IN
EVIDENZA
ALL’ORIGINE DELLA
“RIVOLTA” DEI PROFESSORI. NE PARLA RAFFAELE SIMONE*
La storia comincia nel 2010, quando Tremonti,
coll’intento di scaricare la crisi finanziaria dello Stato sui dipendenti
pubblici, inventa un decreto che decurta del 10 per cento circa sia le pensioni
superiori a 1.400 euro sia gli stipendi dei funzionari di un certo livello. Il
decreto è stato rinnovato di anno in anno. Ma come al solito c'è qualcuno più
uguale degli altri. I magistrati (temutissima casta) e i militari, con opportune
azioni di lobbying, hanno recuperato i loro stipendi per intero, senza dover
neanche troppo lottare. I pensionati si sono fatti dar ragione l'anno scorso
dalla Corte Costituzionale, anche se il maltolto sta tornando nelle loro tasche
solo a gocce.
Rimangono solo, sfortunatissimi, i professori
universitari, che da sei anni subiscono la mortificante decurtazione, a cui si
aggiunge anche la perdita dell'anzianità corrispondente. Come mai solo loro?
Nella sfera politica - si sa - esiste una certa ostilità verso gli
universitari, che s'insinua perfino in quei professori che diventano ministri o
simili: una volta arrivati al cadreghino, godono a dar bacchettate alla categoria
da cui provengono. Inoltre, sebbene la corporazione universitaria sia a ridosso
del potere hard, non ha certo la stessa capacità di pressione di cui godono i
magistrati. Ebbene, a questa situazione l'università si ribella boicottando in
massa i moduli Vqr. Gli aderenti sono più o meno il 30 per cento del totale. La
manovra ha stimolato l'intelligenza collettiva: alcuni hanno organizzato
monumentali raccolte di firme, c'è chi non ha chiesto l'Orcid (una sorta di
codice fiscale del singolo ricercatore) inceppando vari meccanismi, chi ha
cancellato i pdf dei propri lavori per renderli introvabili a ispezioni
esterne, chi ha caricato pdf sbagliati, e chi, con un sussulto dadaista, ha
selezionato non i migliori ma i peggiori dei propri prodotti. La rivolta può
avere risultati importanti: le università che non presentano i dati Vqr possono
essere penalizzate nella distribuzione dei fondi, con un effetto a cascata su
dipartimenti, laboratori e così via. Mentre i rettori sono furiosi, la ministra
soavemente tace (pur essendo professore anche lei). Nel frattempo, per bocca di
una dei suoi componenti, l'Anvur comunica: il boicottaggio non servirà a nulla
perché punta a un "obiettivo sghembo" (sic! Ma perché recuperare il
maltolto sarebbe sghembo?) e, se gli autori proprio non vogliono collaborare,
le pubblicazioni da sottoporre a vaglio saranno scelte "dalle
strutture". C'è dell'incredibile, ma così vanno le cose in Italia. (Fonte:
R. Simone, FQ 04-02-16).
TEST
D’INGRESSO A MEDICINA SOLO ALLA FINE DEL PRIMO ANNO? MA IN FRANCIA QUESTO
SISTEMA NON HA AVUTO BUON ESITO (INSUCCESSI DEL 78% NEL PASSAGGIO AL SECONDO
ANNO)
I parlamentari del M5S in commissione Cultura di
Camera e Senato chiedono di rivedere e rimodulare il sistema di accesso ai
corsi di Medicina. La loro proposta di legge depositata alla Camera prevede
quanto segue: “Con la Pdl a prima firma Francesco D’Uva, infatti, proponiamo di
introdurre il test d’ingresso, ma solo
alla fine del primo anno accademico, la designazione dei posti in base al
fabbisogno nazionale e di predisporre un numero di borse per le scuole di
specializzazione di area sanitaria pari al numero di laureati in medicina nello
stesso anno. Un modello questo che, oltre evitare la stagione dei ricorsi,
rende il sistema dei corsi più equilibrato e bilanciato tra domanda e offerta”.
(Fonte: http://catania.liveuniversity.it 06-02-16).
La proposta del M5S, come a suo tempo la proposta
analoga ventilata dal ministro Giannini, non tiene conto del fatto rilevante
che in Francia, dove è in vigore il sistema che si vorrebbe proporre ora anche
in Italia, si sono levate autorevoli
voci contrarie e si cerca di rimediare con alternative a un metodo
di selezione che vede al primo anno di corso comune a Medicina e alle
professioni sanitarie (Paces) una percentuale di insuccessi del 78% nel passaggio
al secondo anno fra tutti gli studenti ammessi indiscriminatamente al primo.
(PSM)
FINANZIAMENTO DI
2 MILIARDI FINO AL 2017 PER RILANCIARE IL SETTORE RICERCA ANNUNCIATO DAL
MINISTRO GIANNINI
Mentre si evoca lo spettro della desertificazione
culturale, scientifica e tecnologica del nostro Paese, ai ricercatori riuniti
del Gruppo 2003 è arrivato il messaggio del ministro dell’Istruzione, Stefania
Giannini, che in una lettera aperta ha assicurato che «è imminente la delega al
Governo per riformare il settore della ricerca scientifica». «La delega al
Governo, e in particolare al mio ministero - ha fatto sapere Giannini - per
incidere profondamente su struttura e regole del sistema della ricerca, è una
tappa imminente e decisiva nel percorso di semplificazione e valorizzazione del
settore». Il ministro ha annunciato inoltre il finanziamento di 2 miliardi fino
al 2017 per rilanciare il settore nel Paese. «L’approvazione del Programma
Nazionale della Ricerca segnerà una prima inversione di tendenza stanziando nei
prossimi anni, fino al 2017, due miliardi di euro nei principali pilastri dell’internazionalizzazione,
capitale umano, infrastrutture per la ricerca, Mezzogiorno, partnership
pubblico privato», ha fatto sapere il ministro nella lettera. «Insieme a questo
- ha proseguito - abbiamo una straordinaria opportunità di accelerazione degli
investimenti con il “piano Juncker” che finanzierà progetti dedicati a
infrastrutture anche immateriali con il coinvolgimento di attori privati».
(Fonte: A. De Gregorio, http://www.corriere.it/scuola/universita
10-02-16)
DECRETO MILLEPROROGHE. I COMMI CHE RIGUARDANO
L’UNIVERSITÀ
Riassunti
e commentati come segue da Roars i commi 10-sexies, 10-septies e 10-octies
dell’art. 1 del decreto
milleproroghe [Decreto Legge 30 dicembre 2015, n. 210. Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative. (15G00225) (GU Serie Generale n.302 del
30-12-2015)]:
- Il termine per l’emanazione dei decreti
che regoleranno la nuova ASN è spostato al 31.12.2016. Si ricordi che la terza
tornata di abilitazioni si sarebbe dovuta indire entro la fine del mese di
febbraio del 2015.
- I contratti di ricercatore a tempo
determinato di tipo B sottoscritti da soggetti che non hanno sostenuto le
scorse tornate abilitative e che scadono prima della fine del 2016 sono
prorogabili fino alla fine dell’anno. Secondo P. Rossi (Roars 17-02-16)
l’interpretazione di questo comma non è univoca ma potrebbe significare che i
contratti si possono rinnovare soltanto fino al 31 dicembre, ma trattandosi di
rinnovo varranno per altri tre anni. Poi si domanda: che senso ha una proroga
che scade insieme con il termine per l’emanazione di decreti che sono solo il
punto di partenza, non certo di arrivo, per il nuovo meccanismo abilitativo?
- Gli assegni post-legge 240/2010 sono
equiparati a quelli ante legge 240/2010 al fine del conseguimento di posizioni
di ricercatore a tempo determinato di tipo B. Questo comma 10-octies si accorge
giustamente dell’insostenibilità accademica e politica dell’esclusione dei
“nuovi” assegnisti di ricerca dai concorsi a posti di ricercatore di tipo b),
ai quali sono invece ammessi i “vecchi” assegnisti.
Inoltre, l’art. 1 comma 4 bis sposta al 30
aprile 2016 il termine per l’emanazione del DPCM relativo alla programmazione
del reclutamento universitario per il triennio 2016-2018.
(Fonte: Roars 17-02-16)
RECLUTAMENTO STRAORDINARIO DI RICERCATORI RTD-B
Decreto
ministeriale 18 febbraio 2016 n. 78 (e relativa tabella di assegnazione delle
risorse). “Piano straordinario” di reclutamento di Ricercatori RTD-B si legge
qui http://tinyurl.com/hwoqjfg
.
Gli 861 posti da ricercatore (RTD-b) sono così assegnati:
132 suddivisi fra le 66 università statali per un totale di 2 ciascuna, gli
altri 729 sulla base della qualità della ricerca e della qualità delle
politiche di reclutamento degli atenei come risultanti dalla VQR. Criteri che hanno favorito Bologna (prima con 50 posti)
seguita da Sapienza (47), Padova (39), Milano (34) e Napoli Federico II con 32
posti.
RECLUTAMENTO STRAORDINARIO
DI PROFESSORI ORDINARI
Il MIUR, oltre al DM sui nuovi posti per ricercatori, ha
dato il via libera al decreto di riparto dei 6 milioni che la Legge di
Stabilità stanzia, per il 2016, per il reclutamento straordinario di professori
ordinari. Almeno il 20% delle risorse è vincolato alla chiamata di professori
che non appartengano all’organico dell’Università che assume. (Fonte: http://www.dire.it ; http://www.corriereuniv.it 19-02-16)
ABILITAZIONE
SCIENTIFICA NAZIONALE
PER
L’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI SEMPLICE
MAGGIORANZA
Consiglio di Stato, Sez. VI – sentenza 5 febbraio
2016: Per l’abilitazione nazionale alle funzioni di professore universitario è
sufficiente la maggioranza dei voti dei commissari; si ritiene illegittima la
norma regolamentare che, per l’abilitazione stessa, prevedeva un quorum minimo
dei quattro quinti dei componenti. Nel frattempo, nuove notizie di stampa
riferiscono che la controversia sul punto delle maggioranze ha avuto la
conseguenza di mettere in stallo la bozza di nuovo regolamento ASN, tanto che
si prevede che non vi saranno ulteriori novità fino all’estate se non oltre. La
sentenza del CdS fa giurisprudenza ed abroga il regolamento ASN nella parte
concernente la maggioranza di 4/5. Perciò già da venerdì 5 febbraio la
maggioranza è semplice (3 su 5) per la vecchia procedura ASN: sulla cosa non
può esserci più alcun dubbio. Come sul fatto che così dovrà essere (pena
illegittimità) in un qualunque nuovo regolamento ASN 2.0.
Il Consiglio di Stato di venerdì ha dunque respinto
il ricorso MIUR ed ha quindi confermato la correttezza dell’impostazione del
TAR. Ma si pone pertanto ad oggi un enorme problema di disparità di trattamento
nei confronti di tutti i candidati che hanno riportato 3 giudizi su 5 sui quali
né il TAR né il Consiglio di Stato hanno potuto esprimersi correttamente
assegnando l’abilitazione (ai sensi dell’unica possibile legittima maggioranza
deliberante: 3 commissari su 5). Sarebbe pertanto necessario che il MIUR
intervenga in autotutela applicando erga omnes il nuovo legittimo regolamento
ASN. Infatti, il D.G. Livon annuncia in
una lettera un intervento in autotutela del MIUR a seguito della sentenza del
Consiglio di Stato di cui sopra. L’intervento in autotutela, benché basato sul
riconoscimento di un provvedimento avente efficacia erga omnes, si applica però
esclusivamente alle procedure in corso oppure a quei candidati che abbiano
tempestivamente opposto ricorso. Il che fa supporre che la controversia
giudiziaria sul punto sia destinata a continuare. (Fonte: civil, Roars
07-02-16; Redazione Roars 17-02-16)
NUOVE ABILITAZIONI SCIENTIFICHE NAZIONALI.
SLITTANO AVANTI DI MESI
Le nuove
abilitazioni scientifiche nazionali sono attese da quasi 40 mila tra professori
e ricercatori. Ciò nonostante, le recenti pronunce giurisdizionali in merito
alla maggioranza richiesta alle commissioni per abilitare i candidati - quattro
quinti, secondo il DPR 122/2011, mentre la legge n. 240/2010 non prevede alcuna
maggioranza qualificata, per cui dovrebbe ritenersi sufficiente quella assoluta
dei componenti – rischiano concretamente di far slittare di mesi tutta la
procedura. Infatti, sia nel caso in cui il Miur si decidesse – ma a quanto pare
non sembra intenzionato – a modificare il predetto DPR 122, sia qualora
attendesse la decisione finale del Consiglio di Stato, che esaminerà nel merito
il 12 maggio prossimo il ricorso proposto dallo stesso Miur, slitterebbe tutto
a dopo l’estate, anche perché vi sono ulteriori adempimenti in itinere. Dallo
stesso Consiglio di Stato, infatti, si attende il parere sul decreto
ministeriale contenente criteri e parametri per la valutazione dei candidati.
Scrive Roars: che la VQR verrà prorogata al 14 marzo è un segreto di
Pulcinella, che circola in tutti gli ambienti romani. D’altronde, non più tardi
di giovedì scorso era stato Gaetano Manfredi, il presidente della CRUI, a
ribadire che la proroga doveva per forza esserci dato che «non ci sono i tempi
tecnici per chiudere il 28 febbraio», ribaltando su ANVUR la responsabilità dei
ritardi: «Se si va a leggere il bando, rispetto a quello che era scritto nelle
norme, le scadenze non sono state assolutamente
rispettate. Gli strumenti tecnici che sono stati messi a disposizione,
hanno presentato tante falle – presentano ancora tante falle – quindi da questo
punto di vista, ritengo che la proroga sia necessaria se vogliamo completare
questo processo in una maniera serena». Ma, insieme alla data, circola anche la
voce che la proroga sarà annunciata solo nell’imminenza dalla chiusura. Un
espediente per mettere sotto pressione i renitenti alla VQR, senza curarsi del
sovraccarico di lavoro per il personale tecnico-amministrativo (Fonte:
Redazione Il Foglietto 28-01-16; Roars 18-02-16)
CLASSIFICAZIONI
DEGLI ATENEI
UNIBOCCONI. AL NONO POSTO IN EUROPA CON IL SUO MBA
Nel ranking del Financial Times delle migliori
business school europee, l'Università Bocconi apre positivamente anche il 2016
con il suo Mba (Master in business administration) che sale di una posizione
nella classifica dei migliori programmi full-time pubblicata oggi dal
quotidiano britannico. La Sda Bocconi, unica italiana presente nella classifica
dei 100 programmi top, si colloca così al venticinquesimo posto al mondo e al
nono in Europa. Ai primi posti, dopo la francese Insead, (Institut européen
d'administration des affaires), ci sono Harvard e la London Business School,
seguite, senza sorprese dalle altre prestigiose università americane. (Fonte: corriere.it/economia/finanza
25-01-16)
DOCENTI
IL MANCATO
RICONOSCIMENTO GIURIDICO AI DOCENTI UNIVERSITARI DEL QUINQUENNIO 2011-2015 PUÒ
COSTARE A CIASCUNO ANCHE PIÙ DI 90.000 €
Quanto costa individualmente ai docenti il mancato
riconoscimento giuridico del quinquennio 2011-2015, una delle ragioni della
protesta #stopVQR?: anche più di 90.000 €. Una cifra cui vanno aggiunte le
somme non percepite, che variano da €18.500 a € 54.000 a seconda dei ruoli e
dell’anzianità. Non fa meraviglia che, nonostante la campagna di
disinformazione sull’entità della partecipazione alla protesta, l’efficacia
della stessa sia stata tale da costringere la CRUI a richiedere un’ulteriore
proroga di due mesi – al 30 aprile. Considerare la spesa – complessiva e non
solo quella retributiva – per l’università una voce improduttiva, come
testimonia il progressivo definanziamento del sistema università-ricerca
italiano, è la manifestazione palese della bassa considerazione del
fondamentale ed insostituibile ruolo dell’istituzione universitaria statale.
Si veda anche Calcolo dei danni economici per Docenti e
Ricercatori derivanti dal mancato riconoscimento degli effetti giuridici del
periodo 2010-2015. (Fonte: Redazione Roars 10-02-16). E una dichiarazione
(03-02-16) del presidente del CUN Andrea Lenzi: “La perdita
netta e non recuperabile di cinque anni di carriera, prevista dall’attuale
normativa, significa, soprattutto per i più giovani, certezza di non poter
raggiungere nell’intero corso della loro vita professionale, anche in presenza
di costanti valutazioni positive, livelli retributivi adeguati al proprio
status e alle proprie legittime aspettative iniziali. Ciò si rifletterà
pesantemente anche sul trattamento pensionistico che nel sistema contributivo,
al quale ormai afferisce la maggior parte dei docenti, sarà di entità
significativamente contenuta, rispetto ai già relativamente bassi livelli salariali
che saranno da ultimo raggiunti”.
L’ADEGUAMENTO
DEGLI STIPENDI DEI DOCENTI E RICERCATORI UNIVERSITARI
L’adeguamento degli stipendi dei docenti e ricercatori
universitari è previsto dall’art. 24 comma 1 della legge 448/1998 sulla base degli incrementi medi nell’anno
precedente delle retribuzioni dei dipendenti pubblici contrattualizzati come
confermato anche dall’art. 5 comma 1 del DPR 232/2011 che regola il passaggio al nuovo regime della legge 240/2010 (Gelmini). Viene calcolato dall’Istituto Nazionale di Statistica
(ISTAT) e determinato annualmente (entro il 30 aprile) con un Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), con decorrenza dal 1 gennaio
dell’anno in questione (e conseguente corresponsione dei mesi arretrati
rispetto alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DPCM). Si riportano di
seguito i decreti e relativo adeguamento percentuale degli anni precedenti
(ricordando che nel quinquennio 2011-2015 tale adeguamento è stato bloccato per
i docenti universitari, così come gli scatti stipendiali). (Fonte: http://www.mauriziozani.it/wp/?p=4045 09-02-16)
Anno
|
Decreto
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Adeguamento
|
|
2016
|
DPCM entro
04-16
|
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2011-2015
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ANNI DI BLOCCO
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–
|
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2010
|
3.09%
|
|
|
2009
|
3.77%
|
|
|
2008
|
1.77%
|
|
|
2007
|
4.28%
|
|
|
2006
|
2.23%
|
|
DOTTORATO
PER IL CONCORSO A CATTEDRA NELLA SCUOLA
SARANNO ATTRIBUITI 5 PUNTI AL DOTTORATO DI RICERCA, ALL’ASSEGNO DI RICERCA E
ALL’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
Nei concorsi per titoli ed esami per l'accesso ai ruoli
del personale docente della scuola dell'infanzia, primaria, secondaria di primo
e secondo grado, in totale il punteggio massimo delle prove d’esame sarà di 100
punti: scritto e orale valgono 80 punti. Ad assegnare gli ultimi 20 punti
saranno invece i titoli a cui il ministero dell'Istruzione ha dedicato uno
specifico DM e, soprattutto, una tabella sinottica. Tra questi c’è
l’attribuzione di 5 punti al dottorato di ricerca (nel concorso precedente i
punti attribuibili erano al massimo 3) che si configurerebbe entro un massimale
di 10 punti previsto per i «titoli professionali culturali e di servizio». (Fonte:
http://www.tecnicadellascuola.it
27-01-16)
GIUSTIZIA PER
GIULIO REGENI. LA CHIEDONO MIGLIAIA DI PROFESSORI UNIVERSITARI IN UNA LETTERA
SU THE GUARDIAN
Più di 4.600 docenti universitari provenienti da tutto il
mondo hanno firmato una lettera aperta per protestare contro la morte di Giulio
Regeni, il giovane dottorando dell’Università di Cambridge il cui corpo è stato
trovato alla periferia del Cairo con evidenti segni di tortura la settimana
scorsa. La lettera, pubblicata da The Guardian, ha coinvolto firmatari di più
di 90 Paesi diversi in una vasta gamma di discipline accademiche. (Fonte: http://www.theuniversal.it/3382-2/ 09-02-16)
FINANZIAMENTI
I CONTI
DEGLI ATENEI STATALI
Tra il 2010 e il 2015 le università hanno perso
quasi il 15% delle proprie entrate strutturali e hanno sforbiciato dell’11,5%
le uscite. I tagli, ed è questo l'aspetto più qualificante, si sono scaricati in
particolare sulle spese per il personale, che sono state schiacciate dal blocco
degli scatti e dai vincoli al turnover, e hanno perso in cinque anni il 13,8%
del loro peso. Le spese per i «servizi agli studenti», un capitolo che
comprende borse di dottorato, assegni di ricerca e scuole di specializzazione, ma
anche i programmi di mobilità e di scambi culturali per gli studenti, invece
hanno tenuto, e tra il 2010 e il 2015 sono cresciute del 2%, mantenendo di
conseguenza quasi lo stesso ritmo della mini-inflazione del periodo. Identica
la dinamica delle «spese di funzionamento», voce canonica nelle teorie della spending
review, che però merita un'analisi più puntuale: gli aumenti nelle spese per le
utenze (+7,5%) e per la pulizia (+7%) confermano le difficoltà vissute finora
dai sistemi di controllo degli appalti e di centralizzazione degli acquisti, ma
altre voci come le uscite per i laboratori (+6%) potrebbero spiegarsi anche con
una piccola spinta ulteriore alle attività. L'autofinanziamento è sempre più
vitale, perché il rapporto fra entrate proprie (tasse e contributi, prima di
tutto, ma anche l'attività commerciale e gli accordi di programma) e
trasferimenti è cresciuto di un terzo, passando dal 26 al 34,2 per cento. Si
tratta di un'evoluzione inevitabile, dal momento che rispetto al 2010, quando
era ancora "puntellato" da voci provvisorie come i 500 milioni del
piano straordinario targato Mussi-Padoa Schioppa, il fondo di finanziamento
ordinario ha perso in termini di incassi un miliardo di euro, mentre altri
milioni si sono volatilizzati alla voce «trasferimenti per borse di studio». A
sostenere i conti accademici, di conseguenza, sono stati chiamati sempre di più
gli studenti e le loro famiglie, anche se in termini assoluti il loro valore
non è riuscito a crescere a causa dell'emorragia di studenti che ha fatto
perdere alle università il 6,5% dei propri iscritti in cinque anni accademici
(si veda Il Sole 24 Ore del 2 novembre 2015). Tasse e contributi, nel
frattempo, sono scesi "solo" del 3,5%, attestandosi a quota 1,7
miliardi tondi, aumentando quindi il loro peso percentuale sul totale delle
entrate universitarie. (Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 08-02-16)
FINANZIAMENTI
DEGLI ATENEI. UN PROCESSO DI RESPONSABILIZZAZIONE CHE SI È SCONTRATO CON LA
PARALLELA DIMINUZIONE DELLE RISORSE
I problemi del disagio dei conti degli atenei hanno
origine lontana. Da quando è stato creato il Fondo di finanziamento ordinario,
nel 1993, la sua crescita è stata costante, quali che fossero i governi, fino
al 2009, se si eccettua una lieve flessione nel 2006. Gran parte degli
incrementi annuali del fondo era vincolata alla necessità di far fronte alla
crescita automatica degli stipendi e, soprattutto tra il 1999 e il 2008, a
quella dell'organico, cresciuto di circa un terzo in cifra assoluta. È per far
fronte a questa dinamica difficilmente controllabile che, quando nel 2007 si
trattò di trovare altri 500 milioni per accrescere il fondo, l'allora ministro
Padoa-Schioppa, convinto com'era che gli atenei dovessero rendere "più
produttiva" la loro spesa, li concesse - novità assoluta - solo per il
triennio 2008-2010, senza consolidarli a regime. Al venir meno di questa
"bolla" si sono poi aggiunti altri tagli, tra i quali spicca per
consistenza quello del 2013 (-5,1% sull'anno precedente), senza che venisse mai
davvero impostata una netta inversione di tendenza, tale da riportare il fondo,
se non al picco del 2009 (7,83 miliardi), almeno alla soglia di sicurezza del
2012 (7,33 miliardi): il recupero del 2014 (+0,9%) è infatti stato azzerato dal
-14% del 2015. Neppure quest'anno sembra segnare l'avvio di una nuova stagione.
Il fondo parte con un tenue segno positivo (+25 milioni, pari allo 0,4%), ma
solo grazie ai 38 milioni stanziati per le controverse "cattedre
Natta". E i rischi di aggiustamenti in corso d'anno sono comunque sempre
in agguato. Nel frattempo della seconda tranche del piano straordinario
associati, pur prevista per legge, si è persa ogni traccia fin dal lontano
gennaio 2013. Queste dinamiche sono
particolarmente deludenti alla luce dei progressi tangibili compiuti dal
sistema per razionalizzare la spesa e soprattutto per riqualificarla, sforzi
che lo pongono all'avanguardia nel settore pubblico. Bilancio unico di ateneo,
costo standard per studente, limiti all'indebitamento, crescita della quota di
fondi distribuita sulla base della valutazione e non della spesa storica sono
tutte tappe di un processo di responsabilizzazione che si scontrano però con la
parallela diminuzione delle risorse. I rimedi sono noti da tempo: recupero
graduale del Ffo almeno a quota 2012 e sua stabilizzazione pluriennale.
Servirebbero circa 300 milioni. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 08-02-16)
FINANZIAMENTI ALLA RICERCA SCARSI MA ANCHE
DISTRIBUITI IN MANIERA POCO RAGIONEVOLE CON REGOLE COMPLICATE E LUNGHISSIME
PROCEDURE DI SELEZIONE
Mentre si
discute molto di come la ricerca in Italia sia finanziata meno degli altri
Paesi avanzati, c'è invece poca
attenzione su un altro aspetto: quanto sia frustrante per la comunità
scientifica il fatto che questi investimenti, già scarsi, siano spesso
distribuiti in maniera poco ragionevole, riducendone ulteriormente l'efficacia.
Molte delle inefficienze dipendono dal fatto che i canali per accedere a questi
finanziamenti sono episodici (ed imprevedibili), piuttosto che avere frequenza
annuale, e hanno regole sproporzionatamente complicate, con procedure di
selezione che richiedono tempi lunghissimi.
Questa non
è solo una mia impressione: sul sito del Miur è in evidenza dal marzo del 2013
un'analisi dei problemi della comunità scientifica italiana, che condivide
appieno queste mie posizioni. Purtroppo anche l'ultimo bando ha gli stessi
problemi, compresa la scadenza slittata dal 22 dicembre al 15 gennaio 2016
anche se il bando si chiamava Prin 2015.
È interessante
notare che nei Paesi nostri diretti competitori per la ricerca a livello
europeo, ovvero l'Inghilterra, la Francia e la Germania, non c'è traccia di
queste storture: le tipologie di finanziamento analoghe ai nostri Prin in
questi Paesi hanno ben prevedibile scadenza annuale, una rapida tempistica di
selezione dei progetti cui effettivamente assegnare i finanziamenti, e regole
di partecipazione a queste procedure di selezione che non solo sono abbastanza
stabili nel tempo, ma sono anche ben allineate alle regole con le quali si
assegnano i fondi europei per la ricerca. (Fonte: G. Amelin, La Repubblica
25-01-16)
DEI 900
MILIONI CHE L'ITALIA VERSA ALL'EUROPA PER LA RICERCA, SOLO 600 TORNANO NELLE
TASCHE DEI RICERCATORI ITALIANI
Alle denunce dell'associazione di ricercatori
Roars, si aggiunge ora la lettera di uno dei maggiori fisici Italiani, Giorgio
Parisi, appena pubblicata dalla rivista internazionale Nature. Che sta facendo
molto discutere. Professor Parisi, qual è lo scopo della sua lettera pubblicata
su Nature?
Chiedo che l'Europa solleciti gli Stati europei che
non stanno investendo in ricerca, mettendo a repentaglio il senso e la funzione
dei programmi di finanziamento europei per la ricerca. Come quelli nell'ambito
del settimo programma quadro (2007-2013) e Horizon 2020 (2014-2020).
I finanziamenti dell'Ue non stanno colmando, almeno
in parte, i tagli che la ricerca italiana ha subito nell'ultimo decennio? I
grandi progetti che finanzia l'Europa possono inserirsi e prosperare in un
humus adeguato, che solo i finanziamenti nazionali possono garantire. Senza un
terreno fertile, fatto di una miriade di progetti di media e piccola entità su
tutto il territorio nazionale, anche fondi europei importanti come gli Erc -
quelli per progetti sopra i 2 milioni di euro ciascuno - rischiano di diventare
cattedrali nel deserto. I tagli a ricerca e università a cui l'Italia ha
assistito dal 2008 a oggi determinano il paradosso per cui il Paese
contribuisce con 900 milioni l'anno al fondo europeo per la ricerca, ma solo
600 tornano ai ricercatori italiani sotto forma di finanziamenti. Una perdita
netta di 300 milioni l'anno per la ricerca nazionale. (Fonte: L. Margottini, FQ
07-02-16)
RIPARTIZIONE
FIRST 2015
Si segnala la ripartizione delle disponibilità per l’anno
2015 del Fondo per gli investimenti della
ricerca scientifica e tecnologica – FIRST. (Decreto n. 684). (16A00259) (GU
n.14 del 19-1-2016); ripartizione
dei fondi FIRST 2015.
MEPA
Art. 1 c. 502 legge 208/2015 (legge di
stabilità 2016). Per le università l’obbligo di ricorrere al Mercato
Elettronico della Pubblica Amministrazione (MEPA) scatta sopra i 1000 €.
LAUREE –
DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA – OCCUPAZIONE
IN MENO DI DIECI
ANNI LA FORMAZIONE UNIVERSITARIA NEGLI STUDI GIURIDICI HA PERSO 12.667
IMMATRICOLATI
In Italia i corsi di studio in Giurisprudenza interessano
un numero sempre più limitato di studenti universitari. I dati dell’Anagrafe
nazionale studenti del MIUR narrano la storia di un declino. A livello
nazionale gli immatricolati nei corsi di studio delle lauree magistrali in
Giurisprudenza (LMG/01) – lauree che costituiscono titolo necessario per
l’avvocatura, il notariato e la magistratura – erano 28.837 nell’anno
accademico 2006/2007, 19.257 nell’a.a. 2014/2015. Complessivamente, sommando il
numero di immatricolati ai corsi per le lauree triennali di scienze giuridiche
e di scienze dei servizi giuridici nonché per le lauree magistrali, nel
2006/2007 si iscrivevano a corsi giuridici 34.817 studenti. Nel 2014/2015
sommando magistrali e triennale in scienze dei servizi giuridici si arriva a
22.150. In meno di dieci anni la formazione universitaria negli studi giuridici
ha perso 12.667 immatricolati, cioè si è ridotta di più di un terzo. Roberto
Caso (ll diritto non abita più qui: la crisi degli studi giuridici tra dati e
domande) ha formulato varie ipotesi sulle ragioni della crisi della formazione
e dell’occupazione dei giuristi. (Fonte: R. Caso, http://tinyurl.com/gmxbux6 febbraio 2016; Roars 14-02-16)
SFIDE E PUNTI DI
DEBOLEZZA DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE SUPERIORE TECNICA
E’ necessario
moltiplicare le risorse per gli 83 Istituti tecnici superiori (ITS),
naturalmente valutandone le performance, poiché sono la prima risposta
strutturata che l'Italia si è data per formare competenze tecniche
specialistiche in ambito di istruzione terziaria. Gli ITS sono stati avviati
nel 2010, come evoluzione dei Poli IFTS (Istruzione e formazione tecnica
superiore) sulla base di un accordo Stato/Regioni. Si tratta di una risposta
importante e innovativa a quattro sfide e punti di debolezza del sistema italiano
educativo e produttivo in ambito europeo.
Primo: la
mancanza di un’offerta di istruzione superiore tecnica accanto a quella fornita
dall'Università non solo spiega perché la percentuale di laureati o con titoli
equipollenti in Italia sia del 23,4% contro il 37,9 % della media europea, ma è
anche una delle ragioni culturali per cui le famiglie non incoraggiano i figli
a scegliere gli istituti tecnici e professionali, considerati di serie B anche
perché non collegati ad una verticalizzazione coerente successiva.
Secondo:
il mismatch tra competenze e skills richiesti dal mercato del lavoro e quelle
offerte dai curricoli scolastici e universitari.
Terzo: la
progressiva separazione che si è avuta in Italia tra i processi di istruzione e
formativi dalla cultura del lavoro e dell'imprenditorialità, per fortuna oggi
ripresa e rilanciata dalla Buona Scuola con l'alternanza scuola /lavoro in
tutti gli ordini di scuola superiore, compresi i licei, avviando così un
"modello italiano" tra quelli della dual education presenti in Europa. Ma in questo senso va anche la
riforma dell'apprendistato, che però deve puntare anche all'apprendistato in
alta formazione (che in Italia abbiamo solo sperimentato) collegandolo agli
ITS.
Quarto:
gli ITS attualmente non riescono a incrementare i loro corsi per le inadeguate
risorse (tra MIUR, Regioni, Fondo sociale europeo) e la poca pubblicità
istituzionale, ma anche la ancora inadeguata promozione presso le imprese.
Dobbiamo
rilanciare questa nuova offerta di alta formazione in ambito europeo e
confrontarla con altre esperienze anche per consentire la partecipazione degli
studenti ITS a Erasmus e in particolare ad Erasmus placement, che consente di
svolgere tirocini ed esperienze lavorative presso imprese europee. (Fonte: S.
Costa, L’Unità 26-01-16)
CHIUSE IL 10
FEBBRAIO LE GRADUATORIE PER I CORSI DI LAUREA A NUMERO CHIUSO
Per chi ha fatto il test di medicina 2015 e gli altri
test di ingresso alle facoltà a numero chiuso nazionale (International Medical
Admissions Test - IMAT, Architettura, Veterinaria) c'è una novità. Il MIUR ha
stabilito, infatti, con il D.M. 50 dell’8 febbraio 2016 la chiusura delle
graduatorie nazionali, fissata per mercoledì 10 febbraio 2016. Il decreto parla
della chiusura delle graduatorie dei corsi di laurea citati nel D.M. 463/2015
(cioè il bando unico per il test di Medicina, IMAT, Odontoiatria, Veterinaria
ed Architettura) e il D.M. 464/2015 (contenente le modalità di svolgimento del
Test di medicina in Inglese). La decisione del Miur pone quindi fine agli
scorrimenti della graduatoria nazionale di Medicina, svoltosi lo scorso 8
settembre, e degli altri corsi di laurea e di laurea magistrale ad accesso
programmato. E ora cosa succede? Secondo quanto si legge nel nuovo Decreto, chi
ha confermato l'interesse sul sito di Universitaly alla data del 10 febbraio e
si trova in posizione utile in graduatoria (cioè ha un posto in una delle sedi
indicate nelle preferenze) diventerà assegnato ed è tenuto ad immatricolarsi
"entro il termine perentorio del 15 febbraio 2016 nella sede di
assegnazione." Il Miur ha specificato anche che "i candidati che alla
data del 15 febbraio 2016 non risultano immatricolati ad alcuno dei corsi di
laurea cui si riferiscono le graduatorie nazionali decadono e non conservano
alcun diritto negli anni successivi" e che "gli eventuali posti che
alla data del 15 febbraio 2016 dovessero risultare non coperti anche a seguito
di rinunce successive all'immatricolazione non verranno riassegnati."
CALCOLO DEL VOTO DI LAUREA IN MEDICINA. CAMBIO DELLE
REGOLE
A partire da luglio
2016, il calcolo del voto di laurea per i corsi di Medicina verrà uniformato
secondo lo stesso modello in tutte le università italiane: a stabilirlo è stata
una decisione presa nell’ultima conferenza dei presidenti dei corsi di laurea
delle facoltà di Medicina. Una decisione resasi necessaria dall’arrivo della
graduatoria nazionale per l’accesso alle scuole di specializzazione. Nello
specifico, la procedura per il calcolo del voto di laurea sarà costituita da
tre componenti: il voto derivante dalla media aritmetica degli esami sostenuti;
un massimo di 7 punti per la prova finale e ulteriori 7 punti per attività
extra quali la partecipazione a progetti Erasmus, progress test, il numero di
lodi ricevute durante gli esami e le tempistiche di conseguimento del titolo di
laurea. Con le nuove norme, dunque, il punteggio minimo per raggiungere il
massimo (110 e lode) dovrebbe essere pari a 113 punti. Una riforma richiesta
dagli stessi studenti, preoccupati dalle disparità di calcolo presenti nelle
diverse università e dal confluire di tutti i voti nell’unica graduatoria utile
all’assegnazione delle borse per le scuole di specializzazione, ma che,
tuttavia, sta raccogliendo numerose critiche proprio da chi più la invocava:
sotto accusa, la validità retroattiva della riforma che, entrando in vigore dal
prossimo luglio, coinvolgerà anche gli studenti iscritti al quinto e sesto anno
dei corsi in medicina che si troveranno, pertanto, a terminare il loro percorso
con delle regole differenti da quelle con cui avevano iniziato. (Fonte: http://www.corriereuniv.it/cms/2016/02/cambiano-le-regole-per-il-calcolo-del-voto-di-laurea-in-medicina-penalizzati-gli-studenti-degli-ultimi-anni/
12-02-16)
RECLUTAMENTO
RECLUTAMENTO IN PANNE
Il 2016 è
iniziato con nuovo problema per gli atenei: la scadenza in molti dipartimenti
di quasi tutti i contratti di ricercatori a tempo determinato di tipo A
(secondo il data base del Miur pari a 3044). Si tratta di figure, nate con la
legge Gelmini (l. 240/10) e che dopo un contratto di 3 anni, rinnovabile al
massimo per altri due, avrebbero dovuto trovare uno sbocco come ricercatori di
tipo B e poi passare di diritto alla fascia di associati. Passaggio mai
avvenuto. La ragione? Semplice, ha spiegato Paolo Rossi, componente del
Consiglio universitario nazionale, «il futuro di questi soggetti è condizionato
indirettamente dall’irrisolta collocazione di migliaia di ricercatori a tempo
indeterminato che, pur avendo conseguito l'abilitazione negli ultimi anni, non
hanno trovato spazio nel piano straordinario per gli associati». Un piano che,
secondo le intenzioni dell’allora ministro Gelmini, avrebbe dovuto assorbire
10mila soggetti, ma che, di fatto, ne ha reclutato solo 6mila, anche a causa di
un taglio del budget passato da 240 milioni di euro a 173 milioni. Ad oggi la
platea di soggetti che aspira all’abilitazione da associato ammonta a circa 17
mila tra i vecchi ricercatori a tempo indeterminato, a cui vanno poi aggiunti
altrettanti titolari di assegni di ricerca e i 700 ricercatori di tipo B con
contratti di tre anni (ai quali si andranno a sommare i nuovi 861 RTD-B del Decreto
ministeriale 18 febbraio 2016 n. 78), gli unici che possono portare alla
promozione ad associato se al termine del triennio hanno conseguito
l’abilitazione scientifica. Una situazione che neanche la Stabilità riuscirà a
sanare. La legge, infatti, ha sì previsto lo sblocco del turn over dei
ricercatori di tipo A per gli atenei virtuosi, ma questa liberalizzazione «che
può sembrare generosa», ha precisato ancora il rappresentante del CUN, «è molto
pericolosa, perché non può che spingere ad aumentare la massa del precariato
privo di sbocchi definiti senza incentivare in alcun modo il passaggio a
profili tenure track che sono quelli di cui il sistema ha maggiormente
bisogno». (Fonte: B. Pacelli, IlSole24Ore 26-01-16)
PROGRAMMI DI
RICERCA DI ALTA QUALIFICAZIONE I CUI VINCITORI POSSONO ESSERE DESTINATARI DI
CHIAMATA DIRETTA
Il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della
Ricerca ha aggiornato (D.M. 28/12/2015, n. 963) l'identificazione dei programmi
di ricerca di alta qualificazione di durata almeno triennale, finanziati
dall'Unione Europea o dal MIUR, i cui vincitori possono essere destinatari di
chiamata diretta da parte delle Università per la copertura di posti di
professore ordinario, associato e ricercatore (Legge 4/11/2005, n. 230, art.1,
comma 9 e successive modificazioni).
Vengono così annoverati in questa lista i vincitori: del
Programma Rita Levi Montalcini per Giovani Ricercatori; del SIR - Scientific Independence
of Young Researchers, degli ERC Stanting Grants e degli ERC Consolidator
Grants, entrambi finanziati dall'European Research Council (ERC), nonché
dell'International Outgoing Fellowships ovvero Individual Felloships
nell'ambito delle Marie Sklodowska Actions. (Fonte: L. Moscarelli,
rivistauniversitas 03-02-16)
RICERCA.
RICERCATORI
PERCHÈ L’ITALIA
NON È PIÙ UN PAESE PER SCIENZIATI
Non è un
Paese per scienziati se un candidato a sindaco di Milano si vanta per aver
sostenuto la battaglia contro la “famosa direttiva europea sulla vivisezione”.
Non sapendo che il termine “vivisezione” descrive una pratica estranea alla
Ricerca; che senza sperimentazione animale la medicina sarebbe a uno stadio
tribale. Non è un Paese per scienziati se si commina il carcere a ricercatori
che derivino da embrioni umani “soprannumerari abbandonati” cellule staminali,
e se si concepiscono bandi di ricerca che escludono, immotivatamente, progetti
che utilizzino quelle cellule, ma si rimane ipocritamente indifferenti
all’importazione (legale) delle stesse cellule dall’estero. Non lo è se si
impone per via giudiziaria una presunta cura (il “metodo Stamina”), la si avalla
per legge, salvo poi scoprire - come sostenuto fin dall’inizio da tutti gli
scienziati – che era una tragica truffa. Non è un Paese per scienziati se
questi sono considerati fantomatici untori di manzoniana memoria e li si indaga
con l’ipotesi di aver deliberatamente introdotto un batterio (temuto ovunque
nel mondo) che sta facendo strage di ulivi nel Salento. Quegli studiosi
cercavano di capire il problema. Le regole dell’Ue prescrivono con rigore e
esperienza cosa fare (e prontamente adottate in Francia sono state efficaci),
ma una procura della Repubblica dice che l’esistenza di ulivi “ancora vivi pur
se positivi per la Xylella” è un
motivo che avvalora le tesi accusatorie. Un po’ come dire che, siccome alcuni
fumatori non si ammalano di cancro al polmone, allora il fumo è innocuo.
E cosa
dire di un Paese che persegue un modello di sviluppo improvvisato, investe un
misero 1,2% del Pil in ricerca e sviluppo e impiega 4,6 ricercatori per mille
occupati? Per inciso, le medie Ue sono circa il doppio. (Fonte: E. Cattaneo, docente
all’Università Statale di Milano e senatrice a vita, repubblica.it 24-01-16)
ERC CONSOLIDATOR GRANT. 30 VINCITORI ITALIANI, MA SOLO 13
IN ITALIA A SVILUPPARE IL PROGETTO
I vincitori italiani
dell'importantissimo bando europeo ERC Consolidator Grant sono 30 in tutto,
secondi solo ai tedeschi e agli inglesi (e a pari merito con i francesi). Ma laddove i nostri ricercatori si sono difesi alla grande, lo stesso
non si può dire del nostro Paese: dei 30, solo 13 rimarranno in Italia a
sviluppare il progetto. Inoltre a fronte dei 17 che se ne vanno non c'è nemmeno
uno straniero che verrà nel nostro Paese. Tra i disincentivi per venire a fare
i ricercatori in Italia vi è sicuramente l'assenza dei fondi di ricerca (solo
92 milioni per la ricerca di base negli ultimi tre anni), l'incertezza della
carriera (le Abilitazioni Scientifiche sono ferme da anni!) e nella
retribuzione (i nostri docenti si sono visti congelare gli stipendi per ben 5
anni). (Fonte: M. Viola, http://www.uninews24.it
12-02-16)
ESODO CONTINUO DI RICERCATORI VERSO L’ESTERO.
POTREBBERO DIVENTARE 30.000 ENTRO IL 2020
Per
l'Apri (Associazione precari della ricerca italiani) i ricercatori italiani che
prestano la loro preziosissima opera all'estero sono 12.000. Il dato ha una
fonte autorevole: Maria Carolina Brandi, ricercatrice dell’Irpps-Cnr -
l'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio
nazionale delle ricerche - audita il 16 maggio 2012 dal Comitato per le
questioni degli italiani all'estero del Senato nell'ambito dell'indagine
conoscitiva sulle Politiche relative ai cittadini italiani residenti
all'estero. Spingendosi a quantificare il fenomeno: "Alcune stime -
spiegava la Brandi - indicano che, se si manterranno i flussi attuali, l'Italia
perderà 12.000 ricercatori laureati entro il 2015 e ben 30.000 entro il 2020,
mentre alla stessa data entreranno poche migliaia di ricercatori laureati
stranieri". "Il flusso di ricercatori che ogni anno abbandona il
nostro Paese per tentare fortuna all'estero supera le 3.000 unità", dice
Silvio Labbate, uno dei rappresentati di Apri. Il perché di questa fuga oltre i
nostri confini e in ogni angolo del mondo è semplice. Labbate critica i metodi
con cui vengono reclutati i ricercatori in Italia, il meccanismo per il
rilascio dell'Abilitazione scientifica nazionale e per la composizione delle
commissioni esaminatrici. Anche l'Istat conferma questa fuga. Nel Rapporto
annuale 2015 gli esperti dell'Istituto di statistica spiegano che 3.000 dottori
di ricerca (pari al 12,9 per cento) che hanno conseguito nel 2008 e nel 2010 il
titolo in Italia vivono all'estero stabilmente. Per quantificare questa perdita
basta moltiplicare il costo sostenuto dalla collettività per formare i
ricercatori - attorno a 150.000 euro per tutto il percorso scolastico e
universitario - per i 3.000 ricercatori che ogni anno si recano all'estero:
qualcosa come mezzo miliardo di euro di "capitale umano" già formato
che ogni anno sfruttano i Paesi esteri. Cinque miliardi in un decennio. (Fonte:
S. Intravaia, La Repubblica 15-02-16)
LA RICERCA
MALTRATTATA
Ma il
punto vero «è che è illogico pretendere di valutare la ricerca su standard
internazionali quando il livello dei fondi è da Terzo Mondo». Così si esprime
Giuseppe Mingione, uno dei 99 matematici più citati del mondo. In 4 anni ha
avuto 3 mila euro di finanziamenti contro i 250 mila dei suoi colleghi
stranieri. «Per questo ho deciso di boicottare la valutazione della ricerca.
Difendo la mia dignità professionale». Solo negli ultimi cinque anni (dal
decreto Tremonti del 2009) il Fondo di finanziamento ordinario ha subito una
sforbiciata pari a 800 miliardi di euro, passando dallo 0,49% del Pil allo
0,42%, contro l’1% di Francia e Germania. La spesa (pubblica e privata) per la
ricerca è pari all’1,3% del Pil contro una media europea del 2%. Eppure a
parità di soldi spesi i nostri ricercatori pubblicano più articoli dei loro
assai più ricchi colleghi e vengono citati di più. «Sì, ma con un po’ di soldi
avrei potuto fare ancora di più». (Fonte: http://www.corriere.it/scuola/universita
01-02-16)
SCOPERTA DELLE ONDE GRAVITAZIONALI. UN NUOVO SUCCESSO
ANCHE PER LA FISICA ITALIANA
"Un nuovo successo
per la fisica italiana a quattro anni dalla scoperta del bosone di Higgs, un
grazie a tutti i ricercatori che, con questa fondamentale scoperta, ci
permetteranno, d'ora in poi, di guardare al cielo con nuovi occhi. Come fece
Galileo Galilei più di 400 anni fa". Così il ministro per l'Istruzione,
l'Università e la Ricerca, Stefania Giannini, commenta la scoperta delle onde
gravitazionali annunciata a Cascina (Pisa) dalla collaborazione Virgo, cui
l'Italia partecipa con l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
"Dopo la scoperta del bosone di Higgs - osserva il ministro in una nota -
la comunità internazionale dei fisici festeggia oggi un altro importante
traguardo scientifico: la prima conferma diretta dell'esistenza delle onde
gravitazionali. Un regalo perfetto per i 100 anni della Relatività Generale di
Albert Einstein, che è stato il primo a pensarle e descriverle nelle sue
equazioni". Il laboratorio Virgo, che fa capo alla collaborazione
internazionale e realizzato in Italia, è per Giannini un "fiore
all'occhiello dell'eccellenza italiana, dei nostri scienziati e della nostra
industria. Un esempio di come gli investimenti nella scienza e nelle grandi
infrastrutture di ricerca siano essenziali per il progresso delle conoscenze e
per lo sviluppo del Paese". Esulta anche l'Università dell'Aquila, che
vede il Gran Sasso Science Institute tra gli istituti italiani coinvolti nella
ricerca. Il gruppo Virgo di Padova e Trento contribuisce alla ricerca sulle
onde gravitazionali sia per l’analisi dei dati sia per la parte più
strettamente sperimentale. Il gruppo per primo ha segnalato alla collaborazione
Ligo-Virgo la presenza di un possibile segnale: la segnalazione è stata fatta
entro i primi 3 minuti dall’evento. La stessa analisi è stata utilizzata poi anche
come ulteriore conferma dell’origine astrofisica del segnale osservato. (Fonte:
http://www.uninews24.it 12-02-16)
UNIPD. ANCHE FISICI PADOVANI IMPLICATI NELLA SCOPERTA
DELLE ONDE GRAVITAZIONALI
La scoperta, pubblicata
su Physical Review Letters con il titolo Observation
of Gravitational Waves from a Binary Black Hole Merger, è frutto della
collaborazione internazionale Ligo-Virgo di cui fanno parte anche alcuni fisici
padovani.
Le onde
gravitazionali sono increspature infinitesimali del “tessuto” spazio-tempo. Si
immagini lo spazio-tempo proposto dalla teoria della relatività generale come
un telo elastico (per usare l’immagine dell’astrofisico inglese Arthur
Eddington) sul quale siano appoggiate delle masse: a seconda della loro
maggiore o minore consistenza curvano, deformano più o meno il telo. Se queste
masse sono in movimento generano delle onde che si propagano sul telo. Fuor di
metafora, le onde gravitazionali appunto. Essendo quasi impercettibili, per
poterle rivelare è necessario da un lato che gli strumenti di cui si dispone
siano molto sensibili, dall’altro che le masse coinvolte siano enormi, come nel
caso di una coppia di stelle di neutroni in orbita vorticosa una attorno
all’altra o della fusione di due buchi neri l’uno nell’altro. Ed è proprio
questo che gli scienziati hanno osservato: onde gravitazionali prodotte dalla
collisione e fusione di due buchi neri. Con una massa rispettivamente di 29 e
36 volte quella del Sole, i due buchi neri hanno spiraleggiato, scontrandosi
poi a una velocità di circa 150.000 chilometri al secondo e culminando nella
formazione di un singolo buco nero rotante di massa pari a 62 volte quella del
Sole e alla distanza di 1,3 miliardi di anni luce. Il primo ad accorgersi
dell’evento pochi minuti dopo il suo arrivo sulla terra è stato Gabriele
Vedovato, dell’Infn di Padova membro del gruppo Virgo, in collegamento con
Marco Drago dell’Albert Einstein Institute di Hannover, ex studente e postdoc
del gruppo di Padova-Trento. (Fonte: M. Panetto, IlBo 12-02-16)
CRISPR-CAS9, LA GRANDE SCOPERTA CONTESA
La più
grande scoperta scientifica del secolo (almeno fino alla scoperta delle onde
gravitazionali) è una tecnica di ingegneria genetica che si chiama Crispr-Cas9
e che consente di tagliare e incollare il Dna di qualsiasi organismo, dai topi
di laboratorio agli embrioni umani, con una precisione e una facilità
infinitamente superiore a qualunque tecnica mai usata prima. Ce ne sono molti,
che a colpi di paper, brevetti e avvocati si litigano la paternità, la gloria e
i miliardi della scoperta. La faida va avanti da anni tra l'Università di
Berkeley, in California, e il Broad Institute di Cambridge, Massachusetts,
sostenuto dal Mit e da Harvard. Sono i più grandi centri di ricerca d'America,
forse del mondo, che stanno riproponendo una gran battaglia scientifica e
legale come non si vedeva dai tempi della disfida tra Bell e Meucci per
l'invenzione del telefono. Le due scienziate di Berkeley Emmanuelle Charpentier
e Jennifer Doudna sono state le prime a pubblicare nel 2012 sulla rivista
Science un articolo rivoluzionario su Crispr, ma Feng Zhang del Broad Institute
è riuscito a far approvare per primo il brevetto della tecnica ed è stato il
primo, pare, a dimostrare che Crispr poteva essere usato anche sul genoma
umano. In gioco in questa gran battaglia tra studiosi ci sono la possibilità di
entrare nel pantheon della scienza universale e un inimmaginabile ritorno
economico. Per ora gli scienziati di Berkeley hanno ricevuto più premi
internazionali, e dunque sono in vantaggio in quanto a legacy, quelli di
Harvard e del Mit più riconoscimenti in termini di brevetti e di possibilità di
lucro. E poi c'è il Nobel. Un premio è assicurato, ma a chi sarà attribuito?
(Fonte: E. Cau, Il Foglio 27-01-16)
UN'ESPORTAZIONE LEGALE DI CAPITALI. 13
GIOVANI RICERCATORI VINCITORI DEL BANDO ERC SPENDERANNO LA LORO DOTE IN PAESI
STRANIERI
Un
commento, illustrando i risultati pubblicati lo scorso dicembre sull'esito di
un bando dell'Erc (l’European Research Council) riservato ai giovani che
iniziano una carriera indipendente. Si noti che i finanziamenti ricevuti
rappresentano una dote che il ricercatore porta con sé. Da tutta Europa sono
pervenute 2920 domande e solo 291, pari al 10%, sono state quelle selezionate.
L'Italia conferma la sua eccellenza con 30 finanziamenti. Purtroppo, però, 13
giovani spenderanno la loro dote in Paesi stranieri. Si tratta, scrive Straia
su tSt, di un'esportazione legale di capitali. Se stiliamo una classifica sui
finanziamenti che saranno spesi in Italia, ci piazziamo solo al quinto posto,
mentre il Regno Unito, che nella classifica era quarto, rimane invece il
paradiso dei ricercatori, passando al primo posto come Paese che ospiterà più
progetti, probabilmente perché offre migliori condizioni di lavoro. Proviamo
ora a stilare una classifica sulla base del numero di finanziamenti per milione
di abitanti in ciascun Paese. Con 0,30 progetti per milione di abitanti ne
usciamo al 15° posto. Dunque, le strutture di ricerca italiane non sono
considerate «appealing». E, se non cambiamo qualcosa su questo aspetto
fondamentale, siamo destinati ad aumentare il divario tra quello che legalmente
esportiamo e quello che portiamo a casa, come già denunciava negli Anni 90
l'allora ministro della Ricerca Antonio Ruberti. Il cambiamento deve quindi
mirare a creare condizioni di lavoro attraenti per rendere agevole e produttivo
il fare ricerca. Sarebbe auspicabile far rientrare chi porta con sé una buona
dote e reclutare stranieri, proprio come avviene nel Regno Unito. Ma con le
attuali infrastrutture frammentate, con la scarsa mobilità interna e con le
regole della pubblica amministrazione questa prospettiva non sarà affatto
facile. Si noti che nel suddetto bando dell'Erc l'Italia è il Paese che ha la
maggiore percentuale di ricercatori del settore delle scienze sociali, per le
quali le infrastrutture sono meno importanti, al contrario dei soli tre
finanziamenti nel settore delle scienze della vita, che richiedono, al
contrario, laboratori e macchinari sempre più sofisticati, oltre a
collaborazioni interdisciplinari. (Fonte: P. Straia, Tutto Scienze e Tecnologia
27-01-16)
LA VEXATA QUAESTIO DELLA RICERCA IN ITALIA
Una grande
questione italiana, quasi del tutto irrisolta: quale ruolo viene attribuito al
sapere scientifico, alla ricerca scientifica e ai suoi metodi, e per quale
ragione la cultura scientifica, elemento fondamentale della modernità di un Paese,
non riesce a trovare una precisa centralità collettiva, almeno in Italia. Il
problema della Scienza esiste ed è drammaticamente reale. La questione è stata
riproposta e rilanciata in un articolo sul quotidiano la Repubblica dalla
professoressa Elena Cattaneo, senatrice a vita e condirettore del Centro di
ricerca sulle cellule staminali dell'Università di Milano. Già dal titolo, la
provocazione della professoressa Cattaneo era evidente: "Non è un paese
per scienziati". Il passaggio in cui la senatrice e studiosa di fama internazionale
pone la vexata quaestio della ricerca in Italia è: "E cosa dire di un
Paese che persegue un modello di sviluppo improvvisato, investe un misero 1,2%
del Pil in ricerca e sviluppo e impiega 4,6 ricercatori per mille occupati? Per
inciso, le medie Ue sono circa il doppio. Ma se questo non è un Paese per
scienziati, cosa facciamo noi perché torni ad esserlo? Quanta responsabilità
abbiamo nell'accettare che la Scienza sia squalificata, processata, manipolata,
svenduta, sotto-finanziata?". È evidente che la domanda è rivolta a tutti:
legislatori, comunità scientifica, accademie e sindacati. Occorre elevare un
ampio dibattito pubblico sulle domande acutamente poste dalla professoressa,
perché sono domande eminentemente politiche che rinviano al modello di sviluppo
che vogliamo affermare nei prossimi anni e al destino delle nuove generazioni.
E appunto interessa centinaia di migliaia di studenti, e le loro famiglie,
perché da questo dibattito pubblico e dalle scelte che verranno effettuate
dalla comunità politica e di governo, dipenderà il loro futuro. (Fonte: D. Tantalo,
http://www.huffingtonpost.it 28-01-16)
POLITICA E
DEMAGOGIA CONTRO LA SCIENZA. IL CASO DEGLI OGM
L’Europa autorizza un solo Ogm autoctono, quello del
mais, coltivato in Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia.
Ne importiamo invece cinquantotto da Stati Uniti, America Latina, Canada e
Cina. Sempre in ottobre, a Strasburgo, il Parlamento europeo ha bocciato a
grande maggioranza i limiti all’importazione e all’utilizzo di quei
cinquantotto tipi di Ogm.
E qui in Italia si importa mais geneticamente modificato
(al 40%) e soia (addirittura all’80%)… Il ministro dell’Agricoltura ha
minimizzato dicendo che in Europa su 28 Paesi 19 hanno preso le nostre stesse
decisioni e che la superficie Ogm nel nostro continente si va riducendo.
Peraltro il 92% del mais biotico è coltivato in Spagna. Si ripete insomma quel
che era già accaduto con il nucleare: ne impediamo studio e produzione in Italia
e lo importiamo da fuori, talvolta prodotto da centrali situate ai nostri
confini. Con la differenza che i rischi del nucleare erano ampiamente provati
mentre quelli degli Ogm sono stati «documentati» da un professore napoletano
che per portare a termine l’impresa si è visto costretto a forzare i dati
scientifici. Un articolo del biotecnologo Marc Van Monta e del filosofo Stefani
Lance (entrambi dell’università belga di Gent) pubblicato su Trend in Plana
Science sostiene che gli argomenti usati contro gli Ogm fanno presa su «menti
umane rimaste nel fondo ancora tribali». Un’affermazione forse eccessiva. Ma
che contiene elementi di verità. Ed è una fortuna che il nostro Parlamento
possa vantare la presenza di un senatore a vita, Elena Cattaneo, che ha fatto
della solitaria battaglia contro tale pregiudizio un punto d’onore. Con
argomenti che meritano attenzione.
Il nostro Paese ha bandito gli Ogm. Ma almeno tre kg del
pasto quotidiano di una vacca italiana sono Ogm. Elena Cattaneo ha risposto
ricordato che il mais Ogm che potremmo coltivare è più sicuro degli altri per
la salute: ha meno micotossine pericolose per l’uomo e le gestanti, inoltre non
richiede insetticidi che uccidono api, farfalle e coccinelle, ma consente a
questi insetti di vivere indisturbati tutelando ambiente e biodiversità
animale. A seguito di decenni di utilizzo «non c’è notizia di una singola
ospedalizzazione per consumo di Ogm». Di più. Negli Stati Uniti dopo che sono
stati debellati i parassiti si è potuto tornare a piante non Ogm sancendo il
principio che la scelta Ogm non è a senso unico. La rivista Altroconsumo ha
documentato che carote e pomodorini biologici contengono più sostanze dannose
alla salute (rame e nitrati) di quelli non bio. La ricerca pubblica su ogni
tecnologia di miglioramento genetico delle piante in Italia è impedita da
quindici anni. Massimo Riva sull’Espresso (15-10-15) ha definito quella di
vietare perfino la ricerca e la sperimentazione sugli Ogm in ambito
universitario «una delle decisioni culturali più oscurantiste mai compiute in
età moderna». (Fonte: P. Mieli, CorSera 01-02-1&)
SOCIAL NETWORKS E INSTITUTIONAL
REPOSITORIES
Un articolo di Paola Galimberti ci spiega le differenze fra social
networks e institutional repositories. Molti ricercatori hanno preso
l’abitudine di depositare i loro lavori nei social network tipo Academia.edu o
Researchgate. Questa attività è molto semplice e richiede poco tempo perché i
dati vengono recuperati in qualche modo da qualche fonte nel web, il social
network invia continuamente mail richiedendo il caricamento del pdf quando ci
sono solo i dati bibliografici, e i ricercatori lo fanno volentieri, perché
attraverso i social network si è visibili e soprattutto si è connessi alla
comunità scientifica di riferimento. Ma cosa sta dietro a questi social
network? Il caricamento dei pdf in questi strumenti è legale? E una volta
depositati i metadati in uno di questi contenitori posso in qualche modo
riutilizzarli? E quale garanzia ho che i dati depositati siano conservati? A
queste domande risponde l’articolo redatto su Roars (28-01-16) da P. Galimberti
al quale potete collegarvi all’indirizzo http://www.roars.it/online/social-networks-vs-institutional-repositories/
.
LA PRIMA 'MAPPA' DELLA RICERCA CHE
SI PRODUCE NELLE UNIVERSITÀ ITALIANE
Mettendo sotto la lente d'ingradimento i circa 96 atenei del nostro
Paese, si scopre che a fare ricerca sono ormai 10.158 gruppi di ricercatori,
con un numero di componenti medio di circa sei studiosi ciascuno. A scattare
per la prima volta in Italia la foto di dettaglio delle attività di ricerca
universitarie è l'Anvur, l'Agenzia Nazionale Valutazione del sistema
Universitario e della Ricerca, che ha redatto 1.035 schede che l'Adnkronos hanno
potuto visionarie ed elaborare in esclusiva. Poco più della metà della
produzione scientifica prodotta nel periodo 2011-13, pari al 51%, è composta da
contributi pubblicati su riviste scientifiche, mentre il 25% da libri o paragrafi,
il 22% da atti di convegno ed il 2% da attività di terza missione come
brevetti, spin off o studi per imprese ed enti pubblici. Alta la cooperazione
internazionale al lavoro di ricerca che si svolge negli atenei italiani, tanto
che il 30% dei contributi pubblicati nelle riviste scientifiche è stato
prodotto con almeno un coautore straniero. "Nelle università italiane c'è
una qualità media della ricerca che regge il confronto internazionale,
soprattutto in relazione agli investimenti che il nostro Paese realizza in
questo settore, e pari all'1,3% del Pil, ampiamente al di sotto della media
Ocse del 2,4% del Pil". Questa è l'analisi del Direttore dell'Anvur
Roberto Torrini, anticipando così la valutazione contenuta nel nuovo
"Rapporto biennale sullo stato dell’università e della ricerca
italiana", da lui curato e che uscirà in primavera. La qualità della
ricerca italiana, evidenzia però Torrini, "deve fare i conti con il numero
basso dei nostri ricercatori, pari a 4,9 ogni 1.000 occupati, contro i 10 della
Francia, gli 8,7 della Gran Bretagna e gli 8,5 della Germania". (Fonte: http://www.adnkronos.com 29-01-16)
RICERCATORI CHE HANNO FIRMATO LE PUBBLICAZIONI
SCIENTIFICHE PIÙ CITATE NEL MONDO. 44 LAVORANO IN ITALIA
Nella lista dei
migliori 3.100 cervelli internazionali ci sono 44 scienziati che lavorano in
Italia. Sono i ricercatori che hanno firmato le pubblicazioni scientifiche più
citate (highly cited) nel mondo nel periodo 2003-2013. Di questi 44, circa una
ventina sono impegnati in discipline mediche e farmaceutiche. A censirli il
rapporto diffuso di recente 'Beautiful
minds 2015' - le menti scientifiche più influenti al mondo - della Thomson
Reuters che elenca, sui 9 milioni di ricercatori attivi a livello mondiale, i
'cervelli' che più hanno influenzato il progresso scientifico. L'area di studio
che riguarda la ricerca medica è quella più rappresentata nella classifica, sia
per numero di ricercatori che di studi. Non a caso al vertice dell'elenco si
posiziona una 'bella mente' di questo settore. Ed è una donna: Stacey B.
Gabriel del Broad Institute del MIT e di Harvard che ha contribuito
all'evoluzione del settore con 25 citatissimi studi, in particolare legati al
progetto Cancer Genome Atlas (TCGA), con gli identikit molecolari di tumori di
seno e polmone. Mentre più recentemente ha contribuito ad esaminare le basi
genetiche della schizofrenia e del morbo di Alzheimer.
Tra le 'beautiful
minds' italiane: gli ematologi Michele Baccarani, dell'università di Bologna, e Mario Boccadoro delle Molinette di
Torino; il cardiologo Antonio Colombo del centro cuore Columbus di Milano;
l'oncologo Goldhirsh Aron, istituto europeo di oncologia di Milano; il
cardiologo Aldo Pietro Maggioni, direttore del centro di ricerca Anmco. E
ancora: Giuseppe Mancia, docente di medicina interna dell'Università Bicocca di
Milano; Antonio Palumbo ematologo dell'università di Torino; Giuseppe Remuzzi,
ematologo e nefrologo del Mario Negri; l'ematologo Giuseppe Salio università di
Torino; l'oncologo Salvatore Siena, coordinatore Scientifico del Niguarda
Cancer Center di Milano, l'immunologo Alberto Mantovani dell'Humanitas di
Milano; Serena Sanna e Manuela Uda entrambe dell'istituto di ricerca biomedica
e genetica del Cnr di Cagliari. Ci sono poi Alessandra Carattoli biologa
molecolare dell'Istituto Superiore di sanità, il biochimico Vincenzo di Marzo,
Andrea Scozzafava della facoltà di Farmacia dell'università di Firenze,
Francesco Maria Veronese del dipartimento di scienze farmaceutiche dell'università
di Padova. (Fonte: immediapress 30-01-16)
CERVELLI IN FUGA
«Bisognerebbe smettere di parlare di cervelli in fuga. È
dal Rinascimento che la patria degli scienziati è il mondo. E l'Italia dovrebbe
puntare ad attrarre i migliori cervelli del mondo, non solo il mio o quello di
altri italiani. Solo così si può attivare una crescita. L'industria non bussa
alla porta di un laboratorio perché dentro c'è il parente di un politico.
L'industria cerca opportunità commerciali e queste si trovano dove la ricerca è
avanzata. Per attrarre cervelli servono progetti seri e internazionali. Gli
stessi che producono cure sperimentali efficaci. Se ci fosse una grande
struttura nel Sud Italia che si occupa di tumori al cervello, molti meridionali
si risparmierebbero inutili viaggi della speranza in America». (Fonte: A.
lavarone, intervistato da V. Zincone, CorSera Sette 31-01-16)
RICERCA
BIOMEDICA. CONFRONTO FINANZIAMENTI TRA USA E ITALIA
Nel corso del 2015 negli Stati Uniti gli Istituti
Nazionali per la Salute, i famosi NIH (National Institutes of Health), hanno
ricevuto ben 30,1 miliardi di dollari dal Governo americano per i loro progetti
di ricerca. Per espandere le proprie attività gli NIH avevano richiesto
l'aumento di un miliardo per il 2016. La Camera e il Senato gliene hanno dati
due, portando così il bilancio 2016 a 32,1 miliardi. Non solo, il Governo USA
ha aumentato di 300 milioni anche il budget della National Science Foundation,
concedendo al tempo stesso a tutte le
agenzie di ricerca americane un incremento fra l'1,6 e il 14,7 percento. Si
noti che l'aumento della sola National Science Foundation è superiore alla
somma totale disponibile per i bandi di concorso del Ministero della Salute e
del Miur per la ricerca biomedica. Ormai i fondi per la ricerca in Italia sono
ridotti al lumicino e c'è il rischio che declinino rapidamente verso quelli dei
Paesi senza futuro. Ciò è molto grave, in particolare per il Servizio Sanitario
Nazionale (Ssn) che a causa della carenza di ricerca rischia di spendere i suoi
111 miliardi di euro annui in modo quantomeno non ottimale. Infatti,
un'attività così complessa come quella del Ssn non può non far affidamento
sulle conoscenze mediche generate nel mondo. È solo una ricerca interna,
aggiornata e multidisciplinare, che può consentire una continua setacciatura
critica degli interventi che il Servizio
Sanitario Nazionale deve adottare, cioè quelli davvero importanti per gli
ammalati. La ricerca è la miglior spending review non solo per la diagnosi, la
terapia e la riabilitazione, ma anche per gli aspetti organizzativi e
amministrativi del Ssn.
Oggi in Italia, la ricerca è un'attività residuale:
se avanzano un po' di soldi - una miseria - bene, altrimenti si invoca
l'austerità. Il Ministro della Salute deve pretendere che la ricerca sia
inserita nel Fondo sanitario nazionale (107,5 mld nel 2015) con una percentuale
ben definita, che non può essere inferiore all’1 per cento e che dovrebbe
tendere nel medio termine al 3 per cento, una cifra ancora piccola rispetto
alla complessità del Ssn. Oggi per la ricerca biomedica si spende poco più
dello 0,2 per cento. (Fonte: S. Garattini, CorSera 07-02-16)
LETTERA
DI RESEARCH4LIFE ALLA COMMISSIONE EUROPEA: “NORMATIVA ITALIANA SIA UNIFORMATA A
QUELLA COMUNITARIA” SULLA SPERIMENTAZIONE ANIMALE
Sono più di 3.200 i cittadini, tra cui ricercatori,
studenti, pazienti e loro familiari, assieme a 37 enti pubblici e privati
(Università, Istituti di Ricerca e Associazioni di Pazienti), che hanno
sottoscritto la lettera
(http://tinyurl.com/jqxwjyk ), promossa da Research4Life, indirizzata alla Commissione europea, DG
Ambiente, per chiedere che la normativa nazionale italiana sulla sperimentazione
animale venga uniformata a quella dell’Unione Europea. E’ necessario, infatti,
a parere di Research4Life e di tutti coloro che hanno sostenuto l’iniziativa
che l’Italia ritorni sui suoi passi e adotti la Direttiva 63/2010/UE sulla
protezione degli animali utilizzati a fini scientifici nella sua versione
originale, eliminando quelle restrizioni che non consentono ai nostri
ricercatori di indagare su soluzioni per bisogni di cura ad oggi insoddisfatti.
A causa di questo divieto, verrebbe impedita la prosecuzione delle ricerche
finalizzate alla generazione di organi perfettamente compatibili con
l’organismo ricevente (umano) da destinare quindi ai trapianti di organi
nell’uomo, a partire dall’inserimento mediante iniezione di cellule staminali
indotte in un animale ospite e si impedirebbe la produzione di valvole
cardiache biologiche derivate da maiale, bloccando le cure delle stenosi
aortiche e delle valvole cardiache. Il divieto di utilizzo di animali per le
ricerche su sostanze d’abuso causerà, invece, “la conclusione di qualsiasi
ricerca volta ad indagare i meccanismi di azione di tali sostanze, le quali
stanno diventando sempre più diffuse, con effetti devastanti, in termini di
danni permanenti (ad esempio, la sindrome da astinenza neonatale, causata
dall’utilizzo di sostanze stupefacenti/farmaci durante la gravidanza). Più in
generale, sarà messa in pericolo la ricerca sui disturbi alimentari, quali la
bulimia e l’anoressia”. (Fonte: http://www.quotidianosanita.it
, AdnKronos Salute 05-02-16)
LA
MEDICINA È FALLIMENTARE SENZA TEST SUGLI ANIMALI
Nel parlare di sperimentazione animale in Italia,
si è ancora legati a un immaginario novecentesco, quando conoscenze imprecise
rendevano necessari più animali. I pochi metodi “alternativi", più
correttamente "complementari", sono usati se razionalmente utili e
scientificamente validi, e non c'è bisogno di raccomandarne l'uso. È implicito.
Ma per il 99,9% degli esperimenti non esistono alternative (abbiamo presente la
complessità dei corpo umano?). Ma grazie alla scienza abbiamo imparato a
calibrare numeri, dosi e funzioni, evitando ogni sofferenza all'animale. La
scienza procede in questa direzione di continua tensione etica e di
responsabilità. Ora tocca agli animalisti. Se oggi curiamo malattie infettive
mortali, attenuiamo dolori lancinanti, stabilizziamo l'umore, salviamo i nostri
figli e portiamo a remissione alcune forme di cancro, lo dobbiamo al lavoro
svolto anche sugli animali. E dovremmo riconoscerlo. Almeno sull'etichetta dei
farmaci, come è stato proposto da alcuni parlamentari. Ci si può anche “non
curare” per coerenza o per una scelta “di precisione” etica. La stessa che si
chiede ai politici che vogliono legittimamente opporsi alla sperimentazione animale:
siano “precisi” nello spiegare praticamente ai malati a quale destino li si
consegna e lo siano anche nelle parole, evitando di manipolare la realtà
inventandosi la pratica (inesistente) della “vivisezione”. Fanno bene i giovani
di Pro-test a reagire. Dovrebbero farlo anche tutte le Eleonora d'Italia che,
con stipendi da mille entro e orizzonti professionali cancellati, si caricano
della responsabilità di trovare cure per malattie complesse. Affezionandosi
anche ai loro topolini. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 09-02-16)
INCONTRI E
DIBATTITI PUBBLICI PER RIAFFERMARE IL RUOLO STRATEGICO DELLA RICERCA E
DELL’ALTA FORMAZIONE. APPUNTAMENTO AL 21 MARZO
In ogni sede delle università italiane, statali e non
statali, il 21 marzo si terranno incontri e dibattiti
pubblici per riaffermare il ruolo strategico della
ricerca e dell’alta formazione per il futuro del Paese.
Verranno discusse e raccolte idee e proposte da
consegnare al Governo in un documento di sintesi unitario redatto dalla
conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI). Dal 2008 il sistema
universitario italiano è soggetto a tagli lineari e progressivi delle risorse.
Una scelta politica trasversale che, in coincidenza con la drammatica crisi
globale e l’adozione di una radicale riforma organizzativa, si è tradotta nella
perdita di oltre 10.000 posizioni di ruolo solo tra quelle per docenti e
ricercatori, ovvero tagli superiori al 13% del totale quando la media nel
settore pubblico è stata ad oggi del 5%. Ma non solo. I tagli continui al fondo
di finanziamento ordinario, l’assenza di un convinto investimento pubblico e
privato nella ricerca e nell’alta formazione universitaria hanno determinato
l’impossibilità di avviare nuovi percorsi di ricerca e di alta formazione, di
investire in servizi e attività per gli studenti e nell’internazionalizzazione,
di valorizzare il contributo della struttura tecnica e amministrativa. Ma
soprattutto hanno significato l’impossibilità di reclutare studiosi giovani e
meritevoli, il congelamento delle carriere e delle opportunità di crescita
professionale, una condizione retributiva che disincentiva i migliori a restare
e allontana i giovani talenti e gli studiosi stranieri, l’indebolimento del già
precario e fragile diritto allo studio che sta riducendo iscritti e laureati.
Ciò nonostante, il valore e la competitività scientifica delle nostre
università sono rimaste forti. E uniche tra le amministrazioni pubbliche, le
università sono finanziate sulla base dei costi standard e degli esiti delle
valutazioni scientifiche.
La società e l’opinione pubblica di tutto questo sanno
poco. Non esiste sufficiente consapevolezza del valore, per il Paese, delle sue
Università, anche rispetto al confronto internazionale, nonché del
rischio di mettere, seriamente e definitivamente, in
crisi un sistema che, nonostante tutto, continua a funzionare. (Fonte:
Redazione Roars 09-02-16)
I NOSTRI
SCIENZIATI SONO MOLTO BRILLANTI MA IL PAESE NON È AMICHEVOLE CON LORO
“Ci stiamo facendo sfuggire i nostri migliori
ricercatori, non riusciamo a rimpiazzare i docenti che vanno in pensione, non
attraiamo ricercatori dall’estero e perdiamo di competitività rispetto agli
altri paesi europei. In breve, l’Italia non è un paese amichevole per i
ricercatori. La diminuzione dei finanziamenti nazionali, che dovrebbero servire
per pagare gli stipendi di ricercatori e professori universitari, fa sì che si
debbano coprire queste spese con i fondi europei, che invece dovrebbero essere
utilizzati per l’acquisto di attrezzature e per l’allestimento di laboratori.
L’aspetto più paradossale è che i nostri scienziati sono molto brillanti: gran
parte dei finanziamenti europei viene assegnata, effettivamente, a ricercatori
italiani. Che però vivono e lavorano all’estero: i fondi, dunque, non rientrano
in Italia. Due aneddoti emblematici: nel 2007 c’è stato un concorso per 7 posti
da ricercatore in meccanica statistica al Cnrs francese. 4 dei vincitori erano
italiani. La commissione stessa era composta per la maggior parte da scienziati
italiani. In un altro concorso per una cattedra di fisica teorica a Londra,
sono stati ammessi alle selezioni finali 6 candidati su 40. Tutti e 6 erano
italiani”. (Fonte: S. Iannacone, intervista a G. Parisi, http://tinyurl.com/hsw7u6t 10-02-16)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA
UNA VALUTAZIONE RIGOROSA DEI PROGETTI DI RICERCA
ASSOLUTAMENTE INDIPENDENTE DALLA POLITICA
Per
decenni i nostri governi hanno trascurato il ruolo della scienza e della
ricerca e i guasti accumulati negli anni sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo
il numero di ricercatori per milione di abitanti più basso in Europa e la
“bilancia dei pagamenti UE nel settore ricerca” ha un saldo ampiamente
negativo. Abbiamo gli investimenti pubblici fra i più esigui del mondo e una
continua emorragia di capitale umano. Ciononostante, i nostri ricercatori non sono affatto inferiori ai
colleghi stranieri e, quando messi nelle
condizioni di operare, si distinguono per la qualità della ricerca, per
creatività e spirito di iniziativa. In altre parole investiamo nella
preparazione dei nostri talenti ma poi li regaliamo ad altri paesi. Per “invertire la rotta” e valorizzare i
nostri giovani ricercatori occorrono investimenti, ma, soprattutto, occorre
attenzione dal mondo della politica che deve avere una visione che trascenda i
risultati immediati per puntare al lungo periodo. Occorre rilanciare la ricerca
di base, potenziare la ricerca universitaria e costituire un’Agenzia Nazionale
che attribuisca i fondi con una
valutazione rigorosa dei progetti assolutamente indipendente dalla politica.
(Fonte: P. Caraveo, http://www.media.inaf.it 01-02-16)
VQR (VALUTAZIONE
DELLA QUALITÀ DELLA RICERCA) E RECUPERO SCATTI STIPENDIALI
È vero che il vettore più robusto della protesta è quello
legato agli scatti stipendiali, ma i rettori, prima di chiedere alle loro
truppe di entrare coraggiosamente nel labirinto di IRIS, codici ERC, Subject
Category WOS e Scopus, dovrebbero rispondere con solidi argomenti (naturalmente
da sottoporre a rigorosa peer review) e non con un glaciale silenzio a coloro
che contestano gli effetti di sistema di questa modalità di valutazione. È
chiaro che si tratta di un confronto ancora più difficile di quello con il
Governo, perché taglia e ferisce dall’interno il mondo accademico. Tutti i
professori sarebbero in fondo contenti di “recuperare” i loro scatti. Solo una
parte pensa che i fenomeni denunciati nella petizione stopvqr (http://firmiamo.org/stopvqr/ ) siano
reali, che abbiano nella VQR una delle loro cause principali e che
costituiscano un danno di misura tale da giustificare un radicale ripensamento
di uno strumento giudicato tanto prezioso per stimolare finalmente efficienza e
produttività. È anzi possibile che queste siano le tesi di una trascurabile
minoranza. Ma i rettori fanno male ad ignorare coloro che le sostengono a viso
aperto. Non sono sabotatori. Non si fermeranno e continueranno a difendere
un’idea diversa di università, perché l’alternativa a questa VQR non è la
vecchia logica del privilegio e dell’irresponsabilità. (Fonte: S. Semplici,
Roars 02-02-16)
VQR II. LA CRUI
CHIEDE UNA PROROGA
La CRUI scrive al ministro Giannini e al presidente
dell’ANVUR chiedendo «chiari criteri definiti a priori dall’ANVUR e comunicati
da questa agli Atenei in tempi certi e utili al loro utilizzo, senza ulteriori
variazioni nei contenuti in itinere». La CRUI «ha anche predisposto una
struttura di supporto, con una procedura software sviluppata ad hoc, per
coadiuvare le attività di selezione degli Atenei … Tale procedura diventa però
operativa solo da oggi, per il ritardo del rilascio di alcune informazioni da
parte dell’ANVUR». «Un’ulteriore preoccupazione è legata all’influenza della
VQR 2011-2014 sui tempi di attribuzione del FFO 2016 e di attuazione dei
provvedimenti previsti nella Legge di Stabilità». Ma la conclusione del
processo, prevista al 31 ottobre 2016 «appare incompatibile con l’impegno del
MIUR, fortemente apprezzato dalla CRUI, di avere una comunicazione dei dati del
finanziamento e del turnover nel primo semestre dell’esercizio finanziario
corrente». Per tutti questi motivi … la CRUI «chiede una proroga al 30 aprile
al fine di permettere l’inserimento consapevole e corretto dei dati da parte degli
atenei, altrimenti impossibile». (Fonte: Redazione Roars 04-02-16)
DECLARATION ON RESEARCH ASSESSMENT, DORA
I risultati
di un’analisi fatta sulle citazioni del 2014 ad articoli pubblicati su Nature
nel 2012 e nel 2013 (1944 per la precisione) sono stati pubblicati sul suo blog
da Bernard Rentier, biologo e virologo, rettore dell'università di Liegi dal
2005 al 2014. Ricordiamo che il valore dell'IF si ottiene dividendo il numero
di citazioni di un determinato anno agli articoli dei due anni precedenti
apparsi su una determinata rivista, per il numero degli articoli pubblicati in
quella rivista. I risultati confermano quanto già scoperto nel secolo scorso da
Bradford, Lotka e Zipf, il problema è che troppo spesso decisori istituzionali
e politici se ne dimenticano.
In 2013, the American
Society for Cell Biology and several scientific journals launched the San
Francisco Declaration on Research Assessment, DORA, meant to put an end to the
ridiculously unscientific practice of using the impact factor of journals to
assess individual researchers or research groups or even institutions.
According to the original text, this practice creates biases and inaccuracies when
appraising scientific research. The impact factor must no longer be considered
as «a measure of the quality of individual research articles, or in hiring,
promotion, or funding decisions». (Fonte: Redazione Roars 03-02-16)
SALVATORE SETTIS
SU VALUTAZIONE DELLA RICERCA E CREDITI FORMATIVI
“Un professore si giudica dai risultati, da come fa
lezione agli allievi. Nel caso di un professore universitario c’è la ricerca.
Che poi viene spesso valutata male”, attacca l’ex direttore del Consiglio
Superiore dei Beni Culturali in un’intervista rilasciata a Linkiesta. “L’Anvur
valuta gli articoli senza leggerli – spiega Settis – Se esce in una cosiddetta
rivista di serie A viene valutato bene, se no niente. E’ una sciocchezza: molti
ottimi articoli specialistici escono in riviste di serie B o di serie C. Questo
è un modo di ragionare che può uccidere la ricerca universitaria”. E
sull’introduzione di metodi di valutazione quantitativa sempre più stringenti,
in primis sulla necessità di contare con precisione il monte ore necessario a
preparare una lezione o quello utile agli studenti per apprendere una
disciplina, Salvatore Settis afferma: “Nessuno lo può conteggiare. Ma si rende
conto che col sistema assurdo dei crediti formativi all’università (CFU) si
pretende di conteggiare il tempo che ci vuole a imparare un certo libro? Magari
un libro di cento pagine io lo posso imparare in due ore e lei in mezz’ora.
Abbiamo un sistema di valutazione che mortifica la diversità tra gli esseri
umani. Valutare in base alle ore presunte è una solenne sciocchezza. Questa è
la vera perversione che sta facendo danni enormi, e ne farà sempre di più”.
(Fonte: intervista a S. Settis, http://www.corriereuniv.it 08-02-16)
STUDENTI
ERASMUS+ E UNIVERSITÀ
ITALIANE
Le prime cinque università italiane per studenti in uscita
sono l’Università degli Studi di Bologna, l’Università degli Studi di Padova,
l’Università degli Studi di Roma “Sapienza”, l’Università degli Studi di Torino
e l’Università Statale di Milano. Dal punto di vista dell’accoglienza, invece,
le università italiane che ospitano più studenti dall’estero sono l’Università
degli Studi di Bologna, l’Università degli Studi di Roma “Sapienza”,
l’Università degli studi di Firenze, il Politecnico di Milano e l’Università
degli Studi di Padova. Integrando i dati sui risultati raggiunti dall’Erasmus+
e quelli AlmaLaurea sulle esperienze di studio all’esterno, emerge che gli
studenti italiani prediligono destinazioni come Spagna (26%), Francia (12%),
Germania (10%), Regno Unito (8%) e Portogallo (4,1%). Chi invece decide di
trascorrere il periodo di mobilità in Italia sono soprattutto universitari che
arrivano da Spagna, Francia, Germania, Turchia e Polonia. L’indagine AlmaLaurea
sul Profilo dei laureati 2014 mostra che l’esperienza di studio all’estero è
appannaggio del biennio magistrale. Nel dettaglio, fra i laureati magistrali,
il 13,4% ha svolto l’esperienza nel secondo biennio, mentre un numero assai
inferiore di studenti, 5,3%, ha optato per il
triennio. La partecipazione ai programmi di studio all’estero varia
naturalmente anche in funzione della disciplina di studio: il 31% dei laureati
proviene dall’area linguistica, il 19% da percorsi che afferiscono agli
indirizzi di medicina e odontoiatria; in tutti gli altri gruppi disciplinari la
mobilità coinvolge meno del 15% dei laureati. Il focus della Commissione
Europea sull’impatto della mobilità Erasmus in termini di occupabilità,
competenze e carriera dimostra che gli studenti provenienti dai Paesi del Sud
dell’Europa (quindi anche l’Italia) hanno beneficiato maggiormente della
mobilità, riducendo così i tempi di disoccupazione. Infatti, il 51% degli
italiani ha ricevuto un’offerta di lavoro dall’impresa europea in cui veniva
svolto il tirocinio. L’esperienza di mobilità influisce anche sullo spirito
imprenditoriale dei giovani italiani: il 32% è intenzionato ad avviare una
start-up e il 9% l’ha già realizzata. (Fonte: AlmaLaurea
30-01-16)
IMMATRICOLAZIONI IN RIPRESA
Oltre 9
mila matricole in più nell’anno accademico 2015 – 2016. I numeri sono stati
anticipati da un’inchiesta del quotidiano La repubblica che ha intervistato 70
dei 77 atenei presenti nel nostro Paese: dopo circa 10 anni di calo e un
conseguente -20% di immatricolazioni, nell’anno in corso cresce il numero di
nuovi studenti universitari. Nello specifico, sulle 70 Università che hanno
accettato il confronto con l’a.a. precedente, 45 atenei risultano in crescita,
23 sono in calo, e 2 registrano lo stesso numero di nuove matricole del
2014-2015. Un totale di 9.728 matricole in più, per una crescita del 3,2% sul
totale. Com’era facile aspettarsi, sono gli atenei del Nord a crescere
maggiormente: tutte le Università milanesi registrano il segno più (Statale
+0,8%; Bicocca +0,9%; Cattolica +3%; Iulm +12%); bene anche Torino (+ 8%),
Venezia e Bologna; crescita record per Parma (+22,5%) e Modena-Reggio. Segno
positivo anche per Roma Sapienza (+1,2%) che però “ruba” iscritti alle altre
università della capitale, tutte in calo. Al Centro si distinguono anche le
Università di Perugia, quella di Macerata e Camerino. Il segnale più atteso,
però arriva dal Sud che, sebbene registri ancora il maggior numero di atenei in
difficoltà, riesce ad attrarre nuovi studenti nelle università locali:
l’Università di Bari, su tutte, segna il record positivo con un +19,2%, seguita
da quella di Catania (+11,4%). Crescono anche l’Università del Molise, quella di
Salerno, Cagliari e la storica Federico II di Napoli (di solo 116 studenti).
Molto male l’Aquila, che su un totale di poco meno di 4 mila studenti registra
un calo di 705 matricole. (Fonte: http://www.corriereuniv.it 18-01-16)
GLI IMMATRICOLATI
ALLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE SUPERANO PER LA PRIMA VOLTA QUELLI DELLE AREE
UMANISTICHE
Per la prima volta gli iscritti alle facoltà scientifiche
superano, anche se non di molto, quelli delle aree umanistiche. La causa di questo
cambiamento è da rintracciare in una crisi che ha reso il mondo del lavoro
sempre più selettivo e globalizzato, e in cui le lauree scientifiche sono
sicuramente più spendibili delle altre. In generale, negli ultimi dieci anni,
le iscrizioni alle università sono scese di quasi il 20% e le matricole sono
arrivate a essere circa 65mila in meno. La facoltà che ha perso più iscritti in
assoluto è Geografia (-78,4%), seguita da Beni culturali (-47,1%), Giurisprudenza,
Sociologia e Scienze della Comunicazione (-45%), Scienze dell’educazione e
della formazione (-43,1%), Storia e Scienze del turismo (-37%), Scienze e
tecniche psicologiche (-32,6%), Filosofia (-22%) ed Economia e Scienze
politiche (-10%). Nell’ambito delle materie umanistiche, fanno eccezione solo
le facoltà di Lingue e culture straniere che, nell’ultimo decennio, sono
risultate ancora un polo d’attrazione per gli studenti le cui iscrizioni sono
aumentate di oltre il 12%. Le facoltà dell’ambito scientifico resistono meglio:
primo fra tutti il corso di laurea in Chimica che ha registrato un aumento del
46,2% delle iscrizioni. Crescono anche gli iscritti di Scienze e tecnologie
fisiche e di Scienze motorie. Sorprende, invece, il risultato negativo di
Scienze e tecnologie informatiche che ha perso il 21% degli immatricolati
rispetto allo scorso decennio. (Fonte: M. Silvestre, http://www.iostudionews.it 02-02-16)
ERASMUS +. 650.000 BORSE DI STUDIO FINANZIATE
NEL 2014
I dati
resi noti dalla Commissione europea rivelano che nel 2014 Erasmus+ ha
registrato una nuova cifra record di borse di studio finanziate, ben 650mila.
Dall’Italia sono partite 57.832 persone per studiare, svolgere tirocini o
progetti di volontariato all’estero, grazie a un finanziamento totale pari a
quasi 93 milioni di euro. Le organizzazioni coinvolte nel nostro Paese sono
state 791 con 118 partnership strategiche stipulate con finanziamenti per oltre
30 milioni di euro. Il nuovo Erasmus+ ha spianato la strada ai primi prestiti
per studenti che desiderano seguire un corso di laurea magistrale all’estero.
Per la prima volta il programma ha finanziato anche progetti di sostegno alle
politiche che hanno coinvolto autorità pubbliche e organizzazioni
internazionali e ha assegnato finanziamenti a progetti nel settore dello sport.
Migliora anche il riconoscimento degli studi svolti all’estero dopo il ritorno
nel paese di origine e si sta lavorando per aumentare l’integrazione della
mobilità degli insegnanti e del personale in strategie di sviluppo professionale
sostenute dai rispettivi istituti. Erasmus+ ha reso disponibile il sostegno
finanziario più ampio mai erogato per partecipanti che dispongono di minori
mezzi finanziari o hanno esigenze speciali. Un ulteriore importo di 13 milioni
di euro è stato impegnato, per il 2016, per finanziare progetti intesi ad
affrontare questioni quali l’inclusione sociale delle minoranze, dei migranti e
di altri gruppi sociali svantaggiati. Aumentato infine il numero delle
opportunità di tirocinio e apprendistato offerte nell’ambito del programma. La
Commissione ha anche diffuso le statistiche sulla mobilità degli studenti e del
personale per l’ultimo anno accademico (2013-2014) del precedente programma
Erasmus per l’istruzione superiore. Dall’Italia, per l’anno accademico
2013-2014 sono partiti 26.331 studenti, mentre ne sono arrivati nel nostro
Paese 20.204. Le università da cui parte il maggior numero di studenti sono
quelle di Bologna, Padova e Sapienza di Roma. A ricevere più studenti è sempre
Bologna, seguita da Sapienza di Roma e dall’Università di Firenze. I nostri
studenti partono soprattutto per Spagna, Francia, Germania, Regno Unito e
Portogallo, mentre a scegliere l’Italia come destinazione sono soprattutto
spagnoli, francesi, tedeschi, turchi e polacchi. (Fonte: http://www.eunews.it 26-02-16)
ERASMUS+. SUCCESSO DEI GIOVANI
ITALIANI
«Il 51% dei ragazzi italiani dopo il tirocinio Erasmus+ riceve un’offerta
di lavoro dall’impresa che l’ha ospitato. La media europea è del 30%».
Sorprendente? Per nulla. Importante? Ovviamente. Motivo d’orgoglio? Certo.
Alcuni Paesi — più abili o più lungimiranti: fate voi — hanno capito la
preparazione e l’elasticità mentale dei giovani italiani, e hanno cominciato a
reclutarli in modo sistematico. Il drenaggio dei nostri medici verso la
Svizzera, la Germania e in Regno Unito è evidente. Noi li formiamo e li
educhiamo, a un costo collettivo non indifferente. A Basilea, Bellinzona,
Londra e Monaco di Baviera gli danno un lavoro: e se li tengono. Qualcuno dirà:
si chiama Europa! Vero: ma l’Europa è una rotatoria, non un senso unico. Un
modo per trattenere i giovani italiani e attirare i giovani stranieri esiste,
ovviamente. Basta coinvolgerli, e smettere di pensare che occorra avere 40 anni
per proporre cose sensate. Basta retribuirli adeguatamente, quando le proposte
diventano un lavoro (medici e ingegneri guadagnano il 30% in meno rispetto alla
Germania). Basta gratificarli, assegnando ruoli, gradi e qualifiche opportune.
Il «sentimento italiano senza nome» di cui parlava Goffredo Parise — la trama
sensuale e imprevedibile della nostra vita quotidiana — farà il resto.
Diciamolo: è ora di cambiare. Da anni l’Italia s’è inventata un nuovo
masochistico sport: il salto triplo generazionale. I nostri ragazzi lasciano il
sud, rimbalzano a Milano o a Torino e finiscono sparsi per l’Europa. Oppure
partono da Piemonte, Lombardia e Veneto e finiscono prima a Londra poi negli USA
o in Asia. Molti non torneranno. Li abbiamo educati e delusi: ci meritiamo
quanto è accaduto. Ma non è tardi per rimediare. Ripetiamolo: basta
apprezzarli, motivarli, pagarli. (Fonte: B. Severgnini, CorSera 29-01-16)
TEST D'INGRESSO. IL CALENDARIO
Il
Ministero ha reso noto il calendario dei test d'ingresso alle facoltà (corsi)
ad accesso programmato per l'anno accademico 2016-2017. Si comincia il 6
settembre con gli studenti interessati a iscriversi a Medicina e Odontoiatria.
Il giorno successivo toccherà agli aspiranti medici veterinari mentre l'8
settembre a cimentarsi con i quiz saranno i futuri architetti. La settimana
successiva, il 13 settembre, si cimenteranno con le prove selettive i ragazzi
orientati a immatricolarsi in uno dei corsi di professioni sanitarie
(fisioterapia, logopedia, ostetricia ecc..). Il 14, infine, i diplomati che
vogliono seguire il corso in Medicina in lingua inglese.
SITUAZIONE DEGLI STAGE. 20 MILA STUDENTI AL
MESE A CACCIA DI UN TIROCINIO
La
contabilità annuale degli stagisti (laureandi) è di 250mila. Circa la metà del
montante complessivo di tirocini attivati ogni anno (500mila) dalle università,
dalle aziende, dalle agenzie per il lavoro, dalle regioni, comprensivi degli
stagisti non curriculari: i laureati e i diplomati a caccia di un'occupazione.
Che, nell'attesa, provano ad inserirsi in azienda con questo strumento
formativo, pur senza aver strappato un contratto vero e proprio. Qualcuno malignamente
anni fa definì la nostra una repubblica fondata sugli stage. A quasi 20 anni
dalla normativa che la istituì (il decreto ministeriale 142 del 1998) siamo
ancora di fronte a un caos indistinto. Di norme. Di regolamenti regionali.
«Ognuno in ordine sparso», mette nero su bianco Adapt, l'associazione fondata
da Marco Biagi molto attiva per i suoi studi comparativi sul lavoro. La
frammentazione è evidente, ad esempio, sul rimborso spese. Normato soltanto per
i tirocini extracurriculari, dopo anni di vacatio legislativa. Inesistente per
gli stage durante il periodo universitario e anche nelle scuole superiori a
seguito della rivoluzione inaugurata dalla riforma della «Buona Scuola» che
prevede percorsi di alternanza tra i banchi e in azienda.
«Stiamo
assistendo a una deludente divisione degli stage di serie A e di serie B»,
denuncia Eleonora Voltolina, direttore della “Repubblica degli Stagisti”. Con
un'affannosa corsa delle imprese a prendere stagisti laureandi in modo da non
dover loro corrispondere nulla. Per gli altri l'indennità di partecipazione è
compresa tra i 300 e i 600 euro mensili. Altro tema è la difficoltà con la
quale le università cercano contatti per i laureandi. La sensazione è che gli
uffici deputati a questo ruolo siano molto sotto-dimensionati. Alla «Sapienza»
di Roma non c'è un completo coordinamento tra i vari dipartimenti. Ecco perché
le università private finiscono per fare la parte del leone. La Luiss a Roma ha
attualmente almeno 200 posizioni aperte di tirocinio al mese destinate ai suoi
studenti, la Bocconi (è una stima approssimativa) è a 300. La Statale sfiora
quota 500. In totale — considerando il variegato mondo universitario italiano —
ci sono in media 20 mila studenti al mese a caccia di un tirocinio. Per pochi
di loro c'è un vero supporto. (Fonte: F. Sabelli, CorSera 26-01-16)
NUMERO
CHIUSO. TRE RAGIONI PER MANTENERLO E ACCRESCERLO
Nelle ultime tre stagioni l'Università di Milano-Bicocca
ha portato i corsi di laurea a numero chiuso da ventuno a trentaquattro: oggi
sono più della metà. Cristina Messa, rettore da giugno 2013, parla di questa
scelta come di un obbligo: «Dal 2008 al 2015, l'ateneo ha perso ottantotto tra
docenti e ricercatori di ruolo. Continuare a offrire gli stessi corsi a un
numero così largo di studenti non era più possibile. Abbiamo dovuto
riprogrammare le scelte, a malincuore». Tra quantità e qualità si è
scelta la seconda. «Necessariamente. La quantità
degli studenti è un fattore importante, ma gli atenei di medie dimensioni hanno
avuto un'emorragia di professori profonda». C'è stato un effetto contagio sul
piano didattico? «Quando abbiamo chiuso il corso di Chimica, molti studenti si
sono riversati su quello più affine, Scienze dei materiali. E la richiesta è
diventata tale che si è dovuto limitare anche quest'ultimo. Una scelta di
ripiego, che danneggia l'ateneo». Perché? «Abbiamo dovuto limitare aree che
garantivano sbocchi occupazionali. Programmare là dove non c'è lavoro è logico,
chiudere corsi che poi servono alle imprese è un controsenso. Le scelte della
Bicocca sono sempre andate nella direzione di aprirsi allo studente, fino a
quando è stato possibile». Ci sono aspetti positivi nella crescita del numero programmato
in Italia? «Si alza un po' il livello di preparazione, si seguono meglio le
singole classi e si riduce l'abbandono universitario». (Fonte: C. Zunino, La
Repubblica 28-01-16)
UN COLPO AL
NUMERO CHIUSO O ALLA SANITÀ PUBBLICA?
Sui 9mila iscritti in sovrannumero all'anno accademico
2014/2015 il Tar del Lazio ha sciolto la riserva. In questo modo, ai circa
10mila ammessi attraverso il quizzone ministeriale, se ne aggiungono altri
9mila che hanno fatto ricorso, vincendolo. In tutto, 19mila ammessi a Medicina
contro i 10mila previsti dal Miur. Il sistema del numero chiuso riceve un altro
duro colpo. La notizia della sentenza è stata data dall'Unione degli
universitari che parla di "vittoria storica". Quella del 2014 è stata
una delle selezioni per Medicina più discusse di sempre. La prova, tra le
proteste di genitori e studenti delle superiori, si svolse i primi di aprile in
piena attività di preparazione alla maturità. Il giorno della prova nazionale a
Bari un plico contenente i quiz venne manomesso: dei 50 test ne mancava
all'appello uno. La commissione che si accorse del fatto denunciò
immediatamente la cosa. Ma il responsabile della manomissione non fu mai
trovato. Fu abbastanza facile, per gli avvocati specializzati nei ricorsi per
l'eccesso a Medicina, trovare validi motivi per annullare le bocciature di
tantissimi ragazzi che non riuscirono a passare la prova. Ieri la sentenza
definitiva. (Fonte: FQ 04-02-16).
Continua così la via italica (unica al mondo) di
immissione giurisprudenziale dei bocciati al test di ammissione ai corsi di
medicina. Se può chiamarsi “vittoria storica” forzare le entrare in aule,
laboratori e corsie dove il numero programmato degli ammessi è funzionale a una
professione che ha come oggetto la salute. Un colpo al numero chiuso o alla
sanità pubblica?
TRE NOTIZIE PER
DISTINGUERE STUDENTI BRILLANTI E FRUSTRATI
Prima notizia. I corsi di Medicina dell'università romena
Dunarea de Jos di Galati, che si svolgono a Enna, promossi dal Fondo Proserpina
(di cui è amministratore l'ex-senatore Pd Vladimiro Crisafulli), sarebbero
legali: un giudice civile ha rigettato il ricorso presentato dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato. Seconda notizia. La facoltà di Scienze della
Comunicazione dell'Università di Catania ha perso l'81% degli iscritti in dieci
anni: da 1.203 a 226. Secondo la classifica del Sole24Ore l'ateneo siciliano è
il meno attraente d'Italia: solo 0,3% degli studenti viene da fuori Regione.
Terza notizia. Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di circa 9.000 studenti
che, non avendo superato il test d'ingresso alla facoltà di Medicina nel 2014,
hanno scelto le vie legali per ottenere l'iscrizione. Di qui gli studenti
brillanti, che ci consentono di fare bella figura in Europa (dopo il tirocinio
Erasmus+, il 51% dei ragazzi italiani riceve un'offerta di lavoro, la media
europea è del 30%). Di là quelli che si trascinano tra frustrazioni, formalismi
e ricorsi. (Fonte: B. Severgnini, CorSera 04-02-16)
IL NUOVO ISEE. SENZA MODIFICHE MOLTI STUDENTI
TAGLIATI FUORI DAI BENEFICI DEL DIRITTO ALLO STUDIO
Il tavolo
convocato dal MIUR sulla questione ISEE è la promessa (finora) non mantenuta
dal Ministero. Se restassero così le cose e non si procedesse a modificare i
parametri ISEE e ISPE, molti studenti resterebbero tagliati fuori dai benefici
del diritto allo studio: stiamo parlando dei cosiddetti 'esodati'. E a nulla
sarà servito l'ulteriore finanziamento di 55 milioni di euro sul diritto allo
studio nella legge di stabilità 2016. "Siamo felici che le deputate
Ghizzoni e Lenzi abbiano presentato un’interrogazione alla Camera per risolvere
il problema del conteggio delle borse e degli altri benefici all’interno del
calcolo ISEE - dichiara la coordinatrice RUN, Rebecca Ghio - occorre che il
governo risponda a questa e a tutte le altre domande aperte. Ancora non sono
state date nemmeno le indicazioni per i bandi del secondo semestre, utili a
recuperare tutti colori che erano stati “puniti” ingiustamente dal nuovo
indicatore, e rimane aperta la questione del calcolo del patrimonio, che continua
a essere sproporzionato rispetto al reddito". (Fonte: CorSera 26-01-16)
BORSE DI STUDIO. SOGLIA ISEE A 23.000 EURO
La prima
riunione convocata dal ministero per provare a definire i nuovi livelli
essenziali per il diritto allo studio si è concentrata innanzitutto
sull’emergenza di quest’anno: la tagliola del nuovo ISEE che con i nuovi
criteri di calcolo sta escludendo dai benefici previsti dal diritto allo studio
(borse ma anche altri servizi) migliaia di studenti in tutta Italia.
Un’ingiustizia contro la quale anche la legge di stabilità ha provato a correre
ai ripari stanziando 55 milioni in più. Per arginare l’effetto del nuovo ISEE,
che quest’anno rischia di escludere dalla borsa di studio fino al 20% degli
studenti, si starebbe concretizzando l’obiettivo, già entro fine febbraio, di
rivedere al rialzo la soglia massima dell'Isee per l'accesso alle borse: il
nuovo decreto del Miur, stando a quanto pubblica Il Sole 24 Ore, dovrebbe
portarla a 23.000 euro (oggi è 21.000). (Fonte: P. Almirante, http://www.tecnicadellascuola.it
16-02-16)
LA
RIFORMA COSTITUZIONALE POTREBBE RISTATALIZZARE IL DIRITTO ALLO STUDIO
Il DDL Boschi approvato in seconda deliberazione
dal Senato della Repubblica nella seduta pomeridiana del 20 gennaio appena
passato potrebbe mutare la ripartizione delle competenze rispetto al DSU.
Qualche commentatore ha parlato di «ristatalizzazione» del diritto allo studio
universitario fino a paventare l’ipotesi di revisione del DLgs 68/2012. Decreto
legislativo quest’ultimo, facente parte della riforma Gelmini, per la parte
dedicata al DSU. Qualcosa senza dubbio cambia. Per effetto del nuovo articolo
117 della Costituzione alle Regioni toccheranno, infatti, solo i compiti di
“promozione del diritto allo studio, anche universitario” mentre sarà affidata
allo Stato centrale la definizione degli aspetti costitutivi del diritto allo
studio universitario: dai principi e dalle regole di organizzazione del sistema
all’assegnazione di borse, assegni e altre provvidenze. (Fonte: http://www.iostudionews.it 05-02-16)
VARIE
I RETTORI DEGLI
ATENEI SICILIANI SUL CASO ENNA: “VICENDA CHE RISCHIA DI METTERE IN DISCUSSIONE
LA CREDIBILITÀ DEL SISTEMA UNIVERSITARIO"
"La sentenza del Tribunale di Caltanissetta,
riguardante l’attivazione del corso di studi in Medicina a Enna (corso
dell'università romena Dunarea de Jos, di Galati, che si svolge a Enna), non
modifica di certo la posizione che abbiamo assunto sin dall’inizio su questa
vicenda. Il provvedimento giudiziario non entra nel merito e, soprattutto, non
risolve le perplessità legate alla valenza delle attività formative". Ad
affermarlo, in una nota congiunta, sono Fabrizio Micari, Pietro Navarra e
Giacomo Pignataro, rettori delle tre Università siciliane di Palermo, Messina e
Catania.
"Ribadiamo, pertanto, la forte preoccupazione per lo
svolgimento di corsi di studi che non sono stati sottoposti ad alcun processo
di accreditamento e la cui qualità, quindi, non è stata in alcun modo
certificata dal nostro sistema universitario, al contrario di quanto avviene
per tutti gli altri corsi di studi attivati in Italia". "Continuiamo
a chiederci - prosegue la nota dei Rettori - come si possano erogare corsi di
area medica in assenza di quelle strutture sanitarie in cui gli studenti
possono sviluppare i percorsi di apprendimento, affiancando esperienze pratiche
alle nozioni teoriche apprese in aula. Condividiamo pienamente la nota
attraverso la quale il ministro Giannini, ancora una volta, esprime con
fermezza la necessità di tutelare il sistema universitario italiano e con esso
– aggiungono – i diritti e le capacità di quegli studenti che per essere
ammessi a corsi di medicina hanno superato una selezione nazionale".
"Confidiamo che in breve tempo possa essere risolta una vicenda che
rischia di mettere in discussione la credibilità di quel sistema sui cui
princìpi le università italiane - concludono Micari, Navarra e Pignataro -
attraverso sforzi quotidiani e investimenti, stanno costruendo i propri
progetti di sviluppo". (Fonte: http://www.uninews24.it 06-02-16)
I PROFESSORI
UNIVERSITARI ORDINARI UNDER 40 IN ITALIA SONO SOLO SEI
Questo dato è stato fornito dal Miur, che l’ha ricavato
dalla Banca dati dei docenti di ruolo del 2014. Su 13.263 professori ordinari,
i titolari di cattedra in atenei statali con meno di 40 anni non arrivano a
dieci e l’innalzamento dell’età media prosegue da 25 anni. Stando alle
statistiche contenute nell’ultimo Rapporto Anvur sullo stato del sistema
universitario e della ricerca, infatti, per gli ordinari la media è di 59 anni,
53 per gli associati, 46 per i ricercatori. Unica nota positiva è la presenza
femminile, che è cresciuta in 25 anni da 26 a 36 docenti ogni 100. Ma fra i 6
fortunati giovani titolari di cattedre non ci sono donne. È stato il periodico
“L’Espresso” ad individuarli uno per uno. Sono tutti nati nel 1976 e insegnano
a Palermo, a Sassari, a Napoli, a Messina e a Bologna, quasi tutti discipline
economiche e giuridiche. (Fonte: skuola.net
06-02-16)
FORTI CRITICHE DELLA FLC-CGIL ALLE POLITICHE UNIVERSITARIE
Oltre all'allarme rispetto al definanziamento,
si punta il dito contro l'ANVUR (l'Agenzia di Valutazione Nazionale del sistema
Universitario e della Ricerca), giudicata un problema più che una soluzione
"per il ruolo abnorme che ha assunto e per le metodologie adottate nella
valutazione la cui funzione originale è mutata da quella di incentivare il
miglioramento del sistema a quella di legittimarne il progressivo
ridimensionamento e controllare che l’applicazione degli strumenti di
dismissione dell’università pubblica proceda celermente e correttamente".
La legge di stabilità 2016 conteneva alcune
norme relative all'università: si tratta però, per la FLC, di provvedimenti
dannosi o insufficienti che la FLC aveva sfidato presentando una serie di
emendamenti assieme ad altre associazioni universitarie (LINK, ADI, CNRSU), poi
bocciati al Senato.
Insufficienti sarebbero i fondi destinati al
diritto allo studio, 55 milioni a fronte di una necessità di 200; e
insufficiente il rifinanziamento dell'ammortizzatore sociale DIS-COLL che però
lascia fuori i precari della ricerca. Insufficiente inoltre il piano di
reclutamento per professori ordinari ("numeri risibili").
Dannose sarebbero le cattedre Natta, perché i
500 "super-professori" così reclutati derogano a tutte le norme,
confermando il trend per cui "le eccezioni sono la regola", così come
anche la liberalizzazione dei professori usa-e-getta (gli RTD-A) negli atenei
"virtuosi". E dannoso rischierebbe di diventare persino il
rifinanziamento del FFO, perché essendo destinato alla quota premiale acuirà
"le divaricazioni tra aree geografiche e settori disciplinari".
Infine, la FLC denuncia un generale impoverimento
delle condizioni contrattuali per tutte le categorie: dal lungo blocco degli
scatti stipendiali dei docenti (che, pur riprendendo, non valorizzano
l'anzianità accumulata nel quinquennio di congelamento) all'emergenza salariale
e della precarietà che coinvolge anche il personale tecnico.
Paradossale e ingiustificabile, per il
sindacato, il fatto che l'IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) riceva 80
milioni dal MEF per direttissima; soldi che, secondo la FLC, si sarebbero
dovuti piuttosto distribuire tramite bandi pubblici. (Fonte: FLC CGIL Roma
23-01-16)
Il CALO DELLE
IMMATRICOLAZIONI CAUSATO DA TRE DIVERSI FENOMENI
Nell’articolo del 9 febbraio su lavoce.info (Sempre meno
matricole nell’università italiana) Domenico Cersosimo e coll. fanno dipendere
il calo delle immatricolazioni da tre diversi fenomeni. In primo luogo, come
già notato dal rapporto dell’Anvur (2014), le immatricolazioni di studenti
“maturi” (più di 22 anni) sono drasticamente diminuite. La riforma dei cicli
universitari, con passaggio al 3+2, ne aveva provocato un incremento, sia per
la possibilità di completare percorsi di studio avviati nel passato e poi
abbandonati, sia per generose politiche di riconoscimento di crediti formativi
per le esperienze lavorative. Il fenomeno si è notevolmente ridotto negli
ultimi anni: gli immatricolati “maturi” passano dai circa 60mila del 2005-06
(di cui quasi la metà aveva beneficiato di riconoscimento di crediti) ai 14mila
di oggi. Se è stato opportuno rivedere le modalità di accesso, resta tuttavia la
circostanza che in Italia le immatricolazioni di studenti “maturi”
rappresentano solo un ventesimo del totale, mentre sono un quinto in diversi
paesi del Nord Europa e negli USA.
Ma il calo delle immatricolazioni ha riguardato, e molto,
anche i più giovani. In questo caso è però necessario distinguere i fenomeni
demografici, assai differenziati all’interno del Paese, da quelli
comportamentali, molto più simili. Negli ultimi lustri, tutte le aree del paese
sono state interessate da un calo della natalità; ma parallelamente i flussi
migratori in entrata sono aumentati e si sono concentrati prevalentemente nelle
regioni del Centro e ancor più in quelle del Nord. Questo ha conseguenze sulla
popolazione diciannovenne di oggi. Il suo andamento è assai diverso: cresce
(particolarmente in Lombardia ed Emilia-Romagna) mentre flette molto al Sud,
fino a una riduzione del 25 per cento in Sardegna.
Per quanto riguarda i fenomeni comportamentali, le
immatricolazioni all’università dipendono dalla quota di giovani che arriva al
diploma. La percentuale è ancora in leggera crescita nella maggior parte delle
regioni; ma in alcuni casi, come in Sicilia e Lazio, si riduce. Le iscrizioni
all’università dipendono poi da quanti diplomati proseguono gli studi: i tassi
di passaggio dalla scuola superiore all’università sono in calo sensibile e
generalizzato. La loro riduzione accumuna tutte le regioni italiane: è
particolarmente accentuata al Centro-Nord, con punte in Emilia-Romagna, Toscana
e Lazio. Al Sud è più contenuta della media, ma con diminuzioni molto forti in
Abruzzo e Molise. Il disinvestimento nella formazione universitaria sembra dunque
più elevato nelle aree del Paese tradizionalmente caratterizzate da livelli più
alti di scolarizzazione. (Fonte: D. Cersosimo, A. R. Ferrara, R. Nisticò e G.
Viesti, lavoce.info 09-02-16)
ATENEI.
IT
UNIBO E
REGIONE EMILIA-ROMAGNA CREANO IL POLO NAZIONALE DEI BIG DATA
È concentrato in Emilia-Romagna «il 70% della
capacità di supercalcolo del Paese. Solo sui big data abbiamo una rete di 1.800
ingegneri, 230 ricercatori stranieri in pianta stabile e 60 corsi di alta
formazione. Il futuro del manifatturiero, delle scienze, della medicina è
basato sulla capacità di gestire enormi quantità di dati. Noi non dobbiamo
inventare nulla. Abbiamo già tutto, si tratta solo di metterlo a sistema».
Bastano pochi secondi all’economista Patrizio Bianchi, assessore a Formazione,
università, ricerca e lavoro della Regione Emilia-Romagna per far capire la
portata del progetto presentato oggi a Bologna, che dà ufficialmente il via allo
hub europeo della ricerca, dei big data e delle digital humanities basato a
Bologna. In rete ci sono centri all’avanguardia internazionale come il Cineca,
Infn, Inaf, Ingv, il network Garr, la rete Lepida, Cnr, Enea e i centri
ricerche delle quattro università della via Emilia. Molte sigle che ai non
addetti al lavori dicono poco ma che sono l’eccellenza europea in termini di
data management & data processing e di patrimonio scientifico, che spazia
dalla fisica nucleare alla geofisica, dalle bioscienze alle tecnologie
digitali. Il progetto, partito in sordina a novembre con un team di ricercatori
coordinati dall’Università di Bologna che ha misurato il perimetro
dell’esistente, è pronto ora a presentarsi alla platea imprenditoriale. Bologna
e la via Emilia puntano dunque a battere sul tempo - e per competenze - Milano e il progetto post Expo “human
technopole”, che mira a fare dell’area dell’Esposizione universale il polo
internazionale di ricerca e tecnologia applicata. «Noi qui in regione abbiamo
già tutto per essere il polo nazionale dei big data e delle digital humanities
- conclude il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini - perché quello
che abbiamo presentato oggi è solo il filo rosso che unisce grandi infrastrutture
e professionalità frutto di un lungo lavoro precedente. Non è un caso se domani
terremo proprio all’interno del Cineca (il più grande centro di calcolo
italiano, ndr) la nostra assemblea di Giunta». (Fonte: I. Visentini,
IlSole24Ore 08-02-16)
UNIBO. IN AUMENTO
L’ATTRATTIVITÀ DELL’ALMA MATER
Le immatricolazioni – a iscrizioni chiuse – sono in
crescita del 3,9% rispetto allo scorso anno. Gli studenti che si iscrivono
all’Alma Mater sono giovani (nel 71,7% dei casi hanno 19 anni o meno) che
sempre di più arrivano a Bologna e nei Campus della Romagna da fuori regione:
se nell’anno accademico 2009/2010 gli iscritti non emiliano-romagnoli erano il
36,7%, nel 2014/2015 la percentuale è salita, infatti, al 44,9%. Un aumento che
si fa sentire in particolar modo per le lauree magistrali: la percentuale di
studenti che sceglie l’Università di Bologna dopo aver conseguito la laurea
triennale in un altro ateneo è passata dal 28,6% del 2009/2010 fino al 44,4%
del 2014/2015. E crescono anche gli studenti internazionali: gli iscritti
all’Università di Bologna con una cittadinanza estera erano il 5,9% del totale
nel 2009/2010 e sono invece il 6,6% nel 2014/2015, con le nuove
immatricolazioni internazionali passate dal 6,5% al 7,2%. Le lauree arrivano
sempre di più nei tempi previsti (i laureati in corso sono passati dal 43% del
2009 al 58% del 2014) o poco più tardi: nel 2014 il 79% dei laureati ha
conseguito il titolo entro il primo anno fuori corso, percentuale che era ferma
al 70% nel 2009. L’attrattività dell’Alma Mater è testimoniata anche
dall’aumento delle iscrizioni ai test di accesso per i corsi a numero
programmato, che crescono dell’8,6% rispetto allo scorso anno (34.671 domande
di partecipazione contro le 31.919 del 2014).
(Fonte: http://www.bolognatoday.it 10-02-16)
UNIBOCCONI. IL VALORE AGGIUNTO DELLA DOPPIA
LAUREA
In Italia
e all’estero una doppia laurea è sempre un valore aggiunto. Non lo dicono solo
gli esperti, basta navigare tra le offerte di lavoro per rendersi conto che le
aziende e le organizzazioni cercano profili internazionali e dalla mentalità
aperta, in grado di lavorare in team multiculturali e di affrontare sfide
globali sempre nuove: sono questi i manager del domani. L’Università Bocconi
offre un ventaglio ampissimo di programmi di Double Degree in collaborazione
con 25 università in Europa, Russia, India, Brasile, USA, Canada, Australia e
Cina. Il programma consiste nel passare un anno di laurea magistrale in Bocconi
e, generalmente, il secondo in una scuola partner, per specializzarsi in una
particolare area di interesse. Al termine del programma, gli studenti
conseguono sia la laurea magistrale Bocconi, sia un diploma di laurea
dell’università partner. (Fonte: doubledegree@unibocconi.it 27-01-16)
UNICA. SI PAVENTA
LA CHIUSURA DOPO IL TAGLIO DI 14 MILIONI IN UN ANNO
L'Università di Cagliari rischia di chiudere, tra
quattro, forse otto anni, poco importa. Quel che conta è che l'allarme questa
volta parte dall'alto. Dal rettore, Maria Del Zompo. Che lancerà il suo urlo,
«l'urlo dell'Ateneo» contro i tagli dei finanziamenti statali, durante la
seduta, per la prima volta pubblica, di Senato e CDA. Ma davvero Cagliari
rischia di chiudere? «Sicuramente rischia di essere declassata a un super
liceo». Cosa significa? «Vuol dire che non si farà più dottorato di ricerca e
che tutta l'attività legata alle imprese e al territorio verrà a mancare, con
un effetto deficitario dal punto di vista culturale, della crescita del
territorio e della preparazione dei ragazzi. E questo non per demerito o perché
siamo meno bravi degli altri ma perché il governo ci toglie le risorse». Perché
non siete in regola con i parametri nazionali ... «Nella valutazione degli
atenei hanno inserito indicatori irraggiungibili per realtà territoriali come
la nostra». Per esempio? «L'attrazione degli studenti da altre regioni:
sappiamo bene quanto costi attraversare il mare per venire a Cagliari, rispetto
alle altre regioni tutte confinanti. Gli indicatori attuali del ministero
sembrano costruiti più per far chiudere università che per valutare i
miglioramenti progressivi nel tempo». È questo che vuole il Governo? «Mi
rifiuto di credere che ci sia una volontà politica di Parlamento e Governo, penso
invece che sia l'effetto deleterio della legge Gelmini, applicata dagli uffici
tecnici senza sapere dove si va a finire». (Fonte: intervista a Maria Del
Zompo, rettore dell’UNICA, Unione Sarda 02-02-16)
UNIMI. CANCELLATO IL CORSO DI MEDICINA IN INGLESE
L’università degli
Studi di Milano non attiverà l’anno prossimo il corso di laurea in Medicina in
lingua inglese. Una decisione presa per protesta contro la data del test di
ammissione, fissata dal MIUR per il 14 settembre. «E’ troppo tardiva e
penalizzante», affermano dall’ateneo, anche alla luce dell’esperienza del 2015:
l’esame d’ingresso per il corso di Medicina in inglese è stato il 16 settembre,
invece che in aprile come nei 2 anni precedenti. E dal Miur fanno sapere: «La
prova in inglese è pensata anche ma non solo per gli studenti stranieri. I test
ad aprile avevano sollevato perplessità nelle scuole perché cadevano nel
periodo di preparazione dell'esame». (Fonte: S. Morosi, http://universitime.corriere.it/
14-02-16)
POLITO. MINORANZE
ACCADEMICHE VORREBBERO BOICOTTARE L’ACCORDO CON TECHNION, L'ISTITUTO ISRAELIANO
DI TECNOLOGIA DI HAIFA
C'è un piccolo pezzo dell'accademia italiana che vuole
boicottare il Technion, l'istituto israeliano di tecnologia di Haifa. In 200
tra docenti e ricercatori chiedono di «interrompere ogni forma di cooperazione»
e accusano l'ateneo di svolgere ricerche «in tecnologie e armi utilizzate per
opprimere e attaccare i palestinesi». Una richiesta che indigna i rettori che
hanno siglato partnership con l'ateneo di Haifa: «La scienza è il miglior modo
per superare le conflittualità. Boicottare Israele vuol dire boicottare la
ricerca scientifica e questo non è mai un bene», risponde Marco Gilli,
magnifico del Politecnico di Torino. L'appello ha innescato un dibattito
acceso. L'Università e il Politecnico hanno infatti firmato da poco un accordo
con Technion e nel primo dei due atenei ci sono almeno 30 accademici che
spingono per il boicottaggio. Il tema è finito pure in Consiglio comunale, con
il sindaco Piero Fassino che ha preso posizione: «Torino è una città
tollerante, aperta: stigmatizzo chi propone di boicottare l'accordo». Nel
mirino dei 200 firmatari ci sono anche le intese tra Technion e altri atenei
italiani, da Perugia a Roma 3, da Tor Vergata a Cagliari e Firenze. Ma i
rettori fanno sapere che ignoreranno le richieste di boicottaggio: «Lavoriamo a
progetti congiunti sull'acqua e sul biomedicale, che nulla hanno a che fare con
la violenza», sottolinea Gianmaria Ajani, che guida l'Università torinese. Dal
Piemonte a Roma, la reazione è la stessa: «Stendiamo un velo pietoso, è un
boicottaggio insensato. La scienza deve badare ai fatti e la produttività
accademica del Technion parla da sola», dice il rettore di Tor Vergata, Giuseppe
Novelli. (Fonte: S. Parola, La Repubblica 03-02-16)
UNIPV. 12
DIPARTIMENTI HANNO VOTATO IL BLOCCO DELLA VQR
L’università è al collasso, il diritto allo studio non è
garantito (e quindi le immatricolazioni crollano), l’Italia investe sulla
ricerca meno di qualunque Paese sviluppato e non siamo più in grado di
trattenere i giovani ricercatori preparati nelle nostre università. Se a dirlo
non sono gli studenti, ma tutti i direttori di dipartimento (le vecchie
facoltà) dell’università di Pavia in
un documento approvato all’unanimità anche da Senato accademico e Consiglio di
amministrazione, la questione si fa ancora più seria. E si inserisce in una
protesta nazionale in cui l’università di Pavia è stata capofila sin
dall’inizio: quella contro il meccanismo di valutazione imposto dal Governo (la
cosiddetta Vqr 2011-2014) giudicato disastroso per il sistema universitario. La
torta è sempre la stessa e la valutazione è finalizzata a ridistribuire parte
delle risorse che gli atenei utilizzano per funzionare (stipendi,
riscaldamento, manutenzione, materiali) alla ricerca. Se la coperta è corta,
però, un lato resta sempre scoperto. A Pavia 12 dipartimenti hanno votato il
blocco della Vqr, metodo di protesta utilizzato per non pesare sugli studenti
con scioperi o blocchi delle lauree. I direttori hanno approvato un appello, il
Rettore ha perorato in
Conferenza dei rettori (Crui) la proroga della procedura di valutazione, il
Senato accademico si è espresso con una mozione. (Fonte: A. Ghezzi, http://laprovinciapavese.gelocal.it 02-02-16)
UE.
ESTERO
UE. GLI ASSEGNI DI RICERCA NON AMMISSIBILI
COME “PERSONNEL COST” NEI PROGETTI FINANZIATI DAL PROGRAMMA HORIZON 2020
La
Commissione Europea ha stabilito che gli assegni di ricerca (e con questi i
co.co.co. e co.co.pro.) non sono ammissibili come “personnel cost ” nei
progetti finanziati dal programma Horizon 2020 dedicato alla ricerca e
all’innovazione dell’Unione Europea. La decisione sarebbe addirittura
retroattiva per l’Italia. Un’iniziativa grave e un colpo durissimo
all’università e alla
ricerca
italiana. Basti ricordare che nel 2014 gli assegni di ricerca sono stati
22.093, molti dei quali coperti dai finanziamenti comunitari per la ricerca
(Horizon 2020) erogati a giovani ricercatori. Secondo la Commissione Europea
sono ammissibili solo ricercatori con contratto di lavoro dipendente, inoltre
la remunerazione si baserà sulle ore di lavoro e non sui risultati. Un passo
indietro
che accomuna la ricerca a un lavoro impiegatizio. (Fonte: https://iononfaccioniente.wordpress.com 27-01-16)
UE. TASSI DI
OCCUPAZIONE DEI GIOVANI LAUREATI SECONDO EUROSTAT
Eurostat, l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea, ha
pubblicato Employment rates of recents
graduates, statistiche recenti sulle modalità di transizione dallo studio
al lavoro dei giovani diplomati e laureati europei. Nello specifico, la
pubblicazione monitora lo stato attuativo dell'obiettivo della Strategia UE
2020, che fissa almeno all'82% il tasso dei 20-34enni inseriti nel mondo del
lavoro a tre anni dal conseguimento del titolo. L'obiettivo risulta già
raggiunto e superato in Europa da Germania (90,0%), Malta (93,3%) e Austria,
Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Lussemburgo e Regno Unito (tutti con valori
attorno all'82%). Il valore mediano dell'UE a 28 Stati si attesta al 76%,
mentre il tasso si abbassa al 45% in Italia (30,5% dei giovani diplomati di
scuola secondaria superiore generica, 40,2% di quelli di scuola secondaria
superiore professionalizzante e 52,9% dei laureati), che precede solo Grecia
(44,7%) ed ex Repubblica di Macedonia (42,6%). La laurea aumenta le opportunità
di impiego e protegge dal rischio disoccupazione più di quanto assicurino
minori qualificazioni: nel 2014 in Europa, a tre anni dal conseguimento del
titolo, svolgeva un'attività il 78,3% dei laureati, il 72,8% dei diplomati di
tipologia professionalizzante e il 58,9% dei diplomati di scuola secondaria
superiore generalista. (Fonte: M. L. Marino, rivistauniversitas 19-01-16)
PER IL
SETTIMO PROGRAMMA QUADRO (2007-2013) DATI ALLA UE 900 MLN CON UNA PERDITA NETTA
ANNUALE DI 300 MLN. LETTERA SU NATURE
Il fisico Giorgio Parisi (Gruppo 2003) e altri
ricercatori, con una lettera a "Nature", denunciano lo sbilanciamento
fra le poche risorse che il governo italiano destina alla ricerca competitiva
nazionale (l'ultimo bando PRIN è di 92 milioni di euro) e i 900 milioni di euro
che l'Italia ha dato annualmente alla Commissione europea per il Settimo Programma
Quadro (2007-2013), con una perdita netta annuale di 300 milioni. E' ora di
cambiare priorità. Scienzainrete ha riportato la lettera su Nature in originale
che qui si riproduce.
Governments:
Balance research funds across Europe
"We
call for the European Union to push governments into keeping their research
funding above subsistence level. This will ensure that scientists from across
Europe can compete for Horizon 2020 research funding, not just those from the
United Kingdom, Germany and Scandinavia.
Europe's
research money is divided between the European Commission and national
governments. The commission funds large, transnational collaborative networks
in mostly applied areas of research, and the governments support small-scale,
bottom-up science and their own strategic research programmes.
Some member
states are not keeping their part of the bargain. Italy, for example, seriously
neglects its research base. The Italian National Research Council has not
overseen basic research for decades, being itself starved of resources.
University funding has dwindled to a bare minimum. The ministerial initiative
known as PRIN (Research Projects of National Interest) has been defunct since
2012, apart from a few limited programmes for young researchers.
This year's PRIN
allocation of a 92-million (US$100-million) funding call to cover all research
areas is too little, too late. Compare this with the annual French National
Research Agency’s allocation of up to 1 billion, or with Italy's 900-million
annual contribution to the EU Seventh Framework Programme that ran in 2007–13.
That resulted in a net annual loss of 300 million for Italian science.
To prevent
distorted development in research among EU countries, national policies must be
coherent and guarantee a balanced use of resources".
(Fonte: Nature 530, 33 - 04 February 2016 -
doi:10.1038/530033d; http://www.scienzainrete.it)
EQUIPOLLENZE DI
TITOLI ACCADEMICI FRANCESI E ITALIANI
Si segnala il parere CUN in merito alle equipollenze dei titoli francesi di
qualification aux fonctions de maître de conférences ou aux fonctions de
professeur des universités e di Habilitation à diriger des recherches con
l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN).
Un commento (di ecolombo): È impensabile riconoscere un’equivalenza tra
habilitation a maître de conférences e professore associato. L’habilitation è
quasi automatica in Francia, è molto meno selettiva dell’Anr (habilitation à
diriger des recherches), molto più frequente (si tiene una volta ogni anno) e
prevede sistemi diversi di valutazione. Secondo me non doveva essere concessa
alcuna possibilità di equivalenza, neanche valutando il caso specifico.
Altro commento (di giapan): Leggendo il parere del CUN mi
sembra di capire che in Francia si utilizzino procedure molto simili alle
nostre vecchie idoneità, quelle che erano scandalose per molti. Se a questo
aggiungiamo che “non esiste corrispondenza puntuale tra le discipline che sono
oggetto della qualification e i settori concorsuali per i quali è attribuita
l’ASN” e che non esiste neanche una riconoscibiltà dei ruoli, abbiamo un
perfetto quadro di quanto il nostro sistema universitario sia fuori da
qualsiasi possibilità di armonizzazione a livello europeo. Conclusione: le
riforme che si susseguono ad ogni legislatura, oltre a snaturare le nostre
peculiarità, ci spingono sempre di più al di fuori del sistema europeo ed internazionale.
Come ultimo appunto: ma i commissari in servizio all’estero, francesi, che
hanno partecipato all’ASN (se hanno partecipato) cosa hanno capito delle nostre
procedure, dei nostri ruoli e dei nostri SSD o SC? (Fonte: commenti pubblicati
da Roars 07-02-16)
DEFINIZIONI DELLE
TABELLE DI CORRISPONDENZA TRA
POSIZIONI ACCADEMICHE
ITALIANE ED ESTERE
Parere del
CUN in merito all’aggiornamento del DM 2 maggio 2011 n. 236 recante
«Definizioni delle tabelle di corrispondenza tra posizioni accademiche italiane
ed estere di cui all’art.18,
comma 1,
lettera b) della legge 30 dicembre 2010, n. 240». Testo integrato e coordinato
con il parere CUN del 16/12/2015 > http://tinyurl.com/hbdaufl . (CUN Prot.
1479 del 21/1/2016)
GB. DA SETTEMBRE
I NUOVI ISCRITTI ALL’UNIVERSITÀ NON POTRANNO BENEFICIARE DI ALCUN TIPO DI BORSA
DI STUDIO STATALE
I ragazzi inglesi che decideranno di iscriversi alle
università del proprio Paese dal prossimo settembre non potranno beneficiare di
alcun tipo di borsa di studio statale: questa la decisione presa
definitivamente a metà gennaio dal governo britannico, che non dà segni di
vacillare nonostante le proteste studentesche e gli appelli dell’opposizione.
Falciati dunque i sussidi, per sollevare almeno in parte le famiglie dai costi
della vita universitaria, i nuovi immatricolati potranno ricorrere solamente ai
prestiti (loans), che sostituiranno completamente le altre forme di beneficio
previste in precedenza. Eliminare le borse di studio per reddito in una nazione
che conta le tasse universitarie più alte d’Europa e dove già non era possibile
ambire a esenzioni “meritocratiche” dalle tasse, neppure parziali, potrebbe
equivalere a sbarrare la strada verso la laurea a una buona fetta della
popolazione. Sono, infatti, circa mezzo milione gli studenti che attualmente
hanno accesso a grants che attualmente possono raggiungere le 3.387 sterline
annue per le famiglie con un reddito complessivo al di sotto delle 25.000
sterline; la cifra decresce in proporzione al reddito famigliare fino alla
soglia delle 42.620 sterline, oltre la quale non si ha titolo per ottenere
alcun sostegno finanziario, a prescindere dai risultati accademici.
Un’escalation veloce, quella del costo dell’istruzione terziaria in
Inghilterra, che solo nel 2012 ha visto il triplicarsi delle tasse
d’iscrizione. Senza contare che da settembre il nuovo schema di diritto allo
studio non solo non contemplerà più la possibilità di ottenere borse, ma potrà
contare anche su di un cospicuo rialzo dell’importo massimo delle tasse, che
passerà da 3.000 a 9.000 sterline per le università che dimostreranno di
offrire insegnamenti d’eccellenza. La decisione di adottare un diverso sistema
di sussidi universitari nasce dal calcolo del peso del sistema attuale sui
contribuenti, che oggi supera il miliardo e mezzo di sterline. Si è proiettata
questa somma in avanti di dieci anni relazionandola all’incremento del numero
di immatricolazioni registrate in Gran Bretagna: il risultato sarebbe, secondo
le parole di Osborne, una cifra che si aggira sui tre miliardi e che è
diventata “non più sostenibile” (unaffordable). (Fonte: C. Mezzalira, IlBo
01-02-16)
FRANCIA. PRIMO ANNO DI MEDICINA: ALTERNATIVE
PER LIMITARE LA “MACELLERIA” (78% DI INSUCCESSI PER ACCEDERE AL SECONDO ANNO)
Véritable usine à gaz qui laisse sur le carreau 78 % de
candidats, la première année commune aux études de santé (Paces) est sous le
feu des critiques depuis quelques années. Elle n’est plus un passage obligé :
dix universités (Angers, Paris-V, Paris-VII, Paris-XIII, Rouen, Saint-Etienne,
Strasbourg, l’université d’Auvergne, Poitiers et Tours) expérimentent des
alternatives à la Paces, qui seront évaluées en 2019-2020. Objectif : créer des
passerelles pour entrer directement en deuxième année d’études de santé, sans
concours, à l’issue par exemple d’une licence. Le but est de diversifier le
profil des étudiants reçus en deuxième année de médecine, pharmacie,
odontologie et maïeutique, et d’offrir une alternative aux recalés. «On veut
absolument mettre fin à la “boucherie” de la Paces». Sans renoncer à
l’excellence. En savoir plus sur http://www.lemonde.fr http://tinyurl.com/hdp4t9k 27-01-16)
RUSSIA. L’ITALIANO INSERITO NELLE OLIMPIADI SCOLASTICHE
La lingua italiana è
stata inserita nelle Olimpiadi scolastiche russe e potrebbe presto essere tra
le materie da portare all'esame di Stato Ege, che regola l'accesso
all'università in Russia.
Ieri nell'aula magna
dell'università statale linguistica di Mosca (Mglu) è stata inaugurata la fase
regionale delle Olimpiadi scolastiche di tre lingue definite "rare"
dal ministero dell'Istruzione di Mosca: italiano, spagnolo e cinese. Alla
cerimonia è intervenuto anche il primo consigliere dell'ambasciata italiana
Agostino Pinna. La tappa finale di questa competizione si svolgerà a Volgograd
a metà aprile. Venerdì mattina la Duma di Mosca esaminerà la possibilità di
includere l'italiano tra le materie dell'esame Ege. (Fonte: ANSA 11-02-16)
SPAGNA. UN REPORT
SUI LAUREATI
In Spagna, secondo l'analisi dell'Istituto Nazionale di
Statistica (INE), che ha pubblicato un report
sui laureati, a quattro anni dal conseguimento del titolo il 19,2% dei 30mila
intervistati era senza lavoro: la maggior parte era alla ricerca, mentre solo
il 6,5% non aveva un impiego né lo cercava. Tra i corsi con il tasso di disoccupazione più basso spicca
ingegneria (8%), nelle sue varie declinazioni, sebbene siano presenti anche
materie come medicina, ricerca e tecnica di mercato, fisioterapia o scienze
della musica. Indici ben più alti si registrano per filologia, geologia,
scienze del mare, storia e filosofia (oltre il 30%). Lo studio si sofferma
anche sui contratti offerti ai laureati nei vari ambiti. Sul 76% dei laureati occupati,
il 43% aveva un contratto a tempo indeterminato e il 34% aveva un contratto a
tempo determinato;
nella percentuale rimanente spicca il 12% di chi svolgeva un tirocinio, e il
10% di chi dirigeva la propria impresa o lavorava in forma indipendente. Assai diffuso il fenomeno
del lavoro a termine, molto comune tra le donne (quasi al 40%)
e tra gli studenti degli atenei pubblici, meno tra le persone con più di 35
anni (20%) e quanti lavorano all'estero (26%). Non sembra destare
preoccupazioni la fuga degli studenti all'estero. Secondo il report, a quattro
anni dal termine degli studi solo il 7,7% (15.200 circa) viveva all'estero, registrando un tasso di disoccupazione
di tre punti inferiore a quello di coloro che erano rimasti in Spagna (16%).
(Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 26-01-16; Aceprensa 30-12-2015)
AUSTRALIA.
STIPENDI E CARRIERA DEI PROFESSORI UNIVERSITARI
È vero che in Australia gli stipendi dei professori sono
comparabili a quelli del settore privato, ma lo è anche la sicurezza del posto
di lavoro. Ad esempio: 1) I professori sono valutati ogni anno in base al
gradimento dei loro corsi da parte degli studenti, a quanti fondi portano alla
facoltà tra bandi di ricerca vinti e collaborazioni con il settore privato,
alle pubblicazioni, e all'attività di ricerca. 2) A inizio carriera i
professori vengono stabilizzati solo dopo 5 anni, durante i quali devono
raggiungere i loro obiettivi, inclusi quelli economici (insomma, se non vinci i
bandi vieni licenziato). 3) Lo staff amministrativo dell'università è stato
appena ridotto di circa il 20%, ed una ristrutturazione del personale
accademico sta per iniziare. 4) Due anni fa hanno ridotto quasi a zero,
dall'oggi al domani, il personale di un centro di ricerca informatico statale (più
o meno comparabile al CINECA). Sarà per questi motivi, oppure per altro, ma l'università
presso la quale lavoro continua a macinare utili (6 milioni di dollari australiani
quest'anno) e ad attrarre studenti stranieri (circa un terzo del totale).
(Fonte: da un commento di Imoran
all’articolo http://tinyurl.com/jsqpsvo 09-02-16)
AUSTRALIA. RISPOSTA A Imoran SU DIFFERENZE CON L’UNIVERSITÀ ITALIANA
Caro
Imoran, urge qualche puntualizzazione.
1) Anche
in Italia i professori universitari sono valutati periodicamente e, anzi, sono
gli unici dipendenti pubblici italiani i cui scatti retributivi non sono
automatici bensì vincolati ad una valutazione.
2) Anche
in Italia i ricercatori a tempo determinato vengono stabilizzati (dopo 6 anni)
solo se nel frattempo ottengono l'Abilitazione Scientifica Nazionale,
altrimenti non solo restano a spasso ma addirittura viene loro proibito per
legge di fare anche solo domanda in futuro per entrare nei ruoli
dell'università.
3) Quella
che chiami "ristrutturazione del personale accademico" in Italia non
sta per iniziare come in Australia, ma è già in corso da anni; per adesso siamo
arrivati ad un decremento di diecimila tra docenti e ricercatori dal 2008 ad
oggi. E probabilmente non è finita. E questo nonostante il numero di
ricercatori per milione di abitanti in Italia sia uno dei più bassi di tutto
l'Occidente.
4) Mentre
il governo australiano azzera dall'oggi al domani un centro di ricerca
informatico statale, il governo italiano sovvenziona da anni con una legge
"ad hoc" un istituto di ricerca privato (il più inefficiente di tutti
gli enti di ricerca italiani se si calcola il rapporto tra pubblicazioni
prodotte e denaro ricevuto) e nel frattempo sostiene di non avere i soldi per
riconoscere l'anzianità maturata dai docenti universitari.
I motivi
per cui le università all'estero funzionano molto meglio che in Italia sono
molti (pensi che trapiantando la tua stupenda università australiana in Italia
continuerebbe a funzionare esattamente nello stesso modo?)
Forse
stando all'estero ti sfugge che molti docenti universitari in Italia vorrebbero
proprio "reinventare il settore" (rovinato non da noi ma dalle
generazioni sessantottine che ci hanno preceduto) e che in quest'opera a dir
poco titanica non sono certo aiutati dal fatto di essere tutti indistintamente
presentati come baroni e fannulloni a cui è bene saccheggiare lo stipendio.
La
tendenza a confrontarsi con gli altri impiegati pubblici è semplicemente spia
di una cosa che in Italia si chiama sete di giustizia. Non so come si chiami in
Australia. Quando il tuo governo toglierà anche a te 90mila euro dal
portafoglio, sbeffeggiando il tuo lavoro, ne riparleremo. (Fonte: G. Righini, http://www.radio24.ilsole24ore.com
17-02-16)
USA. LE
MONDE CI SPIEGA TUTTO SULLE OTTO MIGLIORI UNIVERSITÀ
Les huit meilleures
universités sont regroupées dans le groupe dit «Ivy League» (d'après ivy, le
lierre qui recouvrait les bàtíments des augustes institutions de la Nouvelle-Angleterre).
La sélection y est impitoyable. En 2015, le taux d'acceptation est tombé pour
la première fois à 5% dans une université, celle de Stanford, qui a admis 2144
étudiants pour 42487 candidats. Viennent ensuite Harvard (5,3%), soit 1990
admis pour 37305 dossiers, Yale (6,5%) et Columbia (6,1%). Chaque candidature
est pagante (85 dollars, soit 78 euros), et les établissements les plus
prestigieux touchent des millions de dollars gràce aux rejets. La sélection
s'effectue d'abord sur les notes. En dasse de tre (Junior), les lycéens passent
l'un ou l'autre des tests nationaux — Standard Admission Test (SAT) ou American
College Testing (ACT). Le plus commun est le SAT, un QCM de trois épreuves
(maths, écriture et lecture critique) que les élèves remplissent avec des
crayons de papier, obligatoiremeut numéro 2 (HB). Non seulement il faut aller
vite en 3h45, mais les répon-ses fausses sont pénalisées. Pour espérer entrer à
Stanford ou à Harvard, il est bon de se prévaloir d'un quasi-sans-faute (800
points par sujet) ou au moins d'un score supérieur à 2150. Moins de 0,05 % des
candidats réussissent le score parfait de 2400 points (360 sur 1,6 million
d'inscrits en 2012). Le SAT a donné lieu à toute une industrie de préparation à
l'examen, qui n'est accessible qu'aux plus riches. Les comités d'admission
examinent aussi le «Grade Points Average» (GPA), la moyenne des notes sur les
quatre ans de lycée. A leur dossiér, rempli en ligne, les candidats doivent
ajouter des recommandations personnalisées d'un professeur, entraineur sportif
ou éducateur. Et un «essai», soit un texte (650 mots maximum) de motivation, de
personnalité, sur un sujet déterminé chaque année par l'établissement. Un
exemple pour 2016: «Décrivez une action ou un événement, formel ou informel, qui
a marqué votre passage de l'enfance à l'âge adulte dans le contexte de votre
culture, famille ou communauté.» Plus de 600 universités ont une banque
d'épreuves communes (la «common app») mais chacune se réserve le droit de
demander un texte supplémentaire. Au total, les élèves soumettent parfois trois
ou quatre «essais» différents. Là aussi, des répétiteurs privés offrent leurs
services (de 60 à 130 dollars l'heure). Les séances commencent par un
brainstorming, censé permettre aux candidats de trouver dans leur vie, souvent
sans histoires, l'épisode qui a montré un trait exceptionnel de leur
personnalité. Il est bon d'expliquer qu'on a surmonté une épreuve ou un échec,
voire d'émouvoir les examinateurs avec une enfance difficile.
Les études coutent cher: 60.000
dollars par an, avec hébergement et repas, à Harvard; 59.000 dollars à Yale;
32.600 à Berkeley pour les domiciliés en Californie (56.000 pour les étudiants
d'autres Etats). Les universités soulignent le nombre de bourses distribuées
(60% des étudiants de Harvard ont une bourse grâce à un programme d'aide de 160
millions; 50% à Yale) pour les plus désargentés et les minorités notamment
noires et «latinas». Mais la majorité des étudiants ne reçoivent qu'une aide de
quelques milliers de dollars sur quatre ans, loin de compenser le coût de la
scolarité. Les dossiers d'inscription sont en général clos fin janvier. (Fonte:
C. Lesnes, Le Monde 28-01-16)
CINA.
L’INARRESTABILE LOCOMOTIVA SCIENTIFICA VERSO IL PRIMATO
La Cina ha appena raggiunto gli Stati Uniti per
numero di articoli scientifici pubblicati ogni anno (400mila), rivela un
rapporto della National Science Foundation di Washington. Secondo l'Ocse, nel
2020 avrà superato il suo rivale e surclassato anche l'Europa, in termini di
investimenti. Un quarto dei laureati in scienze e ingegneria di tutto il mondo
proviene dalla Cina (e un altro quarto dall'India). Un terzo degli stranieri
che ottengono un dottorato negli Stati Uniti ha il passaporto di Pechino, con
la madrepatria che preme per riprenderselo. Una sola azienda di biotecnologie
cinese, la Bgi di Shenzhen, possiede macchinari per leggere il genoma potenti
come quelli di tutti gli Usa, e addestra tra l'altro i giovani biologi italiani
dell'università di Tor Vergata a scovare le malformazioni del feto da una
goccia di sangue della madre (saltando l'amniocentesi). A novembre la Cina ha
annunciato che costruirà il più grande acceleratore di particelle del mondo,
con dimensioni doppie ed energia 7 volte superiori rispetto alla macchina del
Cern di Ginevra che nel 2012 scoprì il bosone di Higgs. E tutto questo è
avvenuto nel tempo di una generazione. Il progetto per agguantare il primato
scientifico in Cina ha radici solide. Il grosso della crescita si è concentrato
tra il 2000 e il 2010, spiega un rapporto pubblicato sulla rivista Pnas dalle
università del Michigan e di Pechino. Ma gli investimenti sono stati avviati
nel 1998, quando il governo ha lanciato il "programma 985",
raddoppiando i finanziamenti e il numero di atenei. Oggi in Cina oltre un
milione di ragazzi si laurea ogni anno in discipline scientifiche o
ingegneristiche (il quadruplo rispetto agli Stati Uniti, anche se le
popolazioni sono rispettivamente 1,3 miliardi e 300 milioni). Per spingere a
tutta velocità la locomotiva della scienza, la Cina impiega 3,2 milioni fra
scienziati e ingegneri (erano 1,2 milioni nel 1982 e sono appena 5mila in
Italia) e li ha posti in cima alla classifica del prestigio sociale. Gli
ingegneri guadagnano il 25% in più rispetto agli scienziati, che sono ben al di
sopra di medici e avvocati (negli Usa la proporzione è rovesciata). Nel 2008
Pechino ha lanciato il programma dei "mille talenti" per attirare i
migliori cervelli dall'estero offrendo salari competitivi, laboratori, fondi
per la ricerca e un rimborso spese che solo per il trasloco ammonta a 160mila
dollari. (Fonte: E. Dusi, G. Visetti, La Repubblica 28-01-16)
USA -
CINA. IL CONFRONTO SULLE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE
Dei 2,2 milioni di pubblicazioni scientifiche
scritte ogni anno, il 18,2% viene da Pechino e il 18,8% dagli Usa. Secondo
un'altra classifica (SciMago) l'Italia, nonostante l'esiguità dei finanziamenti
resiste all'ottavo posto dopo Usa, Cina, Gran Bretagna, Germania, Giappone,
Francia e Canada e prima dell'India. I settori di punta per Pechino sono le
scienze applicate: fisica, scienza dei materiali e chimica, mentre gli USA
mantengono il primato in biologia, medicina e nella ricerca di base in generale.
Ma se le pubblicazioni USA sono in crescita ogni anno del 3,2%, quelle della
Cina aumentano del 18,9%, in linea con una crescita degli investimenti di circa
il 20% annuo per gli ultimi 15 anni. Oggi la Cina spende per la scienza 336
miliardi di dollari, il 2% del proprio Pil e il 20% della torta mondiale. Gli
Stati Uniti sono ancora in vantaggio (456 miliardi, il 2,7% del Pil e il 27%
della quota globale). Ma ancora una volta, è soprattutto da se stessa che la
Cina è costretta a guardarsi. Oltre al primato delle pubblicazioni, Pechino ha
infatti raggiunto anche quello delle frodi scientifiche. Dal 2010 gli articoli
frutto di plagio sono triplicati e sono proliferate le agenzie che vendono agli
scienziati falsi esperimenti pronti da pubblicare. In alcuni casi, ha rivelato
a dicembre la rivista Science, la fase della revisione e dell'accettazione è
stata aggirata perfino attraverso intrusioni di hacker nei siti delle riviste.
(Fonte: E. Dusi, La Repubblica 28-01-16)
LIBRI
PER LA
STORIA DELL’UNIVERSITÀ DI BARI – FONTI ARCHIVISTICHE E A STAMPA
A cura di Angelo Massafra e Domenica Porcaro
Massafra. Edizioni G. Laterza. 2015, 432 p.
I curatori si sono proposti, con realismo, solo di
ricostruire, con gli autori dei vari contributi, le fasi del lavoro di
organizzazione dell’Archivio dell’Ateneo barese e di illustrarne, più o meno
analiticamente, i risultati finora conseguiti. Fino a qualche lustro fa gli
studi sulla storia dell’Università si avvalevano quasi esclusivamente di fonti
a stampa. Solo nell’ultimo decennio l’Ateneo barese, in collaborazione con la
Sovrintendenza archivistica per la Puglia e con altri Enti, ha realizzato un
vasto e impegnativo programma di recupero, idonea sistemazione, riordinamento e
parziale schedatura della documentazione prodotta dall’Amministrazione centrale
e da alcune sue strutture didattiche e di ricerca. I risultati sono ampiamente
evidenziati nell’ampia pubblicazione che raccoglie contributi di taglio
storico-istituzionale, metodologico o informativo, e strumenti per la ricerca.
(Fonte: V. Polito, 08-02-1&)
FAVOLE QUASI
GIURIDICHE
Autore: Francesco Gazzoni.
Key Editore, 2015, 210 p.
Raccolta di scritti in tono favolistico e semiserio
sull'università (professori, concorsi a cattedra, studenti), su argomenti
tecnico-giuridici e sull'antiformalismo nel diritto.
“Le
favole qui raccolte potranno divertire gli addetti ai lavori, i quali certamente
sapranno dare un nome ai vari protagonisti. I non addetti ai lavori potranno
comunque interessarsi, se non altro, a vicende accademiche emblematiche, in
grado, forse, di fornire un piccolo spunto di riflessione sulla necessità di
ricostruire dalle fondamenta l’università italiana secondo il modello
meritocratico americano, senza concorsi fasulli ed egualitarismi deleteri”.
(Fonte: dall’introduzione dell’autore)