domenica 15 dicembre 2019

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE n. 6 15.12.19




INFORMAZIONI UNIVERSITARIE n. 6 2019
(il post con le illustrazioni si legge in
http://www.universitastrends.info/ )



IN EVIDENZA

I NOSTRI SCIENZIATI SONO OTTAVI PER NUMERO DI PUBBLICAZIONI
L’Italia è ormai al quattordicesimo posto nel mondo per investimenti in ricerca e sviluppo. Ma i ricercatori italiani sono molto produttivi e molto bravi. Uniscono la qualità alla quantità. Con 102.581 articoli pubblicati i nostri scienziati sono ottavi per numero di pubblicazioni. E addirittura quinti per numero assoluto di citazioni. E, infine, primi a pari merito con il Regno Unito per citazioni per articolo. Ogni articolo pubblicato da un italiano nel 2018 ha ottenuto 89 citazioni, un numero uguale a quello dei colleghi inglesi e superiore a quello dei colleghi tedeschi, francesi e USA. Per non parlare dei colleghi orientali, molto meno citati degli europei e dei nordamericani.
Se davvero le citazioni sono un indice di qualità, gli scienziati italiani sono tra i più bravi al mondo. (F: IlBo 24-10-19)

TRA LE 100 GIOVANI UNIVERSITÀ MIGLIORI AL MONDO, QUATTRO SONO ITALIANE
Nature Index ha appena reso pubblica la sua ultima classifica delle 100 giovani università migliori al mondo. A primeggiare sono gli istituti asiatici (cinesi, indiani e sud-coreani), che non solo sono numerosi ma si aggiudicano la testa della classifica per produttività. E l’Italia? C’è, con quattro dei suoi fiori all’occhiello under 50 anni: la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste, l’università Bicocca di Milano, l’università di Roma Tor Vergata e l’università Roma Tre, rispettivamente al 33°, 34°, 59° e 99° posto. La classifica di Nature Index riflette la valutazione della produttività e delle collaborazioni degli istituti scientifici sulla base del numero di pubblicazioni e del contributo dei ricercatori delle singole università censite su un ampio numero di riviste internazionali di alta qualità. (F: Nature Index 24-10-19)

L’INDICE DI GLOBALIZZAZIONE DELLA RICERCA. ITALIA AL PRIMO POSTO
Il Centro di ricerche economiche di Praga ha indagato l’internazionalizzazione della ricerca di 174 paesi analizzando 22 milioni di paper del database Scopus. Risultati: i paesi europei e gli USA hanno indici di globalizzazione più alti. Tra i paesi principali, l’Italia è stabilmente al primo posto da anni. La Cina, tra i paesi emergenti, sta recuperando rapidamente, mentre la Russia prosegue (o forse persegue) un perfetto isolazionismo scientifico. A determinare il risultato della Cina sembra essere il rientro dei ricercatori dall’estero, Europa e USA: brain drain e brain gain gestito bene. L’indice di globalizzazione è stato calcolato sulla percentuale di paper pubblicati sulle riviste locali e sulle riviste internazionali. Più gli autori hanno pubblicato su riviste globalizzate più punti hanno ottenuto. La globalizzazione è stata calcolata indicizzando le riviste secondo alcune caratteristiche: il numero di autori della stessa nazione che hanno pubblicato per una certa disciplina; il numero di articoli pubblicati in inglese; la varietà delle nazionalità degli autori; il numero di autori della stessa nazionalità. (F: S. Cima, scienzainrete 25-10-19)

LA FUTURA AGENZIA NAZIONALE PER LA RICERCA (ANR)
Il disegno di legge di bilancio per il 2020 interviene massicciamente sulla governance pubblica. Introducendo, accanto all’ANVUR, una nuova Agenzia: l’ANR. Una scelta che rischia di duplicare i controlli e, dunque, gli adempimenti a carico dei player dell’innovazione.
Il Direttore e cinque componenti su otto del consiglio direttivo della futura agenzia nazionale per la ricerca (ANR) saranno di nomina politica, secondo la più recente bozza del “Disegno di legge di bilancio per il 2020″, che all’Art. 28 ((Istituzione dell’Agenzia nazionale per la ricerca e altre misure di sostegno alla ricerca e all’istruzione) recita: «Il direttore è scelto dal Presidente del Consiglio dei ministri. Il comitato direttivo è composto da otto membri scelti: due dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, uno dal Ministro per lo Sviluppo Economico, uno dal Ministro della Salute, uno dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, uno dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, uno dal Consiglio Universitario Nazionale, uno dalla Consulta dei Presidenti degli enti pubblici di ricerca.» Alla nuova agenzia saranno assegnati 25 milioni di euro per l’anno 2020.
L’ANR prende forma giuridica con una impostazione che rende palese la volontà di sottomettere l’allocazione di risorse destinate a sostenere  la ricerca in Italia ai desiderata di un organo decisionale nel quale gli esponenti di nomina politica e i loro suggeritori giocheranno la parte del leone. Un’impostazione che però si rivela dilettantistica e provinciale. Dilettantistica, perché si istituisce un’agenzia i cui compiti si sovrappongono a quelli di comitati (CEPR, CIPE, CNGR) tuttora in vigore, dei cui compiti il governo appare paradossalmente ignaro. Ma anche provinciale, perché il disegno configura una centralizzazione senza adeguati contrappesi che non trova riscontro nelle vicine Francia e Germania.
Diverse per governance e budget, l’ANVUR e l’ANR rischiano di incrociare una prima volta i loro destini già al momento della nomina dei vertici. Visto che 2 degli 8 membri del direttivo dell’ANR sono scelti dal MIUR, che già propone i 7 componenti del direttivo dell’ANVUR. Senza modifiche lo stesso pericolo di collisione si registra anche nelle rispettive missioni istituzionali. L’articolo 28 del Ddl di bilancio assegna infatti alla “nuova” Agenzia il compito di valutare l’impatto dell’attività di ricerca al fine «di incrementare l'economicità, l’efficacia e l’efficienza del finanziamento pubblico nel settore». Chiedendo sì di farlo sulla base dei risultati dell’attività dell’ANVUR, ma senza tenere conto che quest’ultima - per effetto degli articoli 5 e 17 del Dlgs 218/2016 - ha a sua volta il compito di valutare gli enti di ricerca vigilati dal MIUR e di emanare delle linee guida per quelli monitorati dagli altri dicasteri che dovranno pi recepirle.
Infine, che garanzie offre questo Gran Consiglio della Ricerca, l’ANR, che la ricerca scientifica, per quanto sottofinanziata, rimanga quanto meno libera dalle mire del governo di turno, come vuole l’art. 33 della nostra Carta costituzionale? (F: Red.ne Roars 02-11-19; E.B., IlSole24Ore 11-11-19)

LA CORTE DEI CONTI IN APPELLO HA RIBALTATO LE DECISIONI DI PRIMO GRADO: DOCENTI ASSOLTI. PER I PROFESSORI, PARTITA IVA LEGITTIMA. FA TESTO L'AUTORIZZAZIONE DELL'ATENEO ALLA CONSULENZA
Legittimo il possesso della partita Iva da parte dei professori universitari. Con la sentenza n. 198/2019 depositata il 23 ottobre scorso la sede centrale della Corte dei conti in appello ha dato ragione ad un docente che, in regime di lavoro dipendente del MIUR a tempo pieno, aveva svolto attività extra-istituzionali quale consulente di parte o d'ufficio nel corso di procedimenti giudiziari. Il Ministero dell'Istruzione è intervenuto più volte sul tema delle attività extra-istituzionali dei docenti universitari a tempo pieno, e anche di recente. La stessa sentenza della Corte centrale dei conti ha rilevato gli orientamenti del dicastero di Viale Trastevere citando l'atto di indirizzo del 2018 del MIUR ed una nota del giugno scorso del Dipartimento Università del MIUR che ha fatto giurisprudenza. (F: G. Mantica, ItaliaOggi 05-11-19)

MACHINE LEARNING IN AMBITO ACCADEMICO
L’uso di tecniche di apprendimento automatico per migliorare e studiare il mondo delle università, e più in generale il mondo dell’istruzione, ha lo scopo di sviluppare metodi di esplorazione dei dati per scoprire individuare modelli di comportamento significativi che siano rilevanti per tutti i soggetti coinvolti. I dati raccolti e memorizzati (corsi virtuali, e-learning, file di registro, dati demografici e accademici degli studenti, informazioni di ammissione / registrazione, etc.) possono essere utili per gli algoritmi di apprendimento automatico.
Dal punto di vista tecnico, il machine learning può essere utile al mondo delle università in due modi distinti: il primo è di tipo predittivo, il secondo di tipo analitico.
Dal punto di vista predittivo, uno strumento che consenta di capire ed anticipare alcuni fenomeni quali abbandoni, iscrizioni, lauree, etc. consentirebbe alle istituzioni e alle università di monitorare ed eventualmente intervenire attivamente per migliorare e ottimizzare molte delle dinamiche che ne influenzano loro la vita. L’Osservatorio Abbandoni sviluppato da Cineca si muove in questa direzione, e nasce dalla consapevolezza che il problema degli abbandoni è un molto sentito dal mondo delle università. Il già citato Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca 2018 dell’ANVUR, infatti, descrive 23 indicatori e parametri per la valutazione periodica delle attività formative che caratterizzano i corsi di studio e le carriere degli studenti. Questi indicatori riguardano l’analisi dei fenomeni legati al percorso e all’esito delle carriere accademiche degli studenti universitari, si basano su dati individuali degli studenti e seguono in modo longitudinale gli eventi della carriera: quindi, la possibilità di conoscere a priori i flussi in entrata e in uscita degli studenti consente a un ateneo di stimare la quantità di risorse a lei destinate nel corso degli anni avvenire, essendo la sua valutazione tramite questi indicatori strettamente legata al fondo di finanziamento ordinario (FFO).
L’aspetto analitico invece riguarda lo studio a consuntivo dei flussi degli studenti inter-ateneo ma anche le ragioni che spingono gli studenti ad iscriversi e ad abbandonare. La possibilità di accedere ad una piattaforma che dispone di informazioni afferenti a diverse realtà universitarie consente di affrontare i problemi comuni delle università in modo trasversale, e far emergere risultati anche inaspettati. Ad esempio, attraverso analisi ad hoc effettuate su alcuni atenei è emerso che alcune delle azioni correttive implementate per filtrare all’ingresso solo gli studenti migliori, imponendo quasi estensivamente i corsi a numero chiuso, hanno portato all’effetto contrario rispetto a quello voluto. Come è noto infatti l’obiettivo del numero chiuso è quello di selezionare a priori gli studenti migliori, per migliorare il livello della didattica. Tuttavia ciò che è emerso dai dati analizzati rispetto al livello di partecipazione degli studenti alla vita universitaria, è che la scelta non ha dato i risultati sperati. Infatti, in molti casi gli studenti ammessi ad un corso di laurea a numero chiuso hanno performance peggiori rispetto agli studenti degli anni precedenti iscritti allo stesso corso ma che non hanno dovuto superare l’ostacolo del test selettivo.
Un altro insight che è emerso riguarda l’associazione tra indirizzo di studi intrapreso all’università e percorso di studi precedente. Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, i corsi di laurea ad alto contenuto tecnico non sono quelli con maggior numero di abbandoni. Inoltre, il background di partenza in molti casi non è un buon indicatore rispetto alle performance degli studenti, esistono molte differenze rispetto alle scuole e ai corsi di laurea.
Il machine learning applicato al mondo dell’education inizia a dimostrare che l’esplorazione dei dati consente di far emergere le correlazioni nascoste, non facilmente individuabili dall’intervento umano, o addirittura risultati controintuitivi, ma preziosi nella lettura della realtà dei fenomeni (in questo caso i flussi di studenti).
In definitiva, l’apporto di questa nuova tecnologia rappresenta uno strumento cruciale per l’Osservatorio abbandoni. Tecnologia che, peraltro, si combina perfettamente con la logica di “fare rete” fra Istituzioni, cioè consente agli atenei di mettere a fattor comune e valorizzare il patrimonio di dati del sistema accademico. In questo modo Cineca attualizza la propria missione consortile, quella cioè di supportare le università nei processi decisionali e nell’analisi dei fenomeni che le riguardano tramite l’utilizzo di tecnologie innovative. (F: Agenda digitale 25-10-19)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

PROROGA DELLA VALIDITÀ DELL’ASN
L'art. 5 del Dl precari approvato dal CdM consente il mantenimento dell'Abilitazione Scientifica Nazionale per 9 anni purché il candidato abbia gli altri requisiti (attività di ricerca scientifica e pubblicazioni) richiesti dalla legge. Sono 30.000 i docenti con ASN in scadenza. Inoltre fino al 2021 sarà possibile stipulare un contratto di prima o seconda fascia con associati o ricercatori a tempo indeterminato in possesso dell'ASN. Per i precari degli enti di ricerca il Dl ne stabilizza 500. (F: IlSole24Ore 14-10


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATEN

LE MIGLIORI UNIVERSITÀ SOTTO I 50 ANNI. SISSA E BICOCCA LE PRIME IN ITALIA
Nature Index, un database gestito da "Springer Nature", pubblica la classifica degli atenei con meno di cinquant'anni e prende in considerazione 175 atenei nel mondo. Tra i primi dieci atenei della classifica generale, guidata dalla University of chinese academy of sciences (Ucas), sono presenti solo due realtà europee: lo Swiss federal institute of technology di Losanna e l'Università di Parigi Sud. Nessun ateneo nordamericano. 
La Scuola internazionale superiore di studi avanzati (SISSA), anno di nascita 1978, è la prima in Italia tra le università con meno di cinquant'anni anni, settima in Europa. Le altre italiane presenti nel Nature index sono: la Bicocca di Milano, nata solo ventuno anni fa, trentaquattresima e ottava in Europa. Segue l'Università di Roma Tor Vergata, aperta nel 1982, al 59° posto, e l'Università di Roma Tre (99°), in vita dal 1992. Posizionate oltre la centesima posizione ci sono l'Università di Brescia (1982) al 104° posto, l'Università della Calabria (134°posto, nata nel 1972) e l'Università di Napoli Vanvitelli (135°, 1991). (F: C. Zunino, La Repubblica 02-11-

UNA NUOVA INDAGINE DI QS (QUACQUARELLI SYMONDS) HA VALUTATO OLTRE 700 ATENEI NEL MONDO SOTTO IL PROFILO DELLA "OCCUPABILITÀ" DEI PROPRI LAUREATI
La graduatoria è stata stilata sulla base di cinque indicatori. In particolare, è stato chiesto ai datori di lavoro coinvolti nell’indagine di indicare da quali atenei provenissero i laureati più competenti e preparati. QS ha, inoltre, preso in esame quasi 40mila individui tra le persone più innovative, creative e facoltose al mondo per stabilire quali università stessero producendo professionisti in grado di cambiare il mondo. È stata valutata poi la capacità di ciascun ateneo di collaborare con successo con importanti aziende globali attraverso partnership legate, ad esempio, ai tirocini. Un altro indicatore ha valutato la presenza attiva dei datori di lavoro nei campus universitari negli ultimi dodici mesi, sotto forma di presentazioni aziendali o qualsiasi altra attività di autopromozione. Ai fini della classifica generale ha pesato pure il "Graduate employment rat", cioè il tasso di occupazione dei laureati a un anno dal conseguimento del titolo. Per evitare anomalie, quest’ultimo dato è stato parametrato sulla base delle condizioni economiche di ciascun Paese.
Il Mit di Boston è l'Università che garantisce maggiori e migliori possibilità di impiego ai propri laureati nel mondo. 
In Italia, a primeggiare è il Politecnico di Milano, seguito dall'Università di Bologna e da Sapienza di Roma. Tra le altre università italiane che figurano nei primi 500 posti ci sono il Politecnico di Torino (fascia 111-120), l’Università Cattolica del Sacro Cuore (121-130), l’Università di Padova (151-160), l’ateneo di Pisa (161-170), la Statale di Milano (201-250), le università di Torino e Trento stabili nella fascia dal 201° al 250° posto e la Federico II di Napoli (251-300). Entrano in questa edizione del ranking, nella fascia 301-500, anche Ca' Foscari, Pavia, Tor Vergata, Milano Bicocca e Verona. (F: Sky24 19-09-19

PER LA RICERCA NELLE SCIENZE NATURALI LA NORMALE DI PISA È PRIMA AL MONDO
La Normale di Pisa è la prima università del mondo per la ricerca nelle Scienze naturali: fisica, matematica, chimica. Lo ha reso noto una classifica internazionale, RUR (Natural Sciences World University Ranking), che ha valutato le performance di oltre 700 università nelle Natural Sciences, analizzando numero di papers pubblicati dallo staff accademico, di citazioni delle riviste internazionali, reputazione accademica, impatto scientifico, numero di laureati ammessi che raggiungono il dottorato. Il RUR World University Ranking è pubblicato da una agenzia con sede a Mosca sulla base dei dati della statunitense Clarivate Analytics, ed è compilata tenendo conto delle dimensioni degli atenei. Complessivamente nell’ambito disciplinare delle Natural Sciences, che corrisponde, tranne che per biologia, alla Classe di Scienze della Normale, la Scuola che fu dei Nobel Fermi e Rubbia e della medaglia Fields Figalli, si classifica al terzo posto al livello mondiale insieme alla Stanford University (prima) e alla Princeton University (seconda) e davanti al Massachusetts Institute of Techonology (MIT) di Boston. La seconda italiana è 106esima. (F: gonews.it 21-10-19)

TOP 10 INSTITUTIONS FOR LIFE SCIENCES 2018
These institutions were the largest contributors to life-sciences papers published in the 82 leading journals tracked by the Nature Index in 2018. 1. Harvard Univ., 2. NIH, 3. Stanford Univ., 4. Max Planck Society, 5. Chinese Acad. of Sciences, 6. MIT, 7. UCSF, 8. Yale University, 9. The UCambridge, 10. Upenn. (F: Nature Index 12-08-19)

WORLD UNIVERSITY RANKINGS 2020 BY SUBJECT: BUSINESS AND ECONOMICS
The ranking assesses universities by their performance in accounting and finance, business and management, and economics and econometrics subjects.
Le prime 10 nel mondo in economics & econometrics: Massachusetts Institute of Technology, Stanford University, University of Oxford, University of Cambridge, University of California - Berkeley, London School of Economics and Political Science, Duke University USA, University of Chicago, University of Pennsylvania,  Harvard University.
Sono 32 le università italiane classificate in economics & econometrics. Di seguito le prime 10: Sant’Anna School of Advanced Studies – Pisa, University of Bergamo, University of Bologna, 
Sapienza University of Rome, Free University of Bolzano, University of Padua, University of Catania, University of Naples Federico II, University of Pavia, University of Trento.
(F: www.timeshighereducation.com 15-10-19)


CULTURA DEL DIGITALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA

NUOVO MOOC AD ACCESSO LIBERO FIRMATO UNIBO E POLIMI: UNIVERSITÀ E SVILUPPO SOSTENIBILE
Un corso online per capire come le Università possono contribuire, attraverso formazione, iniziative e azioni pratiche, a creare consapevolezza nei confronti dello sviluppo sostenibile, globale e locale, e a raggiungere gli obiettivi ONU dell’Agenda 2030. Intitolato "Higher Education for Sustainable Development Goals", è il nuovo MOOC disponibile ad accesso libero e gratuito sulle piattaforme BOOK – Unibo Open Knowledge e POK – Polimi Open Knowledge.
Il corso, in lingua inglese, accompagna gli iscritti attraverso un percorso di studio che, lezione dopo lezione, approfondisce l'idea di sviluppo sostenibile e si concentra sui comportamenti quotidiani da adottare in linea con i principi della sostenibilità. Docenti ed esperti dell'Università di Bologna e del Politecnico di Milano si alternano per presentare le sfide principali e più urgenti delineate dai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile istituti dall'ONU: vengono presentate le attività, i progetti e le ricerche che i due Atenei stanno sviluppando per contribuire all'impegno globale verso il raggiungimento di questi obiettivi entro il 2030 e per sviluppare nei leader del futuro conoscenza e consapevolezza sulla sostenibilità. (F: La Stampa 01-10-19)

CINA. 270 MILIONI DI UTENTI NEI CORSI ONLINE 
Circa 270 milioni di persone in Cina risultano aver preso parte a Corsi online aperti su larga scala (Massive Open Online Courses o MOOC) fino ad agosto di quest'anno. Lo ha dichiarato il ministero dell'Istruzione. Il ministero ha detto in un comunicato stampa diffuso questa settimana che la Cina ha costruito un'ampia rete MOOC che offre una vasta gamma di lezioni in diverse discipline, con circa 15.000 corsi. Secondo il comunicato, circa 80 milioni utenti sono studenti universitari. (F. Ansa 02-11-19

I COMPUTER QUANTISTICI NELLA RICERCA
Se vi siete appassionati alla fisica leggendo i best seller di Carlo Rovelli, il collegamento tra la fisica delle particelle e i computer quantistici è più che naturale perché i relativi modelli di calcolo sono straordinariamente complessi e poter utilizzare appieno «macchine» un miliardo di volte più veloci di qualsiasi hardware odierno, farà la differenza. Come già stanno constatando l’Universität Innsbruck e l’Institute for Quantum Optics and Quantum Information (IQOQI) of the Austrian Academy of Sciences nel loro programma basato su un sistema di simulatori quantistici. E tutto ciò non è all’insegna del puro sapere – almeno non solo – perché il business regna sovrano anche nella ricerca e sviluppo dei Quantum Computers. E infatti gli investitori di tutto il mondo si stanno adoperando per inserirsi nel variegato ecosistema del calcolo quantistico, visto che la «torta» da spartirsi non riguarda soltanto i big dell’industria informatica, perché il mondo bancario - finanziario, le aziende aerospaziali e le imprese di sicurezza online hanno motivazioni altrettanto forti per sfruttare al massimo le pazzesche potenzialità della nuova rivoluzione di questi computer. (F: linkiesta 28-10-19)


DOCENTI. RICERCATORI

RECLUTAMENTO ACCADEMICO. PROPOSTE DEL MINISTRO FIORAMONTI
Il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, In una recente intervista al Sole24Ore, ha formulato alcune riflessioni sulla necessità di intervenire sul sistema di reclutamento accademico.
Nell’intervista, il Ministro si concentra principalmente sulla sua proposta di differenziare i canali di reclutamento accademico, introducendo un concorso nazionale per la metà dei posti, suggerendo poi una revisione dell’ASN che la renda perpetua e non soggetta a scadenza, una volta conseguita da un ricercatore. Secondo un documento critico dell’ADI segnalato da Roars dalle parole del Ministro emerge un’apertura alla chiamata diretta, procedura altamente suscettibile di essere distorta da clientelismi, mentre il concorso per titoli varrebbe solo a livello nazionale. Questo meccanismo di selezione non è accettabile ed è in aperto contrasto con la richiesta di maggiore democrazia e trasparenza. Anche la rigida allocazione dei posti messi a bando proposta dal Ministro, ossia il 50% a livello nazionale e il 50% a livello locale, sembra non basata su uno studio di effettive esigenze locali, mentre ancora non c’è neanche una parola sull’urgenza di aumentare l’organico e riportarlo ai livelli precedenti alla crisi economica. (F: Roars 31-10-19)

IL RUOLO UNICO DEL PROFESSORE UNIVERSITARIO. NOSTALGIA DELLE DUE UNICHE FIGURE DI UN TEMPO PASSATO: IL PROFESSORE ORDINARIO E L’ASSISTENTE ( oggi RICERCATORE) IN CARRIERA
Roars pubblica la Proposta del Comitato Nazionale Universitario (CNU) per la riforma della Docenza Universitaria (ruolo e pre-ruolo). Tra i punti salienti, l’abolizione del ruolo del professore ordinario e del professore associato con la contestuale istituzione del ruolo unico di Professore Universitario (PU). Il percorso di accesso al ruolo unico prevede una semplificazione delle figure pre-ruolo attraverso tre passaggi: dottorato, post-doc e Ricercatore a tempo determinato di tipo B. La progressione nel ruolo di Professore Universitario avverrà tramite scatti biennali acquisiti previa verifica dell’assolvimento dei propri doveri nella ricerca (risultare “ricercatori attivi”) e nell’attività̀ didattica (di norma 120 ore di lezione per a. a.) e dell’impegno nello svolgimento di attivista istituzionali e gestionali. L’applicazione delle norme di cui sopra ai docenti di area medica dovrai tener conto dell’impegno del docente in attivista assistenziali.
L’accesso a ruoli gestionali dei PU richiederai l’acquisizione di esperienza che puoi essere legata agli anni di servizio nel ruolo. Ad esempio, i PU che hanno maturato tre anni di anzianità possono rivestire il ruolo di Coordinatore di Dottorato o di Coordinatore di Corsi di Studio o di Laurea. Dopo aver maturato 6 anni di anzianità i PU possono accedere a tutte le cariche direttivo-gestionali (es.: Rettore, Direttore di Dipartimento) nonché far parte delle commissioni concorsuali e di ASN.
Si può inoltre ipotizzare l’accesso diretto a PU per quanti si ritengono idonei al ruolo (l’unico requisito è il Dottorato) attraverso un concorso nazionale per settore concorsuale e con cadenza annuale. Rimarrà possibile la chiamata per chiara fama. I punti organico impegnati in tale schema sarebbero pari a 50.000 (+11% rispetto alla situazione attuale). (F: Red.ne Roars 09-10-19)

DDL PRESENTATO A PRIMA FIRMA DEL SEN. FRANCESCO VERDUCCI DEL PD. IL PARERE DELL'ADI RIPORTATO DA ROARS. PROPOSTE SUI RICERCATORI E SUL DOTTORATO
Tra le principali novità introdotte dal DDL Verducci vi è l’abrogazione dell’assegno di ricerca quale strumento principale di pre-ruolo, l’eliminazione della figura del Ricercatore a Tempo Determinato di tipo A e la trasformazione di quella di tipo B in un’unica modalità di accesso al pre-ruolo in tenure track. Dal DDL in esame emerge quindi l’intento di superare la logica di straordinarietà ed emergenza dalla quale è stato guidato il reclutamento universitario negli ultimi anni: nell’ultimo decennio le assunzioni sono state condotte soprattutto tramite i piani straordinari per RTDb che - anche al netto dell’insufficienza numerica rispetto ai pensionamenti - rendono inevitabilmente più complessa la programmazione per il sistema universitario rispetto ad un più auspicabile sistema di reclutamento ordinato e ciclico.
All’articolo 6 è disciplinata l’istituzione del contratto unico dei ricercatori a tempo determinato, il quale si articola in due fasi: una prima di tre anni, destinata principalmente all’attività di ricerca (detta “Junior”) e una seconda, successiva a una valutazione individuale superata con esito positivo, di due anni, con ridefinizione delle attività e incremento dell’impegno nella didattica e servizio agli studenti (detta “Senior”).
In merito alle proposte sul dottorato, le previsioni contenute negli articoli 2 e 3 del DDL puntano all’innalzamento dell’importo minimo delle borse di dottorato al minimale contributivo INPS e l’abolizione totale del contributo per l’accesso ai corsi di dottorato. Per quanto attiene alla prima delle due previsioni, va notato che sarebbe anche importante specificare nel DDL che l’adeguamento deve avvenire in modo automatico ogni anno, cosa non precisata nell’attuale testo. Il DDL, inoltre, viene incontro alle istanze dell’ADI sul riconoscimento del valore del dottorato, quando prevede al comma 4 dell’articolo 4 che nelle procedure di reclutamento del personale delle PA, il punteggio attribuito al titolo non possa essere inferiore a quello proporzionale ai crediti formativi universitari (CFU) ad esso riconosciuti rispetto a quelli riconosciuti agli altri titoli eventualmente rilevanti ai fini del concorso.
Gli articoli 7, 8 e 9 delineano la fase transitoria tra il sistema attualmente in vigore e quello prospettato nella riforma: RTDa abilitati ASN e studiosi abilitati ASN che hanno svolto almeno tre anni di assegno di ricerca accederebbero ai bandi per essere integrati come RTD Senior. Gli studiosi non abilitati ASN ma che hanno svolto almeno tre anni di assegno di ricerca accederebbero ai bandi per RTD Junior. (F: Red.ne Roars 20-09-19)

APPELLO DEI RETTORI DI MILANO PER RECLUTARE I RICERCATORI: ABBANDONARE IL SISTEMA DEL CONCORSO E COOPTARE COME IN ALTRI PAESI
Per assumere un ricercatore si passi alla cooptazione, «seria», «virtuosa». Il reclutamento nelle università dovrebbe cambiare così, con gli atenei liberi di chiamare il profilo che cercano, con criteri chiari e trasparenti: l'appello arriva dai rettori di Politecnico, Bicocca e Statale. Hanno formulato la proposta alla presentazione della due giorni dedicata alla scienza «Meet me tonight». «Perché le università italiane siano competitive in un sistema internazionale molto agguerrito occorre cambiare passo. A partire dal sistema di reclutamento di chi fa ricerca». Regole nuove, è la richiesta dei rettori: «Abbandonare la logica del concorso e cooptare. Con coraggio e piena assunzione di responsabilità».
«Non vogliamo chiedere più risorse però non possiamo pensare di gestire le università come altre realtà della pubblica amministrazione», è la premessa di Ferruccio Resta, rettore del Politecnico, che ha ribadito: «Dobbiamo fare in modo che le università statali possano ridefinire le modalità di reclutamento. Quando si assume un ricercatore devono essere riconosciute le competenze specifiche — ha spiegato —. I complicati meccanismi concorsuali non funzionano. Si dovrebbe fare quello che si fa in altre realtà, professioni e università nel mondo. Valorizzare il merito. Scegliere. Senza ipocrisie. Senza trincerarsi dietro complesse procedure e numerologie». (F: CorSera Milano 21-09-19)
Uno dei commenti: Ho letto il testo dell'intervista, non dicono proprio niente di incostituzionale! (come hanno invece commentato in molti. PSM). Propongono di andare oltre bandire una posizione solo a livello di settore scientifico - disciplinare, (SSD) di poter inserire un vero profilo senza che ci siano ricorsi visto che la legge attuale lo impedisce. L'esempio fatto dalla Messa (rettore Uni Milano - Bicocca) che se si cerca un chirurgo toracico e ci si limita all'SSD come da legge poi si debba magari dichiarare vincitore un chirurgo del fegato perché "ha i numeri più alti" (NB sarebbe questo il "merito") è perfetto per illustrare il problema. (F: dome.giAbbonato Digital)

L’IMPATTO CITAZIONALE DEI RICERCATORI ITALIANI (al netto delle autocitazioni)
Impiegando i dati Scopus e il Field Weighted Citation Impact considerato al netto delle autocitazioni, il Sole24Ore replica alla rivista Plos One che aveva accusato i ricercatori italiani di autocitarsi per gonfiare i numeri nella valutazione bibliometrica dei lavori scientifici. V. grafico.
(F: E. B., IlSole24Ore 27-10-19)


DOTTORATO

UN QUADRO REGOLAMENTARE PIÙ FLESSIBILE E INNOVATIVO PER IL DOTTORATO

Il dottorato di ricerca italiano ha bisogno di essere ricondotto a normalità e concretezza, semplificandone l’attivazione e liberalizzandone l’accesso, togliendo tutti gli ostacoli per la sua internazionalizzazione, separando l’iscrizione al dottorato dalla fruizione di borse di studio, cancellando l’obbligo della durata triennale, e aprendo il sistema di finanziamento delle borse, anche considerando prestiti d’onore e forme di crowdfunding, e comunque forme di finanziamento dal basso, calcolando i posti a disposizione solo in riferimento al numero di docenti, e riconsiderando la valutazione dei risultati sulla base di criteri di trasparenza, garantendo l’accesso aperto alle banche dati delle tesi di dottorato. Su tali temi il nuovo ministro potrebbe fin da subito dare un segnale di apertura, promuovendo un quadro regolamentare più flessibile e innovativo rispetto all’attuale e fra questi ripensare il controllo da parte dell’ANVUR da ricondurre in tempi brevi alla sua missione di valutazione ex-post. Così il dottorato italiano potrà assolvere in pieno alla sua missione di formare alte professionalità, e non essere considerato solo come il primo passo di una carriera accademica. (F: S. Mecca, CorSera Università 01-10-19)

DOTTORATO DI RICERCA. MANCATA VALORIZZAZIONE NEL DECRETO SCUOLA

L’associazione dei dottorandi e dottori di ricerca in Italia (ADI) lamenta l’assenza di misure adeguate alla valorizzazione del titolo di dottore di ricerca nel decreto “Scuola”, licenziato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 10 ottobre, in base a cui saranno banditi i prossimi concorsi per la scuola secondaria. Al centro della denuncia dell’ADI, il mancato inserimento del dottorato di ricerca quale titolo utile all’accesso al concorso straordinario, previsto nel decreto scuola e riservato ai docenti con 3 anni di servizio nelle scuole secondarie statali. Come si legge nel comunicato dell’associazione di categoria: “Osserviamo con rammarico che il Governo non ha colto questo nuovo decreto per la valorizzazione di tanti dottori di ricerca che hanno dedicato anni della propria vita ad approfondire la propria materia e raggiungere il più alto titolo di studio. Tutto ciò nonostante da anni ormai chiediamo con forza che i dottori di ricerca siano messi nelle condizioni di innalzare la qualità della docenza italiana”. (F: G. Montalbano, Orizzontescuola 14-10-19)


FINANZIAMENTI

FONTI DI FINANZIAMENTO DELLA RICERCA IN ITALIA
Il ministro per l'università e la ricerca Lorenzo Fioramonti ha presentato alla Camera dei deputati il Patto per la ricerca con le seguenti parole: "Chiediamo al mondo imprenditoriale di sottoscrivere un Patto per la ricerca, con cui ci impegniamo congiuntamente (istituzioni pubbliche e imprese) a rilanciare gli investimenti in ricerca come volano privilegiato di uno sviluppo davvero sostenibile e improntato al benessere umano, sociale, culturale e ambientale".
L’agenda di Lisbona afferma che la ricerca dovrebbe essere finanziata per 1/3 con fondi pubblici e per 2/3 con fondi privati. Come si vede dalla figura in Europa il privato finanzia il 55% del totale del budget investito in ricerca. In Italia per il 52%. In Germania per 65%, avvicinandosi così all’obiettivo fissato dall’agenda di Lisbona (1/3 con fondi pubblici e per 2/3 con fondi privati). (F: Eurostat 2016).

I NUMERI DELLE RISORSE NELLA RICERCA
L'Italia versa all'Europa il 12,8% del bilancio complessivo dei cosiddetti Programmi quadro per la ricerca scientifica. Ottiene in contropartita finanziamenti solo per l'8,7%: siamo in credito di un quarto delle risorse. La novità è che, oltre alla distanza dai Paesi storicamente più virtuosi - la Germania riceve il 16,4% dei finanziamenti totali, il Regno Unito il 14, la Francia il 10,5 -, ora si avvista il sorpasso della Spagna. Nel primo triennio del terzo Horizon 2020 (il programma scientifico europeo 2014-2017), Madrid ha avuto il 9,8% dei finanziamenti europei. Un punto abbondante meglio di noi. L'Olanda, l'esempio più efficace in Europa, prende il quadruplo di quel che versa.
Il numero di ricercatori italiani: dal 2005 al 2016 sono cresciuti di 60 mila, ma la quota sale solo nelle industrie private. Sono ormai 72 mila contro i 78 mila (stazionari) delle università. Negli Enti pubblici di ricerca sono in tutto 29 mila.
Pochi finanziamenti, arruolamento faticoso e frammentato hanno prodotto un invecchiamento strutturale dei ricercatori italiani. L'età media dei docenti nelle università è 49 anni, nelle istituzioni pubbliche è di 46: l'incidenza dei professori ultracinquantenni è superiore al 50%, ben più elevata di quella dei nostri partner europei. Gli assegnisti di ricerca, la classe più precaria in questo segmento decisivo per la salute economica e culturale dell'Italia, sono quasi il 20% dei ricercatori nelle università e addirittura un quarto negli enti di ricerca.
La spesa in Ricerca e Sviluppo in quattordici anni è passata dall'1% del Pil all'1,4. La media Ue è del 2%. Le gare pubbliche nell'ambito R&S sono solo lo 0,15% del totale dei beni e servizi acquistati dalla pubblica amministrazione: 178 milioni di euro contati nel 2018.
Sul piano delle pubblicazioni, la risposta dei ricercatori è "coraggiosa". La comunità scientifica italiana, nonostante le incertezze istituzionali, produce il 5% dei lavori mondiali con un numero di citazioni che nel biennio 2017-2018 hanno rappresentato l'1,4% globale. Questa produzione è paragonabile a quella della Francia, che ha un numero di ricercatori decisamente superiore. Resta marginale, anche se in crescita, l'aliquota dei brevetti depositati (il 2,52% del totale mondiale).
Il saldo commerciale nell'alta tecnologia è sempre in deficit (4 miliardi di dollari), ma è meno rilevante nell'ultimo decennio. I settori high-tech di punta, in Italia, sono l'automazione industriale e la farmaceutica. (F: C. Zunino, La Repubblica 15-10-19)

MISURE ECONOMICHE DI SOSTEGNO ALLA RICERCA E ALL’ISTRUZIONE NELLA BOZZA DEL DISEGNO DI LEGGE DI BILANCIO PER IL 2020, ART. 28
Per garantire la prosecuzione del finanziamento dei programmi spaziali nazionali, in cooperazione internazionale e nell’ambito dell’Agenzia spaziale europea, assicurando al contempo il coordinamento delle politiche di bilancio in materia, le somme assegnate con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 giugno 2019, adottato ai sensi dell’articolo 1, comma 98, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, sono incrementate di 390 milioni di euro per l’anno 2020, 452 milioni di euro per l’anno 2021, 377 milioni di euro per l’anno 2022, 432 milioni di euro per l’anno 2023, e 409 milioni di euro per l’anno 2024.
L’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 591, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, è incrementata di 30 milioni di euro annui a decorrere dal 2020, da destinare al fondo unico nazionale per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti scolastici.
Al fine di prevedere misure volte al potenziamento della qualificazione dei docenti in materia d’inclusione scolastica, per l’anno 2020 l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 125, della legge 13 luglio 2015, n. 107 è incrementata di euro 11 milioni.
Per favorire l’innovazione digitale nella didattica, per l’anno 2020 l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 62, secondo periodo, della legge 13 luglio 2015, n. 107, è incrementata di euro 2 milioni.
Per promuovere il diritto allo studio universitario, il fondo di cui all’articolo 18, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, è incrementato per l’anno 2020 di euro 16 milioni.
(F: Red.ne Roars 02.11.19)

A HUMAN TECHNOPOLE (HT) RISORSE COSPICUE AL DI FUORI DI OGNI PERCORSO COMPETITIVO
140 milioni di euro l'anno è il finanziamento che, con la legge di bilancio 2017, lo Stato ha assegnato alla Fondazione Human Technopole (HT). Risorse pubbliche, dei cittadini, che alimenteranno progetti al di fuori di ogni percorso competitivo, senza alcuna certezza di sviluppare le idee più meritevoli del Paese. Per sanare questa anomalia, nella legge di bilancio in discussione, c'è un'iniziativa volta a scongiurare che questo finanziamento favorisca un nuovo, e solo uno, centro di ricerca avulso dal sistema della ricerca del Paese. In HT, con quelle risorse certe si potrà studiare genomica e neurogenomica; fuori da HT, invece, i ricercatori di base che già le studiano attendono da anni un bando pubblico per dimostrare che la loro idea è migliore e ottenere i fondi per svilupparla. Ogni anno, i 51 istituti di ricerca ospedalieri (IRCCS) italiani molti già specializzati nelle materie che si studieranno in HT - competono tra loro per un fondo totale di 159 milioni di euro; nello stesso tempo il solo HT riceve, senza competizione, 140 milioni. Una gara sleale, quindi, tra libere idee del Paese negli stessi ambiti. La soluzione arriva dalla Svezia, dallo Science For Life Laboratory, struttura che concentra ben 40 facilities ad altissimo valore tecnologico, cui i ricercatori di tutte le università e centri del Paese accedono per realizzare parti di progetti che ne richiedono l'uso.
Nelle ultime settimane si è svolto, con i Ministeri coinvolti nella Fondazione (Miur, Ministero della Salute e Mef), un lavoro per garantire una strutturale apertura di HT, con facilities di tecnologie da identificare, progettare e costruire in funzione delle esigenze di tutto il Paese e delle competenze da crescere a Palazzo Italia. Ne è nato un emendamento alla legge di bilancio che destina, a partire da bandi annuali stabili e competitivi, almeno 80 di quei 140 milioni pubblici alla copertura dei costi di ideazione, costruzione e mantenimento di «facilities nazionali HT» e delle spese di mobilità dei ricercatori di Università, IRCCS e Enti pubblici di ricerca dalle loro sedi ad Arexpo, oltre che dei costi delle parti progettuali lì svolte. Il tutto mediante competizione meritocratica. (F: E. Cattaneo, Il Messaggero 11.11.19)


LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE

ISTRUZIONE TERZIARIA IN EDUCATION AT A GLANCE 2019 DELL’OCSE
Education at a Glance 2019 dell’OCSE conferma che in tutti i Paesi conseguire una laurea:
(1) aumenta la probabilità di trovare un lavoro: nel 2018 il tasso di occupazione (calcolato sulla popolazione da 25 a 64 anni) dei laureati è stato in tutta l’area Ocse di 9 punti superiore a quello dei diplomati, e in Italia di 10 punti superiore; (2) assicura redditi decisamente più elevati: un laureato guadagna – sempre nella media dei paesi Ocse – il 57% in più di un diplomato; per l’Italia il premio è sempre consistente, ma si ferma al 39% in più; (3) un titolo terziario rafforza la resilienza, ossia la capacità di ritrovare il lavoro se lo si è perso.
Investire in istruzione superiore si conferma un buon affare tanto per gli individui, quanto per la collettività.
I dati che descrivono la scena internazionale confermano due “anomalie” italiane. La prima riguarda l’esiguità delle risorse investite nell’università dal nostro Paese: nel 2016 vi abbiamo destinato solo lo 0,89% del nostro Pil, decisamente meno della media Ocse (1,48 per cento, si veda la Figura 1). Da notare che dal 2010 la quota è addirittura diminuita (era lo 0,99 per cento), con una contrazione che riguarda esclusivamente le risorse pubbliche, scese da 0,76 a 0,57%, mentre è cresciuto lo sforzo degli attori privati (famiglie), salito da 0,23 a 0,32%.
Considerata tanta parsimonia, non sorprende che l’Italia sia oggi tra i paesi con la popolazione adulta meno istruita (si veda la Figura 2): tra i 25-34enni solo il 28 per cento è in possesso di un titolo terziario, mentre la media Ocse è pari al 47 per cento. Le quote del 2011, rispettivamente del 21 e 39 per cento, testimoniano la faticosa rincorsa italiana. La seconda anomalia dell’Italia segnalata da Education at a Glance è l’assenza di titoli terziari brevi (biennali), piuttosto diffusi all’estero (ancora figura 2), in parte compensati dallo sbilanciamento sui laureati magistrali, da noi persino più numerosi dei triennali. (F: A. Gavosto e S. Molina, lavoceinfo 27-09-19)

L’OBIETTIVO 4 DELL’AGENDA 2030 (“ISTRUZIONE DI QUALITÀ”)

Il tema dell’istruzione di qualità, affrontato da Education at a Glance 2019, rinvia all’Obiettivo 4 dell’Agenda globale 2030 (“Istruzione di qualità”). Gli obiettivi dello sviluppo sostenibile (SDGs = Sustainable Development Goals) varati nel 2015 dalle Nazioni Unite e sottoscritti dai governi dei 193 paesi membri stanno suscitando molto interesse e non stupisce che anche l’Ocse si ispiri agli Sdgs per la sua raccolta di dati statistici sull’istruzione.
Per quanto concerne l’Italia – dove va segnalato l’impegno dell’Istat nella realizzazione del Rapporto SDGs 2019. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia (https://www.istat.it/it/files//2019/04/SDGs_2019.pdf ) – possiamo dire in estrema sintesi che partiamo bene, ma finiamo maluccio: siamo infatti tra i Paesi più attenti all’educazione pre-scolastica, con ottime scuole dell’infanzia e tassi di iscrizione da 3 a 5 anni quasi universali, seppur in lieve riduzione negli ultimi anni. Con l’avanzare delle età non riusciamo però a mantenere questi risultati: già a 15 anni i nostri studenti mostrano apprendimenti sistematicamente inferiori alla media Ocse. Delle difficoltà a livello terziario già si è detto (vedi Nota Istruzione terziaria in Education at a glance 2019 dell’OCSE), ed è soprattutto nell’istruzione degli adulti che risultiamo del tutto latitanti: una carenza destinata sempre più a farsi sentire in un Paese che invecchia rapidamente. (F: A. Gavosto e S. Molina, lavoceinfo 27-09-19)

IL RAPPORTO COSTI/BENEFICI DELLA LAUREA
Il report 2019 Education at a glance dell’Ocse dedica più di un passaggio al ritorno economico della laurea. Sia nella scheda Paese dedicata all’Italia, sia nell’edizione completa dello studio. Che laurearsi convenga è fuori di dubbio. Se non altro perché gli adulti con un’istruzione terziaria guadagnano il 39% in più rispetto ai diplomati. Ma se rapportiamo questo dato alla media Ocse (57%) iniziano i problemi. Che proseguono se restringiamo l’analisi alla classe d’età 25-34 anni. Qui il vantaggio in termini di reddito assicurato dalla laurea scende al 19% contro il 38% degli altri Stati. Con l’aggravante del gender gap che ci trasciniamo da anni - da noi le donne guadagnano in media il 30% in meno rispetto agli uomini (mentre la media Ocse è del 25%) - e che è ancora più pesante per le giovani generazioni: la differenza retributiva rispetto ai loro coetanei maschi è del 26% per le 55-64enni e sale al 36% per le 35-44enni.
Il quadro non muta se ci spostiamo ad analizzare il rapporto costi/benefici garantito dall’avere in tasca un titolo di studio più elevato. Se è vero che il costo della laurea nel nostro Paese resta tutto sommato contenuto rispetto a quello del diploma, visto che si aggira sui 20.900 dollari aggiuntivi per le donne (tra costi dei corsi e mancato guadagno per aver scelto di non lavorare nel frattempo) e sui 28.600 per gli uomini, è altrettanto vero che il rendimento finanziario associato all’appellativo di “dottore” è sua volta inferiore rispetto agli altri Paesi Ocse. Complice il nostro cuneo fiscale elevato. Partendo da un reddito lordo al termine dell’intera carriera lavorativa che l’Ocse stima in 436.700 dollari lordi in più rispetto ai diplomati (300.700 per le donne) e sottraendo il prelievo tributario e contributivo si arriva infatti a un guadagno netto di 190.600 dollari per un laureato e di 154.200 per una laureata, sempre rispetto al diploma. Numeri che ci collocano al quartultimo posto totale, davanti a Belgio, Lettonia ed Estonia. (F: E. Bruno, Sole Scuola24 16-09-19)

LAUREATI E DIPLOMATI. I GUADAGNI SECONDO I DATI DELL’UNIVERSITY REPORT 2018, STILATO DALL’OSSERVATORIO JOB PRICING, E DELL’EDUCATION AT A GLANCE 2019 DELL’OCSE
Secondo il report OCSE gli adulti laureati italiani guadagnano il 39% in più rispetto ai coetanei con il diploma. Ma l’analisi sulle fasce d’età più giovani vede i 25-34enni avere un guadagno superiore solo del 19% contro la media OCSE del 38%. L’University Report 2018 mette in luce una differenza di 11.900 euro lordi l’anno (che salgono a 13.000 se si considerano i premi variabili) tra lo stipendio percepito da laureati e diplomati. Secondo l’OCSE il nostro Paese, tra quelli sviluppati, è quello che meno garantisce un’occupazione dopo il percorso di studi. Basti pensare che il tasso di occupazione dei giovani laureati italiani è del 64%, in linea se non inferiore con quello dei diplomati, 68%. Per quanto riguarda la laurea, ci sono circa 11mila euro l’anno di differenza tra lo stipendio di un diplomato e quello di un laureato magistrale, mentre secondo l’University Report del 2018 un diplomato ha uno stipendio, seppur per una piccola parte, superiore a quello di un laureato triennale.
L’University Payback Index, considerando i costi sostenuti negli anni di studio e il mancato introito che ne deriva, stima che in media per recuperare i guadagni mancati i laureati impieghino dai 13 ai 20 anni. Secondo l’OCSE nei primi 24 anni un laureato guadagna solo il 10% in più rispetto a chi ha completato la scuola dell’obbligo, mentre nel finale di carriera si arriva anche al 70%. La laurea infatti offre maggiori possibilità di accesso ai ruoli apicali di una professione: ad esempio, il 25% di chi ha conseguito la laurea (rispetto al 5% dei diplomati) diventa quadro o dirigente. Percentuale che sale al 50% per chi è in possesso di un dottorato di ricerca.
Infine, con quali Università è più alto lo stipendio annuale post laurea?. Ecco la classifica dell’University Report 2018. Top Ten: Bocconi 35.000 €, PoliMi 33.000 €, seguono Cattolica Sacro Cuore, Luiss G. Carli, PoliTo, UniGe, PoliMarche, Tor Vergata, UniPi, UniPr.
(F: Redazione Lavoro, Money 19-09-19)

STARTING SALARIES REPORT. ITALIA, SPAGNA E PORTOGALLO IN CODA PER LO STIPENDIO DEI NEOLAUREATI
“Starting Salaries Report” della società di consulenza Willis Towers Watson ha condotto un’indagine su 5.856 organizzazioni operanti in 31 Paesi. Nei 23 Paesi europei analizzati I neolaureati che guadagnano di più sono gli svizzeri, con stipendio iniziale intorno ai 73 mila euro (ma bisogna precisare che le cifre in classifica non sono rapportate al costo della vita). Seguono i giovani di Danimarca (59 mila euro), Norvegia (quasi 52 mila euro) e Germania (49 mila euro).
In Italia lo stipendio d’ingresso nel mondo del lavoro è di circa 28.800 euro, inferiore non solo ai Paesi menzionati in precedenza (a cui aggiungiamo la Francia con 36 mila euro), ma anche a nazioni che non ci saremmo aspettati come la Slovenia, dove la retribuzione è di circa 32 mila euro. Al di sotto del nostro Paese, invece, si posiziona di poco la Spagna, con 28.300 euro, seguita dal Portogallo (20.900 euro).
In Italia la laurea vale un incremento salariale del 12%, mentre il titolo del dottorato solo il 13%. Se si pensa che in Germania i laureati guadagnano il 23% in più dei diplomati, e in Francia chi consegue il dottorato arriva a percepire anche il 43% in più di un laureato. Dopo due anni di lavoro, un laureato italiano vede aumentare la sua retribuzione fissa di circa il 10%, rispetto al 22% di Francia e Germania e al 25% di Spagna e Regno Unito: una progressione che un neolaureato italiano riesce a raggiungere dopo 4 o 5 anni dall’ingresso nel mondo del lavoro. (F: quifinanza.it 06-11-19)

SKILL SHORTAGE. DIFFICOLTÀ DI REPERIMENTO DELLE PERSONE ADATTE PER CIRCA UN QUARTO DELLE FIGURE PROFESSIONALI RiCERCATE
Secondo l’Indagine Excelsior curata da Unioncamere e Anpal, 2019, le imprese italiane denunciano difficoltà di reperimento delle persone adatte per circa un quarto delle figure professionali che cercano. 1.197.696 posti di lavoro che restano scoperti per difficoltà di reperire la persona adatta. Solo un diplomato su tre delle scuole tecniche dopo due anni fa un lavoro coerente col diploma. Occorrerebbe un monitoraggio permanente e capillare del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, realizzabile con − anagrafe della formazione professionale (come l’anagrafe MIUR) − incrocio dei dati con le Comunicazioni Obbligatorie al ministero del Lavoro − pubblicazione del dato relativo a ciascun corso e ciascun centro di formazione professionale (CFP). Perché finora in Italia questo sistema non è stato attivato dallo Stato? Perché il sistema attuale privilegia l'interesse degli addetti, che non amano essere posti sotto stress, rispetto a quello degli utenti … mentre il sistema nuovo, fornendo un criterio oggettivo per la distribuzione dei finanziamenti, toglierebbe agli assessori regionali competenti l’amplissima discrezionalità che oggi possono esercitare (F: pietroichino.it 23-09-19)

IL LICEO BIOMEDICO. IL 78% DEGLI ISCRITTI HA PASSATO IL TEST D'INGRESSO A MEDICINA NEL 2019
Il liceo biomedico - o liceo a curvatura biomedica - è un liceo classico o scientifico sperimentale, nel quale sono presenti 50 ore in più di biologia e laboratori nel triennio. Scrive il Corriere che i numeri - in termini di scuole e studenti iscritti - sono aumentati sensibilmente: da un anno all’altro, sono raddoppiate le scuole che hanno attivato il percorso: erano 63 nel 2018/2019, ora sono 135, selezionate tra 400 candidature. 2100 formatori impegnati, di cui 1500 medici. I dati, decisamente incoraggianti, sono stati presentati nel corso di due incontri organizzati al Miur, il 30 settembre e il 7 ottobre, tra presidi e rappresentanti provinciali dell’Ordine dei medici. I numeri sono ancora più incoraggianti se guardiamo alla preparazione che il liceo biomedico fornisce a chi sceglie di frequentarlo per iscriversi successivamente a Medicina: il 78% degli iscritti a un liceo biomedico ha passato il test d'ingresso nel 2019. Un risultato più che incoraggiante, anche se la percentuale di abbandono è alta: il 20% degli studenti cambia infatti indirizzo prima di terminare il triennio.
Un aspetto comunque positivo per l'ideatrice del progetto, Giuseppina Princi, che fa notare come anche l'abbandono sia un indice del buon funzionamento dell'indirizzo: chi abbandona capisce prima di tentare il test di non essere portato per la facoltà di Medicina e sceglie di non proseguire nel percorso. Il liceo biomedico, dunque, ha anche un'importante funzione di orientamento universitario. (F: V. Adriani, www.studenti.it 09-10-19)

CONDIZIONE OCCUPAZIONALE DEI LAUREATI
I laureati lavorano di più dei diplomati, 78,7% contro 65,7%, guadagnando anche il 38,5% in più.
Inoltre secondo i dati di AlmaLaurea tra i laureati del 2013 fotografati a 5 anni dal titolo, quelli meglio occupati sono i laureati in ingegneria, economia-statistica e professioni sanitarie; tutti sopra all’89%. I laureati in discipline giuridiche, letterarie, psicologiche hanno, invece, una percentuale di occupazione al di sotto dell’80%. Infine se analizziamo i laureati magistrali a ciclo unico troviamo in testa i medici con il 92,4%. Altro dato riguarda l’esperienza lavorativa durante gli studi. Svolgere un'attività lavorativa, anche occasionale, durante l’università aumenta infatti, secondo AlmaLaurea, le probabilità di trovare lavoro del 39%. (11-10-19)

LAUREATI E DIPLOMATI. QUANTI LAVORANO A 3 ANNI DAL CONSEGUIMENTO DEL TITOLO. CONFRONTO CON L’EUROPA
Secondo l’ufficio statistico europeo (EUROSTAT) nel 2018 in Italia il 59,8% dei laureati lavora a tre anni dal conseguimento del titolo di studio. Si tratta quindi di quasi sei laureati su 10, troppo poco rispetto alla media europea. Infatti, nonostante la percentuale dei laureati italiani che lavorano sia aumentata del 10% rispetto al 2014, tuttavia la media europea che si attesta invece all’83,5% rimane lontanissima. Proprio per questo quando si analizza il connubio laurea-lavoro, l’Italia si posiziona al penultimo posto in Europa.
In base ai dati aggiornati dall’Eurostat, il 40,2% dei laureati italiani non riesce a trovare lavoro nei tre anni che seguono il conseguimento del titolo di studio. Un altro dato molto importante che penalizza la percentuale italiana riguarda quello delle quattro aree dell’Unione Europea dove i laureati che lavorano sono meno di un terzo. Infatti da quanto analizzato da Eurostat, tre di queste aree sono tre regioni del Sud Italia: Sicilia, Basilicata e Calabria. Nella prima i laureati che lavorano si attestano al 27%, nelle altre due al 31%. La quarta area è invece una regione della Grecia centrale: Sterea Ellada. Qui la percentuale dei laureati che lavorano si aggira intorno al 32%.
Secondo i dati dell’Eurostat nel Bel Paese la percentuale dei diplomati che lavora a tre anni dalla maturità si attesta a circa il 10% in meno rispetto a quella dei laureati, ossia 48,9%.
Anche in questo caso anche se la percentuale risulta in crescita del 12% rispetto a quella che del 2014, tuttavia il divario con gli altri Paesi europei rimane abbastanza importante. In UE infatti la percentuale di diplomati che lavorano a tre anni dal conseguimento del titolo si attesta al 76,5%.
(F: M. Carrà, Money 18.11.19)

SPECIALIZZAZIONE MEDICINA: VIA LIBERA ALLA RICONGIUNZIONE DEI CONTRIBUTI PER LA PENSIONE
In questi giorni è arrivata un’importante sentenza - la n.ro 26.039 del 15 ottobre 2019 - della Corte di Cassazione che potrebbe avere delle ripercussioni sulla pensione futura degli specializzandi in medicina. Nel dettaglio, la Corte di Cassazione ha autorizzato la ricongiunzione a titolo oneroso (per i liberi professionisti) dei contributi previdenziali versati nella Gestione Separata Inps verso la propria Cassa professionale, ai fini del conseguimento del diritto ad un’unica pensione.
Una novità che - come spiegato da Enpam (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Medici) - permetterà agli specializzandi di farsi riconoscere presso la rispettiva Cassa di previdenza i contributi versati negli anni di frequenza di una scuola di specializzazione, ossia quei contributi prelevati direttamente sulle borse di studio. (F: A. Cosenza, Wired 26-10-19)

RAPPORTO SVIMEZ 2019 SUL MEZZOGIORNO. 21.970 LAUREATI EMIGRATI DAL SUD TRA IL 2002 E IL 2017
Dal Sud fuggono giovani, molti laureati . Giù investimenti pubblici. Male agricoltura, bene il terziario, l’industria stenta. Scarsi i servizi, specialmente sanità e scuola. Il Reddito di cittadinanza ha impatto nullo sull’occupazione.
La nuova migrazione riguarda molti laureati, e più in generale giovani con elevati livelli di istruzione, molti dei quali non tornano più. Le persone che sono emigrate dal Mezzogiorno sono state oltre 2 milioni nel periodo compreso tra il 2002 e il 2017, di cui 132.187 nel solo 2017. Di queste ultime 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33,0% laureati, pari a 21.970). Solo poco più di 3 diplomati e 4 laureati su 10 sono occupati da uno a tre anni dopo aver conseguito il titolo. Il reddito di cittadinanza «invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro». (F: Rapp. Svimez,  IlSole24Ore 05-11-19)

IN ARRIVO NUOVE LAUREE TRIENNALI PROFESSIONALIZZANTI
In via sperimentale sta partendo una nuova laurea triennale professionalizzante, che avrà lo scopo di “laureare” gli studenti diplomati degli istituti tecnici, si tratta di uno step in più rispetto agli attuali IFTS (Istruzione e formazione tecnica superiore) che tuttavia rimarranno un altro canale “professionalizzante” post-diploma. Queste nuove lauree permetteranno a figure come quella del geometra, del tecnico informatico o tecnici meccanici di conseguire la laurea nello loro stesso ambito che fino ad oggi prevedeva solo il diploma. Al momento (04.11.19) non si conoscono tutti i dettagli di questi nuovi corsi di laurea, secondo quanto si apprende i corsi si potrebbero svolgere anche negli stessi istituti tecnici, ma su questo al momento non c’è ancora nulla di sicuro, anche perché tra le ipotesi ci sarebbe anche quella di individuare in provincia una scuola polo dove saranno attivati i corsi di laurea professionalizzanti triennali. Nelle categorie interessate da questi nuovi corsi di laurea potrebbero essere interessati anche gli ITP (Insegnanti tecnico-pratici) che fino ad oggi hanno potuto conseguire solo il diploma. Al momento non è ancora chiaro se tale laurea triennale poi darà accesso a quella specialistica di due anni.
(F: https://www.miuristruzione.it/ 04-11-19)


RECLUTAMENTO

RECLUTAMENTO. ASSEGNAZIONI DI OLTRE 2.400 PUNTI ORGANICO 2019 IN DUE DM
Dal 1° dicembre finirà lo stop ai concorsi disposto dalla scorsa legge di bilancio 2019 e gli atenei potranno cominciare a utilizzare i nuovi “punti organico” (PO). Assegnati oltre 2.400 PO 2019 in 2 provvedimenti. Il 1° DM distribuisce 2.223 "spazi di flessibilità" ordinari sulla base di 2 parametri (vedi sotto 1°). Il 2° DM ne assegna altri 221 sulla base di criteri diversi (Vedi sotto 2°):
1° - Gli atenei con un rapporto Spesa di personale/Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) almeno dell'80% o con un indicatore di sostenibilità finanziaria inferiore a 1 potranno fermarsi al 50% delle uscite 2018 mentre quelli al di sotto di tale soglia potranno arrivare anche al 100% delle cessazioni
dell'anno prima.
2° - I primi 26 punti organico saranno ripartiti in parti eguali (0,50 ciascuna) tra tutte le università con un rapporto spesa di Personale/Ffo inferiore al 75% e un indicatore di sostenibilità finanziaria maggiore di 1,10; gli altri 195 andranno alle accademie in base al rapporto studenti/docenti, alle borse di dottorato e alla virtuosità finanziaria.
In valore assoluto i margini di manovra maggiori li avranno Sapienza di Roma (con 187,95 tra punti organico ordinari e aggiuntivi), l’Alma Mater di Bologna (153,82) e la Federico II di Napoli (144,92). Laddove quelli minori spetteranno alle università del Molise e di Cassino: unica insieme a Catania ad aver sforato l’80% per l’indicatore delle spese di personale. Se si ragiona in percentuale l’aumento del turnover maggiore rispetto al 2018 sarà più sensibile per la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (+ 477% sul 2018), la Sissa di Trieste (+342%) e il Politecnico di Milano (+262%). Premiate, tutte e tre, dall’ampliamento dei parametri meritocratici scelti dal Miur. (F: E. Bruno, IlSole24Ore 14-10-19)

RECLUTAMENTO DEI NUOVI PROFESSORI. PIÙ OMBRE CHE LUCI
Secondo l’opinione di un professore ordinario di diritto processuale penale il nuovo modello di reclutamento che apparentemente sembrava dover superare le perplessità legate alle valutazioni comparative utilizzate per il reclutamento dei professori anteriormente alla legge Gelmini, in realtà ha dato luogo a non pochi problemi che hanno provocato l’intervento della magistratura amministrativa e penale, sancendo il fallimento dell’abilitazione scientifica nazionale.
Le ragioni vanno ricercate nelle differenti interpretazioni che le commissioni giudicatrici offrono al modello legislativo. Infatti, benché si sia cercato di arginare la discrezionalità dei commissari ancorando alla sussistenza di determinati presupposti, quali il raggiungimento delle soglie fissate in ordine alla produzione scientifica e su determinati titoli (partecipazione a comitati editoriali, incarichi di insegnamento, attrazione di fondi universitari, etc.), che già di per sé nell’ottica del legislatore dovrebbero costituire parametro obbiettivo di qualità, talune commissioni hanno privilegiato esclusivamente i requisiti soggettivi del metodo e della qualità dei risultati della ricerca, il che secondo la magistratura inquirente nasconde occhiuti margini di discrezionalità difficilmente sindacabili per via amministrativa, se non sul piano della motivazione illogica e apparente.
Nella prospettiva di alcuni pubblici ministeri, c’è il rischio che la (apparentemente) sterile attribuzione dell’abilitazione celi talvolta disegni ben più “lungimiranti”, quali conferire il “lasciapassare” a un solo candidato dei potenziali concorrenti strutturati all’interno della stessa università nel medesimo settore scientifico ovvero orientati a partecipare a procedure comparative bandite in altri atenei. (Fonte: A. Gaito, IlSole24Ore 14-09-19)

VARIAZIONI INTERVENUTE NEL PERIODO 2009-2018 ALL’INTERNO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO NELLA CAPACITÀ DI RECLUTARE NUOVO PERSONALE
Nel febbraio 2019 erano in ruolo quasi 54.400 docenti: di questi però solo poco più di 50.000 sono stabili o hanno una prospettiva di stabilità (circa 13.200 PO, 20.900 PA, 12.500 RTI e 3.700 RTDb). Il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario era pari a circa 67.300 unità nel 2008, mentre al 31 dicembre 2017 il personale tecnico amministrativo è quantificabile in circa 53.400 dipendenti.
La perdita complessiva di capacità di reclutamento del sistema universitario dal 2009 è stimabile in 9000 punti organico, al lordo di interventi straordinari. Questa riduzione è stata prodotta anche da vincoli al reclutamento rispetto alle cessazioni dal servizio. Dal 2012, in particolare, queste limitazioni sono diventate di sistema: cioè, la possibilità di nuove assunzioni è gestita centralmente, redistribuendola tra gli Atenei in modo diversificato secondo un principio premiale. I parametri di “virtuosità” utilizzati per questa redistribuzione sono in pratica una combinazione tra entrate complessive, spese per il personale, fitti passivi e oneri di ammortamento. Ad esser premiati, cioè, sono gli Atenei che hanno avuto la possibilità di incrementare le entrate, dalla contribuzione (le tasse degli studenti) o da fondazioni ed enti pubblici del territorio. (Fonte: FlcCgil 21-03-19)

RECLUTAMENTO. GLI ATENEI DEL SUD PERDONO PUNTI ORGANICO
Svimez, l'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, analizza il decreto che l'8 agosto scorso ha dato le risorse a ognuno dei 65 atenei pubblici soffermandosi sull'allegato "punti organico" (PO), termine decisivo per garantire in ateneo didattica e ricerca. Bene, la tabella del Miur indica - per segnalare i poli estremi - da una parte due atenei come Cassino e Catania, che nel 2019 hanno ottenuto "0" PO aggiuntivi e, dall'altra, l'Università di Bologna, a quota 75,69 "PO aggiuntivi" e il Politecnico di Milano, a 69,54. Ecco, Cassino e Catania possono assumere un nuovo professore ordinario ogni due che vanno in pensione (si sono guadagnati un "regime assunzionale" al 50%), la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa quasi dieci docenti per ogni pensionato, la Sissa di Trieste sette, il Politecnico di Milano cinque (così come l'Università di Bergamo).
Gli atenei di Cassino e Catania si sono fatti male da soli. Il primo all'inizio del 2017 si è accorto di un buco di bilancio da 44 milioni di euro per contributi previdenziali non versati. Il secondo - Catania - entra ed esce da inchieste giudiziarie che ne hanno certificato le spese ardite. Al di là di questi casi limite, si nota come siano "al di sotto del 100%" (un professore va in pensione e uno entra) perlopiù università del Centro-Sud: il Salento ha il turnover al 64%, Messina al 65%, Palermo e la Seconda Università di Napoli al 71%, Perugia al 72%, il Molise e Roma Tor Vergata al 73%, la Calabria al 75%, la Tuscia e la Basilicata al 76% e Macerata all'81%. In questa collocazione penalizzante rientrano solo due università del Centro-Nord: Siena, terzultima con il 58% per cento di ricambio possibile in cattedra, e Genova (75%). (F: C. Zunino, Rep Scuola 11-101.9)


RICERCA

LA PERFORMANCE DELLA RICERCA SCIENTIFICA IN ITALIA
L'International Comparative Performance of the UK Research Base 2013, il report realizzato dalla società Elsevier su richiesta del Department of Business, Innovation and Skills del governo britannico, è un documento, che si concentra su alcuni aspetti della qualità della ricerca scientifica, e si basa sui dati forniti da tre diversi soggetti: l'OCSE, per quanto riguarda i dati sulle dimensioni degli investimenti in ricerca e sviluppo; il database Scopus, per quanto concerne i dati su articoli e citazioni; e infine la World Intellectual Property Organization (WIPO), l'agenzia delle Nazioni Unite che raccoglie i dati su proprietà intellettuale e brevetti. Pur focalizzandosi sulla situazione del Regno Unito, il report fornisce numerosi dati comparativi anche su alcuni dei paesi più industrializzati del mondo, fra cui anche l'Italia. Il primo dato che sorprende è quello sul Field Weighted Citation Impact (FWCI) che indica la qualità degli articoli accademici sulla base del numero di citazioni ottenute dagli articoli dei ricercatori di un dato paese, rapportati al numero di citazioni medie in ognuno dei settori scientifico-disciplinari coperti da questi articoli. Sul FWCI, l'Italia si trova in terza posizione. I settori in cui gli articoli dei ricercatori italiani sono citati in misura maggiore, spesso con livelli molto più alti rispetto a quelli degli altri paesi, sono l'ingegneria (con un FWCI addirittura doppio rispetto alla media mondiale), l'economia, le scienze cliniche e quelle ambientali. (F: sardegnaricerche 28-10-19)

BIBLIOMETRIA. VANTAGGI E SVANTAGGI
Le Procedure di Valutazione della ricerca correnti basate sulla bibliometria comportano due vantaggi e due svantaggi. Vantaggi: (1) non si perde tempo a leggere i lavori scientifici da valutare, tanto ci pensano i numerini; (2) si evita di assumere una responsabilità personale (soggettiva), perché i numerini sono “obiettivi”. Svantaggi: (1) per esser sicuri di esser citati, molti evitano le ricerche d’avanguardia, che comportano un alto rischio; trionfa così la ricerca main stream, e con essa la morte dell’immaginazione scientifica e dell’innovazione; (2) la scienza, la probità scientifica, il senso critico vanno a farsi friggere, e si dedicano al frivolo esercizio della Valutazione energie e tempo che dovrebbero essere investiti in insegnamento e in ricerca.
Lo svizzero Richard R. Ernst, premio Nobel per la chimica, ha scritto: «Lasciatemi esprimere un desiderio supremo, che coltivo da tempo: spedire tutte le procedure bibliometriche e i loro diligenti servitori nel più oscuro e onnivoro buco nero di tutto l’universo, onde liberare per sempre il mondo accademico da questa pestilenza. L’alternativa c’è: molto semplicemente, cominciare a leggere i lavori scientifici anziché valutarli solo contando le citazioni». (F: S. Settis, Newsletter Roars Review 28-10-19)

L’AGENZIA NAZIONALE DELLA RICERCA (ANR)
L’annuncio della istituzione della Agenzia Nazionale della Ricerca (ANR) è stato fatto dal PdC Giuseppe Conte il 15 ottobre. Per riprendere le testuali parole di Conte: In manovra di bilancio verrà inserita la Agenzia Nazionale per la ricerca. Avrà una funzione importantissima, di coordinare tutte le attività di ricerca e innovazione in Italia, quindi dei poli universitari, dei centri pubblici di ricerca e degli enti privati di ricerca. Attraverso l’Agenzia noi potenzieremo il sistema della ricerca, ma non tanto e solo in termini di qualche finanziamento ulteriore che porteremo a beneficio del mondo della ricerca, quanto in termini di strumento per fare rete, per fare sistema. Il Gruppo 2003 per la ricerca, che dell’Agenzia è il padrino ideale, ha sempre insistito che sia un’agenzia di finanziamento con un budget autonomo, indipendente dalla politica, gestita da manager della ricerca e consiglieri scientifici e possibilmente trasversale ai vari ministeri che erogano fondi per la ricerca. Come ha spiegato Silvio Garattini nel convegno del Gruppo 2003 nel 2016, idealmente tutte le risorse per il finanziamento competitivo della ricerca dovrebbero confluire in tale agenzia, che dovrebbe essere divisa per dipartimenti (non disciplinari ma tematici) e tradurre in bandi e allocazioni mirate le linee guida programmatiche elaborate dalla politica. A queste funzioni dovrebbero aggiungersi, come per le agenzie prima viste, i rapporti internazionali e il monitoraggio dei risultati. (F: F. Carra, scienzainrete 23-10-19)

NELLA FUTURA AGENZIA NAZIONALE PER LA RICERCA (ANR) IL DIRETTORE E CINQUE COMPONENTI SU OTTO DEL CONSIGLIO DIRETTIVO SARANNO DI NOMINA POLITICA
Il Direttore e cinque componenti su otto del consiglio direttivo della futura agenzia nazionale per la ricerca (ANR) saranno di nomina politica, secondo la più recente bozza del “Disegno di legge di bilancio per il 2020″, che all’Art. 28 ((Istituzione dell’Agenzia nazionale per la ricerca e altre misure di sostegno alla ricerca e all’istruzione) recita: «Il direttore è scelto dal Presidente del Consiglio dei ministri. Il comitato direttivo è composto da otto membri scelti: due dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, uno dal Ministro per lo Sviluppo Economico, uno dal Ministro della Salute, uno dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, uno dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, uno dal Consiglio Universitario Nazionale, uno dalla Consulta dei Presidenti degli enti pubblici di ricerca.» Per capire cosa possa significare per la libertà di ricerca un’agenzia con due terzi dei vertici direttamente nominati dal governo, basterà pensare a temi di ricerca nel mirino della politica, come quelli di un convegno che l’Università di Verona aveva sospeso su pressione dell’estrema destra: Migrazioni, diritti umani, antisemitismo, storia contemporanea, studi socio-economici su povertà e disoccupazione, questione meridionale, diritto costituzionale, cambiamenti climatici, inquinamento, vaccini, bioetica: su questi e altri argomenti saranno dei veri e propri “commissari politici” a decidere se si può fare ricerca e chi può farla. (F: Red.ne Roars 02-11-19)

I PARAMETRI BIBLIOMETRICI SONO UNO STRUMENTO DI GIUDIZIO CHE NON PUÒ SOSTITUIRSI ALLA VALUTAZIONE. “INWARDNESS” COME “ISTINTO DI SOPRAVVIVENZA”   
Da sempre la comunità scientifica ha individuato gli effetti collaterali causati da un uso brutale dei criteri bibliometrici: una crescita artificiale del numero di pubblicazioni (Publish or perish...), strategie citazionali più o meno lecite per incrementare il proprio ranking, eccetera. Nonostante questi avvertimenti l'Italia, a partire dalla riforma universitaria del 2010, ha esteso il peso di questi criteri attraverso la creazione dell'ANVUR, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. Agli occhi di alcuni un Moloch che decide in modo acefalo chi è meritevole e chi no di spartirsi le (scarse) risorse a disposizione.
Due articoli pubblicati su riviste scientifiche hanno riacceso il dibattito nostrano portando nuovi elementi di discussione. Alberto Baccini, Giuseppe De Nicolao ed Eugenio Petrovich hanno mostrato che l'introduzione di criteri strettamente bibliografici per valutare la ricerca induce la comunità scientifica a costituire in modo spontaneo club più o meno numerosi propensi a citarsi vicendevolmente. La metrica che misura questa attitudine è chiamata “Inwardness”. Viste le scarsissime risorse in gioco possiamo anche chiamarla “istinto di sopravvivenza”. Questo ha determinato maggiori punteggi negli indici bibliometrici che hanno fatto compiere all’Italia un balzo in avanti nelle classifiche internazionali. La ricerca italiana non è diventata di colpo più efficiente né i ricercatori italiani sono degli astuti vanesi, come ipotizza sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella che ha un po’ semplificato la lettura dello studio (I professori si citano da soli. Così si gonfia la ricerca). Molti di loro hanno speso ore di vita e risorse per produrre una buona ricerca: saputo che sarebbero stati valutati in modo deterministico attraverso un singolo parametro bibliometrico, hanno adottato una mera strategia di sopravvivenza. È bene ricordare che anche negli altri paesi, e per ragioni analoghe, si ha una Inwardness elevata.
Il biostatistico e condirettore del Meta-Research Innovation Center dell’Università di Stanford John Ioannidis su Plos Biology si spinge ad affermare che l’effetto inwardness può essere dovuto a un numero molto limitato di ricercatori che si citano a vicenda, e comunque non si può escludere che il risultato sia dovuto al caso più che alle regole introdotte dall’ANVUR. Come ricorda Alberto Mantovani, tra i ricercatori di punta del nostro paese, sul Corriere della Sera, «in generale i ranking sono sempre perfettibili, ma soprattutto i parametri bibliometrici su cui si basano devono essere considerati per quello che sono: uno strumento di giudizio. Che come tale non può sostituirsi alla valutazione». (F. S. Cima, scienzainrete 24-09-19)

DOCUMENTO CRITICO SULLA NUOVA VERSIONE DEL “REGOLAMENTO PER LA CLASSIFICAZIONE DELLE RIVISTE NELLE AREE NON BIBLIOMETRICHE”
L’ANVUR ha approvato una nuova versione del “Regolamento per la classificazione delle riviste nelle aree non bibliometriche”. Le versioni precedenti erano state oggetto di osservazioni critiche su molti aspetti. La versione attuale introduce una serie di modifiche minori, prevalentemente di tipo tecnico, che non investono in alcun modo le criticità da molte parti segnalate nella comunità scientifica e dallo stesso CUN. Nel Documento di CORIFI (Coordinamento Riviste Italiane di Filosofia) e CRIS (Coordinamento Riviste Italiane di Filosofia), assai critico, segnalato da Roars, in particolare si rileva :
1)    La valutazione delle riviste fa prevalente riferimento ad un sistema – la VQR – pensato per la valutazione di strutture.
2)    La valutazione tramite VQR si basa su dati in possesso della sola ANVUR e dunque non trasparenti e non verificabili.
3)    Si prevedono poteri di “ispezione” dell’ANVUR sullo svolgimento dell’attività di revisione, si prescrivono regole di pubblicazione (come la segnalazione di articoli non sottoposti a peer review), regole sulla composizione degli organi direttivi: tutto ciò rappresenta un massiccio intervento burocratico - amministrativo in una attività culturale protetta dall’art. 33 della Costituzione.
I firmatari di questo documento ribadiscono la preoccupazione per il meccanismo così messo in campo, privo di apprezzabile senso valutativo, e sottolineano la necessità urgente di un superamento della normativa di carattere regolamentare che produce alcune di queste storture, e in generale della definizione di procedure quantitative e meccaniche di valutazione delle riviste, che intervengono pesantemente nelle pratiche di produzione e diffusione del lavoro scientifico. (F: Red.ne Roars 11-10-19)

SPESA IN RICERCA DELLE IMPRESE
Come mostrato in diversi documenti e studi prodotti anche nell’ambito della stessa Commissione Europea, l’entità della spesa totale in ricerca effettuata dalle imprese di un paese (BERD, Business Enterprise Research and Development) deve essere letta in funzione della specializzazione settoriale del suo sistema produttivo, ovvero in relazione alla quota presente di settori ad alta o medio alta intensità tecnologica, la cui spesa in ricerca è tipicamente più elevata di quella effettuata in settori ad intensità tecnologica medio bassa. Questo spiega per buona parte perché la spesa in ricerca delle imprese dei paesi del Centro e Nord Europa sia sistematicamente più elevata di quella rilevata nei paesi della fascia Sud dell’Unione, Italia inclusa. Peraltro è chiaro come la minore presenza di settori ad elevata intensità tecnologica influenzi la componente pubblica della spesa in ricerca. E non potrebbe essere altrimenti. La spesa in ricerca complessiva di ciascun paese non può che essere calibrata sulla centralità che la produzione di nuove conoscenze riveste per il suo sviluppo, quale fattore imprescindibile della capacità di innovazione. Ma questa centralità è innanzitutto il frutto di precise scelte politiche di governi nazionali che puntino a creare e sostenere un sistema nazionale di ricerca e innovazione, alimentando tanto la base fondamentale delle conoscenze scientifiche, quanto l’espansione dell’attività economica in settori ad elevata intensità tecnologica. (F: D. Palma, Roars 18-09-19)
Grafico
Rapporto tra SPESA IN RICERCA DELLE IMPRESE (BERD) E VALORE AGGIUNTO INDUSTRIALE (%, ordine decrescente rispetto al 2016, ultimo anno disponibile. 2007 selezionato come anno pre-crisi, 2001 come anno precedente l’entrata in vigore dell’euro)
Fonte: Oecd, Main Science and technology indicators. Roars 18-09-19

VALUTARE LA QUALITÀ DELLA RICERCA SENZA INDICATORI NUMERICI
La qualità della ricerca non si può misurare con una manciata di indicatori numerici che spesso non hanno nulla a che vedere con essa. Molti studi non vedranno mai la luce perché i ricercatori sanno che non aumenteranno nell’immediato il numero di citazioni e l’Impact factor. Così i sistemi di valutazione fermano il cambiamento. In Economia, per dire, hanno portato all’impoverimento del dibattito scientifico e del pluralismo delle idee. In Italia sono stati cancellati i dottorati di ricerca in Storia del pensiero economico, settore cruciale per comprendere l’economia. Dal 2008 è in corso una protesta di studenti e accademici per il modo in cui vengono insegnate le scienze economiche. L’Italia è un esempio estremo, ma il problema è anche all’estero dove si valutano le ricerche guardando soprattutto alle riviste in cui sono pubblicate. James Heckman, Nobel per l’economia nel 2000, parla di “maledizione delle top-five”, delle cinque riviste americane considerate più importanti al mondo, sotto il controllo di gruppi ristretti di economisti e pochissime università. Pubblicare su quelle riviste assicura carriere e promozioni. Ma così le idee nuove non riescono a permeare il sistema. Cosa si dovrebbe fare? Per esempio lasciare che i ricercatori scelgano tre loro lavori scientifici da sottoporre alla lettura di una vasta coorte di docenti del dipartimento cui fanno domanda. Governi e loro agenzie dovrebbero smettere di occuparsi di valutare la ricerca. È meglio un sistema in cui ogni accademico giustifichi in modo trasparente i ricercatori a cui offre una posizione, piuttosto che nascondersi dietro indicatori bibliometrici usati, tra l’altro, anche dalla politica. Come copertura per escludere risultati scientifici e teorie che non piacciono a chi è al governo. Le scienze economiche sono particolarmente soggette a questo tipo di ingerenza. (F: L. Margottini, Roars 02-10-19)

VALUTARE RICERCA. IL CONTEGGIO FRAZIONATO NEI LAVORI CON AUTORI MULTIPLI
Da numerosi riferimenti in letteratura emerge come l’analisi bibliometrica non sia in grado di offrire una valida alternativa alla revisione dei pari. L’uso di indicatori bibliometrici sarebbe efficace per una valutazione su dipartimenti e atenei, ma del tutto inadeguata per la valutazione dei singoli ricercatori. L’Analisi bibliometrica è inadeguata per la valutazione dei singoli ricercatori perché quest’ultima deve comunque avvalersi di un giudizio formulato dalla comunità dei pari. Nella valutazione è rilevante il problema degli autori multipli e dell’apporto individuale nei lavori in coautoraggio (sempre più numerosi in campo scientifico a differenza del campo umanistico) Un approccio a questo problema è l’uso del fractional counting (FC) ossia la suddivisione delle citazioni per il numero degli autori: ad ognuno degli N autori è riconosciuta una responsabilità pari a 1/N (De Bellis). Ad esempio, nel caso di una pubblicazione con 10 autori e 40 citazioni a ciascun autore sono attribuite 4 citazioni, con un credito frazionario di 1/10=0,1066 (Galimberti; De Bellis). Il conteggio frazionario, risolve il problema dei conteggi inflazionati prodotti dal full counting, ma non quello dell’equa ripartizione della responsabilità intellettuale tra gli autori, in quanto li considera tutti uguali a prescindere dal loro effettivo contributo. (24-10-19)

INDICAZIONI POLITICHE PER COMPETERE NELLA RICERCA PUBBLICA E PRIVATA

Il paese, nella sua componente pubblica e privata, e cioè nelle università e negli enti pubblici di ricerca da un lato e nelle imprese dall’altro, si colloca nelle parti basse delle varie graduatorie internazionali e non dà segnali di voler fare decisivi passi avanti per poter partecipare con successo alla competizione internazionale che si fa sempre più aspra. Le indicazioni di politiche da mettere in campo, e dunque le richieste al governo per dare un segno di vera discontinuità, sono state molteplici: aumento delle risorse investite nelle strutture della conoscenza; superamento del precariato dei ricercatori e dei docenti nelle università e negli enti di ricerca; snellimento delle procedure burocratiche che frenano lo svolgimento delle attività; collegamento tra ricerca e innovazione mediante una politica industriale degna di questo nome. (F: M. Inguscio,  Relazione sulla ricerca e l’Innovazione in Italia 2019, Roars 25-10-19)

150 ANNI DI NATURE
"E' un bellissimo compleanno", ha detto all'ANSA Elena Cattaneo riferendosi ai 150 della celebre rivista scientifica Nature. Oggi Nature è una rivista forte e autorevole anche a livello sociale, se si considera il contribuito a dibattiti come quelli sul caso Stamina e sulla sperimentazione animale. "In Italia - rileva Cattaneo - avremmo bisogno di una voce simile: penso al brand Nature declinato, come è stato per Nature China, per dare autorevolezza alle discussioni nei quali naufraghiamo in Italia, come quelle sui vaccini. Quello di Nature è un brand indipendente, che può aiutare a livello sociale e politico a mettere in evidenza il dibattito pubblico in un Paese come l'Italia in cui si mettono sullo stesso piano santoni e scienziati".
Anche la dimensione internazionale di Nature potrebbe aiutare il nostro Paese: "Nature non è britannica, non è europea né americana e in più permette agli Stati emergenti di partecipare alla costruzione della scienza mondiale. Ci fa capire che il mondo si sta muovendo, mentre il nostro Paese continua a seguire logiche limitate di investimenti in ricerca". (F: E. Battifoglia, Ansa 04-11-19)

RICERCA. ASSUNZIONI E INVESTIMENTI IN CALO
Un articolo inserito nella bozza della Finanziaria impone un paletto rigido per le future assunzioni, vincolando le spese per il personale degli enti di ricerca al 70 per cento di quelle generali e non più all’80 per cento. Una misura questa che potrebbe costringere gli EPR  a rivedere le assunzioni di tanti precari e giovani ricercatori.
Il livello d’investimenti nella ricerca e nello sviluppo resta inferiore a quello degli altri Stati europei. A confermarlo c’è anche la Commissione europea. Nel documento per Paese relativa all’Italia si legge che, dall’inizio del 2000 gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo si sono fermati all’1,4 per cento, questo nel 2017, contro una media del 2,2 per cento della zona euro. Dall’inizio della crisi economica nel 2008, le risorse pubbliche hanno iniziato a contrarsi, con un picco drammatico nel 2014, dovuto anche al drastico calo del numero dei ricercatori e dei professori universitari. In Italia il numero di quanti hanno conseguito il dottorato di ricerca si è costantemente ridotto nel periodo 2007-2017 passando dai 10.052 del 2007 ai 7.776 del 2017. Dal 2008 al 2014 nel mondo della ricerca si è registrata una riduzione del personale del 20 per cento – pari a dieci mila persone in meno. Il peggior dato rispetto a ogni altro settore della pubblica amministrazione. (F: Linkiesta 07-11-19)


SISTEMA UNIVERSITARIO

UN’AUTONOMIA UNIVERSITARIA PER IL PRESTIGIO DELL’INSEGNAMENTO SUPERIORE
L'Università  è  oggi  soffocata  dalle  masse  dei  giovani  che  si  affollano  alle  sue  porte  senza  possedere attitudini e nemmeno aspirazioni alla preparazione scientifica o ad una reale elevazione morale e sociale, spinti soltanto dal proposito di conquistarsi in qualunque modo un titolo che apra la via ad uffici lucrosi. L'Università  non  si  salva  se  non  attraverso  un  radicale  rinnovamento  dei  suoi  ordinamenti,  capace  di  attuare una severa selezione ed un orientamento dei giovani. Tali nuovi ordinamenti dovranno essere così variamente  articolati  e  differenziati  da  preparare  i  giovani  meritevoli  e  capaci,  perché  forniti  delle necessarie  attitudini  e  perché  orientati,  avviandoli  mediante  una  specifica  formazione  verso  le singole attività professionali o verso le più alte mete della cultura. Ad un tale risultato non si arriverà mai se non si  metteranno  in  gioco  le  libere  iniziative  attraverso  una  completa  autonomia  di  governo  didattico  ed economico dei singoli Istituti; autonomia che sola può permettere agli Istituti stessi di darsi un particolare
e ben determinato carattere nella costituzione stessa del corpo insegnante e nella libera adozione di quegli ordinamenti  che,  caso  per  caso,  più  si  confanno  al  raggiungimento  dei  fini  che  i  singoli  istituti  si propongono, adeguando al programma i mezzi di cui essi dispongono.
L'autonomia,  se  reale  e  completa,  varrà  a  fissare  le  responsabilità  dei  corpi  insegnanti  e  a  restituire all'insegnamento superiore quel prestigio che esso ha ormai perduto. Allo Stato resterà il diritto di disciplinare l'esercizio delle professioni attraverso il conferimento dei relativi diplomi di abilitazione. E nell'esercizio di questo suo diritto avrà sempre modo di operare quel controllo
che deve garantire ogni cittadino e stimolare le Università nell'esplicazione delle loro libere attività. (F: G. Valditara, federalismi 27-09-19)

OFFERTA FORMATIVA UNIVERSITARIA 2019/20
L’offerta formativa universitaria è ormai vastissima con ben 4.854 lauree attive (+2% rispetto al 2018/19 in base ai dati raccolti da il Sole 24 Ore) di cui 2.293 di primo livello, 2.221 di secondo livello e 340 a ciclo unico. Aumentano, inoltre, i corsi in inglese e quelli a numero programmato che ormai rappresentano il 44% del totale dei corsi di laurea. Per quanto riguarda le varie aree, i corsi più numerosi sono quelli dedicati alle professioni sanitarie (circa 600), seguono quelli di scienze economico-aziendali (163) e ingegneria industriale (137). (11-10-19)


STUDENTI

IL NUMERO CHIUSO POTREBBE SPARIRE, FORSE
Il numero chiuso per l’ingresso alla facoltà di Medicina potrebbe sparire. A confermarlo il Ministro Fioramonti in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. La possibilità di arrivare all’obiettivo di abolire il numero chiuso a Medicina, se mai ci si arriverà, sarà solo secondo il ministro tramite un processo graduale che inizialmente vedrà un sostanziale aumento di posti e solo in un successivo momento la cancellazione del numero chiuso. D’altronde, prima di ciò sarà necessario aumentare anche il numero di borse di specializzazione: in caso contrario, infatti, si rischia di avere sempre più medici che per specializzarsi sono costretti a trasferirsi all’estero. Ecco perché, come sottolineato da Fioramonti, prima di abolire il numero chiuso servono fondi per l’Università. (F: A. Cosenza, Money 16-09-19)

NUMERO CHIUSO? LA DIDATTICA PER ESSERE UN DIRITTO DEVE POGGIARE SULLA SOSTENIBILITÀ
Il professor Fabio Lucidi, neo preside della facoltà di medicina e psicologia della Sapienza risponde alla domanda sui test come strumento di ammissione all’università: «È duro dal punto di vista emotivo rifiutare uno studente. Nessuno di noi lo fa a cuor leggero. Ma la didattica per essere un diritto deve poggiare sulla sostenibilità. E non sarebbe sostenibile un sistema formativo con corsi e laboratori ad alta specializzazione sovraffollati». Il suo primo obiettivo? «Tentare di semplificare e deburocratizzare il sistema di valutazione delle attività didattiche e della qualità nella ricerca. Così come funziona adesso non serve. Invece bisogna liberare risorse ed energie». (F: CorSera 18-09-19)

NUOVE AMMISSIONI GIURISDIZIONALI AL CORSO DI LAUREA IN MEDICINA
L'applicazione del numero chiuso per Medicina è sottoposta ai colpi delle sentenze della magistratura. L'ultima: Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di Consulcesi, ammettendo al CdL di Medicina e Chirurgia circa 250 studenti. I legali di Consulcesi pongono l'attenzione sulle motivazioni della decisione del Consiglio di Stato: «Si fondano sul fatto che per l'anno accademico 2019/2020 il Ministero ha aumentato di 1600 i posti disponibili. I Giudici della suprema Corte affermano che “tale aumento non soltanto è indice del sottodimensionamento dei posti sin qui disponibili nell'offerta formativa, ma sembra anche più aderente ai prevedibili fabbisogni sanitari futuri”». Questa sentenza, che arriva esattamente alla vigilia degli scorrimenti delle graduatorie (la cui pubblicazione è stata accompagnata da una lunga scia di polemiche per via delle numerose irregolarità che hanno contraddistinto anche questa edizione dei test), mette automaticamente in discussione anche il numero dei posti stabilito per il prossimo anno accademico. (F: Red.ne Scuola S24 09-10-19)


VARIE

I CENTOMILA SCIENZIATI PIÙ IMPORTANTI
La classifica più aggiornata e ampia dei migliori scienziati nel mondo, i più prolifici e citati, con il maggiore impatto sui colleghi e sulla disciplina che studiano, l'ha organizzata la rivista scientifica Plos Biology, statunitense, fortemente accreditata. L'hanno affidata a un medico statistico le cui ricerche fanno scuola - John P.A Ioannidis, professore a Stanford -. Alla fine il lavoro ha spostato le lancette degli archivi scientifici fino agli Anni Sessanta, quindi ha messo insieme 22 campi disciplinari tra loro lontani e 176 sottocampi. Ha certificato, ancora, che sulla Terra i ricercatori che possono (meritano) di entrare in un database globale sono sei milioni e 880 mila e quasi un terzo di questi sono medici. Quindi ha offerto - tra lodi e recriminazioni - la prima classifica mondiale dei centomila più importanti scienziati del mondo. Il professor Giuseppe Mancia, 79 anni, emerito dell'Università Milano Bicocca, medico cardiovascolare, è il primo degli italiani. Il numero 246 al mondo. Nella classifica stravincono i medici. Sette sui primi dieci, in Italia, vengono da quel mondo.  Dice Mancia: "Noi medici scriviamo, scriviamo. E poi siamo tanti, una massa critica. Ma la classifica rende merito ad altri grandi cervelli italiani, un farmacologo come Vincenzo Di Marzio, un chimico come Vincenzo Barone, un fisico come Giorgio Parisi".  (F: C. Zunino, Rep. Scuola 23-09-19)

10 NAZIONI IN CUI INTERNET NON È LIBERA
10 nazioni in cui internet non è libera: Etiopia, Corea del Nord, Cina, Cuba, Bielorussia, Arabia Saudita, Siria, Iran, Vietnam, Uzbekistan. Nel 2016 il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato le restrizioni di accesso a internet come una violazione dei diritti umani. Alcuni governi spengono e accendono internet in concomitanza con eventi particolari come le elezioni. (F. Wired 23-09-19)

TURBULENT BIRTH OF THE PERSONAL COMPUTER
In the depths of the cold war, an Italian industrialist on the cusp of marketing the first personal computer dies on a train to Switzerland. Adriano Olivetti has had contact with Western spy agencies; his associates hint that his heart attack might not be what it seems. Is this really a thrilling tale of espionage, or a missed opportunity to tease out the intriguing history of the first PC? (F: Nature Briefing 25.10.19)

CON UN DECRETO LEGGE SI ABOLISCE IL MEPA E CON LA LEGGE DI BILANCIO LO SI RESUSCITA
Grazie all’audace blitz del MIUR, l’Università era stata finalmente liberata dalle tenebre in cui l’aveva costretta MEPA, l’orrenda creatura del mercato elettronico della pubblica amministrazione, i cui viscidi tentacoli costringono professori e ricercatori ad acquistare le loro strumentazioni scientifiche in una specie di Amazon di Stato, macchinosa e inefficiente: un supermercato virtuale in stile sovietico dove di norma i prodotti sono di qualità più scadente e costano di più rispetto a quelli reperibili sul libero mercato. Erano bastate poche righe intrise di saggezza per ricacciare negli inferi la creatura, con l’art. 4 del decreto-legge 29 ottobre 2019 n.126, che finalmente, mentre si scrive, consente alle Università e alle istituzioni AFAM di approvvigionarsi sul libero mercato per l’acquisto di beni e servizi funzionalmente destinati alle attività di ricerca. Ma con l’art.71 del testo bollinato della legge di bilancio, il governo contraddice se stesso in modo clamoroso a pochi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto-legge della liberazione. Il mefitico articolo 71 ripropone infatti l’obbligo perentorio di approvvigionamento con gli strumenti CONSIP per tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi comprese le istituzioni universitarie, generando così un mostruoso cortocircuito normativo, visto che il decreto-legge dovrà essere presumibilmente convertito negli stessi giorni della legge di bilancio. (F: N. Casagli, Roars 08-11-19)


UE. ESTERO

GLI IMPEGNI ANNUNCIATI DALLA COMMISSIONE UE PER IL FUTURO DELL'ISTRUZIONE
Oltre 3 miliardi di euro per Erasmus+ nel 2020, un nuovo progetto per le reti di università europee, e il rafforzamento dell'alleanza Ue-Africa per gli investimenti sostenibili e l'occupazione. Sono gli impegni annunciati dalla Commissione Ue per il futuro dell'istruzione e contenuti nell'invito di Bruxelles a presentare proposte, pubblicato sulla Gazzetta Ue, rivolto a enti pubblici e privati del settore. Il prossimo anno la dotazione Ue per Erasmus+, con oltre 3 miliardi di euro, farà registrare un aumento del 12% rispetto al 2019. La nuova programmazione di Erasmus+ rafforza anche il partenariato con l'Africa: le porte degli scambi saranno aperte a 35mila tra studenti e personale accademico africano.

PROGRAMMA QUADRO HORIZON EUROPE
Quali dovrebbero essere dunque i punti di maggiore attenzione in questa (più che augurabile) fase di rilancio europeo? L’ottica dei programmi “quadro” per la ricerca, e in particolare l’articolazione del futuro programma Horizon Europe a valere nel periodo 2021-2027, offre attualmente numerosi spunti e sollecita il ricorso a un maggiore coordinamento tra politiche macroeconomiche, che coniughino il potenziamento della spesa pubblica in ricerca con l’attuazione di inedite politiche industriali per favorire il costituirsi di filiere a maggiore intensità tecnologica laddove c’è più carenza. Per molti versi, il nono Programma quadro Horizon Europe, reso noto da alcuni mesi e a valere sul periodo 2021-2027, sembra annunciarsi con le migliori premesse. Con uno stanziamento di 100 miliardi di euro, pari a quasi il 30% in più di quanto attribuito al Programma Horizon 2020 attualmente in vigore, il futuro piano punta a stimolare i processi di innovazione nell’ambito di “missioni” che sappiano traguardare le grandi sfide della società contemporanea. Seguendo un percorso già avviato con Horizon 2020, l’obiettivo di Horizon Europe è infatti quello di fornire maggiori risorse e strumenti che rafforzino l’impatto della spesa in ricerca sulla linea di quanto sperimentato, ad esempio, negli Stati Uniti con il sostegno a programmi scientifici focalizzati su tematiche di grande rilievo. (F: D. Palma, Roars 18-09-19)


LIBRI - RAPPORTI - SAGGI

SCUOLA E COSTITUZIONE, TRA AUTONOMIE E MERCATO
Autore: Roberta Calvano. Ediesse Collana Citoyens 2019, 190 pg.
E’ un prezioso libro di una costituzionalista presso l’Università Unitelma Sapienza, che affronta con la prosa rigorosa del diritto e lo sguardo attento al mondo della scuola,  il nesso istruzione – costituzione – cittadinanza,  alla luce delle vicende politiche degli ultimi decenni.
Lo spirito del libro è chiaro fin dal titolo: descrivere cosa ne è della scuola italiana e quale sembra essere il suo destino, tra i continui smottamenti di un riformismo permanente, dall’autonomia scolastica di Berlinguer alle recenti spinte del regionalismo differenziato, tutt’ora in corso[1].
Lungo i diversi capitoli, protagonista è il diritto all’istruzione, presupposto di quell’uguaglianza sostanziale che rende effettiva la dimensione politica e rappresentativa di una democrazia. A partire dal quadro costituzionale, il diritto all’istruzione è scandagliato nell’evolvere dei dispositivi legislativi nazionali e sotto le pressioni di politiche sovranazionali sempre più pervasive; infine,   messo “allo specchio”, in chiusura del libro, con il suo profilo apparentemente antinomico di dovere all’istruzione, previsto dalla stessa Costituzione. (Fonte: Roars 08.10.19)

THE MERITOCRACY TRAP: How America's Foundational Myth Feeds Inequality, Dismantles the Middle Class, and Devours the Elite.
Autore: Daniel Markovits. Ed. Penguin Press. 2019. 448 pg.
In un saggio a dir poco polemico, The meritocrazy trap (Penguin), Daniel Markovits sostiene che la meritocrazia è diventata oggi esattamente il contrario di ciò per cui era stata concepita, ovvero la promozione sociale degli outsider, l'accesso ai posti più ambiti alle persone dotate di talento e capacità, il grande perno della democrazia. La meritocrazia, invece, è diventata un meccanismo per la concentrazione e la trasmissione dinastica di ricchezza e privilegi attraverso le generazioni. L'ascesa sociale, sostiene Markovits, è diventata una fantasia, e la classe media sprofonda più facilmente nel lavori poveri piuttosto che emergere nelle élite. Marcovits è docente a Yale, una delle otto ivy League. Parla dall'interno di questo mondo, dunque, non da critico esterno. Stavolta la questione non è la dipendenza delle Università Usa dai miliardari che le finanziano per beneficienza. Stavolta il problema investe tutta l'America, sia dal punto di vista sociale che dell'andamento economico del Paese. I "sovrordinate workers", come li chiama Markovits, guadagnano cifre astronomiche rispetto alla media. Un associato al primo anno di uno studio legale riceve facilmente 200.000 dollari l'anno e cita studi legali che "generano profitti per i partner superiori ai 5 milioni l'anno, e più di 70 uffici legali che garantiscono un milioni a partner per anno". A fronte di questi lauti compensi, però, anche il tempo di lavoro cresce in modo esponenziale: spesso questi avvocati lavorano 60-80 anche 100 ore alla settimana. Elevato è anche il ritmo di studio di chi ha accesso alle Università di élite, spinto dalla competitività crescente. Il dato più preoccupante. sempre secondo Markovits, è che questo meccanismo genera un paradosso: limita la creatività, la capacità dí risolvere i problemi. Pensare a fare soldi ogni ora, ogni giorno per sette giorni, sostiene Markovits, "non rinfresca lo spirito". (F: P. Jadeluca, Affari&Finanza 03-10-19)

THE MYSTERIOUS AFFAIR AT OLIVETTI: IBM, THE CIA, AND THE COLD WAR CONSPIRACY TO SHUT DOWN PRODUCTION OF THE WORLD’S FIRST DESKTOP COMPUTER
Autore: Meryle Secrest Knopf. ED. Knopf 2019, 320 Pg.
The never-before-told true account of the design and development of the first desktop computer by the world’s most famous high-styled typewriter company, more than a decade before the arrival of the Osborne 1, the Apple 1, the first Intel microprocessor, and IBM’s PC5150.
The human, business, design, engineering, cold war, and tech story of how the Olivetti company came to be, how it survived two world wars and brought a ravaged Italy back to life, how after it mastered the typewriter business with the famous “Olivetti touch,” it entered the new, fierce electronics race; how its first desktop compter, the P101, came to be; how, within eighteen months, it had caught up with, and surpassed, IBM, the American giant that by then had become an arm of the American government, developing advanced weapon systems; Olivetti putting its own mainframe computer on the market with its desktop prototype, selling 40,000 units, including to NASA for its lunar landings. How Olivetti made inroads into the US market by taking control of Underwood of Hartford CT as an assembly plant for Olivetti’s own typewriters and future miniaturized personal computers; how a week after Olivetti purchased Underwood, the US government filed an antitrust suit to try to stop it; how Adriano Olivetti, the legendary idealist, socialist, visionary, heir to the company founded by his father, built the company into a fantastical dynasty–factories, offices, satellite buildings spread over more than fifty acres–while on a train headed for Switzerland in 1960 for supposed meetings and then to Hartford, never arrived, dying suddenly of a heart attack at fifty-eight . . . how eighteen months later, his brilliant young engineer, who had assembled Olivetti’s superb team of electronic engineers, was killed, as well, in a suspicious car crash, and how the Olivetti company and the P101 came to its insidious and shocking end. (F. Presentazione dell’editore 2019)