangono i punti deboli nei bandi annuali, pensati per far rientrare i ricercatori italiani dall'estero. Si parte dal meccanismo di selezione, che mette vincoli d'età molto stretti ed esclude troppi studiosi prima di valutarli. E si finisce per constatare le tante rinunce tra i candidati vincitori, che prima concorrono e poi - scoraggiati dalle prospettive in Italia o da atenei che incredibilmente rifiutano di accoglierli - abbandonano.
In palio ci sono ogni anno cinque milioni di euro per 24 assegni di ricerca. I requisiti di base sono due, ma fin troppo selettivi: aver concluso il dottorato da meno di sei anni e lavorare stabilmente all'estero da almeno tre. Ma c'è un altro tasto dolente: quello della stabilità e della stabilizzazione di chi vince il concorso. Scaduti i tre anni di assegno, prospettive certe - nel sistema italiano - non esistono o meglio non esistevano (vedi oltre e nella nota che segue). «Per me è il solo aspetto che non va nel Montalcini, ma è quello che mi ha portato a rinunciare», spiega Agnese Seminara, selezionata con il bando 2010. «Ho vinto un posto da ricercatore Crl al Cnrs in Francia e ho scelto quello, perché è a tempo indeterminato. Seguendo gli sviluppi dei ricercatori tornati con la borsa, mi sembra di capire che la stabilizzazione non sia per nulla scontata».
Appena un anno fa, a dicembre 2013, l'allora ministro Carrozza auspicava questo: che questo tipo di bandi offrisse posti a tempo indeterminato. Poco prima c'era stata la protesta dei vincitori del primo concorso, datato 2009. Costretti a scrivere ai giornali perché, dopo i primi tre anni da cervelli rientrati, nessuno dava risposte sul rinnovo. «Ma oggi non c'è più il "tre più tre" legato alla vecchia legge», spiega Daniele Livon, direttore generale del Miur per l'università, lo studente e il diritto allo studio. «I vincitori di bando ora hanno tre anni di assegno di ricerca e poi, se abilitati, possono diventare professori associati, con stipendio finanziato al 100% dal ministero». Gli atenei avrebbero tutto l'interesse ad accogliere e stabilizzare. Non farlo è assurdo anche sul piano economico. «Nell'ambito della programmazione 2013-2015 - prosegue Livon - sono previsti incentivi specifici e fondi per le università che inseriscono in organico ricercatori che prima lavoravano all'estero. Per questo, prima che esca il bando, chiederemo alle università di fare un'assunzione di responsabilità. E indicare se sono disposte ad accogliere i vincitori. Mi auguro lo siano tutte». (Fonte: S. Rizzato, TST, tutto Scienze e tecnologia 10-12-2014)

NUOVO BANDO DEL “PROGRAMMA MONTALCINI”. CONTRATTO DA RICERCATORE PER TRE ANNI CON PROSPETTIVA DI STABILIZZAZIONE FUTURA COME PROFESSORE ASSOCIATO
Con un progetto di ricerca ben finanziato prima, e soprattutto la certezza di una cattedra da professore per il futuro. Il MIUR ha emesso il nuovo bando del “Programma Montalcini”, iniziativa dedicata ai giovani ricercatori italiani e stranieri. Cinque milioni di euro per riportare in Italia 24 cervelli in fuga. La firma del decreto è stato uno degli ultimi atti del 2014 del ministro Stefania Giannini e darà i suoi frutti nell’anno in corso. Il programma Montalcini, intitolato alla scienziata e senatrice a vita scomparsa nel 2012, esiste dal 2009 e ha vissuto alterne vicende. Partito in realtà da un finanziamento superiore a quello attuale (per la prima edizione era di sei milioni di euro), negli anni successivi ha conosciuto ritardi e rallentamenti, come nel 2011 quando il bando non è stato proprio emanato. Adesso il governo punta a rilanciare il progetto. E lo fa con una novità sostanziale rispetto al passato. Il concorso mette in palio non soltanto un contratto da ricercatore per la durata di tre anni, ma la prospettiva di una stabilizzazione futura. Merce rarissima di questi tempi, per l’università italiana. Il Ministero, infatti, chiederà preventivamente agli atenei la disponibilità ad assorbire i vincitori, nel caso dovessero abilitarsi durante il periodo di ricerca. Al termine del primo contratto (con una borsa di circa 40mila euro lordi l’anno), i giovani studiosi potranno essere inquadrati con la qualifica di professori associati. Il Miur garantirà agli atenei il consolidamento del finanziamento e la relativa quota di punti-organico necessari, anche per garantire il ricambio generazionale del personale docente universitario. Almeno in parte, visto che tanti atenei soffrono da anni per il blocco del turn-over e la mancanza di concorsi per professori. (Fonte: L. Vendemiale, FQ 12-01-2015)

RICERCA. NON SARÀ PIÙ CONTEGGIATA NEL BILANCIO PUBBLICO COME SPESA MA COME INVESTIMENTO
Il fatto che nei periodi di difficoltà come quelli attuali si pensi di ‘tagliare’ le già scarse dotazioni per scienza e tecnologia, anziché di investirvi “con maggior slancio e convinzione" la dice lunga sul perché i nostri Nobel scientifici siano tanto rari. E soprattutto sul perché molti di loro abbiano vinto per ricerche condotte in gran parte o totalmente all’estero (è il caso di Capecchi, Montalcini, Dulbecco, ecc.) oppure per scoperte che non hanno avvantaggiato come avrebbero potuto la nostra economia, com’è stato per Marconi e Natta. Al di là dei premi, il "nemo propheta in patria" vale purtroppo anche per la ricerca spaziale e per informatica ed energia, due settori nodali come pochi altri nello sviluppo odierno.
Un piccolo spiraglio di speranza si apre grazie a un provvedimento balzato agli onori della cronaca per altre ragioni. La novità positiva inclusa nella normativa è che la ricerca non sarà più conteggiata nel bilancio pubblico come spesa ma come investimento e quindi non peserà più nel controllo dei parametri di Maastricht: è prima di tutto un segnale culturale importante, al quale devono far seguito atti concreti. Anche se, si potrebbe osservare, non fa che certificare ciò che dovrebbe essere scontato. (Fonte: M. Ferrazzoli, www.almanacco.cnr.it 08-10-2014)

RICERCA. NILDE (NETWORK INTERLIBRARY DOCUMENT EXCHANGE) UN SERVIZIO BASATO SULLA COOPERAZIONE TRA BIBLIOTECHE RIVOLTO PRINCIPALMENTE AL MONDO DELLA RICERCA
NILDE è un servizio basato sulla cooperazione tra biblioteche che consente al ricercatore di richiedere alla propria biblioteca di riferimento copie di articoli (o di parti di libro), non possedute o non accessibili, attraverso un semplice modulo online. In alcuni casi, se la biblioteca ha attivato la funzionalità, il modulo viene compilato automaticamente con i dati del riferimento bibliografico individuato dal ricercatore, a partire dalle principali banche dati bibliografiche multidisciplinari (per es. Web of Science e Scopus) o disciplinari (per es PubMed, ASFA, ADS o Dogi). Attualmente in Italia le biblioteche che condividono il loro patrimonio bibliografico attraverso il network NILDE sono 886, il 77% delle quali fa capo a Università. Il primo passo da fare è verificare la presenza nel vostro ente o nella vostra città di una biblioteca che utilizza NILDE Utenti:
https://nilde.bo.cnr.it/learn.php?inc=elenco_bib .Suggerimento: selezionare l’iniziale della provincia.
Il secondo passo è registrarsi al servizio seguendo le istruzioni indicate sul sito della biblioteca di riferimento: https://nilde.bo.cnr.it/register_ute.php 
(Fonte 14-01-2015)

LA SCHEDA UNICA ANNUALE PER LA RICERCA DIPARTIMENTALE (SUA RD)
I Dipartimenti, gli uffici ricerca, gli uffici personale, gli uffici per il trasferimento tecnologico saranno assorbiti in queste settimane, e sicuramente fino al 30 aprile, dalla compilazione della Scheda Unica Annuale per la Ricerca Dipartimentale (anche nota come SUA RD). Questa scheda - che in realtà è suddivisa in una sezione narrativa e di dati sul personale e le strutture e strumentazioni per la ricerca, in una parte legata ai risultati della ricerca (pubblicazioni, attrazione fondi, internazionalizzazione) e una parte dedicata alla terza missione declinata come impatto economico e sociale - formalmente è un pezzetto del Decreto AVA (Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento del Sistema Universitario Italiano), che fra i criteri di Assicurazione della qualità inserisce anche l’assicurazione della qualità della ricerca. Analogamente a quanto previsto per la formazione, l’AQ della ricerca ha il fine di tenere sotto controllo le condizioni di svolgimento delle attività della ricerca, ovvero di stabilire gli obbiettivi di ricerca da perseguire, di mettere in atto quanto occorre per conseguirli, rimuovendo – ovunque possibile – eventuali ostacoli, di osservare il regolare svolgimento delle attività previste e di verificare il grado di effettivo raggiungimento degli obbiettivi. I dati contenuti nella SUA RD vanno ad alimentare il set di informazioni relative alle attività di ricerca a disposizione del Ministero e hanno la funzione di colmare il gap informativo fra una VQR e l’altra, e di fornire quindi al Ministero dati aggiornati rispetto ai risultati della VQR, dati la cui importanza cresce a mano a mano che ci si allontana dall’esercizio di valutazione nazionale (il cui peso quindi proporzionalmente diminuisce). Vale a dire che l’esito della SUA RD concorre nel definire una parte della quota premiale del FFO attribuita agli atenei e il suo peso aumenta a mano a mano che la distanza dall’ultima VQR cresce.
Roars, nell’articolo di P. Galimberti, esamina in dettaglio alcuni punti che destano particolare preoccupazione. (Fonte: Roars 03-01-2015)

ASSEGNI DI RICERCA. MOZIONE DEL CUN SULLA DURATA
A gennaio 2015, per il raggiungimento del limite dei 4 anni previsto dalla Legge 240/10, andranno in scadenza i primi contratti relativi agli assegni di ricerca. In assenza di politiche di turn-over adeguate e per il fatto che le Università hanno bandito pochissimi posti di ricercatore a tempo determinato, che costituisce per gli assegnisti di ricerca la naturale prosecuzione del lavoro presso gli Atenei, il CUN ha chiesto al Governo ed al Parlamento di introdurre una deroga, temporalmente definita, al limite di durata massima complessiva degli assegni di ricerca. (Fonte:  http://tinyurl.com/jwwx5ew 22-12-2014)

NOVITÀ PER I RICERCATORI CHE RIENTRANO IN ITALIA NEL COMMA 14 DELL’ARTICOLO 1 DELLA LEGGE DI STABILITÀ 2015
La novità apportata dal DdL stabilità 2015 - Il comma 14 dell’articolo 1 della Legge di stabilità 2015, approvata in via definitiva dalla Camera, prevede che all'articolo 44 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, siano apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «ed entro i cinque anni solari successivi» sono sostituite dalle seguenti: «ed entro i sette anni solari successivi»;
b) al comma 3, le parole: «nei due periodi d'imposta successivi» sono sostituite dalle seguenti: «nei tre periodi d'imposta successivi».
Ai fini delle imposte sui redditi viene, quindi, escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato, e non occasionalmente residenti all'estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che dalla data di entrata in vigore del decreto ed entro i sette (non più cinque) anni solari successivi vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato.
L’agevolazione si applica nel periodo d'imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei tre (non più due) periodi d'imposta successivi sempre che permanga la residenza fiscale in Italia. (Fonte: fiscalfocus.info 23-12-2014)

RICERCA. TASSO DI SUCCESSO DELL’ITALIA NEI PROGETTI DELL’ERC (EUROPEAN RESEARCH COUNCIL)
Presso http://erc.europa.eu/projects-and-results/statistics si possono ricavare varie statistiche sui progetti ERC. Per esempio, fino ad oggi l’Italia si piazza al sesto posto per numero di ERC Advanced Grant assegnati e all’ottavo per numero di ERC Starting Grant. Questi sono grant utilizzati in Italia. Ai primi cinque posti ci sono inevitabilmente UK, DE, FR, CH, NL, nell’ordine esposto. Gli Starting Grant assegnati all’Italia dal 2008 al 2013 sono 124, e sono andati a ricercatori a inizio carriera (non a personaggi ricchi e famosi) che hanno potuto con quei soldi costruire un gruppo di ricerca. Anche se si guardano le statistiche dell’ultimo ERC Starting Grant, quello che colpisce è il grande numero di “non-nationals” che operano o si trasferiscono all’estero  per fare ricerca. In Italia, viceversa, abbiamo sempre avuto pochissimi non-national, e non certo per colpa delle politiche europee. Oggi, rimanere a fare ricerca in Italia è molto difficile anche per i “national”, ed è tutta colpa delle politiche italiane.
Una precisazione sul tasso di successo: fino ad oggi è del 10.3% negli ERC Starting/Consolidator e del 13.9% negli ERC Advanced (gli altri tipi di ERC costituiscono una piccola frazione del totale).
Altre statistiche interessanti sulla ricerca di base sono quelle di FET (Future & Emerging Technologies) in FP7: http://tinyurl.com/lla9klw. 109 istituzioni italiane hanno ricevuto 97 milioni di euro. Ci sono istituzioni italiane nel 53% dei progetti. (Fonte: roc, commento a http://tinyurl.com/pv8qzk6  18-12-2014)

RICERCA. FONDI SIR:  RISULTATI FORSE A MAGGIO 2015, DOPO UN ANNO E TRE MESI DALLA CHIUSURA DEL BANDO
“#ScienceBulletChallenge è un’iniziativa nata da un gruppo di ricercatori con varie forme contrattuali a termine che ha come obiettivo quello di denunciare le condizioni in cui versa la Ricerca Pubblica Italiana. Cercando l’hashtag #ScienceBulletChallenge già si possono trovare i video girati da chi ha deciso di partecipare al gioco virale, ricercatori o simpatizzanti che sono simbolicamente “colpiti” e “fatti sparire” da svariati bullet, a rappresentare la pioggia di colpi che – abbattutasi negli anni sulla ricerca – ha ridotto in macerie un intero sistema.
L’indagine Ricercarsi 2014 (promossa dalla FLC CGIL) ha stimato che solo il 6,7% dei ricercatori con contratti a tempo determinato è stato assunto negli ultimi dieci anni. Ovvero il 93,3% è sopravvissuto grazie a contratti temporanei o assegni di ricerca. Il 73,1% del campione preso in considerazione dal rapporto di cui sopra, non ha figli nonostante l’età media di 35 anni e nonostante il 57% sia rappresentato da donne. Una pioggia di colpi si è abbattuta negli anni sulla ricerca pubblica.
Com’è stato l’andamento dei finanziamenti alla ricerca negli ultimi anni? Ecco la fonte principale, il PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale). Gli ultimi due anni: i finanziamenti sono stati zero. I dati non sono neppure corretti per l’inflazione. A dire il vero, nel 2014 c’erano pochi soldi (47 milioni di euro), che sono stati dirottati su un nuovo programma: i fondi SIR (un pomposo acronimo per “Scientific Independence of young Reseachers”). L’ERC (European Research Council) è una prestigiosa istituzione europea che finanzia lautamente progetti di eccellenza scientifica a giovani e meno giovani. In generale nei progetti di ricerca europei, il nostro paese ci mette un sacco di soldi e porta a casa relativamente poco (dell’ordine di 60 centesimi per ogni euro). Al Miur non si sono chiesti se il modello ERC fosse buono o meno per l’Italia ma si è deciso di scopiazzarlo. Si è quindi formulato nel bando un provvedimento che prevedeva che i valutatori sarebbero stati nominati dalla rosa dei membri della stessa commissione scientifica esaminatrice dell’ERC. Nessun altro paese aveva mai utilizzato un metodo così trasparente per una semplice ragione. Solo dopo la scadenza del bando è stata inviata una lettera al presidente dell’ERC per chiedere dei nomi e i contatti dei possibili valutatori. La risposta è stata (presumibilmente) del tipo: “Cari italiani, ma cosa volete? Lo dovreste sapere che per tutte le agenzie che erogano fondi e le riviste scientifiche i contatti dei valutatori sono riservati! Che cosa vi è saltato in mente di formulare in questo modo bando pubblico senza chiedercelo prima?”. A questo punto (dopo soli 7 mesi dalla scadenza del bando), dietrofront del ministero, si ritorna ai valutatori italiani. Le commissioni, da marzo, sono state nominate solo la scorsa settimana. Il sito del ministero annuncia che entro aprile 2015 si dovrebbero tenere le audizioni per la seconda fase. Nel miglior caso possibile, i risultati arriveranno a maggio 2015, dopo un anno e tre mesi dalla chiusura del bando. (Fonte: M. Bella, http://tinyurl.com/lebnrcq 17-11-2014)

RICERCA. SEGNALAZIONI DI FRODI SCIENTIFICHE
Enrico Bucci la chiama la «wikileaks della scienza». È un sito scarno, incomprensibile ai non specialisti: battezzato Pub-peer (https://pubpeer.com/) contiene segnalazioni anonime su articoli scientifici ritenuti «sospetti». Bucci, biologo napoletano ed ex ricercatore del Cnr, è partito da lì per indagare la correttezza della scienza italiana. E insieme cercare il possibile antidoto a un problema che preoccupa la comunità dei ricercatori (non solo in Italia): il diffondersi crescente di frodi scientifiche. «Ho analizzato circa 3.500 lavori biomedici segnalati su Pubpeer - denuncia -, quelli firmati da italiani sono 565: l’Italia è il secondo Paese dopo gli Usa in termini assoluti, ma il primo in percentuale sulla produzione scientifica. E l’università con la maggior percentuale di segnalazioni è la Federico II di Napoli». Con la sua società Biodigitalvalley Bucci vende, infatti, analisi dei dati biomedici e per assicurarsi di usare sempre informazioni corrette ha sviluppato un apposito software. Il programma, chiamato Imagecheck, analizza le immagini contenute negli articoli scientifici e segnala quelle che potrebbero essere manipolate (in biologia le immagini sono, di fatto, i «dati» con cui si lavora). «Ho verificato che il 70% delle segnalazioni su Pubpeer corrispondono agli errori rilevati con la mia procedura. Un 30% è “borderline”», spiega. Il software è stato chiesto da alcune importanti riviste scientifiche internazionali, che lo stanno usando per vagliare i lavori da pubblicare.
A chiedere a gran voce un «codice deontologico nazionale per la ricerca» c’è Elena Cattaneo, senatrice a vita e direttore del Centro di ricerca sulle cellule staminali dell’Università di Milano. «Parte della comunità scientifica si sta muovendo per risolvere il problema - assicura -. E sono orgogliosa che questa discussione si sia aperta in Italia». Secondo lei bisogna agire su tre livelli: maggiore autoregolamentazione e controlli più stretti a livello di singoli laboratori, dipartimenti e università, che possono prendere le prime sanzioni sui ricercatori scorretti (Fonte: E. Tebano, CorSera Salute 17-11-2014)

RICERCA. L’INTERNATIONAL COUNCIL FOR SCIENCE (ICSU) IN FAVORE DELL’ACCESSO APERTO AGLI ARTICOLI
L’International Council for Science (ICSU) un’organizzazione non governativa, a cui afferiscono organismi nazionali della ricerca (121 Membri in rappresentanza di 141 paesi, per l’Italia il CNR)  e  International Scientific Unions (31 membri) pubblica un report in cui ICSU dichiara il suo appoggio all’accesso aperto e un invito a porre attenzione ai rischi connessi al cattivo uso delle metriche per la valutazione della ricerca. Fino a qualche tempo fa, parlando di open access, si sottolineava la caratteristica del citation advantage. Ora, a distanza di 11 anni dalla dichiarazione di Berlino, non ci sono studi scientifici che abbiano dimostrato in maniera inequivocabile il fatto che articoli ad accesso aperto siano citati più di altri ad accesso chiuso e gli studiosi sono più propensi a vedere una diversa distribuzione delle citazioni nel tempo. Ora il principale e più importante vantaggio dell’Open access sembra essere quello della trasparenza. Nei criteri di selezione, nell’impiego dei fondi pubblici, nella distribuzione della premialità. (Fonte: Redazione Roars 28-11-2015)

ASSOCIAZIONE SULLA SCIENZA APERTA. PROPOSTA PER LA COSTITUZIONE
Il principio dell’Open Access (accesso aperto) vuole che i risultati – pubblicazioni e dati – della ricerca scientifica siano messi gratuitamente a disposizione del pubblico su Internet concedendo a ricercatori e lettori ampi diritti di riutilizzo. L’accesso aperto alle pubblicazioni e ai dati della ricerca scientifica potenzia la diffusione su scala internazionale, comprime il tasso di duplicazione degli studi, rafforza l’interdisciplinarità, agevola il trasferimento della conoscenza alle imprese e la trasparenza verso la cittadinanza, aiuta a garantire la conservazione nel tempo. Roars ripubblica l’invito ad aderire alla proposta di prossima costituzione di un’associazione italiana per la promozione della scienza aperta insieme alla lista delle adesioni che si sono aggiunte dopo l’11 novembre scorso. Chi è interessata/o ad associarsi, è pregato di comunicarlo con una lettera di intenti entro il 31 gennaio al seguente indirizzo email: roberto.caso@unitn.it. Se si riceverà interesse tramite la lettera d’intenti, a febbraio 2015 comunicheremo i prossimi passi che condurranno alla costituzione dell’associazione. (Fonte: Redazione Roars 19-12-2014)

SOSTENERE L'IMPRENDITORIA UNDER 35 EQUIPARANDO LA NORMATIVA START UP AGLI SPIN OFF SENZA ONERI PER LO STATO
Rendere la ricerca applicata svolta dai giovani under 35 sempre più vicina e funzionale al mondo delle imprese, introducendo innovazione, recuperando competitività e dando un forte sostegno all’internazionalizzazione delle aziende: sono queste le finalità della proposta di legge “Disposizioni per la promozione dell'imprenditoria giovanile e della ricerca universitaria attraverso lo sviluppo di società per l'utilizzazione industriale dei risultati di essa (spin-off universitari) ”presentata alla stampa a Montecitorio dal primo firmatario, la deputata Cristina Bargero, componente della Commissione Attività produttive, commercio e turismo. Una proposta “partecipata” e scritta in collaborazione con gli studiosi e professionisti di Cultura Democratica, il primo think tank interamente composto da giovani in Italia. La proposta "prevede - dichiara Cristina Bargero - di applicare agli spin off universitari (centri di ricerca a uso industriale in cui lavorano giovani under 35) la normativa attualmente in vigore per le start up innovative, le cui agevolazioni sono regolate dagli articoli 25-30 del decreto Passera in materia. Inoltre, per permettere alle neonate società di investire in ricerca, sviluppo e marketing, i versamenti previdenziali e fiscali potranno essere effettuati due anni più tardi”. (Fonte: alessandrianews.it 11-12-2014)

RICERCA. COME MIGLIORARE I RISULTATI NELLA PROSSIMA VQR
Il 21 novembre a Bologna si è tenuta una giornata dedicata alla valutazione della ricerca coordinata da Dario Braga. Nella prima parte del suo intervento, Alberto Baccini ha proposto ai presenti di mettersi nei panni di un rettore che voglia scalare le classifiche internazionali, mostrando che si tratta di un’impresa che non richiede di migliorare né la didattica né la ricerca di Ateneo. Nella seconda parte, dopo aver mostrato che ANVUR con la VQR non ha fatto classifiche, ma solo “graduatorie”, ha discusso le distorsioni più evidenti di quelle graduatorie. E ha suggerito alcuni interventi di policy per migliorare i risultati nella prossima VQR tra cui:
1. eliminare i ricercatori senza pubblicazioni inserendoli tra gli autori di paper scritti da altri membri dell’ateneo, 
2. adottare strategie di citazione reciproca,
3. diventare publisher di riviste con impact factor.
Infine ha più seriamente mostrato come ridurre i danni della valutazione, soffermandomi su DORA e sul tema della salvaguardia del pluralismo della ricerca. (Fonte: A. Baccini 13-12-2014),

RICERCA. NUOVI BANDI HORIZON 2020
Sono stati aperti diciannove nuovi bandi Horizon 2020 relativi alla sezione «sfide sociali» che mettono in campo fondi comunitari diretti per oltre 977 milioni di euro. I bandi riguardano diversi settori tra cui la mobilità, la risorsa idrica, le città intelligenti, i rifiuti, la cultura, i giovani e l'inquinamento. Gli enti locali possono partecipare ed ambire a un contributo a fondo perduto a copertura del 100% delle spese ammissibili. Le scadenze dei bandi si concentrano tutte tra aprile e maggio 2015. Tutte le informazioni sui bandi, così come il sistema di presentazione delle domande telematiche, sono disponibili sul Participant Portal a questa pagina. (Fonte: ItaliaOggi 12-12-2014)

RICERCA: HORIZON 2020, ASSEGNATI 485 MILIONI A 328 GIOVANI
Con un finanziamento complessivo di 485 milioni, 328 giovani ricercatori europei potranno realizzare i loro progetti (ciascuno con un fondo fino a due milioni) grazie al più grande programma europeo di ricerca mai promosso, Horizon 2020. Con 28 premiati, gli italiani sono terzi fra i vincitori, dopo tedeschi (68) e francesi (36). L'Italia però, con 11 progetti premiati, scivola al nono posto della classifica, dominata da Germania (70), Regno Unito (55) e Francia (43). Dei 28 ricercatori italiani i cui progetti sono stati selezionati dal Consiglio Europeo della Ricerca (Erc) per gli 'Starting Grant', solo 11 lavorano in Italia, presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (3 progetti vincitori), il Politecnico di Torino (2), l’università Federico II di Napoli (2), l’Istituto Italiano di Tecnologia (1), l’università di Trento (1), l’European University Institute (1) e Humanitas Mirasole (1). Gli altri 17 italiani premiati sono in Gran Bretagna (7), Germania (3), Olanda (2), Francia (1) e Spagna (1). Fra i campi di ricerca premiati, fisica e ingegneria sono al primo posto con 143 progetti, seguite da scienze della vita (124) e scienze umane (61). (Fonte: ANSA 15-12-2014)

RICERCA. PER COSTITUIRE IL FONDO STRATEGICO EUROPEO (EFSI) TOLTI 2,7 MILIARDI DAL PROGRAMMA PER LA RICERCA HORIZON 2020 (78,6 MILIARDI)
Il capo della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha lanciato il «suo» progetto nel discorso d'insediamento a Strasburgo in luglio, promettendolo per febbraio. Poi ha accelerato. In ottobre i 300 miliardi sono diventati «315 di investimenti da generare attraverso l'Efsi, il Fondo strategico europeo» che dovrebbe smobilitare nuovi investimenti fra il 2015 e il 2017. Si tratta d'un veicolo finanziario con 21 miliardi di capitale, dei quali 6 saranno però sfilati dai governi alla voce «Ricerca e Reti» del bilancio comune. I suoi 21 miliardi, nelle intenzioni, dovrebbero attirare 15 euro di impegni privati ogni euro pubblico, realizzando per l'appunto la manovra da 315 miliardi. Per costruire l'Efsi, l'Ue creerà una garanzia da 16 miliardi alimentata dal bilancio comune, mentre altri 5 miliardi verranno dalla Bei. I miliardi impegnati veramente dall'Ue saranno solo 8, posti i quali si arriverà a 16 con una forma di moderno «europagherò»: sono 2 miliardi presi dai margini esistenti nella cassa comune; 3,3 dal programma «Connecting Europe» di azione sulle reti, Tic e no (33,2 miliardi di qui a fine decennio la dote complessiva); 2,7 dal programma per la Ricerca, Horizon 2020 (78,6 miliardi). L'aver sottratto i denari dai sogni dell'avvenire anima ricche polemiche. La Lega delle Università Europee di Ricerca ha tuonato che la scienza «non è un limone da spremere». (Fonte: M Zatterin, La Stampa 16-12-2014)

RICERCA: STARTING GRANT 2015
Il Consiglio Europeo della Ricerca ha pubblicato il bando Starting Grants delle sovvenzioni rivolte al supporto di ricercatori di eccellenza nella fase iniziale della propria carriera scientifica. I ricercatori possono risiedere in qualsiasi parte del mondo, ma l’istituto ospitante deve essere stabilito in uno Stato membro o associato dell’UE.
L’importo massimo assegnato è di € 1.500.000 per un periodo di 5 anni; il Principal Investigator deve avere ottenuto il suo primo dottorato di ricerca tra 2 e 7 anni antecedenti l’1 gennaio 2015.
La deadline è stata stabilita per il 3 febbraio 2015. Link correlati www.horizon2020news.it/horizon-2020-bando-erc-starting-grant

RICERCA. BANDO ERC 2014-STG: PROGETTI FINANZIATI PER PAESE DI NAZIONALITÀ DEI RICERCATORI E DEGLI ENTI OSPITANTI
Quando vengono pubblicati i dati dei bandi ERC, è immancabile il confronto tra le performance dei diversi Paesi sulla base di classifiche per Paesi fornite dall’European Research Council. Molto spesso ci si trova però in imbarazzo, perché le classifiche sono due: quella dei ricercatori (principal investigators, PIs) e quella degli enti che ospiteranno i ricercatori vincitori e riceveranno quindi il contributo (host institutions, HIs).Guardando ai dati del bando Starting Grant 2014 c’è un vincitore chiaro – la Germania che guida sia l’una (con 68 ricercatori) che l’altra classifica (con 70 enti ospitanti), con notevole distacco rispetto ai secondi, rispettivamente la Francia con 36 ricercatori e il Regno Unito con 55 enti. Ma a proposito di quest’ultima, come valutare la sua performance? Al secondo posto nella classifica della host institution, corrisponde un ben più magro ottavo posto dei ricercatori inglesi (13 proposte finanziate). Viceversa, guardando alle questioni di casa, l’Italia è terza per ricercatori finanziati (28), ma settima – assieme ad Austria e Danimarca – per enti finanziati (11).
Pare più utile prendere in considerazione entrambe le classifiche contemporaneamente, come evidenziato dal grafico che segue. Ovviamente il confronto è fatto solo relativamente ai Paesi dell’Unione Europea e Associati, gli unici ammissibili come sede degli enti ospitanti (ad eccezione degli organismi di ricerca di interesse europeo).


Grafico: Progetti finanziati per Paese di nazionalità dei ricercatori e degli enti ospitanti (bando ERC-StG-2014).
Il grafico mostra chiaramente la posizione di leader incontrastato della Germania. Evidenzia, inoltre, i casi di Regno Unito e Italia che hanno performance di direzione opposta: la prima con forte capacità di attrazione di progetti finanziati, la seconda – all’opposto – in grado di esprimere ricercatori molto competitivi, ma non un tessuto istituzionale all’altezza. Francia, Israele e Spagna sono il “gruppo inseguitore” della Germania, usando una metafora ciclistica: mostrano una posizione equilibrata tra le due direzioni e di leadership nell’ambito dello spazio europeo della ricerca. Esiste poi il gruppo che chiude la corsa ai finanziamenti ERC. (Fonte: A. Lorenzi 27-12-2014)

RICERCA. LO SVILUPPO SCIENTIFICO FRENATO DAI TAGLI
L’Accademia europea per la scienza, che raggruppa una parte ampia degli scienziati europei, ha inviato qualche settimana fa una lettera aperta al Parlamento e alla Commissione europea. Gli scienziati protestano contro il piano Juncker di investimenti: al fine di recuperare il denaro necessario, sono stati decisi tagli ingentissimi a Orizzonte 2020, il fondo europeo per la scienza. In una situazione, per giunta, in cui la spesa europea per la ricerca scientifica è già oggi di quasi un punto in percentuale al di sotto di quella degli Stati Uniti. La solita protesta corporativa contro i tagli? Non proprio, se si considera che mentre si colpisce la ricerca scientifica non si tocca la Pac, il baraccone protezionista della politica agricola europea. La protesta dell’Accademia contro i tagli Ue alla ricerca segue di poco, peraltro, l’allarme lanciato da diversi scienziati europei contro le prevalenti politiche nazionali: politiche che ormai penalizzano gravemente la ricerca di base (la vera fonte delle nuove conoscenze) a vantaggio della ricerca applicata, la quale sola è passibile di impieghi economici immediati.
Molti forse pensano che questi problemi riguardino solo gli addetti ai lavori e che, per giunta, in un’epoca di recessione economica, non ci si possa permettere il lusso di dedicare fondi rilevanti alla ricerca scientifica. Ma le cose sono più complicate. Perché i tagli alla ricerca, diventando strutturali, e quindi permanenti, finiscono per favorire la decadenza economica di un Paese, o anche di un Continente. Si rischia di non accorgersene a causa dell’inevitabile sfasatura temporale: recuperare soldi dalla ricerca per contrastare la recessione economica qui e ora è una tentazione irresistibile dal momento che gli effetti negativi di quei tagli si potranno sentire solo nel lungo termine (quando, per giunta, gli autori dei tagli non saranno più lì, nelle posizioni che oggi occupano, per risponderne politicamente). La «ricchezza delle nazioni», il benessere collettivo, dipende da una pluralità di circostanze favorevoli, ma le due in assoluto più importanti sono sicuramente l’esistenza di condizioni di libertà personale e, appunto, lo sviluppo scientifico. Eliminate l’una o l’altra condizione e, alla fine, il benessere svanirà. (Fonte: A. Panebianco. CorSera 21-12-2014)


RICERCATORI TD. RACCOMANDAZIONE DEL CUN PER LE COMMISSIONI GIUDICATRICI
A seguito della l. 240/2010 si è determinata una situazione di estrema variabilità nelle procedure di reclutamento dei ricercatori. Per questo motivo il CUN raccomanda che il Ministero, al fine di garantire un’adeguata valutazione dei candidati, si adoperi, per quanto di competenza e nel rispetto dei principî di autonomia delle Università, perché gli Atenei, nel costituire le commissioni giudicatrici preposte alle procedure pubbliche di selezione per la posizione di Ricercatore a Tempo Determinato (RTD), assicurino, per ciascuna procedura di selezione, la presenza di commissari - eventualmente anche di altri Atenei - afferenti al settore scientifico-disciplinare o al settore concorsuale per il quale è stata avviata la procedura. (Fonte: CUN, adunanza del 14-12-2014)

RICERCATORI. RICHIESTA DI UN COMMA AL 1000PROROGHE PER RECLUTARE RICERCATORI TDI
Nel Decreto Mille-proroghe 2015 ANIEF (Associazione professionale e sindacale) chiede, all’articolo 6, di aggiungere il seguente comma (bozza):
“In deroga all’articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, le Università possono continuare ad attuare fino al 31 dicembre 2015 le procedure di valutazione per il reclutamento dei ricercatori a tempo indeterminato come disposte dai commi 3 e 5 della legge 9 gennaio 2009, n. 1. A tal fine, i candidati in possesso del dottorato di ricerca o di un titolo riconosciuto equipollente anche conseguito all’estero, con almeno tre anni di insegnamenti universitari a contratto, con pubblicazioni di rilevanza anche internazionale, che hanno ottenuto un assegno di ricerca della durata di almeno quarantotto mesi anche non continuativi di cui all’articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, (o di contratti a tempo determinato o di formazione, retribuiti di collaborazione coordinata e continuativa, o a progetto, di rapporti di collaborazione retribuita equipollenti ai precedenti presso università o enti di ricerca della stessa durata), sono inseriti a domanda in un albo nazionale dei ricercatori dalla comprovata esperienza in base al settore scientifico-disciplinare di afferenza, che non dà diritto alla docenza e rimane valido per un triennio, dietro valutazione dei titoli e dei curricula scientifici e didattici posseduti. Conseguentemente, le Università, con chiamata diretta, possono attingere dall’albo nazionale dei ricercatori dalla comprovata esperienza per l’assunzione dei ricercatori a tempo indeterminato con modalità da disciplinare con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca da emanare entro 60 giorni dalla data di conversione del presente decreto”. (Fonte: orizzontescuola.it 05-01-2015)

RICERCA. NEL METODO DELLA PEER REVIEW PIÙ PREGI CHE DIFETTI
La peer review consiste nel controllo della validità scientifica generale, soprattutto metodologica, di un articolo da parte di altri specialisti del settore, che sono all'oscuro dell'identità degli autori. Il metodo della peer review adottato dalle principali riviste scientifiche per dare il via libera alla pubblicazione è sostanzialmente efficace nell'individuare i lavori validi, ma potrebbe incontrare difficoltà nel riconoscere quelli eccezionali. E' questa la conclusione di tre ricercatori (Kyle Siler, Kirby Lee e Lisa Bero, rispettivamente dell'Università di Toronto, dell'Università della California a San Francisco e dell'Università di Sydney) che hanno condotto una ricerca sistematica - ora pubblicata sui "Proceedings of the National Academy of Sciences” - per valutare pregi e difetti di quel metodo. (Fonte: lescienze.it  24-12-2014)

RICERCA. MOTIVI PER INVESTIRE NELLA RICERCA SCIENTICA
Perché in un momento di crisi e di risorse !imitate, come quello che stiamo vivendo, dovremmo   investire nella ricerca scientifica? L'importanza strategica della ricerca, e il ruolo chiave che svolge per il benessere della società, della democrazia e del progresso, è un dato acquisito e indiscusso in molti Paesi industrializzati e si traduce in ingenti investimenti. Non in Italia, però, dove la spesa per ricerca e sviluppo è inferiore all’1,3% del pil, valore ben lontano dal 3% fissato come obiettivo dal Trattato di Lisbona del 2007 e che ci colloca agli ultimi posti e dietro anche a molti Paesi in via di sviluppo. Eppure in Italia il contributo economico del settore non-profit e in particolare delle «charities», come l'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, la Fondazione Veronesi e Telethon, e in proporzione più elevato che nella maggior parte degli altri Paesi. Al contrario, il livello di investimento privato nella ricerca e tra i piu bassi del mondo industrializzato. Un'importante eccezione è rappresentata dalle fondazioni di origine bancaria che utilizzano parte degli interessi sui loro patrimoni per sostenere la ricerca e che potrebbero svolgere un ruolo sempre più importante nel creare poli di eccellenza. Le imprese, poi, possono svolgere anch’esse un ruolo chiave, finanziando progetti in aree di loro interesse, purché garantiscano agli scienziati totale libertà e indipendenza. Un modo per farlo è creare dei consorzi misti, che finanzino iniziative selezionate da un comitato di ricercatori indipendenti: un esempio è in Francia, con l'agenzia Anses e gli studi sui campi elettromagnetici.
Ritorniamo, però, alla domanda iniziale e cerchiamo di capire perché ha senso investire nella ricerca. Alla fine del secolo scorso il governo americano decise di lanciare lo Human Genome Project (Hgp), investendo grandi risorse per determinare la sequenza del genoma umano. Per l'impresa che sembrava ciclopica, Washington spese più di 14 miliardi di dollari in valore attuale (cifra che comprende il contributo originariamente stanziato e gli investimenti successivi per i progetti di ricerca associati). Quali benefici economici sono scaturiti? Si stima che solo in termini di ricchezza, generata dai risultati di Hgp per le imprese di biotecnologia e per gli enti di ricerca americani, il ritorno sia stato di almeno 50 volte l'investimento. A ciò va aggiunto il valore dell’aumento della conoscenza nei campi della genetica e il miglioramento della salute pubblica che, sebbene difficilmente quantificabili, sono verosimilmente ancora più significativi. Nel 2013, poi, l'amministrazione Obama ha lanciato un progetto pluriennale ancora più ambizioso, la «Brain initiative», che ha lo scopo di studiare ogni minimo aspetto del funzionamento del cervello dei topi e di altri animali per poi affrontare la sfida più affascinante: la comprensione del cervello umano. L'investimento stanziato nel 2014 è stato di circa 100 milioni di dollari, che cresceranno nei prossimi anni, attirando anche investimenti di fondazioni ed enti privati, fino a una spesa totale prevista di circa 300 miliardi. (Fonte: G. Severi, La Stampa 07-01-2015)

RICERCA. COME PERDERE 1,6 MILIARDI IN 6 ANNI
A fronte dei 4.7 miliardi di euro di contributo italiano al programma  di sostegno alla ricerca dell'Unione Europea «FP7» per il periodo 2007-2013 ne sono rientrati in Italia come progetti finanziati solo 3.1 miliardi. Questa ingente perdita netta di 1.6 miliardi non è causata dalla scarsa competenza e preparazione dei nostri ricercatori, che al contrario si collocano mediamente al di sopra dei colleghi europei, secondo gli indicatori di produttività scientifica. Parte del problema è che il numero dei ricercatori che operano in Italia è meno della metà di quello dei colleghi in Francia e nel Regno Unito. Se si parla spesso della «fuga dei cervelli», si dovrebbe parlare anche della scarsa capacità del nostro Paese di attrarli, i «cervelli». In Svizzera, Regno Unito, Olanda, Germania, e Canada la percentuale di ricercatori che emigrano è superiore a quella dell'Italia, ma è compensata o superata dalla percentuale di ricercatori che dall'estero arrivano in quei Paesi per lavorare. I ricercatori, tanto più quelli migliori, si spostano dove ci sono le condizioni più favorevoli e le infrastrutture adatte. È fondamentale, dunque, crearle anche noi, queste condizioni, entrando finalmente in competizione con gli altri Paesi. I nostri ricercatori non hanno bisogno di essere «adottati». Hanno bisogno di opportunità di carriera chiare, stabili e competitive dal punto di vista del salario, e di avere a disposizione risorse: solo cosi potranno fare il proprio lavoro. (Fonte: G. Severi, La Stampa 07-01-2015)


STUDENTI

FONDO PER GIOVANI E MOBILITA' STUDENTI (FGMS). DM 976-2014
Con decreto ministeriale n. 976-2014 è stato disciplinato il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità degli studenti previsto dalla legge n. 170-2003. I criteri per la ripartizione delle risorse del Fondo tra gli Atenei sono stati approvati con decreto ministeriale n. 198 del 23 ottobre 2003 e vengono ora aggiornati, per il triennio 2014-2016, dal decreto ministeriale n. 976-2014 alla luce delle modifiche introdotte da dl n. 69-2013 relativamente al Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali. (Fonte: www.fasi.biz/it/finanza/23-notizie 13-01-2015)

STUDENTI. IL RAPPORTO ISTAT DEL 2014 QUANTIFICA LA SCELTA DI PROSEGUIRE GLI STUDI DOPO LE SUPERIORI
Il passaggio dalla scuola secondaria all’università (calcolato rapportando gli immatricolati all’università ai diplomati di scuola secondaria superiore che hanno conseguito il titolo nello stesso anno solare) è andato progressivamente riducendosi dopo la forte crescita negli anni di avvio della riforma (72,6 immatricolati su 100 diplomati nel 2003/2004). Nell’anno accademico 2012/2013 è al 55,7 per cento, con i valori più alti per i residenti nelle regioni del Nord-ovest e in quelle del Centro (entrambe 60,2). È quanto si legge nell’Annuario statistico 2014 dell’Istat. Chi si iscrive per la prima volta si indirizza verso i corsi di primo livello di durata triennale (83,8%) mentre il restante 16,2% si orienta verso i corsi di laurea magistrale a ciclo unico. La popolazione universitaria è composta da 1.709.407 studenti, in lieve flessione rispetto all’anno accademico precedente (-2,4%).
Le regioni con maggiore numero di studenti – La partecipazione agli studi universitari risulta particolarmente alta fra i giovani residenti in Abruzzo, Basilicata e Molise (rispettivamente pari a 51,8, 51,2 e 50,3%). Coinvolge maggiormente i diplomati dei licei: fra questi, sei su dieci si dichiarano studenti a tempo pieno contro meno del 20% dei diplomati degli istituti tecnici e il 6,7% di quelli degli istituti professionali.
Si scelgono le lauree brevi – Nel 2012 circa 297.000 studenti sono arrivati al traguardo della laurea (o del diploma universitario), circa 1.400 in meno rispetto all’anno precedente (-0,5%). Le donne sono più propense a proseguire gli studi oltre la scuola secondaria (le diplomate che si iscrivono a un corso universitario sono circa 62 su 100, i diplomati appena 50) e pure a portare a termine il percorso accademico. Infatti, tra i laureati triennali e a ciclo unico (ossia tra coloro che hanno conseguito almeno un titolo di formazione universitaria), il tasso di conseguimento della laurea (laureati per 100 venticinquenni) è al 37,6% per le ragazze e al 25,2 per i coetanei.
Fra coloro che hanno concluso percorsi “lunghi” (corsi di durata da quattro a sei anni e lauree specialistiche biennali) le laureate sono 24,1 ogni 100 venticinquenni e i laureati 15,7 ogni 100. (Fonte 27-12-2014)

STUDENTI. ISCRIZIONI IN CALO
L'università italiana: un sistema sempre più territorialmente connotato. Tra il 2008 e il 2013 gli iscritti alle università statali sono diminuiti del 7,2% e gli immatricolati del 13,6%. L'andamento decrescente ha interessato tutti gli atenei tranne quelli del Nord-Ovest, dove gli iscritti sono aumentati del 4,1% e gli immatricolati dell'1,3%. Nelle università del Nord-Est la contrazione dell'utenza è stata più contenuta: -2,3% di iscritti e -5,9% di immatricolati. Al Centro il numero degli studenti iscritti si è contratto del 12,1% e quello degli immatricolati del 18,3%. Negli atenei meridionali rispettivamente dell'11,6% e del 22,5%. L'ulteriore contrazione dell'indice di attrattività degli atenei meridionali conferma la presenza di criticità strutturali note, inserite nell'ambito di contesti territoriali segnati da derive di sottosviluppo economico di lungo periodo. Aumenta l'incidenza delle tasse di iscrizione sul totale delle entrate delle università italiane: da un valore intorno all'11% dei primi anni 2000, le entrate contributive si attestano al 13% nel 2010, per poi raggiungere nel 2012 quota 13,7%. I dati disaggregati per ripartizione territoriale indicano una separazione netta nel tempo degli andamenti delle entrate contributive tra le università settentrionali, da un lato, e quelle centrali e meridionali, dall'altro. Le prime si pongono al di sopra delle medie nazionali e oltre la soglia del 15% sia nel 2011, sia nel 2012; le seconde, invece, al di sotto. (Fonte: Il capitolo «Processi formativi» del 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2014)

TEST DI AMMISSIONE A MEDICINA. LA GIUNTA CRUI SI RIVOLGE AL MINISTRO
La situazione venutasi a determinare nelle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia, a seguito delle pronunce della Magistratura amministrativa in accoglimento dei numerosissimi ricorsi presentati avverso gli esiti dei test di ammissione al corso di laurea a ciclo unico in Medicina e Chirurgia, è del tutto insostenibile e pregiudica il regolare avvio dell’anno accademico. Di ciò hanno già documentato i Presidenti di Consiglio di corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia.
In secondo luogo, le innovate modalità di selezione alle Scuole di Specializzazione post-lauream, hanno determinato più di qualche criticità, a tutt’oggi imprevedibile nelle possibili conseguenze.
Come premessa per un intervento tanto nelle condizioni di accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia quanto alle Scuole di Specializzazione, occorre che siano chiari i fabbisogni e le risorse e che su questa base siano determinate le relative demografie. Questo deve essere svolto di concerto con il Servizio Sanitario Nazionale e con il Ministro della Salute. Da anni le domande di accesso ai corsi in parola superano le relative offerte, tanto di posti quanto di borse. Per questo è indispensabile un percorso di selezione ispirato a criteri rigorosamente meritocratici. (Fonte: lettera della CRUI al ministro Giannini 12-11-2014)

STUDENTI. PASSO INDIETRO DEL MINISTRO SULLA PROPOSTA DEL C.D. SISTEMA FRANCESE PER L’ACCESSO A MEDICINA
“Non ho mai nascosto la mia personale opinione in merito, meglio sarebbe un sistema
inizialmente più aperto, che permetta di monitorare tutti gli aspiranti medici lungo tutto il primo anno di corso (oppure di un semestre), per poi selezionare secondo il fabbisogno (quindi fermo restando il sacrosanto principio di un necessario e ineliminabile numero programmato) dopo 12 mesi, tramite una prova conclusiva nazionale. Così fanno i francesi, garantendo a chi non rientra nella quota programmata passerelle adeguate su altri corsi di laurea. Ma si tratta di un eventuale obiettivo a regime, quando la domanda di studio in Medicina sarà rientrata nei limiti della normalità (non lo è con i 100.000 potenziali iscritti che renderebbero ingestibile e bloccato il processo formativo nelle nostre università). Quindi si deve subito provvedere alla presentazione di un setting credibile e strutturato di prove di accesso, meglio sarebbe se preceduto da un'attività propedeutica organizzata dagli atenei italiani”. (Da lettera del ministro Giannini al direttore de Il Mattino 14-12-2014)

TEST A MEDICINA. DANNO OGGETTIVO E SOGGETTIVO DELLE AMMISSIONI GIUDIZIARIE
La questione dei ricorsi al Tar contro i test di ammissione ai corsi di laurea in Medicina e di quelli più recenti riguardanti l'ammissione alle Scuole di specializzazione, è diventata insostenibile per il MIUR e le università italiane. I cinquemila studenti ammessi dai giudici amministrativi in aggiunta ai diecimila previsti hanno comportato un danno oggettivo e soggettivo a tutti gli studenti ammessi regolarmente in quanto classificati ai primi posti della graduatoria unica nazionale: oggettivo, in quanto gli atenei sono andati in tilt a causa dell'enorme numero di immatricolati,  soggettivo perché sono entrati studenti con punteggi molto bassi, creando un senso di palese ingiustizia nei confronti dei primi in classifica. Le ammissioni in sovrannumero hanno creato nuovi disagi: inizio dei corsi rinviato, aule stracolme, lezioni in videoconferenza. (Fonte: Redazione rivistauniversitas novembre 2014)

TEST PER L’AMMISSIONE A MEDICINA A SETTEMBRE ED ESAME DI MATURITÀ IMMUTATO
L'intenzione del MIUR è di affidare la preparazione alle prove di ammissione a Medicina direttamente alle università: «Tre mesi di corso sui test affidati al pubblico e sottratti al privato — dice il sottosegretario Faraone —, con domande più specializzate, legate a materie specifiche e meno generaliste, questo per rendere la selezione più oggettiva in modo da non lasciare spazio a ricorsi». «Il test di medicina si farà anche quest'anno e sarà in settembre». E dal 2016 la preparazione comincerà prima, «bisogna creare un orientamento già dalle scuole superiori, negli ultimi anni, che si aggiunga al corso preparatorio per arrivare al test d'ingresso». Il numero chiuso? «Continuerà a esserci — afferma Faraone — e di anno in anno si valuterà la situazione con il ministero della Salute».
Non cambia, per il 2015, neanche l'esame di maturità («non vogliamo destabilizzazioni durante l'anno scolastico») e Faraone conferma la presenza dei commissari esterni all'esame: «La mia linea è mantenerli anche in futuro, soprattutto pensando alle scuole private. Non si può lasciare che i membri delle commissioni siano tutti docenti interni». (Fonte: CorSera 22-12-2014)

STUDENTI. TEST D’INGRESSO PER MEDICINA A SETTEMBRE. GLI ATENEI SARANNO CHIAMATI AD ORGANIZZARE CORSI DI PREPARAZIONE AI TEST
Test d’ingresso per Medicina nella prima decade di settembre «auspicabilmente anticipato da una preparazione più mirata alle prove che gli atenei si sono detti disponibili a organizzare». Lo ha annunciato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, nel corso di un’audizione presso le commissioni riunite Cultura e Affari sociali. Nei mesi estivi, e questa è una grande novità, gli atenei saranno chiamati ad organizzare corsi di preparazione ai test di Medicina (e Odontoiatria) con costi decisamente inferiori (o addirittura gratis) rispetto a quelli proposti dalle società private, che si aggirano attorno ai 4mila, ma che possono arrivare anche a 8mila euro, per l'intera preparazione. Molti atenei, in questi ultimi anni, si sono, infatti, dotati di strutture dedicate per seguire gli studenti in ingresso nella preparazione ai test delle facoltà a numero chiuso. E non dovrebbe essere difficile organizzare nei mesi estivi questi corsi. Un altro punto che dovrebbe ridurre la "fortuna" e premiare i migliori è quello di fornire in anticipo agli aspiranti medici una bibliografia di testi consigliati su cui basare la preparazione.
Le domande del test verteranno su argomenti contenuti nei testi consigliati. Per questa ragione la prova dovrebbe anche vedere delle modifiche sulle materie. Resteranno le domande di Fisica, Matematica, Biologia e Chimica. Potrebbero sparire quelle di cultura generale e forse anche quelle di logica. E come ormai avviene per molti test di ammissione in altre facoltà, il nuovo test potrebbe contenere domande di Inglese. L'ultima novità, quella più in bilico, mira a ridurre l'enorme contenzioso che negli ultimi anni si è sviluppato intorno al test di Medicina e che solo quest'anno ha prodotto quasi 6mila immatricolati "con riserva", pari al 60 per cento dei 10mila previsti dal bando iniziale. Per tutte le altre facoltà a numero programmato nazionale (Medicina Veterinaria, Architettura, Scienze della formazione e Professioni sanitarie) per il momento, resterà tutto come l'anno passato. Stesso discorso per le altre facoltà dell'ambito medico-scientifico: Biologia, Farmacia, Biotecnologie. (Fonte: S. Intravaia, La Repubblica 08-01-2015. Corsera Università 13-01-2015)

NELLE ACCADEMIE 6 STUDENTI SU 10 SONO CINESI         
La notizia è riportata da La Stampa che continua l’articolo dicendo che nell’anno accademico 2012/2013 gli studenti in arrivo da Pechino, Shanghai e dintorni rappresentavano già più della metà del totale, 1968 su 3757. Lo scorso anno scolastico sono aumentati ancora: 2885 su un totale di 4581: in pratica 6 studenti su 10 nelle Accademie sono cinesi. Sarà il richiamo dell’arte italiana, saranno i programmi, come il Progetto Turandot, che rendono più facile ottenere il visto d’ingresso per chi vuole studiare in Italia, il risultato è che la situazione sta esplodendo e le Accademie hanno più volte chiesto aiuto al Miur. Dal Ministero promettono di intervenire entro l’anno con un rapporto che dovrà rivoluzionare il settore, ma nel frattempo bisogna gestire l’assalto degli studenti cinesi. E non è semplice. C’è innanzitutto un problema di didattica. Gli studenti cinesi fanno fatica a capire l’italiano elementare, figuriamoci una lezione sulle tecniche di restauro o sulle differenze tra il barocco di Borromini e quello di Bernini. Le Accademie sono state costrette a introdurre un esame di italiano come prerequisito per l’ammissione. A Firenze questo vuol dire aver ridotto del 50% gli studenti cinesi. E anche a Roma è stata una strage: 20 ammessi su oltre cento che ci hanno provato. (Fonte: tecnica della scuola 23-11-2014)

TASSE UNIVERSITARIE. DISOMOGENEITÀ DEI SISTEMI IN EUROPA
La disomogeneità dei sistemi di tasse universitarie in Europa è evidenziata da una ricerca della Commissione europea nel rapporto “National Student Fee and Support Systems in European Higher Education 2014/15”, di recente pubblicazione. L’indagine, che prende in considerazione come e quando tasse, borse di studio e prestiti vengono imposti o erogati, rivela una situazione molto eterogenea nelle 36 nazioni prese in esame (il Regno Unito viene suddiviso nei quattro paesi che lo compongono). Se il sistema inglese rappresenta il caso limite, con le tasse più alte e l’assenza di esenzioni complete, anche l’Italia rientra nel gruppo in cui per studiare si spendono le cifre più alte. Nell’intervallo fra i 1.000 e i 5.000 euro, oltre al nostro Paese, il rapporto segnala la Spagna, la Slovenia, la Lettonia, l’Olanda, il Galles, l’Irlanda, la Romania, la Lituania e l’Ungheria. In queste ultime due nazioni, però, le esenzioni sono talmente diffuse che la maggior parte degli studenti non paga nulla, o quasi; e in Slovenia, in realtà, solo gli studenti part-time e gli extra comunitari devono sborsare denaro per frequentare l’università.
Lo scorso anno accademico l’Estonia ha rivoluzionato il proprio sistema di tassazione universitaria, collegandolo direttamente al profitto e consentendo la totale esenzione al raggiungimento di un minimo di crediti.
L’Italia si distingue anche nel confronto con molti stati europei particolarmente “virtuosi”, in cui l’istruzione terziaria è completamente gratuita, o quasi. Basta guardare oltre confine, in Germania, dove anche l’ultimo dei Länder ha abolito le tasse per il 2014/2015; o in Austria, dove tutti gli studenti europei studiano gratuitamente, a meno che non vadano fuori corso per più di un anno. Ma, stando a quanto riporta l’indagine della Comunità europea, non si sborsa un quattrino nemmeno in Turchia, in Grecia, in Danimarca, nella già citata Scozia e in tutta la penisola scandinava. Non solo, in Finlandia, oltre a non pagare un euro, tutti gli universitari che hanno collezionato un numero di crediti minimo hanno diritto a un assegno di mantenimento che può raggiungere i 335 euro al mese, al quale si aggiunge un supplemento per coprire parte dell’affitto. Non è molto diversa la situazione in Svezia, dove è riservato un occhio di riguardo agli studenti con figli, come pure in Norvegia. (Fonte: C. Mazzella, IlBo 25-11-2014)

BORSE DI STUDIO. POTREBBERO ESSERE 46.167 GLI STUDENTI MERITEVOLI MA SENZA BORSA
Il Dpcm che stanzia le risorse statali per il cosiddetto «Fondo di intervento integrativo» - per l'esattezza 162,666 milioni - e li divide tra le Regioni ha avuto il via libera nei giorni scorsi. Fondi, questi, che uniti a quelli regionali e ai contribuiti in arrivo dalle tasse universitarie puntano a garantire un aiuto economico agli studenti bisognosi e meritevoli (bisogna essere in regola con gli esami): in tutto per quest’anno ci sono poco meno di 400 milioni. Risorse sufficienti? È la stessa relazione al decreto a mettere il dito nella piaga: «Si evidenzia che gli studenti risultati idonei, che per indisponibilità di risorse non ottengono i benefici, sono ancora in numero elevato». Per l’esattezza su 179.284 idonei i beneficiari reali delle borse sono - in base alle disponibilità - 133.117: si tratta di «una percentuale di soddisfazione - avverte ancora il decreto - pari al 74,25%». Un dato in allarmante aumento rispetto all'anno accademico precedente quando questa percentuale era stata del 79,75% e gli studenti esclusi dai benefici erano stati “soltanto” poco più di 30mila. Oggi invece potrebbero schizzare alla cifra di 46.167 gli studenti meritevoli, ma senza borsa. A complicare le cose quest’anno c’è anche il fatto che i fondi per il diritto allo studio - come prevede il decreto Sblocca Italia da poco varato - rientrano per la prima volta nel patto di stabilità interno. Cosa che potrebbe mettere a rischio parte di queste risorse soprattutto nelle Regioni con i conti più traballanti. (Fonte. M. Bartoloni, IlSole24Ore 02-12-2014)

STUDENTI. RIENTRANO GLI ITALIANI D'ALBANIA, BOCCIATI GLI ABRUZZESI
Due mesi fa, i ragazzi rientrati nel 2009 dalla Romania per studiare medicina all'Aquila nonostante i rischi del dopo-terremoto si sono visti annullare il percorso universitario, mentre oggi ottengono il via libera gli studenti che hanno chiesto di spostarsi da Tirana a Tor Vergata, mettendo fine alla loro esperienza di aspiranti medici in Albania per quella decisamente meno scomoda di universitari a Roma. Il caos che provocano tali sentenze contrastanti non è solo materia di avvocati e di magistrati perché tocca le vite e le speranze dei giovani medici e la serietà del sistema Italia: in 7mila hanno vinto i ricorsi in Italia e in 10mila potrebbero arrivare dall'estero per il buco nella diga aperto dalla sentenza sul caso di Tirana. Tanti aspiranti medici in più mentre quelli che si sono laureati a L'Aquila sfidando la paura del sisma si sono visti cancellare il titolo. (Fonte: M. Esposito, Il Mattino 09-12-2014)

STUDENTI. LE OCCUPAZIONI DELLE SCUOLE PIACCIONO AL VICEMINISTRO. PUÒ UN’OCCUPAZIONE ESSERE ILLEGALE E INSIEME EDUCATIVA?
Gli studenti si agitano in molte scuole del paese: cortei, okkupazioni, graffiti, vandalismi. Per fini nobili, dicono: vogliamo difendere il diritto allo studio (ma intanto lo impediscono anche a chi vorrebbe studiare), vogliamo sollecitare l'occupazione giovanile (che non ci sarà senza giovani preparati). Intanto okkupano, la chiamano «autogestione». Che fanno le supreme autorità del Ministero? La ministra preferisce tacere; non così il viceministro, Davide Faraone. Nelle sue dichiarazioni a «La Stampa» Faraone ha detto chiaro: «Le occupazioni sono illegali, ma servono alla democrazia. Sono lotte all'apatia. In esse si seleziona la classe dirigente. Anch'io da studente ho occupato il mio istituto tecnico e vi ho trovato la vocazione politica». Non è mancato l'appello romantico ai sacchi a pelo: «Rendevano le classi calde e umane, quanti amori consumati e quante anime gemelle trovate!». E ha concluso: «Le occupazioni scolastiche sono esperienze di grande partecipazione democratica che ricordo con piacere e in alcuni casi sono più formative di ore passate in classe».
Come possa un’occupazione essere illegale e insieme altamente educativa, lo sa solo Faraone. A correggere quelle affermazioni non è intervenuto neppure il ministro dell'Istruzione. Ma sottosegretario e ministro dovrebbero almeno saperne un po' di più di partecipazione e di democrazia: sanno quanto lavoro fanno molti dirigenti e docenti per formare i giovani alla legalità, al rispetto delle regole, alla convivenza ordinata e rispettosa di maggioranza e minoranza? Mentre tv e giornali ci raccontano ogni giorno di scandali, questi due signori dicono e lasciano dire che il confine tra legalità e illegalità in certi casi è soggettivo e discutibile.  (Fonte: Il Gazzettino 09-12-2014)

STUDIARE CON I PROFESSORI MIGLIORI. SECONDO UNA RICERCA FA GUADAGNARE DI PIÙ
Studiare con i professori migliori sarebbe, secondo una recente ricerca pubblicata dalla Banca d’Italia, la chiave per guadagnare di più una volta laureati. Se a qualcuno questo può sembrare ovvio, perché i docenti più preparati formano laureati più preparati (e quindi più ambiti e più pagati), non è altrettanto ovvio quanto questo vantaggio “pesi”. Si tratta di un plus pari al 5,5 per cento sul salario d’ingresso nel mondo del lavoro, che in euro fanno circa 1000 euro lordi l’anno in più.
La ricerca, dal titolo “The academic and labor market returns of university professor” (cioè “Il ritorno accademico e sul mercato del lavoro dei professori universitari”), è stata condotta da Michela Braga della Bocconi, Marco Paccagnella dell’Ocse e Michele Pellizzari dell’Università di Ginevra, i quali hanno anche quantificato l’impatto positivo sui voti dell’essere allievi dei professori migliori. Chi segue le lezioni dei docenti più efficaci ottiene un aumento della media dei voti pari solo allo 0,6 per cento. Ciò significa che l’influenza dei professori migliori è sensibilmente più alta sul piano economico, che non su quello accademico. Per elaborare questo studio, sono stati presi come riferimento 230 docenti e 1.200 studenti della Bocconi, iscritti come matricole nell’anno accademico 1998-1999. I dati relativi agli stipendi dei laureati sono stati desunti dalle dichiarazioni dei redditi del 2004 e incrociati con altri forniti dall’ateneo riguardanti il curriculum accademico e la media degli esami. (Fonte: universita.it 21-12-2014)

DODICI MILIONI DI EURO IN AGGIUNTA PER I PROGETTI ERASMUS NEGLI ATENEI ITALIANI
Dodici milioni di euro in più per l'Italia da spendere nei progetti Erasmus, il programma europeo che consente a studenti e docenti delle università europee di realizzare un periodo di studi o docenza all'estero. L'annuncio  arriva dall'Agenzia Erasmus+ Indire, che ieri e oggi ha promosso un convegno sul tema alla presenza dei rappresentanti del mondo accademico italiano. «L'obiettivo del programma - spiega Sara Pagliai, coordinatrice dell'Agenzia Erasmus+ Indire - è attrarre studenti e docenti verso le università europee, sostenendole nella competizione con il mercato mondiale dell'istruzione superiore e allo stesso tempo ampliare il raggio di destinazioni possibili per gli studenti e i docenti d'Europa con un'apertura verso il resto del mondo». Il programma Erasmus è nato nel 1987 e in questi 28 anni di attività ha visto la partecipazione di circa tre milioni di giovani europei. L’obiettivo è ora di ampliare lo sguardo anche oltre il confine del Vecchio Continente. (Fonte: E.Le., Avvenire 16-01-2015)


VARIE

SISTEMA DI AUTOVALUTAZIONE. RESA NOTA UNA RELAZIONE COMMISSIONATA DAL PRECEDENTE MINISTRO
La Relazione finale relativa a “Proposte operative in materia di potenziamento del sistema di autovalutazione della qualità e dell’efficacia delle attività didattiche e di ricerca delle università, dell’accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio universitari e della valutazione periodica della qualità, dell’efficienza e dei risultati conseguiti dagli atenei”, predisposta da una Commissione (allo scopo nominata con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del 3 luglio 2013, n. 596) e finora non resa pubblica, è stata resa di pubblico dominio da Roars il 22 dicembre grazie alla cortesia dei membri della Commissione. Dalle conclusioni della relazione finale si stralciano i seguenti passi:
L’impianto prevalentemente autorizzativo del D.M. 47/2013, basato su accreditamenti concessi in base a criteri numerici applicati in maniera meccanica e generalizzata, e indipendentemente dal contesto in cui andranno a operare e dai risultati ottenuti, ha già dimostrato di produrre, come era prevedibile, un effetto di ridimensionamento dell’offerta didattica universitaria, in larga misura indipendente dalla qualità del servizio formativo erogato. L’insistenza su vincoli numerici definiti a priori, che non tengano conto delle situazioni specifiche delle università – le quali, a causa di vincoli finanziari e legislativi esterni, non sono in grado, se non in minima parte, di indirizzare il proprio sviluppo con scelte culturali consapevoli – porterà prevedibilmente alla chiusura di corsi di studio validi e molto frequentati in modo del tutto indipendente dalla qualità effettiva dell’offerta formativa, nonché all’introduzione forzata del numero programmato anche in corsi di studio dei cui laureati il paese ha grande necessità. Una valutazione seria e generalizzata dei corsi di studio proposti e dei risultati ottenuti, ovviamente necessaria a garanzia della qualità complessiva dell’offerta formativa, non può basarsi su un modello autorizzativo basato su vincoli numerici, quale è nella sostanza esclusivamente il modello contemplato nel d.m. 47/2013, e deve invece articolarsi in formule di valutazione e controllo che valorizzino e sollecitino la responsabilità dei singoli atenei. L’attività formativa delle università va valutata sulla base dei risultati conseguiti, in termini di efficacia e di efficienza, e non sulla proiezione astratta delle sue teoriche potenzialità.
Gli obiettivi ai quali la Commissione ritiene che ci si debba orientare devono ispirarsi ai processi di valutazione consolidati nei paesi OCSE più avanzati, che appunto prediligono la valutazione a posteriori e la misura dei risultati raggiunti, sia in assoluto sia in relazione ai parametri che gli atenei si erano dati. La Commissione, pur consapevole delle attuali ristrettezze di bilancio e della scarsezza delle risorse disponibili, si sente in dovere di mettere in guardia dal rischio che la pur comprensibile preoccupazione per i costi possa ridurre l’intero processo di valutazione a un inutile percorso burocratico, improntato a tecnicismo numerico e a metodi di controllo formali che non consentirebbero di entrare nel merito dell’effettiva qualità dei singoli corsi di studio. Mentre la qualità delle iniziative formative, lo si ripete, può essere seriamente ed efficacemente valutata solo attraverso procedure articolate, idonee a cogliere la consistenza e la portata sostanziale delle iniziative formative valutate e che contemplino anche la visita in loco da parte di commissioni di esperti e competenti valutatori. (Fonte: http://tinyurl.com/oxqkmaw 22-12-2014)

UNIVERSITÀ. MANCATE SOLUZIONI BIPARTISAN
Lo sfascio del sistema della ricerca e della formazione superiore non ha un colore politico: è uno straordinario esempio di collaborazione bipartisan. Nella genesi e mancata soluzione dei tre principali problemi che impediscono agli atenei oggi di essere realmente competitivi sul piano internazionale (una penuria cronica di risorse, un corpo docente e ricercatore invecchiato, selezionato in anni passati con criteri quantomeno discutibili e il mancato ricambio generazionale) i governi di area ex PCI hanno almeno tanta responsabilità quanto quelli di berlusconiani e soci. Il nome di Luigi Berlinguer (ministro della Pubblica istruzione dal 1996 al 2000) è legato soprattutto a una riforma dei concorsi universitari (il cosiddetto sistema “delle terne”) che ebbe come risultato principale quello di favorire la promozione in massa alle posizioni apicali della gerarchia universitaria. Si può discutere sulla selettività di questa nobilitazione collettiva, ma quel che è certo è che la moltiplicazione dei posti da ordinario e associato creò una saturazione tale da bloccare il sistema per molti anni, impedendo, di fatto, l’ingresso nei ruoli di un’intera generazione di ricercatori. La legge 3 luglio 1998 n. 210 è l’equivalente universitario delle politiche di debito pubblico dei governi degli anni Settanta e Ottanta: un simpatico macigno regalato alle generazioni successive in nome del benessere immediato. (Fonte: N. Novelli, www.mentepolitica.it 18-11-2014)

PER IL RILANCIO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO. LETTERA A RENZI
II rettore dell’università di Pisa, Massimo Augello, in una lettera aperta a Renzi non nasconde le preoccupazioni: «Il rilancio del sistema universitario potrebbe fare da motore della ripresa economica del Paese: difficilmente, infatti, ci potrà essere sviluppo stabile senza buona ricerca ed efficaci politiche di trasferimento tecnologico verso il sistema economico, così come non potremo dare migliori prospettive occupazionali ai nostri ragazzi senza potenziare i percorsi educativi e i collegamenti tra formazione e lavoro. Al contrario, negli ultimi anni l'università ha subìto un brusco ridimensionamento, con la perdita di circa 10.000 docenti e ricercatori e la diminuzione dei finanziamenti pubblici di più un miliardo di euro sui sette complessivi. Di fatto, l'Italia è tra le nazioni che investono meno in questo settore, con una spesa pubblica che è circa metà di quella inglese e un terzo di quelle tedesca e francese. La Conferenza dei rettori denuncia da tempo questa situazione». (Fonte: italiaoggi.it 06-01-2015)

LA RIORGANIZZAZIONE DEL MIBACT (MINISTRO DEI BENI E DELLE ATTIVITA CULTURALI E DEL TURISMO)
La riorganizzazione del Mibact (Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) ha riequilibrato il numero di posizioni dirigenziali previste per i nostri 3 tipi di istituti della cultura (archivi, biblioteche e musei). Dopo la riforma, Archivi e Biblioteche avranno 27 dirigenti su un totale di 148 istituti, i musei 34 su un totale di oltre 400. Come mostra il semplice confronto numerico, nessuna penalizzazione, ma solo un parziale riequilibrio. Negli atti della riforma vi sono invece norme che riconoscono l'autonomia tecnico-scientifica di tutti gli istituti della cultura, li dotano di un’apposita Direzione generale centrale e aumentano i poteri dei direttori (siano essi funzionari o dirigenti). Sono stati mantenuti tutti gli istituti centrali. Si sono tutelate le rispettive specificità. La direzione delle biblioteche sarà perciò affidata agli stessi bravi, anzi bravissimi, funzionari bibliotecari che fino a oggi hanno retto la maggior parte delle 46 biblioteche statali. Funzionari che è mia intenzione valorizzare, cosi da non pregiudicare alcun percorso di carriera. Il rango di uffici periferici del Ministero è quello che le biblioteche hanno sempre avuto; anzi, la riforma le sottrae al rapporto gerarchico con le Direzioni regionali e le riconduce direttamente alla Direzione generale Biblioteche. I «vari» accorpamenti denunciati, se e ove avverranno, saranno compiuti esclusivamente per migliorare la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale e in coerenza con ragioni di carattere storico, artistico, architettonico o culturale. L’eventuale creazione di «poli bibliotecari» potrà avvenire solo se utile a migliorare l'andamento degli istituti. (Fonte: D. Franceschini, ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, CorSera 01-12-2014)

LE 12 SCOPERTE SCIENTIFICHE PIÙ IMPORTANTI DEL 2014 SECONDO NEXTMEGUARDAVANTI
Gennaio 2014. Aquacell, la pila green che si attiva e ricarica con l’acqua
Febbraio 2014. Ritrovata la più antica piramide d'Egitto
Marzo 2014. Creato il primo cromosoma sintetico
Aprile 2014. Nasce l’emielica, una nuova forma geometrica
Maggio 2014. Create le nanobatterie che ricaricano i pacemaker via wireless
Giugno 2014. Creati i primi spermatozoi robot
Luglio 2014. Pronte piastrine in laboratorio trasfusione nel 2017
Agosto 2014. Il motore spaziale senza carburante
Settembre 2014. La prima vertebra artificiale impiantata su un bambino malato di cancro
Ottobre 2014. Nasce 3D BioPrinting, la penna che ricostruisce le ossa
Novembre 2014. In Gran Bretagna i bus alimentati dalle feci
Dicembre 2014. Due nuovi cuori artificiali pediatrici.
(Fonte: R. De Carolis, nextme.it 02-01-2015)

NELLE UNIVERSITÀ, A SCUOLA, NELLE REDAZIONI GIORNALISTICHE, NELLE CASE EDITRICI…SI RIPETE “NON SANNO SCRIVERE”
Chi opera nel settore della cultura, dell’editoria, della letteratura, della saggistica, del giornalismo, si trova di fronte a testi sgrammaticati, disordinati, sconnessi, eppure scritti proprio da chi poi dovrebbe intraprendere un percorso professionale o addirittura artistico. E, anche quando non si arriva agli errori ortografici, manca il rispetto elementare della strutturazione dei testi, della loro specificità, delle citazioni, delle regole bibliografiche. A tutto questo si aggiunga l’arroganza, la supponenza, la mancanza di volontà di imparare, l’indisciplina mentale. A chi attribuire le responsabilità? Ormai tanti sono stati gli interventi al riguardo. Sul banco degli imputati salgono di volta in volta la scuola, la famiglia, la società, l’uso incontrollato dei nuovi media, ecc., ecc. Più nel dettaglio: classi numerose (oltre trenta alunni per aula); troppi allievi di origine straniera e di disabili per classe; insegnanti stressati, malpagati, demotivati, schiacciati da folli adempimenti burocratici; il linguaggio invalso, scorretto, di sms, e-mail, social network; in famiglia mancanza dell’amore per la lettura e per la cultura; genitori che inseguono le mode consumistiche, ecc., ecc. E, poi, gli scaricabarile, per cui i docenti delle scuole superiori accusano quelli delle medie; i docenti universitari le scuole superiori; gli psicologi le famiglie, troppo assenti e permissive; le famiglie i modelli sociali imposti dall’alto; tutti la Rete (con annessi Facebook, YouTube e… persino Wikipedia), i videogame, la Tv-spazzatura e…il malcostume politico. Che i giovani studenti avessero già da tempo difficoltà nella ricerca scientifica, nel rispettare le regole redazionali e nel compilare in modo accurato una tesi di laurea o un saggio, è testimoniato dalla pubblicazione, nell’ormai lontano 1977, del celebre saggio di Umberto Eco su Come si fa una tesi di laurea. (Fonte: R. Tripodi, LucidaMente gennaio 2015)

ELEZIONI PER IL PARZIALE RINNOVO DEL CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE
Dal 20 al 29 gennaio 2015 si svolgeranno le  elezioni per il parziale rinnovo del Consiglio Universitario Nazionale. Le votazioni riguarderanno le aree: 03 - Scienze Chimiche; 05 - Scienze  Biologiche; 07 - Scienze Agrarie e Veterinarie; 09 - Ingegneria industriale e  dell’informazione; 10 - Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e  storico-artistiche; 12 - Scienze Giuridiche; 13 - Scienze economiche e  statistiche; 14 - Scienze Politiche e Sociali. Sono da eleggere:
8 professori di I fascia delle aree 03, 05, 07,  09, 10, 12, 13 e 14;
7 professori di II fascia delle aree 03, 05, 07,  09, 10, 12, 13;
7 ricercatori universitari, anche a t.det., delle aree 03, 05, 07, 09, 10, 12, 13;
3 rappresentanti del personale tecnico ed amministrativo.


ATENEI. IT

PROGRAMMAZIONE TRIENNALE UNIVERSITÀ
D.M. 4/11/2014 n. 889.
- Programmazione 2013-2015. Ammissione a finanziamento dei programmi presentati dalle Università: http://tinyurl.com/klv3y7j .
- Riparto fondi programmazione triennale 2013-2015. Università statali e non statali legalmente riconosciute: http://tinyurl.com/qj3kgc6 .

ITALIA: SECONDA DESTINAZIONE DEGLI STUDENTI AMERICANI DOPO IL REGNO UNITO
Uno su dieci viene qua. In Italia. A studiare. Soprattutto a specializzarsi. Per alcune settimane o per qualche anno. Nonostante la lingua diversa, gli atenei e le accademie dell'Italia sono la seconda destinazione al mondo dei giovani americani. Subito dopo il Regno Unito. Lo conferma l'Institute of international education, un'organizzazione che monitora la mobilità studentesca. Su poco meno di 290 mila ragazzi che hanno lasciato college e high school, in 29.848 si sono iscritti in Italia. Quasi il doppio del 2001, quando qui erano atterrati in sedicimila. Facciamo meglio della Spagna e della Francia. Ne abbiamo il triplo della Germania. Cervelli che vengono. Ma anche cervelli che vanno. Aumentano anche gli italiani che volano Oltreoceano. Nell'anno accademico 2013/2014 se ne contavano 4.443 immatricolati negli Usa: +3,9% rispetto a dodici mesi prima. E si prevede segno più anche per il 2014/2015. (Fonte: CorSera 24-11-2014)

CONFERENZA DEI RETTORI (CRUI). UN RAPPORTO SUL MONDO DELLE UNIVERSITÀ NON STATALI
La Conferenza dei rettori ha realizzato un rapporto sulle 18 realtà accademiche non statali esistenti in Italia (di cui 14 aderenti alla Crui), non atenei privati ma atenei non statali che erogano un servizio pubblico, come ha precisato Marco Mancini. Buoni risultati nel raggiungimento della laurea, nella ricerca scientifica e nel lavoro. Nella lista, tra gli altri, anche Bocconi, Suor Orsola Benincasa di Napoli, lulm di Milano, Luiss di Roma, Liuc di Castellana (Varese), Kore di Enna, San Raffaele di Milano. Nate dalla spinta di realtà locali o associative, le università non statali presentano alcune caratteristiche similari che il rapporto evidenzia. Ecco la «qualità didattica» necessaria anche per giustificare la scelta economica delle famiglie. Quest'ultime riconoscono agli atenei in questione di essere «un luogo sicuro per far studiare i figli», ma anche «consonanza con i valori, i modelli di vita e gli ideali di cui la famiglia è portatrice». Da parte sua l'università non statale risulta essere molto attenta «alla vicinanza con studenti, famiglie e territorio» che si traduce «nella qualità degli stage, dei tirocini, dell'offerta di collegamento con il mondo dell'impresa». Altro tratto caratteristico «la qualità tecnologica delle attrezzature didattiche, dei servizi e delle funzioni comunitarie».
Un impegno che, stando ai risultati fotografati della Crui, mostra negli atenei non statali «una minor quota di iscritti fuori corso, un tasso di abbandono minore e una più contenuta incidenza degli studenti inattivi, cioè di quei giovani che una volta iscritti non sostengono alcun esame». Le cifre? I fuori corso nelle non statali sono il 19.6% contro il 34.4% delle statali; gli abbandoni si fermano al 13.2% contro il 17.4 delle statali, e gli inattivi sono il 10.4% mentre si arriva al 15.9% nelle statali.
Il rapporto della Crui affronta anche l'aspetto dell'azione legata ai tirocini e al collegamento con il mondo del lavoro, ma anche quello della ricerca, nei quali l'università non statale ottiene risultati interessanti. Tra gli indicatori di qualità anche quello del numero di chi giunge al termine del percorso di studi con la laurea. Anche in questo caso i laureati fuori corso negli atenei non statali sono il 35.3% contro il 57.5% delle statali. Segno di un percorso di studi più regolare e nei tempi previsti dal corso di laurea. (Fonte: E. Lenzi, Avvenire 10-12-2014)

UNA UNIVERSITÀ ISLAMICA AVRÀ SEDE A LECCE
La Confederazione delle imprese del Mediterraneo (Confime) è ferma nelle sue intenzioni: «L'Università islamica si farà a Lecce. Ed il primo passo sarà la costituzione di una Fondazione onlus all'inizio del nuovo anno». Lo ha ribadito il presidente di Confime, Giampiero Kalhed Paladini, nel corso della riunione dell'ufficio di presidenza della confederazione, tenutasi in Sicilia, a Giardini Naxos. Il progetto comincerà a prendere corpo nel 2015 proprio con la fondazione e non si esclude che possano prendervi parte, a vario titolo, anche altri Comuni ed enti dell'area ionico-salentina. In proposito, nei giorni scorsi, il rappresentante di Confime ha avuto una serie di contatti informali con i rappresentanti istituzionali di alcuni Comuni della provincia di Lecce incontrati in occasione della manifestazione culturale «La città del libro», a Campi Salentina. Paladini dovrebbe incontrare nei prossimi giorni i vertici del Polo universitario di Taranto. Durante la riunione dell'ufficio di presidenza è emerso in maniera chiara che l'80% della struttura universitaria dovrebbe sorgere a Lecce, prevedibilmente su un terreno privato in località «Torre Mozza», non lontano dal polo universitario di Ecotekne di Lecce. Ma, come detto, l'atto propedeutico dovrebbe essere proprio la costituzione della Fondazione entro il mese di gennaio. La prospettiva non è quella di creare un centro culturale islamico, ma un'Università vera e propria, conforme all'ordinamento italiano, riconosciuta dal ministero dell'Istruzione, prima in Italia. (Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno 16-12-2014)

UNIBO. IL PRESIDENTE DEL CDM RENZI PARLA DI UNIVERSITÀ ALL'INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO DELL'ALMA MATER
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel suo intervento all'inaugurazione dell'anno accademico dell'Alma Mater di Bologna ha parlato specificamente di università: "Le università del mondo talvolta si presentano meglio di come sono, in Italia abbiamo qualità che non riusciamo a presentare per colpa di un sistema burocratico che non riesce a valorizzare ciò che di eccellente possiamo offrire. Su questo tema propongo che il 2015 sia un anno costituente per le università italiane". Il premier ha inoltre criticato la "stanca retorica dei cervelli in fuga, come se quelli che sono qui fossero sottospecie di cervelli". "Il futuro della scuola o è di tutti, o di nessuno", ma "serve una grande iniziativa da parte di Governo e Parlamento per semplificare il mondo normativo che regola il mondo universitario. Dipende anche da voi come riusciremo a far le riforme". (Fonte: RaiNews 10-01-2015)

UNIBO. IL RETTORE: GRATIFICATI DAI RANKINGS MA COMPETIAMO CON UN DECIMO DELLE RISORSE ALTRUI
Come ci giudicano da fuori? Il Censis ci colloca per il quarto anno consecutivo al primo posto, il Ranking QS (che contempla tutti gli indicatori) ci vede, tra migliaia di Università e istituzioni formative, al 182esimo posto: unica italiana tra le prime duecento. Gratificati? Sì, se non pensiamo che prima di noi ve ne sono 181 e che la competizione va fatta non regionalmente o nazionalmente ma con l’Europa e col mondo. E noi competiamo: ma competiamo con un decimo delle risorse altrui e con dieci volte tanto gli studenti altrui! Colleghi: il 182° posto, finché vogliamo e sappiamo essere Università pubblica, Università insieme di grandi numeri e di grande bravura, secondo la nostra meravigliosa Costituzione, non è un premio di consolazione; è un premio grande, di cui essere orgogliosi anche a fronte di chi ci precede. (Fonte: Dal discorso del rettore Dionigi ai nuovi emeriti 20-10-2014)

UNIBO. ACCORDO: I MIGLIORI LAUREATI CINESI POTRANNO FARE IL DOTTORATO DI RICERCA ALL'UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
I migliori laureati cinesi potranno fare il dottorato di ricerca all'università di Bologna, in tutte le discipline, grazie a un accordo firmato ieri a Pechino dal rettore Ivano Dionigi e da Liu Jinghui, segretario del Csc, l'organizzazione affiliata al ministero dell'Istruzione della Repubblica popolare cinese. I candidati dovranno non solo avere ottimi voti, dunque superare una severa selezione, ma anche conoscere l'inglese e l'italiano. Non si sa quanti arriveranno in Ateneo a fare ricerca. Ma i numeri complessivi sono alti: nel 2015 il Csc invierà all'estero oltre 26mila studenti con borsa di studio, di cui ottomila per il dottorato. «Questa partnership, che chiude positivamente il quinquennio di sperimentazione del programma, rappresenta un importante traguardo nei rapporti di cooperazione accademica e istituzionale con la Cina», spiega Dionigi. Per il rettore i veri "ambasciatori" dei due Paesi sono gli studenti. «Questo è un investimento prioritario». Liu Jinghui ha ricordato la Magna Charta siglata a Bologna. «Siamo molto soddisfatti di questa partnership, pubblicizzeremo l'accordo in modo che tutti gli studenti cinesi interessati possano fare domanda» per l'Alma Mater. La firma dell'accordo è avvenuta al termine di una missione che ha visto Dionigi partecipare all'annuale conferenza mondiale degli Istituti Confucio. Qui è stato anche rilanciato il raduno dei laureati dell'Ateneo che si terrà a giugno. (Fonte: La Repubblica Bologna 10-12-2014)

UNIBO. VALUTAZIONE NEI RANKING INTERNAZIONALI
Due illustrazioni evidenziano la posizione di UNIBO nel THE World University Rankings (2014-15) e il confronto della valutazione di altri rankings (Leiden, QS, Shanghai-ARWU) come si è evoluta negli ultimi anni. (Fonte 13-12-2014)



UNIBO. CRITERI MERITOCRATICI  PER DISTRIBUIRE LA QUOTA UNA TANTUM CHE SOSTITUISCE GLI SCATTI STIPENDIALI
Nell'ateneo bolognese la quota una tantum decisa dal governo (cinque milioni di euro per tutte le università) sarà distribuita solo tra i docenti che supereranno l'”esame”. I criteri di valutazione sono: le ore di didattica svolte dal docente, le pubblicazioni, il risultato delle ricerche, i brevetti. Si è discusso a lungo se inserire anche il giudizio degli studenti. Alla fine si è optato per il no. Troppo alto il timore che i professori più rigidi nei voti venissero bocciati da studenti svogliati. Nella decisione ha influito anche la polemica per una pagina Facebook del collettivo universitario Hobo con possibilità per gli studenti di segnalare quei docenti che, a loro giudizio, abusano del loro potere o tengono lezioni «inaccettabili». L'iniziativa ha attirato le attenzioni delle Procura, preoccupata che la pagina Facebook possa trasformarsi in una vera e propria lista di proscrizione. In ogni caso, almeno per ora, gli studenti rimarranno fuori dalla porta del mix di valutazioni previsto per il premio ai docenti. Si tratta davvero di una «rivoluzione» in grado di rimettere sul trampolino di lancio i nostri atenei, che organismi internazionali bacchettano per l'eccessivo decentramento e la mancanza di controlli sulla qualità? Dice il rettore, Ivano Dionigi: «Come rettore, ma, in primis, come professore, so che questa università pubblica, laica e aperta dà il meglio della formazione che può dare. Ma so anche, come cittadino, che questo Paese chiede molto in cambio». Quindi lo sforzo è elevare la qualità. (Fonte: U. Ponziano, ItaliaOggi 13-12-2014)

UNICH. PRIMA IN ITALIA CON TUTTI I PARAMETRI IN REGOLA PER OTTENERE LA MAGGIOR QUOTA DI FINANZIAMENTI STATALI CON IL SISTEMA DEI COSTI STANDARD
L’Università “D’Annunzio” di Chieti-Pescara è la prima in Italia ad avere tutti i parametri in regola per poter ottenere la maggior quota di finanziamenti statali con il nuovo sistema dei costi standard, che sta iniziando a rivoluzionare il modo in cui il governo centrale assegna i fondi agli atenei. È quanto risulta da una ricerca del quotidiano economico Il Sole 24 Ore, che cita una serie di parametri. Per quanto riguarda gli altri atenei abruzzesi, nella graduatoria del Sole non compare l’ateneo dell'Aquila, ancora alle prese con le conseguenze del terremoto del 6 aprile 2009, mentre l’università di Teramo viaggia a metà classifica, al 30° posto sulle 56 università italiane. Il primo parametro è quello del numero degli studenti fuori corso. Meno ce ne sono e più si ottengono premialità in termini di risorse statali. Alla “D’Annunzio” sono 19.388 gli studenti in corso. Altra citazione in positivo è il fatto che l’ateneo dannunziano abbia un campus che viene definito dal giornale addirittura come l’unico "vero" campus universitario. La scelta del campus, rivelatasi ora quanto mai azzeccata, è da addebitare alla precedente gestione universitaria affidata al rettore, Franco Cuccurullo, e al direttore generale, Marco Napoleone. Tra gli altri parametri per ottenere l’assenso ministeriale c’è anche quello del costo dei docenti ordinari, più è basso e meglio è. Anche in questo caso la “D’Annunzio” è messa bene, avendo un gran numero di docenti giovani, le cui buste paga sono certamente meno pesanti di quelle dei prof di lungo corso. Va ricordato, a questo riguardo, l’infornata dei 33 giovani ordinari assunti all’inizio del 2011 sempre da Cuccurullo e Napoleone, a discapito del personale tecnico-amministrativo costretto con le proprie sole forze a far fronte a un numero di studenti sempre crescente. Un’altra voce che incide è quella delle attività didattiche e dei servizi aggiuntivi, compreso quello dei tutor ed esperti linguistici. (Fonte: www.abruzzoweb.it 05-01-2015)

UNIPD E VIMM. UN ERC ADVANCED GRANT DA 2,5 MILIONI DI EURO AL PROGETTO DI RICERCA STEPS PER STUDIARE I MACROFAGI
Scoprire il collegamento tra obesità e malattie come il cancro e le patologie cardio-vascolari, per rendere un giorno possibili nuovi farmaci e cure personalizzate su misura per il paziente. È questo l’obiettivo principale del progetto di ricerca Steps, che proprio in questi giorni prende l’avvio presso il Venetian Institute of Molecular Medicine (VIMM) di Padova, centro noto a livello internazionale per i suoi studi in biomedicina. Un programma scientifico reso possibile dal conferimento ad Antonella Viola di un Erc Advanced Grant da 2,5 milioni di euro: un finanziamento speciale concesso dal Consiglio Europeo della Ricerca per progetti altamente innovativi, in grado di aprire nuove direzioni nei rispettivi campi di ricerca e in altri settori.
Nei prossimi cinque anni le ricerche dell’équipe padovana guidata dalla scienziata si concentreranno in particolare sui macrofagi, le cellule del nostro sangue che hanno il compito di inglobare, e quindi eliminare, gli elementi estranei che possono rappresentare una minaccia. “Si tratta di un ruolo fondamentale, rilevante in tantissime patologie” spiega Antonella Viola, che è anche docente presso l’università di Padova. “Se i macrofagi sono poco reattivi il rischio è di lasciare il nostro organismo indifeso; se viceversa hanno un comportamento troppo aggressivo finiscono per danneggiare le cellule del nostro corpo, provocando infiammazioni e malattie autoimmuni”. In particolare il gruppo di ricerca si occuperà del rapporto tra macrofagi, obesità e diverse patologie. Gli Erc Advanced Grant 2014, che hanno reso possibile il progetto Steps, vengono assegnati ogni anno a ricercatori considerati, al di là dei requisiti accademici, “leader eccezionali in termini di originalità e importanza dei loro contributi di ricerca”. Un riconoscimento importante per Antonella Viola, alle spalle un periodo al Basel Institute of Immunology e all’Istituto Clinico Humanitas di Milano, che però ha scelto di tornare a Padova, la città dove ha compiuto i suoi studi universitari. (Fonte: D. Mont D’Arpizio, IlBo 25-11-2014)

SCHEDA SUA-RD
Roars ha segnalato ai lettori la lettera inviata dal Collegio dei Direttori di Dipartimento della Sapienza al Rettore, a proposito della compilazione della scheda SUA-RD. La lettera conclude: “Il Collegio ritiene opportuno sottolineare che la prossima compilazione delle schede SUA-RD non può e non deve essere letta come un’implicita accettazione della metodologia di valutazione finora seguita dall’ANVUR, sulla quale ritiene necessario esprimere le più ampie riserve“. Segue il testo:

UNIPV. IL PRIMO CROWDFUNDING PER LA RICERCA UNIVERSITARIA
È nata universitiamo.eu, la prima piattaforma italiana di "crowdresearching" (crowdfunding per la ricerca) dove è possibile contribuire al progresso della ricerca scientifica in vari modi: con donazioni, suggerimenti, segnalazioni di progetti. È anche un'occasione per sostenere giovani ricercatori, ricerche in corso bloccate dalla mancanza di fondi, progetti di eccellenza che non decollano per la scarsità dei finanziamenti. L'idea è nata all'Università di Pavia, dove l'impegno di molti - dal rettore in poi - ha permesso di dotare l'Ateneo di uno strumento istituzionale dedicato al reperimento dei fondi per la ricerca. Si tratta del primo caso in Italia e di uno dei pochi al mondo che ha realizzato in concreto questa iniziativa. Il 28 novembre 2014 si è svolto il primo click day a sostegno di progetti di ricerca che riguardano le discipline più diverse. Grazie a Universitiamo chiunque può contribuire alla ricerca scientifica realizzata con l’Università di Pavia che si attesta così come il primo Ateneo italiano, e tra i primi al mondo, ad aprirsi al crowdfunding per sostenere la ricerca. Per creare il portale, Caffeina (prima startup incubata a Parma da Buongiorno), ha osservato i maggiori player per individuare, adattare e realizzare le best practice di settore agli obiettivi e alle particolarità del progetto. A pochi era venuto in mente di adottare lo schema campagna-raccolta-aggiornamento per una ricerca scientifica, che ora si chiama crowdresearching. Non si tratta quindi di startup né di campagne a sostegno di iniziative imprenditoriali, ma di un modello che potrebbe essere l’uovo di Colombo per la malandata ricerca universitaria. Sul portale Universitiamo.eu si trovano già alcuni progetti di ricerca finanziabili dalla collettività. Per ogni progetto una descrizione, un video, l'obiettivo di finanziamento e la scadenza. In tutto e per tutto come nei portali di crowdfuding, con la differenza che i progetti non sono imprenditoriali o sociali, ma vanno direttamente a ricercatori universitari. Per ora, solo quelli dell'ateneo di Pavia. (Fonti: I. Ceccarini, rivistauniversitas 01-12-2014; webnews.it 09-12-2014))


UE. ESTERO

EU. NUOVA INDAGINE SULL’E-LEARNING
È stata pubblicata la nuova indagine dell'European University Association (EUA) dal titolo E-learning in European Higher Education Institutions (Results of a mapping survey conducted in october-december 2013). Lo studio ha analizzato esperienze e aspettative nell'utilizzo dell'e-learning di un campione di 249 istituzioni di istruzione superiore europee. Diversi i temi esaminati: l'apprendimento blended e online nei vari formati, le strutture di supporto e i servizi, il coordinamento intra-istituzionale, la garanzia e il riconoscimento della qualità. Dai risultati è emerso che gran parte delle istituzioni offre corsi di apprendimento blended e online, rispettivamente il 91% e l'82%. Compaiono, con minor frequenza ma in aumento, altre forme quali la collaborazione inter-istituzionale e i corsi di laurea online. Quasi metà delle istituzioni ha dichiarato di aver già dato vita a una strategia istituzionale per l'e-learning, mentre un quarto si sta accingendo a farlo.
Un'ampia sezione è dedicata ai Massive Open Online Courses (MOOC) verso i quali è emerso un forte interesse degli atenei. Se alla fine del 2013 solo 31 delle istituzioni prese in esame (12% del campione) offriva o stava per lanciare i MOOC, vi era comunque l'intenzione di introdurli da parte delle università non ancora attivatesi. Il motivo principale è la visibilità internazionale, seguita dal reclutamento degli studenti, lo sviluppo di metodi d'insegnamento innovativi e la volontà di rendere l'apprendimento più flessibile. (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 04-12-2014)

UE. BILANCI DEDICATI ALL’ISTRUZIONE
Secondo il rapporto «National Sheets on Education Budgets in Europe 2014» - che ha preso in considerazione i 28 Paesi Ue più Norvegia, Islanda, Montenegro e Turchia - sei Paesi hanno aumentato meno dell'uno per cento il bilancio dedicato all'istruzione (dati aggiornati a giugno 2014): Italia (0,6), Belgio-Fiandre (0,92), Lussemburgo (0,08), Slovacchia (0,37), Spagna (0,08) e nella media del Regno Unito (0,1). Altri sette Paesi hanno addirittura tagliato questa voce del bilancio, ovvero Belgio-Vallonia (0.07), Repubblica Ceca (3,33), Irlanda (1,53), Austria (2,72), Croazia (1,95), Finlandia (2,39), Galles (1,88). In altri sei Paesi il bilancio è invece aumentato: Estonia (6,36), Lettonia (6,91), Nord Irlanda (5,16), Malta (5,41) e Turchia (7,05). Dunque l'Italia non taglia il bilancio all'istruzione ma è uno dei Paesi europei ad averlo aumentato meno nel corso del 2014. (Fonte: Avvenire 09-12-2014)

SCUOLA MEDIA E SCUOLA SUPERIORE IN EUROPA
L’Unesco individua sette livelli di istruzione, che vanno dallo zero (scuola per l’infanzia) al sesto (gli studi finalizzati a formare i ricercatori). Una revisione dei livelli Isced ha portato, nel 2011, a definire nove livelli complessivi, senza però mutare quelli che analizzeremo. Il livello che a noi interessa è il terzo (“upper secondary”), che identifica il ciclo preuniversitario o finalizzato a formare “competenze professionali rilevanti”. Vediamo anzitutto, a prescindere dalla durata del ciclo nei vari Paesi, a che età gli studenti europei lo terminano. Fatte anche qui le doverose eccezioni (alcuni ordinamenti sono molto complessi e ramificati), l’Unione si divide in due gruppi principali: da una parte l’ex Europa dell’Est, i Paesi nordici e l’Italia, in cui il ciclo si conclude a 19 anni; dall’altra gli stati dell’Europa occidentale, in cui il diploma si consegue a 18. La Germania è a metà strada (le scuole di questo livello terminano a 18 o 19 anni a seconda dell’indirizzo scelto).
È da notare che questo ciclo si intreccia con il termine dell’obbligo scolastico, che nella maggioranza dei Paesi europei è fissato a 16 anni: un’età che, a seconda dell’ordinamento nazionale considerato, può ricadere o nel terzo livello Isced, o (è la maggioranza dei casi) al confine tra secondo e terzo livello, o (molto più raramente) all’interno del secondo livello (sono i casi di alcuni Paesi dell’Est Europa in cui il secondo ciclo dura fino ai 17 anni).
Risulta quindi evidente come, rispetto al modello italiano, la maggioranza dei componenti dell’Unione opta per un secondo livello (“lower secondary”) che rispetto alle nostre scuole medie triennali è spostato in avanti, e si estende fino ai 15 o 16 anni contro i nostri 14; invece, ad essere abbreviato praticamente ovunque è, rispetto al nostro quinquennio superiore, il terzo livello (“upper secondary”), che dura in genere 3 o 4 anni, e si conclude a 18 o 19 anni a seconda dell’area europea analizzata (un’esigua minoranza di Stati prevede una durata biennale o di cinque anni come in Italia).
Se dunque tentiamo di riassumere un panorama molto variegato, e cerchiamo di trovare aspetti comuni, possiamo dire che una maggioranza di Paesi prevede una “scuola media” che si protrae fino ai 15/16 anni (momento che spesso coincide col termine della scuola dell’obbligo) cui segue un triennio o quadriennio di “scuola superiore” che si conclude, ovunque, a 18 o 19 anni di età. Come si vede, in Europa tra tante formule diverse c’è una costante: quasi ovunque, le scuole equivalenti ai nostri licei (o istituti superiori) non durano più di quattro anni. (Fonte: M. Periti, IlBo 13-05-2014)

GERMANIA. IL FINANZIAMENTO DELLE UNIVERSITÀ PUBBLICHE
Fino alla riforma del federalismo approvata nel 2006, in Germania, era in vigore una legge che fissava alcuni criteri comuni agli atenei tra cui il divieto di riscuotere tasse per i corsi universitari di primo livello. Nel 2002 sei Länder, capeggiati dall'Unione Cristiano-Democratica (CDU), fecero ricorso contro tale divieto perché, a loro dire, lo Stato centrale invadeva le loro competenze. Vi erano, inoltre, due grandi difficoltà: la copertura finanziaria, cui ancora provvedeva il governo centrale nonostante la gestione degli atenei fosse passata ai governi territoriali, e l'idea che l'abolizione delle tasse avrebbe nuociuto all'autonomia delle università. Nel 2005 la corte Costituzionale annullò il divieto. Sette Länder provarono a introdurre nuovamente le tasse ma la decisione fu così impopolare da indurli tutti a fare marcia indietro, compresi la Baviera e la Bassa Sassonia (che poi hanno eliminato il provvedimento negli ultimi due anni). La maggior parte, tuttavia, ha mantenuto le tasse per i corsi di secondo livello e per gli studenti fuori corso.
Con la riforma del federalismo l'amministrazione degli atenei è affidata oggi agli Stati federali, che hanno anche l'onere del finanziamento. A beneficiarne è stato lo stesso Governo, che con una parte della cifra risparmiata ha avviato un programma d'eccellenza destinato a premiare con ulteriori fondi gli atenei dalle performance migliori. I risultati sono presto detti: nell'ultimo ranking del Times Higher Education (THE), che identifica le 200 migliori università del mondo, figurano 12 atenei tedeschi. Ci sono stati, tuttavia, anche risvolti negativi: come ha spiegato la docente universitaria Barbara Kehm, la riforma ha pregiudicato soprattutto gli Stati più poveri della Germania orientale, che, nonostante l'eliminazione delle tasse, non sono in grado di competere. (Fonte: Aceprensa 01-12-2014)

FRANCIA. ANNULLATI I TAGLI DI 70 MLN ALLE UNIVERSITÀ
«Soulagement». C'est le mot qui revenait hier au sein du monde universitaire, après la révélation, par «Les Echos», du rétablissement du budget initial des universités. Celui-ci avait été amputé le mois dernier de 70 millions d'euros lors du vote du budget 2015 en première lecture. François Hollande va, selon nos informations, annoncer l'annulation de ce coup de rabot, ce soir à l'occasion d'un dîner à l'Elysée, auquel il a convié les présidents d'université. Le chef de l'Etat a tranché en faveur du ministère de l'Enseignement supérieur et de la Recherche, qui bataille depuis des semaines avec Bercy, qui devra trouver des économies ailleurs. Ce qui ne sera pas simple au vu des efforts déjà demandés aux autres ministères. C'est la deuxième fois en peu de temps que le chef de l'Etat monte au créneau pour défendre sa priorité à la jeunesse, dont il entend faire le symbole de son quinquennat. Le 30 octobre, après le cri d'alarme de la Conférence des présidents d'université (CPU) sur les coupes envisagées par Bercy (400 millions d'euros sur la subvention 2014) et le risque que les universités ne puissent pas payer tous les salaires de décembre, l'Elysée était intervenu. «Il avait fallu un mois au chef de l'Etat pour résoudre le problème, cela avait été long», témoigne une source officielle. Un deuxième coup de canif dans le budget des universités avait eu lieu mi-novembre. Sur proposition du gouvernement, les députés avaient voté des réductions de budget touchant tous les ministères (afin de compenser des dépenses supplémentaires et l'abandon de certaines économies). Celui de l'enseignement supérieur et de la recherche se trouvait amputé de 136 millions, dont 70 millions pour les universités. «Incompréhensible », avait réagi la CPU. Les syndicats et d'autres collectifs avaient alors décidé d'une mobilisation nationale le 11 décembre. 2015 sous le signe des économies malgré tout. Malgré le revirement de l'exécutif, le mouvement de protestation a tout de même eu lieu hier. Des milliers de personnes ont manifesté à Paris et dans plusieurs villes universitaires. Une image catastrophique pour un chef de l'Etat qui dit vouloir faire de la jeunesse une priorité et qui redoute par-dessus tout de voir les étudiants dans la rue. L'Unef, principal syndicat étudiant, s'est félicité de l'annulation des coupes. (Fonte: M.-C. Corbier, Les Echos 12-12-2014)

SPAGNA. I MEDICI VETERINARI SI RIBELLANO CONTRO L’APERTURA DI ALTRE CINQUE FACOLTÀ
El préximo miércoles, a medio-dia, veterinarios de toda Espana se concentrarân contra la apertura de cinco nuevos facultades. Protestan porque las 12 ya existentes hacen de Espana el pais europeo con mâs oferta de esa carrera, junto con Italia, y por-que cada ano hay unos 1.200 graduados de los que la mitad, unos 600, no tienen hueco en el mer-cado laboral. Son los câlculos de la Conferencia de Decanos de Veterinaria de Espana, que temer que la proliferación de nuevos centros sature el mercado y au-mente la precariedad. Su queja evidencia un recurrente debate en el panorama universitario: ningun organismo controla la oferta global de titulos.
La previsión es abrir tres facultades publicas en Lleida, Valencia y Victoria y dos campus privados en Alicante y Madrid a lo largo de los dos próximos cursos. Las comunidades autonomas de Madrid y Valencia - los Gobiernos regionales son los que dan el visto bueno -, no tienen constancia de la apertura de los dos privados. Pero los Colegios de Veterinaria si, porque aseguran que estân llamando a sus profesores para hacerles ofertas laborales. Calculan que elio supondrâ unos 350 nuevos alumnos por ano, algo que supondria una situ acién "afin mâs insostenible". "Veterinaria ha pasado de ser una profesión queos a una en la que aumentan las situaciones de subempleo y trabajos muy precarios", explica Antonio Rouco Yâriez, presidente de la conferencia y decano de la facultad de Murcia. Los veterinarios estân regulados por una directiva europea e incluidos en una asociacién - European Association of Establishments for Veterinary Education (EAEVE) - que acredita y homologa los centros. Estos organismos considerar suficiente una facultad por cada siete-diez millones de habitantes. Espana tiene ya el doble, frente a las cuatro de Francia, cinco de Alemania o seis de Portugal. Solo Italia estâ por delante, con 13 centros. (Fonte: P. Âlvarez, El Pais 11-12-2014)

UK. LE UNIVERSITÀ DI LONDRA SUPERANO PER QUALITÀ DELLA RICERCA OXFORD E CAMBRIDGE
Le università di Londra sono le nuove regine in Gran Bretagna stando ai più recenti dati sulle capacità delle istituzioni accademiche in termini di ricerca. La London School of Economics è l’ateneo con la più alta percentuale di ricerche d’importanza mondiale sul totale dei lavori svolti dal suo personale e, per la prima volta in assoluto, anche lo University College of London sta davanti a Cambridge per qualità degli studi portati avanti dai suoi ricercatori.
Tutto merito di quello che potremmo definire “effetto Londra”. La capitale britannica, infatti, ha un enorme capacità di attirare i migliori cervelli grazie alla sua dimensione globale e alla presenza di un tessuto economico ricchissimo e dinamico. Nella famosa City di Londra, infatti, hanno sede moltissime società di caratura mondiale, una delle Borse più importanti del mondo e alcune delle principali – e più antiche – compagnie assicurative. Non sorprende, dunque, che qui confluiscano soprattutto quei ricercatori che si dedicano alle scienze economiche. Ecco così in parte spiegato il primato di un ateneo interamente dedicato ad esse. A favore delle università di Londra gioca anche un circolo virtuoso: mentre la reputazione degli atenei cresce, aumenta il numero di studenti brillanti provenienti da tutto il mondo che vi si iscrivono, questo porta un ulteriore incremento del prestigio internazionale e maggiori risorse nelle casse delle università, che possono essere investite in ricerca di qualità. Un meccanismo dal quale l’Italia avrebbe di certo da imparare.
Questi dati segnano l’inizio del declino di Cambridge e Oxford? Per il momento, i due atenei più prestigiosi d’Inghilterra occupano ancora posizioni di tutto rispetto nelle classifiche internazionali e di certo non si rassegneranno a stare a guardare. (Fonte: universita.it 20-12-2014)

AUSTRALIA. UNA RIFORMA CONTROVERSA DEL FINANZIAMENTO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Il governo australiano ha tentato di varare una riforma del finanziamento del sistema universitario nella direzione già adottata nel Regno Unito: una riduzione del finanziamento statale accompagnata da un innalzamento del tetto alle tasse universitarie che scarica i costi sugli studenti, per i quali sarebbe previsto un piano di prestiti. Recentemente, la UK Higher Education Commission si è dichiarata preoccupata per l’impatto sul debito pubblico, dato che si prevede che tre studenti su quattro non saranno in grado di rimborsare il debito. Con queste premesse non c’è da stupirsi che in Australia la proposta abbia suscitato un acceso dibattito. La maggior parte dei Vice-Chancellor (i rettori)  sono favorevoli, in quanto vedono nella proposta un mezzo per accrescere il  finanziamento degli atenei. In controtendenza si è pronunciato Stephen Parker, Vice-Chancellor dell’Università di Canberra. Nel frattempo, seppur con uno scarto ridotto (33 contro 31 voti), la proposta del governo è stata respinta dal Senato australiano, ma il ministro Christopher Pyne ha dichiarato che verrà riproposta in forma emendata nel 2015. (Fonte: Redazione Roars 05-01-2015)

INDIA. UN ESAME OBBLIGATORIO IN STUDI AMBIENTALI
A partire da questo anno accademico 2014-2015 tutti gli iscritti al primo anno presso l’università di Delhi saranno obbligati a sostenere almeno un esame in Studi ambientali, indipendentemente dal corso di laurea frequentato, che sia esso Storia o Scienze informatiche. “La speranza è che i nostri giovani portino nelle proprie case il messaggio che, qualsiasi vocazione si persegua nella vita, la tutela dell’ambiente e l’uso giudizioso delle risorse naturali sono nell’interesse di tutta l’umanità”, dice Raj Pandit, professore presso il dipartimento di Studi ambientali dell’ateneo.
La gestazione di questa iniziativa è stata lunga e tortuosa, in parte per via del fatto che si tratta di un piano molto ambizioso in un paese che, secondo alcune stime, conta circa 20 milioni di studenti universitari, in parte perché in India la burocrazia non è famosa per l’efficienza e la rapidità di esecuzione dei provvedimenti. A mettere in moto tutto è stata, ormai venti anni fa, la Corte suprema, una cui sentenza impose allora l’istituzione di un corso obbligatorio sull’ambiente per tutti gli universitari indiani. “La Corte mirava così a creare consapevolezza sulla questione e a garantire che l’attenzione verso i temi ambientali fosse incorporata in tutte le attività umane e nelle nostre vite quotidiane”, spiega Pandit. (Fonte: IlBo 13-11-2014)

USA. IL PIANO “PAY AS YOU EARN” PER AIUTARE GLI STUDENTI INDEBITATI CON IL GOVERNO
L’aumento del debito studentesco avvenuto negli ultimi anni, sommato alla rigidità del sistema, fanno sì che oggi 7 milioni di americani siano inadempienti su pagamenti per circa 100 miliardi di dollari (dati del Consumer Financial Protection Bureau – CFPB). Questo fenomeno, inoltre, causa distorsioni sul mercato del lavoro anche per quanto riguarda chi è in pari con i pagamenti. La necessità dei laureati più indebitati di guadagnare salari sufficientemente alti per saldare i propri conti, li spinge automaticamente verso le professioni più remunerative, privando quindi altre occupazioni, di maggior impatto sociale ma con stipendi inferiori, dei migliori talenti. Tra chi completa il lungo percorso di studi in medicina (con un debito medio di 170.000 dollari), la tentazione di specializzarsi negli ambiti meglio pagati, come ad esempio la chirurgia ortopedica, la cardiologia e la gastroenterologia, piuttosto che finire a fare il medico di base, di cui gli Stati Uniti in realtà avrebbero molto più bisogno, è molto forte. Lo stesso vale per i neo-avvocati, che spesso seguono un percorso quasi obbligato verso i grandi studi che rappresentano i finanzieri di Wall Street e le multinazionali perché non possono permettersi di lavorare nel settore pubblico o non-profit.
L’Amministrazione Obama si è mostrata molto attenta al problema e, negli ultimi anni, ha attuato una serie di misure volte a mitigarne gli aspetti più estremi. Il piano “Pay As You Earn”, ad esempio, fu lanciato nel pieno della crisi nel 2010, per aiutare gli studenti che si erano indebitati con il governo tra il 2007 e il 2011. PAYE, come è conosciuta l’iniziativa, prevede che tali prestiti (ma ovviamente non quelli ottenuti privatamente) siano ripagati dopo la laurea con rate mensili che non superino il 10% dello stipendio. (Fonte: V. Pasquali, IlBo 12-11-2014)

USA. CONFINI TRA STAGE E BORSA DI STUDIO
Borsa di studio o stage? Sembrano queste le principali vie di accesso al mercato del lavoro per chi è appena uscito dall'università, anche negli Stati Uniti. Ma le due parole sono spesso la stessa cosa. Ne parla il New York Times, che si concentra sul settore dei media dove talvolta la cosiddetta "fellowship" non è altro che la vecchia "internship". Se, infatti, i borsisti della Harvard University, giornalisti con almeno cinque anni di esperienza che frequentano le lezioni per due semestri, sono pagati 65.000 dollari, nelle maggiori testate online americane invece una fellowship è pagata in media 12 dollari l'ora. E' la sproporzione di trattamento economico dunque a far sì che spesso i due profili, quello di borsista e di stagista, vengano confusi. Ad aumentare la confusione c'è il fatto che ogni redazione segue una propria politica di assunzioni. Ben Smith, direttore del sito di notizie e intrattenimento online BuzzFeed, ha affermato che nella loro redazione stagisti e borsisti, pur essendo pagati allo stesso modo (12 dollari all'ora), seguono percorsi diversi con quello dei borsisti più 'strutturato'. Dall'altro lato Ryan Grim, capo Ddesk dell'Huffington Post, afferma che, proprio a causa della confusione sorta in questi anni attorno alla natura degli stage - “un termine ambiguo che può comportare mansioni come portare il caffè o da vero giornalista” - la redazione ha scelto di offrire solo borse di studio: “Ciò segnala che la posizione è seria e comporta l'assunzione di responsabilità. E spero che in futuro le altre redazioni non inizino ad abusare anche del termine usato per offrire borse di studio”. “I confini tra stage e borsa di studio sono molto fumosi”, afferma Arielle Dreher, studentessa alla scuola di specializzazione in giornalismo della Columbia University, che racconta di aver preso in considerazione un’offerta da borsista all'"Outside Magazine". La posizione, pagata, richiedeva al candidato di svolgere attività di fact-checking, ricerca e scrittura di articoli, proprio come quelle richieste ad uno stagista. (Fonte: C. Barbi, america24.com 24-11-2014)


LIBRI. DOSSIER

UNA POLITICA DEI BENI CULTURALI
Autore: Andrea Emiliani. Bononia University Press 2014.
È utile rileggere ‘Una politica dei beni culturali’ di Andrea Emiliani, ripubblicato oggi a distanza di quaranta anni dalla prima edizione Einaudi, per misurare la distanza che corre tra i due momenti storici. Quando Emiliani scrive il libro, nel 1974, le attese per la riorganizzazione dello Stato italiano in senso regionalistico sono all’apice. Si immagina, e Emiliani immagina, che la conoscenza “capillare” del patrimonio diffuso possa orientare le scelte della classe dirigente e che la storia dell’arte, intesa come storia sociale e antropologia culturale, possa condurre al rispetto delle diverse vocazioni territoriali. È un progetto non semplicemente antiquario, al contrario, riflette posizioni e attitudini maturate a contatto con l’arte e la critica d’arte contemporanee. Una politica dei beni culturali si apre con il riconoscimento del debito di gratitudine di Emiliani per Giorgio Morandi e Francesco Arcangeli, l’uno e l’altro aperti alla migliore cultura internazionale, ma profondamente legati alla “provincia” emiliana. (Dalla presentazione di M. Dantini, Roars 14-12-2014)

LA RICERCA E IL BELPAESE – LA STORIA DEL CNR RACCONTATA DA UN PROTAGONISTA
Autore: Lucio Bianco (conversazione con Pietro Greco). Ed. Donzelli, Roma 2014, pp. XXVI-150. 
Chi meglio di Lucio Bianco poteva raccontare la storia del Cnr e dei suoi primi 90 anni di attività?  Bianco ha rivestito «tutti i ruoli che in esso era possibile rivestire: borsista, ricercatore, membro dei comitati di consulenza, direttore di Istituto, direttore di progetto finalizzato, presidente», proprio a sottolineare la «capacità del Cnr di valorizzare al massimo livello le competenze che ha contribuito a formare». Come afferma Raffaella Simili nella Prefazione, «questo libro si legge tutto di un fiato. Non solo perché offre un intrigante scenario della vita recente del principale ente di ricerca italiano, ma anche perché fornisce spunti e interrogativi inquietanti nell’analizzare la politica della scienza nel nostro paese», politica della ricerca in Italia che deve essere ripensata, rilanciata e sottolineata, in altre parole “rifondata”, come condizione forse non sufficiente ma certo necessaria per portare l’Italia fuori dal declino degli ultimi 20-30 anni. In forma di vivace intervista-conversazione tra Pietro Greco – giornalista e scrittore, per quasi trent’anni editorialista scientifico del quotidiano “L’Unità” – e Lucio Bianco, il volume scorre con intensità e leggerezza, raccontando la storia del Cnr con mille episodi, retroscena, senza mai cadere nel gossip o nella polemica ideologica, ma rimanendo sempre su un alto livello e cercando sempre di mettere al primo posto il «superiore interesse della scienza» del nostro Paese. Il Cnr, con i suoi ottomila dipendenti e la sua gamma di attività che copre l’intero scibile umano, è il massimo ente scientifico del nostro paese. Fondato da Vito Volterra nel 1923, ha superato i 90 anni e naviga verso il secolo di vita», scrive Pietro Greco nell’Introduzione. «Non sono traguardi qualsiasi. Sono piuttosto un’occasione, che non va sprecata, per ripensare, rilanciare e magari rifondare la politica di ricerca del nostro Paese sulla base delle due grandi indicazioni che un secolo fa mossero il genio di Volterra prima a pensare e poi a creare il Cnr: da un lato progettare l’unico sviluppo possibile per il nostro Paese, quello basato sulla conoscenza; dall’altro fondare questo modello di sviluppo su una struttura di ricerca pubblica dotata di massa critica e di caratteri di internazionalità, interdisciplinarità e gelosa autonomia». (Fonte: L. Capelletti, rivistauniversitas dicembre 2014)

THE EUROPEAN RECOGNITION MANUAL FOR HIGHER EDUCATION INSTITUTIONS
Editore: Nuffic, 2014, pp. 147.
Il riconoscimento dei titoli accademici conseguiti all’estero ha un’importanza strategica nell’ambito della politica educativa: un interesse condiviso non solo dall’Unione Europea ma anche dal Consiglio d’Europa e dall’Unesco, che ha allo studio un progetto di fattibilità per riunire in un unico testo le sue quattro Convenzioni regionali sul riconoscimento, attualmente operanti.
Premesso che non esiste il principio di equipollenza, il presente Manuale – realizzato dal Nuffic con il supporto della Commissione Europea, dell’European University Association (EUA), della Conferenza dei Rettori tedeschi (HRK), delle Tuning Educational Structures e dell’Unione Europea degli Studenti (ESU) – è un compendio di buone pratiche e di concreti suggerimenti utili per gli operatori delle istituzioni universitarie europee, che vengono accompagnati nell’attuazione di procedure complesse rispettando gli obblighi. Il volume prende in considerazione il solo riconoscimento accademico dei titoli, escluso quello per finalità professionali. E’ suddiviso in sette parti, che considerano prioritariamente l’approfondimento dell’ambito legale. Ritenuta superata la metodologia, adottata tra il 1950 e la metà degli anni Settanta, che faceva prevalere il concetto dell’equivalenza o della “nostrificazione” ovvero dell’omologazione nella valutazione dei singoli corsi e dei programmi di studio paragonabili, è stato adottato il cosiddetto principio dell’acceptance, che privilegia il superamento delle diversità dei sistemi educativi, considerate un arricchimento e non un ostacolo al riconoscimento stesso e conseguentemente alla mobilità. Sono analiticamente e cronologicamente presi in considerazione i cinque aspetti del processo di riconoscimento: l’accreditamento, la durata dei periodi di studio da valutare (generalmente indicata in anni accademici ovvero in crediti formativi ECTS), la valutazione della qualità dell’istituzione estera che ha rilasciato il titolo, i contenuti del programma di studio, l’entità degli apprendimenti pregressi. Si può leggere on line qui http://eurorecognition.eu/Manual/EAR%20HEI.pdf. (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas dicembre 2014)

CASO, PROBABILITÀ E COMPLESSITÀ
Autore: Angelo Vulpiani. Edizioni Ediesse, 2014.

Per capire come le scoperte della ricerca fondamentale si trasformano in applicazioni di utilità per la collettività, bisogna studiare la storia della scienza; per capire come si formano le idee nuove bisogna comprendere che il motore della ricerca sono le motivazioni dei ricercatori, le loro passioni e le loro curiosità. Lo spiega brillantemente, e in maniera accessibile a tutti, il fisico Angelo Vulpiani nel suo “Caso, probabilità e complessità”, un libro dedicato alla nascita della moderna scienza della complessità, che si occupa di descrivere l’emergenza di comportamenti collettivi in sistemi composti di un gran numero di elementi. Tutto il racconto del libro ruota intorno all’introduzione del concetto di probabilità nelle scienze naturali e sociali: la storia di queste idee prende le mosse dalla metà del XIX secolo e, arrivando ai giorni nostri, aiuta a comprendere, tra le altre cose, in maniera chiara ed efficace il nesso tra ricerca fondamentale e le sue applicazioni. “Non c’è ricerca applicata, ci sono solo applicazioni della ricerca fondamentale”: questa famosa massima di Louis Pasteur, fondatore della moderna microbiologia, andrebbe scolpita all’ingresso del MIUR e non solo. (Fonte: Dalla presentazione di F. Sylos Labini 06-01-2015)