domenica 15 febbraio 2015

INFO UNIVERSITARIE n. 2 (16-02-2015)

IN EVIDENZA

SEI PUNTI PROPOSTI DAI RETTORI AL PREMIER MATTEO RENZI PER ATENEI PIÙ GIOVANI
Obiettivo dichiarato è la costruzione di una «Università più giovane e più europea». Per questo la Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) ha elaborato un documento, che è stato inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi e al ministro dell'Istruzione Stefania Giannini. Il documento si compone dei seguenti punti:
1) un piano giovani che riduca drasticamente l'età media dei docenti e dei ricercatori e che acceleri l'ingresso di giovani studiosi, arrestandone la perdita degli ultimi anni;
2) un nuovo diritto allo studio che permetta l'accesso di più studenti nelle Università, con particolare riferimento alle aree più deboli del Paese;
3) un sistema di norme che riconosca, nel rispetto del principio della trasparenza e della responsabilità, le specificità delle Università rispetto alle P.A. e, attraverso la raccolta in un "Testo Unico", ne semplifichi drasticamente l'attuale quadro di azione;
4) un rilancio della ricerca che sostenga i settori di eccellenza nella competizione internazionale, l'innovazione e il rapporto delle Università con il territorio e le imprese;
5) un consolidamento del sistema universitario che assicuri il giusto equilibrio tra università statali e non statali in un quadro di regole condiviso e, inoltre, differenzi chiaramente il ruolo e i compiti delle università telematiche;
6) una messa a regime del sistema di finanziamento delle Università che sappia coniugare sostenibilità, merito ed equità. (Fonte: Il Mattino 30-01-2015)

PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE. I VANTAGGI DEL FORMATO DIGITALE
In formato digitale, le pubblicazioni accademiche possono raggiungere in maniera immediata tutti gli specialisti del settore, ovunque essi si trovino. Grazie ai motori di ricerca e ai social network, un libro o un articolo in digitale può circolare in modo semplice, permanente e globale. Incidentalmente, la possibilità di circolazione immediata su scala globale spingerà gli studiosi a utilizzare l'inglese con sempre maggiore frequenza. Il formato digitale può offrire agli studiosi una serie di strumenti di grande utilità che il formato cartaceo non può offrire. In primo luogo, l'indicizzazione completa dei testi, e dunque la possibilità di fare ricerche rapide con parole chiave: uno strumento di enorme utilità, non comparabile con gli indici analitici. In secondo luogo, le fonti su cui si basa un'argomentazione saranno citate in maniera più immediata e verificabile: le pubblicazioni concepite per un ambiente digitale non si limiteranno a citare un articolo, un libro, un documento d'archivio o una base di dati, ma offriranno il link per accedervi direttamente. Diventerà quindi molto più semplice verificare su cosa si fondi un'argomentazione, e dunque aumenteranno la qualità e la solidità delle pubblicazioni accademiche. In terzo luogo, col formato digitale non sarà più necessario lesinare su immagini, mappe e grafici, e diverrà anche possibile affiancare al testo e alle immagini altri contenuti multimediali, laddove possa rivelarsi utile. Infine, il passaggio delle pubblicazioni accademiche al digitale permetterà agli studiosi di avere ovunque la propria intera biblioteca sempre con sé. La possibilità di sganciare le pubblicazioni accademiche dalle case editrici (e dunque da delle imprese che giustamente cercano dei profitti) avrà un'enorme portata, perché permetterà finalmente alla ricerca di circolare in maniera del tutto aperta e gratuita. Questo sviluppo permetterà tra l'altro di allocare in maniera più razionale le risorse che attualmente vengono destinate a finanziare pubblicazioni o ad abbonarsi a costosissime riviste accademiche.
(Fonte: L. Ferrari, mentepolitica 3101-2015)

RETRIBUZIONI. SCATTO PREMIALE E BLOCCO STIPENDIALE
Lo scatto premiale era lo “scatto di consolazione” per compensare il congelamento (infatti, sta nelle Norme transitorie e finali della l. 240/2010). D’ora in poi dovrebbe valere il comma 14 dell’art. 7, riportato di seguito*. Purtroppo, il blocco continua ad essere reiterato con il risultato che – di fatto – non esiste più alcuna progressione stipendiale (tranne sembra se si mettono al mondo dei figli: leggi qui.)
*14. I professori e i ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, fermo restando quanto previsto in materia dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. La valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 è di competenza delle singole università secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo. In caso di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può essere reiterata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico. Nell’ipotesi di mancata attribuzione dello scatto, la somma corrispondente è conferita al Fondo di ateneo per la premialità dei professori e dei ricercatori di cui all’articolo 9. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 17-01-2015).
Gli scatti stipendiali erano un modo per assicurare una qualche progressione economica ad una categoria i cui stipendi iniziali sono estremamente bassi, se paragonati a quelli percepiti in Paesi europei simili. Per questo venivano dati a tutti quelli che non avessero gravemente demeritato. Se ora lo “scattino” una tantum viene dato solo alla metà del personale, senza che nel frattempo gli stipendi iniziali siano cresciuti, il risultato è semplicemente una riduzione dello stipendio della categoria. La riduzione è resa ancora più profonda dal fatto che ai nuovi assunti ex “legge Gelmini” non viene più ricostruita la carriera. E, poiché l’età media dei ricercatori e degli associati è alta (visto anche che negli ultimi anni non è entrato o passato quasi nessuno…) questo significa uno stipendio ancora più basso. Allora il vero punto a me sembra questo: è accettabile che una così profonda modifica salariale sia passata quasi in silenzio? (Fonte: fido, Roars 17-01-2015)

MEDICI. ABILITAZIONE ALLA PROFESSIONE IN CONTEMPORANEA CON L'ESAME DI LAUREA
Dopo il restyling delle scuole di specializzazione medica, nel pacchetto di riforme che sta investendo a tutto tondo la formazione dei camici bianchi entra anche la laurea abilitante al termine del percorso universitario. Il principio di fondo che guida il decreto del ministro dell'università, Stefania Giannini (ora all'esame della competente direzione del Miur), rimane lo stesso: accelerare l'ingresso dei futuri medici nel mondo del lavoro, allineandone i tempi alle prassi dei paesi europei. Un principio che per essere attuato necessita di due interventi fondamentali, uno per modificare l'esame di laurea, e un secondo per intervenire sulle modalità di svolgimento del tirocinio professionalizzante. Nel primo caso facendo in modo che contestualmente all'esame di laurea gli studenti possano conseguire anche l'abilitazione alla professione medica, così come già avviene per alcune professioni sanitarie. Questo sarà possibile modificando in sede di esame la rappresentanza che sarà composta non più solo dal corpo accademico, ma anche da esponenti
del mondo delle professioni. Nel secondo caso, invece, si andrà a impattare sul tirocinio obbligatorio articolato in tre mesi (un mese in un reparto chirurgico, un mese in un reparto di medicina e un mese presso l'ambulatorio di un medico di base) che d'ora in poi sarà effettuato durante i sei anni di studio universitari e non alla conclusione come avviene attualmente. (Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 06-02-2015)

FINANZIAMENTI. GLI AUMENTI DI OGGI SUPERATI DAI TAGLI DI DOMANI
"Non ci sono state politiche di taglio, semmai di forte investimento", ha spiegato venerdì il ministro dell'istruzione, Stefania Giannini: "I tagli sono storia passata. Quest'anno abbiamo strutturalmente consolidato 150 milioni in più sul fondo di finanziamento dell'università, un piccolo ma primo importante passo in questa direzione". Ma basta allargare lo sguardo che la direzione si inverte. Secondo la rivista on line Roars l'incremento delle risorse vale infatti solo per il 2015, dopodiché il taglio effettivo da qui al 2023 ammonta a 1,5 miliardi. Agli enti di ricerca vengono invece tolti 42 milioni. (Fatto Quotidiano, 11-02-2015)

EU. LA DIVARICAZIONE NELLA POLITICA DELLA CONOSCENZA
L’Europa della conoscenza è sempre più frammentata. E i suoi 28 diversi frammenti invece che a convergere tendono a divergere. Vediamo i numeri, che parlano da soli.
1. Intanto quelli forniti dallo European University Association’s Public Funding Laboratory, che riguardano gli investimenti nella formazione universitaria e post-universitaria negli anni della crisi, dal 2008 al 2014.
 
I colori della torta (Fonte: European University Association’s Public Funding Laboratory) ci offrono una chiara visione della divaricazione. Da un lato c’è un set di paesi che ha affrontato la crisi tagliando anche i fondi all’università. Tagli profondissimi, superiori al 40%, in Grecia e Ungheria. Tagli profondi, il 20%, in Italia (il 30% nel Sud d’Italia). Tagli tra il 10 e il 20% in Spagna, nella Repubblica Ceca, in Slovacchia. Dall’altro paesi che, al contrario, hanno affrontato la crisi investendo di più in conoscenza. La spesa nell’università è aumentata tra il 10 e il 20% in Austria e in Belgio; addirittura tra il 20 e il 40% in Germania, Norvegia e Svezia. In pratica, chi nel 2008 puntava già molto sulla ricerca e sull’università – i paesi dell’area germanica e scandinava – hanno pensato di affrontare la crisi accelerando. Risultato: un vistoso aumento della divaricazione. E un flusso monodirezionale di giovani studenti e ricercatori che dal sud e dall’est si dirigono verso il nord d’Europa. In apparente controtendenza è il Regno Unito. Lì è diminuita la spesa pubblica. Ma si sa che Londra punta sempre di più sulla presenza dei privati nel mondo dell’alta formazione. Per cui, nonostante i tagli dello Stato, le sue università (almeno le principali) continuano a essere un grande attrattore di studenti, docenti e ricercatori. Ma anche di risorse economiche.
2. E, infatti, il secondo motore della divergenza europea è la politica dell’Unione. Come ci ricorda Colin Macilwain su Nature FP7, il settimo programma quadro che si è concluso nel 2013, ha distribuito molte risorse ai forti e ricchi – 1,1 miliardi di euro a Germania e Regno Unito; 560 milioni all’Olanda – e poche risorse ai deboli e poveri: 560 milioni di euro all’Italia (che ha quattro volte il numero degli abitanti dell’Olanda); appena 67 milioni alla Polonia; la miseria di 17 milioni alla Romania. In pratica, per quanto riguarda la ricerca, i paesi già forti e ricchi incassano più risorse dall’Unione Europea di quanto non ne conferiscano. E viceversa per i deboli e poveri.
Non c’è da fare del vittimismo. Le colpe dei governi dei paesi del sud e dell’est d’Europa sono la causa di gran lunga principale di questa strana asimmetria. Tuttavia l’Unione fallisce in quello che dovrebbe essere il suo compito: aumentare il tasso di coesione tra i paesi membri. Non riesce a opporsi alla “naturale” deriva dei frammenti. Non riesce a creare quell’area realmente comune della conoscenza che aveva immaginato Antonio Ruberti. (Fonte: P. Greco, scienzainrete.it 28-01-2015)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

FT GLOBAL MBA RANKING 2015
Global MBA Ranking 2015 FT classifica oggi le migliori business school del mondo. Harvard Business School al 1° posto, London Business School (LBS) al 2°, SDA Bocconi è al 26°.
La classifica continua a essere dominata dalle università americane (ben 7 nella top 10, con l’Harvard Business School saldamente al primo posto). Al secondo posto sale la scuola di management della University of London, che era terza lo scorso anno.
Il ranking del Financial Times prende in considerazione diversi fattori, il più importante dei quali è il salario tre anni dopo il diploma, un valore che per gli studenti della LBS è pari in media a circa £102,500. Per trovare il primo MBA italiano (SDA Bocconi) bisogna arrivare al 26° posto. Per l’ateneo milanese è un risultato positivo, considerando che sale in classifica di 4 posizioni.
Il Global MBA Ranking 2015 è disponibile sul sito del Financial Times.


CLASSIFICAZIONI. GRANDE GUIDA CENSIS-REPUBBLICA. DOMANDE
Il CENSIS, che cura la classifica nazionale degli atenei più nota, ha fornito servizi a pagamento a diciassette atenei per sviluppare un “modello di valutazione sperimentale” con la collaborazione di esperti designati dagli atenei. In proposito De Nicolao su Roars (19-01-15) ha posto le seguenti due domande:
1. È opportuno che un gruppo di atenei paghi l’Istituto che pubblica la classifica più visibile sul territorio nazionale (Grande Guida CENSIS-Repubblica) perché, attraverso il coordinamento di gruppi di lavoro formati dagli esperti degli stessi atenei, costruisca e calibri un modello di valutazione sperimentale?
2. In che misura gli algoritmi di ranking delle classifiche della Grande Guida sono stati concordati e calibrati con quegli atenei che, per collaborare allo sviluppo di un modello di valutazione sperimentale, avevano pagato al CENSIS 20.000 euro ciascuno?

GREEN METRIC RANKING 2014. AL PRIMO POSTO IN ITALIA E 96ESIMA IN TUTTO IL MONDO L’ALMA MATER STUDIORUM
L’Università di Bologna è la più “green” d’Italia. Si classifica al primo posto tra gli atenei della penisola e 96esima in tutto il mondo l’Alma Mater emiliano - romagnola, secondo la classifica internazionale Green Metric Ranking 2014, ideata nel 2010 dalla Universitas Indonesia per porre l’accento sulle tematiche ambientali e sulla sostenibilità. Una graduatoria che assegna un punteggio a ciascuna Alma Mater sulla base dei dati (forniti dalle stesse 360 università internazionali che hanno aderito all’iniziativa attraverso la partecipazione a un sondaggio online), che quest’anno sono stati suddivisi in sei macro categorie: energia e cambiamento climatico, gestione dei rifiuti, utilizzo dell’acqua, trasporti ecologici, statistiche “green” e educazione.
Per quanto riguarda l’Italia, sono 15 gli atenei che quest’anno hanno partecipato al Green Metric Ranking, contro gli 11 del 2013: Bologna, medaglia d’oro tra le università del Bel Paese e 96° posto a livello internazionale, con 6.094 punti e un ottimo risultato in termini di energia e cambiamento climatico, gestione dei rifiuti e trasporto “green”, seguita dall’Università di Torino, 99° nel mondo con 6.057 punti, particolarmente attenta alla gestione ‘ecologica’ dei rifiuti (1.650 punti), e dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, 140° in classifica con 5.628 punti, che ha confermato la posizione conquistata del 2013.
“Rispetto al 2013 siamo riusciti a conquistare posizioni nonostante l’aumento di partecipanti al Green Metric Ranking, e questo è un risultato soddisfacente. – spiega Emilio Ferrari, prorettore all’edilizia dell’UNIBO – L’installazione di pannelli fotovoltaici, l’adozione di impianti a basso impatto in termini di emissione fumi, e l’utilizzo di finestrature che permettono di sfruttare al massimo la luce naturale, ad esempio, ci sono valsi un buon punteggio. Ma abbiamo migliorato la nostra ecosostenibilità anche per quanto riguarda la categoria trasporti, implementando le auto elettriche di servizio e incoraggiando l’uso delle biciclette come mezzo di trasporto cittadino, ed ‘educazione’, grazie all’aumento delle pubblicazioni e degli eventi che riguardano l’ambiente. Inoltre abbiamo in cantiere una convenzione con Hera per ottimizzare ancor più l’utilizzo dell’acqua”. (Fonte: A. Dall’Oca, FQ 02-02-2015)

CITTÀ PIÙ ATTRATTIVE PER STUDENTI. MILANO È LA PRIMA IN ITALIA MA HA PERSO POSIZIONI
Nella classifica delle città che più sono attrattive per studenti e ricercatori a livello internazionale, Milano è scesa nell'ultimo anno dal 21° al 36° posto (pur rimanendo l'unica italiana). È un risultato che nasce dall'inserimento nella classifica di nuovi parametri sulla città: inquinamento, trasparenza e, soprattutto, sicurezza (dove Milano si posiziona addirittura al 259° posto al Mondo) Sono problemi che conosciamo e che vanificano il 10° posto che i datori di lavoro internazionali assegnano ai laureati nelle università milanesi. (Fonte: G. Azzone, A. Sironi, G. Vago, CorSera Milano 21-01-2015)


DOCENTI

PROFESSORI ORDINARI: A FRONTE DI OGNI UNDER 40 CI SONO 474 OVER 60. MA LA RICETTA PER RIMEDIARE ATTENDE CHE IL GOVERNO DECIDA “DI QUALE UNIVERSITÀ ABBIAMO BISOGNO”
Su 13.239 professori ordinari non ce n’è nemmeno uno che sia al di sotto dei 35 anni, mentre solo 15 in tutto sono under 40. E dal 2008 a oggi sono diminuiti del 97 per cento i professori associati e i ricercatori con meno di trent’anni. Praticamente sono spariti. Un vero peccato, soprattutto considerando che i ricercatori italiani, sebbene rappresentino appena il 4 per mille degli occupati totali (la media europea è pari al doppio) e il nostro paese sia 28° al mondo per investimenti nel settore, secondo gli ultimi dati dell’European Research Council, sono ottavi al mondo per numero di pubblicazioni sulle maggiori riviste scientifiche. Si tratta, però, di un patrimonio che spesso va ad arricchire altri paesi, visto che molti alla fine scelgono la strada dell’estero per l’impossibilità di inserirsi stabilmente nel nostro sistema accademico. Anche per questo i professori universitari italiani sono troppo vecchi e la loro età media continua a salire costantemente. La sproporzione tra “giovani” e “vecchi” per quanto riguarda gli ordinari è impressionante: a fronte di ogni under 40 ci sono 474 over 60. E se si considerano nel complesso ordinari, associati e ricercatori, si scopre che gli ultrasessantenni sono il 24,8 per cento del totale (che ammonta a 51.807 unità), mentre coloro che hanno meno di quarant’anni sono un terzo di questi (8,8 per cento). (Fonte: universita.it 24-01-2015)
Per questi problemi, al di là di ogni dubbio causati dal freno tirato sul turnover, il sottosegretario Faraone (intervista a La Stampa del 24 c.m.) lancia la sua ricetta, senza evitare di scivolare nel vecchio ritornello sui baroni: “La ricetta per il futuro dell’università prevede un cambiamento di mentalità, che non metta più al centro le carriere dei docenti e superi la logica baronale. Il sistema, invece - sostiene Faraone - dovrebbe porre al centro la formazione della futura classe dirigente e produttiva del Paese”. “Parliamo pure di reclutamento e carriera, ci mancherebbe”, dice il sottosegretario, “ma facciamolo in un’ottica diversa: prima decidiamo di quale università e di quale corpo docente abbiamo bisogno per far progredire l’Italia, poi troviamo risorse e strumenti”. E allora tutti in attesa di sapere di quale università e di quali docenti abbiamo bisogno secondo il governo. (PSM)

RICHIESTE SINDACALI PER LE CARRIERE DI DOCENTI/RICERCATORI
Un elevato numero di Organizzazioni sindacali universitarie per dare risposte immediate alle migliaia di ricercatori precari ritiene necessario il reclutamento straordinario di 20.000 posti di ruolo (4000 all'anno e per cinque anni), così da riportare il numero dei docenti universitari a quello del 2008, riavvicinando l'Italia alla media europea nel rapporto tra numero dei docenti/ricercatori e numero degli abitanti. È contestualmente indispensabile e urgente, secondo le stesse OO.SS.  istituire una “figura unica pre-ruolo” a tempo determinato, assicurandole adeguati livelli di reclutamento. Questa figura dovrà essere di breve durata e adeguata retribuzione, con “reale autonomia di ricerca e il riconoscimento pieno dei diritti". Contemporaneamente devono essere cancellate tutte le attuali figure precarie ivi compresi i ricercatori a tempo determinato e gli assegnisti di ricerca. Il comunicato integrale si legge qui (26-01-2015).


DOTTORATO

DOTTORI DI RICERCA. STATO GIURIDICO E CARRIERA
Sebbene la Carta Europea dei Ricercatori, adottata anche dalle Università italiane a partire dal 2008, stabilisca che la figura del dottorando debba essere considerata come lavoratore, ovvero ricercatore in formazione, l’Italia insiste, anche negli ultimi provvedimenti, a considerarlo alla stregua di un master universitario, svalutandolo e non riconoscendo implicitamente la premialità che un dottorando ha nel superare un concorso pubblico per accedere a tale percorso e svilendo, di fatto, l’attività di ricerca e di didattica svolti nei tre anni.
Un timido tentativo da parte del MIUR di riconoscere lo status di lavoratore ai dottorandi era contenuto in una prima bozza del provvedimento che sarebbe diventato il D.M. 45/2013 (versione 27 settembre 2011, art. 8 co. 1), nel quale si faceva riferimento ai dottorandi come early stage researchers, ma purtroppo tale dicitura è scomparsa dalla versione definitiva.
 Ma non è quella dello status giuridico l’unica differenza con gli altri paesi europei: secondo i dati Eurostat 2010 l’Italia è il 4° paese europeo per numero di dottorati; tuttavia, considerando il rapporto ‘numero di dottorandi per 1000 abitanti’ è il fanalino di coda con uno score pari a 0,6. Anche per quanto riguarda l’importo medio della borsa di studio le cose non cambiano: l’importo delle borse italiane (1035 euro mensili al netto degli oneri previdenziali, da cui vanno sottratte le tasse di iscrizione) appare decisamente inferiore all’importo delle borse/stipendi medi percepiti dai colleghi europei, con la sola eccezione dell’Est Europa.
 Gli aspiranti ricercatori in Italia si trovano quindi ad operare in condizioni di partenza nettamente svantaggiose, ma nonostante questo ottengono risultati migliori della maggior parte dei loro colleghi Europei.
Attualmente ad un massimo di 4 anni di assegno di ricerca fanno seguito, nella migliore delle ipotesi, 5 anni da ricercatore a tempo determinato tipo “A”, propedeutici ad altri 3 anni come ricercatore a tempo determinato di tipo “B”. Tale qualifica dovrebbe essere agganciata teoricamente alla tanto agognata posizione di professore associato, ma dati elaborati dall’Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca Italiani (ADI) hanno stimato che nel 2013 sono state finanziate solamente 520 posizioni per ricercatori tipo “A” e 130 posizioni per ricercatori di tipo “B”, a fronte della necessità di 1700 e 1300 posizioni stimate dal Consiglio Universitario Nazionale per mantenere in sicurezza il sistema accademico.
Il riconoscimento a livello di giuridico, previdenziale ed economico del dottorando quale lavoratore, e provvedimenti volti alla valorizzazione del titolo al di fuori del contesto accademico, nell’insegnamento scolastico, nelle pubbliche amministrazioni e nel sistema produttivo, potrebbero essere la chiave per attirare un maggior numero di giovani verso il mondo della Ricerca. (Fonte: quotidianosanità.it 22-01-2015)

DOTTORI DI RICERCA. RAPPORTO SULL’OCCUPAZIONE
Un Rapporto dell’Istat configura un orizzonte di carriera meno pessimistico di quello evidenziato nella nota precedente.
Nel 2014, a 4 anni dal conseguimento del titolo (2010), lavora il 91,5% dei dottori di ricerca mentre è in cerca di un lavoro il 7%. A 6 anni dal conseguimento del titolo (2008) lavora invece il 93,3% (un valore ancora molto elevato e solo in leggera diminuzione rispetto all’edizione precedente) e cerca un lavoro il 5,4%. E` quanto emerge dal Rapporto dell`Istat, che sottolinea come permanga dunque il vantaggio competitivo associato al dottorato di ricerca. L’occupazione è elevata in tutte le aree disciplinari, in particolare tra i dottori delle Scienze matematiche e informatiche e dell’Ingegneria industriale e dell`informazione (oltre il 97% lavora a sei anni dal dottorato e oltre il 95% a quattro anni); risulta più bassa tra i dottori delle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (intorno all’88% in media). A sei anni dal conseguimento del titolo, la quota di occupati con un lavoro a termine è pari al 43,7%, mentre raggiunge il 53,1% tra i dottori osservati a quattro anni. Il dato è in crescita rispetto all’indagine precedente, quando era del 35,1% e del 43,7%. Il 73,4% dei dottori occupati del 2008 e il 74,4% di quelli del 2010 svolgono attività di ricerca e sviluppo. La quota è più bassa tra le donne: 3 su 10 sono impegnate in attività lavorative per nulla connesse alla ricerca.
Le aree disciplinari associate ai redditi più alti sono le Scienze mediche, Scienze fisiche, Ingegneria industriale e dell`informazione, Scienze economiche e statistiche e Scienze giuridiche: a sei anni dal conseguimento del titolo il reddito netto mediano mensile supera i 1.900 euro. Più contenuti (in media tra 1.400 e 1.450 euro) sono invece i redditi dei dottori in Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche e in Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche. I dottori di ricerca che vivono all’estero al momento dell’intervista sono il 12,9% (+6 punti rispetto all’edizione del 2009). Migrano all’estero soprattutto i dottori di ricerca nelle Scienze fisiche (31,5% dei dottori italiani che vivono all’estero) e nelle Scienze matematiche o informatiche (22,4%); molto meno rappresentati tra quelli che vivono all’estero sono invece i dottori in Scienze giuridiche (7,5%) o in Scienze agrarie e veterinarie (8,1%). I Paesi preferiti sono, nell’ordine, Regno Unito (16,3%), Stati Uniti d’America (15,7%), Francia (14,2%). Il reddito da lavoro percepito da chi vive all’estero è sensibilmente più alto del valore totale (di 750 euro per la coorte del 2008 e 830 euro per la coorte del 2010). (Fonte: AGG e Istat 21-01-2015)

DOTTORI DI RICERCA. DATI ISTAT
Istat ha diffuso alcuni dati sui dottori di ricerca e sulla condizione occupazionale di chi ha conseguito il titolo nel 2008 e nel 2010. Si tratta, rispettivamente, di 11.229 e 11.240 dottori. Le donne sono il 52 per cento. Le aree disciplinari con il maggior numero di dottori sono Scienze mediche (16%) e Ingegneria industriale e dell'informazione (11,7%). I dottori di ricerca hanno usufruito di una borsa di studio nel 71,1% dei casi, non sempre in condizioni ottimali: il 12,8% non ha ricevuto con regolarità i pagamenti o non ha usufruito della borsa per l'intero periodo; il 18,3% non ha avuto borse e si è mantenuto lavorando senza aspettativa; il 6,1% non ha potuto contare né su borse né di un reddito da lavoro. I dottori di ricerca hanno voti di laurea elevati (il 71,5% oltre 108). L'età media al conseguimento del titolo di dottore di ricerca è di 32 anni. A quattro anni dal titolo, il 91,5% dei dottori del 2010 lavora, mentre il 7% è in cerca di un lavoro. Le donne lavorano per l'89%. Circa un dottore di ricerca su due ha un lavoro a termine. I dottori di ricerca danno alla loro esperienza un voto di 7,2 su 10. Il voto più basso riguarda la carriera e la sicurezza del lavoro (5,3 e 5,8). I redditi da lavoro sono più bassi per le donne. A sei anni dal titolo, i dottori del 2008 dichiarano di percepire un reddito netto mensile di 1.750 euro. (Fonte: W. Passerini, La Stampa 02-02-2015)

DOTTORATO DI RICERCA. IL CUN SUL RIORDINO DELLA NORMATIVA
Si segnala ai lettori il documento CUN su semplificazione e riordino della normativa del dottorato di ricerca. (10-02-2015)

DOTTORI DI RICERCA. ASSUMERNE 2000 L’ANNO (300 MLN) CON UN’ACCISA SUI CARBURANTI
L'anzianità dei professori ordinari italiani: neanche uno sotto i 35 anni e solo 15 (su 12.000) sotto i 40 anni. Causa principale di questo invecchiamento è lo strozzamento del turnover, che dal 2008 ad oggi è oscillato tra il 20 e il 50%: vale a dire che (a parità di "grado accademico") per ogni 10 professori in pensione le università ne potranno assumere dai due ai cinque al massimo - e talvolta neanche quelli, per motivi fiscali o burocratici. Un dato che ha portato in un solo lustro (2008-2013) un calo di quasi il 20% del corpo docente (da 63mila a 53 mila circa), e che potrebbe mettere definitivamente in ginocchio diversi atenei da qui al 2020, quando andranno in pensione le molte migliaia di attuali over 65. Ottenendo la copertura finanziaria da un'accisa sulla benzina la ricetta del Presidente CRUI sarebbe quella di assumere 2000 dottori di ricerca l'anno, per un costo a regime di 300 milioni. Si tratterebbe comunque di una minima parte dei dottori di ricerca formati nei corsi di dottorato nostrani: solo il 20% (uno su cinque). E tuttavia, sarebbe già decisamente meglio della quota di dottori assorbiti dal sistema ad oggi: solo il 3,4% (uno su trenta) secondo il Rapporto dell'ADI. (Fonte: M. Viola, http://www.uninews24.it 04-02-2015

IL FUTURO DEI DOTTORI DI RICERCA SECONDO IL SOTTOSEGRETARIO FARAONE
Il sottosegretario Faraone così si è espresso sui dottori di ricerca in un’intervista a La Stampa: “Evitiamo di creare illusioni. Produciamo circa 10.000 dottori di ricerca l’anno, la maggioranza dei quali aspira alla carriera universitaria, che però nel migliore dei casi può assorbirne un quinto, magari in futuro un quarto, non di più”. Il dottorato dovrebbe invece, sostiene Faraone, essere valorizzato “nell’amministrazione pubblica, nelle imprese, nelle professioni”. (Fonte: universita.it 24-01-2015)


FINANZIAMENTI

RIDIMENSIONAMENTO DELL’UNIVERSITÀ. IL FALSO E IL VERO
Alle politiche di ridimensionamento finanziario dell’università contribuiscono certamente affermazioni, spesso provenienti dallo stesso mondo accademico e supportate dai grandi mezzi di comunicazione, del tipo:
·         L’università italiana costa troppo rispetto alla media europea
·         La spesa italiana per studente è tra le più alte al mondo
·         Non possiamo più permetterci il costo della formazione terziaria
·         Produciamo troppi laureati
·         La laurea non serve più, non conviene economicamente e i laureati non trovano lavoro.
Eppure i dati elaborati da fonti autorevolissime smentiscono tali affermazioni, che il più delle volte si dimostrano prive di ogni fondamento. Infatti:
·         Secondo l’OCSE, l’Italia occupa per spesa in educazione terziaria in rapporto al PIL il 32° posto su 37 Paesi considerati.
·         La spesa annuale per studente nell’istruzione terziaria a parità di potere d’acquisto per studente equivalente a tempo pieno è inferiore del 29% rispetto alla media dei paesi OCSE e del 37% rispetto al PIL.
·         Nel 2012 nella media dell’Unione europea vi erano oltre 36 laureati ogni 100 abitanti, contro il 22,3% dell’Italia.
·         Sul mercato del lavoro, la laurea, nonostante diffuse convinzioni contrarie, continua a offrire migliori opportunità occupazionali e reddituali rispetto al solo diploma di maturità.
(Fonte: A. Stella, Roars 30-01-2015)

FINANZIAMENTI. ATENEI DEL NORD ATTRAGGONO MAGGIORI RISORSE RISPETTO A QUELLI DEL SUD
Il Decreto Ministeriale 815/2014 registra un significativo incremento della quota premiale dell’FFO destinata agli atenei “virtuosi”: oltre il 22% delle risorse disponibili quest'anno viene distribuito sulla base delle performance dei singoli atenei, valutate per quota premiale, programmazione triennale, dottorati di ricerca, fondo per i giovani e fondo perequativo. Il quadro generale attesta, ancora una volta, un paese diviso in due, con gli atenei del Nord capaci di attrarre maggiori risorse rispetto a quelli del Sud. L'Università che prende il maggior numero di risorse è Bergamo, con un incremento del 12% rispetto al 2013; maglia nera, invece, a Messina, che attesta un decremento del 2,27%. Più in generale, sono gli atenei medio-piccoli soprattutto del Nord a beneficiare delle novità introdotte dal decreto, con alcune eccezioni: Napoli Parthenope (+ 7,83%), Sannio (+ 7,57%), Foggia (+ 7,55%) e Catanzaro (+ 5,31), presenti tra le prime dodici posizioni. Più in difficoltà i grandi atenei, quasi tutti in saldo negativo rispetto al 2013, tranne Padova, Milano Statale e Napoli Federico II. Sapienza Roma e Bologna portano a casa un -2,09%. (Fonte: rivistauniversitas gennaio 2015)

FINANZIAMENTI. COSTO STANDARD DI FORMAZIONE PER STUDENTE IN CORSO
Una fetta della quota base dell'Ffo 2014 (Decreto Ministeriale 815/2014) è stata assegnata (per un miliardo circa), in base al costo standard di formazione per studente in corso: un sistema innovativo che mira a legare lo stanziamento delle risorse alla qualità e alla tipologia dei servizi offerti agli studenti. Il costo standard, oggetto del Decreto interministeriale Miur-Mef 893/2014, viene calcolato con una formula che mette in relazione i costi che gli atenei sostengono per i diversi corsi di studio (costi dei docenti, degli amministrativi e tecnici, di funzionamento) alla popolazione studentesca in corso. Per evitare sperequazioni è previsto un correttivo territoriale basato sul contesto economico. Viene valutata anche la capacità contributiva reale degli studenti a partire dai redditi medi regionali pubblicati dall'Istat. (Fonte: rivistauniversitas gennaio 2015)

VELOCITÀ DI SPESA PER LAVORI PUBBLICI COMPRESI QUELLI PER UNIVERSITÀ E SCUOLE
I principali attuatori degli interventi per lavori pubblici sono i Comuni (7,3 miliardi di finanziamento pubblico al Sud; 1,5 al Centro-Nord). La velocità di spesa a fine 2013 delle amministrazioni comunali di Abruzzo, Molise, Sardegna, Puglia e Basilicata (52,1%) è nettamente maggiore rispetto al Centro-Nord (40%). Vi sono alcuni casi di evidente criticità delle sole regioni Campania, Calabria e Sicilia: vi sono 730 milioni di spesa diretta delle Regioni, fermi al 20,3% di realizzazione. Un miliardo e mezzo di finanziamento affidato ad "enti pubblici" (economici e non economici, aziende speciali, aziende pubbliche di servizi) con spesa ferma solo al 6,6%; quasi mezzo miliardo relativo a scuole e università, con spesa ferma al 6,3%. (Fonte: Il Mattino 21-01-2015)


LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE POST LAUREA-OCCUPAZIONE

LAUREATI. “RAPPORTO ITALIA 2015" DELL'EURISPES
Per quanto riguarda l'università c’è poco da essere contenti. Esaminando la percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni emerge dal Rapporto non soltanto che l'Italia é appena a metà strada dall'obiettivo fissato da Bruxelles, ma anche che rappresenta il fanalino di coda dell'Europa: 22,4% contro una media dell'Unione del 36,5%. Con una differenza anche qui abissale tra uomini e donne che riescono a conseguire il titolo universitario o post-universitario (17,7% contro 27,2%). Anche in questo comparto (istruzione terziaria), l'obiettivo italiano è stato ridimensionato rispetto al target europeo (26-27% contro il 40% comunitario). (Fonte: A. Giuliani, La Tecnica della Scuola 31-01-2015)

OFFERTA FORMATIVA 2015: 2342 CORSI
I corsi di studio ai quali potevano immatricolarsi gli studenti al termine della scuola secondaria superiore erano, prima della riforma dei due cicli introdotta con il DM 509/99, 2444; dopo una crescita che ha raggiunto un massimo di 3103 corsi di studio nel 2007/08 è iniziata una progressiva contrazione che ha ridotto quest’anno l’offerta formativa a 2342 corsi, numero addirittura inferiore a quella di 15 anni fa, nonostante le Università siano aumentate di numero, con l’istituzione di nuove Università statali e non statali e ben undici Università telematiche. (Fonte: A. Stella, Roars 30-01-2015)

RAPPORTO EDUCATION AT A GLANCE. LAUREATI E NEET
Avere in tasca il «pezzo di carta», da noi non garantisce un'occupazione. Nei Paesi Ocse sono il 5,3% i laureati senza lavoro, in Italia il 16%. Nel rapporto intermedio Education at a glance si legge anche che solo un italiano su cinque tra i 25 e i 34 anni arriva alla laurea (ha il titolo il 12% dei 55-64enni), contro il 40% della media Ocse: 27 su 100 si fermano al diploma di scuola media o alla licenza elementare. Nel percorso scolastico si «perdono» 17 giovani tra i 18 e i 24 anni su 100 (rapporto Lost—Dispersione scolastica), ovvero circa 500 mila persone non arrivano alla maturità. L'obiettivo europeo è del 10%. L'Italia detiene un altro primato: in compagnia dei coetanei greci, spagnoli e turchi, molti giovani tra i 15 e i 29 anni (maschi soprattutto) sono in condizioni di «Not in Education, Employment or Training» (NEET): più del 30%, cioè, sono disoccupati o inattivi e fuori dal giro. (Fonte: A. De Gregorio, Corsera 21-01-2015)

LAUREATI. AUMENTA IL DISTACCO DELL’ITALIA DALLA MEDIA UE
Per quel che riguarda la formazione universitaria un’infografica relativa al primo rapporto Cnel-Istat sul Benessere equo e sostenibile è particolarmente efficace nel dipingere un’Italia a due velocità. Nel Mezzogiorno, le percentuali di laureati nella fascia 30-34 anni sono pari al 18,2% contro una media nazionale del 22,4% che è comunque la più bassa in Europa. Se il Mezzogiorno fosse una nazione autonoma, la sua percentuale di laureati sarebbe inferiore a quella della Turchia (19.5%). Per avere un raffronto internazionale, vale la pena di consultare le statistiche Eurostat. Nel 2000, l’Italia pur essendo già nelle ultime posizioni, con il suo 11,6% aveva una percentuale di laureati superiore a quella di Portogallo (11,3%), Slovacchia (10,6%), Romania (8,9%) e Malta (7,4%). Il distacco dalla media EU27 (22,4%) era di 10.8 punti percentuali. Tredici anni dopo, nel 2011, pur essendo salita al 22.4%, l’Italia è scivolata in ultima posizione e il distacco rispetto alla media EU27 (37,0%) è salito a 14,6 punti percentuali. D’altronde, nel decennio 2000-2010, l’Italia è stata l’unica nazione europea la cui spesa (in termini reali) per l’istruzione non è cresciuta (secondo il Funding of Education in Europe – The Impact of the Economic Crisis). (Fonte: G. De Nicolao, Roars 16-01-2015)
Spesa cumulativa per studente (educazione terziaria). Italia al 14° posto su 24 (Fonte: OCSE 2013)


SPECIALIZZAZIONI MEDICHE. FIRMATO IL DECRETO
Stefania Giannini, ha firmato ieri sera il decreto interministeriale che riforma il percorso per diventare medico specialista. In media durerà un anno in meno mentre le scuole scenderanno da 61 a 55. II provvedimento passa ora alla firma della sua collega della Salute, Beatrice Lorenzin. Una volta che il riordino diventerà realtà non esisteranno più percorsi di studio di 6 anni: potranno essere di 3, 4 o 5 anni al massimo. Per diventare chirurghi generali o neurochirurghi, ad esempio, serviranno 5 anni di formazione e non più 6. A loro volta Geriatria, Dermatologia e Oftalmologia, dureranno 4 anziché 5 anni. La riduzione del percorso di studio riguarderà oltre 30 Scuole sulle 55 complessive a fronte delle 61 attuali. In questa direzione saranno accorpate cinque scuole precedentemente esistenti, mentre due (Medicina aeronautica e spaziale e Odontoiatria clinica generale) spariranno. Al tempo stesso verranno rivisti gli obiettivi formativi e la distribuzione dei crediti. Almeno il 70% della formazione dovrà essere dedicato allo svolgimento di attività professionalizzanti (pratiche e di tirocinio). Gli specializzandi potranno fare il loro percorso all'interno di una rete formativa più ampia che potrà includere, oltre ai policlinici universitari, i presidi ospedalieri e le strutture territoriali del Servizio sanitario nazionale, purché accreditati secondo specifici parametri valutativi. (Fonte: IlSole24Ore 28-01-2015)

IL TESTO DEL DECRETO SULLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE MEDICA
Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha controfirmato il decreto di riordino delle Scuole di specializzazione di Medicina già firmato nei giorni scorsi dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini. Il provvedimento diminuisce mediamente di un anno la durata dei percorsi di studio nelle scuole di specializzazione. Lo scopo, recita la nota diramata dal Ministero della Salute, è di rendere “più aderente la normativa italiana a quella stabilita in ambito comunitario. Questo consentirà ai giovani medici di fare prima il loro ingresso nel mondo del lavoro, rendendoli, al contempo, più competitivi all’interno dei Paesi dell’Unione europea”.
Qui il testo del decreto. (Fonte: http://www.giurdanella.it 09-02-2015)

RIFORMA DELLE SPECIALIZZAZIONI MEDICHE
Già a partire da questo anno accademico i neo-camici bianchi potrebbero vedere accorciato di un anno il loro percorso nelle scuole di specializzazione. Un modo per tagliare sensibilmente i costi delle stesse (che sono coperte da borse di studio) e, grazie a questi risparmi, allargare la bocca dell’imbuto che costringe molti neolaureati a perdere un anno, a volte anche più, nell’attesa di poter accedere alle scuole post laurea, il cui numero è contingentato. È questa la principale novità del decreto di riforma delle specializzazioni mediche, in dirittura d’arrivo dopo il via libera del Consiglio superiore di sanità (Css). Ad illustrare la rivoluzione in arrivo per i giovani che aspirano alla carriera medica è Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale, nonché presidente della V sezione del Css: «I risparmi che si otterranno dalla riforma serviranno anche ad aumentare il numero delle borse per le scuole di specializzazione, oggi circa 5 mila a fronte di circa 10 mila laureati in Medicina l’anno». Ma cosa cambierà, in dettaglio? Leggi qui. (Fonte: CorSera Università 20-01-2015)

LA RIFORMA DELLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE E I RAPPORTI FRA UNIVERSITÀ E SANITÀ
Il CoDAU, l'Associazione nazionale dei Direttori Generali delle amministrazioni universitarie e la CRUI - Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – si sono trovate insieme nell'Assemblea di Palermo per valutare le prospettive di miglioramento dei rapporti fra Università e Sanità e gli effetti della imminente riforma delle scuole di specializzazione medica. Secondo quanto emerso nel corso dell’Assemblea, le incertezze decisionali hanno sicuramente penalizzato e complicato le ultime procedure concorsuali di accesso alle scuole di specializzazione sanitaria. Una certa preoccupazione è stata espressa anche sulle nuove modalità di ammissione annunciate dalla Riforma che, aumentando la difficoltà di accesso nella stessa sede dove si è concluso il percorso di laurea, potrebbero generare un ulteriore effetto negativo sull’attrattività dell’offerta formativa in ambito medico dei singoli Atenei. (Fonte: comunicato stampa del CoDAU 24-01-2015)

CONCORSO NAZIONALE PER L'ACCESSO ALLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE IN MEDICINA. IN DISCUSSIONE IL SALVATAGGIO DEI TEST DI OTTOBRE
Si torna a parlare del concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina, che nella sua ultima edizione - lo scorso ottobre, dal 28 al 31 - ha suscitato non poche polemiche per l'anomalia che ha interessato lo svolgimento del test: le domande delle prove del secondo e del quarto giorno sono state invertite. Un errore rilevato dallo stesso ministero e ammesso dal Cineca, il Consorzio interuniversitario incaricato di somministrare i test. Se subito dopo il Miur aveva stabilito di annullare e ripetere le prove oggetto dell'errore determinato dal Cineca, ha poi comunicato di aver trovato una soluzione per "salvare" i test: stabilendo che, nelle due aree interessate dall'anomalia, 28 domande su 30 erano comunque "valide ai fini della selezione". Con un criterio che però non ha trovato d'accordo diversi medici. "Un criterio valutativo che tutto fa tranne che rispecchiare il merito dei candidati che hanno partecipato al concorso - sostiene e spiega a Repubblica Parma Giovanni Allegretti, laureato in medicina e aspirante specializzando in anestesia e rianimazione - anzi paradossalmente ha avvantaggiato chi ha sbagliato le risposte". Per sostenere la sua tesi Allegretti fa riferimento al ricalcolo del punteggio dei candidati attuato per rimediare all'errore commesso, senza dover ripetere la prova. "La scelta di 'neutralizzare’ quelle due domande, avvenuta attribuendo un punto per ciascuna - dice Allegretti - ha stravolto la graduatoria e uniformato il punteggio dei candidati. Inizialmente era attribuito 1 punto per ogni risposta corretta, 0 punti per la risposta non data e -0,3 punti per ogni risposta sbagliata. In questo modo, chi ha fornito le risposte sbagliate ha recuperato ben 2,6 punti, ottenendo un vantaggio rispetto a chi aveva risposto correttamente, perché ha recuperato quello svantaggio di 0,6 punti che prima lo distaccavano da chi aveva risposto correttamente". (Fonte: A. Trentadue, R.it Parma 12-02-2015)

ODONTOIATRIA. LA SCORCIATOIA SPAGNOLA
Fuori dal nostro Paese sembra più facile entrare all'Università. In alcune università, ovviamente private, la prova di accesso è pressoché conoscitiva e si supera senza problemi. Ecco perché in molti, magari che non hanno superato il test qui, decidono di andare a studiare fuori. In 5 anni, per esempio, puoi diventare odontoiatra e tornare in Italia con un titolo di studio equipollente. Lo sanno bene quei 417 dentisti laureati in un'università estera nel 2014, alcuni nemmeno più tanto giovani. Infatti, il più anziano è nato nel 1947 per poi laurearsi solo nel 2013, mentre i più giovani hanno appena 22 anni. Sono due studenti classe 1992, uno di Varese e l'altro di Roma, laureati nel 2014.
La Spagna è la meta preferita dagli aspiranti odontoiatri. A sceglierla sono stati 290 laureati, di cui 168 hanno frequentato l'Università Alfonso X el Sabio e 110 l'Universidad Europea de Madrid. I restanti 12 si sono divisi in altre 4 università spagnole. La cultura calda e amichevole spagnola ha influenzato la decisione degli studenti? No, probabilmente deve aver giocato un ruolo fondamentale nella scelta il fatto che è più facile ottenere il riconoscimento di una laurea spagnola in Italia. (Fonte: www.skuola.net/news 21-01-2015)

INCENTIVATA LA MOBILITÀ INTERNAZIONALE DEGLI SPECIALIZZANDI
La legge 30 ottobre 2014, n. 161 concerne “Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea (Legge Europea 2013 - bis)”. Le novità introdotte dalla Legge Europea 2013 incentivano la mobilità internazionale degli studenti specializzandi, in ottemperanza ai dettami del Processo di Bologna e dell'Agenda di Lisbona. Poche, ma significative le novità introdotte all'art. 1 del provvedimento, che nel suo complesso affronta materie e problematiche differenti. Per quel che concerne la mobilità internazionale degli specializzandi, va sottolineato che esse intervengono espressamente sul regolamento contemplato dalla Legge n. 398 del 1989, concernente Norme in materia di borse di studio universitarie. Il nuovo provvedimento interviene, in particolare, sull'art. 5 del vecchio regolamento, attualizzato rispetto ai cambiamenti strutturali intervenuti nel sistema universitario. Il concorso per l'attribuzione delle borse si svolgerà in ogni ateneo non più per «per aree corrispondenti ai comitati consultivi» del Consiglio Universitario Nazionale, ma «per ciascuna delle quattordici aree disciplinari» da esso determinate. Scompare la responsabilità decisionale del Senato accademico, che non avrà più voce in capitolo in merito all’individuazione dei settori scientifico-disciplinari delle borse di studio. Scompare anche il vincolo di cittadinanza italiana per partecipare al concorso, che si svolgerà sempre per titoli ed esami e sarà aperto a tutti i laureati senza vincolo di età o di esperienza all'estero. (Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas 12-12-2014)

CRITICITÀ DELL’ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE
Il comparto AFAM, Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di cui fanno parte le Accademie di Belle Arti e i Conservatori, ha subito, in quest’ultimo ventennio, un prolungato oblio normativo e un oggettivo blocco del reclutamento a livello centrale. I professori presso le Accademie di Belle Arti d’Italia chiedono un intervento urgente perché:
- al personale docente inserito nelle graduatorie nazionali istituite con DM 30 giugno 2014 n.526 vengano riconosciuti, al più presto, i diritti acquisiti sulla base dei passaggi concorsuali succitati e sulla base del servizio svolto;
- dette graduatorie nazionali riacquistino la loro funzione originale configurandosi come graduatorie ad esaurimento per l’attribuzione di incarichi a tempo indeterminato. (Fonte: Roars 10-02-2015)


RECLUTAMENTO

RECLUTAMENTO. DECRETO MINISTERIALE 907/2014 SUI COSIDDETTI "PUNTI ORGANICO”
Firmato dal ministro Stefania Giannini il Decreto Ministeriale 907/2014 sui cosiddetti "punti organico". I nuovi parametri utilizzati dal Miur premiano soprattutto l'Università di Bologna, seguita dalle milanesi Statale e Politecnico. Al quarto posto la Sapienza di Roma. Il provvedimento distribuisce un migliaio di posti per l'assunzione di personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato. Anche per quest'anno, il turn-over si attesta sulla soglia del 50% a livello nazionale. I parametri utilizzati concernono, in particolare, la sostenibilità finanziaria dei costi del personale e dell'indebitamento. Sono tre, in particolare, le ipotesi previste dal decreto: per le università con un indicatore di spese di personale superiore o uguale all'80% e con un indicatore delle spese per indebitamento superiore al 10%, il Ministero attribuisce un «contingente assunzionale» pari al 10% delle cessazioni avvenute nel 2013; tale contingente sale al 20% nel caso in cui l'indicatore di spese di personale rimanga invariato e l'indicatore delle spese per indebitamento sia inferiore al 10%. Le Università più premiate sono invece quelle con un indicatore di spese di personale inferiore all'80%, cui è attribuita, oltre a un “contingente assunzionale” base pari al 20% delle cessazioni 2013, una quota aggiuntiva calcolata sulla base del rapporto tra entrate, spese per «fitti passivi», spese di personale, oneri di ammortamento.
Si disegna così una sorta di mappa virtuosa degli atenei italiani, di cui il Decreto fornisce un ritratto analitico che consente di individuare la geografia del merito e degli sprechi dell'accademia italiana. Il Sud continua a essere maggiormente penalizzato da parametri di valutazione che non tengono conto delle specificità territoriali, scientifiche e didattiche di ciascun ateneo. Tra le più penalizzate vi sono Cassino, con un indicatore di spese di personale pari all'89,45%, seguita dal Sannio (89,01%), Molise (88,13%) e Seconda Università di Napoli (86,60%). (Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas 29-01-2015)

PROPOSTE DI RIFORMA A COMINCIARE DAL RIPRISTINO DEI RICERCATORI A TEMPO INDETERMINATO
Oggi su un totale di 2649 ricercatori a tempo determinato in servizio negli Atenei statali, solo 255 sono RTD-B. N. Casagli propone di valutare seriamente la possibilità di ripristinare il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato, assegnandogli compiti didattici, oppure introdurre il professore junior come proposto dal CUN, ristabilendo altresì una figura di ricercatore a tempo determinato per esclusiva attività di ricerca, com’era prevista dalla legge 230/2005. Inoltre propone di togliere tutte le regole inutili e i vincoli numerologici introdotti dalle recenti riforme, evitando di fare altre leggi o provvedimenti, ma piuttosto abrogando quelli inutili e controproducenti che già ci sono; del resto sembra che tutti, ma proprio tutti, siano d’accordo con la necessità e l’urgenza di semplificazione. Altra proposta è di abolire i punti organico e il bizantino sistema di programmazione del personale denominato PROPER, restituendo agli Atenei la responsabilità di programmare in autonomia il proprio futuro, lo sviluppo scientifico e tecnologico del nostro Paese e la formazione dei nostri giovani. Infine si auspica di lasciare fare la valutazione della ricerca a soggetti terzi che dimostrino solida capacità di saperla fare e impiegare le risorse risparmiate con l’abolizione di agenzie e commissioni inutili, e con l’abbandono di servizi informatici comunque inefficienti, per finanziare un programma nazionale di reclutamento di giovani ricercatori. (Fonte: N. Casagli, Roars 03-02-2015)

RECLUTAMENTO. PROCEDURA VALUTATIVA DI ABILITATI PER PROMOZIONI INTERNE
Gli atenei amano creare i concorsi su misura di chi hanno bisogno di assumere. Avviene quasi ovunque nel mondo. Le università italiane, però, in questo campo sono molto più evolute, e, infatti, hanno anche un altro meccanismo fornito dalla legge Gelmini per evitare il fastidioso problema di concorsi e del reclutamento di persone dall'esterno. Si chiama procedura valutativa, in pratica sono selezioni per professori ordinari o associati riservate a chi già lavora all'interno dell'università, quindi nient'altro che promozioni interne. E' un comma inserito nella legge Gelmini a prevedere la possibilità di bandire concorsi riservati a chi già lavora all'interno dell'università e abbia ottenuto l'Abilitazione, per farli diventare professori associati o ordinari. E' il comma 6 dell'articolo 24 della legge. Il problema è che la legge prevede anche che al massimo il 50% delle risorse destinate al reclutamento possa essere riservato agli interni ma, come spesso accade in Italia, in caso di mancato rispetto dell'obbligo non ci sono sanzioni. E, quindi, ora che finalmente la macchina delle assunzioni nelle università è partita a pieno regime, accade che alcune università ne approfittino un po'. Alla faccia della trasparenza non esiste più un sito che raccolga tutti i concorsi banditi in Italia in ordine temporale con esiti e verbali. Per capire come si stanno organizzando bisogna andare a spulciare sito per sito, cercando fra i meandri del web fino ad a trovare l'elenco dei bandi, spesso abbastanza nascosti. Si scopre così che ci sono due università che hanno interpretato in modo molto ampio la legge Gelmini. E' il caso di Bologna dove nel 2014 ci sono stati 393 procedure valutative e 23 bandi aperti ad esterni. Qualcosa di simile è avvenuto alla Sapienza dove sul sito si contano 187 procedure riservate a interni e 11 ad esterni. Nelle altre università la sproporzione esiste ma è più vicina ai termini concessi dalla legge. A Roma Tre ci sono state 75 procedure valutative contro 31 bandi selettivi. A Foggia 13 procedure contro 2 bandi selettivi, a Messina 7 contro 20. A  Milano 164 contro 63. Dietro la pioggia di promozioni vi è una strada obbligata dall'assenza di risorse. Come ha raccontato un professore: "Non ci sono soldi per nuove assunzioni, non ci sono i soldi per prendere il brillante scienziato né dagli Stati Uniti né dal paese accanto. Si può solo far diventare un ricercatore interno associato. Non gli si deve pagare nemmeno l'aumento di stipendio: il blocco degli scatti e della ricostruzione delle carriere fa sì che un ricercatore di 40-45 anni (che aspetta da 10-15 un concorso) ha già lo stesso stipendio che avrà da associato. La manovra è a costo zero”. (Fonte: F. Amabile, La Stampa Opinioni 04-02-2015)

  
RICERCA. RICERCATORI

RICERCA. IN ARRIVO DAL MIUR PIANO NAZIONALE E 5 LINEE PROGRAMMATICHE
È in dirittura d'arrivo il Piano nazionale della Ricerca allo studio presso il ministero per l'Istruzione, l'Università e la Ricerca. Lo ha reso noto il ministro Stefania Giannini.
''Alla fine del mese - ha detto Giannini - sarà presentato il Piano Nazionale della Ricerca che definirà la nostra strategia nazionale nella ricerca'' stabilendo priorità e strategie del Paese per i prossimi sette anni. Un punto molto importante, ha aggiunto il ministro, ''sarà il raccordo degli obiettivi nazionali con quelli regionali''. Nei giorni scorsi, lo stesso ministero ha diffuso le priorità politiche dell'azione del dicastero per il 2015. Eccovi le cinque voci delle linee programmatiche dedicate alla Ricerca:
 - Semplificare le procedure finanziarie inerenti la ricerca affinché le risorse disponibili siano utilizzate in maniera efficiente; facendo confluire le risorse in un piano di ricerca unico al quale attingere attraverso interventi a bando o assegnazioni a fronte della valutazione dei risultati.
 - Programmare meglio le attività e gli interventi inerenti la ricerca, non solo da parte degli enti vigilanti dal Miur ma anche attraverso la creazione di un Coordinamento Nazionale degli Enti Pubblici di ricerca.  La filiera unica è una necessità per meglio dialogare con l?unione Europea.
 - Sostenere una programmazione pluriennale più coerente ed efficace delle risorse disponibili nonché di quelle acquisibili mediante competizione da parte di Enti e Università in sinergia con le imprese e i territori.
  - Nell’ambito del quadro europeo e in linea con “Horizon 2020”, favorire i processi di apertura internazionale degli Enti pubblici di ricerca e assicurare l’allineamento con gli obiettivi nazionali.
 -   Promuovere le politiche di mobilità dei ricercatori a tutti i livelli favorendo e semplificando le procedure di “portabilità” dei progetti di ricerca, specie in raccordo con il sistema delle infrastrutture. (Fonte: http://www.uninews24.it 13-02-2015)

UN EMEDAMENTO ALLA CAMERA PORTA DA 4 A 6 IL LIMITE DI ANNI DI ASSEGNI DI RICERCA ATTRIBUIBILI A UN RICERCATORE
La commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento al decreto Milleproroghe che fa(rebbe, se il decreto passasse) tirare un sospiro di sollievo a decine di migliaia di ricercatori, portando da 4 a 6 il limite di anni di assegni di ricerca attribuibili a un ricercatore. Per capire la portata del decreto, bisogna sapere che la riforma Gelmini (legge 240/2010) aveva trovato una soluzione piuttosto "radicale" al problema del precariato nell'università: porre un tetto di 4 anni al periodo in cui un ricercatore può usufruire di assegni di ricerca. Visto l'attuale struttura delle carriere nella ricerca, l'assegno di ricerca costituisce il principale strumento di sostentamento per tutti i giovani studiosi che hanno finito il dottorato ma non sono ancora stati inquadrati nel ruolo di ricercatori o professori; si tratta insomma di un periodo precario di "gavetta" in cui il ricercatore, tipicamente esentato da obblighi didattici, deve rendere solido e spendibile il proprio curriculum per trovare un inquadramento in un ateneo. L'emendamento, presentato dalla deputata PD Manuela Ghizzoni rimanda il problema di due anni. “Se non ci fosse stata questa proroga avremmo rischiato di perdere un capitale umano di ricercatori di livello, che il sistema italiano della ricerca, sottodimensionato, non assorbe. Non possiamo perdere altri ricercatori perché l’Italia – spiega Ghizzoni – ne ha a oggi un numero bassissimo, circa 150.000, a fronte dei 510.000 della Germania, 430.000 dell’Inghilterra, 340.000 della Francia e 220.000 della Spagna".
(Fonte: M. Viola, http://www.uninews24.it 06-02-2015)

ASSEGNI DI RICERCA PROROGATI. MA RESTA INALTERATO A 12 ANNI IL TOTALE DI ASSEGNI+RTDA+RTDB
Sembra che l'emendamento Ghizzoni approvato alla Camera (“La durata complessiva dei rapporti instaurati ai sensi dell'articolo 22, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, è prorogata di due annni”) dimentichi un dettaglio importante. Aumenta di due anni la lunghezza degli assegni di ricerca ma lascia inalterati a 12 anni il totale di assegni+RTDa+RTDb. Posto che gli RTDb sono il punto di arrivo più ambito (danno sostanzialmente diritto - o quasi - a un posto di professore) per poter concorrere uno deve aver fatto non più di 9 anni di assegno + RTDa. Si pone pertanto il dilemma: se uno vuole fare i due anni aggiuntivi di assegno, deve rinunciare ad almeno due anni di RTDa, meglio pagato e più prestigioso. Ma la situazione è anche peggiore. Sappiamo che gli RTDa che accederanno agli RTDb saranno solo quelli fatti su FFO, che saranno sempre banditi per una durata di 3+2 anni. Allora, se uno fa anche solo un anno aggiuntivo di assegno sostanzialmente non potrà prendere un RTDa e quindi poi neppure un RTDb. (Fonte: D. Brogioli ricercatoriprecari-dibattito@googlegroups.com 09-02-2015)

RICERCATORI. EFFETTI  DELLA LEGGE 240/2010
Con la legge Gelmini (240/2010) la figura del ricercatore universitario è stata definitivamente soppressa e sostituita con due surrogati: il ricercatore a tempo determinato di tipo A (cosiddetto RTD-A) con contratto triennale rinnovabile una sola volta per ulteriori due anni; il ricercatore a tempo determinato di tipo B (cosiddetto RTD-B) con contratto triennale non rinnovabile, con opzione di chiamata a professore associato in caso di conseguimento dell’ASN e di valutazione positiva dell’Ateneo chiamante. Tutto ciò ha provocato una serie di effetti che, quantomeno, avrebbero dovuto essere previsti. Ne cito solo alcuni.
a) Ovviamente per entrambe le figure è stato inserito il tassativo obbligo di fare didattica. La progressiva precarizzazione della docenza universitaria con i continui salti mortali dei presidenti dei corsi di studio per adeguare ordinamenti e regolamenti alla costante variabilità del corpo docente;
b) l’abolizione di fatto della figura del ricercatore a tempo determinato per esclusiva attività di ricerca, esistente praticamente in tutti gli altri Paesi – introdotta da noi dalla legge Moratti e poi abolita dalla Gelmini – che ha generato l’assurdo paradosso che se un docente ha un progetto per reclutare ricercatori a tempo determinato per fare ricerca non può più farlo, perché il tempo che deve essere obbligatoriamente dedicato alla didattica non è giustamente riconosciuto dal finanziatore;
c) l’obbligo dell’inserimento nella programmazione degli Atenei anche dei ricercatori di tipo A, che, di fatto, è una richiesta di programmare l’improgrammabile, ovvero l’istituzione di posti a tempo determinato che dovrebbero essere legati a contingenti e poco prevedibili esigenze di ricerca e di formazione;
d) un ulteriore squilibrio nell’ambito delle limitazioni del turn over, in quanto i professori e i ricercatori che cessano le attività vengono sostituiti, al 20% o al 50% a seconda delle restrizioni del momento, con effimeri contrattisti a tempo determinato;
e) lo strano fatto che i ricercatori a tempo determinato, con contratto precario e stipendio spesso minore rispetto ai loro colleghi a tempo indeterminato, devono lavorare di più perché hanno l’obbligo della didattica che gli altri non hanno. (Fonte: N. Casagli, Roars 03-02-2015)

RICERCA. INDICE BIBLIOMETRICO E REFERAGGIO
A proposito delle modalità di valutazione della ricerca attraverso la misura dell’indice delle citazioni, utilizzato anche dallo stesso Anvur come criterio di qualità della produttività scientifica, senza considerare/valutare la qualità scientifica del lavoro con un processo di referaggio. Nel 1989, è stato pubblicato l’articolo di Fleischmann M., Pons S., «Electrochemically induced nuclear fusion of deuterium» (1989), Journal of Electroanalytical Chemistry, 261 (2 PART 1), pp. 301-308. Si tratta della cosiddetta «fusione fredda» che, successivamente, si rilevò frutto di errori di procedura sperimentale. Tale articolo, già nel 2010, era stato citato da 750 ricercatori, nel solo 2014 ha raccolto 8 citazioni. Nel settore chimico, tale articolo rientra quindi tra quelli a maggior impatto in termini di citazioni e, di conseguenza, classificherebbe il ricercatore eccellente. (Fonte: J. Kaspar, corriereinnovazione.corriere.it 01-02-2015)

L'UNICO FINANZIAMENTO ALLA RICERCA PUBBLICA NEL 2014, IL SIR, FORSE IN PRIMAVERA
Più di 5 mila ricercatori precari sono sulle spine. Il bando Sir, questo il nome, è stato l'unico finanziamento alla ricerca pubblica nel 2014. Ma è ancora rinchiuso nelle casse dello Stato e nella migliore delle ipotesi vedrà la luce a tarda primavera. Tutto per un errore che poteva essere evitato. Nel gennaio 2014 il ministero pubblica il bando. Internazionale nel nome, Sir sta per "Scientific independence of researchers", e nelle intenzioni il monte-premi è di 47 milioni da spartire tra i migliori ricercatori italiani. Tutti precari perché Sir è riservato a chi ancora non ha un posto fisso, e nell'università italiana sono in tanti. Si presentano in 5.250, ciascuno con il proprio progetto di ricerca. Scritto in inglese perché sarà sottoposto ad una commissione «internazionale» formata da tre persone scelte «all'interno di una rosa di nove nominativi proposta dal consiglio scientifico dell'Erc», l'agenzia dell'Unione europea che seleziona e finanzia la migliore ricerca in Europa. Questo per garantire il prestigio e l'imparzialità dei commissari. Le tre commissioni, una per ognuna delle tre aree scientifiche del concorso, si sono insediate soltanto ad ottobre, dieci mesi dopo la pubblicazione del bando, più di otto mesi dopo la scadenza del termine per presentare i progetti in gara, insomma con un incomprensibile ritardo. E, cosa ancora più strana, dentro quelle commissioni non c'è traccia degli esperti dell'Erc. I commissari sono scelti non nell'albo di Bruxelles ma in quello romano del ministero dell'Università. Qui ha inizio lo scaricabarile. Secondo il ministero è tutta colpa dell'Erc. Il Miur, stando alla sua versione, avrebbe messo nero su bianco la nomina di commissioni internazionali, salvo poi scoprire che quelle commissioni non si potevano fare. Ma è una versione che cozza contro un'altra versione, quella dell'Erc, che spiega che «il Miur ci aveva chiesto di poter accedere al database dei nostri commissari, per coinvolgerli nel Sir. Ma come gli abbiamo subito spiegato, questo è impossibile». I commissari Erc sono nominati solo per valutare i progetti Erc e i loro nomi fino alla fine dei lavori restano segreti. Di tutto questo il Miur non ha tenuto conto, finché dieci mesi dopo l'uscita del bando, otto mesi dopo la scadenza del termine per le domande, è stato costretto a metterci una pezza, a modificare le regole in corso d'opera e a ripiegare su altri commissari. (Fonte: F. Margiocco, Secolo XIX 24-01-2015)

IIT DI GENOVA. NON PIÙ CENTRALIZZAZIONE DEI BREVETTI
Sarà eliminata nel corso dell’iter parlamentare del Decreto legislativo, la contestata norma contenuta nel cosiddetto “Investment Compact” (il decreto legge che cambia le banche popolari in società per azioni) che avrebbe fatto dell’Istituto italiano di Tecnologia di Genova l’ente per la gestione della proprietà intellettuale di tutti gli istituti nazionali di ricerca pubblici e delle Università, e che prevedeva quindi una centralizzazione dei brevetti e dunque un aumento degli impegni burocratici dell’istituto, a scapito di quelli della ricerca. Secondo quanto si apprende, la misura dovrebbe essere sostituita con la possibilità per l’Iit di costituire, investire o partecipare a startup innovative. (Fonte: www.ilsecoloxix.it 27-01-2015)

CULTURA DELLA VALUTAZIONE E CULTURA DELL’ADEMPIMENTO
L’Italia è stato l’ultimo paese europeo a dotarsi di un’Agenzia Nazionale di Valutazione della Ricerca. L’ANVUR è divenuta operativa solo nel 2011, con la nomina del Consiglio Direttivo, con un ritardo di 8 anni rispetto all’impegno assunto nel 2003, alla conferenza di Berlino. Un’Agenzia Nazionale è indispensabile per sviluppare la cultura della valutazione intesa come cultura del render conto, nei termini anglosassoni della accountability. Valutare significa entrare nel merito dei processi che le Università adottano nella loro autonomia, verificarne l’efficacia, l’efficienza e la correttezza nell’uso delle risorse. La cultura della valutazione, lontana com’è dalla tradizione italiana, va introdotta in maniera graduale e, per essere accettata e divenire strumento efficace, deve coinvolgere in modo attivo, diretto e convinto le Università e le persone interessate. L’ANVUR ha svolto un lavoro enorme con la lodevole volontà di recuperare il tempo perduto. Ma il sistema AVA, adottato per la valutazione della didattica con tempi ristretti, risente fortemente di un’impostazione che viene dal passato, è fondata su un modello centralistico-autorizzativo, anziché su un modello valutativo in linea con i modelli europei più avanzati. Più che la cultura della valutazione si sta sviluppando la cultura dell’adempimento; un modello altamente prescrittivo, dove la valutazione diviene la verifica del rispetto di vincoli numerici e parametri che poco spazio lasciano all’autonomia e alla capacità inventiva e di elaborazione degli Atenei. Per tali motivi il sistema adottato è percepito dal mondo universitario come un ulteriore pesante aggravio di natura burocratica, calato dall’alto. Il rimedio consiste soprattutto nel promuovere la capacità delle istituzioni di perseguire gli obiettivi da esse stesse stabiliti in autonomia, attraverso la valutazione ex post dei processi adottati e dei risultati conseguiti. (Fonte: A. Stella, Roars 30-01-2015)

RICERCA. L’OMS PROPONE NUOVE REGOLE PER LA PUBBLICAZIONE DI STUDI CLINICI
Una delle problematiche più inquietanti della medicina contemporanea è quella relativa ai risultati di molti studi clinici, che non vengono mai resi pubblici. Se ai ricercatori non piacciono i risultati ottenuti o una compagnia farmaceutica arriva a conclusioni scottanti (come la dannosità di un farmaco che però permette alla società di incassare molti soldi), i dati non vengono pubblicati. Questo ha portato, nel corso del tempo, a un’inevitabile polarizzazione della conoscenza dei risultati medici. Per anni i ricercatori e gli studiosi hanno segnalato il problema, senza però essere mai ascoltati. Il 2015, però, sarà l’anno della svolta: secondo un nuovo piano, proposto dal Dipartimento di Salute e Servizi Umani dell’OMS, a partire dal mese scorso, i ricercatori che gestiscono gli studi clinici sono obbligati a registrare i risultati ottenuti sulla più grande banca dati del mondo (clinicaltrials.gov) entro 3 settimane dalla firma sul progetto del primo ricercatore, con l’obbligo di riportare una sintesi dei risultati a prescindere dal risultato stesso. Il piano porterà a un incremento notevole del database, che nel 2015 permetterà una sempre maggiore condivisione clinica dei dati. Questo progetto, avviato contemporaneamente in Europa e negli Stati Uniti, sarà guidato da un gruppo di medici, chiamati a garantire che ogni sperimentazione clinica venga registrata con i giusti metodi e i risultati ottenuti. I governi, tra cui quello americano, hanno acconsentito alla creazione del progetto, garantendo provvedimenti qualora l’iter non venga rispettato. (Fonte: F. Ciapparoni, www.smartweek.it 01-02-2015)

RICERCATORI. PERCHÈ NACQUERO A TEMPO INDETERMINATO
I ricercatori universitari (RU) a tempo indeterminato (ora ruolo ad esaurimento) dovevano “sostituire”, nei primi anni ’80, una giungla di figure precarie “accumulatesi” durante gli anni ’70 nei ranghi dell’Università italiana. Furono concepiti come “posizione di ruolo permanente” e non come posizione a tempo determinato proprio per l’opposizione ideologica, prevalente in quei tempi, alla “precarizzazione del lavoro”, tant’è che l’originaria proposta del ministro Valitutti di limitarne la durata temporale a 7 anni fu poi emendata durante il passaggio nelle Commissioni Parlamentari.
Per poter insegnare (nel senso di avere la responsabilità didattica di un corso di insegnamento) bisognava diventare Professori Associati – e mi pare che ci fosse una logica in tutto questo. Ciò che era illogico era pensare che l’istituzione del ruolo di RU avrebbe eliminato il precariato, giacché dopo pochi anni fu evidente che il veloce raggiungimento dei limiti superiori per gli organici nazionali degli RU avrebbe imposto una rinnovata vita alle figure a tempo determinato – ora tipicamente post-dottorato. Facciamo un salto di qualche anno e arriviamo al periodo “gelminiano”. La successiva deroga al principio di assicurare l’insegnamento ai soli Professori fu una conseguenza del continuo aumento di domanda di insegnamento negli anni ’80 e ’90. Ma non si poteva per questo cambiare lo stato giuridico degli RU; lo impediva la natura di funzionario pubblico loro attribuita, analogamente a quello dei Professori: non si possono cambiare i profili funzionali di tali categorie di personale “ex abrupto”. E del resto fare degli RU una “terza fascia di Professori” avrebbe ipso facto causato una svalutazione del ruolo docente, assegnando compiti equivalenti a quelli dei professori associati a personale con stipendio inferiore. (Fonte: R. Rubele, replica a N. Casagli 03-02-2015)

RICERCATORI. POCHI E ANZIANI           
Horizon 2020 finanzia - anche cospicuamente - le idee dei ricercatori: presupposto imprescindibile è dunque che vi siano, innanzi tutto, i ricercatori e le idee. Il rilievo non appaia banale o tautologico: dalle statistiche Eurostat si evince che in Italia opera solo il 6% dei ricercatori attivi in Europa, contro il 20,5% della Germania, il 16,9% della Gran Bretagna, il 13,4% della Francia. I ricercatori italiani non solo sono molto pochi, ma vanno diminuendo per il blocco del turnover. Ancora: se è vero, come è stato dimostrato, che le idee innovative hanno correlazione inversamente proporzionale all'età, si allarga ulteriormente la forbice della disparità delle condizioni di partenza. I (pochi) ricercatori italiani sono, infatti, anche i più vecchi d'Europa, e solo nell'arco dell'ultimo trentennio la loro età media è cresciuta di ben dieci anni. Non per caso le Università italiane chiedono da tempo un piano straordinario diretto all'inserimento dei giovani nel mondo della ricerca, affinché portino nuova linfa nei settori avanzati e si formino così anche i presupposti per creare nuovi posti di lavoro nei settori produttivi legati all'innovazione scientifica e tecnologica.
(Fonte: L. D’Alessandro, Il Mattino 14-02-2015)


RIFORMA UNIVERSITARIA

RIFORMA UNIVERSITARIA. LA RICETTA NON DEVE ESSERE SOLO A BASE DI SLOGAN SECONDO L’UDU
“Basta slogan, l’università e gli studenti hanno bisogno d’altro”. Questa, in estrema sintesi, la reazione dell’UDU alle parole del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone a proposito di un prossimo piano di riforma del sistema accademico. L’annuncio del sottosegretario è stato dato in un’intervista a La Stampa, nella quale è stata manifestata la volontà del MIUR di superare le rigidità e rimettere al centro gli studenti. L’Unione degli universitari (UDU), però, guarda con sospetto all’ipotesi di una nuova riforma e accusa il governo di ricorrere per l’ennesima volta ad annunci cui poi non seguono i fatti. “Apprendiamo, dalle dichiarazioni a mezzo stampa del sottosegretario Faraone, dell’intenzione del Governo di intervenire sull’università per ‘cambiare la mentalità’ e ‘rottamare le rigidità’ del sistema”, scrive l’UDU in un comunicato, nel quale ricorda all’esecutivo che in Italia “abbiamo bisogno di una progettualità fatta di interventi seri e condivisi con gli studenti, senza ulteriori spot”. La reazione dell’UDU alle proposte messe sul tappeto dal sottosegretario è segnata da un palese scetticismo. Per il coordinatore nazionale dell’associazione studentesca, Gianluca Succimarra, intervenire su un settore in sofferenza come quello universitario richiede che si ricostruisca “una visione programmatica del sistema universitario pubblico, dei suoi obbiettivi e del suo valore, partendo da un confronto reale con i suoi attori, studenti in primis“. Confronto che, si sottolinea da parte dell’UDU non è ancora stato intrapreso.
La reazione dell’UDU alle proposte di Faraone prende di mira soprattutto l’assenza di alcuni temi: “a parte qualche battuta, il sottosegretario non spende una parola sulle nostre tasse, tra le più alte d’Europa, sulla vergogna degli idonei non beneficiari di borsa di studio, sulle lacune enormi nell’offerta di servizi e diritto allo studio”. Tutti temi che per gli studenti sono assolutamente centrali e, dal loro punto di vista, dovrebbero essere affrontati con urgenza. Per il momento, dunque, l’UDU boccia le idee emerse nell’intervista a Faraone, dicendo senza mezzi termini che “rottamare le rigidità” è solo “un ennesimo slogan buono per i talk show”. (Fonte: universita.it 24-01-2015)

RIFORMA DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI LANCIATA DAL MINISTRO GIANNINI
A Brera, nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico, il ministro Stefania Giannini, ha annunciato “Chiamata alle Arti”, un progetto per una riforma universitaria delle Accademie di Belle Arti. Via dunque al rilancio di tutto il settore, a partire dal comparto Afam, "un po' trascurato, ma è bene ricordarne la dimensione": in Italia ci sono venti accademie statali, 23 legalmente riconosciute, come Brera, e poi 54 conservatori, 20 istituti pareggiati, un’accademia teatrale e una di danza: ottomila studenti in tutto, di cui il 12% stranieri. Il settore, però, secondo Giannini ha bisogno di un nuovo modello formativo ed è così che, "dopo un lavoro durato un paio di mesi e svolto silenziosamente, è stato redatto un documento informale per far partire un dibattito, che parte oggi da Brera: gli abbiamo dato il nome di Chiamata alle Arti". L’obiettivo è quello della definizione di un documento unitario delle Accademie di Belle Arti per una necessaria Riforma del settore a quindici anni di distanza dalla Legge n.508/99 che non ha ancora trovato una completa attuazione. Questioni fondamentali come l’internazionalizzazione, l’autonomia, l’offerta formativa, il reclutamento dei docenti, la Ricerca, i contatti con le imprese e il mondo del lavoro devono trovare risposte efficaci in tempi brevi, anche per un definitivo allineamento del Sistema dell’Alta Formazione Italiano con le Istituzioni Europee. (Fonte: www.tecnicadellascuola.it 24-01-2015)


STUDENTI

CONSIGLIO DI STATO AUTORIZZA TRASFERIMENTO IN ITALIA SENZA TEST DEGLI ISCRITTI A MEDICINA ALL’ESTERO, MA A CERTE CONDIZIONI
Il trasferimento in Italia senza test d’ammissione degli studenti di Medicina iscritti in un ateneo estero è stato autorizzato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, l’ultimo grado di giudizio in campo amministrativo. Nella sentenza depositata il 28 gennaio scorso, la Corte ha stabilito che i 44mila giovani iscritti presso università straniere potranno rientrare nel nostro Paese senza sottoporsi alla selezione, obbligatoria invece per chi vuole intraprendere tale percorso di studi restando nell’ambito dei confini nazionali. Ma a certe condizioni. Il collegio di quindici magistrati guidati dal presidente Giorgio Giovannini ha dettato un principio che d’ora in poi guiderà le decisioni in merito all’accoglimento delle istanze di trasferimento in Italia di quanti, per aggirare il numero chiuso, si sono iscritti a Medicina in un ateneo estero. Nella sentenza del Consiglio di Stato si legge che ogni università deve soddisfare le richieste degli studenti, ma “nel rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento” fissato dall’ateneo stesso. Le università sono anche chiamate a sottoporre a un rigoroso vaglio la qualificazione dello studente, analizzandone i crediti formativi acquisiti all’estero “in relazione ad attività di studio compiute, frequenze maturate ed esami sostenuti”. Insomma, il trasferimento in Italia senza test non potrà essere automatico. (Fonte: universita.it 30-01-2015)

STUDENTI. NUOVO PROGRAMMA ERASMUS+
Con il bando 2015 per la mobilità individuale nel settore dell’istruzione e della formazione, atteso per il 4 marzo prossimo, il nuovo programma Erasmus+  apre le porte a tutti e cinque i continenti, attraversando i confini europei per disegnare nuovi flussi di mobilità che fino all’anno scorso erano di competenza solo dell’Erasmus Mundus. Rispetto al vecchio sistema, basato su consorzi universitari, ogni ateneo che abbia ottenuto la certificazione dell’Erasmus University Charter, è ora libero di collaborare con qualsiasi università nel mondo. Il programma settennale è stato avviato in un momento di forte disoccupazione giovanile in Europa, alla quale corrispondono paradossalmente milioni di posti d’impiego vacanti, a causa della difficoltà, da parte dei datori di lavoro, di assumere personale con le qualifiche richieste. A questo segnale di deficit di competenze in Europa Erasmus+ risponde fornendo rinnovate opportunità di studio, di formazione, di esperienze lavorative o di volontariato all’estero. Lo fa consentendo a 20.000 studenti in più di mettersi alla prova in un sistema universitario di qualunque Paese del mondo, ma anche ampliando il proprio budget, e vanificando così i ripetuti allarmi per la mancanza dei fondi europei necessari all’attivazione di nuovi programmi di mobilità. È, infatti, di questi giorni la notizia che aumentano di 121 milioni di euro i fondi già stanziati dalla Commissione europea per il periodo 2014-2020, e quantificati lo scorso anno in 14,7 miliardi di euro. L’Italia, in particolare, disporrà di un budget extra di 12 milioni di euro, da destinare sia alle mobilità in uscita dall’Italia che a quelle in entrata dal resto del mondo. Le risorse messe in campo per il nostro paese sono pari al 9,6% del budget europeo per il 2015 e finanzieranno 1.864 borse di mobilità. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 30-01-2015)

STUDENTI. ANALISI DEL CALO NEL PERCORSO FORMATIVO
Perché si perdono questi studenti? Anche qui ci troviamo di fronte a un problema di “leaky pipeline”, di tubo che perde, dove la pipeline è il percorso formativo. I tratti della tubazione sarebbero: scuola dell’obbligo -> scuola superiore -> università -> laureati. In rete si trovano dati e considerazioni per fare qualche analisi. Una “perdita” di tipo assoluto nel primo tratto/passaggio può essere solo legata a dati di tipo demografico: è calato in modo sensibile il numero di nati, e quindi poi di diciannovenni che si iscrivono all’università? La risposta è negativa, perché i tassi di diminuzione degli iscritti non sono paragonabili ai cali demografici verificatisi a fasi alterne in questi anni. Neanche il secondo tratto (diploma di scuola secondaria di II grado, o scuola superiore) costituisce una vera criticità: nel 2011 la percentuale di diplomi di scuola superiore rispetto alla popolazione dei 19enni era del 79%, una percentuale comunque inferiore a quella media europea (83%), ma di 4 punti percentuali. Ma il dato di per sé non è così significativo perché, come dice giustamente Andrea Cammelli di AlmaLaurea: “Il successo formativo del sistema scolastico secondario superiore non si misura solo dall’esito finale dell’Esame di Stato, ma anche e soprattutto sulla capacità di inserimenti professionali o formativi di alto livello qualificati, dove sia certificato e valorizzato il sapere come il saper fare”. La prima vera criticità si incontra, infatti, al momento dell’iscrizione all’università. L’emorragia degli ultimi dieci anni è preoccupante: 70550 iscritti in meno equivalgono ad una grande università italiana. Nei fatti, una università è già scomparsa. Nel 2011 mentre il 79% possedeva un diploma di scuola superiore, solo il 48% di essi (61 diplomati su cento, quindi) si iscriveva all’università rispetto alla media UE del 59% (-11 punti percentuali) e OCSE del 60%. Di quel 48%, il 12% frequentava l’università lavorando (studenti lavoratori). Per il calo di laureati bisogna prendere in considerazione il problema del rapporto d’importanza fra calo di iscrizioni e invece abbandoni universitari, rispetto alle medie UE. In Italia si iscrive all’università l’11% in meno dei 19enni rispetto alla media UE21, e si laurea il 20% in meno di studenti rispetto sempre alla media UE21. (Fonte: commento di Lilla a un articolo di De Nicolao su Roars 17-01-205)

STUDENTI. ABBANDONO DEGLI STUDI: MEDIA ITALIANA DEL 17,6% CONTRO MEDIA UE DEL 12,8%
Dati forniti dalla Banca d’Italia e dal Miur sulla dispersione scolastica nelle regioni italiane. In quest’ultimo anno si sono allontanati dagli studi quattro universitari su dieci: giovani 18-24enni che hanno abbandonato prematuramente gli studi o qualsiasi altro tipo di formazione. La media italiana è del 17,6% contro una media Ue del 12,8%. Insieme alla Sicilia, anche altre due regioni, Campania e Sardegna, si contraddistinguono per il triste primato dell’abbandono degli studi scolastici. Questo conferma che il fenomeno ha una sua territorialità che spicca soprattutto nelle regioni del Sud. (Fonte: www.qds.it 21-01-2015)

STUDENTI. BORSE DI STUDIO. NE BEFICIA UNO STUDENTE SU QUATTRO IN GERMANIA E FRANCIA, UNO SU DIECI IN ITALIA
Se guardiamo al decennio che va dall’A.A. 2001/2002 al 2010/2011, scopriamo che, a fronte di un numero quasi costante di studenti idonei alla borsa (dai 207 mila del 2001/2002 si cala fino ai 181 mila del 2010/2011), una larga percentuale di studenti non ne ha fattualmente beneficiato: si tratta della figura dei così detti “idonei non beneficiari”, ossia degli studenti che, pur rispettando le condizioni di accesso alla borsa sancite dal bando dell’ufficio regionale competente, non ricevono la borsa a causa dell’insufficienza delle risorse. La percentuale di questi sfortunati, quasi dimezzatasi dal 2001/2002 (34%) al 2009/2010 (16%), è poi tornata ad accentuarsi drasticamente nel 2010/2011 (25%), nonostante il calo degli idonei. Se fino a prima del DLgs 68/2012 la figura dell’idoneo non beneficiario non era semplicemente prevista dalla giurisprudenza, viene in un certo senso sdoganata dal momento in cui questa precisa che “la  concessione  delle  borse  di   studio è assicurata a tutti gli studenti aventi i requisiti  di  eleggibilità […], nei limiti  delle  risorse  disponibili  nello stato di previsione del Ministero a legislazione vigente”. Quindi lo Stato, pur vincolando le Regioni a versare il 40% del contributo statale, non vincola se stesso in alcun modo a coprire delle borse; il diritto allo studio non viene cioè considerato una priorità inderogabile. In Germania e in Francia, rispettivamente 418 e 593 migliaia di studenti beneficiano di supporti economici: più di uno studente su quattro. In Italia è invece idoneo alla borsa circa uno studente su dieci, e peraltro una volta su tre la carenza di fondi lo condanna al limbo degli idonei non beneficiari. (Fonte: rivista Ricerca della FUCI settembre-ottobre 2013)

CUN. DICHIARAZIONE «IN MERITO AL DECRETO INTERMINISTERIALE 9 DICEMBRE 2014, N. 893, COSTO STANDARD UNITARIO DI FORMAZIONE PER STUDENTE IN CORSO»
Con questa Dichiarazione, il Consiglio Universitario Nazionale interviene sul tema del Costo Standard, come modello per la ripartizione della quota base  del FFO per le Università statali, introdotto con il decreto interministeriale 9 dicembre 2014, n. 893 e formula proprie osservazioni in merito alle metodologie e ai dati utilizzati per i calcoli. Si legge qui.

STUDENTI. IL RIASSETTO DEL TEST PER L'ACCESSO A MEDICINA
Proviamo a riepilogare i punti riassuntivi dell'iter di riassetto dello stesso Test di Medicina 2015 in elaborazione ai piani alti dell'Istruzione italiana. Per prima cosa è bene evidenziare che il Test di Medicina 2015 si terrà a settembre e non a ottobre come in precedenza. In secondo luogo il Test di Medicina 2015 dovrebbe essere preceduto da un percorso di preparazione alla prova offerto dai singoli Atenei, previsione che potrebbe infliggere un duro colpo al business dei corsi privati. Dal Test di Medicina 2015 scompariranno infine le domande di logica e cultura generale con conseguente inserimento di vari quiz in inglese. L'ultimo punto riguarda il tentativo di far scendere il numero di pretendenti alla Facoltà: lo scorso anno avevamo 63mila candidati a fronte di 10.500 posti. Si starebbe così pensando a campagne di orientamento mirate a dissuadere chi non è realmente interessato a Medicina. L'obiettivo è avere un Test 2015 con 30mila candidati al massimo, meno della metà rispetto al 2014. (Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno 21-01-2015)

STUDENTI. NUOVO INDICATORE DELLA SITUAZIONE ECONOMICA EQUIVALENTE (ISEE)
Con il nuovo ISEE migliaia di studenti universitari rischiano di pagare le tasse più alte previste dai rispettivi atenei. A denunciarlo è l'Unione degli universitari (UDU). "La gestione dell'entrata in vigore del nuovo Isee - dichiara - è evidentemente fallace sotto molti punti di vista: ritardi che rischiano di non consentire la presentazione dell'Isee per l'assegnazione dell'importo delle tasse universitarie, mala gestione del periodo di transizione tra vecchia e nuovo Isee con conseguenti disuguaglianze tra studenti dello stesso ateneo". Ecco perché. Lo scorso primo gennaio, è entrata in vigore una nuova normativa per il calcolo dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) familiare, utilizzato dagli atenei per calcolare quanto ogni ragazzo dovrà pagare. Ed ecco il primo problema: "L'Inps dovrebbe sottoscrivere una convenzione con i Caf per potere rilasciare il modello Isee con le nuove regole - spiegano gli studenti - ma ancora questa convenzione non è stata sottoscritta e i Caf non possono rilasciare nessuna certificazione". E coloro che aspettavano la scadenza dei termini fissati dai singoli atenei per presentare la documentazione sulla situazione economica del nucleo famigliare rischiano di vedersi collocare nell'ultima fascia, quella più esosa.
Che prevede anche 1800/2000 euro di esborso all'anno. A Firenze e Ancora, per presentare la documentazione in questione ci sarà tempo fino alla fine di gennaio, mentre a Padova si potrà aspettare la fine di febbraio. Ma senza che i patronati possano rilasciare il modello Isee questa scadenza rimane sulla carta. Chi invece ha pensato per tempo a munirsi del prezioso documento da inoltrare alle segreterie universitarie ricade nella vecchia normativa con fasce di reddito diverse. Ed ecco un'altra anomalia denunciata dall'UDU: "Due studenti dello stesso ateneo e con lo stesso Isee potrebbero vedersi collocare - dice l’UDU - in due fasce diverse, se uno ha presentato il vecchio Isee e l'altro il nuovo". Una situazione che fa temere agli studenti "disuguaglianze tra studenti dello stesso ateneo". Ma non solo. "Una delle principali perplessità - concludono gli studenti - riguarda il calcolo delle borse di studio nella dichiarazione: se da una parte gli enti non dovranno considerare il peso dell'importo della borsa sull'Isee presentata per il suo ottenimento, dall'altra la borsa di studio, che dovrebbe avere una funzione sociale di sostegno a quelle famiglie che non possono permettersi di mantenere agli studi i propri figli, peserà in termini di fiscalità generale sul nucleo familiare". (Fonte: S. Intravide, La Repubblica 30-01-2015)

STUDENTI. DIMINUZIONE E SPOSTAMENTO AL NORD DI STUDENTI MERIDIONALI
In base al peggioramento della crisi economica, si è assistito negli ultimi anni a una fuga dei giovani meridionali dalle università e dall'istruzione superiore. Mentre nell'anno accademico 2005/2006 il numero di giovani meridionali iscritti alle università aveva raggiunto quello dei giovani settentrionali (674.000 rispetti a 679.000) completando una rincorsa storica avviatasi con la scuola e l'università di massa, in pochi anni il numero degli studenti universitari meridionali è crollato a 613.000. Quindi gli studenti meridionali stanno fuggendo dalle università. Se volessimo segnalare come la crisi economica stia falcidiando nel Sud le speranze di futuro, basterebbe guardare al numero di immatricolazioni e agli abbandoni degli studi. E si sta da tempo assistendo ad un altro fenomeno: chi può va a studiare nelle università del Centro-Nord. Un meridionale su tre, infatti, non si laurea nella propria regione. Ad esempio, il 20% dei campani si laurea in atenei centro-settentrionali. E per la maggior parte restano lì dopo la laurea. A fronte di questo numero elevato di studenti meridionali che va a laurearsi nelle regioni del Centro-Nord, pochissimi sono coloro che fanno il tragitto opposto: neanche il 2%. (Fonte: I. Sales, Il Mattino 01-02-2015)


VARIE

BREVETTI. PERCHÈ POCHI CONFRONTATI ALLE PUBBLICAZIONI
Non solo l’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), ma anche la maggior parte delle Università, valuta, ai fini della progressione della carriera, la sola produzione bibliografica, dando un peso scarso, o addirittura nullo, alla produttività tecnologica (brevetti). È quindi evidente che, per un giovane ricercatore, produrre pubblicazioni – ad alto impatto in termini di citazioni – diventa un «must», secondo la logica del «publish or perish». Va anche sottolineato che il deposito di una domanda di brevetto o la stessa collaborazione con industria, nella presente ottica di valutazione, rappresenta un chiaro svantaggio per il ricercatore, dovuto al fatto che la pubblicazione può essere dilazionata o addirittura negata (segreto industriale). Questo, quasi sicuramente, si rifletterà sulla sua carriera universitaria. Diverso è il caso degli Stati Uniti, Svezia o diversi altri Stati Ue, dove il contratto industriale costituisce una fonte essenziale di finanziamento e, in genere, costituisce una buona quota del proprio stipendio. In tale situazione vi è un forte interesse a brevettare, sia per proteggere l’interesse industriale, sia perché alla scadenza del periodo «nascosto» (18 mesi), la domanda diventa di dominio pubblico e si può procedere alla pubblicazione di un articolo. (Fonte: corriereinnovazione.corriere.it 01-02-2015)

LA BUONA UNIVERSITÀ. UN ANNUNCIO DAL GOVERNO
La Buona Università è stata annunciata dal sottosegretario Faraone in una recente intervista su ‘La Stampa’. Parola d'ordine: rottamare. Infatti il sottosegretario annuncia grandi cambiamenti su cui il Miur starebbe già lavorando. L'obiettivo è rendere il mondo universitario meno rigido ed aprirlo alle necessità degli studenti: da un ripensamento della formula del 3+2 ad una maggiore attenzione al diritto allo studio, dal potenziamento della mobilità nazionale e internazionale al miglioramento della valutazione degli atenei, e molto altro ancora. Ecco alcuni punti su cui il Miur sembra puntare > leggi qui. (Fonte: C. Ardizzone, skuola.net 19-01-2015).

DIFFICOLTÀ ITALIANE PER ORGANIZZARE UNA CONFERENZA COL SUPPORTO DELLO STATO
È impossibile, oggi, in Italia, organizzare una conferenza col supporto dello stato ed è impossibile, in Sicilia almeno, organizzare una conferenza col supporto delle fondazioni (se non si hanno le entrature giuste, immagino). Ma sbagliate voi a pensare che sia per mancanza di strategia. Ricordate, questa è la storia del perché l’Italia è molto più avanti di me: così avanti che ha già superato questo concetto antico delle riunioni di parrucconi in un luogo fisico per discutere di ricerca. Di più! L’Italia è così avanti che sta proprio superando il concetto di ricerca all’università! Il futuro, si sa, non passa da lì. Non esiste, in Italia, uno schema competitivo pubblico per richiedere fondi per organizzare una conferenza – schemi come quelli promossi dai Research Council nel Regno Unito, dalla Fundação Ciência e Tecnologia in Portogallo, o da Formas in Svezia. A quel punto ho realizzato una cosa che spesso diamo per scontata: in Italia non esiste alcuna struttura nazionale come i Research Council, ovvero nessuna struttura indipendente dai governi. Una agenzia indipendente di questo tipo non è mai esistita per due ragioni: 1- la politica italiana non ha mai ritenuto che un oggetto di questo tipo generasse consenso e quindi …2- una parte dell’accademia italiana ha sempre preferito i fondi ministeriali controllati con comitati autocooptati di rettori e vicepresidenti del CUN in prima o interposta persona. Se hai la fortuna di trovare uno sponsor che ti dà 1000 euro per la conferenza, magari l’amministrazione dell’Ateneo pretende di fare un contratto per servizi conto terzi, piuttosto che trattarlo come un’erogazione liberale fiscalmente deducibile. Ciò vuol dire che la sponsorizzazione sarà soggetta a IVA, alle ritenute fissate dall’Ateneo, incluso quel fondo di “produttività collettiva” (un “ossimoro” che da noi costa il 2,5%) che prevede una distribuzione a pioggia dei proventi a tutto il personale tecnico e amministrativo di Ateneo (chissà perché?). Il finanziatore non potrà poi dedurre l’importo erogato per organizzare l’evento scientifico dalle proprie tasse, quindi preferirà sponsorizzare manifestazioni politiche o di partiti, per le quali la deducibilità è assolutamente indubbia e incentivata. E poi ancora. Se il contributo finalmente arriva e voglio finanziarci un coffee break, devo per forza cercare il servizio sul MEPA e, se non c’è, devo fare un bando di gara con il CIG e il CUP e consultare almeno cinque operatori economici. Alla fine devo aggiudicare a chi fa il prezzo più basso, magari fornendo un servizio di pessima qualità.  Fra poco ci chiederanno il parere preventivo di legittimità della Corte dei Conti, state a vedere.  Queste sono le figure meschine che facciamo con i colleghi stranieri. (Fonte: N. Casagli, P. Marcati, link per leggere il testo integrale 24-01-2015)

REPORTER SENZA FRONTIERE SEGNALA PEGGIORAMENTO DELLA LIBERTÀ DI STAMPA IN ITALIA
Peggiora lo stato della libertà di stampa nel nostro Paese: nella speciale classifica redatta da Reporter Senza Frontiere (RSF) l'Italia precipita di 24 posizioni, dal 49°posto al 73°. Pesano in questi ultimi 12 mesi "l'esplosione di minacce, in particolare della mafia, e procedimenti per diffamazione ingiustificati". In Italia nei primi dieci mesi del 2014 si sono verificati 43 casi di aggressione fisica e sette casi di incendio doloso a case o auto di giornalisti. I processi per diffamazione "ingiustificati", secondo i dati Rsf raccolti dall'associazione "Ossigeno per l'informazione" che da anni registra notizie sui giornalisti minacciati in Italia, sono aumentati da 84 nel 2013 a 129 nei primi dieci mesi del 2014. Stupisce che in graduatoria il nostro Paese sia superato anche da Paesi come l'Ungheria del discusso premier Orban (65° posto) o come Burkina Faso e Niger (46° e 47° posto). Peggio dell'Italia in Europa è riuscita a fare solo Andorra, caduta in un anno di 27 posizioni a causa delle difficoltà incontrate dai giornalisti nel raccontare le attività delle banche del piccolo Paese tra Francia e Spagna. (Fonte: R.it Cultura 12-02-2015)

RICORDO DEGLI ISTITUTI UNIVERSITARI
Il DPR 382 introdusse anche la possibilità di istituire i Dipartimenti. Al tempo non ne fu compresa la portata, innovativa o devastante a seconda dell’interpretazione e della successiva realizzazione. (Un sagace collega mi fece osservare allora che comunque i dipartimenti difficilmente avrebbero potuto “trasformare i somari in corsieri”. PSM). Sta di fatto che negli anni ‘80 la maggior parte di noi si trovò a preparare la tesi o a frequentare i laboratori e le corsie di un Istituto. L’Istituto, al netto delle considerazioni tecniche, legislative e di politica universitaria, era un microcosmo, una facoltà nella facoltà, un’università nell’università. Il “Professore” non era un soprannome. Costui era il capo indiscusso, il Direttore dell’Istituto. Sì, perché, un solo un professore, qualche tecnico e magari un ricercatore bastavano per giustificare l’esistenza dell’Istituto. Le regole erano poche, chiare e uguali per tutti. Gli orari di entrata e uscita, con l’unica tolleranza per la frequenza delle altre lezioni, il rispetto del superiore, con una scala gerarchica che contemplava anche l’anzianità degli interni, il divieto assoluto di delazione (attività che oggi invece pare andare per la maggiore, non solo in ambito accademico) e poche altre norme pratiche. L’istituto visto con gli occhi e la purezza dello studente interno era un ambiente idilliaco e armonico: comandava uno solo, le questioni si sbrigavano internamente e quando c’era da acquistare qualcosa bastavano un paio di telefonate. Tutto era gestito con la logica del buon padre di famiglia e la scelta dei fornitori si basava non solo sul prezzo migliore, ma soprattutto sulla loro affidabilità, ripetibilità e serietà comprovate dalle esperienze passate. L’istituto era come una famiglia, senza le intromissioni esterne e la falsa democrazia dei consessi attuali in cui la Democrazia non è più intesa come tutela della minoranza, ma come mero principio in base al quale le decisioni sono prese dalla maggioranza, con la minoranza che si conforma a esse. Negli istituti vigeva la norma, molto democratica e scientifica, del consenso e non quella della maggioranza. Se in ambito scientifico esistesse il principio maggioritario, oggi non avremmo né gli antibiotici, né i vaccini e non saremmo andati sulla luna.
Ancora oggi, per fortuna, chi partecipa ai gruppi di lavoro della commissione europea o comunque laddove si fa Scienza, sa che non si esce dalla stanza senza il consenso di tutti, a costo di fare notte fonda. L’EFSA, per citare un ambito a me familiare, è l’autorità europea per la sicurezza alimentare e il suo approccio è quello del consenso, della trasparenza, della qualità, dell’efficienza e della responsabilità (www.efsa.eu). Gli occhi dello studente degli anni ‘80 vedevano l’Istituto come quel luogo di libertà, ma non di anarchia, di autonomia e di libero scambio di idee tra pari, almeno sul piano della conoscenza. Il dado però era già stato tratto e l’avvio della sperimentazione organizzativa e didattica degli atenei, promossa dall’articolo 10 della legge 21 febbraio 1980 n. 28 e attuata con gli articoli 81 e seguenti del D.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, stava portando alla nascita dei dipartimenti universitari e con essi all’inserimento nel cosiddetto mondo del lavoro di quelli della mia generazione. Il «condominio di laureati» fu così il primo shoccante contatto con la nuova realtà da laureato. Il dipartimento aveva vinto e lo snellimento dei processi decisionali ora passava, con cadenza mensile, per un consiglio di dipartimento interfacoltà in cui i vecchi membri dell’Istituto, ridotti a uno sparuto numero, cercavano disperatamente di trovare, tra le maglie dell’attuale assetto organizzativo un pretesto per conseguire quel tanto auspicato coordinamento fra i settori scientifico-disciplinari omogenei. In un dipartimento universitario anche Jenner sarebbe stato messo in minoranza e il vaiolo sarebbe ancora oggi una malattia incontrollabile.
(Fonte: B. Cenci Goga, Roars 01 e 08-02-2015. L’autore dell’articolo ha fatto esperienza presso l’«Istituto di malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria» dell’Università degli Studi di Perugia,  istituto dove hanno lavorato illustri virologi quali Vittorio Cilli e Giovanni Castrucci. Nota di PSM)

SOCIAL MEDIA E ATENEI
Twitter, con compiti di area stampa e notizie, è utilizzato dal 76% degli atenei. Su Twitter è presente l’88% delle università medie (5.000-10.000 studenti), contro il 56% di quelle di piccole dimensioni e il 77% delle università con più di diecimila studenti. Dal punto di vista geografico, gli atenei del Nord sono i più rappresentati, con il 90% di presenze. Sia su FB che su Twitter gli atenei del Sud sono sottorappresentati.

SUA RD. “NON È UN ESERCIZIO DI VALUTAZIONE” MA UN “SOLIDO STRUMENTO” ... DI TRASTULLO BUROCRATICO
L’esercizio attualmente in atto (SUA RD 2011-2013) è monco rispetto alla VQR 2011-2014, manca, infatti, un anno di raccolta di informazioni. L’unico elemento di vantaggio (a detta di Anvur la raccolta delle informazioni permetterà poi di avere già a disposizione tutti i dati per la VQR) nello svolgimento di due esercizi paralleli che hanno la stessa finalità, non può dunque attuarsi perché manca comunque un anno, il 2014, per il quale però i dati verranno raccolti dopo la VQR 2011-2014. Questo  richiederà la riapertura di tutti i quadri per l’aggiornamento dei dati. Dopo aver impiegato circa 15 minuti per inserire sul sito MIUR-CINECA un premio scientifico, con tutti i minuziosi e superflui dettagli richiesti, ho deciso di rifiutarmi di compilare gli inutili campi della SUA-RD. Ho solo aggiornato le pubblicazioni, spendendo alcune ore di tempo, perché esse saranno forse utili per la VQR, le cui regole sono più o meno dichiarate. La SUA-RD è un gioco senza regole prestabilite che, anzi, cambiano continuamente. Dopo aver appreso che essa non è un “esercizio di valutazione”, bensì un “solido strumento”, sono ancora più convinto della scelta fatta. Nessuna legge, mi risulta, impone che noi professori e ricercatori dobbiamo sottoporci a dei “solidi strumenti”. Ma perché non ci rifiutiamo tutti insieme di sprecare il nostro tempo per questo ennesimo trastullo burocratico inutile e fine a se stesso? Ci vorrebbe un movimento nazionale di Liberazione dalla burocrazia fuori controllo: il Risorgimento dell’Università e della Ricerca d’Italia.
(Fonte: N. Casagli, Roars 12-02-2015)


ATENEI. IT

AUTONOMIA E RESPONSABILITÀ NEGLI ATENEI
L’ipertrofia normativa affligge i nostri atenei e ne rallenta il processo di rinnovamento. Restituire slancio alla formazione universitaria è solo questione di autonomia o sarebbero necessari cambiamenti di sistema? L’autonomia era stata introdotta dalla Riforma Berlinguer. Ma le università erano troppo immature per recepirla. Non controllavano le strutture di bilancio e non sono mai diventate “imprese” di ricerca, soggetti in competizione sul mercato della cultura. Abbiamo – tutti – reagito come burocrati, utilizzando le prerogative dell’autonomia in modo inadeguato, con conseguenze anche gravi in ambito finanziario. Il Ministero si è difeso costruendo
un marchingegno di norme e controlli dettagliati, dannosi alla ricerca e all’eccellenza. L’autonomia invece è necessaria, ma soltanto se c’è responsabilità e cioè capacità di gestire in prima persona.
Anche perché oggi il pubblico non può più sostenere al 100% le università. Più che un cambiamento di sistema, serve un cambiamento di cultura, e un sapersi assumere le proprie responsabilità. Il meccanismo di responsabilità, la gestione interna, la governance devono permettere ai migliori di emergere. Per il reclutamento un rettore ha la convenienza a scegliere i migliori e deve essere libero di farlo senza condizionamenti. Ma lo può fare se ha più potere e più responsabilità, senza dover mediare tra più interessi. (Fonte: M. Viglione, universitas n.134 pg. 53, dicembre 2014)

UNIBO. L’ALMA MATER A UTRECHT PER IL DOTTORATO IN STUDI DI GENERE
Il 23 gennaio si è tenuto a Utrecht, nell’ambito del progetto europeo “EDGES: European Doctorate in Gender Studies”, il secondo incontro internazionale tra istituzioni e  rappresentanti di imprese pubbliche e private, invitati a contribuire alla costruzione del dottorato internazionale in Studi di Genere. L’università di Bologna è tra le istituzioni invitate a partecipare a un confronto aperto con i rappresentanti delle autorità pubbliche, imprese e organizzazioni non governative al fine di raccogliere il punto di vista dei futuri lavoratori sulle competenze richieste agli studenti che parteciperanno al dottorato, ma anche il punto di vista dei decision makers direttamente coinvolti nell’applicazione delle politiche di genere nei propri contesti locali, regionali e nazionali. (Fonte: www.magazine.unibo.it 27-01-2015)

UNIBO. 96 PUNTI ORGANICO PER ASSUMERE 250 DOCENTI E RICERCATORI
L’università di Bologna creerà circa 250 nuove posizioni per docenti e ricercatori nel corso del 2015, grazie ai 96 punti organico, che si traducono in posti, ottenuti complessivamente tra il 2013 e il 2014. Lo ha annunciato il rettore Ivano Dionigi, spiegando che il numero di nuove assunzioni potrebbe cambiare in base ai «vincoli ministeriali che stiamo attendendo». La programmazione del personale è stata approvata dal senato accademico e dal consiglio di amministrazione dell’Ateneo. Le assunzioni sono programmate per l’1 settembre, i bandi invece saranno nei mesi tra aprile e giugno. Le nuove posizioni si sommano alle 404 di docenti e 40 di ricercatori dello scorso anno. «Abbiamo fatto in venti giorni quello che di solito si fa in sei mesi - ha detto Dionigi - Adesso attendiamo le decisioni del ministero». Le nuove posizioni devono essere nel 20% dei casi aperte per persone che vengono da fuori Bologna «per evitare l’indigenismo», ha spiegato Dionigi, e ogni due professori ordinari è necessario far entrare un ricercatore: «Decisione che è salutare, aiuta a cambiare il sangue all’ateneo», ha concluso il rettore. (Fonte: corrieredibologna.corriere.it 27-01-201%)

UNIBA. SOVRANNUMERO A MEDICINA
"Quest'anno accademico abbiamo subìto l'invasione di oltre 800 studenti, rispetto ai 240 posti programmati". E l'anno prossimo? "Ne abbiamo a disposizione 300. Avete scritto, giustamente, che il primo anno del corso di laurea in Medicina è allo sbando. È vero che ci mancano i docenti, che abbiamo cercato di rimediare con la teledidattica, che ci sono problemi tecnici. Però dobbiamo anche dire che ci hanno lasciato soli». Chi vi ha lasciato soli, professore? «Il ministero per l'Università, innanzitutto, che non ha voluto far controricorso alle ordinanze del Tar. Poi la stessa Università, che ci ha autorizzati a sforare il budget per far fronte al sovrannumero, ma non ha fatto nient'altro. E infine, cosa non da poco, la Regione, che non ha idea nemmeno di quanti docenti abbiamo a disposizione». E dovrebbe saperlo, la Regione? «Dovrebbe sapere, credo, quanti medici o quanti infermieri servono al territorio. Ma dal 2012 non convoca, è assente ai tavoli di programmazione. Evidentemente, il futuro della sanità pugliese non è una priorità». (Fonte: Intervista al presidente della Scuola barese di Medicina, Gazzetta del Mezzogiorno 21-01-2015)

LUISS. DOVE I LAUREATI GUADAGNANO DI PIÙ
La palma di ateneo con i dottori più “ricchi” spetta alla LUISS, che si aggiudica il primo posto della classifica delle università per stipendio dei laureati 2014, e l’area geografica in cui si registrano i guadagni più lauti è il Nord. Al Sud, invece, le buste paga sono più magre che nel resto d’Italia e il divario con le regioni settentrionali può raggiungere i -7mila euro annui. Secondo i dati della classifica delle università per stipendio dei laureati 2014, chi ha conseguito il titolo in un ateneo privato guadagna mediamente quasi il 20 per cento in più di chi ha frequentato un politecnico o un’università statale. In particolare, i laureati della Bocconi staccano nettamente gli altri già nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni: mentre il reddito medio annuo lordo degli altri si aggira intorno ai 30-35mila euro, quello degli ex-bocconiani arriva a sfondare quota 44mila. Nella fascia tra i 45 e i 54 anni, però, hanno la meglio i laureati della LUISS, che in media hanno un reddito annuo lordo pari a 115.158 euro. (Fonte: universita.it 08-10-20154)

POLIMI. SARÀ LA CORTE COSTITUZIONALE A DECIDERE SE LE LAUREE SPECIALISTICHE DOVRANNO ESSERE TUTTE IN INGLESE
Il Consiglio di Stato, infatti, si è pronunciato sul ricorso presentato dall’università (con un centinaio di professori) e dal Miur contro la sentenza del Tar che, nel 2013, aveva dato ragione ad alcuni docenti dell’ateneo contrari all’estensione dell’inglese come lingua d’insegnamento in tutte le lauree specialistiche. Nell’ordinanza i giudici hanno sollevato un dubbio di costituzionalità relativamente a una legge cui avevano fatto riferimento gli avvocati dell’università: il nodo è in un comma dell’articolo 2 della legge 240 del 2010 (cioè la riforma Gelmini) in cui si chiede agli atenei di modificare i propri statuti rafforzando l’internazionalizzazione anche attraverso «corsi di studio e forme di selezione svolti in lingua straniera». Il Consiglio di Stato, riconoscendo al Politecnico di aver agito all’interno della legge, ha posto un dubbio di costituzionalità, rinviando l’ultima decisione alla Consulta. (Fonte: www.milanotoday.it 24-01-2015)

UNINETTUNO PREMIATA CON L’ INTERNATIONAL E-LEARNING AWARD 2014 (ACADEMIC DIVISION)
L'Università Telematica Internazionale UNINETTUNO ha ricevuto a Dubai il premio International E-Learning Award 2014 (Academic Division) come Runner-up per il miglior portale di e-learning a livello globale. L'International E-Learning Award 2014, è stato assegnato da IELA – International E-Learning Association, con sede a New York  e membri provenienti da tutti i continenti e settori (industria, impresa, governi, università). Lo scopo di IELA è quello di promuovere ricerca, conoscenza e sviluppo nell’ambito dell’e-learning nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro. La conquista dell’International e-leanring Award 2014 – ha dichiarato il rettore Garito - conferma la vocazione internazionale della nostra Università che conta una popolazione studentesca di oltre 15.000 studenti provenienti da 128 paesi del mondo. (Fonte 13-01-2015)

FONDAZIONE CRUI. UNO STUDIO SULLE UNIVERSITÀ NON STATALI
L’attuale offerta formativa delle università non statali (anno accademico 2013-14) si compone di 224 corsi fra lauree triennali, magistrali e a ciclo unico. La copertura disciplinare spazia sull’intero arco del sapere accademico, sia pure in presenza di un certo sbilanciamento, se paragonata all’offerta del comparto statale, a favore del settore socio-umanistico e a scapito di quello
tecnico-scientifico e sanitario (ambito, quest’ultimo, dove comunque figurano importanti strutture come il Policlinico Gemelli, l’Ospedale San Raffaele e il Campus Bio-Medico). Le tendenze verificatesi nel corso dell’ultimo quadriennio (a.a. 2008-09 – a.a. 2012-13) evidenziano come a fronte di un progressivo assottigliamento del numero di giovani che si immatricolano nelle università statali (-14%), si registra una sostanziale tenuta del settore non statale che attualmente recluta nelle proprie aule poco meno del 10% di tutti coloro che si iscrivono per la prima volta all’università. Tassi di abbandono e tempi di conseguimento del titolo di studio delineano, infatti, un quadro in cui gli studenti delle libere università primeggiano nello scenario nazionale: a titolo di esempio, si consideri che nel 2011 i laureati fuori corso nelle università non statali ammontavano a poco più di un terzo mentre in ambito statale il medesimo valore si attestava leggermente al di sotto del 60%. (Fonte: M. Carfagna, universitas 134, p. 47, dicembre 2014)


UE. ESTERO

EU. TAGLI DI 2,7 MLD IN 5 ANNI E MEZZO AI FINANZIAMENTI PER HORIZON 2020
Nelle ultime settimane il Presidente della Commissione Europea Claude Juncker ha confermato l’intenzione di decurtare di 2,7 miliardi di euro in 5 anni e mezzo i finanziamenti ad Horizon 2020, il più importante e cospicuo programma-quadro di finanziamenti europei, per impiegarli come stimoli alla crescita economica. Nel giustificare la sua scelta, la CE spiega che auspicabilmente i fondi così investiti potrebbero produrre dei ritorni utili da reinvestire in ricerca – ma al contempo ammette francamente che sia più facile metter mano agli stanziamenti in ricerca che ai ben più blindati finanziamenti sull’agricoltura.
I tagli riguarderanno le seguenti istituzioni (Fonte: Science):
- 350 milioni – European Institute of Technology (Budapest)
- 306.8 milioni al settore ICT (Information and Communications Technology)
- 221.2 milioni all’ERC (European Research Council)
- 180.9 milioni ai progetti di sicurezza alimentare
- 169.1 milioni a nanotecnologie, materiali avanzati, tecnologie laser, biotecnologie e manifattura e processi avanzati
- 150 milioni ai programmi energetici (32.040301)
- 117.9 milioni alle ricerche sul futuro e alle tecnologie emergenti
- 109.1 milioni ai programmi energetici (08.020303)
- 102.4 milioni ai progetti sui trasporti efficienti ed eco-friendly
- 100 milioni al programma Marie Curie: generare, sviluppare e trasferire nuove abilità
(Fonte: M. Viola, http://www.uninews24.it 13-02-2015)

EU. YOUNG EUROPEAN RESEARCH UNIVERSITIES NETWORK
È nata ufficialmente a Bruxelles la rete delle giovani università di ricerca europee YERUN (Young European Research Universities Network). Si tratta di un gruppo composto da giovani atenei europei (con meno di 50 anni di attività) che si siano distinti per i risultati conseguiti in alcune delle più prestigiose classifiche delle università a livello internazionale (Times Higher Education, QS World University e Shanghai Ranking) e operino su basi comuni per la reciproca convenienza. I membri del network condividono una serie di principi cardine, tra cui l’orientamento verso una ricerca che faccia davvero la differenza nella società, un forte impegno per l’internazionalizzazione e un’elevata attenzione alla qualità della didattica e all’inserimento dei laureati nel mondo del lavoro. (Fonte: www.diregiovani.it/news 21-01-2015)

TALLOIRES NETWORK, LA RETE CHE RADUNA 315 UNIVERSITÀ IN 72 PAESI PER COLMARE LA DISTANZA TRA MONDO ACCADEMICO E ASPETTATIVE DEI DATORI DI LAVORO
Il rapporto fra l'aumento del numero dei laureati e il conseguimento di un lavoro, in tempi nei quali in tutto il mondo le università sono sotto accusa per il fallimento nel preparare gli studenti al mondo produttivo di oggi, è stato al centro del recente incontro dei leader del Talloires Network in Sudafrica. Questa rete raduna 315 università in 72 Paesi del mondo con un bacino di 6 milioni di studenti per colmare la distanza che separa il mondo accademico dalle aspettative dei datori di lavoro attraverso programmi di formazione professionale per laureandi e laureati come lo Youth Economic Participation Initiative (YEPI), già attivo in diversi Paesi. La didattica nelle università, infatti, viene spesso vista come parte del problema, mentre ci sono ormai parecchi esempi - anche geograficamente diversificati e replicabili - di programmi efficaci realizzati dalle comunità universitarie per migliorare l'incontro tra laureati e imprese, come spiega Amy Newcomb Rowe, tra i coordinatori dello YEPI in un articolo apparso su University World News. Ai leader delle università viene richiesta un'opera di "ingegneria sociale" perché sempre più spesso in molti Paesi con economie in crescita, ad esempio in Africa, il sogno dei laureati non è più quello di lavorare per il settore pubblico ma per tutte quelle multinazionali che si stanno espandendo nelle economie emergenti. Ecco perché in varie università stanno nascendo degli incubatori di impresa dove gli studenti vengono formati a lavorare in squadra su progetti non solo teorici. Uno dei modelli maggiormente apprezzati è quello di Technopark, l'incubatore d'impresa dell'International Institute for Water and Environmental Engineering, che attrae in Burkina-Faso studenti da 24 università africane per le sue specializzazioni in Ingegneria. (Fonte: M. Borraccino, rivistauniversitas 26-01-2015)

RAPPORTO EUA. DEFINE THEMATIC REPORT: FUNDING FOR EXCELLENCE
Prende in esame i meccanismi di finanziamento pubblico attivati in alcuni Paesi europei per rafforzare l'eccellenza nel settore universitario il recente Rapporto EUA. Define thematic report: funding for excellence - realizzato dall'EUA (European University Association) in collaborazione con la Friedrich-Alexander Universität Erlangen-Nürnberg (Germania) e con le Conferenze dei Rettori dei Paesi che hanno partecipato all'iniziativa -. Prima delle tre indagini tematiche previste dal Progetto Define - che analizza l'efficienza dei finanziamenti pubblici all'istruzione superiore - il Rapporto utilizza i dati raccolti in 29 Paesi europei nel periodo 2000-2014, evidenziando caratteristiche e obiettivi di alcune esperienze già realizzate. Ne emerge un panorama molto variegato per quanto riguarda i meccanismi messi in atto dalle istituzioni europee di istruzione superiore per utilizzare al meglio le risorse. In alcuni casi (come il REF, Research Excellence Framework, nel Regno Unito) il finanziamento per l'eccellenza, pur contemplando un certo criterio di selettività, è parte integrante di quello generale; altrove (ad esempio in Ungheria) i fondi sono attribuiti solo alle università che soddisfano determinati criteri (pubblicazioni scientifiche, staff accademico, etc.), ovvero possono essere utilizzati da singoli ricercatori o gruppi di ricerca sulla base di progetti di eccellenza predefiniti. Altre volte i fondi sono concentrati sulla creazione di nuove istituzioni (Institute of Science and Technology in Austria) o sull'accorpamento di quelle preesistenti (come la fusione, in Germania, tra l'Università e il Centro di Ricerca di Karlsruhe nell'ambito dell'Exzellenzinitiative). (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas 09-02-2015)

FRANCIA. AUMENTATI NEL 2014 ISCRITTI E IMMATRICOLATI ALL’UNIVERSITÀ, GRAZIE A 77MILA BORSE DI STUDIO IN PIÙ
L'anno accademico 2014/2015 conferma l'ulteriore crescita della popolazione universitaria: 2.466.500 gli iscritti (+1,5% rispetto all'anno precedente), di cui 480.500 gli immatricolati (+ 2,2% rispetto al 2013/14). Il segno positivo interessa tutte le tipologie di studio, anche se risulta percentualmente più sensibile nelle tipologie di insegnamento relative agli ambiti professionalizzanti e tecnologici: +2% nei 113 IUT (Instituts Universitaires de Technologie) e +6,2% nelle STS (Sections de techniciens). Nell'ottica di ampliare l'accessibilità universitaria, di guadagnare l'attrattività del sistema anche nei confronti degli studenti internazionali e con l'ambizione di scolarizzare al più alto livello almeno il 50% della corrispondente classe di età, si è deciso l'aumento dell'offerta formativa e degli incentivi legati all'orientamento e al diritto allo studio. Sono state finanziate nel 2014 ulteriori 77.000 borse di studio in aggiunta alle 56.000 del 2013 ed è stata fissata al 10% la quota di immatricolazioni senza selezione a favore degli aspiranti, che hanno conseguito il baccalaureato con la miglior votazione. (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas 28-01-2015)

UK. QUATTRO SISTEMI DI TASSAZIONE UNIVERSITARIA
Il recente voto referendario scozzese, contrario all’indipendenza, ha lasciato coesistere nel Regno Unito quattro sistemi di insegnamento distinti e con differenti importi di tassazione universitaria:
• in Inghilterra, un importo massimo pari a £ 9.000 per ogni studente di primo ciclo proveniente da qualsiasi parte del Regno Unito; • in Scozia, nessuna tassazione per i residenti, ma fino a £ 9.000 per gli studenti provenienti dalle altre parti del Regno; • in Galles, tassazione di £ 9.000; i residenti
pagano però soltanto £ 3.685 anche se vanno a studiare in altre aree del Paese e la differenza è pagata da una sovvenzione pubblica; • in Irlanda del Nord, i residenti pagano soltanto £ 3.575; chi proviene dal resto del Paese paga £ 9.000. Il Rapporto Too Good to Fail, The financial sustainability of Higher Education in England, predisposto dall’Higher Education Commission, sottolinea come il trasferimento dell’onere finanziario sulla contribuzione studentesca abbia esacerbato l’indebitamento dei giovani, ampliando la diseguaglianza intergenerazionale.
Tra l’altro, questa manovra genera il concreto timore che siano più di prima gli studenti incapaci di restituire completamente il debito nel termine di 30 anni – oltre il quale lo Stato ne assicura la cancellazione – che si tradurrà a quel punto in un maggior onere per i contribuenti. (Fonte: M.L. Marino, universitas 134, p. 59, dicembre 2014)

UK. CAMBRIDGE E IL SORPASSO SU OXFORD
Il settimanale The Economist nell'ultimo numero spiega per quale motivo «le fortune delle due antiche città universitarie» stiano prendendo strade diverse. La sentenza è chiara e l'accompagna l'ammissione di Bob Price, il laburista che guida il consiglio municipale di Oxford: «Cambridge è almeno 20 anni avanti rispetto a noi». La ricetta che funziona (per Cambridge) si compone di sviluppo urbanistico programmato, di investimenti, di coordinamento accademico, amministrativo e politico, di burocrazia messa alle corde, di porte aperte alla comunità scientifica che si allarga perché trova ospitalità e dimora fissa: nel 2014 a Cambridge sono state costruite 14 mila nuove unità abitative (e 19 mila lo saranno), a Oxford solo 60 (ne servono 32 mila entro il 2031).
Più case, nel rispetto dei piani, e prezzi più bassi per Cambridge (125 mila abitanti). Meno case, prezzi più alti e pendolarismo che cresce (46 mila al giorno) per Oxford (150 mila residenti). A Cambridge la crescita economica e sociale non trova resistenze e ha nell'università il suo motore che la guida. A Oxford la frammentazione decisionale (le contee contro la città) e il minore coinvolgimento dell'università stanno rendendo l'offerta meno attraente. Sia Cambridge sia Oxford hanno amministrazioni di centrosinistra ma sono due modelli di governo laburista in competizione.
Non c'entrano le medaglie che le due università possono orgogliosamente esibire: da Oxford sono usciti 26 primi ministri britannici (tre degli ultimi cinque: Thatcher, Blair, Cameron), leader internazionali (Indira Gandhi, San Suu Kyi e Bill Clinton), filosofi (Locke e Hobbes), imprenditori (Rupert Murdoch), attori e registi (Hugh Grant e Ken Loach), scrittori (Graham Greene e John Le Carrè) e 47 premi Nobel; Cambridge ha invece laureato Newton, Francesco Bacone, Bertrand Russell e ben 90 Nobel. La rivalità tuttavia va oltre gli steccati tradizionali e secolari dello sport e dell'accademia. E non la certifica solo l'Economist. La società di ricerca e di analisi socio-economiche «SQW» ha messo nero su bianco il sorpasso di Cambridge su Oxford nell'occupazione «hitech» (30 mila a 20 mila), il sorpasso nei trasporti e nei collegamenti con Londra e ha promosso «l'ecosistema» di Cambridge che favorisce lo sviluppo di nuovi parchi scientifici. (Fonte: CorSera 19-01-2015)

USA. OBAMA VUOLE GARANTIRE A TUTTI GLI AMERICANI VOLONTEROSI ALMENO DUE ANNI DI STUDI UNIVERSITARI COMPLETAMENTE GRATUITI NEI COMMUNITY COLLEGE
Negli Stati Uniti non esiste l’università pubblica come la si intende in gran parte d’Europa. Esiste una serie di sussidi, sia pubblici sia privati, che garantiscono borse di studio e prestiti agevolati ai giovani più meritevoli o più bisognosi. Ed esistono atenei finanziati anche con fondi statali, le cui tasse d’iscrizione sono più basse di quelle di istituzioni private come Harvard o Yale. Anche in questo caso, gli studenti devono comunque sborsare diverse migliaia di dollari l’anno, da un minimo di 4.222 dollari per il Bismarck State College in North Dakota a un massimo di quasi 18.000 dollari per l'University of Pittsburgh in Pennsylvania. Ora, però, il Presidente Barack Obama vuole mettere mano alla situazione e garantire a tutti gli americani volonterosi almeno due anni di studi universitari completamente gratuiti. La proposta, presentata da Obama l’otto gennaio durante un viaggio in Tennessee, il cui governo ha lanciato un’iniziativa simile quest’anno, si appoggia sulla rete esistente di “community college”. Questi sono piccoli istituti pubblici, ma a pagamento, diffusi su tutto il territorio nazionale e che offrono diplomi di laurea di soli due anni noti come “associate degree”. Oggi i community college funzionano sia indipendentemente, per quegli iscritti, spesso già adulti e lavoratori, che vogliono migliorare le proprie credenziali professionali in ambiti per lo più tecnici, ad esempio l’infermieristica o la grafica, sia da trampolino di lancio verso atenei più prestigiosi e costosi, dove gli studenti migliori possono trasferirsi per completare gli ultimi due dei quattro anni di corso necessari a ottenere una laurea vera e propria. Negli Stati Uniti, dove frequentare l’università è spesso fuori dalla portata economica di tanta gente, non solo tra i più poveri ma anche tra gli appartenenti alla classe media, i community college sono un’istituzione beneamata. Ebbene, ora il presidente Obama vuole rendere i community college gratuiti per tutti gli studenti, a patto che questi siano iscritti almeno a metà tempo; mantengano una media di voti di 2,5 (su un massimo di 4 come da consuetudine americana); e completino i propri corsi di studio nei tempi previsti. Se l’iniziativa dovesse essere adottata da tutti gli Stati dell’Unione, e approvata dal Congresso, la Casa Bianca stima che potrebbe toccare le vite di circa 9 milioni di americani, consentendo loro di risparmiare in media 3.800 dollari l’anno di tasse d’iscrizione. Il governo federale si addosserebbe tre-quarti dei costi di questo programma, mentre gli Stati dovrebbero fare fronte al resto. (Fonte: V. Pasquali, IlBo 15-01-2015)

USA. UN’ANALISI SUI TASSI DI ABBANDONO DEGLI STUDENTI
Per ridurre il tasso di abbandono le Università americane, in gran parte private, cercano di imparare dai dati accumulati in anni di gestione di generazioni di studenti, sfruttando le metodologie dei big data. In sostanza, si passano al setaccio le carriere accademiche degli studenti che si sono laureati bene e di quelli che invece hanno gettato la spugna per trovare degli indicatori che facciano capire quando uno studente è in difficoltà ancora prima che le difficoltà si presentino. Alla Georgia State University, hanno analizzato i risultati di due milioni e mezzo di esami e hanno osservato alcuni effetti, in parte piuttosto ovvi, in parte sorprendenti. Mentre nessuno sarà sorpreso di sapere che studenti coscienziosi, che hanno visitato l'Università prima di iscriversi e che decidono di seguire più corsi di quelli strettamente necessari, hanno risultati migliori di quelli che si sono iscritti all'ultimo momento e fanno solo il minimo indispensabile, sorprende il risultato circa il potere predittivo del voto del primo esame sostenuto. Analizzando i dati relativi al corso di scienze politiche, si evince che il voto del primo esame è un indicatore molto potente per prevedere il futuro di uno studente. Se i big data non mentono, il 75% di coloro che hanno preso un voto scadente nel primo esame non hanno finito il corso degli studi. Da qui la decisione di intervenire prontamente per affiancare da subito un tutor agli studenti che iniziano con voti non brillanti per cercare di capire quale sia il problema e come risolverlo. (Fonte: P. Caraveo, IlSole24Ore Domenica 01-02—2015)

USA. 215 MILIONI DI DOLLARI PER LA RICERCA NELL’ONCOLOGIA DI PRECISIONE
Nel suo ultimo discorso sullo stato dell'Unione, il presidente americano Obama ha annunciato: «Voglio che il nostro Paese, che ha eliminato la poliomielite e ha mappato il genoma umano, diventi il pioniere di una nuova era nel campo della salute. La Precision Medicine Initiative avrà lo scopo di trovare le migliori cure possibili per malattie importanti come il cancro e il diabete».
Per dare inizio al programma, Obama ha previsto un finanziamento di 215 milioni di dollari. Tanti. E ha annunciato, fra i suoi obiettivi, la raccolta dei dati genetici di un milione di americani (volontari) per permettere agli scienziati di sviluppare farmaci e trattamenti su misura in base alle caratteristiche specifiche dei pazienti. L'obiettivo prioritario è quello dei tumori: l'oncologia di precisione appare a portata di mano perché ormai si conoscono le carte di identità genetiche di molte neoplasie, soprattutto di quelle più frequenti, come quella del seno. Ma occorrerà analizzarne altre, meno conosciute. (Fonte: A. Barzi, CorSera 08-02-2015)

CINA. IL MERCATO DELLA PRODUZIONE E DELLA PROMOZIONE DI TITOLI SCIENTIFICI PRIVI DI VALORE
Lo scorso anno l’Economist ha puntato l’attenzione sulla produzione scientifica della Cina e i suoi giornalisti sono giunti alla conclusione che “as China tries to take its seat at the top table of global academia, the criminal underworld has seized on a feature in its research system”, visto il sempre più frequente ricorso alla falsificazione dei dati volto a far apparire come successi ricerche fallimentari o di esito contraddittorio, o alla pubblicazione in fake journals per rimpinguare il proprio curriculum, nella convinzione, a quanto pare condivisa da molti studiosi cinesi, che “administrators are unqualified to evaluate research, Chinese scientists say, either because they are bureaucrats or because they were promoted using the same criteria themselves”, o addirittura sono pronti a promuovere tali comportamenti eticamente discutibili per poi far passare come loro meriti risultati a prima vista lusinghieri. In breve, dalle proiezioni dell’Economist risulta che quello sia ormai divenuto in Cina un autentico mercato, capace di quintuplicare il fatturato in appena un paio d’anni e di proporsi come opzione interessante anche al di fuori dei confini nazionali. Infatti, concludono gli autori dell’inchiesta, nei sistemi che hanno importato solo negli ultimi anni i più articolati tentativi di offrire rigorose valutazioni comparative dell’attività di ricerca “research grants and promotions are awarded on the basis of the number of articles published, not on the quality of the original research”, con effetti dirompenti proprio sulla scrittura scientifica e sul modo di interpretare il proprio lavoro quotidiano da parte degli studiosi. (Fonte: A. Mariuzzo, Roars 18-01-2015)

TAIWAN. SCANDALO PER IL BYPASS DI PROCEDURE DI PEER-REVIEW
Lo scorso luglio SAGE Publications, una delle più quotate case editrici scientifiche a livello mondiale, ha dovuto ritrattare sessanta articoli pubblicati tra il 2010 e il 2013 su una delle sue riviste, il Journal of Vibration and Control, a causa di fondati indizi relativi all’utilizzo di profili fittizi per bypassare procedure di peer-review facendo in modo che l’autore potesse valutare se stesso, e all’accordo tra autori “amici” per citarsi sistematicamente l’un l’altro e giudicarsi in modo favorevole. Le dimensioni dello scandalo e l’alto livello dei ricercatori coinvolti, per lo più orbitanti attorno ai maggiori istituti universitari di Taiwan, sistema accademico in crescita e considerato di grande rilievo nella regione pacifica, hanno prodotto una vasta eco, fino a costringere alle dimissioni il ministro dell’Educazione del paese asiatico, studioso che aveva avuto contatti con membri in vista del “cerchio magico” di imbroglioni seriali. In effetti, per quanto nei suoi comunicati ufficiali SAGE abbia cercato di limitare i danni scaricando ogni responsabilità su “individual authors [who] have compromised the academic record by perverting the peer review process”, un affare così grosso, caratterizzato soprattutto dalla concentrazione delle pubblicazioni incriminate in una specifica area di ricerca, getta ombre piuttosto sinistre su un campo di studi in cui, ai massimi livelli internazionali, in alcuni centri di ricerca valutati come world leading l’imbroglio si sta imponendo come elemento costitutivo del costume accademico, e in cui il ruolo di alcuni gruppi di lavoro collettivi sia sempre più chiaramente quello dell’autopromozione fraudolenta dei propri membri invece dello sviluppo cooperativo della conoscenza. (Fonte: A. Mariuzzo, Roars 18-01-2015)


LIBRI. DOSSIER

AL LIMITE DELLA DOCENZA. “PICCOLA ANTROPOLOGIA DEL PROFESSORE UNIVERSITARIO”
Autore: Stefano Pivato, Donzelli Editore 2015. La grande stampa apre sempre grande spazio alla recensione ogni qualvolta si pubblicano libri o libelli che si focalizzano sui “vizi” dei professori universitari. Non fa eccezione l’articolo di recensione di M. Di Fazio su “L’Espresso” dal titolo “Ma quant'è bella la vita dei docenti universitari” dove si sottolinea che l’autore “traccia un ritratto-pamphlet tagliente e autocritico della tribù degli ordinari, associati e ricercatori, immutabile e soprattutto insondabile”. Il difetto di base di esercizi letterari come questo è (sempre stato) che inculcano nel lettore il convincimento che il tipo antropologico di professore descritto sia quello tipico universalmente presente nelle università italiane. Stupisce davvero questa volta che il quadro sia dipinto non dal ricorrente giornalista di alta gamma castigatore di cattivi costumi italici ma da un autore che è professore universitario e “certi aspetti, atteggiamenti, tic identitari e collettivi, li conosce bene, dall’interno: insegna lui stesso, da quarant’anni e ha ricoperto anche il ruolo di rettore”. Lascio a chi lo desidera la lettura integrale dell’articolo (qui) e mi limito a osservare che, a parte certe surreali banalità (“Litigo, dunque sono”. “Litigare è una forma assoluta per certificare la propria presenza; e magari, giustificare la propria assenza”) e arbitrarie generalizzazioni (“Proliferano, come cellule impazzite che si penserebbero radicate in ben altri strati della società, le lettere anonime”), il lettore che conosce i nostri atenei, e ancor meglio il professore universitario di lungo corso, non può non identificare nel normotipo accademico delineato dall’autore un esemplare in realtà fortunatamente del tutto minoritario esistente in qualche altrettanto minoritario Dipartimento o in qualche obsoleto Istituto del secolo scorso. (PSM) 

MANIFESTO PER LA RINASCITA DI UNA NAZIONE. SCIENZA, LA FRONTIERA INFINITA
Autore Vannevar Bush. Traduzione di Benedetta Antonielli d'Oulx. Collana «Incipit», 2013, pg. 150.
Nel novembre 1944, nel pieno della guerra, il Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt pose al proprio consigliere scientifico, Vannevar Bush, una domanda cruciale: in che modo potremo, a guerra conclusa, sfruttare al meglio lo sforzo che stiamo sostenendo nella ricerca scientifica a scopo bellico e tradurlo in benessere per la nazione? Questo libro è la risposta scritta da Bush e rappresenta di fatto un programma politico e culturale per la ripresa economica, civile e sociale di una nazione uscita da quindici anni di disastrosa crisi economica e cinque di guerra massacrante. In 70 pagine, chiare e secche, Vannevar Bush sottolinea i vantaggi economici e le ricadute positive della ricerca scientifica, chiedendo di finanziare la ricerca fondamentale, di selezionare le future generazioni di scienziati unicamente sulla base del merito e di diversificare la ricerca il più possibile. Una lezione ancora straordinariamente attuale, anche per un paese complicato e problematico come il nostro.  (Fonte: scheda libro)
Il rapporto ha avuto un’influenza enorme sulle policy americane relative all’innovazione e al progresso della conoscenza. Ancora oggi il documento rappresenta un imprescindibile punto di riferimento per le teorie che fanno da sfondo alla governance statale del rapporto tra ricerca di base e applicata. Spiccano nelle pagine di Bush, l’enfasi sulla necessità che lo Stato investa copiosamente nel finanziamento della ricerca di base attraverso il potenziamento dei college, delle università e dei centri di ricerca, nonché sull’importanza di rendere prontamente pubblici e disponibili al mondo i risultati dell’indagine scientifica. Senza ricerca di base pubblicamente disponibile a tutti non è possibile il progresso della conoscenza. Solo formando generazioni di nuovi scienziati, investendo nella formazione si può avere progresso e innovazione. Allo stato tocca alimentare costantemente la ricerca di base, alle industrie sviluppare la ricerca applicata attingendo al sapere pubblico e reclutando i giovani formati nei college e nelle università. Senza investimenti nella scienza, unitariamente intesa, una nazione non ha futuro. (Fonte: recensione di Roars 06-02-2015)

X CONFERENZA DEI RICERCATORI ITALIANI NEL MONDO
Ecco il link (clicca qui) per scaricare il libro della X Conferenza dei Ricercatori Italiani nel Mondo, che si è svolta lo scorso 6 dicembre presso l’Auditorium del Consolato Generale d’Italia a Houston, Texas. Organizzata dal Comitato degli Italiani all’Estero della circoscrizione consolare di Houston, che comprende gli Stati dell`Arkansas, Louisiana, Oklahoma e Texas, in collaborazione con il Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo (CTIM) e con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Houston e l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica.