venerdì 4 marzo 2016

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N. 2 23-02-2016



IN EVIDENZA

ALL’ORIGINE DELLA “RIVOLTA” DEI PROFESSORI. NE PARLA RAFFAELE SIMONE*
La storia comincia nel 2010, quando Tremonti, coll’intento di scaricare la crisi finanziaria dello Stato sui dipendenti pubblici, inventa un decreto che decurta del 10 per cento circa sia le pensioni superiori a 1.400 euro sia gli stipendi dei funzionari di un certo livello. Il decreto è stato rinnovato di anno in anno. Ma come al solito c'è qualcuno più uguale degli altri. I magistrati (temutissima casta) e i militari, con opportune azioni di lobbying, hanno recuperato i loro stipendi per intero, senza dover neanche troppo lottare. I pensionati si sono fatti dar ragione l'anno scorso dalla Corte Costituzionale, anche se il maltolto sta tornando nelle loro tasche solo a gocce.
Rimangono solo, sfortunatissimi, i professori universitari, che da sei anni subiscono la mortificante decurtazione, a cui si aggiunge anche la perdita dell'anzianità corrispondente. Come mai solo loro? Nella sfera politica - si sa - esiste una certa ostilità verso gli universitari, che s'insinua perfino in quei professori che diventano ministri o simili: una volta arrivati al cadreghino, godono a dar bacchettate alla categoria da cui provengono. Inoltre, sebbene la corporazione universitaria sia a ridosso del potere hard, non ha certo la stessa capacità di pressione di cui godono i magistrati. Ebbene, a questa situazione l'università si ribella boicottando in massa i moduli Vqr. Gli aderenti sono più o meno il 30 per cento del totale. La manovra ha stimolato l'intelligenza collettiva: alcuni hanno organizzato monumentali raccolte di firme, c'è chi non ha chiesto l'Orcid (una sorta di codice fiscale del singolo ricercatore) inceppando vari meccanismi, chi ha cancellato i pdf dei propri lavori per renderli introvabili a ispezioni esterne, chi ha caricato pdf sbagliati, e chi, con un sussulto dadaista, ha selezionato non i migliori ma i peggiori dei propri prodotti. La rivolta può avere risultati importanti: le università che non presentano i dati Vqr possono essere penalizzate nella distribuzione dei fondi, con un effetto a cascata su dipartimenti, laboratori e così via. Mentre i rettori sono furiosi, la ministra soavemente tace (pur essendo professore anche lei). Nel frattempo, per bocca di una dei suoi componenti, l'Anvur comunica: il boicottaggio non servirà a nulla perché punta a un "obiettivo sghembo" (sic! Ma perché recuperare il maltolto sarebbe sghembo?) e, se gli autori proprio non vogliono collaborare, le pubblicazioni da sottoporre a vaglio saranno scelte "dalle strutture". C'è dell'incredibile, ma così vanno le cose in Italia. (Fonte: R. Simone, FQ 04-02-16).

TEST D’INGRESSO A MEDICINA SOLO ALLA FINE DEL PRIMO ANNO? MA IN FRANCIA QUESTO SISTEMA NON HA AVUTO BUON ESITO (INSUCCESSI DEL 78% NEL PASSAGGIO AL SECONDO ANNO)
I parlamentari del M5S in commissione Cultura di Camera e Senato chiedono di rivedere e rimodulare il sistema di accesso ai corsi di Medicina. La loro proposta di legge depositata alla Camera prevede quanto segue: “Con la Pdl a prima firma Francesco D’Uva, infatti, proponiamo di introdurre il test d’ingresso, ma solo alla fine del primo anno accademico, la designazione dei posti in base al fabbisogno nazionale e di predisporre un numero di borse per le scuole di specializzazione di area sanitaria pari al numero di laureati in medicina nello stesso anno. Un modello questo che, oltre evitare la stagione dei ricorsi, rende il sistema dei corsi più equilibrato e bilanciato tra domanda e offerta”. (Fonte: http://catania.liveuniversity.it  06-02-16).
La proposta del M5S, come a suo tempo la proposta analoga ventilata dal ministro Giannini, non tiene conto del fatto rilevante che in Francia, dove è in vigore il sistema che si vorrebbe proporre ora anche in Italia, si sono levate autorevoli voci contrarie e si cerca di rimediare con alternative a un metodo di selezione che vede al primo anno di corso comune a Medicina e alle professioni sanitarie (Paces) una percentuale di insuccessi del 78% nel passaggio al secondo anno fra tutti gli studenti ammessi indiscriminatamente al primo. (PSM)

FINANZIAMENTO DI 2 MILIARDI FINO AL 2017 PER RILANCIARE IL SETTORE RICERCA ANNUNCIATO DAL MINISTRO GIANNINI
Mentre si evoca lo spettro della desertificazione culturale, scientifica e tecnologica del nostro Paese, ai ricercatori riuniti del Gruppo 2003 è arrivato il messaggio del ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, che in una lettera aperta ha assicurato che «è imminente la delega al Governo per riformare il settore della ricerca scientifica». «La delega al Governo, e in particolare al mio ministero - ha fatto sapere Giannini - per incidere profondamente su struttura e regole del sistema della ricerca, è una tappa imminente e decisiva nel percorso di semplificazione e valorizzazione del settore». Il ministro ha annunciato inoltre il finanziamento di 2 miliardi fino al 2017 per rilanciare il settore nel Paese. «L’approvazione del Programma Nazionale della Ricerca segnerà una prima inversione di tendenza stanziando nei prossimi anni, fino al 2017, due miliardi di euro nei principali pilastri dell’internazionalizzazione, capitale umano, infrastrutture per la ricerca, Mezzogiorno, partnership pubblico privato», ha fatto sapere il ministro nella lettera. «Insieme a questo - ha proseguito - abbiamo una straordinaria opportunità di accelerazione degli investimenti con il “piano Juncker” che finanzierà progetti dedicati a infrastrutture anche immateriali con il coinvolgimento di attori privati». (Fonte: A. De Gregorio, http://www.corriere.it/scuola/universita 10-02-16)

DECRETO MILLEPROROGHE. I COMMI CHE RIGUARDANO L’UNIVERSITÀ
Riassunti e commentati come segue da Roars i commi 10-sexies, 10-septies e 10-octies dell’art. 1 del decreto milleproroghe [Decreto Legge 30 dicembre 2015, n. 210. Proroga di termini previsti da disposizioni legislative. (15G00225) (GU Serie Generale n.302 del 30-12-2015)]:
   - Il termine per l’emanazione dei decreti che regoleranno la nuova ASN è spostato al 31.12.2016. Si ricordi che la terza tornata di abilitazioni si sarebbe dovuta indire entro la fine del mese di febbraio del 2015.
   - I contratti di ricercatore a tempo determinato di tipo B sottoscritti da soggetti che non hanno sostenuto le scorse tornate abilitative e che scadono prima della fine del 2016 sono prorogabili fino alla fine dell’anno. Secondo P. Rossi (Roars 17-02-16) l’interpretazione di questo comma non è univoca ma potrebbe significare che i contratti si possono rinnovare soltanto fino al 31 dicembre, ma trattandosi di rinnovo varranno per altri tre anni. Poi si domanda: che senso ha una proroga che scade insieme con il termine per l’emanazione di decreti che sono solo il punto di partenza, non certo di arrivo, per il nuovo meccanismo abilitativo?
   - Gli assegni post-legge 240/2010 sono equiparati a quelli ante legge 240/2010 al fine del conseguimento di posizioni di ricercatore a tempo determinato di tipo B. Questo comma 10-octies si accorge giustamente dell’insostenibilità accademica e politica dell’esclusione dei “nuovi” assegnisti di ricerca dai concorsi a posti di ricercatore di tipo b), ai quali sono invece ammessi i “vecchi” assegnisti.
    Inoltre, l’art. 1 comma 4 bis sposta al 30 aprile 2016 il termine per l’emanazione del DPCM relativo alla programmazione del reclutamento universitario per il triennio 2016-2018.
(Fonte: Roars 17-02-16)

RECLUTAMENTO STRAORDINARIO DI RICERCATORI RTD-B
Decreto ministeriale 18 febbraio 2016 n. 78 (e relativa tabella di assegnazione delle risorse). “Piano straordinario” di reclutamento di Ricercatori RTD-B si legge qui http://tinyurl.com/hwoqjfg .
Gli 861 posti da ricercatore (RTD-b) sono così assegnati: 132 suddivisi fra le 66 università statali per un totale di 2 ciascuna, gli altri 729 sulla base della qualità della ricerca e della qualità delle politiche di reclutamento degli atenei come risultanti dalla VQR. Criteri che hanno favorito Bologna (prima con 50 posti) seguita da Sapienza (47), Padova (39), Milano (34) e Napoli Federico II con 32 posti.

RECLUTAMENTO STRAORDINARIO DI PROFESSORI ORDINARI
Il MIUR, oltre al DM sui nuovi posti per ricercatori, ha dato il via libera al decreto di riparto dei 6 milioni che la Legge di Stabilità stanzia, per il 2016, per il reclutamento straordinario di professori ordinari. Almeno il 20% delle risorse è vincolato alla chiamata di professori che non appartengano all’organico dell’Università che assume. (Fonte: http://www.dire.it ; http://www.corriereuniv.it  19-02-16)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

PER L’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SEMPLICE MAGGIORANZA
Consiglio di Stato, Sez. VI – sentenza 5 febbraio 2016: Per l’abilitazione nazionale alle funzioni di professore universitario è sufficiente la maggioranza dei voti dei commissari; si ritiene illegittima la norma regolamentare che, per l’abilitazione stessa, prevedeva un quorum minimo dei quattro quinti dei componenti. Nel frattempo, nuove notizie di stampa riferiscono che la controversia sul punto delle maggioranze ha avuto la conseguenza di mettere in stallo la bozza di nuovo regolamento ASN, tanto che si prevede che non vi saranno ulteriori novità fino all’estate se non oltre. La sentenza del CdS fa giurisprudenza ed abroga il regolamento ASN nella parte concernente la maggioranza di 4/5. Perciò già da venerdì 5 febbraio la maggioranza è semplice (3 su 5) per la vecchia procedura ASN: sulla cosa non può esserci più alcun dubbio. Come sul fatto che così dovrà essere (pena illegittimità) in un qualunque nuovo regolamento ASN 2.0.
Il Consiglio di Stato di venerdì ha dunque respinto il ricorso MIUR ed ha quindi confermato la correttezza dell’impostazione del TAR. Ma si pone pertanto ad oggi un enorme problema di disparità di trattamento nei confronti di tutti i candidati che hanno riportato 3 giudizi su 5 sui quali né il TAR né il Consiglio di Stato hanno potuto esprimersi correttamente assegnando l’abilitazione (ai sensi dell’unica possibile legittima maggioranza deliberante: 3 commissari su 5). Sarebbe pertanto necessario che il MIUR intervenga in autotutela applicando erga omnes il nuovo legittimo regolamento ASN. Infatti, il D.G. Livon annuncia in una lettera un intervento in autotutela del MIUR a seguito della sentenza del Consiglio di Stato di cui sopra. L’intervento in autotutela, benché basato sul riconoscimento di un provvedimento avente efficacia erga omnes, si applica però esclusivamente alle procedure in corso oppure a quei candidati che abbiano tempestivamente opposto ricorso. Il che fa supporre che la controversia giudiziaria sul punto sia destinata a continuare. (Fonte: civil, Roars 07-02-16; Redazione Roars 17-02-16)

NUOVE ABILITAZIONI SCIENTIFICHE NAZIONALI. SLITTANO AVANTI DI MESI
Le nuove abilitazioni scientifiche nazionali sono attese da quasi 40 mila tra professori e ricercatori. Ciò nonostante, le recenti pronunce giurisdizionali in merito alla maggioranza richiesta alle commissioni per abilitare i candidati - quattro quinti, secondo il DPR 122/2011, mentre la legge n. 240/2010 non prevede alcuna maggioranza qualificata, per cui dovrebbe ritenersi sufficiente quella assoluta dei componenti – rischiano concretamente di far slittare di mesi tutta la procedura. Infatti, sia nel caso in cui il Miur si decidesse – ma a quanto pare non sembra intenzionato – a modificare il predetto DPR 122, sia qualora attendesse la decisione finale del Consiglio di Stato, che esaminerà nel merito il 12 maggio prossimo il ricorso proposto dallo stesso Miur, slitterebbe tutto a dopo l’estate, anche perché vi sono ulteriori adempimenti in itinere. Dallo stesso Consiglio di Stato, infatti, si attende il parere sul decreto ministeriale contenente criteri e parametri per la valutazione dei candidati. Scrive Roars: che la VQR verrà prorogata al 14 marzo è un segreto di Pulcinella, che circola in tutti gli ambienti romani. D’altronde, non più tardi di giovedì scorso era stato Gaetano Manfredi, il presidente della CRUI, a ribadire che la proroga doveva per forza esserci dato che «non ci sono i tempi tecnici per chiudere il 28 febbraio», ribaltando su ANVUR la responsabilità dei ritardi: «Se si va a leggere il bando, rispetto a quello che era scritto nelle norme, le scadenze non sono state assolutamente  rispettate. Gli strumenti tecnici che sono stati messi a disposizione, hanno presentato tante falle – presentano ancora tante falle – quindi da questo punto di vista, ritengo che la proroga sia necessaria se vogliamo completare questo processo in una maniera serena». Ma, insieme alla data, circola anche la voce che la proroga sarà annunciata solo nell’imminenza dalla chiusura. Un espediente per mettere sotto pressione i renitenti alla VQR, senza curarsi del sovraccarico di lavoro per il personale tecnico-amministrativo (Fonte: Redazione Il Foglietto 28-01-16; Roars 18-02-16)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

UNIBOCCONI. AL NONO POSTO IN EUROPA CON IL SUO MBA
Nel ranking del Financial Times delle migliori business school europee, l'Università Bocconi apre positivamente anche il 2016 con il suo Mba (Master in business administration) che sale di una posizione nella classifica dei migliori programmi full-time pubblicata oggi dal quotidiano britannico. La Sda Bocconi, unica italiana presente nella classifica dei 100 programmi top, si colloca così al venticinquesimo posto al mondo e al nono in Europa. Ai primi posti, dopo la francese Insead, (Institut européen d'administration des affaires), ci sono Harvard e la London Business School, seguite, senza sorprese dalle altre prestigiose università americane. (Fonte: corriere.it/economia/finanza 25-01-16)


DOCENTI

IL MANCATO RICONOSCIMENTO GIURIDICO AI DOCENTI UNIVERSITARI DEL QUINQUENNIO 2011-2015 PUÒ COSTARE A CIASCUNO ANCHE PIÙ DI 90.000 €
Quanto costa individualmente ai docenti il mancato riconoscimento giuridico del quinquennio 2011-2015, una delle ragioni della protesta #stopVQR?: anche più di 90.000 €. Una cifra cui vanno aggiunte le somme non percepite, che variano da €18.500 a € 54.000 a seconda dei ruoli e dell’anzianità. Non fa meraviglia che, nonostante la campagna di disinformazione sull’entità della partecipazione alla protesta, l’efficacia della stessa sia stata tale da costringere la CRUI a richiedere un’ulteriore proroga di due mesi – al 30 aprile. Considerare la spesa – complessiva e non solo quella retributiva – per l’università una voce improduttiva, come testimonia il progressivo definanziamento del sistema università-ricerca italiano, è la manifestazione palese della bassa considerazione del fondamentale ed insostituibile ruolo dell’istituzione universitaria statale.
Si veda anche Calcolo dei danni economici per Docenti e Ricercatori derivanti dal mancato riconoscimento degli effetti giuridici del periodo 2010-2015.  (Fonte: Redazione Roars 10-02-16). E una dichiarazione (03-02-16) del presidente del CUN Andrea Lenzi:La perdita netta e non recuperabile di cinque anni di carriera, prevista dall’attuale normativa, significa, soprattutto per i più giovani, certezza di non poter raggiungere nell’intero corso della loro vita professionale, anche in presenza di costanti valutazioni positive, livelli retributivi adeguati al proprio status e alle proprie legittime aspettative iniziali. Ciò si rifletterà pesantemente anche sul trattamento pensionistico che nel sistema contributivo, al quale ormai afferisce la maggior parte dei docenti, sarà di entità significativamente contenuta, rispetto ai già relativamente bassi livelli salariali che saranno da ultimo raggiunti”.

L’ADEGUAMENTO DEGLI STIPENDI DEI DOCENTI E RICERCATORI UNIVERSITARI
L’adeguamento degli stipendi dei docenti e ricercatori universitari è previsto dall’art. 24 comma 1 della legge 448/1998 sulla base degli incrementi medi nell’anno precedente delle retribuzioni dei dipendenti pubblici contrattualizzati come confermato anche dall’art. 5 comma 1 del DPR 232/2011 che regola il passaggio al nuovo regime della legge 240/2010 (Gelmini). Viene calcolato dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) e determinato annualmente (entro il 30 aprile) con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), con decorrenza dal 1 gennaio dell’anno in questione (e conseguente corresponsione dei mesi arretrati rispetto alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM). Si riportano di seguito i decreti e relativo adeguamento percentuale degli anni precedenti (ricordando che nel quinquennio 2011-2015 tale adeguamento è stato bloccato per i docenti universitari, così come gli scatti stipendiali). (Fonte: http://www.mauriziozani.it/wp/?p=4045 09-02-16)

Anno
Decreto
Adeguamento

      2016
DPCM entro 04-16


 2011-2015
ANNI DI BLOCCO

2010
3.09%

2009
3.77%

2008
1.77%

2007
4.28%

2006
2.23%











      


DOTTORATO

PER IL CONCORSO A CATTEDRA NELLA SCUOLA SARANNO ATTRIBUITI 5 PUNTI AL DOTTORATO DI RICERCA, ALL’ASSEGNO DI RICERCA E ALL’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
Nei concorsi per titoli ed esami per l'accesso ai ruoli del personale docente della scuola dell'infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado, in totale il punteggio massimo delle prove d’esame sarà di 100 punti: scritto e orale valgono 80 punti. Ad assegnare gli ultimi 20 punti saranno invece i titoli a cui il ministero dell'Istruzione ha dedicato uno specifico DM e, soprattutto, una tabella sinottica. Tra questi c’è l’attribuzione di 5 punti al dottorato di ricerca (nel concorso precedente i punti attribuibili erano al massimo 3) che si configurerebbe entro un massimale di 10 punti previsto per i «titoli professionali culturali e di servizio». (Fonte: http://www.tecnicadellascuola.it  27-01-16)

GIUSTIZIA PER GIULIO REGENI. LA CHIEDONO MIGLIAIA DI PROFESSORI UNIVERSITARI IN UNA LETTERA SU THE GUARDIAN
Più di 4.600 docenti universitari provenienti da tutto il mondo hanno firmato una lettera aperta per protestare contro la morte di Giulio Regeni, il giovane dottorando dell’Università di Cambridge il cui corpo è stato trovato alla periferia del Cairo con evidenti segni di tortura la settimana scorsa. La lettera, pubblicata da The Guardian, ha coinvolto firmatari di più di 90 Paesi diversi in una vasta gamma di discipline accademiche.  (Fonte: http://www.theuniversal.it/3382-2/ 09-02-16)


FINANZIAMENTI

I CONTI DEGLI ATENEI STATALI
Tra il 2010 e il 2015 le università hanno perso quasi il 15% delle proprie entrate strutturali e hanno sforbiciato dell’11,5% le uscite. I tagli, ed è questo l'aspetto più qualificante, si sono scaricati in particolare sulle spese per il personale, che sono state schiacciate dal blocco degli scatti e dai vincoli al turnover, e hanno perso in cinque anni il 13,8% del loro peso. Le spese per i «servizi agli studenti», un capitolo che comprende borse di dottorato, assegni di ricerca e scuole di specializzazione, ma anche i programmi di mobilità e di scambi culturali per gli studenti, invece hanno tenuto, e tra il 2010 e il 2015 sono cresciute del 2%, mantenendo di conseguenza quasi lo stesso ritmo della mini-inflazione del periodo. Identica la dinamica delle «spese di funzionamento», voce canonica nelle teorie della spending review, che però merita un'analisi più puntuale: gli aumenti nelle spese per le utenze (+7,5%) e per la pulizia (+7%) confermano le difficoltà vissute finora dai sistemi di controllo degli appalti e di centralizzazione degli acquisti, ma altre voci come le uscite per i laboratori (+6%) potrebbero spiegarsi anche con una piccola spinta ulteriore alle attività. L'autofinanziamento è sempre più vitale, perché il rapporto fra entrate proprie (tasse e contributi, prima di tutto, ma anche l'attività commerciale e gli accordi di programma) e trasferimenti è cresciuto di un terzo, passando dal 26 al 34,2 per cento. Si tratta di un'evoluzione inevitabile, dal momento che rispetto al 2010, quando era ancora "puntellato" da voci provvisorie come i 500 milioni del piano straordinario targato Mussi-Padoa Schioppa, il fondo di finanziamento ordinario ha perso in termini di incassi un miliardo di euro, mentre altri milioni si sono volatilizzati alla voce «trasferimenti per borse di studio». A sostenere i conti accademici, di conseguenza, sono stati chiamati sempre di più gli studenti e le loro famiglie, anche se in termini assoluti il loro valore non è riuscito a crescere a causa dell'emorragia di studenti che ha fatto perdere alle università il 6,5% dei propri iscritti in cinque anni accademici (si veda Il Sole 24 Ore del 2 novembre 2015). Tasse e contributi, nel frattempo, sono scesi "solo" del 3,5%, attestandosi a quota 1,7 miliardi tondi, aumentando quindi il loro peso percentuale sul totale delle entrate universitarie. (Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 08-02-16)

FINANZIAMENTI DEGLI ATENEI. UN PROCESSO DI RESPONSABILIZZAZIONE CHE SI È SCONTRATO CON LA PARALLELA DIMINUZIONE DELLE RISORSE
I problemi del disagio dei conti degli atenei hanno origine lontana. Da quando è stato creato il Fondo di finanziamento ordinario, nel 1993, la sua crescita è stata costante, quali che fossero i governi, fino al 2009, se si eccettua una lieve flessione nel 2006. Gran parte degli incrementi annuali del fondo era vincolata alla necessità di far fronte alla crescita automatica degli stipendi e, soprattutto tra il 1999 e il 2008, a quella dell'organico, cresciuto di circa un terzo in cifra assoluta. È per far fronte a questa dinamica difficilmente controllabile che, quando nel 2007 si trattò di trovare altri 500 milioni per accrescere il fondo, l'allora ministro Padoa-Schioppa, convinto com'era che gli atenei dovessero rendere "più produttiva" la loro spesa, li concesse - novità assoluta - solo per il triennio 2008-2010, senza consolidarli a regime. Al venir meno di questa "bolla" si sono poi aggiunti altri tagli, tra i quali spicca per consistenza quello del 2013 (-5,1% sull'anno precedente), senza che venisse mai davvero impostata una netta inversione di tendenza, tale da riportare il fondo, se non al picco del 2009 (7,83 miliardi), almeno alla soglia di sicurezza del 2012 (7,33 miliardi): il recupero del 2014 (+0,9%) è infatti stato azzerato dal -14% del 2015. Neppure quest'anno sembra segnare l'avvio di una nuova stagione. Il fondo parte con un tenue segno positivo (+25 milioni, pari allo 0,4%), ma solo grazie ai 38 milioni stanziati per le controverse "cattedre Natta". E i rischi di aggiustamenti in corso d'anno sono comunque sempre in agguato. Nel frattempo della seconda tranche del piano straordinario associati, pur prevista per legge, si è persa ogni traccia fin dal lontano gennaio 2013. Queste dinamiche sono particolarmente deludenti alla luce dei progressi tangibili compiuti dal sistema per razionalizzare la spesa e soprattutto per riqualificarla, sforzi che lo pongono all'avanguardia nel settore pubblico. Bilancio unico di ateneo, costo standard per studente, limiti all'indebitamento, crescita della quota di fondi distribuita sulla base della valutazione e non della spesa storica sono tutte tappe di un processo di responsabilizzazione che si scontrano però con la parallela diminuzione delle risorse. I rimedi sono noti da tempo: recupero graduale del Ffo almeno a quota 2012 e sua stabilizzazione pluriennale. Servirebbero circa 300 milioni. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 08-02-16)

FINANZIAMENTI ALLA RICERCA SCARSI MA ANCHE DISTRIBUITI IN MANIERA POCO RAGIONEVOLE CON REGOLE COMPLICATE E LUNGHISSIME PROCEDURE DI SELEZIONE 
Mentre si discute molto di come la ricerca in Italia sia finanziata meno degli altri Paesi avanzati,  c'è invece poca attenzione su un altro aspetto: quanto sia frustrante per la comunità scientifica il fatto che questi investimenti, già scarsi, siano spesso distribuiti in maniera poco ragionevole, riducendone ulteriormente l'efficacia. Molte delle inefficienze dipendono dal fatto che i canali per accedere a questi finanziamenti sono episodici (ed imprevedibili), piuttosto che avere frequenza annuale, e hanno regole sproporzionatamente complicate, con procedure di selezione che richiedono tempi lunghissimi.
Questa non è solo una mia impressione: sul sito del Miur è in evidenza dal marzo del 2013 un'analisi dei problemi della comunità scientifica italiana, che condivide appieno queste mie posizioni. Purtroppo anche l'ultimo bando ha gli stessi problemi, compresa la scadenza slittata dal 22 dicembre al 15 gennaio 2016 anche se il bando si chiamava Prin 2015.
È interessante notare che nei Paesi nostri diretti competitori per la ricerca a livello europeo, ovvero l'Inghilterra, la Francia e la Germania, non c'è traccia di queste storture: le tipologie di finanziamento analoghe ai nostri Prin in questi Paesi hanno ben prevedibile scadenza annuale, una rapida tempistica di selezione dei progetti cui effettivamente assegnare i finanziamenti, e regole di partecipazione a queste procedure di selezione che non solo sono abbastanza stabili nel tempo, ma sono anche ben allineate alle regole con le quali si assegnano i fondi europei per la ricerca. (Fonte: G. Amelin, La Repubblica 25-01-16)

DEI 900 MILIONI CHE L'ITALIA VERSA ALL'EUROPA PER LA RICERCA, SOLO 600 TORNANO NELLE TASCHE DEI RICERCATORI ITALIANI
Alle denunce dell'associazione di ricercatori Roars, si aggiunge ora la lettera di uno dei maggiori fisici Italiani, Giorgio Parisi, appena pubblicata dalla rivista internazionale Nature. Che sta facendo molto discutere. Professor Parisi, qual è lo scopo della sua lettera pubblicata su Nature?
Chiedo che l'Europa solleciti gli Stati europei che non stanno investendo in ricerca, mettendo a repentaglio il senso e la funzione dei programmi di finanziamento europei per la ricerca. Come quelli nell'ambito del settimo programma quadro (2007-2013) e Horizon 2020 (2014-2020).
I finanziamenti dell'Ue non stanno colmando, almeno in parte, i tagli che la ricerca italiana ha subito nell'ultimo decennio? I grandi progetti che finanzia l'Europa possono inserirsi e prosperare in un humus adeguato, che solo i finanziamenti nazionali possono garantire. Senza un terreno fertile, fatto di una miriade di progetti di media e piccola entità su tutto il territorio nazionale, anche fondi europei importanti come gli Erc - quelli per progetti sopra i 2 milioni di euro ciascuno - rischiano di diventare cattedrali nel deserto. I tagli a ricerca e università a cui l'Italia ha assistito dal 2008 a oggi determinano il paradosso per cui il Paese contribuisce con 900 milioni l'anno al fondo europeo per la ricerca, ma solo 600 tornano ai ricercatori italiani sotto forma di finanziamenti. Una perdita netta di 300 milioni l'anno per la ricerca nazionale. (Fonte: L. Margottini, FQ 07-02-16)

RIPARTIZIONE FIRST 2015
Si segnala la ripartizione delle disponibilità per l’anno 2015 del Fondo per gli investimenti della ricerca scientifica e tecnologica – FIRST. (Decreto n. 684). (16A00259) (GU n.14 del 19-1-2016); ripartizione dei fondi FIRST 2015.

MEPA
Art. 1 c. 502 legge 208/2015 (legge di stabilità 2016). Per le università l’obbligo di ricorrere al Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA) scatta sopra i 1000 €.


LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA – OCCUPAZIONE

IN MENO DI DIECI ANNI LA FORMAZIONE UNIVERSITARIA NEGLI STUDI GIURIDICI HA PERSO 12.667 IMMATRICOLATI
In Italia i corsi di studio in Giurisprudenza interessano un numero sempre più limitato di studenti universitari. I dati dell’Anagrafe nazionale studenti del MIUR narrano la storia di un declino. A livello nazionale gli immatricolati nei corsi di studio delle lauree magistrali in Giurisprudenza (LMG/01) – lauree che costituiscono titolo necessario per l’avvocatura, il notariato e la magistratura – erano 28.837 nell’anno accademico 2006/2007, 19.257 nell’a.a. 2014/2015. Complessivamente, sommando il numero di immatricolati ai corsi per le lauree triennali di scienze giuridiche e di scienze dei servizi giuridici nonché per le lauree magistrali, nel 2006/2007 si iscrivevano a corsi giuridici 34.817 studenti. Nel 2014/2015 sommando magistrali e triennale in scienze dei servizi giuridici si arriva a 22.150. In meno di dieci anni la formazione universitaria negli studi giuridici ha perso 12.667 immatricolati, cioè si è ridotta di più di un terzo. Roberto Caso (ll diritto non abita più qui: la crisi degli studi giuridici tra dati e domande) ha formulato varie ipotesi sulle ragioni della crisi della formazione e dell’occupazione dei giuristi. (Fonte: R. Caso, http://tinyurl.com/gmxbux6 febbraio 2016; Roars 14-02-16)

SFIDE E PUNTI DI DEBOLEZZA DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE SUPERIORE TECNICA
E’ necessario moltiplicare le risorse per gli 83 Istituti tecnici superiori (ITS), naturalmente valutandone le performance, poiché sono la prima risposta strutturata che l'Italia si è data per formare competenze tecniche specialistiche in ambito di istruzione terziaria. Gli ITS sono stati avviati nel 2010, come evoluzione dei Poli IFTS (Istruzione e formazione tecnica superiore) sulla base di un accordo Stato/Regioni. Si tratta di una risposta importante e innovativa a quattro sfide e punti di debolezza del sistema italiano educativo e produttivo in ambito europeo.
Primo: la mancanza di un’offerta di istruzione superiore tecnica accanto a quella fornita dall'Università non solo spiega perché la percentuale di laureati o con titoli equipollenti in Italia sia del 23,4% contro il 37,9 % della media europea, ma è anche una delle ragioni culturali per cui le famiglie non incoraggiano i figli a scegliere gli istituti tecnici e professionali, considerati di serie B anche perché non collegati ad una verticalizzazione coerente successiva.
Secondo: il mismatch tra competenze e skills richiesti dal mercato del lavoro e quelle offerte dai curricoli scolastici e universitari.
Terzo: la progressiva separazione che si è avuta in Italia tra i processi di istruzione e formativi dalla cultura del lavoro e dell'imprenditorialità, per fortuna oggi ripresa e rilanciata dalla Buona Scuola con l'alternanza scuola /lavoro in tutti gli ordini di scuola superiore, compresi i licei, avviando così un "modello italiano" tra quelli della dual education presenti in Europa. Ma in questo senso va anche la riforma dell'apprendistato, che però deve puntare anche all'apprendistato in alta formazione (che in Italia abbiamo solo sperimentato) collegandolo agli ITS.
Quarto: gli ITS attualmente non riescono a incrementare i loro corsi per le inadeguate risorse (tra MIUR, Regioni, Fondo sociale europeo) e la poca pubblicità istituzionale, ma anche la ancora inadeguata promozione presso le imprese.
Dobbiamo rilanciare questa nuova offerta di alta formazione in ambito europeo e confrontarla con altre esperienze anche per consentire la partecipazione degli studenti ITS a Erasmus e in particolare ad Erasmus placement, che consente di svolgere tirocini ed esperienze lavorative presso imprese europee. (Fonte: S. Costa, L’Unità 26-01-16)

CHIUSE IL 10 FEBBRAIO LE GRADUATORIE PER I CORSI DI LAUREA A NUMERO CHIUSO
Per chi ha fatto il test di medicina 2015 e gli altri test di ingresso alle facoltà a numero chiuso nazionale (International Medical Admissions Test - IMAT, Architettura, Veterinaria) c'è una novità. Il MIUR ha stabilito, infatti, con il D.M. 50 dell’8 febbraio 2016 la chiusura delle graduatorie nazionali, fissata per mercoledì 10 febbraio 2016. Il decreto parla della chiusura delle graduatorie dei corsi di laurea citati nel D.M. 463/2015 (cioè il bando unico per il test di Medicina, IMAT, Odontoiatria, Veterinaria ed Architettura) e il D.M. 464/2015 (contenente le modalità di svolgimento del Test di medicina in Inglese). La decisione del Miur pone quindi fine agli scorrimenti della graduatoria nazionale di Medicina, svoltosi lo scorso 8 settembre, e degli altri corsi di laurea e di laurea magistrale ad accesso programmato. E ora cosa succede? Secondo quanto si legge nel nuovo Decreto, chi ha confermato l'interesse sul sito di Universitaly alla data del 10 febbraio e si trova in posizione utile in graduatoria (cioè ha un posto in una delle sedi indicate nelle preferenze) diventerà assegnato ed è tenuto ad immatricolarsi "entro il termine perentorio del 15 febbraio 2016 nella sede di assegnazione." Il Miur ha specificato anche che "i candidati che alla data del 15 febbraio 2016 non risultano immatricolati ad alcuno dei corsi di laurea cui si riferiscono le graduatorie nazionali decadono e non conservano alcun diritto negli anni successivi" e che "gli eventuali posti che alla data del 15 febbraio 2016 dovessero risultare non coperti anche a seguito di rinunce successive all'immatricolazione non verranno riassegnati."
(Fonte: C. Casalin http://tinyurl.com/zrxakhp 09-03-16)

CALCOLO DEL VOTO DI LAUREA IN MEDICINA. CAMBIO DELLE REGOLE
A partire da luglio 2016, il calcolo del voto di laurea per i corsi di Medicina verrà uniformato secondo lo stesso modello in tutte le università italiane: a stabilirlo è stata una decisione presa nell’ultima conferenza dei presidenti dei corsi di laurea delle facoltà di Medicina. Una decisione resasi necessaria dall’arrivo della graduatoria nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione. Nello specifico, la procedura per il calcolo del voto di laurea sarà costituita da tre componenti: il voto derivante dalla media aritmetica degli esami sostenuti; un massimo di 7 punti per la prova finale e ulteriori 7 punti per attività extra quali la partecipazione a progetti Erasmus, progress test, il numero di lodi ricevute durante gli esami e le tempistiche di conseguimento del titolo di laurea. Con le nuove norme, dunque, il punteggio minimo per raggiungere il massimo (110 e lode) dovrebbe essere pari a 113 punti. Una riforma richiesta dagli stessi studenti, preoccupati dalle disparità di calcolo presenti nelle diverse università e dal confluire di tutti i voti nell’unica graduatoria utile all’assegnazione delle borse per le scuole di specializzazione, ma che, tuttavia, sta raccogliendo numerose critiche proprio da chi più la invocava: sotto accusa, la validità retroattiva della riforma che, entrando in vigore dal prossimo luglio, coinvolgerà anche gli studenti iscritti al quinto e sesto anno dei corsi in medicina che si troveranno, pertanto, a terminare il loro percorso con delle regole differenti da quelle con cui avevano iniziato. (Fonte: http://www.corriereuniv.it/cms/2016/02/cambiano-le-regole-per-il-calcolo-del-voto-di-laurea-in-medicina-penalizzati-gli-studenti-degli-ultimi-anni/ 12-02-16)


RECLUTAMENTO

RECLUTAMENTO IN PANNE
Il 2016 è iniziato con nuovo problema per gli atenei: la scadenza in molti dipartimenti di quasi tutti i contratti di ricercatori a tempo determinato di tipo A (secondo il data base del Miur pari a 3044). Si tratta di figure, nate con la legge Gelmini (l. 240/10) e che dopo un contratto di 3 anni, rinnovabile al massimo per altri due, avrebbero dovuto trovare uno sbocco come ricercatori di tipo B e poi passare di diritto alla fascia di associati. Passaggio mai avvenuto. La ragione? Semplice, ha spiegato Paolo Rossi, componente del Consiglio universitario nazionale, «il futuro di questi soggetti è condizionato indirettamente dall’irrisolta collocazione di migliaia di ricercatori a tempo indeterminato che, pur avendo conseguito l'abilitazione negli ultimi anni, non hanno trovato spazio nel piano straordinario per gli associati». Un piano che, secondo le intenzioni dell’allora ministro Gelmini, avrebbe dovuto assorbire 10mila soggetti, ma che, di fatto, ne ha reclutato solo 6mila, anche a causa di un taglio del budget passato da 240 milioni di euro a 173 milioni. Ad oggi la platea di soggetti che aspira all’abilitazione da associato ammonta a circa 17 mila tra i vecchi ricercatori a tempo indeterminato, a cui vanno poi aggiunti altrettanti titolari di assegni di ricerca e i 700 ricercatori di tipo B con contratti di tre anni (ai quali si andranno a sommare i nuovi 861 RTD-B del Decreto ministeriale 18 febbraio 2016 n. 78), gli unici che possono portare alla promozione ad associato se al termine del triennio hanno conseguito l’abilitazione scientifica. Una situazione che neanche la Stabilità riuscirà a sanare. La legge, infatti, ha sì previsto lo sblocco del turn over dei ricercatori di tipo A per gli atenei virtuosi, ma questa liberalizzazione «che può sembrare generosa», ha precisato ancora il rappresentante del CUN, «è molto pericolosa, perché non può che spingere ad aumentare la massa del precariato privo di sbocchi definiti senza incentivare in alcun modo il passaggio a profili tenure track che sono quelli di cui il sistema ha maggiormente bisogno». (Fonte: B. Pacelli, IlSole24Ore 26-01-16)

PROGRAMMI DI RICERCA DI ALTA QUALIFICAZIONE I CUI VINCITORI POSSONO ESSERE DESTINATARI DI CHIAMATA DIRETTA
Il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca ha aggiornato (D.M. 28/12/2015, n. 963) l'identificazione dei programmi di ricerca di alta qualificazione di durata almeno triennale, finanziati dall'Unione Europea o dal MIUR, i cui vincitori possono essere destinatari di chiamata diretta da parte delle Università per la copertura di posti di professore ordinario, associato e ricercatore (Legge 4/11/2005, n. 230, art.1, comma 9 e successive modificazioni).
Vengono così annoverati in questa lista i vincitori: del Programma Rita Levi Montalcini per Giovani Ricercatori; del SIR - Scientific Independence of Young Researchers, degli ERC Stanting Grants e degli ERC Consolidator Grants, entrambi finanziati dall'European Research Council (ERC), nonché dell'International Outgoing Fellowships ovvero Individual Felloships nell'ambito delle Marie Sklodowska Actions. (Fonte: L. Moscarelli, rivistauniversitas 03-02-16)


RICERCA. RICERCATORI

PERCHÈ L’ITALIA NON È PIÙ UN PAESE PER SCIENZIATI
Non è un Paese per scienziati se un candidato a sindaco di Milano si vanta per aver sostenuto la battaglia contro la “famosa direttiva europea sulla vivisezione”. Non sapendo che il termine “vivisezione” descrive una pratica estranea alla Ricerca; che senza sperimentazione animale la medicina sarebbe a uno stadio tribale. Non è un Paese per scienziati se si commina il carcere a ricercatori che derivino da embrioni umani “soprannumerari abbandonati” cellule staminali, e se si concepiscono bandi di ricerca che escludono, immotivatamente, progetti che utilizzino quelle cellule, ma si rimane ipocritamente indifferenti all’importazione (legale) delle stesse cellule dall’estero. Non lo è se si impone per via giudiziaria una presunta cura (il “metodo Stamina”), la si avalla per legge, salvo poi scoprire - come sostenuto fin dall’inizio da tutti gli scienziati – che era una tragica truffa. Non è un Paese per scienziati se questi sono considerati fantomatici untori di manzoniana memoria e li si indaga con l’ipotesi di aver deliberatamente introdotto un batterio (temuto ovunque nel mondo) che sta facendo strage di ulivi nel Salento. Quegli studiosi cercavano di capire il problema. Le regole dell’Ue prescrivono con rigore e esperienza cosa fare (e prontamente adottate in Francia sono state efficaci), ma una procura della Repubblica dice che l’esistenza di ulivi “ancora vivi pur se positivi per la Xylella” è un motivo che avvalora le tesi accusatorie. Un po’ come dire che, siccome alcuni fumatori non si ammalano di cancro al polmone, allora il fumo è innocuo.
E cosa dire di un Paese che persegue un modello di sviluppo improvvisato, investe un misero 1,2% del Pil in ricerca e sviluppo e impiega 4,6 ricercatori per mille occupati? Per inciso, le medie Ue sono circa il doppio. (Fonte: E. Cattaneo, docente all’Università Statale di Milano e senatrice a vita, repubblica.it  24-01-16)

ERC CONSOLIDATOR GRANT. 30 VINCITORI ITALIANI, MA SOLO 13 IN ITALIA A SVILUPPARE IL PROGETTO
I vincitori italiani dell'importantissimo bando europeo ERC Consolidator Grant sono 30 in tutto, secondi solo ai tedeschi e agli inglesi (e a pari merito con i francesi). Ma laddove i nostri ricercatori si sono difesi alla grande, lo stesso non si può dire del nostro Paese: dei 30, solo 13 rimarranno in Italia a sviluppare il progetto. Inoltre a fronte dei 17 che se ne vanno non c'è nemmeno uno straniero che verrà nel nostro Paese. Tra i disincentivi per venire a fare i ricercatori in Italia vi è sicuramente l'assenza dei fondi di ricerca (solo 92 milioni per la ricerca di base negli ultimi tre anni), l'incertezza della carriera (le Abilitazioni Scientifiche sono ferme da anni!) e nella retribuzione (i nostri docenti si sono visti congelare gli stipendi per ben 5 anni). (Fonte: M. Viola, http://www.uninews24.it 12-02-16)


ESODO CONTINUO DI RICERCATORI VERSO L’ESTERO. POTREBBERO DIVENTARE 30.000 ENTRO IL 2020
Per l'Apri (Associazione precari della ricerca italiani) i ricercatori italiani che prestano la loro preziosissima opera all'estero sono 12.000. Il dato ha una fonte autorevole: Maria Carolina Brandi, ricercatrice dell’Irpps-Cnr - l'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche - audita il 16 maggio 2012 dal Comitato per le questioni degli italiani all'estero del Senato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle Politiche relative ai cittadini italiani residenti all'estero. Spingendosi a quantificare il fenomeno: "Alcune stime - spiegava la Brandi - indicano che, se si manterranno i flussi attuali, l'Italia perderà 12.000 ricercatori laureati entro il 2015 e ben 30.000 entro il 2020, mentre alla stessa data entreranno poche migliaia di ricercatori laureati stranieri". "Il flusso di ricercatori che ogni anno abbandona il nostro Paese per tentare fortuna all'estero supera le 3.000 unità", dice Silvio Labbate, uno dei rappresentati di Apri. Il perché di questa fuga oltre i nostri confini e in ogni angolo del mondo è semplice. Labbate critica i metodi con cui vengono reclutati i ricercatori in Italia, il meccanismo per il rilascio dell'Abilitazione scientifica nazionale e per la composizione delle commissioni esaminatrici. Anche l'Istat conferma questa fuga. Nel Rapporto annuale 2015 gli esperti dell'Istituto di statistica spiegano che 3.000 dottori di ricerca (pari al 12,9 per cento) che hanno conseguito nel 2008 e nel 2010 il titolo in Italia vivono all'estero stabilmente. Per quantificare questa perdita basta moltiplicare il costo sostenuto dalla collettività per formare i ricercatori - attorno a 150.000 euro per tutto il percorso scolastico e universitario - per i 3.000 ricercatori che ogni anno si recano all'estero: qualcosa come mezzo miliardo di euro di "capitale umano" già formato che ogni anno sfruttano i Paesi esteri. Cinque miliardi in un decennio. (Fonte: S. Intravaia, La Repubblica 15-02-16)

LA RICERCA MALTRATTATA
Ma il punto vero «è che è illogico pretendere di valutare la ricerca su standard internazionali quando il livello dei fondi è da Terzo Mondo». Così si esprime Giuseppe Mingione, uno dei 99 matematici più citati del mondo. In 4 anni ha avuto 3 mila euro di finanziamenti contro i 250 mila dei suoi colleghi stranieri. «Per questo ho deciso di boicottare la valutazione della ricerca. Difendo la mia dignità professionale». Solo negli ultimi cinque anni (dal decreto Tremonti del 2009) il Fondo di finanziamento ordinario ha subito una sforbiciata pari a 800 miliardi di euro, passando dallo 0,49% del Pil allo 0,42%, contro l’1% di Francia e Germania. La spesa (pubblica e privata) per la ricerca è pari all’1,3% del Pil contro una media europea del 2%. Eppure a parità di soldi spesi i nostri ricercatori pubblicano più articoli dei loro assai più ricchi colleghi e vengono citati di più. «Sì, ma con un po’ di soldi avrei potuto fare ancora di più». (Fonte: http://www.corriere.it/scuola/universita 01-02-16)

SCOPERTA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI. UN NUOVO SUCCESSO ANCHE PER LA FISICA ITALIANA
"Un nuovo successo per la fisica italiana a quattro anni dalla scoperta del bosone di Higgs, un grazie a tutti i ricercatori che, con questa fondamentale scoperta, ci permetteranno, d'ora in poi, di guardare al cielo con nuovi occhi. Come fece Galileo Galilei più di 400 anni fa". Così il ministro per l'Istruzione, l'Università e la Ricerca, Stefania Giannini, commenta la scoperta delle onde gravitazionali annunciata a Cascina (Pisa) dalla collaborazione Virgo, cui l'Italia partecipa con l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). "Dopo la scoperta del bosone di Higgs - osserva il ministro in una nota - la comunità internazionale dei fisici festeggia oggi un altro importante traguardo scientifico: la prima conferma diretta dell'esistenza delle onde gravitazionali. Un regalo perfetto per i 100 anni della Relatività Generale di Albert Einstein, che è stato il primo a pensarle e descriverle nelle sue equazioni". Il laboratorio Virgo, che fa capo alla collaborazione internazionale e realizzato in Italia, è per Giannini un "fiore all'occhiello dell'eccellenza italiana, dei nostri scienziati e della nostra industria. Un esempio di come gli investimenti nella scienza e nelle grandi infrastrutture di ricerca siano essenziali per il progresso delle conoscenze e per lo sviluppo del Paese". Esulta anche l'Università dell'Aquila, che vede il Gran Sasso Science Institute tra gli istituti italiani coinvolti nella ricerca. Il gruppo Virgo di Padova e Trento contribuisce alla ricerca sulle onde gravitazionali sia per l’analisi dei dati sia per la parte più strettamente sperimentale. Il gruppo per primo ha segnalato alla collaborazione Ligo-Virgo la presenza di un possibile segnale: la segnalazione è stata fatta entro i primi 3 minuti dall’evento. La stessa analisi è stata utilizzata poi anche come ulteriore conferma dell’origine astrofisica del segnale osservato. (Fonte: http://www.uninews24.it 12-02-16)

UNIPD. ANCHE FISICI PADOVANI IMPLICATI NELLA SCOPERTA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI
La scoperta, pubblicata su Physical Review Letters con il titolo Observation of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger, è frutto della collaborazione internazionale Ligo-Virgo di cui fanno parte anche alcuni fisici padovani.
Le onde gravitazionali sono increspature infinitesimali del “tessuto” spazio-tempo. Si immagini lo spazio-tempo proposto dalla teoria della relatività generale come un telo elastico (per usare l’immagine dell’astrofisico inglese Arthur Eddington) sul quale siano appoggiate delle masse: a seconda della loro maggiore o minore consistenza curvano, deformano più o meno il telo. Se queste masse sono in movimento generano delle onde che si propagano sul telo. Fuor di metafora, le onde gravitazionali appunto. Essendo quasi impercettibili, per poterle rivelare è necessario da un lato che gli strumenti di cui si dispone siano molto sensibili, dall’altro che le masse coinvolte siano enormi, come nel caso di una coppia di stelle di neutroni in orbita vorticosa una attorno all’altra o della fusione di due buchi neri l’uno nell’altro. Ed è proprio questo che gli scienziati hanno osservato: onde gravitazionali prodotte dalla collisione e fusione di due buchi neri. Con una massa rispettivamente di 29 e 36 volte quella del Sole, i due buchi neri hanno spiraleggiato, scontrandosi poi a una velocità di circa 150.000 chilometri al secondo e culminando nella formazione di un singolo buco nero rotante di massa pari a 62 volte quella del Sole e alla distanza di 1,3 miliardi di anni luce. Il primo ad accorgersi dell’evento pochi minuti dopo il suo arrivo sulla terra è stato Gabriele Vedovato, dell’Infn di Padova membro del gruppo Virgo, in collegamento con Marco Drago dell’Albert Einstein Institute di Hannover, ex studente e postdoc del gruppo di Padova-Trento. (Fonte: M. Panetto, IlBo 12-02-16)

CRISPR-CAS9, LA GRANDE SCOPERTA CONTESA
La più grande scoperta scientifica del secolo (almeno fino alla scoperta delle onde gravitazionali) è una tecnica di ingegneria genetica che si chiama Crispr-Cas9 e che consente di tagliare e incollare il Dna di qualsiasi organismo, dai topi di laboratorio agli embrioni umani, con una precisione e una facilità infinitamente superiore a qualunque tecnica mai usata prima. Ce ne sono molti, che a colpi di paper, brevetti e avvocati si litigano la paternità, la gloria e i miliardi della scoperta. La faida va avanti da anni tra l'Università di Berkeley, in California, e il Broad Institute di Cambridge, Massachusetts, sostenuto dal Mit e da Harvard. Sono i più grandi centri di ricerca d'America, forse del mondo, che stanno riproponendo una gran battaglia scientifica e legale come non si vedeva dai tempi della disfida tra Bell e Meucci per l'invenzione del telefono. Le due scienziate di Berkeley Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna sono state le prime a pubblicare nel 2012 sulla rivista Science un articolo rivoluzionario su Crispr, ma Feng Zhang del Broad Institute è riuscito a far approvare per primo il brevetto della tecnica ed è stato il primo, pare, a dimostrare che Crispr poteva essere usato anche sul genoma umano. In gioco in questa gran battaglia tra studiosi ci sono la possibilità di entrare nel pantheon della scienza universale e un inimmaginabile ritorno economico. Per ora gli scienziati di Berkeley hanno ricevuto più premi internazionali, e dunque sono in vantaggio in quanto a legacy, quelli di Harvard e del Mit più riconoscimenti in termini di brevetti e di possibilità di lucro. E poi c'è il Nobel. Un premio è assicurato, ma a chi sarà attribuito? (Fonte: E. Cau, Il Foglio 27-01-16)

UN'ESPORTAZIONE LEGALE DI CAPITALI. 13 GIOVANI RICERCATORI VINCITORI DEL BANDO ERC SPENDERANNO LA LORO DOTE IN PAESI STRANIERI
Un commento, illustrando i risultati pubblicati lo scorso dicembre sull'esito di un bando dell'Erc (l’European Research Council) riservato ai giovani che iniziano una carriera indipendente. Si noti che i finanziamenti ricevuti rappresentano una dote che il ricercatore porta con sé. Da tutta Europa sono pervenute 2920 domande e solo 291, pari al 10%, sono state quelle selezionate. L'Italia conferma la sua eccellenza con 30 finanziamenti. Purtroppo, però, 13 giovani spenderanno la loro dote in Paesi stranieri. Si tratta, scrive Straia su tSt, di un'esportazione legale di capitali. Se stiliamo una classifica sui finanziamenti che saranno spesi in Italia, ci piazziamo solo al quinto posto, mentre il Regno Unito, che nella classifica era quarto, rimane invece il paradiso dei ricercatori, passando al primo posto come Paese che ospiterà più progetti, probabilmente perché offre migliori condizioni di lavoro. Proviamo ora a stilare una classifica sulla base del numero di finanziamenti per milione di abitanti in ciascun Paese. Con 0,30 progetti per milione di abitanti ne usciamo al 15° posto. Dunque, le strutture di ricerca italiane non sono considerate «appealing». E, se non cambiamo qualcosa su questo aspetto fondamentale, siamo destinati ad aumentare il divario tra quello che legalmente esportiamo e quello che portiamo a casa, come già denunciava negli Anni 90 l'allora ministro della Ricerca Antonio Ruberti. Il cambiamento deve quindi mirare a creare condizioni di lavoro attraenti per rendere agevole e produttivo il fare ricerca. Sarebbe auspicabile far rientrare chi porta con sé una buona dote e reclutare stranieri, proprio come avviene nel Regno Unito. Ma con le attuali infrastrutture frammentate, con la scarsa mobilità interna e con le regole della pubblica amministrazione questa prospettiva non sarà affatto facile. Si noti che nel suddetto bando dell'Erc l'Italia è il Paese che ha la maggiore percentuale di ricercatori del settore delle scienze sociali, per le quali le infrastrutture sono meno importanti, al contrario dei soli tre finanziamenti nel settore delle scienze della vita, che richiedono, al contrario, laboratori e macchinari sempre più sofisticati, oltre a collaborazioni interdisciplinari. (Fonte: P. Straia, Tutto Scienze e Tecnologia 27-01-16)

LA VEXATA QUAESTIO DELLA RICERCA IN ITALIA
Una grande questione italiana, quasi del tutto irrisolta: quale ruolo viene attribuito al sapere scientifico, alla ricerca scientifica e ai suoi metodi, e per quale ragione la cultura scientifica, elemento fondamentale della modernità di un Paese, non riesce a trovare una precisa centralità collettiva, almeno in Italia. Il problema della Scienza esiste ed è drammaticamente reale. La questione è stata riproposta e rilanciata in un articolo sul quotidiano la Repubblica dalla professoressa Elena Cattaneo, senatrice a vita e condirettore del Centro di ricerca sulle cellule staminali dell'Università di Milano. Già dal titolo, la provocazione della professoressa Cattaneo era evidente: "Non è un paese per scienziati". Il passaggio in cui la senatrice e studiosa di fama internazionale pone la vexata quaestio della ricerca in Italia è: "E cosa dire di un Paese che persegue un modello di sviluppo improvvisato, investe un misero 1,2% del Pil in ricerca e sviluppo e impiega 4,6 ricercatori per mille occupati? Per inciso, le medie Ue sono circa il doppio. Ma se questo non è un Paese per scienziati, cosa facciamo noi perché torni ad esserlo? Quanta responsabilità abbiamo nell'accettare che la Scienza sia squalificata, processata, manipolata, svenduta, sotto-finanziata?". È evidente che la domanda è rivolta a tutti: legislatori, comunità scientifica, accademie e sindacati. Occorre elevare un ampio dibattito pubblico sulle domande acutamente poste dalla professoressa, perché sono domande eminentemente politiche che rinviano al modello di sviluppo che vogliamo affermare nei prossimi anni e al destino delle nuove generazioni. E appunto interessa centinaia di migliaia di studenti, e le loro famiglie, perché da questo dibattito pubblico e dalle scelte che verranno effettuate dalla comunità politica e di governo, dipenderà il loro futuro. (Fonte: D. Tantalo, http://www.huffingtonpost.it  28-01-16)

POLITICA E DEMAGOGIA CONTRO LA SCIENZA. IL CASO DEGLI OGM
L’Europa autorizza un solo Ogm autoctono, quello del mais, coltivato in Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia. Ne importiamo invece cinquantotto da Stati Uniti, America Latina, Canada e Cina. Sempre in ottobre, a Strasburgo, il Parlamento europeo ha bocciato a grande maggioranza i limiti all’importazione e all’utilizzo di quei cinquantotto tipi di Ogm.
E qui in Italia si importa mais geneticamente modificato (al 40%) e soia (addirittura all’80%)… Il ministro dell’Agricoltura ha minimizzato dicendo che in Europa su 28 Paesi 19 hanno preso le nostre stesse decisioni e che la superficie Ogm nel nostro continente si va riducendo. Peraltro il 92% del mais biotico è coltivato in Spagna. Si ripete insomma quel che era già accaduto con il nucleare: ne impediamo studio e produzione in Italia e lo importiamo da fuori, talvolta prodotto da centrali situate ai nostri confini. Con la differenza che i rischi del nucleare erano ampiamente provati mentre quelli degli Ogm sono stati «documentati» da un professore napoletano che per portare a termine l’impresa si è visto costretto a forzare i dati scientifici. Un articolo del biotecnologo Marc Van Monta e del filosofo Stefani Lance (entrambi dell’università belga di Gent) pubblicato su Trend in Plana Science sostiene che gli argomenti usati contro gli Ogm fanno presa su «menti umane rimaste nel fondo ancora tribali». Un’affermazione forse eccessiva. Ma che contiene elementi di verità. Ed è una fortuna che il nostro Parlamento possa vantare la presenza di un senatore a vita, Elena Cattaneo, che ha fatto della solitaria battaglia contro tale pregiudizio un punto d’onore. Con argomenti che meritano attenzione.
Il nostro Paese ha bandito gli Ogm. Ma almeno tre kg del pasto quotidiano di una vacca italiana sono Ogm. Elena Cattaneo ha risposto ricordato che il mais Ogm che potremmo coltivare è più sicuro degli altri per la salute: ha meno micotossine pericolose per l’uomo e le gestanti, inoltre non richiede insetticidi che uccidono api, farfalle e coccinelle, ma consente a questi insetti di vivere indisturbati tutelando ambiente e biodiversità animale. A seguito di decenni di utilizzo «non c’è notizia di una singola ospedalizzazione per consumo di Ogm». Di più. Negli Stati Uniti dopo che sono stati debellati i parassiti si è potuto tornare a piante non Ogm sancendo il principio che la scelta Ogm non è a senso unico. La rivista Altroconsumo ha documentato che carote e pomodorini biologici contengono più sostanze dannose alla salute (rame e nitrati) di quelli non bio. La ricerca pubblica su ogni tecnologia di miglioramento genetico delle piante in Italia è impedita da quindici anni. Massimo Riva sull’Espresso (15-10-15) ha definito quella di vietare perfino la ricerca e la sperimentazione sugli Ogm in ambito universitario «una delle decisioni culturali più oscurantiste mai compiute in età moderna». (Fonte: P. Mieli, CorSera 01-02-1&)

SOCIAL NETWORKS E INSTITUTIONAL REPOSITORIES
Un articolo di Paola Galimberti ci spiega le differenze fra social networks e institutional repositories. Molti ricercatori hanno preso l’abitudine di depositare i loro lavori nei social network tipo Academia.edu o Researchgate. Questa attività è molto semplice e richiede poco tempo perché i dati vengono recuperati in qualche modo da qualche fonte nel web, il social network invia continuamente mail richiedendo il caricamento del pdf quando ci sono solo i dati bibliografici, e i ricercatori lo fanno volentieri, perché attraverso i social network si è visibili e soprattutto si è connessi alla comunità scientifica di riferimento. Ma cosa sta dietro a questi social network? Il caricamento dei pdf in questi strumenti è legale? E una volta depositati i metadati in uno di questi contenitori posso in qualche modo riutilizzarli? E quale garanzia ho che i dati depositati siano conservati? A queste domande risponde l’articolo redatto su Roars (28-01-16) da P. Galimberti al quale potete collegarvi all’indirizzo http://www.roars.it/online/social-networks-vs-institutional-repositories/ .

LA PRIMA 'MAPPA' DELLA RICERCA CHE SI PRODUCE NELLE UNIVERSITÀ ITALIANE
Mettendo sotto la lente d'ingradimento i circa 96 atenei del nostro Paese, si scopre che a fare ricerca sono ormai 10.158 gruppi di ricercatori, con un numero di componenti medio di circa sei studiosi ciascuno. A scattare per la prima volta in Italia la foto di dettaglio delle attività di ricerca universitarie è l'Anvur, l'Agenzia Nazionale Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca, che ha redatto 1.035 schede che l'Adnkronos hanno potuto visionarie ed elaborare in esclusiva. Poco più della metà della produzione scientifica prodotta nel periodo 2011-13, pari al 51%, è composta da contributi pubblicati su riviste scientifiche, mentre il 25% da libri o paragrafi, il 22% da atti di convegno ed il 2% da attività di terza missione come brevetti, spin off o studi per imprese ed enti pubblici. Alta la cooperazione internazionale al lavoro di ricerca che si svolge negli atenei italiani, tanto che il 30% dei contributi pubblicati nelle riviste scientifiche è stato prodotto con almeno un coautore straniero. "Nelle università italiane c'è una qualità media della ricerca che regge il confronto internazionale, soprattutto in relazione agli investimenti che il nostro Paese realizza in questo settore, e pari all'1,3% del Pil, ampiamente al di sotto della media Ocse del 2,4% del Pil". Questa è l'analisi del Direttore dell'Anvur Roberto Torrini, anticipando così la valutazione contenuta nel nuovo "Rapporto biennale sullo stato dell’università e della ricerca italiana", da lui curato e che uscirà in primavera. La qualità della ricerca italiana, evidenzia però Torrini, "deve fare i conti con il numero basso dei nostri ricercatori, pari a 4,9 ogni 1.000 occupati, contro i 10 della Francia, gli 8,7 della Gran Bretagna e gli 8,5 della Germania". (Fonte: http://www.adnkronos.com  29-01-16)

RICERCATORI CHE HANNO FIRMATO LE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE PIÙ CITATE NEL MONDO. 44 LAVORANO IN ITALIA
Nella lista dei migliori 3.100 cervelli internazionali ci sono 44 scienziati che lavorano in Italia. Sono i ricercatori che hanno firmato le pubblicazioni scientifiche più citate (highly cited) nel mondo nel periodo 2003-2013. Di questi 44, circa una ventina sono impegnati in discipline mediche e farmaceutiche. A censirli il rapporto diffuso di recente 'Beautiful minds 2015' - le menti scientifiche più influenti al mondo - della Thomson Reuters che elenca, sui 9 milioni di ricercatori attivi a livello mondiale, i 'cervelli' che più hanno influenzato il progresso scientifico. L'area di studio che riguarda la ricerca medica è quella più rappresentata nella classifica, sia per numero di ricercatori che di studi. Non a caso al vertice dell'elenco si posiziona una 'bella mente' di questo settore. Ed è una donna: Stacey B. Gabriel del Broad Institute del MIT e di Harvard che ha contribuito all'evoluzione del settore con 25 citatissimi studi, in particolare legati al progetto Cancer Genome Atlas (TCGA), con gli identikit molecolari di tumori di seno e polmone. Mentre più recentemente ha contribuito ad esaminare le basi genetiche della schizofrenia e del morbo di Alzheimer.           
Tra le 'beautiful minds' italiane: gli ematologi Michele Baccarani, dell'università di Bologna, e Mario Boccadoro delle Molinette di Torino; il cardiologo Antonio Colombo del centro cuore Columbus di Milano; l'oncologo Goldhirsh Aron, istituto europeo di oncologia di Milano; il cardiologo Aldo Pietro Maggioni, direttore del centro di ricerca Anmco. E ancora: Giuseppe Mancia, docente di medicina interna dell'Università Bicocca di Milano; Antonio Palumbo ematologo dell'università di Torino; Giuseppe Remuzzi, ematologo e nefrologo del Mario Negri; l'ematologo Giuseppe Salio università di Torino; l'oncologo Salvatore Siena, coordinatore Scientifico del Niguarda Cancer Center di Milano, l'immunologo Alberto Mantovani dell'Humanitas di Milano; Serena Sanna e Manuela Uda entrambe dell'istituto di ricerca biomedica e genetica del Cnr di Cagliari. Ci sono poi Alessandra Carattoli biologa molecolare dell'Istituto Superiore di sanità, il biochimico Vincenzo di Marzo, Andrea Scozzafava della facoltà di Farmacia dell'università di Firenze, Francesco Maria Veronese del dipartimento di scienze farmaceutiche dell'università di Padova. (Fonte: immediapress 30-01-16)

CERVELLI IN FUGA
«Bisognerebbe smettere di parlare di cervelli in fuga. È dal Rinascimento che la patria degli scienziati è il mondo. E l'Italia dovrebbe puntare ad attrarre i migliori cervelli del mondo, non solo il mio o quello di altri italiani. Solo così si può attivare una crescita. L'industria non bussa alla porta di un laboratorio perché dentro c'è il parente di un politico. L'industria cerca opportunità commerciali e queste si trovano dove la ricerca è avanzata. Per attrarre cervelli servono progetti seri e internazionali. Gli stessi che producono cure sperimentali efficaci. Se ci fosse una grande struttura nel Sud Italia che si occupa di tumori al cervello, molti meridionali si risparmierebbero inutili viaggi della speranza in America». (Fonte: A. lavarone, intervistato da V. Zincone, CorSera Sette 31-01-16)

RICERCA BIOMEDICA. CONFRONTO FINANZIAMENTI TRA USA E ITALIA
Nel corso del 2015 negli Stati Uniti gli Istituti Nazionali per la Salute, i famosi NIH (National Institutes of Health), hanno ricevuto ben 30,1 miliardi di dollari dal Governo americano per i loro progetti di ricerca. Per espandere le proprie attività gli NIH avevano richiesto l'aumento di un miliardo per il 2016. La Camera e il Senato gliene hanno dati due, portando così il bilancio 2016 a 32,1 miliardi. Non solo, il Governo USA ha aumentato di 300 milioni anche il budget della National Science Foundation, concedendo al tempo  stesso a tutte le agenzie di ricerca americane un incremento fra l'1,6 e il 14,7 percento. Si noti che l'aumento della sola National Science Foundation è superiore alla somma totale disponibile per i bandi di concorso del Ministero della Salute e del Miur per la ricerca biomedica. Ormai i fondi per la ricerca in Italia sono ridotti al lumicino e c'è il rischio che declinino rapidamente verso quelli dei Paesi senza futuro. Ciò è molto grave, in particolare per il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) che a causa della carenza di ricerca rischia di spendere i suoi 111 miliardi di euro annui in modo quantomeno non ottimale. Infatti, un'attività così complessa come quella del Ssn non può non far affidamento sulle conoscenze mediche generate nel mondo. È solo una ricerca interna, aggiornata e multidisciplinare, che può consentire una continua setacciatura critica degli interventi  che il Servizio Sanitario Nazionale deve adottare, cioè quelli davvero importanti per gli ammalati. La ricerca è la miglior spending review non solo per la diagnosi, la terapia e la riabilitazione, ma anche per gli aspetti organizzativi e amministrativi del Ssn.          
Oggi in Italia, la ricerca è un'attività residuale: se avanzano un po' di soldi - una miseria - bene, altrimenti si invoca l'austerità. Il Ministro della Salute deve pretendere che la ricerca sia inserita nel Fondo sanitario nazionale (107,5 mld nel 2015) con una percentuale ben definita, che non può essere inferiore all’1 per cento e che dovrebbe tendere nel medio termine al 3 per cento, una cifra ancora piccola rispetto alla complessità del Ssn. Oggi per la ricerca biomedica si spende poco più dello 0,2 per cento. (Fonte: S. Garattini, CorSera 07-02-16)

LETTERA DI RESEARCH4LIFE ALLA COMMISSIONE EUROPEA: “NORMATIVA ITALIANA SIA UNIFORMATA A QUELLA COMUNITARIA” SULLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE
Sono più di 3.200 i cittadini, tra cui ricercatori, studenti, pazienti e loro familiari, assieme a 37 enti pubblici e privati (Università, Istituti di Ricerca e Associazioni di Pazienti), che hanno sottoscritto la lettera (http://tinyurl.com/jqxwjyk ), promossa da Research4Life, indirizzata alla Commissione europea, DG Ambiente, per chiedere che la normativa nazionale italiana sulla sperimentazione animale venga uniformata a quella dell’Unione Europea. E’ necessario, infatti, a parere di Research4Life e di tutti coloro che hanno sostenuto l’iniziativa che l’Italia ritorni sui suoi passi e adotti la Direttiva 63/2010/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici nella sua versione originale, eliminando quelle restrizioni che non consentono ai nostri ricercatori di indagare su soluzioni per bisogni di cura ad oggi insoddisfatti. A causa di questo divieto, verrebbe impedita la prosecuzione delle ricerche finalizzate alla generazione di organi perfettamente compatibili con l’organismo ricevente (umano) da destinare quindi ai trapianti di organi nell’uomo, a partire dall’inserimento mediante iniezione di cellule staminali indotte in un animale ospite e si impedirebbe la produzione di valvole cardiache biologiche derivate da maiale, bloccando le cure delle stenosi aortiche e delle valvole cardiache. Il divieto di utilizzo di animali per le ricerche su sostanze d’abuso causerà, invece, “la conclusione di qualsiasi ricerca volta ad indagare i meccanismi di azione di tali sostanze, le quali stanno diventando sempre più diffuse, con effetti devastanti, in termini di danni permanenti (ad esempio, la sindrome da astinenza neonatale, causata dall’utilizzo di sostanze stupefacenti/farmaci durante la gravidanza). Più in generale, sarà messa in pericolo la ricerca sui disturbi alimentari, quali la bulimia e l’anoressia”. (Fonte: http://www.quotidianosanita.it , AdnKronos Salute 05-02-16)

LA MEDICINA È FALLIMENTARE SENZA TEST SUGLI ANIMALI
Nel parlare di sperimentazione animale in Italia, si è ancora legati a un immaginario novecentesco, quando conoscenze imprecise rendevano necessari più animali. I pochi metodi “alternativi", più correttamente "complementari", sono usati se razionalmente utili e scientificamente validi, e non c'è bisogno di raccomandarne l'uso. È implicito. Ma per il 99,9% degli esperimenti non esistono alternative (abbiamo presente la complessità dei corpo umano?). Ma grazie alla scienza abbiamo imparato a calibrare numeri, dosi e funzioni, evitando ogni sofferenza all'animale. La scienza procede in questa direzione di continua tensione etica e di responsabilità. Ora tocca agli animalisti. Se oggi curiamo malattie infettive mortali, attenuiamo dolori lancinanti, stabilizziamo l'umore, salviamo i nostri figli e portiamo a remissione alcune forme di cancro, lo dobbiamo al lavoro svolto anche sugli animali. E dovremmo riconoscerlo. Almeno sull'etichetta dei farmaci, come è stato proposto da alcuni parlamentari. Ci si può anche “non curare” per coerenza o per una scelta “di precisione” etica. La stessa che si chiede ai politici che vogliono legittimamente opporsi alla sperimentazione animale: siano “precisi” nello spiegare praticamente ai malati a quale destino li si consegna e lo siano anche nelle parole, evitando di manipolare la realtà inventandosi la pratica (inesistente) della “vivisezione”. Fanno bene i giovani di Pro-test a reagire. Dovrebbero farlo anche tutte le Eleonora d'Italia che, con stipendi da mille entro e orizzonti professionali cancellati, si caricano della responsabilità di trovare cure per malattie complesse. Affezionandosi anche ai loro topolini. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 09-02-16)

INCONTRI E DIBATTITI PUBBLICI PER RIAFFERMARE IL RUOLO STRATEGICO DELLA RICERCA E DELL’ALTA FORMAZIONE. APPUNTAMENTO AL 21 MARZO
In ogni sede delle università italiane, statali e non statali, il 21 marzo si terranno incontri e dibattiti
pubblici per riaffermare il ruolo strategico della ricerca e dell’alta formazione per il futuro del Paese.
Verranno discusse e raccolte idee e proposte da consegnare al Governo in un documento di sintesi unitario redatto dalla conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). Dal 2008 il sistema universitario italiano è soggetto a tagli lineari e progressivi delle risorse. Una scelta politica trasversale che, in coincidenza con la drammatica crisi globale e l’adozione di una radicale riforma organizzativa, si è tradotta nella perdita di oltre 10.000 posizioni di ruolo solo tra quelle per docenti e ricercatori, ovvero tagli superiori al 13% del totale quando la media nel settore pubblico è stata ad oggi del 5%. Ma non solo. I tagli continui al fondo di finanziamento ordinario, l’assenza di un convinto investimento pubblico e privato nella ricerca e nell’alta formazione universitaria hanno determinato l’impossibilità di avviare nuovi percorsi di ricerca e di alta formazione, di investire in servizi e attività per gli studenti e nell’internazionalizzazione, di valorizzare il contributo della struttura tecnica e amministrativa. Ma soprattutto hanno significato l’impossibilità di reclutare studiosi giovani e meritevoli, il congelamento delle carriere e delle opportunità di crescita professionale, una condizione retributiva che disincentiva i migliori a restare e allontana i giovani talenti e gli studiosi stranieri, l’indebolimento del già precario e fragile diritto allo studio che sta riducendo iscritti e laureati. Ciò nonostante, il valore e la competitività scientifica delle nostre università sono rimaste forti. E uniche tra le amministrazioni pubbliche, le università sono finanziate sulla base dei costi standard e degli esiti delle valutazioni scientifiche.
La società e l’opinione pubblica di tutto questo sanno poco. Non esiste sufficiente consapevolezza del valore, per il Paese, delle sue Università, anche rispetto al confronto internazionale, nonché del
rischio di mettere, seriamente e definitivamente, in crisi un sistema che, nonostante tutto, continua a funzionare. (Fonte: Redazione Roars 09-02-16)

I NOSTRI SCIENZIATI SONO MOLTO BRILLANTI MA IL PAESE NON È AMICHEVOLE CON LORO
“Ci stiamo facendo sfuggire i nostri migliori ricercatori, non riusciamo a rimpiazzare i docenti che vanno in pensione, non attraiamo ricercatori dall’estero e perdiamo di competitività rispetto agli altri paesi europei. In breve, l’Italia non è un paese amichevole per i ricercatori. La diminuzione dei finanziamenti nazionali, che dovrebbero servire per pagare gli stipendi di ricercatori e professori universitari, fa sì che si debbano coprire queste spese con i fondi europei, che invece dovrebbero essere utilizzati per l’acquisto di attrezzature e per l’allestimento di laboratori. L’aspetto più paradossale è che i nostri scienziati sono molto brillanti: gran parte dei finanziamenti europei viene assegnata, effettivamente, a ricercatori italiani. Che però vivono e lavorano all’estero: i fondi, dunque, non rientrano in Italia. Due aneddoti emblematici: nel 2007 c’è stato un concorso per 7 posti da ricercatore in meccanica statistica al Cnrs francese. 4 dei vincitori erano italiani. La commissione stessa era composta per la maggior parte da scienziati italiani. In un altro concorso per una cattedra di fisica teorica a Londra, sono stati ammessi alle selezioni finali 6 candidati su 40. Tutti e 6 erano italiani”. (Fonte: S. Iannacone, intervista a G. Parisi, http://tinyurl.com/hsw7u6t  10-02-16)


VALUTAZIONE DELLA RICERCA

UNA VALUTAZIONE RIGOROSA DEI PROGETTI DI RICERCA ASSOLUTAMENTE INDIPENDENTE DALLA POLITICA
Per decenni i nostri governi hanno trascurato il ruolo della scienza e della ricerca e i guasti accumulati negli anni sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo il numero di ricercatori per milione di abitanti più basso in Europa e la “bilancia dei pagamenti UE nel settore ricerca” ha un saldo ampiamente negativo. Abbiamo gli investimenti pubblici fra i più esigui del mondo e una continua emorragia di capitale umano. Ciononostante, i nostri  ricercatori non sono affatto inferiori ai colleghi stranieri  e, quando messi nelle condizioni di operare, si distinguono per la qualità della ricerca, per creatività e spirito di iniziativa. In altre parole investiamo nella preparazione dei nostri talenti ma poi li regaliamo ad altri paesi.  Per “invertire la rotta” e valorizzare i nostri giovani ricercatori occorrono investimenti, ma, soprattutto, occorre attenzione dal mondo della politica che deve avere una visione che trascenda i risultati immediati per puntare al lungo periodo. Occorre rilanciare la ricerca di base, potenziare la ricerca universitaria e costituire un’Agenzia Nazionale che attribuisca i fondi con  una valutazione rigorosa dei progetti assolutamente indipendente dalla politica. (Fonte: P. Caraveo, http://www.media.inaf.it  01-02-16)

VQR (VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA RICERCA) E RECUPERO SCATTI STIPENDIALI
È vero che il vettore più robusto della protesta è quello legato agli scatti stipendiali, ma i rettori, prima di chiedere alle loro truppe di entrare coraggiosamente nel labirinto di IRIS, codici ERC, Subject Category WOS e Scopus, dovrebbero rispondere con solidi argomenti (naturalmente da sottoporre a rigorosa peer review) e non con un glaciale silenzio a coloro che contestano gli effetti di sistema di questa modalità di valutazione. È chiaro che si tratta di un confronto ancora più difficile di quello con il Governo, perché taglia e ferisce dall’interno il mondo accademico. Tutti i professori sarebbero in fondo contenti di “recuperare” i loro scatti. Solo una parte pensa che i fenomeni denunciati nella petizione stopvqr (http://firmiamo.org/stopvqr/ ) siano reali, che abbiano nella VQR una delle loro cause principali e che costituiscano un danno di misura tale da giustificare un radicale ripensamento di uno strumento giudicato tanto prezioso per stimolare finalmente efficienza e produttività. È anzi possibile che queste siano le tesi di una trascurabile minoranza. Ma i rettori fanno male ad ignorare coloro che le sostengono a viso aperto. Non sono sabotatori. Non si fermeranno e continueranno a difendere un’idea diversa di università, perché l’alternativa a questa VQR non è la vecchia logica del privilegio e dell’irresponsabilità. (Fonte: S. Semplici, Roars 02-02-16)

VQR II. LA CRUI CHIEDE UNA PROROGA
La CRUI scrive al ministro Giannini e al presidente dell’ANVUR chiedendo «chiari criteri definiti a priori dall’ANVUR e comunicati da questa agli Atenei in tempi certi e utili al loro utilizzo, senza ulteriori variazioni nei contenuti in itinere». La CRUI «ha anche predisposto una struttura di supporto, con una procedura software sviluppata ad hoc, per coadiuvare le attività di selezione degli Atenei … Tale procedura diventa però operativa solo da oggi, per il ritardo del rilascio di alcune informazioni da parte dell’ANVUR». «Un’ulteriore preoccupazione è legata all’influenza della VQR 2011-2014 sui tempi di attribuzione del FFO 2016 e di attuazione dei provvedimenti previsti nella Legge di Stabilità». Ma la conclusione del processo, prevista al 31 ottobre 2016 «appare incompatibile con l’impegno del MIUR, fortemente apprezzato dalla CRUI, di avere una comunicazione dei dati del finanziamento e del turnover nel primo semestre dell’esercizio finanziario corrente». Per tutti questi motivi … la CRUI «chiede una proroga al 30 aprile al fine di permettere l’inserimento consapevole e corretto dei dati da parte degli atenei, altrimenti impossibile». (Fonte: Redazione Roars 04-02-16)

DECLARATION ON RESEARCH ASSESSMENT, DORA
I risultati di un’analisi fatta sulle citazioni del 2014 ad articoli pubblicati su Nature nel 2012 e nel 2013 (1944 per la precisione) sono stati pubblicati sul suo blog da Bernard Rentier, biologo e virologo, rettore dell'università di Liegi dal 2005 al 2014. Ricordiamo che il valore dell'IF si ottiene dividendo il numero di citazioni di un determinato anno agli articoli dei due anni precedenti apparsi su una determinata rivista, per il numero degli articoli pubblicati in quella rivista. I risultati confermano quanto già scoperto nel secolo scorso da Bradford, Lotka e Zipf, il problema è che troppo spesso decisori istituzionali e politici se ne dimenticano.
In 2013, the American Society for Cell Biology and several scientific journals launched the San Francisco Declaration on Research Assessment, DORA, meant to put an end to the ridiculously unscientific practice of using the impact factor of journals to assess individual researchers or research groups or even institutions. According to the original text, this practice creates biases and inaccuracies when appraising scientific research. The impact factor must no longer be considered as «a measure of the quality of individual research articles, or in hiring, promotion, or funding decisions». (Fonte: Redazione Roars 03-02-16)

SALVATORE SETTIS SU VALUTAZIONE DELLA RICERCA E CREDITI FORMATIVI
“Un professore si giudica dai risultati, da come fa lezione agli allievi. Nel caso di un professore universitario c’è la ricerca. Che poi viene spesso valutata male”, attacca l’ex direttore del Consiglio Superiore dei Beni Culturali in un’intervista rilasciata a Linkiesta. “L’Anvur valuta gli articoli senza leggerli – spiega Settis – Se esce in una cosiddetta rivista di serie A viene valutato bene, se no niente. E’ una sciocchezza: molti ottimi articoli specialistici escono in riviste di serie B o di serie C. Questo è un modo di ragionare che può uccidere la ricerca universitaria”. E sull’introduzione di metodi di valutazione quantitativa sempre più stringenti, in primis sulla necessità di contare con precisione il monte ore necessario a preparare una lezione o quello utile agli studenti per apprendere una disciplina, Salvatore Settis afferma: “Nessuno lo può conteggiare. Ma si rende conto che col sistema assurdo dei crediti formativi all’università (CFU) si pretende di conteggiare il tempo che ci vuole a imparare un certo libro? Magari un libro di cento pagine io lo posso imparare in due ore e lei in mezz’ora. Abbiamo un sistema di valutazione che mortifica la diversità tra gli esseri umani. Valutare in base alle ore presunte è una solenne sciocchezza. Questa è la vera perversione che sta facendo danni enormi, e ne farà sempre di più”. (Fonte: intervista a S. Settis, http://www.corriereuniv.it  08-02-16)


STUDENTI

ERASMUS+ E UNIVERSITÀ ITALIANE 
Le prime cinque università italiane per studenti in uscita sono l’Università degli Studi di Bologna, l’Università degli Studi di Padova, l’Università degli Studi di Roma “Sapienza”, l’Università degli Studi di Torino e l’Università Statale di Milano. Dal punto di vista dell’accoglienza, invece, le università italiane che ospitano più studenti dall’estero sono l’Università degli Studi di Bologna, l’Università degli Studi di Roma “Sapienza”, l’Università degli studi di Firenze, il Politecnico di Milano e l’Università degli Studi di Padova. Integrando i dati sui risultati raggiunti dall’Erasmus+ e quelli AlmaLaurea sulle esperienze di studio all’esterno, emerge che gli studenti italiani prediligono destinazioni come Spagna (26%), Francia (12%), Germania (10%), Regno Unito (8%) e Portogallo (4,1%). Chi invece decide di trascorrere il periodo di mobilità in Italia sono soprattutto universitari che arrivano da Spagna, Francia, Germania, Turchia e Polonia. L’indagine AlmaLaurea sul Profilo dei laureati 2014 mostra che l’esperienza di studio all’estero è appannaggio del biennio magistrale. Nel dettaglio, fra i laureati magistrali, il 13,4% ha svolto l’esperienza nel secondo biennio, mentre un numero assai inferiore di studenti, 5,3%, ha optato per il  triennio. La partecipazione ai programmi di studio all’estero varia naturalmente anche in funzione della disciplina di studio: il 31% dei laureati proviene dall’area linguistica, il 19% da percorsi che afferiscono agli indirizzi di medicina e odontoiatria; in tutti gli altri gruppi disciplinari la mobilità coinvolge meno del 15% dei laureati. Il focus della Commissione Europea sull’impatto della mobilità Erasmus in termini di occupabilità, competenze e carriera dimostra che gli studenti provenienti dai Paesi del Sud dell’Europa (quindi anche l’Italia) hanno beneficiato maggiormente della mobilità, riducendo così i tempi di disoccupazione. Infatti, il 51% degli italiani ha ricevuto un’offerta di lavoro dall’impresa europea in cui veniva svolto il tirocinio. L’esperienza di mobilità influisce anche sullo spirito imprenditoriale dei giovani italiani: il 32% è intenzionato ad avviare una start-up e il 9% l’ha già realizzata. (Fonte: AlmaLaurea 30-01-16)

IMMATRICOLAZIONI IN RIPRESA
Oltre 9 mila matricole in più nell’anno accademico 2015 – 2016. I numeri sono stati anticipati da un’inchiesta del quotidiano La repubblica che ha intervistato 70 dei 77 atenei presenti nel nostro Paese: dopo circa 10 anni di calo e un conseguente -20% di immatricolazioni, nell’anno in corso cresce il numero di nuovi studenti universitari. Nello specifico, sulle 70 Università che hanno accettato il confronto con l’a.a. precedente, 45 atenei risultano in crescita, 23 sono in calo, e 2 registrano lo stesso numero di nuove matricole del 2014-2015. Un totale di 9.728 matricole in più, per una crescita del 3,2% sul totale. Com’era facile aspettarsi, sono gli atenei del Nord a crescere maggiormente: tutte le Università milanesi registrano il segno più (Statale +0,8%; Bicocca +0,9%; Cattolica +3%; Iulm +12%); bene anche Torino (+ 8%), Venezia e Bologna; crescita record per Parma (+22,5%) e Modena-Reggio. Segno positivo anche per Roma Sapienza (+1,2%) che però “ruba” iscritti alle altre università della capitale, tutte in calo. Al Centro si distinguono anche le Università di Perugia, quella di Macerata e Camerino. Il segnale più atteso, però arriva dal Sud che, sebbene registri ancora il maggior numero di atenei in difficoltà, riesce ad attrarre nuovi studenti nelle università locali: l’Università di Bari, su tutte, segna il record positivo con un +19,2%, seguita da quella di Catania (+11,4%). Crescono anche l’Università del Molise, quella di Salerno, Cagliari e la storica Federico II di Napoli (di solo 116 studenti). Molto male l’Aquila, che su un totale di poco meno di 4 mila studenti registra un calo di 705 matricole. (Fonte: http://www.corriereuniv.it  18-01-16)

GLI IMMATRICOLATI ALLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE SUPERANO PER LA PRIMA VOLTA QUELLI DELLE AREE UMANISTICHE
Per la prima volta gli iscritti alle facoltà scientifiche superano, anche se non di molto, quelli delle aree umanistiche. La causa di questo cambiamento è da rintracciare in una crisi che ha reso il mondo del lavoro sempre più selettivo e globalizzato, e in cui le lauree scientifiche sono sicuramente più spendibili delle altre. In generale, negli ultimi dieci anni, le iscrizioni alle università sono scese di quasi il 20% e le matricole sono arrivate a essere circa 65mila in meno. La facoltà che ha perso più iscritti in assoluto è Geografia (-78,4%), seguita da Beni culturali (-47,1%), Giurisprudenza, Sociologia e Scienze della Comunicazione (-45%), Scienze dell’educazione e della formazione (-43,1%), Storia e Scienze del turismo (-37%), Scienze e tecniche psicologiche (-32,6%), Filosofia (-22%) ed Economia e Scienze politiche (-10%). Nell’ambito delle materie umanistiche, fanno eccezione solo le facoltà di Lingue e culture straniere che, nell’ultimo decennio, sono risultate ancora un polo d’attrazione per gli studenti le cui iscrizioni sono aumentate di oltre il 12%. Le facoltà dell’ambito scientifico resistono meglio: primo fra tutti il corso di laurea in Chimica che ha registrato un aumento del 46,2% delle iscrizioni. Crescono anche gli iscritti di Scienze e tecnologie fisiche e di Scienze motorie. Sorprende, invece, il risultato negativo di Scienze e tecnologie informatiche che ha perso il 21% degli immatricolati rispetto allo scorso decennio. (Fonte: M. Silvestre, http://www.iostudionews.it 02-02-16)

ERASMUS +. 650.000 BORSE DI STUDIO FINANZIATE NEL 2014
I dati resi noti dalla Commissione europea rivelano che nel 2014 Erasmus+ ha registrato una nuova cifra record di borse di studio finanziate, ben 650mila. Dall’Italia sono partite 57.832 persone per studiare, svolgere tirocini o progetti di volontariato all’estero, grazie a un finanziamento totale pari a quasi 93 milioni di euro. Le organizzazioni coinvolte nel nostro Paese sono state 791 con 118 partnership strategiche stipulate con finanziamenti per oltre 30 milioni di euro. Il nuovo Erasmus+ ha spianato la strada ai primi prestiti per studenti che desiderano seguire un corso di laurea magistrale all’estero. Per la prima volta il programma ha finanziato anche progetti di sostegno alle politiche che hanno coinvolto autorità pubbliche e organizzazioni internazionali e ha assegnato finanziamenti a progetti nel settore dello sport. Migliora anche il riconoscimento degli studi svolti all’estero dopo il ritorno nel paese di origine e si sta lavorando per aumentare l’integrazione della mobilità degli insegnanti e del personale in strategie di sviluppo professionale sostenute dai rispettivi istituti. Erasmus+ ha reso disponibile il sostegno finanziario più ampio mai erogato per partecipanti che dispongono di minori mezzi finanziari o hanno esigenze speciali. Un ulteriore importo di 13 milioni di euro è stato impegnato, per il 2016, per finanziare progetti intesi ad affrontare questioni quali l’inclusione sociale delle minoranze, dei migranti e di altri gruppi sociali svantaggiati. Aumentato infine il numero delle opportunità di tirocinio e apprendistato offerte nell’ambito del programma. La Commissione ha anche diffuso le statistiche sulla mobilità degli studenti e del personale per l’ultimo anno accademico (2013-2014) del precedente programma Erasmus per l’istruzione superiore. Dall’Italia, per l’anno accademico 2013-2014 sono partiti 26.331 studenti, mentre ne sono arrivati nel nostro Paese 20.204. Le università da cui parte il maggior numero di studenti sono quelle di Bologna, Padova e Sapienza di Roma. A ricevere più studenti è sempre Bologna, seguita da Sapienza di Roma e dall’Università di Firenze. I nostri studenti partono soprattutto per Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e Portogallo, mentre a scegliere l’Italia come destinazione sono soprattutto spagnoli, francesi, tedeschi, turchi e polacchi. (Fonte: http://www.eunews.it  26-02-16)

ERASMUS+. SUCCESSO DEI GIOVANI ITALIANI
«Il 51% dei ragazzi italiani dopo il tirocinio Erasmus+ riceve un’offerta di lavoro dall’impresa che l’ha ospitato. La media europea è del 30%». Sorprendente? Per nulla. Importante? Ovviamente. Motivo d’orgoglio? Certo. Alcuni Paesi — più abili o più lungimiranti: fate voi — hanno capito la preparazione e l’elasticità mentale dei giovani italiani, e hanno cominciato a reclutarli in modo sistematico. Il drenaggio dei nostri medici verso la Svizzera, la Germania e in Regno Unito è evidente. Noi li formiamo e li educhiamo, a un costo collettivo non indifferente. A Basilea, Bellinzona, Londra e Monaco di Baviera gli danno un lavoro: e se li tengono. Qualcuno dirà: si chiama Europa! Vero: ma l’Europa è una rotatoria, non un senso unico. Un modo per trattenere i giovani italiani e attirare i giovani stranieri esiste, ovviamente. Basta coinvolgerli, e smettere di pensare che occorra avere 40 anni per proporre cose sensate. Basta retribuirli adeguatamente, quando le proposte diventano un lavoro (medici e ingegneri guadagnano il 30% in meno rispetto alla Germania). Basta gratificarli, assegnando ruoli, gradi e qualifiche opportune. Il «sentimento italiano senza nome» di cui parlava Goffredo Parise — la trama sensuale e imprevedibile della nostra vita quotidiana — farà il resto.
Diciamolo: è ora di cambiare. Da anni l’Italia s’è inventata un nuovo masochistico sport: il salto triplo generazionale. I nostri ragazzi lasciano il sud, rimbalzano a Milano o a Torino e finiscono sparsi per l’Europa. Oppure partono da Piemonte, Lombardia e Veneto e finiscono prima a Londra poi negli USA o in Asia. Molti non torneranno. Li abbiamo educati e delusi: ci meritiamo quanto è accaduto. Ma non è tardi per rimediare. Ripetiamolo: basta apprezzarli, motivarli, pagarli. (Fonte: B. Severgnini, CorSera 29-01-16)


TEST D'INGRESSO. IL CALENDARIO
Il Ministero ha reso noto il calendario dei test d'ingresso alle facoltà (corsi) ad accesso programmato per l'anno accademico 2016-2017. Si comincia il 6 settembre con gli studenti interessati a iscriversi a Medicina e Odontoiatria. Il giorno successivo toccherà agli aspiranti medici veterinari mentre l'8 settembre a cimentarsi con i quiz saranno i futuri architetti. La settimana successiva, il 13 settembre, si cimenteranno con le prove selettive i ragazzi orientati a immatricolarsi in uno dei corsi di professioni sanitarie (fisioterapia, logopedia, ostetricia ecc..). Il 14, infine, i diplomati che vogliono seguire il corso in Medicina in lingua inglese.

SITUAZIONE DEGLI STAGE. 20 MILA STUDENTI AL MESE A CACCIA DI UN TIROCINIO
La contabilità annuale degli stagisti (laureandi) è di 250mila. Circa la metà del montante complessivo di tirocini attivati ogni anno (500mila) dalle università, dalle aziende, dalle agenzie per il lavoro, dalle regioni, comprensivi degli stagisti non curriculari: i laureati e i diplomati a caccia di un'occupazione. Che, nell'attesa, provano ad inserirsi in azienda con questo strumento formativo, pur senza aver strappato un contratto vero e proprio. Qualcuno malignamente anni fa definì la nostra una repubblica fondata sugli stage. A quasi 20 anni dalla normativa che la istituì (il decreto ministeriale 142 del 1998) siamo ancora di fronte a un caos indistinto. Di norme. Di regolamenti regionali. «Ognuno in ordine sparso», mette nero su bianco Adapt, l'associazione fondata da Marco Biagi molto attiva per i suoi studi comparativi sul lavoro. La frammentazione è evidente, ad esempio, sul rimborso spese. Normato soltanto per i tirocini extracurriculari, dopo anni di vacatio legislativa. Inesistente per gli stage durante il periodo universitario e anche nelle scuole superiori a seguito della rivoluzione inaugurata dalla riforma della «Buona Scuola» che prevede percorsi di alternanza tra i banchi e in azienda.
«Stiamo assistendo a una deludente divisione degli stage di serie A e di serie B», denuncia Eleonora Voltolina, direttore della “Repubblica degli Stagisti”. Con un'affannosa corsa delle imprese a prendere stagisti laureandi in modo da non dover loro corrispondere nulla. Per gli altri l'indennità di partecipazione è compresa tra i 300 e i 600 euro mensili. Altro tema è la difficoltà con la quale le università cercano contatti per i laureandi. La sensazione è che gli uffici deputati a questo ruolo siano molto sotto-dimensionati. Alla «Sapienza» di Roma non c'è un completo coordinamento tra i vari dipartimenti. Ecco perché le università private finiscono per fare la parte del leone. La Luiss a Roma ha attualmente almeno 200 posizioni aperte di tirocinio al mese destinate ai suoi studenti, la Bocconi (è una stima approssimativa) è a 300. La Statale sfiora quota 500. In totale — considerando il variegato mondo universitario italiano — ci sono in media 20 mila studenti al mese a caccia di un tirocinio. Per pochi di loro c'è un vero supporto. (Fonte: F. Sabelli, CorSera 26-01-16)

NUMERO CHIUSO. TRE RAGIONI PER MANTENERLO E ACCRESCERLO
Nelle ultime tre stagioni l'Università di Milano-Bicocca ha portato i corsi di laurea a numero chiuso da ventuno a trentaquattro: oggi sono più della metà. Cristina Messa, rettore da giugno 2013, parla di questa scelta come di un obbligo: «Dal 2008 al 2015, l'ateneo ha perso ottantotto tra docenti e ricercatori di ruolo. Continuare a offrire gli stessi corsi a un numero così largo di studenti non era più possibile. Abbiamo dovuto riprogrammare le scelte, a malincuore». Tra quantità e qualità si è
scelta la seconda. «Necessariamente. La quantità degli studenti è un fattore importante, ma gli atenei di medie dimensioni hanno avuto un'emorragia di professori profonda». C'è stato un effetto contagio sul piano didattico? «Quando abbiamo chiuso il corso di Chimica, molti studenti si sono riversati su quello più affine, Scienze dei materiali. E la richiesta è diventata tale che si è dovuto limitare anche quest'ultimo. Una scelta di ripiego, che danneggia l'ateneo». Perché? «Abbiamo dovuto limitare aree che garantivano sbocchi occupazionali. Programmare là dove non c'è lavoro è logico, chiudere corsi che poi servono alle imprese è un controsenso. Le scelte della Bicocca sono sempre andate nella direzione di aprirsi allo studente, fino a quando è stato possibile». Ci sono aspetti positivi nella crescita del numero programmato in Italia? «Si alza un po' il livello di preparazione, si seguono meglio le singole classi e si riduce l'abbandono universitario». (Fonte: C. Zunino, La Repubblica 28-01-16)

UN COLPO AL NUMERO CHIUSO O ALLA SANITÀ PUBBLICA?
Sui 9mila iscritti in sovrannumero all'anno accademico 2014/2015 il Tar del Lazio ha sciolto la riserva. In questo modo, ai circa 10mila ammessi attraverso il quizzone ministeriale, se ne aggiungono altri 9mila che hanno fatto ricorso, vincendolo. In tutto, 19mila ammessi a Medicina contro i 10mila previsti dal Miur. Il sistema del numero chiuso riceve un altro duro colpo. La notizia della sentenza è stata data dall'Unione degli universitari che parla di "vittoria storica". Quella del 2014 è stata una delle selezioni per Medicina più discusse di sempre. La prova, tra le proteste di genitori e studenti delle superiori, si svolse i primi di aprile in piena attività di preparazione alla maturità. Il giorno della prova nazionale a Bari un plico contenente i quiz venne manomesso: dei 50 test ne mancava all'appello uno. La commissione che si accorse del fatto denunciò immediatamente la cosa. Ma il responsabile della manomissione non fu mai trovato. Fu abbastanza facile, per gli avvocati specializzati nei ricorsi per l'eccesso a Medicina, trovare validi motivi per annullare le bocciature di tantissimi ragazzi che non riuscirono a passare la prova. Ieri la sentenza definitiva. (Fonte: FQ 04-02-16). 
Continua così la via italica (unica al mondo) di immissione giurisprudenziale dei bocciati al test di ammissione ai corsi di medicina. Se può chiamarsi “vittoria storica” forzare le entrare in aule, laboratori e corsie dove il numero programmato degli ammessi è funzionale a una professione che ha come oggetto la salute. Un colpo al numero chiuso o alla sanità pubblica?

TRE NOTIZIE PER DISTINGUERE STUDENTI BRILLANTI E FRUSTRATI
Prima notizia. I corsi di Medicina dell'università romena Dunarea de Jos di Galati, che si svolgono a Enna, promossi dal Fondo Proserpina (di cui è amministratore l'ex-senatore Pd Vladimiro Crisafulli), sarebbero legali: un giudice civile ha rigettato il ricorso presentato dall'Avvocatura distrettuale dello Stato. Seconda notizia. La facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Catania ha perso l'81% degli iscritti in dieci anni: da 1.203 a 226. Secondo la classifica del Sole24Ore l'ateneo siciliano è il meno attraente d'Italia: solo 0,3% degli studenti viene da fuori Regione. Terza notizia. Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di circa 9.000 studenti che, non avendo superato il test d'ingresso alla facoltà di Medicina nel 2014, hanno scelto le vie legali per ottenere l'iscrizione. Di qui gli studenti brillanti, che ci consentono di fare bella figura in Europa (dopo il tirocinio Erasmus+, il 51% dei ragazzi italiani riceve un'offerta di lavoro, la media europea è del 30%). Di là quelli che si trascinano tra frustrazioni, formalismi e ricorsi. (Fonte: B. Severgnini, CorSera 04-02-16)

IL NUOVO ISEE. SENZA MODIFICHE MOLTI STUDENTI TAGLIATI FUORI DAI BENEFICI DEL DIRITTO ALLO STUDIO
Il tavolo convocato dal MIUR sulla questione ISEE è la promessa (finora) non mantenuta dal Ministero. Se restassero così le cose e non si procedesse a modificare i parametri ISEE e ISPE, molti studenti resterebbero tagliati fuori dai benefici del diritto allo studio: stiamo parlando dei cosiddetti 'esodati'. E a nulla sarà servito l'ulteriore finanziamento di 55 milioni di euro sul diritto allo studio nella legge di stabilità 2016. "Siamo felici che le deputate Ghizzoni e Lenzi abbiano presentato un’interrogazione alla Camera per risolvere il problema del conteggio delle borse e degli altri benefici all’interno del calcolo ISEE - dichiara la coordinatrice RUN, Rebecca Ghio - occorre che il governo risponda a questa e a tutte le altre domande aperte. Ancora non sono state date nemmeno le indicazioni per i bandi del secondo semestre, utili a recuperare tutti colori che erano stati “puniti” ingiustamente dal nuovo indicatore, e rimane aperta la questione del calcolo del patrimonio, che continua a essere sproporzionato rispetto al reddito". (Fonte: CorSera 26-01-16)

BORSE DI STUDIO. SOGLIA ISEE A 23.000 EURO
La prima riunione convocata dal ministero per provare a definire i nuovi livelli essenziali per il diritto allo studio si è concentrata innanzitutto sull’emergenza di quest’anno: la tagliola del nuovo ISEE che con i nuovi criteri di calcolo sta escludendo dai benefici previsti dal diritto allo studio (borse ma anche altri servizi) migliaia di studenti in tutta Italia. Un’ingiustizia contro la quale anche la legge di stabilità ha provato a correre ai ripari stanziando 55 milioni in più. Per arginare l’effetto del nuovo ISEE, che quest’anno rischia di escludere dalla borsa di studio fino al 20% degli studenti, si starebbe concretizzando l’obiettivo, già entro fine febbraio, di rivedere al rialzo la soglia massima dell'Isee per l'accesso alle borse: il nuovo decreto del Miur, stando a quanto pubblica Il Sole 24 Ore, dovrebbe portarla a 23.000 euro (oggi è 21.000). (Fonte: P. Almirante, http://www.tecnicadellascuola.it 16-02-16)

LA RIFORMA COSTITUZIONALE POTREBBE RISTATALIZZARE IL DIRITTO ALLO STUDIO
Il DDL Boschi approvato in seconda deliberazione dal Senato della Repubblica nella seduta pomeridiana del 20 gennaio appena passato potrebbe mutare la ripartizione delle competenze rispetto al DSU. Qualche commentatore ha parlato di «ristatalizzazione» del diritto allo studio universitario fino a paventare l’ipotesi di revisione del DLgs 68/2012. Decreto legislativo quest’ultimo, facente parte della riforma Gelmini, per la parte dedicata al DSU. Qualcosa senza dubbio cambia. Per effetto del nuovo articolo 117 della Costituzione alle Regioni toccheranno, infatti, solo i compiti di “promozione del diritto allo studio, anche universitario” mentre sarà affidata allo Stato centrale la definizione degli aspetti costitutivi del diritto allo studio universitario: dai principi e dalle regole di organizzazione del sistema all’assegnazione di borse, assegni e altre provvidenze. (Fonte: http://www.iostudionews.it 05-02-16)


VARIE

I RETTORI DEGLI ATENEI SICILIANI SUL CASO ENNA: “VICENDA CHE RISCHIA DI METTERE IN DISCUSSIONE LA CREDIBILITÀ DEL SISTEMA UNIVERSITARIO"
"La sentenza del Tribunale di Caltanissetta, riguardante l’attivazione del corso di studi in Medicina a Enna (corso dell'università romena Dunarea de Jos, di Galati, che si svolge a Enna), non modifica di certo la posizione che abbiamo assunto sin dall’inizio su questa vicenda. Il provvedimento giudiziario non entra nel merito e, soprattutto, non risolve le perplessità legate alla valenza delle attività formative". Ad affermarlo, in una nota congiunta, sono Fabrizio Micari, Pietro Navarra e Giacomo Pignataro, rettori delle tre Università siciliane di Palermo, Messina e Catania.
"Ribadiamo, pertanto, la forte preoccupazione per lo svolgimento di corsi di studi che non sono stati sottoposti ad alcun processo di accreditamento e la cui qualità, quindi, non è stata in alcun modo certificata dal nostro sistema universitario, al contrario di quanto avviene per tutti gli altri corsi di studi attivati in Italia". "Continuiamo a chiederci - prosegue la nota dei Rettori - come si possano erogare corsi di area medica in assenza di quelle strutture sanitarie in cui gli studenti possono sviluppare i percorsi di apprendimento, affiancando esperienze pratiche alle nozioni teoriche apprese in aula. Condividiamo pienamente la nota attraverso la quale il ministro Giannini, ancora una volta, esprime con fermezza la necessità di tutelare il sistema universitario italiano e con esso – aggiungono – i diritti e le capacità di quegli studenti che per essere ammessi a corsi di medicina hanno superato una selezione nazionale". "Confidiamo che in breve tempo possa essere risolta una vicenda che rischia di mettere in discussione la credibilità di quel sistema sui cui princìpi le università italiane - concludono Micari, Navarra e Pignataro - attraverso sforzi quotidiani e investimenti, stanno costruendo i propri progetti di sviluppo". (Fonte: http://www.uninews24.it  06-02-16)

I PROFESSORI UNIVERSITARI ORDINARI UNDER 40 IN ITALIA SONO SOLO SEI
Questo dato è stato fornito dal Miur, che l’ha ricavato dalla Banca dati dei docenti di ruolo del 2014. Su 13.263 professori ordinari, i titolari di cattedra in atenei statali con meno di 40 anni non arrivano a dieci e l’innalzamento dell’età media prosegue da 25 anni. Stando alle statistiche contenute nell’ultimo Rapporto Anvur sullo stato del sistema universitario e della ricerca, infatti, per gli ordinari la media è di 59 anni, 53 per gli associati, 46 per i ricercatori. Unica nota positiva è la presenza femminile, che è cresciuta in 25 anni da 26 a 36 docenti ogni 100. Ma fra i 6 fortunati giovani titolari di cattedre non ci sono donne. È stato il periodico “L’Espresso” ad individuarli uno per uno. Sono tutti nati nel 1976 e insegnano a Palermo, a Sassari, a Napoli, a Messina e a Bologna, quasi tutti discipline economiche e giuridiche. (Fonte: skuola.net  06-02-16) 

FORTI CRITICHE DELLA FLC-CGIL ALLE POLITICHE UNIVERSITARIE
Oltre all'allarme rispetto al definanziamento, si punta il dito contro l'ANVUR (l'Agenzia di Valutazione Nazionale del sistema Universitario e della Ricerca), giudicata un problema più che una soluzione "per il ruolo abnorme che ha assunto e per le metodologie adottate nella valutazione la cui funzione originale è mutata da quella di incentivare il miglioramento del sistema a quella di legittimarne il progressivo ridimensionamento e controllare che l’applicazione degli strumenti di dismissione dell’università pubblica proceda celermente e correttamente".
La legge di stabilità 2016 conteneva alcune norme relative all'università: si tratta però, per la FLC, di provvedimenti dannosi o insufficienti che la FLC aveva sfidato presentando una serie di emendamenti assieme ad altre associazioni universitarie (LINK, ADI, CNRSU), poi bocciati al Senato.
Insufficienti sarebbero i fondi destinati al diritto allo studio, 55 milioni a fronte di una necessità di 200; e insufficiente il rifinanziamento dell'ammortizzatore sociale DIS-COLL che però lascia fuori i precari della ricerca. Insufficiente inoltre il piano di reclutamento per professori ordinari ("numeri risibili").
Dannose sarebbero le cattedre Natta, perché i 500 "super-professori" così reclutati derogano a tutte le norme, confermando il trend per cui "le eccezioni sono la regola", così come anche la liberalizzazione dei professori usa-e-getta (gli RTD-A) negli atenei "virtuosi". E dannoso rischierebbe di diventare persino il rifinanziamento del FFO, perché essendo destinato alla quota premiale acuirà "le divaricazioni tra aree geografiche e settori disciplinari".
Infine, la FLC denuncia un generale impoverimento delle condizioni contrattuali per tutte le categorie: dal lungo blocco degli scatti stipendiali dei docenti (che, pur riprendendo, non valorizzano l'anzianità accumulata nel quinquennio di congelamento) all'emergenza salariale e della precarietà che coinvolge anche il personale tecnico.
Paradossale e ingiustificabile, per il sindacato, il fatto che l'IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) riceva 80 milioni dal MEF per direttissima; soldi che, secondo la FLC, si sarebbero dovuti piuttosto distribuire tramite bandi pubblici. (Fonte: FLC CGIL Roma 23-01-16)

Il CALO DELLE IMMATRICOLAZIONI CAUSATO DA TRE DIVERSI FENOMENI
Nell’articolo del 9 febbraio su lavoce.info (Sempre meno matricole nell’università italiana) Domenico Cersosimo e coll. fanno dipendere il calo delle immatricolazioni da tre diversi fenomeni. In primo luogo, come già notato dal rapporto dell’Anvur (2014), le immatricolazioni di studenti “maturi” (più di 22 anni) sono drasticamente diminuite. La riforma dei cicli universitari, con passaggio al 3+2, ne aveva provocato un incremento, sia per la possibilità di completare percorsi di studio avviati nel passato e poi abbandonati, sia per generose politiche di riconoscimento di crediti formativi per le esperienze lavorative. Il fenomeno si è notevolmente ridotto negli ultimi anni: gli immatricolati “maturi” passano dai circa 60mila del 2005-06 (di cui quasi la metà aveva beneficiato di riconoscimento di crediti) ai 14mila di oggi. Se è stato opportuno rivedere le modalità di accesso, resta tuttavia la circostanza che in Italia le immatricolazioni di studenti “maturi” rappresentano solo un ventesimo del totale, mentre sono un quinto in diversi paesi del Nord Europa e negli USA.
Ma il calo delle immatricolazioni ha riguardato, e molto, anche i più giovani. In questo caso è però necessario distinguere i fenomeni demografici, assai differenziati all’interno del Paese, da quelli comportamentali, molto più simili. Negli ultimi lustri, tutte le aree del paese sono state interessate da un calo della natalità; ma parallelamente i flussi migratori in entrata sono aumentati e si sono concentrati prevalentemente nelle regioni del Centro e ancor più in quelle del Nord. Questo ha conseguenze sulla popolazione diciannovenne di oggi. Il suo andamento è assai diverso: cresce (particolarmente in Lombardia ed Emilia-Romagna) mentre flette molto al Sud, fino a una riduzione del 25 per cento in Sardegna.
Per quanto riguarda i fenomeni comportamentali, le immatricolazioni all’università dipendono dalla quota di giovani che arriva al diploma. La percentuale è ancora in leggera crescita nella maggior parte delle regioni; ma in alcuni casi, come in Sicilia e Lazio, si riduce. Le iscrizioni all’università dipendono poi da quanti diplomati proseguono gli studi: i tassi di passaggio dalla scuola superiore all’università sono in calo sensibile e generalizzato. La loro riduzione accumuna tutte le regioni italiane: è particolarmente accentuata al Centro-Nord, con punte in Emilia-Romagna, Toscana e Lazio. Al Sud è più contenuta della media, ma con diminuzioni molto forti in Abruzzo e Molise. Il disinvestimento nella formazione universitaria sembra dunque più elevato nelle aree del Paese tradizionalmente caratterizzate da livelli più alti di scolarizzazione. (Fonte: D. Cersosimo, A. R. Ferrara, R. Nisticò e G. Viesti, lavoce.info 09-02-16)


ATENEI. IT

UNIBO E REGIONE EMILIA-ROMAGNA CREANO IL POLO NAZIONALE DEI BIG DATA 
È concentrato in Emilia-Romagna «il 70% della capacità di supercalcolo del Paese. Solo sui big data abbiamo una rete di 1.800 ingegneri, 230 ricercatori stranieri in pianta stabile e 60 corsi di alta formazione. Il futuro del manifatturiero, delle scienze, della medicina è basato sulla capacità di gestire enormi quantità di dati. Noi non dobbiamo inventare nulla. Abbiamo già tutto, si tratta solo di metterlo a sistema». Bastano pochi secondi all’economista Patrizio Bianchi, assessore a Formazione, università, ricerca e lavoro della Regione Emilia-Romagna per far capire la portata del progetto presentato oggi a Bologna, che dà ufficialmente il via allo hub europeo della ricerca, dei big data e delle digital humanities basato a Bologna. In rete ci sono centri all’avanguardia internazionale come il Cineca, Infn, Inaf, Ingv, il network Garr, la rete Lepida, Cnr, Enea e i centri ricerche delle quattro università della via Emilia. Molte sigle che ai non addetti al lavori dicono poco ma che sono l’eccellenza europea in termini di data management & data processing e di patrimonio scientifico, che spazia dalla fisica nucleare alla geofisica, dalle bioscienze alle tecnologie digitali. Il progetto, partito in sordina a novembre con un team di ricercatori coordinati dall’Università di Bologna che ha misurato il perimetro dell’esistente, è pronto ora a presentarsi alla platea imprenditoriale. Bologna e la via Emilia puntano dunque a battere sul tempo - e per competenze  - Milano e il progetto post Expo “human technopole”, che mira a fare dell’area dell’Esposizione universale il polo internazionale di ricerca e tecnologia applicata. «Noi qui in regione abbiamo già tutto per essere il polo nazionale dei big data e delle digital humanities - conclude il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini - perché quello che abbiamo presentato oggi è solo il filo rosso che unisce grandi infrastrutture e professionalità frutto di un lungo lavoro precedente. Non è un caso se domani terremo proprio all’interno del Cineca (il più grande centro di calcolo italiano, ndr) la nostra assemblea di Giunta». (Fonte: I. Visentini, IlSole24Ore 08-02-16)

UNIBO. IN AUMENTO L’ATTRATTIVITÀ DELL’ALMA MATER
Le immatricolazioni – a iscrizioni chiuse – sono in crescita del 3,9% rispetto allo scorso anno. Gli studenti che si iscrivono all’Alma Mater sono giovani (nel 71,7% dei casi hanno 19 anni o meno) che sempre di più arrivano a Bologna e nei Campus della Romagna da fuori regione: se nell’anno accademico 2009/2010 gli iscritti non emiliano-romagnoli erano il 36,7%, nel 2014/2015 la percentuale è salita, infatti, al 44,9%. Un aumento che si fa sentire in particolar modo per le lauree magistrali: la percentuale di studenti che sceglie l’Università di Bologna dopo aver conseguito la laurea triennale in un altro ateneo è passata dal 28,6% del 2009/2010 fino al 44,4% del 2014/2015. E crescono anche gli studenti internazionali: gli iscritti all’Università di Bologna con una cittadinanza estera erano il 5,9% del totale nel 2009/2010 e sono invece il 6,6% nel 2014/2015, con le nuove immatricolazioni internazionali passate dal 6,5% al 7,2%. Le lauree arrivano sempre di più nei tempi previsti (i laureati in corso sono passati dal 43% del 2009 al 58% del 2014) o poco più tardi: nel 2014 il 79% dei laureati ha conseguito il titolo entro il primo anno fuori corso, percentuale che era ferma al 70% nel 2009. L’attrattività dell’Alma Mater è testimoniata anche dall’aumento delle iscrizioni ai test di accesso per i corsi a numero programmato, che crescono dell’8,6% rispetto allo scorso anno (34.671 domande di partecipazione contro le 31.919 del 2014).
(Fonte: http://www.bolognatoday.it 10-02-16)

UNIBOCCONI. IL VALORE AGGIUNTO DELLA DOPPIA LAUREA
In Italia e all’estero una doppia laurea è sempre un valore aggiunto. Non lo dicono solo gli esperti, basta navigare tra le offerte di lavoro per rendersi conto che le aziende e le organizzazioni cercano profili internazionali e dalla mentalità aperta, in grado di lavorare in team multiculturali e di affrontare sfide globali sempre nuove: sono questi i manager del domani. L’Università Bocconi offre un ventaglio ampissimo di programmi di Double Degree in collaborazione con 25 università in Europa, Russia, India, Brasile, USA, Canada, Australia e Cina. Il programma consiste nel passare un anno di laurea magistrale in Bocconi e, generalmente, il secondo in una scuola partner, per specializzarsi in una particolare area di interesse. Al termine del programma, gli studenti conseguono sia la laurea magistrale Bocconi, sia un diploma di laurea dell’università partner. (Fonte: doubledegree@unibocconi.it  27-01-16)

UNICA. SI PAVENTA LA CHIUSURA DOPO IL TAGLIO DI 14 MILIONI IN UN ANNO
L'Università di Cagliari rischia di chiudere, tra quattro, forse otto anni, poco importa. Quel che conta è che l'allarme questa volta parte dall'alto. Dal rettore, Maria Del Zompo. Che lancerà il suo urlo, «l'urlo dell'Ateneo» contro i tagli dei finanziamenti statali, durante la seduta, per la prima volta pubblica, di Senato e CDA. Ma davvero Cagliari rischia di chiudere? «Sicuramente rischia di essere declassata a un super liceo». Cosa significa? «Vuol dire che non si farà più dottorato di ricerca e che tutta l'attività legata alle imprese e al territorio verrà a mancare, con un effetto deficitario dal punto di vista culturale, della crescita del territorio e della preparazione dei ragazzi. E questo non per demerito o perché siamo meno bravi degli altri ma perché il governo ci toglie le risorse». Perché non siete in regola con i parametri nazionali ... «Nella valutazione degli atenei hanno inserito indicatori irraggiungibili per realtà territoriali come la nostra». Per esempio? «L'attrazione degli studenti da altre regioni: sappiamo bene quanto costi attraversare il mare per venire a Cagliari, rispetto alle altre regioni tutte confinanti. Gli indicatori attuali del ministero sembrano costruiti più per far chiudere università che per valutare i miglioramenti progressivi nel tempo». È questo che vuole il Governo? «Mi rifiuto di credere che ci sia una volontà politica di Parlamento e Governo, penso invece che sia l'effetto deleterio della legge Gelmini, applicata dagli uffici tecnici senza sapere dove si va a finire». (Fonte: intervista a Maria Del Zompo, rettore dell’UNICA, Unione Sarda 02-02-16)

UNIMI. CANCELLATO IL CORSO DI MEDICINA IN INGLESE
L’università degli Studi di Milano non attiverà l’anno prossimo il corso di laurea in Medicina in lingua inglese. Una decisione presa per protesta contro la data del test di ammissione, fissata dal MIUR per il 14 settembre. «E’ troppo tardiva e penalizzante», affermano dall’ateneo, anche alla luce dell’esperienza del 2015: l’esame d’ingresso per il corso di Medicina in inglese è stato il 16 settembre, invece che in aprile come nei 2 anni precedenti. E dal Miur fanno sapere: «La prova in inglese è pensata anche ma non solo per gli studenti stranieri. I test ad aprile avevano sollevato perplessità nelle scuole perché cadevano nel periodo di preparazione dell'esame». (Fonte: S. Morosi, http://universitime.corriere.it/ 14-02-16)

POLITO. MINORANZE ACCADEMICHE VORREBBERO BOICOTTARE L’ACCORDO CON TECHNION, L'ISTITUTO ISRAELIANO DI TECNOLOGIA DI HAIFA
C'è un piccolo pezzo dell'accademia italiana che vuole boicottare il Technion, l'istituto israeliano di tecnologia di Haifa. In 200 tra docenti e ricercatori chiedono di «interrompere ogni forma di cooperazione» e accusano l'ateneo di svolgere ricerche «in tecnologie e armi utilizzate per opprimere e attaccare i palestinesi». Una richiesta che indigna i rettori che hanno siglato partnership con l'ateneo di Haifa: «La scienza è il miglior modo per superare le conflittualità. Boicottare Israele vuol dire boicottare la ricerca scientifica e questo non è mai un bene», risponde Marco Gilli, magnifico del Politecnico di Torino. L'appello ha innescato un dibattito acceso. L'Università e il Politecnico hanno infatti firmato da poco un accordo con Technion e nel primo dei due atenei ci sono almeno 30 accademici che spingono per il boicottaggio. Il tema è finito pure in Consiglio comunale, con il sindaco Piero Fassino che ha preso posizione: «Torino è una città tollerante, aperta: stigmatizzo chi propone di boicottare l'accordo». Nel mirino dei 200 firmatari ci sono anche le intese tra Technion e altri atenei italiani, da Perugia a Roma 3, da Tor Vergata a Cagliari e Firenze. Ma i rettori fanno sapere che ignoreranno le richieste di boicottaggio: «Lavoriamo a progetti congiunti sull'acqua e sul biomedicale, che nulla hanno a che fare con la violenza», sottolinea Gianmaria Ajani, che guida l'Università torinese. Dal Piemonte a Roma, la reazione è la stessa: «Stendiamo un velo pietoso, è un boicottaggio insensato. La scienza deve badare ai fatti e la produttività accademica del Technion parla da sola», dice il rettore di Tor Vergata, Giuseppe Novelli. (Fonte: S. Parola, La Repubblica 03-02-16)

UNIPV. 12 DIPARTIMENTI HANNO VOTATO IL BLOCCO DELLA VQR
L’università è al collasso, il diritto allo studio non è garantito (e quindi le immatricolazioni crollano), l’Italia investe sulla ricerca meno di qualunque Paese sviluppato e non siamo più in grado di trattenere i giovani ricercatori preparati nelle nostre università. Se a dirlo non sono gli studenti, ma tutti i direttori di dipartimento (le vecchie facoltà) dell’università di Pavia in un documento approvato all’unanimità anche da Senato accademico e Consiglio di amministrazione, la questione si fa ancora più seria. E si inserisce in una protesta nazionale in cui l’università di Pavia è stata capofila sin dall’inizio: quella contro il meccanismo di valutazione imposto dal Governo (la cosiddetta Vqr 2011-2014) giudicato disastroso per il sistema universitario. La torta è sempre la stessa e la valutazione è finalizzata a ridistribuire parte delle risorse che gli atenei utilizzano per funzionare (stipendi, riscaldamento, manutenzione, materiali) alla ricerca. Se la coperta è corta, però, un lato resta sempre scoperto. A Pavia 12 dipartimenti hanno votato il blocco della Vqr, metodo di protesta utilizzato per non pesare sugli studenti con scioperi o blocchi delle lauree. I direttori hanno approvato un appello, il Rettore ha perorato in Conferenza dei rettori (Crui) la proroga della procedura di valutazione, il Senato accademico si è espresso con una mozione. (Fonte: A. Ghezzi, http://laprovinciapavese.gelocal.it  02-02-16)


UE. ESTERO

UE. GLI ASSEGNI DI RICERCA NON AMMISSIBILI COME “PERSONNEL COST” NEI PROGETTI FINANZIATI DAL PROGRAMMA HORIZON 2020
La Commissione Europea ha stabilito che gli assegni di ricerca (e con questi i co.co.co. e co.co.pro.) non sono ammissibili come “personnel cost ” nei progetti finanziati dal programma Horizon 2020 dedicato alla ricerca e all’innovazione dell’Unione Europea. La decisione sarebbe addirittura retroattiva per l’Italia. Un’iniziativa grave e un colpo durissimo all’università e alla
ricerca italiana. Basti ricordare che nel 2014 gli assegni di ricerca sono stati 22.093, molti dei quali coperti dai finanziamenti comunitari per la ricerca (Horizon 2020) erogati a giovani ricercatori. Secondo la Commissione Europea sono ammissibili solo ricercatori con contratto di lavoro dipendente, inoltre la remunerazione si baserà sulle ore di lavoro e non sui risultati. Un passo
indietro che accomuna la ricerca a un lavoro impiegatizio. (Fonte: https://iononfaccioniente.wordpress.com  27-01-16)

UE. TASSI DI OCCUPAZIONE DEI GIOVANI LAUREATI SECONDO EUROSTAT
Eurostat, l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea, ha pubblicato Employment rates of recents graduates, statistiche recenti sulle modalità di transizione dallo studio al lavoro dei giovani diplomati e laureati europei. Nello specifico, la pubblicazione monitora lo stato attuativo dell'obiettivo della Strategia UE 2020, che fissa almeno all'82% il tasso dei 20-34enni inseriti nel mondo del lavoro a tre anni dal conseguimento del titolo. L'obiettivo risulta già raggiunto e superato in Europa da Germania (90,0%), Malta (93,3%) e Austria, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Lussemburgo e Regno Unito (tutti con valori attorno all'82%). Il valore mediano dell'UE a 28 Stati si attesta al 76%, mentre il tasso si abbassa al 45% in Italia (30,5% dei giovani diplomati di scuola secondaria superiore generica, 40,2% di quelli di scuola secondaria superiore professionalizzante e 52,9% dei laureati), che precede solo Grecia (44,7%) ed ex Repubblica di Macedonia (42,6%). La laurea aumenta le opportunità di impiego e protegge dal rischio disoccupazione più di quanto assicurino minori qualificazioni: nel 2014 in Europa, a tre anni dal conseguimento del titolo, svolgeva un'attività il 78,3% dei laureati, il 72,8% dei diplomati di tipologia professionalizzante e il 58,9% dei diplomati di scuola secondaria superiore generalista. (Fonte: M. L. Marino, rivistauniversitas 19-01-16)

PER IL SETTIMO PROGRAMMA QUADRO (2007-2013) DATI ALLA UE 900 MLN CON UNA PERDITA NETTA ANNUALE DI 300 MLN. LETTERA SU NATURE
Il fisico Giorgio Parisi (Gruppo 2003) e altri ricercatori, con una lettera a "Nature", denunciano lo sbilanciamento fra le poche risorse che il governo italiano destina alla ricerca competitiva nazionale (l'ultimo bando PRIN è di 92 milioni di euro) e i 900 milioni di euro che l'Italia ha dato annualmente alla Commissione europea per il Settimo Programma Quadro (2007-2013), con una perdita netta annuale di 300 milioni. E' ora di cambiare priorità. Scienzainrete ha riportato la lettera su Nature in originale che qui si riproduce.
Governments: Balance research funds across Europe
"We call for the European Union to push governments into keeping their research funding above subsistence level. This will ensure that scientists from across Europe can compete for Horizon 2020 research funding, not just those from the United Kingdom, Germany and Scandinavia.
Europe's research money is divided between the European Commission and national governments. The commission funds large, transnational collaborative networks in mostly applied areas of research, and the governments support small-scale, bottom-up science and their own strategic research programmes.
Some member states are not keeping their part of the bargain. Italy, for example, seriously neglects its research base. The Italian National Research Council has not overseen basic research for decades, being itself starved of resources. University funding has dwindled to a bare minimum. The ministerial initiative known as PRIN (Research Projects of National Interest) has been defunct since 2012, apart from a few limited programmes for young researchers.
This year's PRIN allocation of a 92-million (US$100-million) funding call to cover all research areas is too little, too late. Compare this with the annual French National Research Agency’s allocation of up to 1 billion, or with Italy's 900-million annual contribution to the EU Seventh Framework Programme that ran in 2007–13. That resulted in a net annual loss of 300 million for Italian science.
To prevent distorted development in research among EU countries, national policies must be coherent and guarantee a balanced use of resources".
(Fonte: Nature 530, 33 - 04 February 2016 - doi:10.1038/530033d; http://www.scienzainrete.it)

EQUIPOLLENZE DI TITOLI ACCADEMICI FRANCESI E ITALIANI
Si segnala il parere CUN in merito alle equipollenze dei titoli francesi di qualification aux fonctions de maître de conférences ou aux fonctions de professeur des universités e di Habilitation à diriger des recherches con l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN).
Un commento (di ecolombo):  È impensabile riconoscere un’equivalenza tra habilitation a maître de conférences e professore associato. L’habilitation è quasi automatica in Francia, è molto meno selettiva dell’Anr (habilitation à diriger des recherches), molto più frequente (si tiene una volta ogni anno) e prevede sistemi diversi di valutazione. Secondo me non doveva essere concessa alcuna possibilità di equivalenza, neanche valutando il caso specifico.
Altro commento (di giapan): Leggendo il parere del CUN mi sembra di capire che in Francia si utilizzino procedure molto simili alle nostre vecchie idoneità, quelle che erano scandalose per molti. Se a questo aggiungiamo che “non esiste corrispondenza puntuale tra le discipline che sono oggetto della qualification e i settori concorsuali per i quali è attribuita l’ASN” e che non esiste neanche una riconoscibiltà dei ruoli, abbiamo un perfetto quadro di quanto il nostro sistema universitario sia fuori da qualsiasi possibilità di armonizzazione a livello europeo. Conclusione: le riforme che si susseguono ad ogni legislatura, oltre a snaturare le nostre peculiarità, ci spingono sempre di più al di fuori del sistema europeo ed internazionale. Come ultimo appunto: ma i commissari in servizio all’estero, francesi, che hanno partecipato all’ASN (se hanno partecipato) cosa hanno capito delle nostre procedure, dei nostri ruoli e dei nostri SSD o SC? (Fonte: commenti pubblicati da Roars 07-02-16)

DEFINIZIONI DELLE  TABELLE DI  CORRISPONDENZA  TRA  POSIZIONI  ACCADEMICHE ITALIANE  ED  ESTERE
Parere del CUN in merito all’aggiornamento del DM 2 maggio 2011 n. 236 recante «Definizioni delle tabelle di corrispondenza tra posizioni accademiche italiane ed estere di cui all’art.18,
comma 1, lettera b) della legge 30 dicembre 2010, n. 240». Testo integrato e coordinato con il parere CUN del 16/12/2015 > http://tinyurl.com/hbdaufl . (CUN Prot. 1479 del 21/1/2016)

GB. DA SETTEMBRE I NUOVI ISCRITTI ALL’UNIVERSITÀ NON POTRANNO BENEFICIARE DI ALCUN TIPO DI BORSA DI STUDIO STATALE
I ragazzi inglesi che decideranno di iscriversi alle università del proprio Paese dal prossimo settembre non potranno beneficiare di alcun tipo di borsa di studio statale: questa la decisione presa definitivamente a metà gennaio dal governo britannico, che non dà segni di vacillare nonostante le proteste studentesche e gli appelli dell’opposizione. Falciati dunque i sussidi, per sollevare almeno in parte le famiglie dai costi della vita universitaria, i nuovi immatricolati potranno ricorrere solamente ai prestiti (loans), che sostituiranno completamente le altre forme di beneficio previste in precedenza. Eliminare le borse di studio per reddito in una nazione che conta le tasse universitarie più alte d’Europa e dove già non era possibile ambire a esenzioni “meritocratiche” dalle tasse, neppure parziali, potrebbe equivalere a sbarrare la strada verso la laurea a una buona fetta della popolazione. Sono, infatti, circa mezzo milione gli studenti che attualmente hanno accesso a grants che attualmente possono raggiungere le 3.387 sterline annue per le famiglie con un reddito complessivo al di sotto delle 25.000 sterline; la cifra decresce in proporzione al reddito famigliare fino alla soglia delle 42.620 sterline, oltre la quale non si ha titolo per ottenere alcun sostegno finanziario, a prescindere dai risultati accademici. Un’escalation veloce, quella del costo dell’istruzione terziaria in Inghilterra, che solo nel 2012 ha visto il triplicarsi delle tasse d’iscrizione. Senza contare che da settembre il nuovo schema di diritto allo studio non solo non contemplerà più la possibilità di ottenere borse, ma potrà contare anche su di un cospicuo rialzo dell’importo massimo delle tasse, che passerà da 3.000 a 9.000 sterline per le università che dimostreranno di offrire insegnamenti d’eccellenza. La decisione di adottare un diverso sistema di sussidi universitari nasce dal calcolo del peso del sistema attuale sui contribuenti, che oggi supera il miliardo e mezzo di sterline. Si è proiettata questa somma in avanti di dieci anni relazionandola all’incremento del numero di immatricolazioni registrate in Gran Bretagna: il risultato sarebbe, secondo le parole di Osborne, una cifra che si aggira sui tre miliardi e che è diventata “non più sostenibile” (unaffordable). (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 01-02-16)

FRANCIA. PRIMO ANNO DI MEDICINA: ALTERNATIVE PER LIMITARE LA “MACELLERIA” (78% DI INSUCCESSI PER ACCEDERE AL SECONDO ANNO)
Véritable usine à gaz qui laisse sur le carreau 78 % de candidats, la première année commune aux études de santé (Paces) est sous le feu des critiques depuis quelques années. Elle n’est plus un passage obligé : dix universités (Angers, Paris-V, Paris-VII, ­Paris-XIII, Rouen, Saint-Etienne, Strasbourg, l’université d’Auvergne, Poitiers et Tours) expérimentent des alternatives à la Paces, qui seront évaluées en 2019-2020. Objectif : créer des passerelles pour entrer directement en deuxième année d’études de santé, sans concours, à l’issue par exemple d’une licence. Le but est de diversifier le profil des étudiants reçus en deuxième année de médecine, pharmacie, odontologie et maïeutique, et d’offrir une alternative aux recalés. «On veut absolument mettre fin à la “boucherie” de la Paces». Sans renoncer à l’excellence. En savoir plus sur http://www.lemonde.fr  http://tinyurl.com/hdp4t9k  27-01-16)

RUSSIA. L’ITALIANO INSERITO NELLE OLIMPIADI SCOLASTICHE
La lingua italiana è stata inserita nelle Olimpiadi scolastiche russe e potrebbe presto essere tra le materie da portare all'esame di Stato Ege, che regola l'accesso all'università in Russia.
Ieri nell'aula magna dell'università statale linguistica di Mosca (Mglu) è stata inaugurata la fase regionale delle Olimpiadi scolastiche di tre lingue definite "rare" dal ministero dell'Istruzione di Mosca: italiano, spagnolo e cinese. Alla cerimonia è intervenuto anche il primo consigliere dell'ambasciata italiana Agostino Pinna. La tappa finale di questa competizione si svolgerà a Volgograd a metà aprile. Venerdì mattina la Duma di Mosca esaminerà la possibilità di includere l'italiano tra le materie dell'esame Ege. (Fonte: ANSA 11-02-16)

SPAGNA. UN REPORT SUI LAUREATI
In Spagna, secondo l'analisi dell'Istituto Nazionale di Statistica (INE), che ha pubblicato un report sui laureati, a quattro anni dal conseguimento del titolo il 19,2% dei 30mila intervistati era senza lavoro: la maggior parte era alla ricerca, mentre solo il 6,5% non aveva un impiego né lo cercava. Tra i corsi con il tasso di disoccupazione più basso spicca ingegneria (8%), nelle sue varie declinazioni, sebbene siano presenti anche materie come medicina, ricerca e tecnica di mercato, fisioterapia o scienze della musica. Indici ben più alti si registrano per filologia, geologia, scienze del mare, storia e filosofia (oltre il 30%). Lo studio si sofferma anche sui contratti offerti ai laureati nei vari ambiti. Sul 76% dei laureati occupati, il 43% aveva un contratto a tempo indeterminato e il 34% aveva un contratto a tempo determinato; nella percentuale rimanente spicca il 12% di chi svolgeva un tirocinio, e il 10% di chi dirigeva la propria impresa o lavorava in forma indipendente. Assai diffuso il fenomeno del lavoro a termine, molto comune tra le donne (quasi al 40%) e tra gli studenti degli atenei pubblici, meno tra le persone con più di 35 anni (20%) e quanti lavorano all'estero (26%). Non sembra destare preoccupazioni la fuga degli studenti all'estero. Secondo il report, a quattro anni dal termine degli studi solo il 7,7% (15.200 circa) viveva all'estero, registrando un tasso di disoccupazione di tre punti inferiore a quello di coloro che erano rimasti in Spagna (16%). (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 26-01-16; Aceprensa 30-12-2015)

AUSTRALIA. STIPENDI E CARRIERA DEI PROFESSORI UNIVERSITARI
È vero che in Australia gli stipendi dei professori sono comparabili a quelli del settore privato, ma lo è anche la sicurezza del posto di lavoro. Ad esempio: 1) I professori sono valutati ogni anno in base al gradimento dei loro corsi da parte degli studenti, a quanti fondi portano alla facoltà tra bandi di ricerca vinti e collaborazioni con il settore privato, alle pubblicazioni, e all'attività di ricerca. 2) A inizio carriera i professori vengono stabilizzati solo dopo 5 anni, durante i quali devono raggiungere i loro obiettivi, inclusi quelli economici (insomma, se non vinci i bandi vieni licenziato). 3) Lo staff amministrativo dell'università è stato appena ridotto di circa il 20%, ed una ristrutturazione del personale accademico sta per iniziare. 4) Due anni fa hanno ridotto quasi a zero, dall'oggi al domani, il personale di un centro di ricerca informatico statale (più o meno comparabile al CINECA). Sarà per questi motivi, oppure per altro, ma l'università presso la quale lavoro continua a macinare utili (6 milioni di dollari australiani quest'anno) e ad attrarre studenti stranieri (circa un terzo del totale). (Fonte: da un commento di Imoran all’articolo http://tinyurl.com/jsqpsvo 09-02-16)

AUSTRALIA. RISPOSTA A Imoran SU DIFFERENZE CON L’UNIVERSITÀ ITALIANA
Caro Imoran, urge qualche puntualizzazione.
1) Anche in Italia i professori universitari sono valutati periodicamente e, anzi, sono gli unici dipendenti pubblici italiani i cui scatti retributivi non sono automatici bensì vincolati ad una valutazione.
2) Anche in Italia i ricercatori a tempo determinato vengono stabilizzati (dopo 6 anni) solo se nel frattempo ottengono l'Abilitazione Scientifica Nazionale, altrimenti non solo restano a spasso ma addirittura viene loro proibito per legge di fare anche solo domanda in futuro per entrare nei ruoli dell'università.
3) Quella che chiami "ristrutturazione del personale accademico" in Italia non sta per iniziare come in Australia, ma è già in corso da anni; per adesso siamo arrivati ad un decremento di diecimila tra docenti e ricercatori dal 2008 ad oggi. E probabilmente non è finita. E questo nonostante il numero di ricercatori per milione di abitanti in Italia sia uno dei più bassi di tutto l'Occidente.
4) Mentre il governo australiano azzera dall'oggi al domani un centro di ricerca informatico statale, il governo italiano sovvenziona da anni con una legge "ad hoc" un istituto di ricerca privato (il più inefficiente di tutti gli enti di ricerca italiani se si calcola il rapporto tra pubblicazioni prodotte e denaro ricevuto) e nel frattempo sostiene di non avere i soldi per riconoscere l'anzianità maturata dai docenti universitari.
I motivi per cui le università all'estero funzionano molto meglio che in Italia sono molti (pensi che trapiantando la tua stupenda università australiana in Italia continuerebbe a funzionare esattamente nello stesso modo?)
Forse stando all'estero ti sfugge che molti docenti universitari in Italia vorrebbero proprio "reinventare il settore" (rovinato non da noi ma dalle generazioni sessantottine che ci hanno preceduto) e che in quest'opera a dir poco titanica non sono certo aiutati dal fatto di essere tutti indistintamente presentati come baroni e fannulloni a cui è bene saccheggiare lo stipendio.
La tendenza a confrontarsi con gli altri impiegati pubblici è semplicemente spia di una cosa che in Italia si chiama sete di giustizia. Non so come si chiami in Australia. Quando il tuo governo toglierà anche a te 90mila euro dal portafoglio, sbeffeggiando il tuo lavoro, ne riparleremo. (Fonte: G. Righini, http://www.radio24.ilsole24ore.com 17-02-16)

USA. LE MONDE CI SPIEGA TUTTO SULLE OTTO MIGLIORI UNIVERSITÀ
Les huit meilleures universités sont regroupées dans le groupe dit «Ivy League» (d'après ivy, le lierre qui recouvrait les bàtíments des augustes institutions de la Nouvelle-Angleterre). La sélection y est impitoyable. En 2015, le taux d'acceptation est tombé pour la première fois à 5% dans une université, celle de Stanford, qui a admis 2144 étudiants pour 42487 candidats. Viennent ensuite Harvard (5,3%), soit 1990 admis pour 37305 dossiers, Yale (6,5%) et Columbia (6,1%). Chaque candidature est pagante (85 dollars, soit 78 euros), et les établissements les plus prestigieux touchent des millions de dollars gràce aux rejets. La sélection s'effectue d'abord sur les notes. En dasse de tre (Junior), les lycéens passent l'un ou l'autre des tests nationaux — Standard Admission Test (SAT) ou American College Testing (ACT). Le plus commun est le SAT, un QCM de trois épreuves (maths, écriture et lecture critique) que les élèves remplissent avec des crayons de papier, obligatoiremeut numéro 2 (HB). Non seulement il faut aller vite en 3h45, mais les répon-ses fausses sont pénalisées. Pour espérer entrer à Stanford ou à Harvard, il est bon de se prévaloir d'un quasi-sans-faute (800 points par sujet) ou au moins d'un score supérieur à 2150. Moins de 0,05 % des candidats réussissent le score parfait de 2400 points (360 sur 1,6 million d'inscrits en 2012). Le SAT a donné lieu à toute une industrie de préparation à l'examen, qui n'est accessible qu'aux plus riches. Les comités d'admission examinent aussi le «Grade Points Average» (GPA), la moyenne des notes sur les quatre ans de lycée. A leur dossiér, rempli en ligne, les candidats doivent ajouter des recommandations personnalisées d'un professeur, entraineur sportif ou éducateur. Et un «essai», soit un texte (650 mots maximum) de motivation, de personnalité, sur un sujet déterminé chaque année par l'établissement. Un exemple pour 2016: «Décrivez une action ou un événement, formel ou informel, qui a marqué votre passage de l'enfance à l'âge adulte dans le contexte de votre culture, famille ou communauté.» Plus de 600 universités ont une banque d'épreuves communes (la «common app») mais chacune se réserve le droit de demander un texte supplémentaire. Au total, les élèves soumettent parfois trois ou quatre «essais» différents. Là aussi, des répétiteurs privés offrent leurs services (de 60 à 130 dollars l'heure). Les séances commencent par un brainstorming, censé permettre aux candidats de trouver dans leur vie, souvent sans histoires, l'épisode qui a montré un trait exceptionnel de leur personnalité. Il est bon d'expliquer qu'on a surmonté une épreuve ou un échec, voire d'émouvoir les examinateurs avec une enfance difficile.
Les études coutent cher: 60.000 dollars par an, avec hébergement et repas, à Harvard; 59.000 dollars à Yale; 32.600 à Berkeley pour les domiciliés en Californie (56.000 pour les étudiants d'autres Etats). Les universités soulignent le nombre de bourses distribuées (60% des étudiants de Harvard ont une bourse grâce à un programme d'aide de 160 millions; 50% à Yale) pour les plus désargentés et les minorités notamment noires et «latinas». Mais la majorité des étudiants ne reçoivent qu'une aide de quelques milliers de dollars sur quatre ans, loin de compenser le coût de la scolarité. Les dossiers d'inscription sont en général clos fin janvier. (Fonte: C. Lesnes, Le Monde 28-01-16)

CINA. L’INARRESTABILE LOCOMOTIVA SCIENTIFICA VERSO IL PRIMATO
La Cina ha appena raggiunto gli Stati Uniti per numero di articoli scientifici pubblicati ogni anno (400mila), rivela un rapporto della National Science Foundation di Washington. Secondo l'Ocse, nel 2020 avrà superato il suo rivale e surclassato anche l'Europa, in termini di investimenti. Un quarto dei laureati in scienze e ingegneria di tutto il mondo proviene dalla Cina (e un altro quarto dall'India). Un terzo degli stranieri che ottengono un dottorato negli Stati Uniti ha il passaporto di Pechino, con la madrepatria che preme per riprenderselo. Una sola azienda di biotecnologie cinese, la Bgi di Shenzhen, possiede macchinari per leggere il genoma potenti come quelli di tutti gli Usa, e addestra tra l'altro i giovani biologi italiani dell'università di Tor Vergata a scovare le malformazioni del feto da una goccia di sangue della madre (saltando l'amniocentesi). A novembre la Cina ha annunciato che costruirà il più grande acceleratore di particelle del mondo, con dimensioni doppie ed energia 7 volte superiori rispetto alla macchina del Cern di Ginevra che nel 2012 scoprì il bosone di Higgs. E tutto questo è avvenuto nel tempo di una generazione. Il progetto per agguantare il primato scientifico in Cina ha radici solide. Il grosso della crescita si è concentrato tra il 2000 e il 2010, spiega un rapporto pubblicato sulla rivista Pnas dalle università del Michigan e di Pechino. Ma gli investimenti sono stati avviati nel 1998, quando il governo ha lanciato il "programma 985", raddoppiando i finanziamenti e il numero di atenei. Oggi in Cina oltre un milione di ragazzi si laurea ogni anno in discipline scientifiche o ingegneristiche (il quadruplo rispetto agli Stati Uniti, anche se le popolazioni sono rispettivamente 1,3 miliardi e 300 milioni). Per spingere a tutta velocità la locomotiva della scienza, la Cina impiega 3,2 milioni fra scienziati e ingegneri (erano 1,2 milioni nel 1982 e sono appena 5mila in Italia) e li ha posti in cima alla classifica del prestigio sociale. Gli ingegneri guadagnano il 25% in più rispetto agli scienziati, che sono ben al di sopra di medici e avvocati (negli Usa la proporzione è rovesciata). Nel 2008 Pechino ha lanciato il programma dei "mille talenti" per attirare i migliori cervelli dall'estero offrendo salari competitivi, laboratori, fondi per la ricerca e un rimborso spese che solo per il trasloco ammonta a 160mila dollari. (Fonte: E. Dusi, G. Visetti, La Repubblica 28-01-16)

USA - CINA. IL CONFRONTO SULLE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE
Dei 2,2 milioni di pubblicazioni scientifiche scritte ogni anno, il 18,2% viene da Pechino e il 18,8% dagli Usa. Secondo un'altra classifica (SciMago) l'Italia, nonostante l'esiguità dei finanziamenti resiste all'ottavo posto dopo Usa, Cina, Gran Bretagna, Germania, Giappone, Francia e Canada e prima dell'India. I settori di punta per Pechino sono le scienze applicate: fisica, scienza dei materiali e chimica, mentre gli USA mantengono il primato in biologia, medicina e nella ricerca di base in generale. Ma se le pubblicazioni USA sono in crescita ogni anno del 3,2%, quelle della Cina aumentano del 18,9%, in linea con una crescita degli investimenti di circa il 20% annuo per gli ultimi 15 anni. Oggi la Cina spende per la scienza 336 miliardi di dollari, il 2% del proprio Pil e il 20% della torta mondiale. Gli Stati Uniti sono ancora in vantaggio (456 miliardi, il 2,7% del Pil e il 27% della quota globale). Ma ancora una volta, è soprattutto da se stessa che la Cina è costretta a guardarsi. Oltre al primato delle pubblicazioni, Pechino ha infatti raggiunto anche quello delle frodi scientifiche. Dal 2010 gli articoli frutto di plagio sono triplicati e sono proliferate le agenzie che vendono agli scienziati falsi esperimenti pronti da pubblicare. In alcuni casi, ha rivelato a dicembre la rivista Science, la fase della revisione e dell'accettazione è stata aggirata perfino attraverso intrusioni di hacker nei siti delle riviste. (Fonte: E. Dusi, La Repubblica 28-01-16)


LIBRI

PER LA STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI BARI – FONTI ARCHIVISTICHE E A STAMPA
A cura di Angelo Massafra e Domenica Porcaro Massafra. Edizioni G. Laterza. 2015, 432 p.
I curatori si sono proposti, con realismo, solo di ricostruire, con gli autori dei vari contributi, le fasi del lavoro di organizzazione dell’Archivio dell’Ateneo barese e di illustrarne, più o meno analiticamente, i risultati finora conseguiti. Fino a qualche lustro fa gli studi sulla storia dell’Università si avvalevano quasi esclusivamente di fonti a stampa. Solo nell’ultimo decennio l’Ateneo barese, in collaborazione con la Sovrintendenza archivistica per la Puglia e con altri Enti, ha realizzato un vasto e impegnativo programma di recupero, idonea sistemazione, riordinamento e parziale schedatura della documentazione prodotta dall’Amministrazione centrale e da alcune sue strutture didattiche e di ricerca. I risultati sono ampiamente evidenziati nell’ampia pubblicazione che raccoglie contributi di taglio storico-istituzionale, metodologico o informativo, e strumenti per la ricerca. (Fonte: V. Polito, 08-02-1&)

FAVOLE QUASI GIURIDICHE
Autore: Francesco Gazzoni. Key Editore,  2015, 210 p.
Raccolta di scritti in tono favolistico e semiserio sull'università (professori, concorsi a cattedra, studenti), su argomenti tecnico-giuridici e sull'antiformalismo nel diritto.
“Le favole qui raccolte potranno divertire gli addetti ai lavori, i quali certamente sapranno dare un nome ai vari protagonisti. I non addetti ai lavori potranno comunque interessarsi, se non altro, a vicende accademiche emblematiche, in grado, forse, di fornire un piccolo spunto di riflessione sulla necessità di ricostruire dalle fondamenta l’università italiana secondo il modello meritocratico americano, senza concorsi fasulli ed egualitarismi deleteri”. (Fonte: dall’introduzione dell’autore)