venerdì 25 maggio 2018

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N. 4 25-05-2018



IN EVIDENZA

L’INSEGNAMENTO IN INGLESE E IL CONSIGLIO DI STATO
“Al Politecnico di Milano l’insegnamento in inglese non lede il diritto allo studio, ma favorisce il diritto al lavoro». Con queste parole, l'Advisory Board dell’ateneo milanese inizia la pagina a pagamento, apparsa sul Corriere della Sera il 6 Aprile u.s., in risposta alla sentenza del Consiglio di Stato, che vieta i corsi di laurea nella sola lingua inglese. Inaugurati nel 2014, in base alla riforma Gelmini, tali corsi si prefiggono di internazionalizzare i nostri studenti, in un mondo sempre più globale, tanto che l'agenzia americana QS ha classificato il Politecnico al 18° posto in ingegneria, al 9° posto in architettura e al 5° posto nel design, nelle graduatorie mondiali di qualità degli atenei. Tale sentenza si baserà certamente su una delle circa 220.000 leggi, leggine e/o pareri della Cassazione, attualmente vigenti nel nostro ordinamento giuridico. Dalla nascita dello Stato unitario infatti, alla scarsa efficacia delle azioni di molti governi che si sono succeduti, è stata contrapposta, come alibi all'inefficienza, un'abnorme produzione normativa. Spesso questa giungla legislativa ha generato anche contraddizioni tra le norme stesse, che favoriscono le "interpretazioni". Alla "certezza" del diritto si sostituisce così la "possibilità" del diritto. Non so se tutto questo possa essere applicato al caso del Politecnico, ma la sentenza emessa è così eclatante che il dubbio è più che legittimo. La globalizzazione non perdona ritardi e carenze culturali e il Governo, qualunque esso sia e il Parlamento, non possono ignorare un tema così importante e delicato. (Fonte: F. Faletti, Il Giorno 15-04-18)

COME L'ISTRUZIONE PUÒ FAR FRONTE ALLA MONTANTE SUPREMAZIA TECNOLOGICA
Grazie all'intelligenza artificiale l'informazione è più puntuale, precisa e percepita come utile, anche se non sempre veritiera. In questo scenario bisogna fornire a tutti la possibilità di accesso e farlo in modo proattivo. E per questo è necessario comunicare nel linguaggio della programmazione, indipendentemente dalle discipline di cui ci si occupa. Il coding è il nuovo inglese, una lingua che è necessario parlare per poter accedere all'informazione sia nella sua ampiezza sia nella sua profondità. Dobbiamo essere in grado di discernere l'informazione attendibile e di amplificarla in modo critico e responsabile. La responsabilizzatone riguarda lo sviluppo delle conoscenze fondamentali. L'esposizione all'apprendimento delle discipline classiche quali la logica e la matematica, ci permette di aprire la nostra mente, arricchirla dal punto di vista cognitivo e irrobustirla dal punto di vista metodologico. La responsabilizzazione riguarda poi la stimolazione al pensiero critico. Ciò richiama l'importanza di aspetti di etica e morale, che sono stati il fondamento di molte delle discipline scientifiche del passato, come dimostrano nelle scienze applicate naturali il giuramento di Ippocrate e nelle scienze sociali la filosofia morale che ha anticipato i primi trattati di economia. Il terzo riguarda la personalizzazione. Come l’epistemologia cognitiva ci insegna che è il processo di interiorizzazione dell'informazione a permettere al singolo di elaborare il mattone dell'informazione in un castello di conoscenza e rendere questo castello differente da quelli costruiti da altri individui, il percorso pedagogico deve stimolare e facilitare questa dinamica individuale, che nel futuro sarà sempre più personalizzata. Per stimolare il giusto apprendimento, il docente nel futuro diventerà un personal coach, ovvero un tutor che aiuta lo studente a percorrere in modo intelligente il processo di crescita. Incamminarsi lungo i sentieri di abilitazione, responsabilizzazione e personalizzazione richiede un investimento di lungo termine per scuola e università. Ma porterà a una destinazione che permetterà di rispondere alla domanda di Yuval Nohel Harari con meno paura e più metodo: “Cosa accadrà alla società, alla politica e alla nostra vita quotidiana quando algoritmi non coscienti ma super intelligenti ci conosceranno meglio di noi stessi?”. (Fonte: G. Verona, La Stampa 13-05-18)

LE 15 NUOVE LAUREE PROFESSIONALIZZANTI
Da un’indagine AlmaLaurea relativa al 2016 il 43% dei laureati italiani non ha esperienza di tirocinio o lavoro riconosciuto durante gli studi. Con l’avvio delle cosiddette lauree professionalizzanti, università e mondo del lavoro dovrebbero diventare un po’ più vicini. Un ritardo in formazione pratica che l’Italia ha rispetto agli altri Paesi europei. Le lauree professionalizzanti sono corsi che dovrebbero rappresentare una nuova opportunità per chi sta per concludere le scuole superiori. Prevedono due anni di formazione universitaria e anche un anno di esperienza sul campo tramite tirocini. Le università possono creare un solo corso accademico, previe convenzioni con le aziende e gli ordini professionali dove gli studenti svolgeranno i tirocini. Ai corsi potranno accedere non più di 50 studenti e, al termine del percorso, gli atenei dovranno monitorare gli effettivi sbocchi occupazionali degli studenti, con un target fissato all’80% a un anno dal conseguimento del titolo. I corsi per l’anno accademico 2018/2019 per adesso sono 15, suddivisi in tre aree (Ingegneria, Edilizia e Territorio, Energia e Trasporti) ed equamente distribuiti tra Nord e Sud. Questi i corsi:
Bologna (Ingegneria meccatronica), Modena (Ingegneria per l’industria intelligente), Bolzano (Ingegneria del legno), Salento (Ingegnerie delle tecnologie industriali), Napoli (Gestione del territorio; Conduzione del mezzo navale; ingegneria meccanica), Bari (Gestione del territorio),
Firenze (Tecnologie e trasformazioni avanzate per il settore legno, arredo ed edilizia), Padova (Tecniche e gestione dell’edilizia e del territorio), Politecnica delle Marche (Tecnica della costruzione e gestione del territorio), Udine (Tecniche dell’edilizia e dell’ambiente), Siena (Agribusiness), Palermo (Ingegneria della sicurezza), Sassari (Gestione energetica e sicurezza).
(Fonte: www.magazine.alphatest.it 04-05-18)

BUROCRAZIA E ATTIVITÀ GESTIONALE DEI PROFESSORI
La proceduralizzazione e la burocratizzazione della vita universitaria rischiano di creare individui (cioè, docenti) “ligi ad oltranza”. Il rischio, in altri termini, è quello di confondere i mezzi e i fini: l’accreditamento dei corsi di studio e dei dipartimenti non è il fine verso cui riversare tutti gli sforzi ma un mezzo per migliorare la qualità della ricerca e della didattica, che sono pur sempre le missioni principali di un docente universitario e dell’accademia nel suo complesso. Tuttavia, il tempo passato a compilare moduli e schede e la partecipazione a commissioni di ogni tipo produce una sorta di disciplinamento in senso foucaultiano che rischia di far perdere di vista questa semplice verità. Ciascuna università dovrebbe sforzarsi, nell’esercizio della propria autonomia, di eliminare le commissioni, gli organismi, le procedure e i moduli pletorici e di farsi guidare dal buon vecchio adagio entia non sunt multiplicanda… Non è un caso che la tendenza sia esattamente quella opposta: se i protocolli e le procedure diventano un fine in sé, è evidente che si tenda a moltiplicarli all’infinito. In secondo luogo, i regolamenti e le circolari dovrebbero essere redatti in modo semplice e chiaro. Ciò aiuterebbe sia a comprendere il fine di ogni documento normativo sia a non ingenerare l’idea che l’interpretazione di tali testi spetti a una casta di professori ed amministrativi eletti (Kafka docet). In terzo luogo, tutti i docenti (soprattutto i più bravi nella ricerca e nella didattica) dovrebbe occuparsi, per un periodo circoscritto, della governance del proprio ateneo, senza però farsi fagocitare da questa attività trasformandola nella propria attività principale, se non nell’unica. Non si tratta di un’invettiva generalizzata contro “i professionisti della politica”. Concordo con Weber che la politica sia, o possa essere, una professione. Tuttavia questo è vero per il governo della città e dello Stato, ma non vale per l’università. I professori che, per professione, si occupano prevalentemente di attività gestionale perdono di vista le peculiarità dell’accademia e tendono a gestirla come una qualsiasi impresa. Bisogna sempre ricordare che la vocazione di un professore universitario deve essere principalmente quella di studiare e insegnare e che solo chi studia e insegna è in grado di organizzare in modo efficiente un’istituzione che deve “produrre”, innanzitutto, ricerca e didattica. (Fonte: A. Schiavello, Il Mulino 26-04-18)

ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE: CONSIDERAZIONI E PROPOSTE
Fra i criteri che regolano la partecipazione, da parte di Docenti, Ricercatori e Studiosi italiani e stranieri, alle procedure di “Abilitazione Scientifica Nazionale” (ASN) per il conseguimento dell’idoneità a svolgere le funzioni e a ricoprire il ruolo di Professore di I Fascia (Professore Ordinario) e di Professore di II Fascia (Professore Associato), si annovera la presentazione di un numero massimo di 16 e di 12 pubblicazioni scientifiche per i candidati al conseguimento dell’ASN, rispettivamente, in I ed in II Fascia.
Ciò ha prodotto e continua a produrre, inevitabilmente, la partecipazione di migliaia di aspiranti alle succitate procedure di abilitazione - di recente ribattezzata “abilitazione a sportello” per via della possibilità offerta ai candidati di presentare domanda “in qualsivoglia momento” -, con la logica conseguenza di un ingente, se non addirittura gravosissimo carico di lavoro sulle spalle dei Commissari (tutti appartenenti al ruolo dei Professori di I Fascia) chiamati a valutare i candidati nei rispettivi “settori concorsuali”, questi ultimi strettamente connessi, peraltro, ai relativi “Settori Scientifico-Disciplinari” (SSD). In una situazione del genere, risulta a dir poco arduo comprendere come i 5 Membri di una Commissione Esaminatrice, la quale dovrebbe svolgere ope legis il proprio mandato nell’arco di 24 mesi e su ben 5 “quadrimestri” (vale a dire le “finestre temporali” nel cui ambito gli aspiranti possono presentare le proprie domande di partecipazione), possano leggere con la necessaria calma, attenzione e concentrazione tutti i lavori scientifici (nessuno escluso!) di una così folta “pletora” di candidati, cosa che vale soprattutto per quegli SSD caratterizzati da una numerosità di Docenti, Ricercatori e Studiosi particolarmente elevata.
Perché non “capovolgere” lo schema attuale, prevedendo e concependo un “modello di partecipazione” che preveda la presentazione, ad opera dei candidati, non già di un numero massimo, ma bensì di un numero minimo di pubblicazioni? Non solo, ma perché non richiedere agli aspiranti la sola presentazione di lavori scientifici pubblicati su Riviste “peer-reviewed” ed in cui la candidata/il candidato figurino esclusivamente come “primo”, “secondo”, oppure come “ultimo nome” e/o “corresponding Author”?
Ciò consentirebbe alle Commissioni sia di lavorare in maniera più agevole e serena sia di operare una selezione ben più meritocratica di quanto non avvenga attualmente, vista e considerata, da un lato, l’ “esigua numerosità” e, dall’altro lato, l’oltremodo elevata qualità del “campione” (inteso come “segmento della Comunità dei Saperi”) sul quale le stesse si troverebbero ad operare.
Ne deriverebbe altresì, a tutto beneficio delle più che legittime aspettative di progressione di carriera dei “neoabilitati”, un’elevata probabilità che l’ASN dai medesimi conseguita possa esser favorevolmente “messa a frutto” attraverso l’ottenimento di una posizione di Professore di I Fascia o di II Fascia non già nell’arco dei 6 anni di attuale durata dell’ASN, ma bensì entro il quadriennio di durata della stessa disciplinato dalla precedente normativa esistente in materia.
In definitiva, secondo l’opinione di chi scrive, quello appena delineato si configura come un vero e proprio “vizio all’origine” che, nel soddisfare le pur giustificate e legittime ambizioni ed aspettative di uno sparuto stuolo di “eletti”, si traduce di fatto, al contempo, nella totale frustrazione delle parimenti legittime e giustificate aspettative ed ambizioni della foltissima pletora di abilitati che non vedranno mai la propria ASN “convertita” in una posizione permanente di Professore di I o di II Fascia presso questo o quell’altro Ateneo. Parafrasando, è come trovarsi di fronte alla celebre “montagna che ha partorito (il non meno “celebre”) topolino”!
Fra le ulteriori “distorsioni del sistema” che meriterebbero - sempre secondo il sommesso parere di chi scrive - un’opportuna “pausa di riflessione”, vi è anche il fatto che, se da un lato i “papabili” a svolgere le funzioni di “valutatori” dei candidati all’ASN possono esser “sorteggiati” fra i soli Professori di I Fascia ritenuti “idonei” all’uopo (previa valutazione delle rispettive pubblicazioni scientifiche mediante criteri “bibliometrici”), la medesima fattispecie non si ripropone, dall’altro lato, appannaggio degli “abilitati al ruolo di Professori di I Fascia”. Ciò appare difficilmente comprensibile quando si pensi che la valutazione degli “aspiranti all’ASN” esula completamente dalle attività didattiche, di servizio e/o da quelle inquadrabili nella c.d. “terza missione” eventualmente svolte dagli stessi, risultando focalizzata in maniera esclusiva sulle “performances” scientifiche dei singoli candidati. In estrema sintesi, un Professore di I Fascia eleggibile in veste di “Commissario” ed un “abilitato alle funzioni di Professore di I Fascia” dovrebbero esser considerati entrambi pienamente “equipollenti”, in termini di “idoneità scientifica”, ad esercitare le funzioni di “valutatori” nei confronti degli “aspiranti all’ASN” per quello stesso SSD, cosa che per “qualche singolare motivo d’Italica matrice” non avviene (e, con ogni probabilità, mai avverrà!!)!!!
La predisposizione di un siffatto “correttivo in corso d’opera”, oltre a porre rimedio ad una fattispecie che, sempre nell’opinione di chi scrive, si potrebbe configurare come un autentico “vulnus” o, peggio ancora, come una “capitis diminutio” degli “abilitati in I Fascia” nei confronti dei Professori di I Fascia, costituirebbe un autentico “toccasana” anche per quegli SSD che, a motivo della numerosità non particolarmente “consistente” dei Professori Ordinari presenti al proprio interno, si trovano a tutt’oggi a fronteggiare e a gestire con notevoli difficoltà i gravosi impegni derivanti dalla cooptazione dei suddetti Colleghi in seno alle Commissioni Esaminatrici operanti nei rispettivi SSD.
Entrando da ultimo negli specifici “ambiti” verso i quali si rivolge la valutazione che i Commissari sono chiamati ad esprimere nei confronti dei singoli “aspiranti”, mentre si condivide senza la benché minima riserva la “centralità” che la produzione scientifica del candidato dovrebbe assumere (e che di fatto assume, purché congruente rispetto alle tematiche proprie di quello specifico SSD) nella fattispecie in esame, sembrano tuttavia sussistere fondati motivi per ritenere - ancora secondo il sommesso parere di chi scrive - che un’eccessiva “asimmetria” caratterizzi a tutt’oggi l’attività dei singoli candidati come “Autori” e come “Revisori” di lavori scientifici. Mi spiego meglio: se è vero, com’è vero, che la qualità di una Rivista Scientifica (che potrebbe riassumersi, almeno in parte, nell’ “Impact Factor” della stessa) passa in primis attraverso il profilo qualitativo dei manoscritti inviati alla stessa ad opera dei diversi Autori e, nondimeno, attraverso la qualità dell’attività di “referaggio” condotta sui medesimi contributi ad opera dei vari “Reviewers” (spesso “anonimi”) i quali mettono al servizio di questa quanto mai nobile causa il proprio tempo e le proprie competenze (gratis et amore Dei, peraltro!), in tutta onestà non si riesce a comprendere il motivo per cui la valutazione di un candidato avvenga pressoché esclusivamente come “Autore” e non già anche come “Revisore” di lavori scientifici! Vi sarà una bella differenza, in termini oggettivi e a parità di produzione scientifica, fra due “ipotetici” candidati all’ASN, l’uno dei quali abbia al proprio attivo la revisione di 2-3 soli manoscritti quando l’altro si trova invece a vantare il “referaggio” di oltre 100 lavori!
In conclusione, si ritiene di aver fornito una serie di spunti di riflessione finalizzati a migliorare la qualità dell’attuale “sistema di valutazione per il conseguimento dell’ASN”, spunti di riflessione che lo scrivente auspica possano trovare adeguati “spazi e tempi di discussione” sia fra i Colleghi appartenenti alla Comunità Accademica e, più in generale, alla Comunità Scientifica del nostro Paese, sia presso i nostri Organi di Rappresentanza (CUN), così come presso l’ANVUR ed il MIUR, una volta che il nuovo Ministro si sarà insediato alla guida del suddetto Dicastero.
(Autore: Prof. Giovanni Di Guardo. UniTe 25-05-18)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

IL BANDO PER I COMMISSARI 2018-2020 DELL’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE:
E’ datato 30 aprile 2018 il bando per la selezione dei commissari della nuova tornata di abilitazione (2018-2020). Si ripropone lo schema abituale: sessanta giorni di tempo per la domanda, e di nuovo per i si richiedono le settori non bibliometrici, copie in formato elettronico (.pdf) del frontespizio delle pubblicazioni. Ecco il testo del bando (qua): https://tinyurl.com/y7k7rjpq  (03-05-18)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

UNIVERSITÀ PIÙ INNOVATIVE D’EUROPA. KU LEUVEN È IN CIMA ALLA CLASSIFICA REUTERS
KU Leuven è in cima alla classifica Reuters delle università più innovative d’Europa per il terzo anno consecutivo. Un ranking che identifica e classifica le istituzioni accademiche più attive nel promuovere la scienza, inventare nuove tecnologie e alimentare nuovi mercati e industrie. KU Leuven, un’università in lingua olandese con sede a Lovanio, nella regione belga delle Fiandre, è stata fondata nel 1425 da papa Martino V e produce continuamente un grande volume di scoperte di valore. I brevetti depositati da scienziati di questa Università spesso citati da altri ricercatori nel mondo accademico e nell’industria privata. Questo è uno dei criteri chiave nella classifica Reuters, compilata in collaborazione con Clarivate Analytics e basata sulle analisi di brevetti depositati e sulle citazioni in articoli pubblicati su riviste scientifiche. Complessivamente, le posizioni delle Università più innovative d’Europa sono rimaste stabili rispetto all’anno scorso, con l’Imperial College London (n. 2) e l’Università di Cambridge (n. 3) posizionate ai vertici per il terzo anno consecutivo. Altre istituzioni leader si sono semplicemente scambiate le posizioni, come il Politecnico federale di Losanna (n. 4, salita di una posizione), l’Università di Erlangen Norimberga (n. 5, salita di una posizione) e l’Università tecnica di Monaco (n. 6, scesa di due posizioni). Il resto delle università top 10 sono: l’Università di Manchester (n. 7, salita di nove posizioni), l’Università di Monaco (n. 8, salita di quattro posizioni), Università tecnica della Danimarca (n. 9, salita di tre posizioni) e ETH Zurigo (n. 10, salita di una posizione). (Fonte: Reuters 26-04-18)

QS BEST STUDENT CITIES RANKING
Londra in cima alla classifica come 'migliore città universitaria al mondo'. Sono state analizzate 468 città in totale e di queste 139 sono entrate nella classifica. Delle 18 italiane considerate, Milano al 36° posto, Roma al 66° posto, su 139 città classificate. (Fonte: https://www.topuniversities.com/city-rankings/2018 09-05-18)

UNIBOCCONI 21° NELL’ ECONOMICS SCHOOLS RESEARCH RANKING DELL’OLANDESE TILBURG UNIVERSITY
Università Bocconi è il primo ateneo non di lingua inglese al 21° posto nella top 100 worldwide di «Economics schools research ranking» stilata dall'olandese Tilburg University. In testa alla classifica c'è Harvard, seguita dall'Università di Chicago e da Stanford. In quarta posizione la London School of Economics, quinta Berkeley. Il Mit di Boston è al settimo posto, Oxford al decimo. «Ranking come quello realizzato dall'Università di Tilburg basati sulla produzione scientifica,  ha commentato Marco Ottaviani, prorettore alla Ricerca, sono fondamentali perché misurano le università nella loro dimensione principale». «La ricerca e la produzione della conoscenza sono, ha sottolineato, la dimensione più caratterizzante per un'università, ancor più dell'insegnamento: non può esserci trasferimento di conoscenza se non c'è produzione di conoscenza». (Fonte: CorSera 04-05-18)


CULTURA DEL DIGITALE

L’UNIVERSITÀ SULL’ONDA DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE
L’ecosistema universitario italiano sta lavorando a un salto di qualità e alcune iniziative lasciano buone sensazioni. Milano, Torino, Roma, Napoli, Trento, Bologna. Negli ultimi anni, e in particolare negli ultimi mesi, sono proliferati i corsi triennali, le lauree magistrali e i master dedicati alle nuove frontiere dell’economia digitale: tecnologie Ict, data science, digital marketing, automazione, management 4.0, meccatronica e altri ambiti. La voglia di mettersi sull’onda della rivoluzione digitale sta innescando una competizione virtuosa tra gli atenei, desiderosi di accaparrarsi i migliori talenti da consegnare al mercato del lavoro. Dall’Università di Trento al Politecnico di Milano, dall’Università di Torino alla Sapienza di Roma, dalla Ca’ Foscari di Venezia alla Federico II di Napoli, il ventaglio dei percorsi focalizzati sull’innovazione si sta allargando con effetti diretti sulle logiche della formazione universitaria. Tra questi spicca la maggiore integrazione fra discipline diverse e distanti (solo apparentemente). Ad esempio, in un corso di Data science si studia di tutto dall’economia all’intelligenza artificiale. Ma non si tratta di attivare un corso e stare a posto per qualche anno. Rettori e docenti sono consapevoli che la rivoluzione 4.0 si sta propagando a una velocità che non ha nulla a che vedere con quella delle rivoluzioni precedenti. E se aziende e PA devono saper stare ai continui cambi di passo dell’innovazione digitale, altrettanto devono saper fare le Università chiamate a formare menti e talenti resilienti. (Fonte: A. Frollà, A&F Rep 07-05-18)

E-LEARNING. I MASSIVE OPEN ONLINE COURSES (MOOC) A 10 ANNI DAL LANCIO. NUMERI ELEVATISSIMI MA NON UNA RIVOLUZIONE
I Massive Open Online Courses (MOOC) sono la più grande rivoluzione del mondo accademico?. Perché studiare (e pagare la retta) in una Università, quando migliaia di corsi, offerti dai migliori professori al mondo, sono accessibili online, gratuitamente o quasi? A distanza di dieci anni dal lancio del primo MOOC, si può dire con certezza che la rivoluzione promessa non c’è stata, ma sicuramente i MOOC rappresentano oggi una forma moderna di formazione di alta qualità. I numeri raggiunti sono semplicemente sbalorditivi: oltre 800 Università offrono MOOC, oltre 9.400 MOOC sono disponibili online; 43.000 la media degli studenti registrati in un singolo corso. Ad oggi, oltre 81 milioni di persone hanno studiato un corso MOOC (più di 23 milioni solo nel 2017). I principali provider (Coursera, edD, XuetangX, Udacity e FutureLearn) continuano ad espandersi, ma fanno oggi meno paura agli Atenei tradizionali che mantengono nella ricerca, alla base della formazione, il loro vantaggio competitivo. L’offerta accademica rimane più integrata, avanzata e personalizzata. Senza dubbio, la crescente popolarità dei programmi online è in parte spiegata dall’impatto di Education Technologies innovative (EdTech). Harvard ha lanciato una delle prime aule completamente digitali (HBx), dove i professori possono insegnare in diretta a studenti connessi da tutti il mondo (l’esperienza digitale ricorda il film Minority Report). MIT ha pilotato i primi «telepresence robots», che permettono agli studenti di partecipare a una classe inviando il proprio robot (che prende appunti, alza la mano e consente di fare domande in diretta). IE sta sperimentando l’utilizzo della virtual/augmented reality (maschere tipo Oculus per intenderci) per dare la possibilità ai propri studenti di sedersi in un’aula virtuale comodamente dal divano di casa. L’Imperial College ha annunciato il lancio di una ChatBot che integrerà soluzioni di intelligenza artificiale e machine learning al fine di supportare gli studenti nei loro percorsi di studio (fornendo un accesso rapido e personalizzato a libri, articoli, video e lezioni online). (Fonte: P. Taticchi, CorSera 10-04-18)

CORSI DI STUDIO PER LE NUOVE SFIDE DEL MONDO DIGITALE
Dagli Stati Uniti al Giappone si diffondono master ad hoc in intelligenza artificiale e anche le università italiane hanno iniziato a fare la loro parte per formare giovani che, mettendo insieme conoscenze economiche, legali e sociologiche con conoscenze ingegneristiche, di analisi dei dati e tecniche, possano affrontare le nuove sfide del mondo digitale. In Europa esistono corsi di laurea magistrale specifici in intelligenza artificiale, dall'università politecnica della Catalogna ai master degli atenei di Amsterdam ed Edimburgo, ma anche in Italia il quadro è in espansione.
All'università di Torino c'è un intero corso di laurea magistrale denominato "Intelligenza Artificiale (IA) e Sistemi Informatici". Si studiano IA, machine learning, reti neurali e deep learning,
natural language processing e altro ancora. Proprio in quest'anno accademico è stato attivato all'ateneo di Trieste un corso di laurea magistrale in data science e all'interno del corso di laurea sono presenti insegnamenti di machine learning. L'anno scorso ha debuttato anche la laurea magistrale in data science della Bicocca di Milano e sono stati recentemente introdotti all'Università di Firenze curriculum di studi in data science sia presso il corso di laurea magistrale in Informatica sia in quello in Statistica. Poche settimane fa, poi, è stata `battezzata' la nuova cattedra in "Machine learning and artificial intelligence" dell'università Luiss. (Fonte: V. Passeri, QN Economia 09-04-18)

PUNTA SUI BIG DATA L’ALTA FORMAZIONE
Politecnico di Milano, Università di Bologna e Fondazione Golinelli investono su big data e industria 4.0. Dopo l’avvio l’anno scorso della prima scuola in Italia di dottorato in Data Science and Computation, prende il via il Consorzio tra le due Università e Fondazione Golinelli per diventare punto di riferimento in Italia per la ricerca nel campo di Big Data e Data Science. Sono 16 le borse disponibili per il secondo anno della scuola di dottorato, i cui ricercatori vengono impegnati in un percorso quadriennale. Il progetto ha il sostegno dell’Istituto nazionale di fisica nucleare e l’Istituto italiano di tecnologia, di imprese private come Crif (azienda specializzata in sistemi di informazioni creditizie), il colosso dell’e-commerce Ynap, Cineca, il Centro di riferimento oncologico di Aviano e Alfasigma. Il collegio dei docenti raggiungerà le 22 unità e sarà creato uno Steering commitee dei fondatori all’Opificio Golinelli di Bologna. Francesco Ubertini, rettore di Alma Mater di Bologna, ha spiegato che il percorso “punta a formare esperti in grado di svolgere attività di ricerca universitaria e industriale a un livello qualitativo che astragga dalle singole componenti accademico-scientifiche”. Sulla stessa linea Ferruccio Resta, rettore Politecnico di Milano, convinto che “le grandi sfide si vincano uniti”, e che per questo un progetto come la Scuola di Dottorato in Data Science and Computation, “che vede la partecipazione della ricerca così come dell’industria” sia “la via giusta da intraprendere per il futuro di un sistema che sa fare rete”. Parla del “ruolo di innesco e insieme di enzima svolto da Fondazione Golinelli”, il suo presidente, Andrea Zanotti. Mentre per Davide Capuzzo, senior analytics director di Crif, un progetto come il dottorato può “avere ricadute importanti nell’ambito dei processi decisionali data driven”. (Fonte: www.viaemilianet.it 13-04-18)


DOCENTI

GLI STUDENTI E LO SCIOPERO DEI DOCENTI
Il Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria (MDDU) fondato dal professor Carlo Ferraro, si sta organizzando per replicare lo sciopero degli esami collaudato durante le sessioni dello scorso settembre. Le maggiori organizzazioni studentesche, anche questa volta, insorgono, lamentando sui social network il fatto che i disagi dello sciopero si ripercuoteranno solamente sugli studenti: c’è chi rischia di perdere la borsa di studio o di dover rimandare la laurea, dicono. In effetti, nessuno nega che lo sciopero comporti qualche disagio per il corpo studentesco, ma forse bisognerebbe ridimensionare i toni apocalittici usati dai rappresentanti degli studenti: lo sciopero prevede che ci si astenga da uno solo degli appelli previsti durante la sessione di giugno-luglio, e laddove ci sia un solo appello, questo sarà semplicemente rimandato di due settimane; inoltre, è previsto un «appello straordinario “ad hoc”» per laureandi, studenti Erasmus, studentesse in attesa di un bambino e studenti con problemi di salute documentati; infine, i docenti chiedono ai Rettori di destinare la trattenuta stipendiale, prevista per legge ai danni degli scioperanti, ai fondi per l’erogazione di borse di studio per i meno fortunati. Insomma, non si può certo dire che i docenti agiscano scriteriatamente con l’obiettivo di danneggiare il più possibile gli studenti. (Fonte: Lettera a Roars di G. Fusco 20-04-18)

SE IL TAR ENTRA NEL MERITO DELL’ADEGUATEZZA NON SOLO FORMALE DI UN PROFESSORE-COMMISSARIO PER L’ASN SI TRATTA O NON DI UN ECCESSO DI INTERFERENZA DELLA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA?
G. Luzzatto sul Secolo XIX afferma che nel nostro Paese due situazioni deprecabili si presentano spesso. La prima: nel complesso delle vicende pubbliche, l'eccesso di interferenze della giustizia amministrativa sulle modalità di gestione. La seconda: nel campo culturale, la scarsa interazione tra le diverse discipline. Le due questioni sembrano lontane tra loro; la recente decisione di un Tar è riuscita a connetterle. Il tema era quello della "Abilitazione Scientifica Nazionale", che viene assegnata da apposite Commissioni di professori universitari. Un ricorso, che il Tar ha accolto, riguardava la presenza di un Commissario un cui lavoro scientifico (tra quelli necessari per aver diritto a far parte della Commissione) non era incasellato nel "Settore Scientifico - disciplinare" al quale si riferiva l'Abilitazione, nel caso la Storia Medievale. Dalle notizie sul responso non risulta quale era il contenuto del lavoro incriminato.
Circa il primo punto toccato all'inizio, abbiamo cioè una situazione nella quale il Tar entra nel merito della adeguatezza di un professore-commissario a esprimere valutazioni scientifiche. Ora, un giudice amministrativo non può certo avere competenze atte a giudicare (in tutti I rami dello scibile) tale adeguatezza, e necessariamente si limita perciò a verificare aspetti formali nella documentazione che accredita un Commissario. Alcuni di tali aspetti sono oggettivi (es.: la "pubblicazione" è tale, cioè non si tratta di un dattiloscritto a uso interno, privo dei requisiti di legge?). Voler però sindacare se essa “è in tema" apre il problema ricordato al secondo punto.
Sorge la domanda: se il TAR entra nel merito dell’adeguatezza non solo formale di un professore-commissario a esprimere valutazioni scientifiche circa l’abilitazione scientifica si tratta o no di eccesso di interferenza della giustizia amministrativa sulle modalità di gestione della ricerca scientifica? (Fonte: Il Secolo XIX 06-05-18).
Risposta di Redazione Roars a @univtrends: no, perché il punto della sentenza TAR era un altro: non si possono scremare i commissari con valutazioni quantitative automatiche perché gli automatismi sono ciechi nei confronti dei contenuti.


DOTTORATO

PROPOSTA DI INCENTIVI PER VALORIZZARE IL DOTTORATO
Il mondo della ricerca ha di anno in anno un numero sempre minore di ricercatori, da una parte a causa della mancanza di fondi universitari, dall’altra perché gli studenti non si sentono più motivati ad iscriversi ad un dottorato di ricerca. In parte questo avviene perché il titolo di dottore di ricerca non offre sbocchi lavorativi certi dopo il conseguimento, sebbene si acquisisca un punteggio elevato spendibile nei concorsi; di recente però è stato disegnato un piano per la valorizzazione di questo titolo. A metà aprile a Milano è nato il Comitato per la valorizzazione del dottorato il cui presidente ha spiegato che oltre un terzo dei dottori di ricerca non rifarebbe lo stesso corso di dottorato (39,3%), adducendo quale motivo principale l’insoddisfazione per gli sbocchi professionali offerti dal titolo (51,3%). I dati sono emersi dall’indagine Istat del 2015 e sembrano minacciare seriamente la ricerca italiana. Il Comitato, dunque, tramite un’iniziativa popolare, vorrebbe far pervenire una proposta di legge per valorizzare questo titolo di studio: tra gli obiettivi della proposta ci sarebbero incentivi per ridurre i costi di lavoro per i lavoratori altamente qualificati, una manovra che potrebbe condurre alla creazione di nuovi posti di lavoro, ma anche una revisione della retribuzione annuale e del periodo di ricerca all’interno delle università. (Fonte:
catania.liveuniversity.it 02-05-18)

DOTTORI DI RICERCA IN AZIENDA
Solitamente i dottori di ricerca pensano di essere completamente impreparati a lavorare in azienda, perché sono abituati a pensare a se stessi come esperti e in una situazione fuori dal loro campo specifico si sentono impreparati. Questo produce in loro un’iniziale forte umiltà e voglia di imparare partendo dal basso, che è l’atteggiamento migliore che si possa avere per fare una cambio di carriera. Ma poi vanno più veloci degli altri e in poco tempo, in aziende meritocratiche e pronte a valorizzare il talento delle persone, scalano la piramide organizzativa assumendo ruoli di responsabilità e ritornando a sentirsi competenti in quello che fanno. In un mercato del lavoro sempre più duale (le persone molto capaci lavorano tanto e bene mentre quelle tentennanti fanno fatica a trovare un lavoro) i dottori di ricerca sono quindi la più fantastica delle opportunità per le aziende. Quelle che se ne rendono conto e si preparano per selezionarli e valorizzarli. (Fonte: L. Foresti, IlSole24Ore 26-04-18)


FINANZIAMENTI

RICERCA FINALIZZATA INNOVATIVA IN AMBITO BIOMEDICO. FONDI DAL MINISTERO DELLA SALUTE
I fondi destinati per il triennio 2017-2019 alla ricerca finalizzata innovativa in ambito biomedico sono stati recentemente resi noti dal Ministero della Salute: un totale di 95 milioni di euro di cui 50 milioni riferiti all’anno finanziario 2016 e 45 milioni riferiti all’anno finanziario 2017. Si tratta di cifre assai inferiori rispetto al precedente bando, pubblicato nel giugno 2016, che stabiliva l’erogazione, riferita agli anni finanziari 2014 -2015, di 135.392.176,05 euro di cui 54.460.000 euro destinati ai progetti riservati ai giovani ricercatori. La novità positiva invece è che il bando del Ministero apre agli under 33 sotto l'etichetta di "starting grant" di ispirazione ERC. (Fonte: www.scienzainrete.it 24-04-18)


LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE POST LAUREA-OCCUPAZIONE

PERCHÈ MANCA UNA LAUREA PROFESSIONALIZZANTE CENTRATA SU COMPETENZE 4.0 PER L'INDUSTRIA MANIFATTURIERA
Nel loro manifesto per Industria 4.0, Calenda e Bentivogli su IlSole24Ore hanno fissato come obiettivo almeno 100 mila studenti iscritti a corsi di studio professionalizzanti entro il 2020: solo così possiamo seriamente sperare di raggiungere l'obiettivo europeo del 40% di laureati fra i giovani, mentre oggi siamo al 26%. Gli Its, nati nel 2008, hanno sulla carta tutti gli ingredienti giusti: i settori di specializzazione sono quelli tecnologicamente più avanzati; gran parte dell'apprendimento avviene direttamente sui luoghi di lavoro utilizzando strumenti all'avanguardia; l'80% dei diplomati trova subito occupazione, anche perché già ben selezionati in partenza. Rimangono due problemi: i numeri degli Its sono estremamente piccoli (10.500 studenti per 93 istituti in tutt'Italia) e, di conseguenza, i costi procapite elevati (intorno ai 10mila euro per studente); il diploma finale non è equiparato a una laurea triennale.
Parché manca una laurea professionalizzante centrata su competenze 4.0 per l'industria manifatturiera del Nord-Ovest, che salvaguardi il metodo degli Its con esposizione diretta al lavoro con tecnologie di ultima generazione e offra anche una laurea triennale, spendibile su mercato del lavoro? Risposta: A) Non si può avviare una laurea professionalizzante secondo l'accordo Its-Crui perché riguarda lavori che non prevedono l'iscrizione a un ordine. B) La normativa che vincola l'attribuzione della laurea in ciascuna classe all'acquisizione di un pacchetto di crediti in determinate aree scientifico-disciplinari impedisce agli atenei di riconoscere insegnamenti svolti negli Its. (Fonte: A. Gavosto, IlSole24Ore 08-04-18)

IL TIROCINIO DURANTE L’UNIVERSITÀ
Le esperienze lavorative nel corso del periodo di studi aumentano le opportunità professionali dell’8% già a un anno dalla laurea. Il numero gli studenti che hanno deciso di svolgere tirocini curriculari è praticamente triplicato dal 2002: all’inizio degli anni duemila, infatti, solo il 20% degli universitari sceglieva di fare quest’esperienza. Già nel 2006 la percentuale è più che raddoppiata (44%), fino ad arrivare al 2016, anno in cui il 57% degli universitari ha scelto di fare il curriculare. Sono i laureati degli atenei del Nord Italia a svolgere più tirocini curriculari rispetto ai colleghi di Centro e Sud Italia. Al Nord, infatti, il 60% degli studenti sceglie di fare un’esperienza lavorativa durante gli studi contro il 53% del Centro e il 55% del Sud. Il numero di tirocinanti cambia, oltre che in base alla posizione, anche prendendo in considerazione le dimensioni dell’ateneo: negli atenei di piccole e medie dimensioni ci sono più studenti (64%) che scelgono di fare questa esperienza rispetto a quelli che frequentano atenei di grandi dimensioni (55%).Eccezione fatta per gli indirizzi di insegnamento, in cui ben l’89% degli studenti scende in campo prima della laurea, la maggior parte degli stage curriculari riguarda gruppi disciplinari di indirizzi scientifici e sanitari. Immediatamente dopo gli indirizzi di insegnamento troviamo, infatti, in ordine: i ragazzi di professioni sanitarie (82%), quelli di chimico-farmaceutico e educazione fisica a pari merito (81%) e quelli di geo-biologico (77%). Scendendo al di sotto del 50% troviamo gli studenti di ingegneria, di cui solo il 40% fa il tirocinio curriculare fino al gruppo delle discipline giuridiche, dove solo il 17% dei ragazzi può segnare a curriculum un’esperienza lavorativa di questo tipo prima della laurea.
Nella maggioranza dei casi, il 65%, le attività di tirocinio curriculare sono svolte al di fuori dell’università. L’eccezione si registra sono nel caso di medicina e odontoiatria e di geo-biologico: in questi casi rispettivamente il 52% e il 49% rimangono a lavorare nell’ambito dell’università. (Fonte: www.corriereuniv.it 17-04-18)

IL TIROCINIO FORMATIVO, OBBLIGATORIO PER L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE, MEDICA POTRÀ ESSERE SVOLTO DURANTE IL PERCORSO DI LAUREA
Il tirocinio formativo, obbligatorio per l'esercizio della professione medica, potrà essere svolto durante il percorso di laurea e non solo al termine dello stesso. Si riducono, così, i tempi necessari per l'accesso alla professione. Inoltre. sarà modificata la struttura del test di esame. con l'introduzione dei quesiti tratti dall'esperienza del cosiddetto progress test. Queste alcune delle novità introdotte dal nuovo regolamento per l'esame di abilitazione alla professione di medico-chirurgo, firmato ieri dal Ministro dell'istruzione Valeria Fedeli. Il regolamento è stato firmato dopo il parere favorevole con osservazioni espresso dal Consiglio di Stato (si veda ItaliaOggi del 6 aprile scorso). La novità principale riguarda, come detto, l'inserimento del tirocinio trimestrale obbligatorio all'interno dei sei anni del corso di studi universitario. Fino ad oggi poteva essere effettuato solo dopo aver conseguito la laurea. Comunque, il tirocinio non potrà essere svolto prima del quinto anno di corso e il candidato dovrà aver superato tutti gli esami fondamentali previsti nei primi quattro anni del percorso di studi. Una scelta che nasce dalla volontà di uniformare il percorso italiano di formazione e abilitazione professionale dei medici a quello della maggior parte dei paesi europei, si legge nella nota diffusa dal Miur. Un'ulteriore modifica riguarda direttamente la prova di esame: da luglio 2019, prima sessione in cui saranno adottate le nuove regole, la prova consisterà in 200 quesiti a risposta multipla con la riduzione a 50 per quelli relativi alla parte pre-clinica e l'aumento a 150 di quelli riguardanti la formazione clinica, quindi volti a valutare le capacità dei candidati nell'applicare le conoscenze biomediche, cliniche, deontologiche ed etiche alla pratica medica. Sarà prevista una fase transitoria; infatti, i laureati magistrali avranno ancora due anni di tempo, dall'entrata in vigore del regolamento, per effettuare comunque il tirocinio dopo il conseguimento della laurea. L'anticipo del tirocinio all'interno del percorso di laurea, necessario per sostenere l'esame di abilitazione, è un passo significativo per la cosiddetta laurea abilitante. (Fonte: ItaliaOggi 11.05.18)

DATI EUROSTAT SUI LAUREATI
Secondo i dati Eurostat provvisori per il 2017 sui livelli di istruzione, l’Italia resta agli ultimi posti in Europa per numero di laureati. Nel nostro Paese solo una persona su sei in età da lavoro (il 16,3% tra i 15 e i 64 anni) ha la laurea, un dato in aumento rispetto al 2016 di 0,6 punti, ma ancora molto distante dalla media europea (27,7%). Siamo penultimi in Europa per percentuale di laureati nella fascia di età 15-64 anni, ma abbiamo il primato negativo per gli uomini con appena il 13,7% contro il 25,7% medio in Ue: la crescita dal 2008 è stata di 2,4 punti in Italia contro i 5,2 nella media Ue. Per le donne la percentuale sale al 18,9% delle persone tra i 15 e i 64 anni, dato peggiore in Ue (29,7% la media) dopo la Romania. Dal 2008 ad oggi le donne con la laurea in Italia hanno guadagnato 4,9 punti contro 7,8 della media Ue. Le percentuali di laureati crescono nelle fasce di età più giovani ma resta ampia la distanza con la media Ue: 26,4% contro 38,8%. (Fonte: QN 09-04-18)

QUASI UN TERZO DEI GIOVANI PASSA MOLTISSIMO TEMPO ALL’UNIVERSITÀ SENZA CONSEGUIRE LA LAUREA
Nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni, la quota di nostri connazionali con un titolo di studio universitario è pari al 16,3%, contro il 27,7% della media Ue. Vanno un po’ meglio le cose tra le persone di età compresa tra 25 e 34 anni: in questa categoria anagrafica, gli italiani laureati sono il 26,4% del totale, contro però una media continentale del 38,8%. Non esiste nazione europea che possa “vantare” risultati peggiori dei nostri, tranne la Romania. Eppure, negli ultimi decenni il nostro paese ha fatto anche qualche progresso significativo nel miglioramento del grado di istruzione della popolazione. Nel 2000, per esempio gli italiani laureati erano appena l’11,6% del totale, quasi 5 punti in meno rispetto a oggi. Il guaio è che, in quasi 18 anni, il distacco con la media europea non è affatto diminuito. Anzi, a ben guardare il gap è salito dal 10,8 all’11,4%. Trovare  una spiegazione per questi numeri non è difficile. Secondo le statistiche, c’è ancora un altissimo tasso di giovani che si iscrivono all’Università, senza però completare il loro corso di studi, né quello triennale, né quello specialistico quinquennale. A tre anni dall’iscrizione, circa un quarto delle matricole (cioè il 25%) decide di lasciare. Dopo quattro anni la quota di abbandoni sale al 30% e dopo 6 anni sfiora il 33%. Quasi un terzo dei giovani italiani, insomma, passa moltissimo tempo sui banchi dell’università senza poi uscirne con un pezzo di carta in mano. (Fonte: A. Telara, www.panorama.it 09-04-18)

EUROSTAT. SITUAZIONE DEI GIOVANI LAUREATI
La percentuale dei giovani laureati italiani che risultano occupati entro tre anni dal titolo migliora solo lievemente, ma il nostro Paese resta molto indietro rispetto all'Europa: nel 2017 - secondo Eurostat - risultavano occupate il 58 per cento delle persone under 35 che avevano terminato l'educazione terziaria a fronte dell'82,7 per cento nell'Ue a 28. Il dato è in lieve miglioramento sul 2016 (57,7 per cento) e in ripresa rispetto al picco negativo del 49,6 per cento del 2014 ma resta comunque il penultimo in Europa, migliore solo di quello greco (54 per cento).
In Germania entro tre anni dalla laurea lavora il 92,7 per cento delle persone (86,9 per cento nel Regno Unito). La situazione è ancora peggiore per chi ha solo il diploma con appena il 42,6 per cento che risulta occupato entro tre anni dal termine del percorso di istruzione (69,7 per cento in Europa a ventotto). Il dato è ancora più basso se si considerano le persone con un diploma generalista (il 29,5 per cento entro tre anni, quasi trenta punti in meno rispetto alla media Ue) rispetto a chi ha preso una maturità tecnica (il 45,8 per cento lavora entro tre anni del diploma a fronte del 73,4 per cento europeo). (Fonte: Il Messaggero 29-04-18)

TOP 10 PROFESSIONI CON LA CRESCITA PIÙ RAPIDA NEGLI ULTIMI 15 ANNI (GLOBAL)
1. Venditore. 2. Assistente amministrativo. 3. Consulente 4. Project manager. 5. Supervisore 6. Ceo. 7. Tecnico 8. Sales Manager. 9. Ingegnere del Software. 10. Ingegnere.


RICERCA

RICERCA. NEUTRALIZZATO PER LA PRIMA VOLTA IL GENE PIÙ IMPORTANTE RESPONSABILE DEL MORBO DI ALZHEIMER
Speranze per la cura del morbo di Alzheimer in un nuovo studio. E’ stato infatti neutralizzato per la prima volta il gene più importante responsabile della malattia. Un team di ricercatori californiani ha identificato la proteina dannosa associata al gene EpoE4 e l’ha modificata per prevenire il danno ai neuroni. Lo studio, pubblicato su ‘Nature Medicine’ dall’equipe di Yadong Huang, potrebbe aprire la strada alla messa a punto di un nuovo farmaco in grado di bloccare la malattia. Ma gli stessi ricercatori invitano alla cautela, dal momento che il loro composto è stato testato solo su un campione di cellule in laboratorio. Avere una copia del gene apoE4 si traduce in un rischio più che doppio di sviluppare la malattia di Alzheimer, mentre averne due copie aumenta il pericolo di 12 volte. Precedenti studi hanno indicato che circa una persone su 4 è portatrice del gene. (Fonte: A. Petris, www.meteoweb.eu 04-18)

RICERCA IN CHIMICA PREBIOTICA
"Oggi l'approccio computazionale alla chimica prebiotica è di fondamentale rilevanza perché permette di analizzare in modo molto specifico i meccanismi molecolari delle reazioni chimiche alla base dei processi che hanno portato alla formazione delle molecole della vita",  così spiega Franz Saija, ricercatore Ipcf-Cnr. Ricercatori dell'Istituto per i processi chimico-fisici del Cnr di Messina hanno riprodotto, mediante avanzate tecniche numeriche, il processo chimico che potrebbe aver determinato la sintesi primordiale dell'eritrosio, precursore del ribosio, lo zucchero che compone l'RNA, facendo così luce sull'origine delle prime molecole biologiche e quindi sull'inizio della vita sulla Terra. I risultati sono stati pubblicati su Chemical Communications (2018, 54, 3211) della Royal Society of Chemistry, in collaborazione con l'Accademia delle scienze della Repubblica Ceca di Brno e la Sorbona di Parigi. (Fonte: corriere delweb.blogspot.it (web2), 10-04-2018)

RICERCA. PRIMA DIAGNOSI SENZA BIOPSIA DEL TUMORE CEREBRALE NEL CANE
Pubblicato sul Veterinary Journal – prestigiosa rivista scientifica di medicina veterinaria – un articolo frutto della collaborazione tra ricercatori del Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute dell’Università di Padova (MAPS) e del Dick White Referrals (Cambridgeshire, UK), Centro specialistico inglese di clinica veterinaria: grazie a una rete artificiale neuronale si potranno fare diagnosi sulla gravità del meningioma del cane senza aspettare l’esito di esami bioptici invasivi. Il team di ricercatori padovani ha progettato e testato una tecnica innovativa, basata su rete neurale, in una popolazione di 60 soggetti. Il risultato è stato il riconoscimento, in ben 8 casi su 10, del grado di malignità del meningioma del cane a partire dalle sole immagini di una risonanza magnetica. (Fonte: www.corrierequotidiano.it 11-04-18)

STABILIZZAZIONE DEI RICERCATORI PRECARI DEGLI EPR
La ministra Fedeli ha precisato che il dpcm è già stato siglato sia da lei sia dal ministro dell’Economia. Il provvedimento assegna i fondi stanziati per il 2018 pari a 13 milioni di euro e quelli del 2019 a partire da 59 milioni.

COME SPIEGARE LA SCARSA CAPACITÀ DI ATTRARRE RICERCATORI DA PARTE DELL’ITALIA
Il Paese di Leonardo da Vinci e di Galileo Galilei non attrae più chi si occupa dello sviluppo della ricerca scientifica. Meglio andare in Gran Bretagna, Germania, Francia o ancora in Svizzera e Spagna piuttosto che venire nella terra del sole e della pizza. Il dato arriva dall’Erc, European Research Council, che nei giorni scorsi ha assegnato 653 milioni di euro a beneficio di 269 ricercatori senior in tutta Europa, dando loro la possibilità di realizzare le loro idee più creative e potenzialmente produrre risultati che avranno un impatto importante su scienza, società ed economia. Tra questi 16 italiani (5 che si trovano all’estero e 11 che svilupperanno i loro progetti in Italia) si sono aggiudicati l’importante finanziamento: un numero che ci classifica al quinto posto (in calo rispetto all’anno precedente dove eravamo terzi) dopo Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna. Tuttavia mentre nelle altre nazioni arrivano ricercatori da tutt’Europa, l’Italia è snobbata da tutti. Non solo. In alcuni casi (Gran Bretagna, Francia, Israele e Svezia) chi stando all’estero si è aggiudicato la borsa ha pensato di tornare in patria, mentre i nostri cinque che hanno abbandonato il Paese non tornano. Inoltre i progetti italiani saranno tutti sviluppati nei laboratori del Nord Italia. Chi prova a spiegare la mancata capacità di attrarre ricercatori da parte dell’Italia è il presidente del Cnr, Massimo Inguscio: “Dobbiamo focalizzare gli sforzi e creare luoghi di eccellenza: dall’estero vengono se trovano realtà ricche di connessioni scientifiche. Chi ottiene uno o due milioni di euro li deve poi gestire e fare i conti con la burocrazia italiana. Servono margini di manovra per essere più liberi. Chi viene dal resto d’Europa ha bisogno di trovare un luogo dove l’operazione sia sostenibile per il futuro. Dobbiamo investire per creare situazioni di eccellenza”. (Fonte: A. Corlazzoli, www.ilfattoquotidiano.it 15-04-18

LA RICERCA SCIENTIFICA È SEMPRE SENZA DUBBIO UN LAVORO
Non è affatto chiaro come un ricercatore possa ancora essere considerato in formazione, se non nel senso in cui tutti i lavoratori continuano a imparare sul campo. I ricercatori non sono studenti: producono conoscenza – oltre spesso a essere coinvolti nella didattica e nell’amministrazione.
Sono scienziati, filosofi, matematici, linguisti, economisti. È vero che la loro situazione professionale è confusa e precaria. La situazione dei diritti è drammatica. Specialmente i borsisti rappresentano una zona grigia: non hanno diritto a versamenti pensionistici, né maternità, per esempio. Ma tale situazione dovrebbe anzi spronare a riconoscere il loro lavoro, non a svalutarlo.
Andando a vedere cosa fanno i ricercatori nel mondo, scopriamo in realtà che non solo lavorano, ma superlavorano. Alcuni sondaggi all’estero mostrano ritmi di lavoro fino a sessanta ore settimanali. Per capirci, la media di ore effettive di lavoro alla settimana, in molti paesi occidentali, non supera le 40. Lo stress del lavoro di ricerca - intenso, precario e competitivo - genera problemi di salute mentale con conseguenze tragiche. Andrea Claudi, responsabile comunicazione Adi, ci conferma che “Nella stragrande maggioranza degli altri paesi l’assegno di ricerca è un normalissimo contratto di lavoro subordinato. Le stesse università parlano esplicitamente di contratto, il che dovrebbe implicare il rapporto lavorativo. È difficile capire come e perché continui questo equivoco paradossale, tanto più che il più alto titolo di studio italiano è il dottorato: non si capisce quindi che titolo debba conseguire a questa ulteriore formazione”. Le cose per fortuna stanno cambiando in meglio. Per quanto riguarda l’indennità di disoccupazione, a luglio 2017 il ministero ha fatto dietrofront, riconoscendone il diritto ai ricercatori. L’Istat, nel suo analogo questionario in corso, considera attività lavorative tutte le attività remunerate, inclusi esplicitamente borse e assegni di ricerca. (Fonte: M. Sandal, www.wired.it/scienza/lab 24-05-18)

THE INCREASING NUMBER OF OPEN ACCESS PUBLISHED ARTICLES MAKES IT UNTENABLE TO MAINTAIN THE POLICY OF CONTINUED RISES IN SUBSCRIPTION COSTS
Con il consorzio DEAL lo hanno fatto i tedeschi rifiutando le condizioni poste da Elsevier. Il Presidente della Conferenza dei Rettori che conduce le trattative ha comunicato oltre alla cancellazione del contratto con Elsevier da parte di 200 istituzioni ed enti di ricerca tedeschi, anche la decisione di alcuni colleghi di dimettersi dai board delle riviste dell’editore. E ora anche i francesi, con il consorzio Couperin (www.couperin.org), hanno deciso di non rinnovare il nuovo contratto con l’editore Springer: “In 2018, French researchers will no longer have access to Springer Nature journals: the consortium Couperin.org is not renewing the previous national agreement with this publisher.” Il comunicato stampa è molto chiaro sulle motivazioni: “The development of open-access, author-funded publications at an international level has created a noticeable increase in the number of free, open-access articles published in paid subscription journals distributed by Springer Nature. According to a study carried out by the Couperin.org consortium, open-access articles represented 8% of total content in Springer journal subscriptions in 2017, compared to 3% in 2014. The increasing number of open access published articles makes it untenable to maintain the policy of continued rises in subscription costs. This is the rationale for Couperin.org’s demand for a reduction in those costs.” Anche l’Italia conduce le proprie trattative per le risorse elettroniche tramite un consorzio (CRUI CARE). (Fonte: P. Galimberti, Roars 10-04-18)

PER RICERCATORI STRANIERI SEMPLIFICAZIONI BUROCRATICHE
Il Consiglio dei Ministri ha licenziato definitivamente un pacchetto di norme che punta a velocizzare e semplificare ingresso e soggiorno per chi vuole studiare o fare ricerca nel nostro Paese. L'obiettivo del Dlgs, che recepisce una direttiva Ue 2016/801, è infatti quello di rendere il nostro Paese (e più in generale l'Europa) un posto più attrattivo con una serie di misure che dovrebbero facilitare la vita agli studiosi extra-europei - compresi tirocinanti e volontari - evitandogli se possibile la temutissima burocrazia italiana. Tra le semplificazioni si segnala innanzitutto il taglio dei tempi al momento di ingresso che vengono di fatto dimezzati rispetto a oggi: il ricercatore e per conto suo l'istituto di ricerca o l'università che lo ospita potrà ottenere dallo sportello unico per l'immigrazione presente nella prefettura competente il rilascio del nulla osta per l'ingresso così come del successivo permesso di soggiorno nel giro massimo di 30 giorni. Con il permesso di soggiorno, rilasciato dal questore in formato elettronico, che avrà una durata pari a quella del programma di ricerca, con la possibilità tra l'altro del ricongiungimento dei familiari dei ricercatori alle stesse condizioni. Le nuove regole - che tra l'altro equiparano i dottorandi ai ricercatori - prevedono anche una novità importante. E cioè la possibilità per i ricercatori stranieri, una volta completato il proprio progetto di ricerca in Italia, di ottenere un nuovo permesso di soggiorno per cercare lavoro o aprire un'impresa nel nostro Paese. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 09-05-18)
Le semplificazioni nel decreto:
  • Taglio dei tempi al momento di ingresso di fatto dimezzati: il ricercatore e per conto suo l'istituto di ricerca o l'università che lo ospita potrà ottenere dallo sportello unico per l'immigrazione presente nella prefettura competente il rilascio del nulla osta per l'ingresso così come del successivo permesso di soggiorno nel giro massimo di 30 giorni. Con il permesso di soggiorno, rilasciato dal questore in formato elettronico, che avrà una durata pari a quella del programma di ricerca, con la possibilità tra l'altro del ricongiungimento dei familiari dei ricercatori alle stesse condizioni.
  • Le nuove regole equiparano i dottorandi ai ricercatori e prevedono anche la possibilità per i ricercatori stranieri, una volta completato il proprio progetto di ricerca in Italia, di ottenere un nuovo permesso di soggiorno per cercare lavoro o aprire un'impresa nel nostro Paese.
  • Semplificazioni anche per i giovani non europei che vogliono studiare e formarsi nel nostro Paese introducendo un permesso di soggiorno ad hoc per «studente», «tirocinante» e «alunno» che vuole frequentare corsi presso università, istituti tecnici superiori, accademie e conservatori e corsi di formazione professionale o che è stato ammesso a frequentare un tirocinio curriculare.


SISTEMA UNIVERSITARIO

PERCHÉ LE UNIVERSITÀ SONO SEMPRE PIÙ GERARCHICHE E BUROCRATIZZATE?
Roars segnala un articolo di Ben Martin, noto professore di Science & Technology Policy Studies all’Università del Sussex, intitolato “What’s happening to our universities?“. Un articolo che si domanda come mai, proprio quando gli studi aziendali sottolineano i vantaggi delle organizzazioni “orizzontali”, le università proseguono la loro trasformazione in strutture sempre più verticistiche, burocratiche e autoritarie. Segue un abstract dell’articolo comparso su Prometheus, 34:1, 7-24, 2016: “In recent decades, many universities have been moving in the direction of a more hierarchical and centralised structure, with top-down planning and reduced local autonomy for departments. Yet the management literature over this period has stressed the numerous benefits of flatter organisational structures, decentralisation and local autonomy for sections or departments. What might explain this paradox? And why have academics remained strangely quiet about this, meekly accepting their fate? The paper critically examines the dangers of centralised top-down management, increasingly bureaucratic procedures, teaching to a prescribed formula, and research driven by assessment and performance targets, illustrating these with a number of specific examples. It discusses a number of possible driving forces of these worrying developments, and concludes by asking whether academics may be in danger of suffering the fate of the boiled frog”. (Fonte: Red.ne Roars 08-04-18)

CRITICITÀ DEL SISTEMA AVA (AUTOVALUTAZIONE, VALUTAZIONE PERIODICA, ACCREDITAMENTO), IL SISTEMA INTEGRATO PER LA VALUTAZIONE DEL NOSTRO SISTEMA DI ISTRUZIONE TERZIARIA
Le procedure delineate dall’ANVUR per la gestione dei processi di Autovalutazione e per la trasmissione di informazioni dagli atenei all’ANVUR per la valutazione delle sedi e dei corsi di studio, basate sulla Scheda SUA-CdS e sui processi di Riesame annuale e ciclico, si sono rivelate eccessivamente farraginose, trasformandosi spesso in mere formalità burocratiche, nonostante le revisioni operate con gli obiettivi di semplificare e razionalizzare il sistema. L’impostazione adottata ha prodotto un consistente appesantimento del lavoro di gestione dei corsi di studio sia per il personale docente sia per il personale amministrativo, su aspetti in buona parte puramente formali. La percezione diffusa e ben espressa dal CUN (2017) è che la gestione dei processi valutativi viene oggi vissuta come momento puramente tecnico e formale riservato a pochi addetti ai lavori, e non come momento collegiale di elaborazione e sviluppo degli obiettivi del corso di studio e di verifica del loro effettivo perseguimento. (Fonte: A. Decataldo. Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, n. 1/2018, https://tinyurl.com/y97p6xz2 )

UNIVERSITY FOR INNOVATION (U4I), LA PRIMA ESPERIENZA NAZIONALE DI COLLABORAZIONE TRA ATENEI PER VALORIZZARE L’INNOVAZIONE
Nella stagione delle università che si consorziano su temi comuni – l’Istituto superiore Iuss di Pavia con le omologhe di Pisa, Normale e Sant'Anna  e le quattro università dell'Emilia Romagna (Bologna, Parma, Ferrara e Modena-Reggio) per l’ingegneria dei motori -, in Lombardia tre atenei danno vita a una fondazione che intende sviluppare progetti condivisi e attrarre finanziamenti internazionali per il decollo degli stessi progetti. Le università di Bergamo, Milano-Bicocca e Pavia – cento chilometri di distanza per legarle una all’altra in un territorio che si sta imponendo come il luogo italiano della ricerca pubblica e privata – hanno varato oggi alla Fondazione Giannino Bassetti “University for innovation” (U4I), la prima esperienza nazionale di collaborazione tra atenei per valorizzare l’innovazione, trasferire tecnologia tra dipartimenti e verso l’industria e sviluppare insieme nuovi brevetti. La base di partenza del progetto è ambiziosa. Mezzo milione di euro impegnati, quarantun dipartimenti dei tre atenei coinvolti (quattordici sono stati riconosciuti dal ministero dell’Istruzione dipartimenti di eccellenza), duemila ricercatori coinvolti e cento famiglie di brevetti (documenti brevettuali collegati tra loro) già a disposizione. In otto ambiti disciplinari, i tre atenei hanno fin qui attivato quaranta spin off. Cristina Messa, rettrice dell’Università di Milano-Bicocca: “Nasce un nuovo modello di sviluppo di ricerca che aiuterà ricercatori e imprenditori, potrà fare da acceleratore alla crescita economica e industriale del Paese e diventare una buona pratica nel campo della ricerca applicata”. (Fonte: C. Zunino, R.it Scuola 11-04-18)

UNA MAGGIORE AUTONOMIA DALLO STATO PER LE UNIVERSITÀ D’ECCELLENZA?
Accordare alle università di eccellenza una maggiore autonomia dallo Stato, in modo da consentire loro di organizzarsi al meglio per reperire risorse sul mercato attraverso il trasferimento tecnologico. La proposta mira a introdurre trattamenti diversi per le diverse università. Sarebbe, peraltro, una disparità controllata dallo Stato, attraverso accordi con le università interessate, e, soprattutto, coerente con un principio di differenziazione che è un postulato dell'autonomia: le università non sono tutte uguali, quindi è ragionevole assoggettarle a discipline variabili. La proposta implica, dunque, di differenziare sul versante delle forme di autonomia e forse anche su quello del finanziamento pubblico agli atenei. Occorre valutare i margini di manovra per operare simili differenziazioni a legislazione vigente. Certamente più difficile è allentare in modo differenziato i vincoli che gravano sulle università, e su quelle statali in particolare. La vicenda degli ultimi decenni è, in buona parte, un circolo vizioso di riduzione di risorse, cattivo esercizio dell'autonomia universitaria e limitazione di essa, con norme sempre più dettagliate, volte principalmente a limitare o rallentare la spesa. La limitazione dell'autonomia ha riguardato l'organizzazione didattica, i corsi di studio, il reclutamento dei docenti, i trattamenti economici, l'uso dei fondi, la rendicontazione, la valutazione e altro ancora. Il risultato è una disciplina estremamente pervasiva, che ostacola l'innovazione e la capacità delle università italiane di competere con i migliori atenei stranieri. La legge offre, tuttavia, qualche strumento per semplificare e differenziare. Per quanto riguarda l'assetto organizzativo, la legge n. 240 del 2010 (legge Gelmini) stabilisce che, sulla base di accordi di programma con il Ministero e nel rispetto dei criteri da esso definiti, le università che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca, possano sperimentare propri modelli funzionali e organizzativi. Per il resto, si può intervenire sui numerosi regolamenti ministeriali e di ateneo. Si possono ipotizzare forme di gestione separata e semplificata per i fondi di provenienza privata: una maggiore autonomia gestionale e contabile delle relative strutture potrebbe ben essere prevista dagli statuti. Per attuare una proposta del genere serve una forte volontà riformatrice: differenziare significa rinunciare alle norme uguali per tutti e, perciò, rassicuranti. Significa, quindi, per i diversi soggetti coinvolti (incluse le università interessate, che sarebbero chiamate a esercitare l'autonomia conquistata) assumere responsabilità. (Fonte: B. G. Manarella, IlSole24Ore 22-04-128)

IL TRASFERIMENTO TECNOLOGICO COME FUNZIONE ISTITUZIONALE DELLE UNIVERSITÀ
Il trasferimento tecnologico non può essere lasciato alla sola iniziativa di singoli docenti meritevoli e appassionati ma deve diventare una specifica funzione istituzionale da includere, a pieno titolo, nella missione di quelle università che intendono e sanno farne un loro specifico fatto distintivo. Occorre dare alle università che hanno ambizioni risorse e aspettative per un salto di qualità nel trasferimento tecnologico, mirati e più avanzati ambiti e livelli di flessibilità e autonomia connessi all'organizzazione e gestione delle relative attività, con la possibilità di dotarsi delle strutture e delle competenze specialistiche che servono. Un simile, ambizioso progetto per riuscire ha bisogno di tre ingredienti, il primo è il tempo. Attrezzarsi e imparare a fare bene il trasferimento tecnologico, con risultati e ritorni apprezzabili, è una operazione che richiede anni. Il secondo ingrediente è la leadership, come condizione stabile di una governance universitaria efficace e dinamica che guarda al futuro, con un deciso orientamento al raggiungimento di obiettivi strategici. Il terzo ingrediente ha a che fare con la proposta progettuale utile a fare avallare dall'ambiente accademico e dalla tecnostruttura l'iniziativa. (Fonte: R. Varaldo, Sole Nova 22-04-18)

LA MISSIONE DELL'UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
La missione dell'Università Cattolica del Sacro Cuore appare più che mai attuale per sostenere lo slancio e le capacità innovative dei giovani. E’ un compito impegnativo che può essere realizzato solo sviluppando l'eredità umanistica e spirituale che si muove nel solco antico e sempre nuovo della sapienza cristiana con i suoi quattro pilastri: la ricerca appassionata della verità, lo stupore e la contemplazione di fronte alla bellezza, il desiderio sincero di costruire nel dialogo e nell'accoglienza il bene di tutti e di ciascuno, il costante impegno per rendere la casa comune sempre più armoniosa, solidale e pacifica. Servono personalità coraggiose e intraprendenti come i fondatori di questo prestigioso ateneo, capaci di grandi sogni e visioni ardite. (Fonte: da una lettera del cardinale Pietro Parolina, segretario di Stato, inviata all'arcivescovo di Milano Mario Delpini, L’Osservatore Romano 17-04-18)


STUDENTI. TASSE UNIVERSITARIE

AIUTARE I GIOVANI CON PIÙ EDUCAZIONE PIUTTOSTO CHE CON UN BONUS MONETARIO
«lo penso che di norma piuttosto che dare il pesce bisogna insegnare alle persone a pescarlo. Dando a un giovane 12mila euro o anche più non si risolve certo la questione principale, che oggi - per i millennials, ma in realtà per tutti i giovani e non solo per loro - è soprattutto il problema di avere a disposizione le conoscenze che ti permettono di riuscire in età adulta. Quindi, dovendo scegliere come aiutare i giovani, io li aiuterei con più educazione piuttosto che con un bonus monetario da spendere a discrezione». Così Alessandro De Nicola, editorialista e presidente della Adam Smith Society. Però in Italia mantenere un figlio agli studi presso un ateneo di qualità è molto costoso...«In Italia abbiamo il problema della qualità dell'offerta universitaria. Nel senso che abbiamo alcune università di grande eccellenza, ma poi abbiamo atenei che non sono eccellenti per nulla. È più un problema di offerta che di domanda, perché in effetti il costo dell'università non è poi così alto, e io sono dell'idea che una cosa offerta gratis è una cosa che viene svalorizzata. È una questione che riguarda l'istruzione universitaria, ma anche quella secondaria: ricordiamoci che il 20% degli italiani giovani si laurea, ma il 70% no. Si può far meglio da questo punto di vista, ma ci serve comunque una istruzione secondarla di qualità, che in questo momento non c'è. A parte le grandi disparità regionali, il fatto che ci sia una scuola che non ha un minimo criterio competitivo di selezione dell'offerta formativa, di libertà di scelta e così via porta all’offerta indifferenziata. Un sistema in cui il professore volenteroso e bravo è pagato come quello che si limita a timbrare il cartellino. Una scuola che non riesce ad attrarre dei fondi esterni o che non può ricevere in regalo dei computer, un sistema che scoraggia e non premia il merito. Oggi la questione non è tanto il mercato del lavoro ma quella della conoscenza, e a maggior ragione della conoscenza continua, visto che i saperi evolvono molto velocemente. Bisogna fornire alle persone il massimo delle opportunità possibili per istruirsi. Questa è l'unica mossa che può creare ricchezza». (Fonte: La Stampa 09-05-18)         


VARIE

DIRITTO ALLA SCIENZA
Un progresso scientifico promosso al netto della libertà individuale o della salute e benessere pubblici può consolidare tecnocrazie che stabiliscono cosa possa o non possa esser fatto senza alcuna possibilità di appello da parte di chi ne subisce le conseguenze – anche se questo apparentemente sono tutte di segno positivo. Per evitare che la scienza divenga il più potente alleato dell’autoritarismo, occorre che gli strumenti internazionali sui diritti umani vengano applicati alle nuove frontiere della ricerca scientifica e delle sue applicazioni tecnologiche. Le decine di trattati, convenzioni, patti e documenti che contengono gli elementi che qualificano i diritti individuali e collettivi stabiliscono precisi obblighi per i paesi che incorporano queste norme universali nei loro sistemi nazionali. Dall’Afghanistan allo Zimbabwe, passando per le nostre belle e ricche democrazie occidentali, i governi nazionali son tenuti ad adottare leggi che rispettino quanto contenuto nei documenti internazionali che hanno ratificato. Tra i vari diritti previsti a livello globale ve n’è uno che dobbiamo iniziare a chiamare con il suo nome: “diritto alla scienza”: dalla libertà per i ricercatori di far il proprio lavoro al diritto di tutti di poter beneficiare del frutto delle ultime scoperte scientifiche, questo diritto alla scienza deve rientrare tra le preoccupazioni, e occupazioni, di chi ha a cuore il futuro della libertà e della democrazie perché racchiude implicazioni e le ripercussioni strutturali per il futuro dell’umanità. (Fonte: www.wired.it 09-04-18)

MEDIA EDUCATION
L'educazione ai media o media education è un'espressione entrata in uso con lo sviluppo tecnologico dei mezzi di comunicazione di massa e si riferisce alla formazione delle capacità di utilizzare opportunamente i mezzi di comunicazione di massa. Non va quindi confusa con l'educazione con i media, generalmente indicata con l'espressione "didattica tecnologica" o "tecnologie didattiche", laddove i mezzi di comunicazione sono considerati semplicemente in prospettiva strumentale. Media education concorre alla formazione del “cittadino scientifico” della network society proprio perché l’uso delle nuove tecnologie deve comportare un’attitudine critica e riflessiva nei confronti delle informazioni, l’uso responsabile dei mezzi di comunicazione, un interesse a impegnarsi in reti con scopi culturali. (Fonte: www.agendadigitale.eu 06-04-18)

ROARS HA RAGGIUNTO 20 MILIONI DI VISITE
Venti milioni di visite in sei anni e mezzo. Cominciamo con la parte più facile. I numeri: 3.400 articoli pubblicati, più di uno al giorno, che hanno stimolato molti dibattiti tra i lettori, testimoniati da più di 45.000 commenti. Sono più di 300 gli articoli che hanno superato le 10.000 visite. Ospitiamo commenti e discussioni anche nel nostro gruppo Facebook che conta più di 17.000 aderenti. Siamo anche su Twitter, dove @Redazione_ROARS ha 3.700 followers. Forse Roars ha ottenuto questo numero di visite perché non c’era (e non c’è!) concorrenza. Certo ci sono un paio di blog (lavoce.info e noiseFromAmeriKa) che, dal punto di vista del tema specifico, sarebbero quasi irrilevanti, se non fosse che nel primo è stata elaborata gran parte della politica dell’università, della ricerca (e della scuola e non solo!) adottata dai governi di ogni colore nell’ultimo decennio. Va anche detto che (a parte sparute e lodevoli eccezioni) su università e ricerca gli organi di informazione esibiscono un buco nero informativo. Forse i milioni di visite a Roars si spiegano perché soddisfano il bisogno di una informazione puntuale e indipendente, attenta alla correttezza dei dati e alla trasparenza dell’analisi informata. Forse Roars con i suoi lettori ha contribuito al formarsi di ciò che Michael Warner ha definito un contropubblico portatore di una moderna coscienza identitaria definitasi nella sfera pubblica, che in qualche modo riesce ad accomunare i membri di una comunità litigiosa e tendenzialmente composta da prime donne come quella universitaria. Forse, grazie a Roars, qualche granello di maggiore consapevolezza ha potuto diffondersi fra molti colleghi presenti, passati e magari (magari) futuri; specialmente la coscienza e l’orgoglio di sapere che il professore svolge un lavoro di formazione fondamentale, con ricadute sociali e politiche, e non può e non deve rinunciare ad esercitare la sua critica intellettuale nella società in cui svolge il suo lavoro. Ed è per questo che la sua autonomia e la sua libertà sono valori da proteggere. (Fonte: Redazione Roars 16-05-18)
Commento: Più che i 20 milioni di visite contano le analisi e le critiche espresse sul blog in oltre sei anni che, anche per chi non è in toto omologato all’orientamento politico-universitario di Roars, rappresentano un unicum per approfondire la storia dell’università e della ricerca italiana degli ultimi sei anni vista anche da “fuori del palazzo”. (PSM, http://www.universitastrends.info ).  Per saperne di più https://tinyurl.com/y8n8sbe7 .

UN NUOVO PARADIGMA DIDATTICO, LA PAROLA ‘COMPETENZE’
La parola ‘competenze’, a scuola e all’università, indica oggi un nuovo paradigma didattico imposto dall’Unione europea e veicolato in Italia da Confindustria e Ministero dell’istruzione, attraverso raccomandazioni, documenti e dispositivi di legge.
Presupposto e fine ultimo di un’operazione che si sta davvero configurando come una manovra a tenaglia su scuola e università e che sta subendo in questi mesi una fortissima accelerazione è dunque una nuova idea di società e dell’individuo che la abita. Nella learning society, che non vuol dire affatto ‘società della conoscenza’ bensì ‘società dell’apprendimento’, domina il mandato all’apprendimento costante e lungo l’intera esistenza (il lifelong learning), la spinta all’accumulo sul campo di competenze spendibili sul campo, in un assoluto tecnocratico di cui non vengono discusse direzione e finalità. Le competenze costituiscono il dispositivo perfetto in una dimensione come quella attuale, in cui il mercato è il generatore simbolico di ogni valore, e in cui economia, ecologia, politica, sociologia, filosofia, pedagogia convergono, nel grande contenitore del pensiero unico, sull’obiettivo comune, forse per taluni inconsapevole ma in ogni caso colpevolmente perseguito, della creazione di un nuovo tipo d’uomo-lavoratore costruito a scuola, davvero il ‘replicante’ di Blade Runner, adattato alle condizioni del mondo globalizzato del terzo millennio e dunque flessibile perché disponibile, fungibile perché non specializzato, nomade e pellegrino ma non cosmopolita né cittadino del mondo, confinato nella ridotta di un’obbligatoria autoimprenditorialità, l’ottava delle competenze chiave europee, che se per qualcuno può ancora configurare il miraggio di un successo personale, per la stragrande maggioranza dell’umanità è e sarà mero addestramento alla sopravvivenza economica, professionale, esistenziale. (Fonte: A. Angelucci, Intervento presentato a Officina dei Saperi,  Roma – 16 marzo 2018, Roars 06-04-18)

RISULTATI DEI MUSEI STATALI 2017
All’inizio dell’anno l’ormai ex ministro Franceschini ha presentato i dati dell’Ufficio statistica del Mibact sui risultati dei musei statali 2017. L’Italia si rivela improvvisa portatrice sana di un patrimonio di 4.588 musei, gallerie, collezioni, aree e parchi archeologici; tra di essi, oltre 4mila sono musei, gallerie e collezioni. Beni pubblici e privati diffusi capillarmente, con il record di 1,5 musei o istituti analoghi nel raggio di 100 chilometri quadrati: uno ogni 13 mila abitanti. Il bilancio è passato dai 38 milioni del 2013 ai 50 milioni del 2017, i visitatori sono aumentati in quattro anni di circa 12 milioni (+31%) e gli incassi di circa 70 milioni di euro (+53%). A fronte di un aumento degli introiti di circa 20 milioni di euro (+11,7%), sono aumentati anche i visitatori non paganti (+15%) grazie al successo delle prime domeniche del mese che, nel solo 2017, hanno portato più di 3,5 milioni di persone gratuitamente nei luoghi della cultura statali. I cinque luoghi della cultura più visitati sono: il Colosseo (oltre 7 milioni), Pompei (3,4), gli Uffizi (2,2), l’Accademia di Firenze (1,6) e Castel Sant’Angelo (1,1). Il Lazio registra il maggior numero di visitatori (23.047.225), a seguire si trova la Campania (8.782.715) e poi la Toscana (7.042.018), mentre gli incrementi dei visitatori più significativi sono registrati in Liguria (+26%), Puglia (+19,5%) e Friuli Venezia Giulia (15,4%). Palazzo Pitti (+23%) ha registrato il maggior numero di crescita del proprio pubblico, seguito da quattro siti campani: la Reggia di Caserta (+23%), Ercolano (+17%), il Museo Archeologico di Napoli (+16%) e Paestum (+15%). Significativa la crescita in classifica della Pinacoteca di Brera (+7 posizioni), di Palazzo Pitti (+5 posizioni), dei Musei reali di Torino (+4 posizioni) e l’ingresso in classifica, per la prima volta, di Villa Adriana e del Museo di Capodimonte. (Fonte: G. Bria,  www.artribune.com 29-04-18)


UNIVERSITÀ IN ITALIA

56 UNIVERSITÀ HANNO UN UFFICIO CHE SI OCCUPA DI BREVETTI, LICENZE E SPIN-OFF
Secondo i dati del XIV Rapporto sul trasferimento tecnologico (TT) dell’associazione Netval, 56 università hanno un ufficio che si occupa di brevetti, licenze e spin-off, 23 dei quali costituiti fra il 2004 e il 2006. E anche se i 225 pionieri che si occupano di valorizzare la ricerca dei centri di ricerca quasi totalmente pubblici sono ancora una piccola frazione rispetto alle controparti di altri Paesi, si assiste negli ultimi anni a un miglioramento graduale in quasi tutti i parametri del trasferimento tecnologico. Segno di un clima che sta cambiando e che orienta anche la nostra accademia a qualche timida apertura al mondo del business e del rapporto con l’impresa. Il numero medio di addetti per università è passato da 3,8 a 4,2 dal 2015 al 2016 (ultimo anno considerato nel rapporto), con un massimo di circa 10 addetti nelle 5 università di punta, quasi tutte situate nel nord del Paese. Nel portafoglio delle 56 università considerate i brevetti sono 3.917, di cui nell’ultimo anno 278 brevetti ottenuti (sulla situazione italiana nel campo brevetti leggi qui). L’intero sistema delle università italiane spende 8 milioni di euro per questi uffici che dovrebbero costituire un ponte fra il mondo della ricerca e quello del mercato e dell’industria. Certo, se lo raffrontiamo al fondo universitario per le università, pari a circa 5,5 miliardi di euro, è davvero niente, considerando che la valorizzazione della ricerca costituirebbe il cuore della terza missione. In media ogni università spende 240 mila euro per la protezione della proprietà intellettuale (contro i 53 dell’anno precedente). L’altro grande capitolo degli uffici TT è l’avvio di spin-off, considerati dagli stessi addetti degli uffici ancora più strategici dei brevetti. Alla fine del 2017, il numero delle piccole imprese germinate in un terreno accademico era 1.373, con un buon tasso di sopravvivenza. Ora che tutte le università hanno un Ufficio di trasferimento tecnologico si potrebbe avviare la fase 2, che passa attraverso la collaborazione di più centri e atenei, con la sperimentazione di forme societarie specializzate nell’economia e marketing della ricerca. (Fonte: L. Carra, www.scienzainrete.it 24-04-18)

UNIBOCCONI
Università Bocconi Milano ha sposato la formula della confederazione, realizzando insieme agli atenei dl Bergamo e Pavia una fondazione (University for innovation, U41) per catturare importanti investitori internazionali, valorizzare un portafoglio antico di brevetti e diffondere la cultura dell'innovazione. La fondazione U41 guarda, in particolare, alle esperienze straniere di maggiore successo nel campo del trasferimento tecnologico come istituti e università Inglesi e Israeliane, prime al mondo per qualità della ricerca e della didattica.

UNIVE CA' FOSCARI. NUOVI DOTTORATI E MASTER IN INGLESE
L'Università CaFoscari Venezia formerà scienziati in grado di sintetizzare nuovi nano-materiali per la ricerca oncologica e l'ambito biomedico. Ciò sarà possibile grazie a un nuovo corso di dottorato sviluppato in collaborazione con il Centro di riferimento oncologico di Aviano. In particolare, il dottorato di ricerca in Scienza e tecnologia dei bio e nanomaterali partirà a settembre 2018 e sarà interamente in lingua inglese. Ca' Foscari, infatti, ha appena aperto il bando per gli aspiranti ricercatori, unico per tutti i dottorati cafoscarini (www.unive.it/dottorati ): fino al 26 aprile era possibile candidarsi e partecipare alle selezioni per i 13 dottorati per i quali sono a disposizione ben 92 borse di studio, molte finanziate da aziende, enti di ricerca (tra cui Istituto Italiano di Tecnologia ed Eurac) e importanti progetti di ricerca europei. Sei dottorati saranno in inglese, altrettanti dottorati internazionali si svolgeranno in partnership con università come la Sorbona e Heidelberg. Sono otto invece i dottorati “industriali» grazie ai quali possono accedere al dottorato i dipendenti di enti e aziende che vogliono investire nell'alta formazione del loro personale. Ca' Foscari presenta, inoltre, il nuovo master of research in Science and management of climate change che arricchisce l'offerta formativa gestita dalla Challenge School di Ca' Foscari ed è integrato al dottorato, unico nel suo genere in Italia, e tra i pochi al mondo a unire scienze del clima ed economia dei cambiamenti climatici. (Fonte: F. Grossi, ItaliaOggi 09-04-18)

MILANO. PRIMO ATENEO DEI CINESI PER I CINESI
Gli edifici di via Durando 39, il cosiddetto Bovisa Tech, sono stati comprati in blocco dall'università cinese di Pechino, la Tsinghua, per 50 mln. Ufficialmente aperta la nuova sede che comprende una scuola internazionale di design, un centro di ricerca e un incubatore di imprese. Prima università cinese per cinesi in Italia, porta di Pechino in Italia e in Europa. L'arrivo della Tsinghua in Bovisa può essere letto in diversi modi, ma quello che è certo — spiegano gli addetti ai lavori — è che si tratta di una mossa molto importante che poco ha di politico e molto di economico. La rapidità con cui i vertici cinesi si sono mossi e la capacità di concentrare risorse in un settore tecnologico ben definito hanno lasciato sbalorditi i colleghi italiani che di soldi pubblici investiti nella ricerca per l'ingegneria e il design non ne vedono tantissimi. Anche perché la Tsinghua ha intenzione di fare le cose in grande: i 50 milioni messi sul piatto sono serviti solo per comprare le mura ma altri investimenti arriveranno per fare degli spazi di via Durando un vero e proprio distretto del design, come ha assicurato Yuan Wei, presidente della Tus Holding ovvero il braccio economico della Tsinghua. (Fonte: La Repubblica Milano 18-04-18)

UNITO. NUMERO CHIUSO E RIDUZIONE DEI DOCENTI
Tre giorni fa è diventata ufficiale la decisione dell’ex facoltà di Economia di reintrodurre il numero chiuso. Dal prossimo anno accademico per potersi iscrivere alle triennali di Economia aziendale ed Economia e commercio bisognerà superare quel test d’ingresso cancellato due anni fa. Ritorno al passato, voluto dai dipartimenti di Management e di Scienze economico-sociali (Esomas), che ha scatenato le critiche perché motivato da un problema di spazi, ma anche dalla scarsità di docenti. L’Università di Torino nel 2012 contava 2.094 docenti. Poi, secondo il Coordinamento ricercatrici e ricercatori precari, si è assistito a una riduzione senza freno che nel 2017 li ha portati a 1.882: nel mandato del rettore Gianmaria Ajani (eletto nel 2013) si sono persi 212 docenti. Un calo del 10%, dettato dal blocco del turnover del personale universitario deciso dal governo, che ha tagliato la ridistribuzione dei punti organico necessari per sostituire i pensionamenti o i trasferimenti di professori e ricercatori. (Fonte: P. Coccorese, La Stampa 26-04-18)


UE. ESTERO

HORIZON EUROPE
Il più grande programma quadro per la ricerca di sempre, con investimenti pari a 100 miliardi di euro per il periodo 2021-2027 si chiamerà «Horizon Europe». Prenderà il testimone da Horizon 2020 e tra le sue priorità ci sarà cibo, energia e clima. Annunciata dalla Commissione europea, la notizia è stata ripresa dai siti delle riviste «Science» e «Nature. Il 2 maggio scorso la Commissione Europea ha presentato la sua proposta di budget per il periodo 2021-2027. La fetta destinata alla ricerca e all'innovazione è di 114,8 miliardi di euro, di cui 97,9 per Horizon Europe. (Fonte: Scienza in rete 08-05-18)

IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DEI SISTEMI DI ISTRUZIONE UNIVERSITARIA IN EUROPA
Il miglioramento della qualità dei sistemi di istruzione universitaria in Europa resta una
tematica di grande attualità, a prescindere dai risultati del processo di Bologna. Per raggiungere questi obiettivi, la Commissione auspica che gli strumenti per aumentare la qualità diventino maggiormente efficaci, efficienti e trasparenti. In questa fase di importante evoluzione degli equilibri economico sociali, la Commissione europea considera cruciale mantenere e, se possibile, aumentare la qualità dell’istruzione superiore, per consentire agli studenti di acquisire un elevato livello di competenze spendibili su un mercato del lavoro sempre più globalizzato e contribuire al raggiungimento degli obiettivi di crescita previsti dal programma Europa 2020 (European Commission, 2014).
Venendo al quadro d’insieme, ciò che si evidenzia a livello europeo è una diversificazione dei sistemi di qualità, alcuni incentrati sull'accreditamento e altri legati alla valutazione dell'efficienza/efficacia della didattica e della ricerca; tale situazione, in termini di impatto sulle strutture, porta a diversi risultati finali. In generale, sui contenuti, tutti i sistemi di qualità europei, di accreditamento e valutazione, sono focalizzati sulla didattica e solo per alcuni sono stati sviluppati indicatori anche per la ricerca. La maggioranza contempla temi come il management interno e l'organizzazione dei servizi agli studenti, molti valutano le ricadute occupazionali dei titoli di studio ma ci sono anche esempi di sistemi di qualità studiati su misura e adattati per area di specializzazione universitaria, che
mettono in rilievo tematiche come l'internazionalizzazione delle strutture e la propensione
all'imprenditorialità nello sfruttamento dei risultati. Dopo un decennio di valutazioni di impatto del sistema regolatorio europeo sugli atenei, le citate linee guida del 2015 hanno incrementato il coinvolgimento degli studenti nel sistema di qualità, nel convincimento che questo approccio, già di successo in alcuni Paesi (Regno Unito, Belgio e Olanda, Danimarca, Irlanda, ecc.), nei quali, tuttavia, la partecipazione degli studenti al processo decisionale e valutativo è storicamente più
consolidata, potesse dare un contributo al miglioramento qualitativo. (Fonte: M. Canino, Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, n. 1/2018)

POST-BREXIT. L’ATTRAZIONE DEI RICERCATORI PER LA UE
Uno studio del febbraio 2018, pubblicato dal Centre for Global Higher Education, con sede nel Regno Unito, riporta che molti accademici tedeschi considerano la Brexit un “vantaggio” e sperano di sfruttarlo per attirare ricercatori britannici nelle università tedesche. A loro volta, gli accademici britannici riferiscono che i propri laureati non cercano posizioni nel Regno Unito ma guardano invece all’UE o agli Stati Uniti. E la situazione potrebbe peggiorare. Uno studio del novembre 2017, condotto dalla britannica School of International Futures per la Royal Society, descrive un possibile Regno Unito post-secessione in cui le università competono per un ristretto gruppo di progetti qualificati prima finanziati dalla UE. Allo stesso modo, le imprese con sede nell’UE che finanziano la ricerca nelle università, potrebbero preferire mantenere i loro investimenti all’interno della comunità europea per evitare i grattacapi fiscali e normativi legati a collaborazioni di lavoro con istituzioni del Regno Unito post-Brexit. Secondo un’analisi del 2017 pubblicata sulla rivista scientifica Nature, i ricercatori stanno “affollando il paese” (la Germania), in parte a causa della Excellence Initiative da 4,6 miliardi di euro, che ha contribuito ad attirare almeno 4.000 scienziati stranieri in Germania dal 2005. (Fonte: Reuters 26-04-18)

ADVANCED GRANTS DA EUROPEAN RESEARCH COUNCIL
Sono stati annunciati i 269 vincitori della nuova tornata degli Advanced Grants 2018 dell'European Research Council, per un totale di 653 milioni di euro. "Gli Advanced - sottolinea Luca Carra, direttore di Scienzainrete su "Scienza in rete" - sono i riconoscimenti “senior” più ambiti in Europa: sia per la cifra ragguardevole (in media due milioni di euro), sia per il prestigio dell’European Research Council, che insieme al Sklodowska Curie da dieci anni rappresenta la principale fonte di finanziamento sovranazionale dell’eccellenza della ricerca di base. Caratteristica di questo finanziamento è che va al ricercatore, che è libero di scegliere la struttura più adatta per svolgere le sue ricerche.  Ma l’Italia non ha mai brillato negli ERC grants. I centri e le università italiane tradizionalmente non ospitano quasi mai un vincitore ERC straniero e pure gli italiani sono sempre stati pochi (420 in 10 anni) rispetto ai numeri di Regno Unito (230 solo nel 2015, per esempio). Il tasso di successo delle proposte degli italiani, considerando gli anni dal 2007 al 2015, è del 5% contro l'11% della media, in quattordicesima posizione di una classifica guidata dai francesi con 16% di successo. Quest’anno, dei 269 ricercatori premiati gli italiani sono 16 contro 50 inglesi, 40 tedeschi, 29 francesi e 21 spagnoli. (Fonte: www.italiannetwork.it 13-04-18)

FRANCIA. STUDENTI CONTRO IL SISTEMA PARCOURSUP
Studenti occupano università contro il sistema Parcoursup per l'entrata all'università, che essi accusano di introdurre elementi di selezione, mentre per il governo dovrebbe risolvere lo scandalo delle iscrizioni fatte tirando a sorte nelle facoltà più richieste. Gli studenti vogliono il ritiro della legge “Orientation et réussite des étudiants” (Ore), presentata in Consiglio dei Ministri il 22 novembre 2017 e adottata dal Parlamento lo scorso 15 febbraio. La protesta riguarda appunto la «selezione», che sarebbe introdotta dal nuovo sistema di iscrizione all'università dopo il Bac, Parcoursup. Per evitare di arrivare al tiraggio a sorte, come è successo negli anni scorsi nelle facoltà più richieste, vengono stabiliti dei prerequism per poter accedere. Il governo sostiene che finora la selezione era realizzata attraverso il fallimento, in media solo il 40% degli iscritti passa il primo anno di licenza. (Fonte: il manifesto 17-04-2018)

UK. IL MONDO ACCADEMICO COMPATTO E UNIVOCO NEL CRITICARE BREXIT
In UK il voto sull'uscita dalla Ue ha rivelato profonde differenze di opinione nel Paese, ma il mondo accademico è stato compatto e univoco nel criticare una decisione che rischia di fare gravi danni a quelle che sono considerati tra i migliori atenei del mondo. I rischi sono molteplici: alcuni intangibili, come l'erosione della reputazione di apertura e inclusività del mondo universitario, altri molto concreti come la perdita di preziosi fondi europei dopo il 2020, il possibile esodo di docenti europei e un probabile calo nel numero di studenti dall'Unione europea, soprattutto per master e dottorati. Gli ultimi dati del Russell Group, che riunisce le migliori università britanniche, mostrano un calo del 9% delle iscrizioni di studenti dell'Unione europea a corsi post-laurea nell'anno accademico in corso. Il 16% di studenti in media proviene da Paesi Ue, con picchi del 27% per materie come la matematica. Il timore è che il trend possa accelerare quando Brexit diventerà realtà e i cittadini Ue saranno considerati studenti internazionali e dovranno pagare rette universitarie molto più elevate e forse anche ottenere un visto. Un rapporto dell'Higher Education Policy Institute prevede che il numero di studenti Ue - quest'anno sono 135mila - possa crollare del 60 per cento. (Fonte: N. Degli innocenti, IlSole24Ore 06-05-18)

CINA. SENSE TIME È LA PIATTAFORMA DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE (IA) PIÙ RICCA DEL MONDO
SenseTime da qualche giorno è la piattaforma di Intelligenza artificiale (IA) più ricca del mondo. La società creata nel 2014 dal cinese Xiolan Xu, ha ideato una tecnologia per il riconoscimento facciale che è piaciuta così tanto da convincere Alibaba e altri investitori - tra cui la società cinese di e-commerce Suning.Com e il fondo statale di Singapore Temasek Holdings - a sottoscrivere un round serie C da 600 milioni di dollari. Una cifra che rappresenta un record dal punto di vista dei finanziamenti raccolti in un unico round da un'azienda di intelligenza artificiale. E che, unita al precedente finanziamento di 410 milioni di dollari (un round serie B, guidato da China's CDH Investments e dal fondo Sailing Capital), mette la società in testa alla classifica delle startup di intelligenza artificiale più importanti al mondo. Grazie a questo finanziamento SenseTime ha, infatti, raddoppiato in meno di un anno il suo valore, passando da 1,5 miliardi di dollari (valutazione che risale allo scorso luglio), a oltre 3 miliardi di dollari. (Fonte: S. Pasqualotto, IlSole24Ore 10-04-18)

CINA. RECORD DI PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE E DI INVESTIMENTI IN RICERCA
All’inizio dell’anno, la National Science Foundation degli Stati Uniti ha calcolato che nel 2016 il numero di pubblicazioni scientifiche cinesi ha superato per la prima volta quelle made in USA: 426.000 contro 409.000. Con 496 miliardi di dollari spesi, gli Stati Uniti restano il primo Paese in assoluto per investimenti in ricerca, spendendo il 26% del totale mondiale, ma la Cina segue con un incremento del 18% annuo dal 2000 (gli USA erano solo il 4%) raggiungendo i 408 miliardi di dollari (il 21% del totale globale). Il dato significativo è che nel 2016 la Cina ha totalizzato anche 34 miliardi di dollari investiti da privati in venture capital.
Negli ultimi mesi, il governo e l’industria cinese hanno lanciato decine di iniziative relative all’intelligenza artificiale – tra le più importanti la costruzione di un parco tecnologico da 2,1 miliardi di dollari alla periferia di Pechino per ospitare 400 imprese attive nel settore. Secondo la Reuters, il parco si concentrerà su tecnologie emergenti tra cui big data, deep learning, cloud computing e l’identificazione biometrica; il giro d’affari previsto è di 7,68 miliardi di dollari all’anno.
Gli Stati europei con < 0,7% di investimenti pubblici in R&S rispetto al PIL alimentano sempre meno innovazione e nuova conoscenza. Non molto diversi Giappone e USA. Invece Cina e Corea del Sud investono sempre più denaro pubblico in ricerca. La Cina da meno dello 0,4 allo 0,5% in R&S. La Corea del Sud da 0,6 allo 0,9%. (Fonte: www.wired.it 09-04-18)


LIBRI. RAPPORTI. SAGGI

LA «GRANDE TRASFORMAZIONE» DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
Autori: Davide Borrelli Marialuisa Stazio. Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, n. 1/2018. https://tinyurl.com/ycxy9dr5 
Nell'introdurre questo numero monografico sulla “grande trasformazione” dell'università negli ultimi anni, il nostro contributo fa il bilancio della situazione italiana, valutando l'impatto delle politiche recentemente adottate sulla problematica condizione dell'istruzione superiore nel nostro Paese. Emerge un quadro fortemente critico e negativo: l'adozione delle logiche gestionali del New Public Management all'interno dell'università italiana (ad esempio, mediante il “mito razionalizzato” della qualità e i sistemi di valutazione premiale) non solo fallisce l'obiettivo di ampliare il bacino di utenza della formazione terziaria, ma tende a produrre effetti perversi e disfunzionali che  moltiplicano le forme di dominazione e di comando all'interno del sistema della ricerca scientifica e accentuano gli squilibri e le differenze territoriali. (Fonte: Introduzione degli Autori)

UNIVERSITALY. LA CULTURA IN SCATOLA.
Autore: Federico Bertoni.  Laterza, Bari, 2016, 150 pagg.
Al trasversale e animato dibattito sul destino dell’università e sui cambiamenti che, ormai da diverso tempo, la interessano, partecipa anche F. Bertoni, professore di Teoria della letteratura presso l’Università di Bologna, con il suo libro “Universitaly. La cultura in scatola”, definito dal suo Autore «un racconto, un saggio di critica culturale e un testardo gesto d’amore» per il sapere e per la stessa università, oggi ridotta a «uno straordinario concentrato di stupidità». Una constatazione inequivocabilmente amara, gravata dal peso della «piena complicità del corpo docente», ma da cui non nasce il rimpianto per una passata condizione, come Bertoni sottolinea a più riprese. Poste tali premesse, l’Autore si propone di individuare le ragioni alla base di «un fallimento collettivo» e di guardare alle cose dall’interno, con l’intenzione di mettersi in gioco «personalmente», così riuscendo a far fare esperienza al lettore di quella che è, oggi, «la giornata di un professore».  (Fonte: A. D’Ascanio, http://rivista.scuolaiad.it  11-2016)
L’università di Bertoni mi sembra presa in uno scarto troppo ampio fra le assurde costrizioni e il lessico distorto della quotidianità accademica nostrana e le logiche globali del mercatismo (che, come ha avvertito uno dei maggiori storici dell’università in età contemporanea, Robert Anderson, ha poco a che fare con il liberalismo: nel XIX secolo, l’età d’oro del capitalismo laissez-faire, nessuno sostenne che le università dovessero essere rette come imprese commerciali); eppure scelte diverse rispetto a quelle compiute in Italia, negli anni della crisi, si sono rivelate praticabili, nello spazio specifico della politica. Un’ultima considerazione, fra le molte possibili, riguarda una sospensione di giudizio, sul punto chiave della valutazione. Con tutti i possibili rilievi, tecnici e di merito, che possono essere mossi alle opache e discutibilissime procedure adottate in Italia – se mi si passa la semplificazione polemica, sembra a volte che lo scopo ultimo sia quello di graduare senza valutare, valendosi di criteri estrinseci e formali, in modo assolutamente contrario ad ogni buona prassi scientifica –, io non sono così persuaso, come pare essere Bertoni, del fatto che, di fronte a una cattiva valutazione, sarebbe preferibile farne a meno del tutto. (Fonte: M. Moretti, Roars 14-04-18)

LA CERTIFICAZIONE DI QUALITÀ DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA DOPO LE NUOVE INDICAZIONI MINISTERIALI
Autore: Monica Canino. Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, n. 1/2018, 28 pg. -  https://tinyurl.com/yan6mqtf .
L’Italia prosegue la sua strada nell’allineamento alle prescrizioni europee in materia di accreditamento delle Istituzioni universitarie iniziata nel 2005, nel contesto del processo di Bologna. In particolare, la rivisitazione degli standard definiti dall’ENQA-European Association for Quality Assurance in Higher Education del 2015 ha reso necessario un nuovo sforzo di adeguamento delle procedure e degli standard definiti a livello nazionale. Nel lavoro viene ripercorsa la genesi del sistema di accreditamento in Europa e in Italia e vengono illustrate le recenti disposizioni ministeriali in materia di programmazione e accreditamento, con un breve riferimento ai documenti di attuazione emanati dall’ANVUR. In fine, si prospetta una valutazione
complessiva del sistema, fornendo una visione d’insieme delle tendenze in atto a livello europeo.

THE OPEN SCIENCE TRAINING HANDBOOK
A group of fourteen authors came together in February 2018 at the TIB (German National Library of Science and Technology) in Hannover to create an open, living handbook on Open Science training. High-quality trainings are fundamental when aiming at a cultural change towards the implementation of Open Science principles. Teaching resources provide great support for Open Science instructors and trainers.
Sharing their experience and skills of imparting Open Science principles, the authors produced an open knowledge and educational resource oriented to practical teaching. The focus of the new handbook is not spreading the ideas of Open Science, but showing how to spread these ideas most effectively. The form of a book sprint as a collaborative writing process maximised creativity and innovation, and ensured the production of a valuable resource in just a few days.
Bringing together methods, techniques, and practices, the handbook aims at supporting educators of Open Science. The result is intended as a helpful guide on how to forward knowledge on Open Science principles to our networks, institutions, colleagues, and students. It will instruct and inspire trainers how to create high quality and engaging trainings. Addressing challenges and giving solutions, it will strengthen the community of Open Science trainers who are educating, informing, and inspiring themselves. (Fonte: https://book.fosteropenscience.eu/ , which is the most friendly way to read the book).