IN EVIDENZA
SEI PUNTI PROPOSTI DAI RETTORI AL PREMIER
MATTEO RENZI PER ATENEI PIÙ GIOVANI
Obiettivo
dichiarato è la costruzione di una «Università più giovane e più europea». Per
questo la Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) ha elaborato
un documento, che è stato inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo
Renzi e al ministro dell'Istruzione Stefania Giannini. Il documento si compone
dei seguenti punti:
1) un piano giovani
che riduca drasticamente l'età media dei docenti e dei ricercatori e che
acceleri l'ingresso di giovani studiosi, arrestandone la perdita degli ultimi
anni;
2) un nuovo diritto
allo studio che permetta l'accesso di più studenti nelle Università, con
particolare riferimento alle aree più deboli del Paese;
3) un sistema di
norme che riconosca, nel rispetto del principio della trasparenza e della
responsabilità, le specificità delle Università rispetto alle P.A. e,
attraverso la raccolta in un "Testo Unico", ne semplifichi
drasticamente l'attuale quadro di azione;
4) un rilancio della
ricerca che sostenga i settori di eccellenza nella competizione internazionale,
l'innovazione e il rapporto delle Università con il territorio e le imprese;
5) un consolidamento
del sistema universitario che assicuri il giusto equilibrio tra università
statali e non statali in un quadro di regole condiviso e, inoltre, differenzi
chiaramente il ruolo e i compiti delle università telematiche;
6) una messa a regime
del sistema di finanziamento delle Università che sappia coniugare sostenibilità,
merito ed equità. (Fonte: Il Mattino 30-01-2015)
PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE. I VANTAGGI DEL
FORMATO DIGITALE
In formato
digitale, le pubblicazioni accademiche possono raggiungere in maniera immediata
tutti gli specialisti del settore, ovunque essi si trovino. Grazie ai motori di
ricerca e ai social network, un libro o un articolo in digitale può circolare
in modo semplice, permanente e globale. Incidentalmente, la possibilità di
circolazione immediata su scala globale spingerà gli studiosi a utilizzare
l'inglese con sempre maggiore frequenza. Il formato digitale può offrire agli
studiosi una serie di strumenti di grande utilità che il formato cartaceo non
può offrire. In primo luogo, l'indicizzazione completa dei testi, e dunque la
possibilità di fare ricerche rapide con parole chiave: uno strumento di enorme
utilità, non comparabile con gli indici analitici. In secondo luogo, le fonti
su cui si basa un'argomentazione saranno citate in maniera più immediata e
verificabile: le pubblicazioni concepite per un ambiente digitale non si
limiteranno a citare un articolo, un libro, un documento d'archivio o una base
di dati, ma offriranno il link per accedervi direttamente. Diventerà quindi
molto più semplice verificare su cosa si fondi un'argomentazione, e dunque
aumenteranno la qualità e la solidità delle pubblicazioni accademiche. In terzo
luogo, col formato digitale non sarà più necessario lesinare su immagini, mappe
e grafici, e diverrà anche possibile affiancare al testo e alle immagini altri
contenuti multimediali, laddove possa rivelarsi utile. Infine, il passaggio
delle pubblicazioni accademiche al digitale permetterà agli studiosi di avere
ovunque la propria intera biblioteca sempre con sé. La possibilità di sganciare
le pubblicazioni accademiche dalle case editrici (e dunque da delle imprese che
giustamente cercano dei profitti) avrà un'enorme portata, perché permetterà
finalmente alla ricerca di circolare in maniera del tutto aperta e gratuita.
Questo sviluppo permetterà tra l'altro di allocare in maniera più razionale le
risorse che attualmente vengono destinate a finanziare pubblicazioni o ad
abbonarsi a costosissime riviste accademiche.
(Fonte: L.
Ferrari, mentepolitica
3101-2015)
RETRIBUZIONI. SCATTO PREMIALE E BLOCCO
STIPENDIALE
Lo scatto
premiale era lo “scatto di consolazione” per compensare il congelamento
(infatti, sta nelle Norme transitorie e finali della l. 240/2010). D’ora in poi
dovrebbe valere il comma 14 dell’art. 7, riportato di seguito*. Purtroppo, il
blocco continua ad essere reiterato con il risultato che – di fatto – non
esiste più alcuna progressione stipendiale (tranne sembra se si mettono al
mondo dei figli: leggi qui.)
*14. I professori e i
ricercatori sono tenuti a presentare una relazione triennale sul complesso
delle attività didattiche, di ricerca e gestionali svolte, unitamente alla
richiesta di attribuzione dello scatto stipendiale di cui agli articoli 36 e 38
del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, fermo
restando quanto previsto in materia dal decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. La
valutazione del complessivo impegno didattico, di ricerca e gestionale ai fini
dell’attribuzione degli scatti triennali di cui all’articolo 8 è di competenza
delle singole università secondo quanto stabilito nei regolamenti di ateneo. In
caso di valutazione negativa, la richiesta di attribuzione dello scatto può
essere reiterata dopo che sia trascorso almeno un anno accademico. Nell’ipotesi
di mancata attribuzione dello scatto, la somma corrispondente è conferita al Fondo
di ateneo per la premialità dei professori e dei ricercatori di cui
all’articolo 9. (Fonte:
G. De Nicolao, Roars 17-01-2015).
Gli scatti stipendiali erano un modo per assicurare una qualche
progressione economica ad una categoria i cui stipendi iniziali sono
estremamente bassi, se paragonati a quelli percepiti in Paesi europei simili.
Per questo venivano dati a tutti quelli che non avessero gravemente demeritato.
Se ora lo “scattino” una tantum viene dato solo alla metà del personale, senza
che nel frattempo gli stipendi iniziali siano cresciuti, il risultato è
semplicemente una riduzione dello stipendio della categoria. La riduzione è
resa ancora più profonda dal fatto che ai nuovi assunti ex “legge Gelmini” non
viene più ricostruita la carriera. E, poiché l’età media dei ricercatori e
degli associati è alta (visto anche che negli ultimi anni non è entrato o
passato quasi nessuno…) questo significa uno stipendio ancora più basso. Allora
il vero punto a me sembra questo: è accettabile che una così profonda modifica
salariale sia passata quasi in silenzio? (Fonte: fido, Roars 17-01-2015)
MEDICI.
ABILITAZIONE ALLA PROFESSIONE IN CONTEMPORANEA CON L'ESAME DI LAUREA
Dopo il restyling delle scuole di specializzazione medica,
nel pacchetto di riforme che sta investendo a tutto tondo la formazione dei
camici bianchi entra anche la laurea abilitante al termine del percorso
universitario. Il principio di fondo che guida il decreto del ministro
dell'università, Stefania Giannini (ora all'esame della competente direzione
del Miur), rimane lo stesso: accelerare l'ingresso dei futuri medici nel mondo
del lavoro, allineandone i tempi alle prassi dei paesi europei. Un principio
che per essere attuato necessita di due interventi fondamentali, uno per
modificare l'esame di laurea, e un secondo per intervenire sulle modalità di
svolgimento del tirocinio professionalizzante. Nel primo caso facendo in modo
che contestualmente all'esame di laurea gli studenti possano conseguire anche
l'abilitazione alla professione medica, così come già avviene per alcune
professioni sanitarie. Questo sarà possibile modificando in sede di esame la
rappresentanza che sarà composta non più solo dal corpo accademico, ma anche da
esponenti
del mondo delle professioni. Nel secondo caso, invece, si
andrà a impattare sul tirocinio obbligatorio articolato in tre mesi (un mese in
un reparto chirurgico, un mese in un reparto di medicina e un mese presso
l'ambulatorio di un medico di base) che d'ora in poi sarà effettuato durante i
sei anni di studio universitari e non alla conclusione come avviene
attualmente. (Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 06-02-2015)
FINANZIAMENTI.
GLI AUMENTI DI OGGI SUPERATI DAI TAGLI DI DOMANI
"Non ci sono state politiche di taglio, semmai di
forte investimento", ha spiegato venerdì il ministro dell'istruzione,
Stefania Giannini: "I tagli sono storia passata. Quest'anno abbiamo
strutturalmente consolidato 150 milioni in più sul fondo di finanziamento
dell'università, un piccolo ma primo importante passo in questa
direzione". Ma basta allargare lo sguardo che la direzione si inverte.
Secondo la rivista on line Roars l'incremento delle risorse vale infatti solo
per il 2015, dopodiché il taglio effettivo da qui al 2023 ammonta a 1,5
miliardi. Agli enti di ricerca vengono invece tolti 42 milioni. (Fatto
Quotidiano, 11-02-2015)
EU. LA
DIVARICAZIONE NELLA POLITICA DELLA CONOSCENZA
L’Europa della conoscenza è sempre più frammentata. E i
suoi 28 diversi frammenti invece che a convergere tendono a divergere. Vediamo
i numeri, che parlano da soli.
1. Intanto quelli forniti dallo European University Association’s Public
Funding Laboratory, che riguardano gli investimenti nella formazione
universitaria e post-universitaria negli anni della crisi, dal 2008 al 2014.
I colori della torta (Fonte: European University Association’s Public Funding Laboratory) ci
offrono una chiara visione della divaricazione. Da un lato c’è un set di paesi
che ha affrontato la crisi tagliando anche i fondi all’università. Tagli
profondissimi, superiori al 40%, in Grecia e Ungheria. Tagli profondi, il 20%,
in Italia (il 30% nel Sud d’Italia). Tagli tra il 10 e il 20% in Spagna, nella
Repubblica Ceca, in Slovacchia. Dall’altro paesi che, al contrario, hanno
affrontato la crisi investendo di più in conoscenza. La spesa nell’università è
aumentata tra il 10 e il 20% in Austria e in Belgio; addirittura tra il 20 e il
40% in Germania, Norvegia e Svezia. In pratica, chi nel 2008 puntava già molto
sulla ricerca e sull’università – i paesi dell’area germanica e scandinava –
hanno pensato di affrontare la crisi accelerando. Risultato: un vistoso aumento
della divaricazione. E un flusso monodirezionale di giovani studenti e
ricercatori che dal sud e dall’est si dirigono verso il nord d’Europa. In
apparente controtendenza è il Regno Unito. Lì è diminuita la spesa pubblica. Ma
si sa che Londra punta sempre di più sulla presenza dei privati nel mondo
dell’alta formazione. Per cui, nonostante i tagli dello Stato, le sue
università (almeno le principali) continuano a essere un grande attrattore di
studenti, docenti e ricercatori. Ma anche di risorse economiche.
2. E, infatti, il secondo motore della divergenza europea
è la politica dell’Unione. Come ci ricorda Colin Macilwain su Nature FP7, il
settimo programma quadro che si è concluso nel 2013, ha distribuito molte
risorse ai forti e ricchi – 1,1 miliardi di euro a Germania e Regno Unito; 560
milioni all’Olanda – e poche risorse ai deboli e poveri: 560 milioni di euro
all’Italia (che ha quattro volte il numero degli abitanti dell’Olanda); appena
67 milioni alla Polonia; la miseria di 17 milioni alla Romania. In pratica, per
quanto riguarda la ricerca, i paesi già forti e ricchi incassano più risorse
dall’Unione Europea di quanto non ne conferiscano. E viceversa per i deboli e
poveri.
Non c’è da fare del vittimismo. Le colpe dei governi dei
paesi del sud e dell’est d’Europa sono la causa di gran lunga principale di
questa strana asimmetria. Tuttavia l’Unione fallisce in quello che dovrebbe
essere il suo compito: aumentare il tasso di coesione tra i paesi membri. Non
riesce a opporsi alla “naturale” deriva dei frammenti. Non riesce a creare
quell’area realmente comune della conoscenza che aveva immaginato Antonio
Ruberti. (Fonte: P. Greco, scienzainrete.it 28-01-2015)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
FT GLOBAL MBA RANKING 2015
Global MBA Ranking
2015 FT classifica oggi le migliori business school del mondo. Harvard Business
School al 1° posto, London Business School (LBS) al 2°, SDA Bocconi è al 26°.
La classifica
continua a essere dominata dalle università americane (ben 7 nella top 10, con
l’Harvard Business School saldamente al primo posto). Al secondo posto sale la
scuola di management della University of London, che era terza lo scorso anno.
Il ranking del
Financial Times prende in considerazione diversi fattori, il più importante dei
quali è il salario tre anni dopo il diploma, un valore che per gli studenti
della LBS è pari in media a circa £102,500. Per trovare il primo MBA italiano (SDA
Bocconi) bisogna arrivare al 26° posto. Per l’ateneo milanese è un
risultato positivo, considerando che sale in classifica di 4 posizioni.
Il Global MBA Ranking
2015 è disponibile sul sito
del Financial Times.
CLASSIFICAZIONI. GRANDE GUIDA CENSIS-REPUBBLICA. DOMANDE
Il CENSIS, che cura la
classifica nazionale degli atenei più nota, ha fornito servizi a pagamento a
diciassette atenei per sviluppare un “modello di valutazione sperimentale” con
la collaborazione di esperti designati dagli atenei. In proposito De Nicolao su
Roars
(19-01-15) ha posto le seguenti due domande:
1. È
opportuno che un gruppo di atenei paghi l’Istituto che pubblica la classifica
più visibile sul territorio nazionale (Grande Guida CENSIS-Repubblica) perché,
attraverso il coordinamento di gruppi di lavoro formati dagli esperti degli
stessi atenei, costruisca e calibri un modello di valutazione sperimentale?
2.
In che misura gli algoritmi di ranking delle classifiche della Grande Guida
sono stati concordati e calibrati con quegli atenei che, per collaborare allo
sviluppo di un modello di valutazione sperimentale, avevano pagato al CENSIS
20.000 euro ciascuno?
GREEN
METRIC RANKING 2014. AL PRIMO POSTO IN ITALIA E 96ESIMA IN TUTTO IL MONDO
L’ALMA MATER STUDIORUM
L’Università di Bologna è la più “green” d’Italia. Si
classifica al primo posto tra gli atenei della penisola e 96esima in tutto il
mondo l’Alma Mater emiliano - romagnola, secondo la classifica internazionale
Green Metric Ranking 2014, ideata nel 2010 dalla Universitas Indonesia per
porre l’accento sulle tematiche ambientali e sulla sostenibilità. Una
graduatoria che assegna un punteggio a ciascuna Alma Mater sulla base dei dati
(forniti dalle stesse 360 università internazionali che hanno aderito
all’iniziativa attraverso la partecipazione a un sondaggio online), che
quest’anno sono stati suddivisi in sei macro categorie: energia e cambiamento
climatico, gestione dei rifiuti, utilizzo dell’acqua, trasporti ecologici,
statistiche “green” e educazione.
Per quanto riguarda l’Italia, sono 15 gli atenei che
quest’anno hanno partecipato al Green Metric Ranking, contro gli 11 del 2013:
Bologna, medaglia d’oro tra le università del Bel Paese e 96° posto a livello
internazionale, con 6.094 punti e un ottimo risultato in termini di energia e
cambiamento climatico, gestione dei rifiuti e trasporto “green”, seguita
dall’Università di Torino, 99° nel mondo con 6.057 punti, particolarmente
attenta alla gestione ‘ecologica’ dei rifiuti (1.650 punti), e dall’Università
degli Studi di Bari Aldo Moro, 140° in classifica con 5.628 punti, che ha
confermato la posizione conquistata del 2013.
“Rispetto al 2013 siamo riusciti a conquistare posizioni
nonostante l’aumento di partecipanti al Green Metric Ranking, e questo è un
risultato soddisfacente. – spiega Emilio Ferrari, prorettore all’edilizia
dell’UNIBO – L’installazione di pannelli fotovoltaici, l’adozione di impianti a
basso impatto in termini di emissione fumi, e l’utilizzo di finestrature che
permettono di sfruttare al massimo la luce naturale, ad esempio, ci sono valsi
un buon punteggio. Ma abbiamo migliorato la nostra ecosostenibilità anche per
quanto riguarda la categoria trasporti, implementando le auto elettriche di
servizio e incoraggiando l’uso delle biciclette come mezzo di trasporto
cittadino, ed ‘educazione’, grazie all’aumento delle pubblicazioni e degli
eventi che riguardano l’ambiente. Inoltre abbiamo in cantiere una convenzione
con Hera per ottimizzare ancor più l’utilizzo dell’acqua”. (Fonte: A.
Dall’Oca, FQ 02-02-2015)
CITTÀ PIÙ ATTRATTIVE PER STUDENTI. MILANO È LA PRIMA IN
ITALIA MA HA PERSO POSIZIONI
Nella classifica delle città
che più sono attrattive per studenti e ricercatori a livello internazionale,
Milano è scesa nell'ultimo anno dal 21° al 36° posto (pur rimanendo l'unica
italiana). È un risultato che nasce dall'inserimento nella classifica di nuovi
parametri sulla città: inquinamento, trasparenza e, soprattutto, sicurezza
(dove Milano si posiziona addirittura al 259° posto al Mondo) Sono problemi che
conosciamo e che vanificano il 10° posto che i datori di lavoro internazionali
assegnano ai laureati nelle università milanesi. (Fonte: G. Azzone, A. Sironi,
G. Vago, CorSera Milano 21-01-2015)
DOCENTI
PROFESSORI ORDINARI: A FRONTE DI OGNI UNDER 40 CI SONO
474 OVER 60. MA LA RICETTA PER RIMEDIARE ATTENDE CHE IL GOVERNO DECIDA “DI
QUALE UNIVERSITÀ ABBIAMO BISOGNO”
Su 13.239 professori
ordinari non ce n’è nemmeno uno che sia al di sotto dei 35 anni, mentre solo 15
in tutto sono under 40. E dal 2008 a oggi sono diminuiti del 97 per cento i
professori associati e i ricercatori con meno di trent’anni. Praticamente sono
spariti. Un vero peccato, soprattutto considerando che i ricercatori italiani,
sebbene rappresentino appena il 4 per mille degli occupati totali (la media europea
è pari al doppio) e il nostro paese sia 28° al mondo per investimenti nel
settore, secondo gli ultimi dati dell’European Research Council, sono ottavi al
mondo per numero di pubblicazioni sulle maggiori riviste scientifiche. Si
tratta, però, di un patrimonio che spesso va ad arricchire altri paesi, visto
che molti alla fine scelgono la strada dell’estero per l’impossibilità di
inserirsi stabilmente nel nostro sistema accademico. Anche per questo i
professori universitari italiani sono troppo vecchi e la loro età media
continua a salire costantemente. La sproporzione tra “giovani” e “vecchi” per
quanto riguarda gli ordinari è impressionante: a fronte di ogni under 40 ci
sono 474 over 60. E se si considerano nel complesso ordinari, associati e
ricercatori, si scopre che gli ultrasessantenni sono il 24,8 per cento del
totale (che ammonta a 51.807 unità), mentre coloro che hanno meno di
quarant’anni sono un terzo di questi (8,8 per cento). (Fonte: universita.it
24-01-2015)
Per questi problemi,
al di là di ogni dubbio causati dal freno tirato sul turnover, il
sottosegretario Faraone (intervista a La Stampa del 24 c.m.) lancia la sua
ricetta, senza evitare di scivolare nel vecchio ritornello sui baroni: “La
ricetta per il futuro dell’università prevede un cambiamento di mentalità, che
non metta più al centro le carriere dei docenti e superi la logica baronale. Il
sistema, invece - sostiene Faraone - dovrebbe porre al centro la formazione
della futura classe dirigente e produttiva del Paese”. “Parliamo pure di
reclutamento e carriera, ci mancherebbe”, dice il sottosegretario, “ma
facciamolo in un’ottica diversa: prima decidiamo di quale università e di quale
corpo docente abbiamo bisogno per far progredire l’Italia, poi troviamo risorse
e strumenti”. E allora tutti in attesa di sapere di quale università e di quali
docenti abbiamo bisogno secondo il governo. (PSM)
RICHIESTE SINDACALI PER LE CARRIERE DI
DOCENTI/RICERCATORI
Un elevato numero di
Organizzazioni sindacali universitarie per dare risposte immediate alle
migliaia di ricercatori precari ritiene necessario il reclutamento
straordinario di 20.000 posti di ruolo (4000 all'anno e per cinque anni), così
da riportare il numero dei docenti universitari a quello del 2008,
riavvicinando l'Italia alla media europea nel rapporto tra numero dei
docenti/ricercatori e numero degli abitanti. È contestualmente indispensabile e
urgente, secondo le stesse OO.SS.
istituire una “figura unica pre-ruolo” a tempo determinato,
assicurandole adeguati livelli di reclutamento. Questa figura dovrà essere di
breve durata e adeguata retribuzione, con “reale autonomia di ricerca e il
riconoscimento pieno dei diritti". Contemporaneamente devono essere
cancellate tutte le attuali figure precarie ivi compresi i ricercatori a tempo determinato
e gli assegnisti di ricerca. Il comunicato integrale si legge qui
(26-01-2015).
DOTTORATO
DOTTORI DI RICERCA. STATO GIURIDICO E CARRIERA
Sebbene la Carta
Europea dei Ricercatori, adottata anche dalle Università italiane a partire dal
2008, stabilisca che la figura del dottorando debba essere considerata come
lavoratore, ovvero ricercatore in formazione, l’Italia insiste, anche negli
ultimi provvedimenti, a considerarlo alla stregua di un master universitario,
svalutandolo e non riconoscendo implicitamente la premialità che un dottorando
ha nel superare un concorso pubblico per accedere a tale percorso e svilendo,
di fatto, l’attività di ricerca e di didattica svolti nei tre anni.
Un timido tentativo
da parte del MIUR di riconoscere lo status di lavoratore ai dottorandi era
contenuto in una prima bozza del provvedimento che sarebbe diventato il D.M.
45/2013 (versione 27 settembre 2011, art. 8 co. 1), nel quale si faceva
riferimento ai dottorandi come early
stage researchers, ma purtroppo tale dicitura è scomparsa dalla versione
definitiva.
Ma non è quella dello status giuridico l’unica
differenza con gli altri paesi europei: secondo i dati Eurostat 2010 l’Italia è
il 4° paese europeo per numero di dottorati; tuttavia, considerando il rapporto
‘numero di dottorandi per 1000 abitanti’ è il fanalino di coda con uno score
pari a 0,6. Anche per quanto riguarda l’importo medio della borsa di studio le
cose non cambiano: l’importo delle borse italiane (1035 euro mensili al netto
degli oneri previdenziali, da cui vanno sottratte le tasse di iscrizione)
appare decisamente inferiore all’importo delle borse/stipendi medi percepiti
dai colleghi europei, con la sola eccezione dell’Est Europa.
Gli aspiranti ricercatori in Italia si trovano
quindi ad operare in condizioni di partenza nettamente svantaggiose, ma
nonostante questo ottengono risultati migliori della maggior parte dei loro
colleghi Europei.
Attualmente ad un
massimo di 4 anni di assegno di ricerca fanno seguito, nella migliore delle
ipotesi, 5 anni da ricercatore a tempo determinato tipo “A”, propedeutici ad
altri 3 anni come ricercatore a tempo determinato di tipo “B”. Tale qualifica
dovrebbe essere agganciata teoricamente alla tanto agognata posizione di
professore associato, ma dati elaborati dall’Associazione Dottorandi e Dottori
di ricerca Italiani (ADI) hanno stimato che nel 2013 sono state finanziate
solamente 520 posizioni per ricercatori tipo “A” e 130 posizioni per
ricercatori di tipo “B”, a fronte della necessità di 1700 e 1300 posizioni
stimate dal Consiglio Universitario Nazionale per mantenere in sicurezza il
sistema accademico.
Il riconoscimento a
livello di giuridico, previdenziale ed economico del dottorando quale
lavoratore, e provvedimenti volti alla valorizzazione del titolo al di fuori
del contesto accademico, nell’insegnamento scolastico, nelle pubbliche
amministrazioni e nel sistema produttivo, potrebbero essere la chiave per
attirare un maggior numero di giovani verso il mondo della Ricerca. (Fonte:
quotidianosanità.it 22-01-2015)
DOTTORI DI RICERCA. RAPPORTO SULL’OCCUPAZIONE
Un Rapporto
dell’Istat configura un orizzonte di carriera meno pessimistico di quello
evidenziato nella nota precedente.
Nel 2014, a 4 anni
dal conseguimento del titolo (2010), lavora il 91,5% dei dottori di ricerca
mentre è in cerca di un lavoro il 7%. A 6 anni dal conseguimento del titolo
(2008) lavora invece il 93,3% (un valore ancora molto elevato e solo in leggera
diminuzione rispetto all’edizione precedente) e cerca un lavoro il 5,4%. E`
quanto emerge dal Rapporto dell`Istat, che sottolinea come permanga dunque il
vantaggio competitivo associato al dottorato di ricerca. L’occupazione è
elevata in tutte le aree disciplinari, in particolare tra i dottori delle
Scienze matematiche e informatiche e dell’Ingegneria industriale e
dell`informazione (oltre il 97% lavora a sei anni dal dottorato e oltre il 95%
a quattro anni); risulta più bassa tra i dottori delle Scienze storiche,
filosofiche, pedagogiche e psicologiche (intorno all’88% in media). A sei anni
dal conseguimento del titolo, la quota di occupati con un lavoro a termine è
pari al 43,7%, mentre raggiunge il 53,1% tra i dottori osservati a quattro
anni. Il dato è in crescita rispetto all’indagine precedente, quando era del
35,1% e del 43,7%. Il 73,4% dei dottori occupati del 2008 e il 74,4% di quelli
del 2010 svolgono attività di ricerca e sviluppo. La quota è più bassa tra le
donne: 3 su 10 sono impegnate in attività lavorative per nulla connesse alla
ricerca.
Le aree disciplinari
associate ai redditi più alti sono le Scienze mediche, Scienze fisiche,
Ingegneria industriale e dell`informazione, Scienze economiche e statistiche e
Scienze giuridiche: a sei anni dal conseguimento del titolo il reddito netto
mediano mensile supera i 1.900 euro. Più contenuti (in media tra 1.400 e 1.450
euro) sono invece i redditi dei dottori in Scienze dell’antichità,
filologico-letterarie e storico-artistiche e in Scienze storiche, filosofiche,
pedagogiche e psicologiche. I dottori di ricerca che vivono all’estero al
momento dell’intervista sono il 12,9% (+6 punti rispetto all’edizione del
2009). Migrano all’estero soprattutto i dottori di ricerca nelle Scienze
fisiche (31,5% dei dottori italiani che vivono all’estero) e nelle Scienze
matematiche o informatiche (22,4%); molto meno rappresentati tra quelli che
vivono all’estero sono invece i dottori in Scienze giuridiche (7,5%) o in
Scienze agrarie e veterinarie (8,1%). I Paesi preferiti sono, nell’ordine,
Regno Unito (16,3%), Stati Uniti d’America (15,7%), Francia (14,2%). Il reddito
da lavoro percepito da chi vive all’estero è sensibilmente più alto del valore
totale (di 750 euro per la coorte del 2008 e 830 euro per la coorte del 2010).
(Fonte: AGG e Istat 21-01-2015)
DOTTORI
DI RICERCA. DATI ISTAT
Istat ha diffuso alcuni dati sui dottori di ricerca e
sulla condizione occupazionale di chi ha conseguito il titolo nel 2008 e nel
2010. Si tratta, rispettivamente, di 11.229 e 11.240 dottori. Le donne sono il
52 per cento. Le aree disciplinari con il maggior numero di dottori sono
Scienze mediche (16%) e Ingegneria industriale e dell'informazione (11,7%). I
dottori di ricerca hanno usufruito di una borsa di studio nel 71,1% dei casi,
non sempre in condizioni ottimali: il 12,8% non ha ricevuto con regolarità i
pagamenti o non ha usufruito della borsa per l'intero periodo; il 18,3% non ha
avuto borse e si è mantenuto lavorando senza aspettativa; il 6,1% non ha potuto
contare né su borse né di un reddito da lavoro. I dottori di ricerca hanno voti
di laurea elevati (il 71,5% oltre 108). L'età media al conseguimento del titolo
di dottore di ricerca è di 32 anni. A quattro anni dal titolo, il 91,5% dei
dottori del 2010 lavora, mentre il 7% è in cerca di un lavoro. Le donne
lavorano per l'89%. Circa un dottore di ricerca su due ha un lavoro a termine.
I dottori di ricerca danno alla loro esperienza un voto di 7,2 su 10. Il voto
più basso riguarda la carriera e la sicurezza del lavoro (5,3 e 5,8). I redditi
da lavoro sono più bassi per le donne. A sei anni dal titolo, i dottori del
2008 dichiarano di percepire un reddito netto mensile di 1.750 euro. (Fonte: W.
Passerini, La Stampa 02-02-2015)
DOTTORATO
DI RICERCA. IL CUN SUL RIORDINO DELLA NORMATIVA
Si segnala ai lettori il documento CUN su
semplificazione e riordino della normativa del dottorato di ricerca. (10-02-2015)
DOTTORI
DI RICERCA. ASSUMERNE 2000 L’ANNO (300 MLN) CON UN’ACCISA SUI CARBURANTI
L'anzianità dei professori ordinari italiani: neanche uno
sotto i 35 anni e solo 15 (su 12.000) sotto i 40 anni. Causa principale di
questo invecchiamento è lo strozzamento del turnover, che dal 2008 ad oggi è
oscillato tra il 20 e il 50%: vale a dire che (a parità di "grado
accademico") per ogni 10 professori in pensione le università ne potranno
assumere dai due ai cinque al massimo - e talvolta neanche quelli, per motivi
fiscali o burocratici. Un dato che ha portato in un solo lustro (2008-2013) un
calo di quasi il 20% del corpo docente (da 63mila a 53 mila circa), e che
potrebbe mettere definitivamente in ginocchio diversi atenei da qui al 2020,
quando andranno in pensione le molte migliaia di attuali over 65. Ottenendo la
copertura finanziaria da un'accisa sulla benzina la ricetta del Presidente CRUI
sarebbe quella di assumere 2000 dottori di ricerca l'anno, per un costo a
regime di 300 milioni. Si tratterebbe comunque di una minima parte dei dottori
di ricerca formati nei corsi di dottorato nostrani: solo il 20% (uno su
cinque). E tuttavia, sarebbe già decisamente meglio della quota di dottori
assorbiti dal sistema ad oggi: solo il 3,4% (uno su trenta) secondo il Rapporto
dell'ADI. (Fonte: M. Viola, http://www.uninews24.it 04-02-2015
IL FUTURO DEI DOTTORI DI RICERCA SECONDO IL
SOTTOSEGRETARIO FARAONE
Il sottosegretario
Faraone così si è espresso sui dottori di ricerca in un’intervista a La Stampa:
“Evitiamo di creare illusioni. Produciamo circa 10.000 dottori di ricerca
l’anno, la maggioranza dei quali aspira alla carriera universitaria, che però
nel migliore dei casi può assorbirne un quinto, magari in futuro un quarto, non
di più”. Il dottorato dovrebbe invece, sostiene Faraone, essere valorizzato
“nell’amministrazione pubblica, nelle imprese, nelle professioni”. (Fonte:
universita.it 24-01-2015)
FINANZIAMENTI
RIDIMENSIONAMENTO DELL’UNIVERSITÀ. IL FALSO E IL VERO
Alle politiche di
ridimensionamento finanziario dell’università contribuiscono certamente
affermazioni, spesso provenienti dallo stesso mondo accademico e supportate dai
grandi mezzi di comunicazione, del tipo:
·
L’università
italiana costa troppo rispetto alla media europea
·
La
spesa italiana per studente è tra le più alte al mondo
·
Non
possiamo più permetterci il costo della formazione terziaria
·
Produciamo
troppi laureati
·
La
laurea non serve più, non conviene economicamente e i laureati non trovano
lavoro.
Eppure i dati elaborati
da fonti autorevolissime smentiscono tali affermazioni, che il più delle volte
si dimostrano prive di ogni fondamento. Infatti:
·
Secondo
l’OCSE, l’Italia occupa per spesa in educazione terziaria in rapporto al PIL il
32° posto su 37 Paesi considerati.
·
La
spesa annuale per studente nell’istruzione terziaria a parità di potere
d’acquisto per studente equivalente a tempo pieno è inferiore del 29% rispetto
alla media dei paesi OCSE e del 37% rispetto al PIL.
·
Nel
2012 nella media dell’Unione europea vi erano oltre 36 laureati ogni 100
abitanti, contro il 22,3% dell’Italia.
·
Sul
mercato del lavoro, la laurea, nonostante diffuse convinzioni contrarie,
continua a offrire migliori opportunità occupazionali e reddituali rispetto al
solo diploma di maturità.
(Fonte: A. Stella, Roars 30-01-2015)
FINANZIAMENTI.
ATENEI DEL NORD ATTRAGGONO MAGGIORI RISORSE RISPETTO A QUELLI DEL SUD
Il Decreto Ministeriale 815/2014 registra un
significativo incremento della quota premiale dell’FFO destinata agli atenei “virtuosi”:
oltre il 22% delle risorse disponibili quest'anno viene distribuito sulla base
delle performance dei singoli atenei, valutate per quota premiale,
programmazione triennale, dottorati di ricerca, fondo per i giovani e fondo
perequativo. Il quadro generale attesta, ancora una volta, un paese diviso in
due, con gli atenei del Nord capaci di attrarre maggiori risorse rispetto a
quelli del Sud. L'Università che prende il maggior numero di risorse è Bergamo,
con un incremento del 12% rispetto al 2013; maglia nera, invece, a Messina, che
attesta un decremento del 2,27%. Più in generale, sono gli atenei medio-piccoli
soprattutto del Nord a beneficiare delle novità introdotte dal decreto, con
alcune eccezioni: Napoli Parthenope (+ 7,83%), Sannio (+ 7,57%), Foggia (+
7,55%) e Catanzaro (+ 5,31), presenti tra le prime dodici posizioni. Più in
difficoltà i grandi atenei, quasi tutti in saldo negativo rispetto al 2013,
tranne Padova, Milano Statale e Napoli Federico II. Sapienza Roma e Bologna
portano a casa un -2,09%. (Fonte: rivistauniversitas gennaio 2015)
FINANZIAMENTI.
COSTO STANDARD DI FORMAZIONE PER STUDENTE IN CORSO
Una fetta della quota base dell'Ffo 2014 (Decreto
Ministeriale 815/2014) è stata assegnata (per un miliardo circa), in base al
costo standard di formazione per studente in corso: un sistema innovativo che
mira a legare lo stanziamento delle risorse alla qualità e alla tipologia dei
servizi offerti agli studenti. Il costo standard, oggetto del Decreto
interministeriale Miur-Mef 893/2014, viene calcolato con una formula che mette
in relazione i costi che gli atenei sostengono per i diversi corsi di studio
(costi dei docenti, degli amministrativi e tecnici, di funzionamento) alla
popolazione studentesca in corso. Per evitare sperequazioni è previsto un correttivo
territoriale basato sul contesto economico. Viene valutata anche la capacità
contributiva reale degli studenti a partire dai redditi medi regionali
pubblicati dall'Istat. (Fonte: rivistauniversitas gennaio 2015)
VELOCITÀ DI SPESA PER LAVORI PUBBLICI COMPRESI QUELLI PER
UNIVERSITÀ E SCUOLE
I principali attuatori degli
interventi per lavori pubblici sono i Comuni (7,3 miliardi di finanziamento
pubblico al Sud; 1,5 al Centro-Nord). La velocità di spesa a fine 2013 delle
amministrazioni comunali di Abruzzo, Molise, Sardegna, Puglia e Basilicata
(52,1%) è nettamente maggiore rispetto al Centro-Nord (40%). Vi sono alcuni
casi di evidente criticità delle sole regioni Campania, Calabria e Sicilia: vi
sono 730 milioni di spesa diretta delle Regioni, fermi al 20,3% di
realizzazione. Un miliardo e mezzo di finanziamento affidato ad "enti
pubblici" (economici e non economici, aziende speciali, aziende pubbliche
di servizi) con spesa ferma solo al 6,6%; quasi mezzo miliardo relativo a
scuole e università, con spesa ferma al 6,3%. (Fonte: Il Mattino 21-01-2015)
LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE POST
LAUREA-OCCUPAZIONE
LAUREATI. “RAPPORTO ITALIA 2015"
DELL'EURISPES
Per quanto
riguarda l'università c’è poco da essere contenti. Esaminando la percentuale di
laureati tra i 30 e i 34 anni emerge dal Rapporto non soltanto che l'Italia é
appena a metà strada dall'obiettivo fissato da Bruxelles, ma anche che
rappresenta il fanalino di coda dell'Europa: 22,4% contro una media dell'Unione
del 36,5%. Con una differenza anche qui abissale tra uomini e donne che
riescono a conseguire il titolo universitario o post-universitario (17,7%
contro 27,2%). Anche in questo comparto (istruzione terziaria), l'obiettivo
italiano è stato ridimensionato rispetto al target europeo (26-27% contro il 40%
comunitario). (Fonte: A. Giuliani, La Tecnica della Scuola 31-01-2015)
OFFERTA FORMATIVA 2015: 2342 CORSI
I corsi di studio ai
quali potevano immatricolarsi gli studenti al termine della scuola secondaria
superiore erano, prima della riforma dei due cicli introdotta con il DM 509/99,
2444; dopo una crescita che ha raggiunto un massimo di 3103 corsi di studio nel
2007/08 è iniziata una progressiva contrazione che ha ridotto quest’anno
l’offerta formativa a 2342 corsi, numero addirittura inferiore a quella di 15
anni fa, nonostante le Università siano aumentate di numero, con l’istituzione
di nuove Università statali e non statali e ben undici Università telematiche.
(Fonte: A. Stella, Roars 30-01-2015)
RAPPORTO
EDUCATION AT A GLANCE. LAUREATI E NEET
Avere in tasca il «pezzo di
carta», da noi non garantisce un'occupazione. Nei Paesi Ocse sono il 5,3% i
laureati senza lavoro, in Italia il 16%. Nel rapporto intermedio Education at a
glance si legge anche che solo un italiano su cinque tra i 25 e i 34 anni arriva
alla laurea (ha il titolo il 12% dei 55-64enni), contro il 40% della media
Ocse: 27 su 100 si fermano al diploma di scuola media o alla licenza
elementare. Nel percorso scolastico si «perdono» 17 giovani tra i 18 e i 24
anni su 100 (rapporto Lost—Dispersione scolastica), ovvero circa 500 mila
persone non arrivano alla maturità. L'obiettivo europeo è del 10%. L'Italia
detiene un altro primato: in compagnia dei coetanei greci, spagnoli e turchi,
molti giovani tra i 15 e i 29 anni (maschi soprattutto) sono in condizioni di
«Not in Education, Employment or Training» (NEET): più del 30%, cioè, sono
disoccupati o inattivi e fuori dal giro. (Fonte: A. De Gregorio, Corsera
21-01-2015)
LAUREATI. AUMENTA IL
DISTACCO DELL’ITALIA DALLA MEDIA UE
Per quel che riguarda la formazione universitaria
un’infografica relativa al primo rapporto Cnel-Istat sul Benessere equo e sostenibile
è particolarmente efficace nel dipingere un’Italia a due velocità. Nel
Mezzogiorno, le percentuali di laureati nella fascia 30-34 anni sono pari al 18,2% contro una media nazionale del 22,4% che è comunque
la più bassa in Europa. Se il Mezzogiorno fosse una nazione autonoma, la
sua percentuale di laureati sarebbe inferiore a quella della Turchia (19.5%). Per avere un raffronto internazionale, vale
la pena di consultare le statistiche Eurostat. Nel 2000, l’Italia pur essendo già
nelle ultime posizioni, con il suo 11,6% aveva una percentuale di laureati
superiore a quella di Portogallo (11,3%), Slovacchia (10,6%), Romania (8,9%) e
Malta (7,4%). Il distacco dalla media EU27 (22,4%) era di 10.8 punti
percentuali. Tredici anni dopo, nel 2011, pur essendo salita al 22.4%, l’Italia è scivolata in ultima posizione e il distacco
rispetto alla media EU27 (37,0%) è salito a 14,6 punti percentuali. D’altronde,
nel decennio 2000-2010, l’Italia è stata l’unica nazione europea la cui spesa
(in termini reali) per l’istruzione non è cresciuta (secondo il Funding of Education in Europe – The Impact of the Economic
Crisis). (Fonte: G. De Nicolao, Roars 16-01-2015)
Spesa
cumulativa per studente (educazione terziaria). Italia al 14° posto su 24
(Fonte: OCSE 2013)
SPECIALIZZAZIONI MEDICHE. FIRMATO IL DECRETO
Stefania Giannini, ha
firmato ieri sera il decreto interministeriale che riforma il percorso per
diventare medico specialista. In media durerà un anno in meno mentre le scuole
scenderanno da 61 a 55. II provvedimento passa ora alla firma della sua collega
della Salute, Beatrice Lorenzin. Una volta che il riordino diventerà realtà non
esisteranno più percorsi di studio di 6 anni: potranno essere di 3, 4 o 5 anni
al massimo. Per diventare chirurghi generali o neurochirurghi, ad esempio,
serviranno 5 anni di formazione e non più 6. A loro volta Geriatria,
Dermatologia e Oftalmologia, dureranno 4 anziché 5 anni. La riduzione del
percorso di studio riguarderà oltre 30 Scuole sulle 55 complessive a fronte
delle 61 attuali. In questa direzione saranno accorpate cinque scuole
precedentemente esistenti, mentre due (Medicina aeronautica e spaziale e
Odontoiatria clinica generale) spariranno. Al tempo stesso verranno rivisti gli
obiettivi formativi e la distribuzione dei crediti. Almeno il 70% della
formazione dovrà essere dedicato allo svolgimento di attività
professionalizzanti (pratiche e di tirocinio). Gli specializzandi potranno fare
il loro percorso all'interno di una rete formativa più ampia che potrà includere,
oltre ai policlinici universitari, i presidi ospedalieri e le strutture
territoriali del Servizio sanitario nazionale, purché accreditati secondo
specifici parametri valutativi. (Fonte: IlSole24Ore 28-01-2015)
IL
TESTO DEL DECRETO SULLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE MEDICA
Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha
controfirmato il decreto di riordino delle Scuole di specializzazione di
Medicina già firmato nei giorni scorsi dal Ministro dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini. Il provvedimento diminuisce
mediamente di un anno la durata dei percorsi di studio nelle scuole di
specializzazione. Lo scopo, recita la nota diramata dal Ministero della Salute,
è di rendere “più aderente la normativa italiana a quella stabilita in ambito
comunitario. Questo consentirà ai giovani medici di fare prima il loro ingresso
nel mondo del lavoro, rendendoli, al contempo, più competitivi all’interno dei
Paesi dell’Unione europea”.
RIFORMA DELLE SPECIALIZZAZIONI MEDICHE
Già a partire da questo anno
accademico i neo-camici bianchi potrebbero vedere accorciato di un anno il loro
percorso nelle scuole di specializzazione. Un modo per tagliare sensibilmente i
costi delle stesse (che sono coperte da borse di studio) e, grazie a questi
risparmi, allargare la bocca dell’imbuto che costringe molti neolaureati a
perdere un anno, a volte anche più, nell’attesa di poter accedere alle scuole
post laurea, il cui numero è contingentato. È questa la principale novità del
decreto di riforma delle specializzazioni mediche, in dirittura d’arrivo dopo il
via libera del Consiglio superiore di sanità (Css). Ad illustrare la
rivoluzione in arrivo per i giovani che aspirano alla carriera medica è Andrea
Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale, nonché presidente
della V sezione del Css: «I risparmi che si otterranno dalla riforma serviranno
anche ad aumentare il numero delle borse per le scuole di specializzazione,
oggi circa 5 mila a fronte di circa 10 mila laureati in Medicina l’anno». Ma cosa cambierà, in dettaglio? Leggi qui.
(Fonte: CorSera Università 20-01-2015)
LA RIFORMA DELLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE E I RAPPORTI
FRA UNIVERSITÀ E SANITÀ
Il CoDAU, l'Associazione
nazionale dei Direttori Generali delle amministrazioni universitarie e la CRUI
- Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – si sono trovate insieme
nell'Assemblea di Palermo per valutare le prospettive di miglioramento dei rapporti
fra Università e Sanità e gli effetti della imminente riforma delle scuole di
specializzazione medica. Secondo quanto emerso nel corso dell’Assemblea, le
incertezze decisionali hanno sicuramente penalizzato e complicato le ultime
procedure concorsuali di accesso alle scuole di specializzazione sanitaria. Una
certa preoccupazione è stata espressa anche sulle nuove modalità di ammissione
annunciate dalla Riforma che, aumentando la difficoltà di accesso nella stessa
sede dove si è concluso il percorso di laurea, potrebbero generare un ulteriore
effetto negativo sull’attrattività dell’offerta formativa in ambito medico dei
singoli Atenei. (Fonte: comunicato stampa
del CoDAU 24-01-2015)
CONCORSO
NAZIONALE PER L'ACCESSO ALLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE IN MEDICINA. IN
DISCUSSIONE IL SALVATAGGIO DEI TEST DI OTTOBRE
Si torna a parlare del concorso nazionale per l'accesso
alle scuole di specializzazione in medicina, che nella sua ultima edizione - lo
scorso ottobre, dal 28 al 31 - ha suscitato non poche polemiche per l'anomalia
che ha interessato lo svolgimento del test: le domande delle prove del secondo
e del quarto giorno sono state invertite. Un errore rilevato dallo stesso
ministero e ammesso dal Cineca, il Consorzio interuniversitario incaricato di
somministrare i test. Se subito dopo il Miur aveva stabilito di annullare e
ripetere le prove oggetto dell'errore determinato dal Cineca, ha poi comunicato
di aver trovato una soluzione per "salvare" i test: stabilendo che,
nelle due aree interessate dall'anomalia, 28 domande su 30 erano comunque
"valide ai fini della selezione". Con un criterio che però non ha
trovato d'accordo diversi medici. "Un criterio valutativo che tutto fa
tranne che rispecchiare il merito dei candidati che hanno partecipato al
concorso - sostiene e spiega a Repubblica Parma Giovanni Allegretti, laureato
in medicina e aspirante specializzando in anestesia e rianimazione - anzi
paradossalmente ha avvantaggiato chi ha sbagliato le risposte". Per sostenere
la sua tesi Allegretti fa riferimento al ricalcolo del punteggio dei candidati
attuato per rimediare all'errore commesso, senza dover ripetere la prova.
"La scelta di 'neutralizzare’ quelle due domande, avvenuta attribuendo un
punto per ciascuna - dice Allegretti - ha stravolto la graduatoria e uniformato
il punteggio dei candidati. Inizialmente era attribuito 1 punto per ogni
risposta corretta, 0 punti per la risposta non data e -0,3 punti per ogni
risposta sbagliata. In questo modo, chi ha fornito le risposte sbagliate ha
recuperato ben 2,6 punti, ottenendo un vantaggio rispetto a chi aveva risposto
correttamente, perché ha recuperato quello svantaggio di 0,6 punti che prima lo
distaccavano da chi aveva risposto correttamente". (Fonte: A.
Trentadue, R.it Parma 12-02-2015)
ODONTOIATRIA. LA SCORCIATOIA SPAGNOLA
Fuori dal nostro
Paese sembra più facile entrare all'Università. In alcune università,
ovviamente private, la prova di accesso è pressoché conoscitiva e si supera
senza problemi. Ecco perché in molti, magari che non hanno superato il test
qui, decidono di andare a studiare fuori. In 5 anni, per esempio, puoi
diventare odontoiatra e tornare in Italia con un titolo di studio equipollente.
Lo sanno bene quei 417 dentisti laureati in un'università estera nel 2014,
alcuni nemmeno più tanto giovani. Infatti, il più anziano è nato nel 1947 per
poi laurearsi solo nel 2013, mentre i più giovani hanno appena 22 anni. Sono
due studenti classe 1992, uno di Varese e l'altro di Roma, laureati nel 2014.
La Spagna è la meta
preferita dagli aspiranti odontoiatri. A sceglierla sono stati 290 laureati, di
cui 168 hanno frequentato l'Università Alfonso X el Sabio e 110 l'Universidad
Europea de Madrid. I restanti 12 si sono divisi in altre 4 università spagnole.
La cultura calda e amichevole spagnola ha influenzato la decisione degli
studenti? No, probabilmente deve aver giocato un ruolo fondamentale nella
scelta il fatto che è più facile ottenere il riconoscimento di una laurea
spagnola in Italia. (Fonte: www.skuola.net/news
21-01-2015)
INCENTIVATA
LA MOBILITÀ INTERNAZIONALE DEGLI SPECIALIZZANDI
La legge 30 ottobre 2014, n. 161 concerne “Disposizioni
per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione
europea (Legge Europea 2013 - bis)”. Le novità introdotte dalla Legge Europea
2013 incentivano la mobilità internazionale degli studenti specializzandi, in
ottemperanza ai dettami del Processo di Bologna e dell'Agenda di Lisbona.
Poche, ma significative le novità introdotte all'art. 1 del provvedimento, che
nel suo complesso affronta materie e problematiche differenti. Per quel che
concerne la mobilità internazionale degli specializzandi, va sottolineato che
esse intervengono espressamente sul regolamento contemplato dalla Legge n. 398
del 1989, concernente Norme in materia di borse di studio universitarie. Il
nuovo provvedimento interviene, in particolare, sull'art. 5 del vecchio
regolamento, attualizzato rispetto ai cambiamenti strutturali intervenuti nel
sistema universitario. Il concorso per l'attribuzione delle borse si svolgerà
in ogni ateneo non più per «per aree corrispondenti ai comitati consultivi» del
Consiglio Universitario Nazionale, ma «per ciascuna delle quattordici aree
disciplinari» da esso determinate. Scompare la responsabilità decisionale del
Senato accademico, che non avrà più voce in capitolo in merito all’individuazione
dei settori scientifico-disciplinari delle borse di studio. Scompare anche il
vincolo di cittadinanza italiana per partecipare al concorso, che si svolgerà
sempre per titoli ed esami e sarà aperto a tutti i laureati senza vincolo di
età o di esperienza all'estero. (Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas
12-12-2014)
CRITICITÀ
DELL’ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E MUSICALE
Il comparto AFAM, Alta Formazione Artistica Musicale e
Coreutica, di cui fanno parte le Accademie di Belle Arti e i Conservatori, ha
subito, in quest’ultimo ventennio, un prolungato oblio normativo e un oggettivo
blocco del reclutamento a livello centrale. I professori presso le Accademie di
Belle Arti d’Italia chiedono un intervento urgente perché:
- al personale docente inserito nelle graduatorie
nazionali istituite con DM 30 giugno 2014 n.526 vengano riconosciuti, al più
presto, i diritti acquisiti sulla base dei passaggi concorsuali succitati e
sulla base del servizio svolto;
- dette graduatorie nazionali riacquistino la loro
funzione originale configurandosi come graduatorie ad esaurimento per
l’attribuzione di incarichi a tempo indeterminato. (Fonte: Roars 10-02-2015)
RECLUTAMENTO
RECLUTAMENTO.
DECRETO MINISTERIALE 907/2014 SUI COSIDDETTI "PUNTI ORGANICO”
Firmato dal ministro Stefania Giannini il Decreto
Ministeriale 907/2014 sui cosiddetti "punti organico". I nuovi
parametri utilizzati dal Miur premiano soprattutto l'Università di Bologna,
seguita dalle milanesi Statale e Politecnico. Al quarto posto la Sapienza di
Roma. Il provvedimento distribuisce un migliaio di posti per l'assunzione di
personale a tempo indeterminato e di ricercatori a tempo determinato. Anche per
quest'anno, il turn-over si attesta sulla soglia del 50% a livello nazionale. I
parametri utilizzati concernono, in particolare, la sostenibilità finanziaria
dei costi del personale e dell'indebitamento. Sono tre, in particolare, le
ipotesi previste dal decreto: per le università con un indicatore di spese di
personale superiore o uguale all'80% e con un indicatore delle spese per
indebitamento superiore al 10%, il Ministero attribuisce un «contingente
assunzionale» pari al 10% delle cessazioni avvenute nel 2013; tale contingente
sale al 20% nel caso in cui l'indicatore di spese di personale rimanga
invariato e l'indicatore delle spese per indebitamento sia inferiore al 10%. Le
Università più premiate sono invece quelle con un indicatore di spese di
personale inferiore all'80%, cui è attribuita, oltre a un “contingente
assunzionale” base pari al 20% delle cessazioni 2013, una quota aggiuntiva
calcolata sulla base del rapporto tra entrate, spese per «fitti passivi», spese
di personale, oneri di ammortamento.
Si disegna così una sorta di mappa virtuosa degli atenei
italiani, di cui il Decreto fornisce un ritratto analitico che consente di
individuare la geografia del merito e degli sprechi dell'accademia italiana. Il
Sud continua a essere maggiormente penalizzato da parametri di valutazione che
non tengono conto delle specificità territoriali, scientifiche e didattiche di
ciascun ateneo. Tra le più penalizzate vi sono Cassino, con un indicatore di
spese di personale pari all'89,45%, seguita dal Sannio (89,01%), Molise
(88,13%) e Seconda Università di Napoli (86,60%). (Fonte: A. Lombardinilo,
rivistauniversitas 29-01-2015)
PROPOSTE
DI RIFORMA A COMINCIARE DAL RIPRISTINO DEI RICERCATORI A TEMPO INDETERMINATO
Oggi su un totale di 2649 ricercatori a tempo determinato
in servizio negli Atenei statali, solo 255 sono RTD-B. N. Casagli propone di
valutare seriamente la possibilità di ripristinare il ruolo del ricercatore a
tempo indeterminato, assegnandogli compiti didattici, oppure introdurre il
professore junior come proposto dal CUN, ristabilendo altresì una figura di
ricercatore a tempo determinato per esclusiva attività di ricerca, com’era
prevista dalla legge 230/2005. Inoltre propone di togliere tutte le regole
inutili e i vincoli numerologici introdotti dalle recenti riforme, evitando di
fare altre leggi o provvedimenti, ma piuttosto abrogando quelli inutili e
controproducenti che già ci sono; del resto sembra che tutti, ma proprio tutti,
siano d’accordo con la necessità e l’urgenza di semplificazione. Altra proposta
è di abolire i punti organico e il bizantino sistema di programmazione del
personale denominato PROPER, restituendo agli Atenei la responsabilità di
programmare in autonomia il proprio futuro, lo sviluppo scientifico e tecnologico
del nostro Paese e la formazione dei nostri giovani. Infine si auspica di
lasciare fare la valutazione della ricerca a soggetti terzi che dimostrino
solida capacità di saperla fare e impiegare le risorse risparmiate con
l’abolizione di agenzie e commissioni inutili, e con l’abbandono di servizi
informatici comunque inefficienti, per finanziare un programma nazionale di
reclutamento di giovani ricercatori. (Fonte: N. Casagli, Roars 03-02-2015)
RECLUTAMENTO.
PROCEDURA VALUTATIVA DI ABILITATI PER PROMOZIONI INTERNE
Gli atenei amano creare i concorsi su misura di chi hanno
bisogno di assumere. Avviene quasi ovunque nel mondo. Le università italiane,
però, in questo campo sono molto più evolute, e, infatti, hanno anche un altro
meccanismo fornito dalla legge Gelmini per evitare il fastidioso problema di
concorsi e del reclutamento di persone dall'esterno. Si chiama procedura
valutativa, in pratica sono selezioni per professori ordinari o associati
riservate a chi già lavora all'interno dell'università, quindi nient'altro che
promozioni interne. E' un comma inserito nella legge Gelmini a prevedere la
possibilità di bandire concorsi riservati a chi già lavora all'interno
dell'università e abbia ottenuto l'Abilitazione, per farli diventare professori
associati o ordinari. E' il comma 6 dell'articolo 24 della legge. Il problema è
che la legge prevede anche che al massimo il 50% delle risorse destinate al
reclutamento possa essere riservato agli interni ma, come spesso accade in
Italia, in caso di mancato rispetto dell'obbligo non ci sono sanzioni. E,
quindi, ora che finalmente la macchina delle assunzioni nelle università è
partita a pieno regime, accade che alcune università ne approfittino un po'.
Alla faccia della trasparenza non esiste più un sito che raccolga tutti i
concorsi banditi in Italia in ordine temporale con esiti e verbali. Per capire
come si stanno organizzando bisogna andare a spulciare sito per sito, cercando
fra i meandri del web fino ad a trovare l'elenco dei bandi, spesso abbastanza
nascosti. Si scopre così che ci sono due università che hanno interpretato in
modo molto ampio la legge Gelmini. E' il caso di Bologna dove nel 2014 ci sono stati
393 procedure valutative e 23 bandi aperti ad esterni. Qualcosa di simile è
avvenuto alla Sapienza dove sul sito si contano 187 procedure riservate a
interni e 11 ad esterni. Nelle altre università la sproporzione esiste ma è più
vicina ai termini concessi dalla legge. A Roma Tre ci sono state 75 procedure
valutative contro 31 bandi selettivi. A Foggia 13 procedure contro 2 bandi
selettivi, a Messina 7 contro 20. A
Milano 164 contro 63. Dietro la pioggia di promozioni vi è una strada
obbligata dall'assenza di risorse. Come ha raccontato un professore: "Non
ci sono soldi per nuove assunzioni, non ci sono i soldi per prendere il
brillante scienziato né dagli Stati Uniti né dal paese accanto. Si può solo far
diventare un ricercatore interno associato. Non gli si deve pagare nemmeno
l'aumento di stipendio: il blocco degli scatti e della ricostruzione delle
carriere fa sì che un ricercatore di 40-45 anni (che aspetta da 10-15 un
concorso) ha già lo stesso stipendio che avrà da associato. La manovra è a
costo zero”. (Fonte: F. Amabile, La Stampa Opinioni 04-02-2015)
RICERCA. RICERCATORI
RICERCA.
IN ARRIVO DAL MIUR PIANO NAZIONALE E 5 LINEE PROGRAMMATICHE
È in dirittura d'arrivo il Piano nazionale della Ricerca
allo studio presso il ministero per l'Istruzione, l'Università e la Ricerca. Lo
ha reso noto il ministro Stefania Giannini.
''Alla fine del mese - ha detto Giannini - sarà
presentato il Piano Nazionale della Ricerca che definirà la nostra strategia
nazionale nella ricerca'' stabilendo priorità e strategie del Paese per i
prossimi sette anni. Un punto molto importante, ha aggiunto il ministro, ''sarà
il raccordo degli obiettivi nazionali con quelli regionali''. Nei giorni
scorsi, lo stesso ministero ha diffuso le priorità politiche dell'azione del
dicastero per il 2015. Eccovi le cinque voci delle linee programmatiche dedicate
alla Ricerca:
- Semplificare le
procedure finanziarie inerenti la ricerca affinché le risorse disponibili siano
utilizzate in maniera efficiente; facendo confluire le risorse in un piano di
ricerca unico al quale attingere attraverso interventi a bando o assegnazioni a
fronte della valutazione dei risultati.
- Programmare
meglio le attività e gli interventi inerenti la ricerca, non solo da parte
degli enti vigilanti dal Miur ma anche attraverso la creazione di un
Coordinamento Nazionale degli Enti Pubblici di ricerca. La filiera unica è una necessità per meglio
dialogare con l?unione Europea.
- Sostenere una
programmazione pluriennale più coerente ed efficace delle risorse disponibili
nonché di quelle acquisibili mediante competizione da parte di Enti e
Università in sinergia con le imprese e i territori.
- Nell’ambito del
quadro europeo e in linea con “Horizon 2020”, favorire i processi di apertura
internazionale degli Enti pubblici di ricerca e assicurare l’allineamento con
gli obiettivi nazionali.
- Promuovere le politiche di mobilità dei
ricercatori a tutti i livelli favorendo e semplificando le procedure di
“portabilità” dei progetti di ricerca, specie in raccordo con il sistema delle
infrastrutture. (Fonte: http://www.uninews24.it 13-02-2015)
UN
EMEDAMENTO ALLA CAMERA PORTA DA 4 A 6 IL LIMITE DI ANNI DI ASSEGNI DI RICERCA
ATTRIBUIBILI A UN RICERCATORE
La commissione Cultura della Camera ha approvato un
emendamento al decreto Milleproroghe che fa(rebbe, se il decreto passasse)
tirare un sospiro di sollievo a decine di migliaia di ricercatori, portando da
4 a 6 il limite di anni di assegni di ricerca attribuibili a un ricercatore.
Per capire la portata del decreto, bisogna sapere che la riforma Gelmini (legge
240/2010) aveva trovato una soluzione piuttosto "radicale" al
problema del precariato nell'università: porre un tetto di 4 anni al periodo in
cui un ricercatore può usufruire di assegni di ricerca. Visto l'attuale
struttura delle carriere nella ricerca, l'assegno di ricerca costituisce il
principale strumento di sostentamento per tutti i giovani studiosi che hanno
finito il dottorato ma non sono ancora stati inquadrati nel ruolo di
ricercatori o professori; si tratta insomma di un periodo precario di
"gavetta" in cui il ricercatore, tipicamente esentato da obblighi
didattici, deve rendere solido e spendibile il proprio curriculum per trovare
un inquadramento in un ateneo. L'emendamento, presentato dalla deputata PD
Manuela Ghizzoni rimanda il problema di due anni. “Se non ci fosse stata questa
proroga avremmo rischiato di perdere un capitale umano di ricercatori di
livello, che il sistema italiano della ricerca, sottodimensionato, non assorbe.
Non possiamo perdere altri ricercatori perché l’Italia – spiega Ghizzoni – ne
ha a oggi un numero bassissimo, circa 150.000, a fronte dei 510.000 della
Germania, 430.000 dell’Inghilterra, 340.000 della Francia e 220.000 della
Spagna".
ASSEGNI DI RICERCA PROROGATI. MA RESTA
INALTERATO A 12 ANNI IL TOTALE DI ASSEGNI+RTDA+RTDB
Sembra che
l'emendamento Ghizzoni approvato alla Camera (“La durata complessiva dei
rapporti instaurati ai sensi dell'articolo 22, comma 3, della legge 30 dicembre
2010, n. 240, è prorogata di due annni”) dimentichi un dettaglio importante.
Aumenta di due anni la lunghezza degli assegni di ricerca ma lascia inalterati
a 12 anni il totale di assegni+RTDa+RTDb. Posto che gli RTDb sono il punto di
arrivo più ambito (danno sostanzialmente diritto - o quasi - a un posto di
professore) per poter concorrere uno deve aver fatto non più di 9 anni di
assegno + RTDa. Si pone pertanto il dilemma: se uno vuole fare i due anni
aggiuntivi di assegno, deve rinunciare ad almeno due anni di RTDa, meglio
pagato e più prestigioso. Ma la situazione è anche peggiore. Sappiamo che gli
RTDa che accederanno agli RTDb saranno solo quelli fatti su FFO, che saranno
sempre banditi per una durata di 3+2 anni. Allora, se uno fa anche solo un anno
aggiuntivo di assegno sostanzialmente non potrà prendere un RTDa e quindi poi
neppure un RTDb. (Fonte: D. Brogioli ricercatoriprecari-dibattito@googlegroups.com
09-02-2015)
RICERCATORI.
EFFETTI DELLA LEGGE 240/2010
Con la legge Gelmini (240/2010) la figura del ricercatore
universitario è stata definitivamente soppressa e sostituita con due surrogati:
il ricercatore a tempo determinato di tipo A (cosiddetto RTD-A) con contratto
triennale rinnovabile una sola volta per ulteriori due anni; il ricercatore a
tempo determinato di tipo B (cosiddetto RTD-B) con contratto triennale non
rinnovabile, con opzione di chiamata a professore associato in caso di
conseguimento dell’ASN e di valutazione positiva dell’Ateneo chiamante. Tutto
ciò ha provocato una serie di effetti che, quantomeno, avrebbero dovuto essere
previsti. Ne cito solo alcuni.
a) Ovviamente per entrambe le figure è stato inserito il
tassativo obbligo di fare didattica. La progressiva precarizzazione della
docenza universitaria con i continui salti mortali dei presidenti dei corsi di
studio per adeguare ordinamenti e regolamenti alla costante variabilità del
corpo docente;
b) l’abolizione di fatto della figura del ricercatore a
tempo determinato per esclusiva attività di ricerca, esistente praticamente in
tutti gli altri Paesi – introdotta da noi dalla legge Moratti e poi abolita
dalla Gelmini – che ha generato l’assurdo paradosso che se un docente ha un
progetto per reclutare ricercatori a tempo determinato per fare ricerca non può
più farlo, perché il tempo che deve essere obbligatoriamente dedicato alla
didattica non è giustamente riconosciuto dal finanziatore;
c) l’obbligo dell’inserimento nella programmazione degli
Atenei anche dei ricercatori di tipo A, che, di fatto, è una richiesta di
programmare l’improgrammabile, ovvero l’istituzione di posti a tempo
determinato che dovrebbero essere legati a contingenti e poco prevedibili
esigenze di ricerca e di formazione;
d) un ulteriore squilibrio nell’ambito delle limitazioni
del turn over, in quanto i professori e i ricercatori che cessano le attività
vengono sostituiti, al 20% o al 50% a seconda delle restrizioni del momento,
con effimeri contrattisti a tempo determinato;
e) lo strano fatto che i ricercatori a tempo determinato,
con contratto precario e stipendio spesso minore rispetto ai loro colleghi a
tempo indeterminato, devono lavorare di più perché hanno l’obbligo della
didattica che gli altri non hanno. (Fonte: N. Casagli, Roars 03-02-2015)
RICERCA. INDICE BIBLIOMETRICO E
REFERAGGIO
A proposito
delle modalità di valutazione della ricerca attraverso la misura dell’indice
delle citazioni, utilizzato anche dallo stesso Anvur come criterio di qualità
della produttività scientifica, senza considerare/valutare la qualità
scientifica del lavoro con un processo di referaggio. Nel 1989, è stato pubblicato l’articolo di Fleischmann M., Pons S.,
«Electrochemically induced nuclear fusion of deuterium» (1989), Journal of
Electroanalytical Chemistry, 261 (2 PART 1), pp. 301-308. Si tratta della cosiddetta «fusione fredda» che,
successivamente, si rilevò frutto di errori di procedura sperimentale. Tale
articolo, già nel 2010, era stato citato da 750 ricercatori, nel solo 2014 ha
raccolto 8 citazioni. Nel settore chimico, tale articolo rientra quindi tra
quelli a maggior impatto in termini di citazioni e, di conseguenza,
classificherebbe il ricercatore eccellente. (Fonte: J. Kaspar,
corriereinnovazione.corriere.it 01-02-2015)
L'UNICO FINANZIAMENTO ALLA RICERCA PUBBLICA NEL 2014, IL
SIR, FORSE IN PRIMAVERA
Più di 5 mila
ricercatori precari sono sulle spine. Il bando Sir, questo il nome, è stato
l'unico finanziamento alla ricerca pubblica nel 2014. Ma è ancora rinchiuso
nelle casse dello Stato e nella migliore delle ipotesi vedrà la luce a tarda
primavera. Tutto per un errore che poteva essere evitato. Nel gennaio 2014 il
ministero pubblica il bando. Internazionale nel nome, Sir sta per "Scientific
independence of researchers", e nelle intenzioni il monte-premi è di
47 milioni da spartire tra i migliori ricercatori italiani. Tutti precari
perché Sir è riservato a chi ancora non ha un posto fisso, e nell'università
italiana sono in tanti. Si presentano in 5.250, ciascuno con il proprio
progetto di ricerca. Scritto in inglese perché sarà sottoposto ad una
commissione «internazionale» formata da tre persone scelte «all'interno di una
rosa di nove nominativi proposta dal consiglio scientifico dell'Erc», l'agenzia
dell'Unione europea che seleziona e finanzia la migliore ricerca in Europa.
Questo per garantire il prestigio e l'imparzialità dei commissari. Le tre
commissioni, una per ognuna delle tre aree scientifiche del concorso, si sono
insediate soltanto ad ottobre, dieci mesi dopo la pubblicazione del bando, più
di otto mesi dopo la scadenza del termine per presentare i progetti in gara,
insomma con un incomprensibile ritardo. E, cosa ancora più strana, dentro
quelle commissioni non c'è traccia degli esperti dell'Erc. I commissari sono
scelti non nell'albo di Bruxelles ma in quello romano del ministero
dell'Università. Qui ha inizio lo scaricabarile. Secondo il ministero è tutta
colpa dell'Erc. Il Miur, stando alla sua versione, avrebbe messo nero su bianco
la nomina di commissioni internazionali, salvo poi scoprire che quelle
commissioni non si potevano fare. Ma è una versione che cozza contro un'altra versione,
quella dell'Erc, che spiega che «il Miur ci aveva chiesto di poter accedere al
database dei nostri commissari, per coinvolgerli nel Sir. Ma come gli abbiamo
subito spiegato, questo è impossibile». I commissari Erc sono nominati solo per
valutare i progetti Erc e i loro nomi fino alla fine dei lavori restano
segreti. Di tutto questo il Miur non ha tenuto conto, finché dieci mesi dopo
l'uscita del bando, otto mesi dopo la scadenza del termine per le domande, è
stato costretto a metterci una pezza, a modificare le regole in corso d'opera e
a ripiegare su altri commissari. (Fonte: F. Margiocco, Secolo XIX 24-01-2015)
IIT DI GENOVA. NON PIÙ CENTRALIZZAZIONE DEI BREVETTI
Sarà eliminata nel
corso dell’iter parlamentare del Decreto legislativo, la contestata norma
contenuta nel cosiddetto “Investment Compact” (il decreto legge che cambia le
banche popolari in società per azioni) che avrebbe fatto dell’Istituto italiano
di Tecnologia di Genova l’ente per la gestione della proprietà intellettuale di
tutti gli istituti nazionali di ricerca pubblici e delle Università, e che
prevedeva quindi una centralizzazione dei brevetti e dunque un aumento degli
impegni burocratici dell’istituto, a scapito di quelli della ricerca. Secondo
quanto si apprende, la misura dovrebbe essere sostituita con la possibilità per
l’Iit di costituire, investire o partecipare a startup innovative. (Fonte: www.ilsecoloxix.it 27-01-2015)
CULTURA DELLA VALUTAZIONE E CULTURA DELL’ADEMPIMENTO
L’Italia è stato
l’ultimo paese europeo a dotarsi di un’Agenzia Nazionale di Valutazione della
Ricerca. L’ANVUR è divenuta operativa solo nel 2011, con la nomina del
Consiglio Direttivo, con un ritardo di 8 anni rispetto all’impegno assunto nel
2003, alla conferenza di Berlino. Un’Agenzia Nazionale è indispensabile per
sviluppare la cultura della valutazione intesa come cultura del render conto,
nei termini anglosassoni della accountability. Valutare significa entrare nel
merito dei processi che le Università adottano nella loro autonomia,
verificarne l’efficacia, l’efficienza e la correttezza nell’uso delle risorse.
La cultura della valutazione, lontana com’è dalla tradizione italiana, va
introdotta in maniera graduale e, per essere accettata e divenire strumento efficace,
deve coinvolgere in modo attivo, diretto e convinto le Università e le persone
interessate. L’ANVUR ha svolto un lavoro enorme con la lodevole volontà di
recuperare il tempo perduto. Ma il sistema AVA, adottato per la valutazione
della didattica con tempi ristretti, risente fortemente di un’impostazione che
viene dal passato, è fondata su un modello centralistico-autorizzativo, anziché
su un modello valutativo in linea con i modelli europei più avanzati. Più che
la cultura della valutazione si sta sviluppando la cultura dell’adempimento; un
modello altamente prescrittivo, dove la valutazione diviene la verifica del
rispetto di vincoli numerici e parametri che poco spazio lasciano all’autonomia
e alla capacità inventiva e di elaborazione degli Atenei. Per tali motivi il
sistema adottato è percepito dal mondo universitario come un ulteriore pesante
aggravio di natura burocratica, calato dall’alto. Il rimedio consiste
soprattutto nel promuovere la capacità delle istituzioni di perseguire gli
obiettivi da esse stesse stabiliti in autonomia, attraverso la valutazione ex
post dei processi adottati e dei risultati conseguiti. (Fonte: A. Stella, Roars
30-01-2015)
RICERCA.
L’OMS PROPONE NUOVE REGOLE PER LA PUBBLICAZIONE DI STUDI CLINICI
Una delle problematiche più inquietanti della medicina
contemporanea è quella relativa ai risultati di molti studi clinici, che non
vengono mai resi pubblici. Se ai ricercatori non piacciono i risultati ottenuti
o una compagnia farmaceutica arriva a conclusioni scottanti (come la dannosità
di un farmaco che però permette alla società di incassare molti soldi), i dati
non vengono pubblicati. Questo ha portato, nel corso del tempo, a
un’inevitabile polarizzazione della conoscenza dei risultati medici. Per anni i
ricercatori e gli studiosi hanno segnalato il problema, senza però essere mai
ascoltati. Il 2015, però, sarà l’anno della svolta: secondo un nuovo piano,
proposto dal Dipartimento di Salute e Servizi Umani dell’OMS, a partire dal
mese scorso, i ricercatori che gestiscono gli studi clinici sono obbligati a
registrare i risultati ottenuti sulla più grande banca dati del mondo
(clinicaltrials.gov) entro 3 settimane dalla firma sul progetto del primo
ricercatore, con l’obbligo di riportare una sintesi dei risultati a prescindere
dal risultato stesso. Il piano porterà a un incremento notevole del database,
che nel 2015 permetterà una sempre maggiore condivisione clinica dei dati.
Questo progetto, avviato contemporaneamente in Europa e negli Stati Uniti, sarà
guidato da un gruppo di medici, chiamati a garantire che ogni sperimentazione
clinica venga registrata con i giusti metodi e i risultati ottenuti. I governi,
tra cui quello americano, hanno acconsentito alla creazione del progetto,
garantendo provvedimenti qualora l’iter non venga rispettato. (Fonte: F.
Ciapparoni, www.smartweek.it 01-02-2015)
RICERCATORI.
PERCHÈ NACQUERO A TEMPO INDETERMINATO
I ricercatori universitari (RU) a tempo indeterminato
(ora ruolo ad esaurimento) dovevano “sostituire”, nei primi anni ’80, una
giungla di figure precarie “accumulatesi” durante gli anni ’70 nei ranghi
dell’Università italiana. Furono concepiti come “posizione di ruolo permanente”
e non come posizione a tempo determinato proprio per l’opposizione ideologica,
prevalente in quei tempi, alla “precarizzazione del lavoro”, tant’è che
l’originaria proposta del ministro Valitutti di limitarne la durata temporale a
7 anni fu poi emendata durante il passaggio nelle Commissioni Parlamentari.
Per poter insegnare (nel senso di avere la responsabilità
didattica di un corso di insegnamento) bisognava diventare Professori Associati
– e mi pare che ci fosse una logica in tutto questo. Ciò che era illogico era
pensare che l’istituzione del ruolo di RU avrebbe eliminato il precariato,
giacché dopo pochi anni fu evidente che il veloce raggiungimento dei limiti
superiori per gli organici nazionali degli RU avrebbe imposto una rinnovata
vita alle figure a tempo determinato – ora tipicamente post-dottorato. Facciamo
un salto di qualche anno e arriviamo al periodo “gelminiano”. La successiva
deroga al principio di assicurare l’insegnamento ai soli Professori fu una
conseguenza del continuo aumento di domanda di insegnamento negli anni ’80 e
’90. Ma non si poteva per questo cambiare lo stato giuridico degli RU; lo
impediva la natura di funzionario pubblico loro attribuita, analogamente a
quello dei Professori: non si possono cambiare i profili funzionali di tali
categorie di personale “ex abrupto”. E del resto fare degli RU una “terza
fascia di Professori” avrebbe ipso facto causato una svalutazione del ruolo
docente, assegnando compiti equivalenti a quelli dei professori associati a
personale con stipendio inferiore. (Fonte: R. Rubele, replica a N.
Casagli 03-02-2015)
RICERCATORI. POCHI E
ANZIANI
Horizon
2020 finanzia - anche cospicuamente - le idee dei ricercatori: presupposto
imprescindibile è dunque che vi siano, innanzi tutto, i ricercatori e le idee.
Il rilievo non appaia banale o tautologico: dalle statistiche Eurostat si
evince che in Italia opera solo il 6% dei ricercatori attivi in Europa, contro
il 20,5% della Germania, il 16,9% della Gran Bretagna, il 13,4% della Francia.
I ricercatori italiani non solo sono molto pochi, ma vanno diminuendo per il
blocco del turnover. Ancora: se è vero, come è stato dimostrato, che le idee
innovative hanno correlazione inversamente proporzionale all'età, si allarga
ulteriormente la forbice della disparità delle condizioni di partenza. I
(pochi) ricercatori italiani sono, infatti, anche i più vecchi d'Europa, e solo
nell'arco dell'ultimo trentennio la loro età media è cresciuta di ben dieci
anni. Non per caso le Università italiane chiedono da tempo un piano
straordinario diretto all'inserimento dei giovani nel mondo della ricerca,
affinché portino nuova linfa nei settori avanzati e si formino così anche i
presupposti per creare nuovi posti di lavoro nei settori produttivi legati
all'innovazione scientifica e tecnologica.
(Fonte:
L. D’Alessandro, Il Mattino 14-02-2015)
RIFORMA UNIVERSITARIA
RIFORMA UNIVERSITARIA. LA RICETTA NON DEVE ESSERE SOLO A
BASE DI SLOGAN SECONDO L’UDU
“Basta slogan,
l’università e gli studenti hanno bisogno d’altro”. Questa, in estrema sintesi,
la reazione dell’UDU alle parole del sottosegretario all’Istruzione Davide
Faraone a proposito di un prossimo piano di riforma del sistema accademico.
L’annuncio del sottosegretario è stato dato in un’intervista a La Stampa, nella
quale è stata manifestata la volontà del MIUR di superare le rigidità e
rimettere al centro gli studenti. L’Unione degli universitari (UDU), però,
guarda con sospetto all’ipotesi di una nuova riforma e accusa il governo di
ricorrere per l’ennesima volta ad annunci cui poi non seguono i fatti.
“Apprendiamo, dalle dichiarazioni a mezzo stampa del sottosegretario Faraone,
dell’intenzione del Governo di intervenire sull’università per ‘cambiare la
mentalità’ e ‘rottamare le rigidità’ del sistema”, scrive l’UDU in un
comunicato, nel quale ricorda all’esecutivo che in Italia “abbiamo bisogno di
una progettualità fatta di interventi seri e condivisi con gli studenti, senza
ulteriori spot”. La reazione dell’UDU alle proposte messe sul tappeto dal
sottosegretario è segnata da un palese scetticismo. Per il coordinatore
nazionale dell’associazione studentesca, Gianluca Succimarra, intervenire su un
settore in sofferenza come quello universitario richiede che si ricostruisca
“una visione programmatica del sistema universitario pubblico, dei suoi
obbiettivi e del suo valore, partendo da un confronto reale con i suoi attori,
studenti in primis“. Confronto che, si sottolinea da parte dell’UDU non è
ancora stato intrapreso.
La reazione dell’UDU
alle proposte di Faraone prende di mira soprattutto l’assenza di alcuni temi:
“a parte qualche battuta, il sottosegretario non spende una parola sulle nostre
tasse, tra le più alte d’Europa, sulla vergogna degli idonei non beneficiari di
borsa di studio, sulle lacune enormi nell’offerta di servizi e diritto allo
studio”. Tutti temi che per gli studenti sono assolutamente centrali e, dal
loro punto di vista, dovrebbero essere affrontati con urgenza. Per il momento,
dunque, l’UDU boccia le idee emerse nell’intervista a Faraone, dicendo senza mezzi
termini che “rottamare le rigidità” è solo “un ennesimo slogan buono per i talk
show”. (Fonte: universita.it 24-01-2015)
RIFORMA DELLE ACCADEMIE DI BELLE ARTI LANCIATA DAL
MINISTRO GIANNINI
A Brera, nel corso
dell’inaugurazione dell’anno accademico, il ministro Stefania Giannini, ha
annunciato “Chiamata alle Arti”, un progetto per una riforma universitaria
delle Accademie di Belle Arti. Via dunque al rilancio di tutto il settore, a
partire dal comparto Afam, "un po' trascurato, ma è bene ricordarne la
dimensione": in Italia ci sono venti accademie statali, 23 legalmente
riconosciute, come Brera, e poi 54 conservatori, 20 istituti pareggiati, un’accademia
teatrale e una di danza: ottomila studenti in tutto, di cui il 12% stranieri.
Il settore, però, secondo Giannini ha bisogno di un nuovo modello formativo ed
è così che, "dopo un lavoro durato un paio di mesi e svolto
silenziosamente, è stato redatto un documento informale per far partire un
dibattito, che parte oggi da Brera: gli abbiamo dato il nome di Chiamata alle
Arti". L’obiettivo è quello della definizione di un documento unitario
delle Accademie di Belle Arti per una necessaria Riforma del settore a quindici
anni di distanza dalla Legge n.508/99 che non ha ancora trovato una completa
attuazione. Questioni fondamentali come l’internazionalizzazione, l’autonomia,
l’offerta formativa, il reclutamento dei docenti, la Ricerca, i contatti con le
imprese e il mondo del lavoro devono trovare risposte efficaci in tempi brevi,
anche per un definitivo allineamento del Sistema dell’Alta Formazione Italiano
con le Istituzioni Europee. (Fonte: www.tecnicadellascuola.it
24-01-2015)
STUDENTI
CONSIGLIO DI STATO AUTORIZZA TRASFERIMENTO IN
ITALIA SENZA TEST DEGLI ISCRITTI A MEDICINA ALL’ESTERO, MA A CERTE CONDIZIONI
Il
trasferimento in Italia senza test d’ammissione degli studenti di Medicina
iscritti in un ateneo estero è stato autorizzato dall’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato, l’ultimo grado di giudizio in campo amministrativo. Nella
sentenza depositata il 28 gennaio scorso, la Corte ha stabilito che i 44mila
giovani iscritti presso università straniere potranno rientrare nel nostro
Paese senza sottoporsi alla selezione, obbligatoria invece per chi vuole intraprendere
tale percorso di studi restando nell’ambito dei confini nazionali. Ma a certe
condizioni. Il collegio di quindici magistrati guidati dal presidente Giorgio
Giovannini ha dettato un principio che d’ora in poi guiderà le decisioni in
merito all’accoglimento delle istanze di trasferimento in Italia di quanti, per
aggirare il numero chiuso, si sono iscritti a Medicina in un ateneo estero.
Nella sentenza del Consiglio di Stato si legge che ogni università deve
soddisfare le richieste degli studenti, ma “nel rispetto ineludibile del numero
di posti disponibili per trasferimento” fissato dall’ateneo stesso. Le
università sono anche chiamate a sottoporre a un rigoroso vaglio la
qualificazione dello studente, analizzandone i crediti formativi acquisiti all’estero
“in relazione ad attività di studio compiute, frequenze maturate ed esami
sostenuti”. Insomma, il trasferimento in Italia senza test non potrà essere
automatico. (Fonte: universita.it
30-01-2015)
STUDENTI. NUOVO PROGRAMMA ERASMUS+
Con il bando
2015 per la mobilità individuale nel settore dell’istruzione e della
formazione, atteso per il 4 marzo prossimo, il nuovo programma Erasmus+ apre le porte a tutti e cinque i continenti,
attraversando i confini europei per disegnare nuovi flussi di mobilità che fino
all’anno scorso erano di competenza solo dell’Erasmus Mundus. Rispetto al
vecchio sistema, basato su consorzi universitari, ogni ateneo che abbia ottenuto
la certificazione dell’Erasmus University Charter, è ora libero di collaborare
con qualsiasi università nel mondo. Il programma settennale è stato avviato in
un momento di forte disoccupazione giovanile in Europa, alla quale
corrispondono paradossalmente milioni di posti d’impiego vacanti, a causa della
difficoltà, da parte dei datori di lavoro, di assumere personale con le
qualifiche richieste. A questo segnale di deficit di competenze in Europa
Erasmus+ risponde fornendo rinnovate opportunità di studio, di formazione, di
esperienze lavorative o di volontariato all’estero. Lo fa consentendo a 20.000
studenti in più di mettersi alla prova in un sistema universitario di qualunque
Paese del mondo, ma anche ampliando il proprio budget, e vanificando così i
ripetuti allarmi per la mancanza dei fondi europei necessari all’attivazione di
nuovi programmi di mobilità. È, infatti, di questi giorni la notizia che
aumentano di 121 milioni di euro i fondi già stanziati dalla Commissione
europea per il periodo 2014-2020, e quantificati lo scorso anno in 14,7
miliardi di euro. L’Italia, in particolare, disporrà di un budget extra di 12
milioni di euro, da destinare sia alle mobilità in uscita dall’Italia che a
quelle in entrata dal resto del mondo. Le risorse messe in campo per il nostro
paese sono pari al 9,6% del budget europeo per il 2015 e finanzieranno 1.864
borse di mobilità. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 30-01-2015)
STUDENTI. ANALISI DEL CALO NEL PERCORSO FORMATIVO
Perché si perdono
questi studenti? Anche qui ci troviamo di fronte a un problema di “leaky
pipeline”, di tubo che perde, dove la pipeline è il percorso formativo. I
tratti della tubazione sarebbero: scuola dell’obbligo -> scuola superiore
-> università -> laureati. In rete si trovano dati e considerazioni per
fare qualche analisi. Una “perdita” di tipo assoluto nel primo tratto/passaggio
può essere solo legata a dati di tipo demografico: è calato in modo sensibile
il numero di nati, e quindi poi di diciannovenni che si iscrivono
all’università? La risposta è negativa, perché i tassi di diminuzione degli
iscritti non sono paragonabili ai cali demografici verificatisi a fasi alterne
in questi anni. Neanche il secondo tratto (diploma di scuola secondaria di II
grado, o scuola superiore) costituisce una vera criticità: nel 2011 la
percentuale di diplomi di scuola superiore rispetto alla popolazione dei 19enni
era del 79%, una percentuale comunque inferiore a quella media europea (83%),
ma di 4 punti percentuali. Ma il dato di per sé non è così significativo perché,
come dice giustamente Andrea Cammelli di AlmaLaurea: “Il successo formativo del
sistema scolastico secondario superiore non si misura solo dall’esito finale
dell’Esame di Stato, ma anche e soprattutto sulla capacità di inserimenti
professionali o formativi di alto livello qualificati, dove sia certificato e
valorizzato il sapere come il saper fare”. La prima vera criticità si incontra,
infatti, al momento dell’iscrizione all’università. L’emorragia degli ultimi
dieci anni è preoccupante: 70550 iscritti in meno equivalgono ad una grande
università italiana. Nei fatti, una università è già scomparsa. Nel 2011 mentre
il 79% possedeva un diploma di scuola superiore, solo il 48% di essi (61
diplomati su cento, quindi) si iscriveva all’università rispetto alla media UE
del 59% (-11 punti percentuali) e OCSE del 60%. Di quel 48%, il 12% frequentava
l’università lavorando (studenti lavoratori). Per il calo di laureati bisogna
prendere in considerazione il problema del rapporto d’importanza fra calo di
iscrizioni e invece abbandoni universitari, rispetto alle medie UE. In Italia
si iscrive all’università l’11% in meno dei 19enni rispetto alla media UE21, e
si laurea il 20% in meno di studenti rispetto sempre alla media UE21. (Fonte:
commento di Lilla a un articolo di De Nicolao su Roars 17-01-205)
STUDENTI. ABBANDONO DEGLI STUDI: MEDIA ITALIANA DEL 17,6%
CONTRO MEDIA UE DEL 12,8%
Dati forniti dalla Banca
d’Italia e dal Miur sulla dispersione scolastica nelle regioni italiane. In
quest’ultimo anno si sono allontanati dagli studi quattro universitari su
dieci: giovani 18-24enni che hanno abbandonato prematuramente gli studi o
qualsiasi altro tipo di formazione. La media italiana è del 17,6% contro una
media Ue del 12,8%. Insieme alla Sicilia, anche altre due regioni, Campania e
Sardegna, si contraddistinguono per il triste primato dell’abbandono degli
studi scolastici. Questo conferma che il fenomeno ha una sua territorialità che
spicca soprattutto nelle regioni del Sud. (Fonte: www.qds.it 21-01-2015)
STUDENTI. BORSE DI STUDIO. NE BEFICIA UNO STUDENTE SU
QUATTRO IN GERMANIA E FRANCIA, UNO SU DIECI IN ITALIA
Se guardiamo al decennio che
va dall’A.A. 2001/2002 al 2010/2011, scopriamo che, a fronte di un numero quasi
costante di studenti idonei alla borsa (dai 207 mila del 2001/2002 si cala fino
ai 181 mila del 2010/2011), una larga percentuale di studenti non ne ha
fattualmente beneficiato: si tratta della figura dei così detti “idonei non
beneficiari”, ossia degli studenti che, pur rispettando le condizioni di accesso
alla borsa sancite dal bando dell’ufficio regionale competente, non ricevono la
borsa a causa dell’insufficienza delle risorse. La percentuale di questi
sfortunati, quasi dimezzatasi dal 2001/2002 (34%) al 2009/2010 (16%), è poi
tornata ad accentuarsi drasticamente nel 2010/2011 (25%), nonostante il calo
degli idonei. Se fino a prima del DLgs 68/2012 la figura dell’idoneo non
beneficiario non era semplicemente prevista dalla giurisprudenza, viene in un
certo senso sdoganata dal momento in cui questa precisa che “la concessione
delle borse di
studio è assicurata a tutti gli studenti aventi i requisiti di
eleggibilità […], nei limiti
delle risorse disponibili
nello stato di previsione del Ministero a legislazione vigente”. Quindi
lo Stato, pur vincolando le Regioni a versare il 40% del contributo statale,
non vincola se stesso in alcun modo a coprire delle borse; il diritto allo
studio non viene cioè considerato una priorità inderogabile. In Germania e in
Francia, rispettivamente 418 e 593 migliaia di studenti beneficiano di supporti
economici: più di uno studente su quattro. In Italia è invece idoneo alla borsa
circa uno studente su dieci, e peraltro una volta su tre la carenza di fondi lo
condanna al limbo degli idonei non beneficiari. (Fonte: rivista Ricerca della
FUCI settembre-ottobre 2013)
CUN. DICHIARAZIONE «IN MERITO AL DECRETO
INTERMINISTERIALE 9 DICEMBRE 2014, N. 893, COSTO STANDARD UNITARIO DI
FORMAZIONE PER STUDENTE IN CORSO»
Con questa
Dichiarazione, il Consiglio Universitario Nazionale interviene sul tema del
Costo Standard, come modello per la ripartizione della quota base del FFO per le Università statali, introdotto
con il decreto interministeriale 9 dicembre 2014, n. 893 e formula proprie osservazioni
in merito alle metodologie e ai dati utilizzati per i calcoli. Si legge qui.
STUDENTI. IL RIASSETTO DEL TEST PER L'ACCESSO A MEDICINA
Proviamo a riepilogare i punti
riassuntivi dell'iter di riassetto dello stesso Test di Medicina 2015 in
elaborazione ai piani alti dell'Istruzione italiana. Per prima cosa è bene
evidenziare che il Test di Medicina 2015 si terrà a settembre e non a ottobre
come in precedenza. In secondo luogo il Test di Medicina 2015 dovrebbe essere
preceduto da un percorso di preparazione alla prova offerto dai singoli Atenei,
previsione che potrebbe infliggere un duro colpo al business dei corsi privati.
Dal Test di Medicina 2015 scompariranno infine le domande di logica e cultura
generale con conseguente inserimento di vari quiz in inglese. L'ultimo punto
riguarda il tentativo di far scendere il numero di pretendenti alla Facoltà: lo
scorso anno avevamo 63mila candidati a fronte di 10.500 posti. Si starebbe così
pensando a campagne di orientamento mirate a dissuadere chi non è realmente
interessato a Medicina. L'obiettivo è avere un Test 2015 con 30mila candidati
al massimo, meno della metà rispetto al 2014. (Fonte: Gazzetta del Mezzogiorno
21-01-2015)
STUDENTI. NUOVO INDICATORE DELLA SITUAZIONE ECONOMICA
EQUIVALENTE (ISEE)
Con il nuovo ISEE
migliaia di studenti universitari rischiano di pagare le tasse più alte
previste dai rispettivi atenei. A denunciarlo è l'Unione degli universitari
(UDU). "La gestione dell'entrata in vigore del nuovo Isee - dichiara - è
evidentemente fallace sotto molti punti di vista: ritardi che rischiano di non
consentire la presentazione dell'Isee per l'assegnazione dell'importo delle
tasse universitarie, mala gestione del periodo di transizione tra vecchia e
nuovo Isee con conseguenti disuguaglianze tra studenti dello stesso
ateneo". Ecco perché. Lo scorso primo gennaio, è entrata in vigore una
nuova normativa per il calcolo dell'Indicatore della situazione economica
equivalente (ISEE) familiare, utilizzato dagli atenei per calcolare quanto ogni
ragazzo dovrà pagare. Ed ecco il primo problema: "L'Inps dovrebbe
sottoscrivere una convenzione con i Caf per potere rilasciare il modello Isee
con le nuove regole - spiegano gli studenti - ma ancora questa convenzione non
è stata sottoscritta e i Caf non possono rilasciare nessuna
certificazione". E coloro che aspettavano la scadenza dei termini fissati
dai singoli atenei per presentare la documentazione sulla situazione economica
del nucleo famigliare rischiano di vedersi collocare nell'ultima fascia, quella
più esosa.
Che prevede anche
1800/2000 euro di esborso all'anno. A Firenze e Ancora, per presentare la
documentazione in questione ci sarà tempo fino alla fine di gennaio, mentre a
Padova si potrà aspettare la fine di febbraio. Ma senza che i patronati possano
rilasciare il modello Isee questa scadenza rimane sulla carta. Chi invece ha
pensato per tempo a munirsi del prezioso documento da inoltrare alle segreterie
universitarie ricade nella vecchia normativa con fasce di reddito diverse. Ed
ecco un'altra anomalia denunciata dall'UDU: "Due studenti dello stesso
ateneo e con lo stesso Isee potrebbero vedersi collocare - dice l’UDU - in due
fasce diverse, se uno ha presentato il vecchio Isee e l'altro il nuovo".
Una situazione che fa temere agli studenti "disuguaglianze tra studenti
dello stesso ateneo". Ma non solo. "Una delle principali perplessità
- concludono gli studenti - riguarda il calcolo delle borse di studio nella
dichiarazione: se da una parte gli enti non dovranno considerare il peso
dell'importo della borsa sull'Isee presentata per il suo ottenimento,
dall'altra la borsa di studio, che dovrebbe avere una funzione sociale di
sostegno a quelle famiglie che non possono permettersi di mantenere agli studi
i propri figli, peserà in termini di fiscalità generale sul nucleo
familiare". (Fonte: S. Intravide, La Repubblica 30-01-2015)
STUDENTI.
DIMINUZIONE E SPOSTAMENTO AL NORD DI STUDENTI MERIDIONALI
In base al peggioramento della crisi economica, si è
assistito negli ultimi anni a una fuga dei giovani meridionali dalle università
e dall'istruzione superiore. Mentre nell'anno accademico 2005/2006 il numero di
giovani meridionali iscritti alle università aveva raggiunto quello dei giovani
settentrionali (674.000 rispetti a 679.000) completando una rincorsa storica
avviatasi con la scuola e l'università di massa, in pochi anni il numero degli
studenti universitari meridionali è crollato a 613.000. Quindi gli studenti
meridionali stanno fuggendo dalle università. Se volessimo segnalare come la
crisi economica stia falcidiando nel Sud le speranze di futuro, basterebbe
guardare al numero di immatricolazioni e agli abbandoni degli studi. E si sta
da tempo assistendo ad un altro fenomeno: chi può va a studiare nelle
università del Centro-Nord. Un meridionale su tre, infatti, non si laurea nella
propria regione. Ad esempio, il 20% dei campani si laurea in atenei
centro-settentrionali. E per la maggior parte restano lì dopo la laurea. A
fronte di questo numero elevato di studenti meridionali che va a laurearsi
nelle regioni del Centro-Nord, pochissimi sono coloro che fanno il tragitto
opposto: neanche il 2%. (Fonte: I. Sales, Il Mattino 01-02-2015)
VARIE
BREVETTI. PERCHÈ POCHI CONFRONTATI ALLE
PUBBLICAZIONI
Non solo
l’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della
Ricerca), ma anche la maggior parte delle Università, valuta, ai fini della
progressione della carriera, la sola produzione bibliografica, dando un peso
scarso, o addirittura nullo, alla produttività tecnologica (brevetti). È quindi
evidente che, per un giovane ricercatore, produrre pubblicazioni – ad alto
impatto in termini di citazioni – diventa un «must», secondo la logica del
«publish or perish». Va anche sottolineato che il deposito di una domanda di
brevetto o la stessa collaborazione con industria, nella presente ottica di
valutazione, rappresenta un chiaro svantaggio per il ricercatore, dovuto al
fatto che la pubblicazione può essere dilazionata o addirittura negata (segreto
industriale). Questo, quasi sicuramente, si rifletterà sulla sua carriera
universitaria. Diverso è il caso degli Stati Uniti, Svezia o diversi altri
Stati Ue, dove il contratto industriale costituisce una fonte essenziale di
finanziamento e, in genere, costituisce una buona quota del proprio stipendio.
In tale situazione vi è un forte interesse a brevettare, sia per proteggere
l’interesse industriale, sia perché alla scadenza del periodo «nascosto» (18
mesi), la domanda diventa di dominio pubblico e si può procedere alla
pubblicazione di un articolo. (Fonte: corriereinnovazione.corriere.it
01-02-2015)
LA BUONA UNIVERSITÀ. UN ANNUNCIO DAL GOVERNO
La Buona Università è stata annunciata dal sottosegretario Faraone in
una recente intervista su ‘La Stampa’. Parola d'ordine: rottamare. Infatti il
sottosegretario annuncia grandi cambiamenti su cui il Miur starebbe già
lavorando. L'obiettivo è rendere il mondo universitario meno rigido ed aprirlo
alle necessità degli studenti: da un ripensamento della formula del 3+2 ad una
maggiore attenzione al diritto allo studio, dal potenziamento della mobilità
nazionale e internazionale al miglioramento della valutazione degli atenei, e
molto altro ancora. Ecco alcuni punti su cui il Miur sembra puntare > leggi qui.
(Fonte: C. Ardizzone, skuola.net 19-01-2015).
DIFFICOLTÀ ITALIANE PER ORGANIZZARE UNA CONFERENZA COL
SUPPORTO DELLO STATO
È impossibile, oggi,
in Italia, organizzare una conferenza col supporto dello stato ed è
impossibile, in Sicilia almeno, organizzare una conferenza col supporto delle
fondazioni (se non si hanno le entrature giuste, immagino). Ma sbagliate voi a
pensare che sia per mancanza di strategia. Ricordate, questa è la storia del
perché l’Italia è molto più avanti di me: così avanti che ha già superato
questo concetto antico delle riunioni di parrucconi in un luogo fisico per
discutere di ricerca. Di più! L’Italia è così avanti che sta proprio superando il
concetto di ricerca all’università! Il futuro, si sa, non passa da lì. Non
esiste, in Italia, uno schema competitivo pubblico per richiedere fondi per
organizzare una conferenza – schemi come quelli promossi dai Research Council
nel Regno Unito, dalla Fundação Ciência e Tecnologia in Portogallo, o da Formas
in Svezia. A quel punto ho realizzato una cosa che spesso diamo per scontata:
in Italia non esiste alcuna struttura nazionale come i Research Council, ovvero
nessuna struttura indipendente dai governi. Una agenzia indipendente di questo
tipo non è mai esistita per due ragioni: 1- la politica italiana non ha mai
ritenuto che un oggetto di questo tipo generasse consenso e quindi …2- una
parte dell’accademia italiana ha sempre preferito i fondi ministeriali
controllati con comitati autocooptati di rettori e vicepresidenti del CUN in
prima o interposta persona. Se hai la fortuna di trovare uno sponsor che ti dà
1000 euro per la conferenza, magari l’amministrazione dell’Ateneo pretende di
fare un contratto per servizi conto terzi, piuttosto che trattarlo come
un’erogazione liberale fiscalmente deducibile. Ciò vuol dire che la
sponsorizzazione sarà soggetta a IVA, alle ritenute fissate dall’Ateneo,
incluso quel fondo di “produttività collettiva” (un “ossimoro” che da noi costa
il 2,5%) che prevede una distribuzione a pioggia dei proventi a tutto il
personale tecnico e amministrativo di Ateneo (chissà perché?). Il finanziatore
non potrà poi dedurre l’importo erogato per organizzare l’evento scientifico
dalle proprie tasse, quindi preferirà sponsorizzare manifestazioni politiche o
di partiti, per le quali la deducibilità è assolutamente indubbia e
incentivata. E poi ancora. Se il contributo finalmente arriva e voglio
finanziarci un coffee break, devo per forza cercare il servizio sul MEPA e, se
non c’è, devo fare un bando di gara con il CIG e il CUP e consultare almeno
cinque operatori economici. Alla fine devo aggiudicare a chi fa il prezzo più
basso, magari fornendo un servizio di pessima qualità. Fra poco ci chiederanno il parere preventivo
di legittimità della Corte dei Conti, state a vedere. Queste sono le figure meschine che facciamo
con i colleghi stranieri. (Fonte: N. Casagli, P. Marcati, link
per leggere il testo integrale 24-01-2015)
REPORTER SENZA FRONTIERE SEGNALA
PEGGIORAMENTO DELLA LIBERTÀ DI STAMPA IN ITALIA
Peggiora lo
stato della libertà di stampa nel nostro Paese: nella speciale classifica
redatta da Reporter Senza Frontiere (RSF) l'Italia precipita di 24 posizioni,
dal 49°posto al 73°. Pesano in questi ultimi 12 mesi "l'esplosione di
minacce, in particolare della mafia, e procedimenti per diffamazione
ingiustificati". In Italia nei primi dieci mesi del 2014 si sono verificati
43 casi di aggressione fisica e sette casi di incendio doloso a case o auto di
giornalisti. I processi per diffamazione "ingiustificati", secondo i
dati Rsf raccolti dall'associazione "Ossigeno per l'informazione" che
da anni registra notizie sui giornalisti minacciati in Italia, sono aumentati
da 84 nel 2013 a 129 nei primi dieci mesi del 2014. Stupisce che in graduatoria
il nostro Paese sia superato anche da Paesi come l'Ungheria del discusso
premier Orban (65° posto) o come Burkina Faso e Niger (46° e 47° posto). Peggio
dell'Italia in Europa è riuscita a fare solo Andorra, caduta in un anno di 27
posizioni a causa delle difficoltà incontrate dai giornalisti nel raccontare le
attività delle banche del piccolo Paese tra Francia e Spagna. (Fonte: R.it
Cultura 12-02-2015)
RICORDO DEGLI ISTITUTI
UNIVERSITARI
Il DPR
382 introdusse anche la possibilità di istituire i Dipartimenti. Al tempo non
ne fu compresa la portata, innovativa o devastante a seconda
dell’interpretazione e della successiva realizzazione. (Un sagace collega mi
fece osservare allora che comunque i dipartimenti difficilmente avrebbero
potuto “trasformare i somari in corsieri”. PSM). Sta di fatto che negli anni
‘80 la maggior parte di noi si trovò a preparare la tesi o a frequentare i laboratori
e le corsie di un Istituto. L’Istituto, al netto delle considerazioni tecniche,
legislative e di politica universitaria, era un microcosmo, una facoltà nella
facoltà, un’università nell’università. Il “Professore” non era un soprannome.
Costui era il capo indiscusso, il Direttore dell’Istituto. Sì, perché, un solo
un professore, qualche tecnico e magari un ricercatore bastavano per
giustificare l’esistenza dell’Istituto. Le regole erano poche, chiare e uguali
per tutti. Gli orari di entrata e uscita, con l’unica tolleranza per la
frequenza delle altre lezioni, il rispetto del superiore, con una scala
gerarchica che contemplava anche l’anzianità degli interni, il divieto assoluto
di delazione (attività che oggi invece pare andare per la maggiore, non solo in
ambito accademico) e poche altre norme pratiche. L’istituto visto con gli occhi
e la purezza dello studente interno era un ambiente idilliaco e armonico:
comandava uno solo, le questioni si sbrigavano internamente e quando c’era da
acquistare qualcosa bastavano un paio di telefonate. Tutto era gestito con la
logica del buon padre di famiglia e la scelta dei fornitori si basava non solo
sul prezzo migliore, ma soprattutto sulla loro affidabilità, ripetibilità e
serietà comprovate dalle esperienze passate. L’istituto era come una famiglia,
senza le intromissioni esterne e la falsa democrazia dei consessi attuali in
cui la Democrazia non è più intesa come tutela della minoranza, ma come mero
principio in base al quale le decisioni sono prese dalla maggioranza, con la
minoranza che si conforma a esse. Negli istituti vigeva la norma, molto
democratica e scientifica, del consenso e non quella della maggioranza. Se in
ambito scientifico esistesse il principio maggioritario, oggi non avremmo né
gli antibiotici, né i vaccini e non saremmo andati sulla luna.
Ancora oggi,
per fortuna, chi partecipa ai gruppi di lavoro della commissione europea o
comunque laddove si fa Scienza, sa che non si esce dalla stanza senza il
consenso di tutti, a costo di fare notte fonda. L’EFSA, per citare un ambito a
me familiare, è l’autorità europea per la sicurezza alimentare e il suo
approccio è quello del consenso, della trasparenza, della qualità,
dell’efficienza e della responsabilità (www.efsa.eu). Gli occhi dello studente degli
anni ‘80 vedevano l’Istituto come quel luogo di libertà, ma non di anarchia, di
autonomia e di libero scambio di idee tra pari, almeno sul piano della
conoscenza. Il dado però era già stato tratto e l’avvio della sperimentazione
organizzativa e didattica degli atenei, promossa dall’articolo 10 della legge
21 febbraio 1980 n. 28 e attuata con gli articoli 81 e seguenti del D.P.R. 11
luglio 1980 n. 382, stava portando alla nascita dei dipartimenti universitari e
con essi all’inserimento nel cosiddetto mondo del lavoro di quelli della mia
generazione. Il «condominio di laureati» fu così il primo shoccante contatto
con la nuova realtà da laureato. Il dipartimento aveva vinto e lo snellimento
dei processi decisionali ora passava, con cadenza mensile, per un consiglio di
dipartimento interfacoltà in cui i vecchi membri dell’Istituto, ridotti a uno
sparuto numero, cercavano disperatamente di trovare, tra le maglie dell’attuale
assetto organizzativo un pretesto per conseguire quel tanto auspicato
coordinamento fra i settori scientifico-disciplinari omogenei. In un
dipartimento universitario anche Jenner sarebbe stato messo in minoranza e il
vaiolo sarebbe ancora oggi una malattia incontrollabile.
(Fonte:
B. Cenci Goga, Roars 01 e 08-02-2015. L’autore dell’articolo ha fatto
esperienza presso l’«Istituto di malattie infettive, profilassi e polizia
veterinaria» dell’Università degli Studi di Perugia, istituto dove hanno lavorato illustri
virologi quali Vittorio Cilli e Giovanni Castrucci. Nota di PSM)
SOCIAL
MEDIA E ATENEI
Twitter, con compiti di area stampa e notizie, è
utilizzato dal 76% degli atenei. Su Twitter è presente l’88% delle università
medie (5.000-10.000 studenti), contro il 56% di quelle di piccole dimensioni e
il 77% delle università con più di diecimila studenti. Dal punto di vista
geografico, gli atenei del Nord sono i più rappresentati, con il 90% di
presenze. Sia su FB che su Twitter gli atenei del Sud sono sottorappresentati.
SUA RD.
“NON È UN ESERCIZIO DI VALUTAZIONE” MA UN “SOLIDO STRUMENTO” ... DI TRASTULLO BUROCRATICO
L’esercizio attualmente in atto (SUA RD 2011-2013) è
monco rispetto alla VQR 2011-2014, manca, infatti, un anno di raccolta di
informazioni. L’unico elemento di vantaggio (a detta di Anvur la raccolta delle
informazioni permetterà poi di avere già a disposizione tutti i dati per la
VQR) nello svolgimento di due esercizi paralleli che hanno la stessa finalità,
non può dunque attuarsi perché manca comunque un anno, il 2014, per il quale
però i dati verranno raccolti dopo la VQR 2011-2014. Questo richiederà la riapertura di tutti i quadri
per l’aggiornamento dei dati. Dopo aver impiegato circa 15 minuti per inserire
sul sito MIUR-CINECA un premio scientifico, con tutti i minuziosi e superflui
dettagli richiesti, ho deciso di rifiutarmi di compilare gli inutili campi
della SUA-RD. Ho solo aggiornato le pubblicazioni, spendendo alcune ore di
tempo, perché esse saranno forse utili per la VQR, le cui regole sono più o
meno dichiarate. La SUA-RD è un gioco senza regole prestabilite che, anzi,
cambiano continuamente. Dopo aver appreso che essa non è un “esercizio di
valutazione”, bensì un “solido strumento”, sono ancora più convinto della
scelta fatta. Nessuna legge, mi risulta, impone che noi professori e
ricercatori dobbiamo sottoporci a dei “solidi strumenti”. Ma perché non ci
rifiutiamo tutti insieme di sprecare il nostro tempo per questo ennesimo
trastullo burocratico inutile e fine a se stesso? Ci vorrebbe un movimento
nazionale di Liberazione dalla burocrazia fuori controllo: il Risorgimento
dell’Università e della Ricerca d’Italia.
(Fonte: N. Casagli, Roars 12-02-2015)
ATENEI. IT
AUTONOMIA E RESPONSABILITÀ
NEGLI ATENEI
L’ipertrofia normativa affligge i nostri atenei e ne
rallenta il processo di rinnovamento. Restituire slancio alla formazione
universitaria è solo questione di autonomia o sarebbero necessari cambiamenti
di sistema? L’autonomia era stata introdotta dalla Riforma Berlinguer. Ma le
università erano troppo immature per recepirla. Non controllavano le strutture
di bilancio e non sono mai diventate “imprese” di ricerca, soggetti in
competizione sul mercato della cultura. Abbiamo – tutti – reagito come
burocrati, utilizzando le prerogative dell’autonomia in modo inadeguato, con
conseguenze anche gravi in ambito finanziario. Il Ministero si è difeso
costruendo
un marchingegno di norme e controlli dettagliati, dannosi
alla ricerca e all’eccellenza. L’autonomia invece è necessaria, ma soltanto se
c’è responsabilità e cioè capacità di gestire in prima persona.
Anche perché oggi il pubblico non può più sostenere al
100% le università. Più che un cambiamento di sistema, serve un cambiamento di
cultura, e un sapersi assumere le proprie responsabilità. Il meccanismo di
responsabilità, la gestione interna, la governance devono permettere ai
migliori di emergere. Per il reclutamento un rettore ha la convenienza a
scegliere i migliori e deve essere libero di farlo senza condizionamenti. Ma lo
può fare se ha più potere e più responsabilità, senza dover mediare tra più
interessi. (Fonte: M. Viglione, universitas n.134 pg. 53, dicembre 2014)
UNIBO. L’ALMA MATER A UTRECHT PER IL DOTTORATO IN STUDI
DI GENERE
Il 23 gennaio si è
tenuto a Utrecht, nell’ambito del progetto europeo “EDGES: European Doctorate
in Gender Studies”, il secondo incontro internazionale tra istituzioni e rappresentanti di imprese pubbliche e
private, invitati a contribuire alla costruzione del dottorato internazionale
in Studi di Genere. L’università di Bologna è tra le istituzioni invitate a
partecipare a un confronto aperto con i rappresentanti delle autorità
pubbliche, imprese e organizzazioni non governative al fine di raccogliere il
punto di vista dei futuri lavoratori sulle competenze richieste agli studenti
che parteciperanno al dottorato, ma anche il punto di vista dei decision makers
direttamente coinvolti nell’applicazione delle politiche di genere nei propri
contesti locali, regionali e nazionali. (Fonte: www.magazine.unibo.it 27-01-2015)
UNIBO. 96 PUNTI ORGANICO PER ASSUMERE 250 DOCENTI E
RICERCATORI
L’università di
Bologna creerà circa 250 nuove posizioni per docenti e ricercatori nel corso
del 2015, grazie ai 96 punti organico, che si traducono in posti, ottenuti
complessivamente tra il 2013 e il 2014. Lo ha annunciato il rettore Ivano
Dionigi, spiegando che il numero di nuove assunzioni potrebbe cambiare in base
ai «vincoli ministeriali che stiamo attendendo». La programmazione del
personale è stata approvata dal senato accademico e dal consiglio di
amministrazione dell’Ateneo. Le assunzioni sono programmate per l’1 settembre,
i bandi invece saranno nei mesi tra aprile e giugno. Le nuove posizioni si
sommano alle 404 di docenti e 40 di ricercatori dello scorso anno. «Abbiamo
fatto in venti giorni quello che di solito si fa in sei mesi - ha detto Dionigi
- Adesso attendiamo le decisioni del ministero». Le nuove posizioni devono
essere nel 20% dei casi aperte per persone che vengono da fuori Bologna «per
evitare l’indigenismo», ha spiegato Dionigi, e ogni due professori ordinari è
necessario far entrare un ricercatore: «Decisione che è salutare, aiuta a
cambiare il sangue all’ateneo», ha concluso il rettore. (Fonte:
corrieredibologna.corriere.it 27-01-201%)
UNIBA. SOVRANNUMERO A MEDICINA
"Quest'anno accademico
abbiamo subìto l'invasione di oltre 800 studenti, rispetto ai 240 posti
programmati". E l'anno prossimo? "Ne abbiamo a disposizione 300.
Avete scritto, giustamente, che il primo anno del corso di laurea in Medicina è
allo sbando. È vero che ci mancano i docenti, che abbiamo cercato di rimediare
con la teledidattica, che ci sono problemi tecnici. Però dobbiamo anche dire
che ci hanno lasciato soli». Chi vi ha lasciato soli, professore? «Il ministero
per l'Università, innanzitutto, che non ha voluto far controricorso alle
ordinanze del Tar. Poi la stessa Università, che ci ha autorizzati a sforare il
budget per far fronte al sovrannumero, ma non ha fatto nient'altro. E infine,
cosa non da poco, la Regione, che non ha idea nemmeno di quanti docenti abbiamo
a disposizione». E dovrebbe saperlo, la Regione? «Dovrebbe sapere, credo,
quanti medici o quanti infermieri servono al territorio. Ma dal 2012 non
convoca, è assente ai tavoli di programmazione. Evidentemente, il futuro della
sanità pugliese non è una priorità». (Fonte: Intervista al presidente della
Scuola barese di Medicina, Gazzetta del Mezzogiorno 21-01-2015)
LUISS.
DOVE I LAUREATI GUADAGNANO DI PIÙ
La palma di ateneo con i dottori più “ricchi” spetta alla
LUISS, che si aggiudica il primo posto della classifica delle università per
stipendio dei laureati 2014, e l’area geografica in cui si registrano i
guadagni più lauti è il Nord. Al Sud, invece, le buste paga sono più magre che
nel resto d’Italia e il divario con le regioni settentrionali può raggiungere i
-7mila euro annui. Secondo i dati della classifica delle università per
stipendio dei laureati 2014, chi ha conseguito il titolo in un ateneo privato
guadagna mediamente quasi il 20 per cento in più di chi ha frequentato un
politecnico o un’università statale. In particolare, i laureati della Bocconi
staccano nettamente gli altri già nella fascia d’età tra i 25 e i 34 anni:
mentre il reddito medio annuo lordo degli altri si aggira intorno ai 30-35mila
euro, quello degli ex-bocconiani arriva a sfondare quota 44mila. Nella fascia
tra i 45 e i 54 anni, però, hanno la meglio i laureati della LUISS, che in
media hanno un reddito annuo lordo pari a 115.158 euro. (Fonte:
universita.it 08-10-20154)
POLIMI. SARÀ LA CORTE COSTITUZIONALE A DECIDERE SE LE
LAUREE SPECIALISTICHE DOVRANNO ESSERE TUTTE IN INGLESE
Il Consiglio di
Stato, infatti, si è pronunciato sul ricorso presentato dall’università (con un
centinaio di professori) e dal Miur contro la sentenza del Tar che, nel 2013,
aveva dato ragione ad alcuni docenti dell’ateneo contrari all’estensione
dell’inglese come lingua d’insegnamento in tutte le lauree specialistiche.
Nell’ordinanza i giudici hanno sollevato un dubbio di costituzionalità
relativamente a una legge cui avevano fatto riferimento gli avvocati
dell’università: il nodo è in un comma dell’articolo 2 della legge 240 del 2010
(cioè la riforma Gelmini) in cui si chiede agli atenei di modificare i propri
statuti rafforzando l’internazionalizzazione anche attraverso «corsi di studio
e forme di selezione svolti in lingua straniera». Il Consiglio di Stato,
riconoscendo al Politecnico di aver agito all’interno della legge, ha posto un
dubbio di costituzionalità, rinviando l’ultima decisione alla Consulta. (Fonte:
www.milanotoday.it 24-01-2015)
UNINETTUNO PREMIATA CON L’ INTERNATIONAL
E-LEARNING AWARD 2014 (ACADEMIC DIVISION)
L'Università
Telematica Internazionale UNINETTUNO ha ricevuto a Dubai il premio
International E-Learning Award 2014 (Academic Division) come Runner-up per il miglior
portale di e-learning a livello globale. L'International E-Learning Award 2014,
è stato assegnato da IELA – International E-Learning Association, con sede a
New York e membri provenienti da tutti i
continenti e settori (industria, impresa, governi, università). Lo scopo di
IELA è quello di promuovere ricerca, conoscenza e sviluppo nell’ambito
dell’e-learning nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro. La
conquista dell’International e-leanring Award 2014 – ha dichiarato il rettore
Garito - conferma la vocazione internazionale della nostra Università che conta
una popolazione studentesca di oltre 15.000 studenti provenienti da 128 paesi
del mondo. (Fonte
13-01-2015)
FONDAZIONE
CRUI. UNO STUDIO SULLE UNIVERSITÀ NON STATALI
L’attuale offerta formativa delle università non statali
(anno accademico 2013-14) si compone di 224 corsi fra lauree triennali,
magistrali e a ciclo unico. La copertura disciplinare spazia sull’intero arco
del sapere accademico, sia pure in presenza di un certo sbilanciamento, se
paragonata all’offerta del comparto statale, a favore del settore
socio-umanistico e a scapito di quello
tecnico-scientifico e sanitario (ambito, quest’ultimo,
dove comunque figurano importanti strutture come il Policlinico Gemelli,
l’Ospedale San Raffaele e il Campus Bio-Medico). Le tendenze verificatesi nel
corso dell’ultimo quadriennio (a.a. 2008-09 – a.a. 2012-13) evidenziano come a
fronte di un progressivo assottigliamento del numero di giovani che si
immatricolano nelle università statali (-14%), si registra una sostanziale
tenuta del settore non statale che attualmente recluta nelle proprie aule poco
meno del 10% di tutti coloro che si iscrivono per la prima volta
all’università. Tassi di abbandono e tempi di conseguimento del titolo di
studio delineano, infatti, un quadro in cui gli studenti delle libere
università primeggiano nello scenario nazionale: a titolo di esempio, si
consideri che nel 2011 i laureati fuori corso nelle università non statali
ammontavano a poco più di un terzo mentre in ambito statale il medesimo valore
si attestava leggermente al di sotto del 60%. (Fonte: M. Carfagna,
universitas 134, p. 47, dicembre 2014)
UE. ESTERO
EU.
TAGLI DI 2,7 MLD IN 5 ANNI E MEZZO AI FINANZIAMENTI PER HORIZON 2020
Nelle ultime settimane il Presidente della Commissione
Europea Claude Juncker ha confermato l’intenzione di decurtare di 2,7 miliardi
di euro in 5 anni e mezzo i finanziamenti ad Horizon 2020, il più importante e
cospicuo programma-quadro di finanziamenti europei, per impiegarli come stimoli
alla crescita economica. Nel giustificare la sua scelta, la CE spiega che
auspicabilmente i fondi così investiti potrebbero produrre dei ritorni utili da
reinvestire in ricerca – ma al contempo ammette francamente che sia più facile
metter mano agli stanziamenti in ricerca che ai ben più blindati finanziamenti
sull’agricoltura.
I tagli riguarderanno le seguenti istituzioni (Fonte:
Science):
- 350 milioni – European Institute of Technology (Budapest)
- 306.8 milioni al settore ICT (Information and Communications
Technology)
- 221.2 milioni all’ERC (European Research Council)
- 180.9 milioni ai progetti di sicurezza alimentare
- 169.1 milioni a nanotecnologie, materiali avanzati,
tecnologie laser, biotecnologie e manifattura e processi avanzati
- 150 milioni ai programmi energetici (32.040301)
- 117.9 milioni alle ricerche sul futuro e alle tecnologie
emergenti
- 109.1 milioni ai programmi energetici (08.020303)
- 102.4 milioni ai progetti sui trasporti efficienti ed
eco-friendly
- 100 milioni al programma Marie Curie: generare,
sviluppare e trasferire nuove abilità
EU. YOUNG EUROPEAN RESEARCH UNIVERSITIES NETWORK
È nata ufficialmente
a Bruxelles la rete delle giovani università di ricerca europee YERUN (Young
European Research Universities Network). Si tratta di un gruppo composto da
giovani atenei europei (con meno di 50 anni di attività) che si siano distinti
per i risultati conseguiti in alcune delle più prestigiose classifiche delle
università a livello internazionale (Times Higher Education, QS World University
e Shanghai Ranking) e operino su basi comuni per la reciproca convenienza. I
membri del network condividono una serie di principi cardine, tra cui
l’orientamento verso una ricerca che faccia davvero la differenza nella
società, un forte impegno per l’internazionalizzazione e un’elevata attenzione
alla qualità della didattica e all’inserimento dei laureati nel mondo del
lavoro. (Fonte: www.diregiovani.it/news 21-01-2015)
TALLOIRES
NETWORK, LA RETE CHE RADUNA 315 UNIVERSITÀ IN 72 PAESI PER COLMARE LA DISTANZA
TRA MONDO ACCADEMICO E ASPETTATIVE DEI DATORI DI LAVORO
Il rapporto fra l'aumento del numero dei laureati e il
conseguimento di un lavoro, in tempi nei quali in tutto il mondo le università
sono sotto accusa per il fallimento nel preparare gli studenti al mondo
produttivo di oggi, è stato al centro del recente incontro dei leader del
Talloires Network in Sudafrica. Questa rete raduna 315 università in 72 Paesi
del mondo con un bacino di 6 milioni di studenti per colmare la distanza che
separa il mondo accademico dalle aspettative dei datori di lavoro attraverso
programmi di formazione professionale per laureandi e laureati come lo Youth
Economic Participation Initiative (YEPI), già attivo in diversi Paesi. La
didattica nelle università, infatti, viene spesso vista come parte del
problema, mentre ci sono ormai parecchi esempi - anche geograficamente
diversificati e replicabili - di programmi efficaci realizzati dalle comunità
universitarie per migliorare l'incontro tra laureati e imprese, come spiega Amy
Newcomb Rowe, tra i coordinatori dello YEPI in un articolo apparso su
University World News. Ai leader delle università viene richiesta un'opera di
"ingegneria sociale" perché sempre più spesso in molti Paesi con
economie in crescita, ad esempio in Africa, il sogno dei laureati non è più
quello di lavorare per il settore pubblico ma per tutte quelle multinazionali
che si stanno espandendo nelle economie emergenti. Ecco perché in varie
università stanno nascendo degli incubatori di impresa dove gli studenti
vengono formati a lavorare in squadra su progetti non solo teorici. Uno dei
modelli maggiormente apprezzati è quello di Technopark, l'incubatore d'impresa
dell'International Institute for Water and Environmental Engineering, che
attrae in Burkina-Faso studenti da 24 università africane per le sue
specializzazioni in Ingegneria. (Fonte: M. Borraccino, rivistauniversitas
26-01-2015)
RAPPORTO
EUA. DEFINE THEMATIC REPORT: FUNDING FOR EXCELLENCE
Prende in esame i meccanismi di finanziamento pubblico
attivati in alcuni Paesi europei per rafforzare l'eccellenza nel settore
universitario il recente Rapporto
EUA. Define thematic report: funding for excellence - realizzato dall'EUA
(European University Association) in collaborazione con la Friedrich-Alexander
Universität Erlangen-Nürnberg (Germania) e con le Conferenze dei Rettori dei
Paesi che hanno partecipato all'iniziativa -. Prima delle tre indagini
tematiche previste dal Progetto Define - che analizza l'efficienza dei
finanziamenti pubblici all'istruzione superiore - il Rapporto utilizza i dati
raccolti in 29 Paesi europei nel periodo 2000-2014, evidenziando caratteristiche
e obiettivi di alcune esperienze già realizzate. Ne emerge un panorama molto
variegato per quanto riguarda i meccanismi messi in atto dalle istituzioni
europee di istruzione superiore per utilizzare al meglio le risorse. In alcuni
casi (come il REF, Research Excellence Framework, nel Regno Unito) il
finanziamento per l'eccellenza, pur contemplando un certo criterio di
selettività, è parte integrante di quello generale; altrove (ad esempio in
Ungheria) i fondi sono attribuiti solo alle università che soddisfano
determinati criteri (pubblicazioni scientifiche, staff accademico, etc.),
ovvero possono essere utilizzati da singoli ricercatori o gruppi di ricerca
sulla base di progetti di eccellenza predefiniti. Altre volte i fondi sono
concentrati sulla creazione di nuove istituzioni (Institute of Science and
Technology in Austria) o sull'accorpamento di quelle preesistenti (come la
fusione, in Germania, tra l'Università e il Centro di Ricerca di Karlsruhe
nell'ambito dell'Exzellenzinitiative). (Fonte: M.L. Marino,
rivistauniversitas 09-02-2015)
FRANCIA.
AUMENTATI NEL 2014 ISCRITTI E IMMATRICOLATI ALL’UNIVERSITÀ, GRAZIE A 77MILA
BORSE DI STUDIO IN PIÙ
L'anno accademico 2014/2015 conferma l'ulteriore crescita
della popolazione universitaria: 2.466.500 gli iscritti (+1,5% rispetto
all'anno precedente), di cui 480.500 gli immatricolati (+ 2,2% rispetto al
2013/14). Il segno positivo interessa tutte le tipologie di studio, anche se
risulta percentualmente più sensibile nelle tipologie di insegnamento relative
agli ambiti professionalizzanti e tecnologici: +2% nei 113 IUT (Instituts
Universitaires de Technologie) e +6,2% nelle STS (Sections de techniciens).
Nell'ottica di ampliare l'accessibilità universitaria, di guadagnare
l'attrattività del sistema anche nei confronti degli studenti internazionali e
con l'ambizione di scolarizzare al più alto livello almeno il 50% della
corrispondente classe di età, si è deciso l'aumento dell'offerta formativa e
degli incentivi legati all'orientamento e al diritto allo studio. Sono state
finanziate nel 2014 ulteriori 77.000 borse di studio in aggiunta alle 56.000
del 2013 ed è stata fissata al 10% la quota di immatricolazioni senza selezione
a favore degli aspiranti, che hanno conseguito il baccalaureato con la miglior
votazione. (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas 28-01-2015)
UK.
QUATTRO SISTEMI DI TASSAZIONE UNIVERSITARIA
Il recente voto referendario scozzese, contrario
all’indipendenza, ha lasciato coesistere nel Regno Unito quattro sistemi di
insegnamento distinti e con differenti importi di tassazione universitaria:
• in Inghilterra, un importo massimo pari a £ 9.000 per
ogni studente di primo ciclo proveniente da qualsiasi parte del Regno Unito; •
in Scozia, nessuna tassazione per i residenti, ma fino a £ 9.000 per gli
studenti provenienti dalle altre parti del Regno; • in Galles, tassazione di £
9.000; i residenti
pagano però soltanto £ 3.685 anche se vanno a studiare in
altre aree del Paese e la differenza è pagata da una sovvenzione pubblica; • in
Irlanda del Nord, i residenti pagano soltanto £ 3.575; chi proviene dal resto
del Paese paga £ 9.000. Il Rapporto Too Good to Fail, The financial
sustainability of Higher Education in England, predisposto dall’Higher
Education Commission, sottolinea come il trasferimento dell’onere finanziario
sulla contribuzione studentesca abbia esacerbato l’indebitamento dei giovani,
ampliando la diseguaglianza intergenerazionale.
Tra l’altro, questa manovra genera il concreto timore che
siano più di prima gli studenti incapaci di restituire completamente il debito
nel termine di 30 anni – oltre il quale lo Stato ne assicura la cancellazione –
che si tradurrà a quel punto in un maggior onere per i contribuenti. (Fonte:
M.L. Marino, universitas 134, p. 59, dicembre 2014)
UK. CAMBRIDGE
E IL SORPASSO SU OXFORD
Il settimanale The Economist nell'ultimo numero spiega
per quale motivo «le fortune delle due antiche città universitarie» stiano
prendendo strade diverse. La sentenza è chiara e l'accompagna l'ammissione di
Bob Price, il laburista che guida il consiglio municipale di Oxford: «Cambridge
è almeno 20 anni avanti rispetto a noi». La ricetta che funziona (per
Cambridge) si compone di sviluppo urbanistico programmato, di investimenti, di
coordinamento accademico, amministrativo e politico, di burocrazia messa alle
corde, di porte aperte alla comunità scientifica che si allarga perché trova
ospitalità e dimora fissa: nel 2014 a Cambridge sono state costruite 14 mila
nuove unità abitative (e 19 mila lo saranno), a Oxford solo 60 (ne servono 32 mila
entro il 2031).
Più case, nel rispetto dei piani, e prezzi più bassi per
Cambridge (125 mila abitanti). Meno case, prezzi più alti e pendolarismo che
cresce (46 mila al giorno) per Oxford (150 mila residenti). A Cambridge la
crescita economica e sociale non trova resistenze e ha nell'università il suo
motore che la guida. A Oxford la frammentazione decisionale (le contee contro
la città) e il minore coinvolgimento dell'università stanno rendendo l'offerta
meno attraente. Sia Cambridge sia Oxford hanno amministrazioni di
centrosinistra ma sono due modelli di governo laburista in competizione.
Non c'entrano le medaglie che le due università possono
orgogliosamente esibire: da Oxford sono usciti 26 primi ministri britannici
(tre degli ultimi cinque: Thatcher, Blair, Cameron), leader internazionali
(Indira Gandhi, San Suu Kyi e Bill Clinton), filosofi (Locke e Hobbes),
imprenditori (Rupert Murdoch), attori e registi (Hugh Grant e Ken Loach),
scrittori (Graham Greene e John Le Carrè) e 47 premi Nobel; Cambridge ha invece
laureato Newton, Francesco Bacone, Bertrand Russell e ben 90 Nobel. La rivalità
tuttavia va oltre gli steccati tradizionali e secolari dello sport e
dell'accademia. E non la certifica solo l'Economist. La società di ricerca e di
analisi socio-economiche «SQW» ha messo nero su bianco il sorpasso di Cambridge
su Oxford nell'occupazione «hitech» (30 mila a 20 mila), il sorpasso nei
trasporti e nei collegamenti con Londra e ha promosso «l'ecosistema» di
Cambridge che favorisce lo sviluppo di nuovi parchi scientifici. (Fonte:
CorSera 19-01-2015)
USA. OBAMA VUOLE GARANTIRE A TUTTI GLI AMERICANI
VOLONTEROSI ALMENO DUE ANNI DI STUDI UNIVERSITARI COMPLETAMENTE GRATUITI NEI
COMMUNITY COLLEGE
Negli Stati Uniti non
esiste l’università pubblica come la si intende in gran parte d’Europa. Esiste
una serie di sussidi, sia pubblici sia privati, che garantiscono borse di
studio e prestiti agevolati ai giovani più meritevoli o più bisognosi. Ed
esistono atenei finanziati anche con fondi statali, le cui tasse d’iscrizione
sono più basse di quelle di istituzioni private come Harvard o Yale. Anche in
questo caso, gli studenti devono comunque sborsare diverse migliaia di dollari
l’anno, da un minimo di 4.222 dollari per il Bismarck State College in North
Dakota a un massimo di quasi 18.000 dollari per l'University of Pittsburgh in
Pennsylvania. Ora, però, il Presidente Barack Obama vuole mettere mano alla
situazione e garantire a tutti gli americani volonterosi almeno due anni di
studi universitari completamente gratuiti. La proposta, presentata da Obama
l’otto gennaio durante un viaggio in Tennessee, il cui governo ha lanciato
un’iniziativa simile quest’anno, si appoggia sulla rete esistente di “community
college”. Questi sono piccoli istituti pubblici, ma a pagamento, diffusi su
tutto il territorio nazionale e che offrono diplomi di laurea di soli due anni
noti come “associate degree”. Oggi i community college funzionano sia
indipendentemente, per quegli iscritti, spesso già adulti e lavoratori, che
vogliono migliorare le proprie credenziali professionali in ambiti per lo più
tecnici, ad esempio l’infermieristica o la grafica, sia da trampolino di lancio
verso atenei più prestigiosi e costosi, dove gli studenti migliori possono
trasferirsi per completare gli ultimi due dei quattro anni di corso necessari a
ottenere una laurea vera e propria. Negli Stati Uniti, dove frequentare
l’università è spesso fuori dalla portata economica di tanta gente, non solo
tra i più poveri ma anche tra gli appartenenti alla classe media, i community
college sono un’istituzione beneamata. Ebbene, ora il presidente Obama vuole
rendere i community college gratuiti per tutti gli studenti, a patto che questi
siano iscritti almeno a metà tempo; mantengano una media di voti di 2,5 (su un
massimo di 4 come da consuetudine americana); e completino i propri corsi di
studio nei tempi previsti. Se l’iniziativa dovesse essere adottata da tutti gli
Stati dell’Unione, e approvata dal Congresso, la Casa Bianca stima che potrebbe
toccare le vite di circa 9 milioni di americani, consentendo loro di
risparmiare in media 3.800 dollari l’anno di tasse d’iscrizione. Il governo
federale si addosserebbe tre-quarti dei costi di questo programma, mentre gli Stati
dovrebbero fare fronte al resto. (Fonte: V. Pasquali, IlBo 15-01-2015)
USA.
UN’ANALISI SUI TASSI DI ABBANDONO DEGLI STUDENTI
Per ridurre il tasso di abbandono le Università
americane, in gran parte private, cercano di imparare dai dati accumulati in
anni di gestione di generazioni di studenti, sfruttando le metodologie dei big
data. In sostanza, si passano al setaccio le carriere accademiche degli
studenti che si sono laureati bene e di quelli che invece hanno gettato la
spugna per trovare degli indicatori che facciano capire quando uno studente è
in difficoltà ancora prima che le difficoltà si presentino. Alla Georgia State
University, hanno analizzato i risultati di due milioni e mezzo di esami e
hanno osservato alcuni effetti, in parte piuttosto ovvi, in parte sorprendenti.
Mentre nessuno sarà sorpreso di sapere che studenti coscienziosi, che hanno
visitato l'Università prima di iscriversi e che decidono di seguire più corsi
di quelli strettamente necessari, hanno risultati migliori di quelli che si
sono iscritti all'ultimo momento e fanno solo il minimo indispensabile,
sorprende il risultato circa il potere predittivo del voto del primo esame
sostenuto. Analizzando i dati relativi al corso di scienze politiche, si evince
che il voto del primo esame è un indicatore molto potente per prevedere il
futuro di uno studente. Se i big data non mentono, il 75% di coloro che hanno
preso un voto scadente nel primo esame non hanno finito il corso degli studi.
Da qui la decisione di intervenire prontamente per affiancare da subito un
tutor agli studenti che iniziano con voti non brillanti per cercare di capire
quale sia il problema e come risolverlo. (Fonte: P. Caraveo, IlSole24Ore
Domenica 01-02—2015)
USA.
215 MILIONI DI DOLLARI PER LA RICERCA NELL’ONCOLOGIA DI PRECISIONE
Nel suo ultimo discorso sullo stato dell'Unione, il presidente
americano Obama ha annunciato: «Voglio che il nostro Paese, che ha eliminato la
poliomielite e ha mappato il genoma umano, diventi il pioniere di una nuova era
nel campo della salute. La Precision Medicine Initiative avrà lo scopo di
trovare le migliori cure possibili per malattie importanti come il cancro e il
diabete».
Per dare inizio al programma, Obama ha previsto un
finanziamento di 215 milioni di dollari. Tanti. E ha annunciato, fra i suoi
obiettivi, la raccolta dei dati genetici di un milione di americani (volontari)
per permettere agli scienziati di sviluppare farmaci e trattamenti su misura in
base alle caratteristiche specifiche dei pazienti. L'obiettivo prioritario è
quello dei tumori: l'oncologia di precisione appare a portata di mano perché
ormai si conoscono le carte di identità genetiche di molte neoplasie,
soprattutto di quelle più frequenti, come quella del seno. Ma occorrerà
analizzarne altre, meno conosciute. (Fonte: A. Barzi, CorSera 08-02-2015)
CINA. IL MERCATO DELLA PRODUZIONE E
DELLA PROMOZIONE DI TITOLI SCIENTIFICI PRIVI DI VALORE
Lo scorso anno
l’Economist ha puntato l’attenzione sulla produzione scientifica della Cina e i
suoi giornalisti sono giunti alla conclusione che “as China tries to take its
seat at the top table of global academia, the criminal underworld has seized on
a feature in its research system”, visto il sempre più frequente ricorso alla
falsificazione dei dati volto a far apparire come successi ricerche
fallimentari o di esito contraddittorio, o alla pubblicazione in fake journals
per rimpinguare il proprio curriculum, nella convinzione, a quanto pare
condivisa da molti studiosi cinesi, che “administrators are unqualified to
evaluate research, Chinese scientists say, either because they are bureaucrats
or because they were promoted using the same criteria themselves”, o
addirittura sono pronti a promuovere tali comportamenti eticamente discutibili
per poi far passare come loro meriti risultati a prima vista lusinghieri. In
breve, dalle proiezioni dell’Economist risulta che quello sia ormai divenuto in
Cina un autentico mercato, capace di quintuplicare il fatturato in appena un
paio d’anni e di proporsi come opzione interessante anche al di fuori dei
confini nazionali. Infatti, concludono gli autori dell’inchiesta, nei sistemi
che hanno importato solo negli ultimi anni i più articolati tentativi di
offrire rigorose valutazioni comparative dell’attività di ricerca “research
grants and promotions are awarded on the basis of the number of articles
published, not on the quality of the original research”, con effetti dirompenti
proprio sulla scrittura scientifica e sul modo di interpretare il proprio
lavoro quotidiano da parte degli studiosi. (Fonte: A. Mariuzzo, Roars
18-01-2015)
TAIWAN. SCANDALO PER IL BYPASS DI PROCEDURE
DI PEER-REVIEW
Lo scorso
luglio SAGE Publications, una delle più quotate case editrici scientifiche a
livello mondiale, ha dovuto ritrattare sessanta articoli pubblicati tra il 2010
e il 2013 su una delle sue riviste, il Journal of Vibration and Control, a
causa di fondati indizi relativi all’utilizzo di profili fittizi per bypassare
procedure di peer-review facendo in modo che l’autore potesse valutare se
stesso, e all’accordo tra autori “amici” per citarsi sistematicamente l’un
l’altro e giudicarsi in modo favorevole. Le dimensioni dello scandalo e l’alto
livello dei ricercatori coinvolti, per lo più orbitanti attorno ai maggiori
istituti universitari di Taiwan, sistema accademico in crescita e considerato
di grande rilievo nella regione pacifica, hanno prodotto una vasta eco, fino a
costringere alle dimissioni il ministro dell’Educazione del paese asiatico,
studioso che aveva avuto contatti con membri in vista del “cerchio magico” di
imbroglioni seriali. In effetti, per quanto nei suoi comunicati ufficiali SAGE
abbia cercato di limitare i danni scaricando ogni responsabilità su “individual
authors [who] have compromised the academic record by perverting the peer
review process”, un affare così grosso, caratterizzato soprattutto dalla
concentrazione delle pubblicazioni incriminate in una specifica area di
ricerca, getta ombre piuttosto sinistre su un campo di studi in cui, ai massimi
livelli internazionali, in alcuni centri di ricerca valutati come world leading
l’imbroglio si sta imponendo come elemento costitutivo del costume accademico,
e in cui il ruolo di alcuni gruppi di lavoro collettivi sia sempre più
chiaramente quello dell’autopromozione fraudolenta dei propri membri invece
dello sviluppo cooperativo della conoscenza. (Fonte: A. Mariuzzo, Roars
18-01-2015)
LIBRI.
DOSSIER
AL
LIMITE DELLA DOCENZA. “PICCOLA
ANTROPOLOGIA DEL PROFESSORE UNIVERSITARIO”
Autore: Stefano Pivato, Donzelli Editore 2015. La grande
stampa apre sempre grande spazio alla recensione ogni qualvolta si pubblicano
libri o libelli che si focalizzano sui “vizi” dei professori universitari. Non
fa eccezione l’articolo di recensione di M. Di Fazio su “L’Espresso” dal titolo
“Ma quant'è bella la vita dei docenti universitari” dove si sottolinea che
l’autore “traccia un ritratto-pamphlet tagliente e autocritico della tribù
degli ordinari, associati e ricercatori, immutabile e soprattutto insondabile”.
Il difetto di base di esercizi letterari come questo è (sempre stato) che
inculcano nel lettore il convincimento che il tipo antropologico di professore
descritto sia quello tipico universalmente presente nelle università italiane.
Stupisce davvero questa volta che il quadro sia dipinto non dal ricorrente
giornalista di alta gamma castigatore di cattivi costumi italici ma da un
autore che è professore universitario e “certi aspetti, atteggiamenti, tic
identitari e collettivi, li conosce bene, dall’interno: insegna lui stesso, da
quarant’anni e ha ricoperto anche il ruolo di rettore”. Lascio a chi lo
desidera la lettura integrale dell’articolo (qui) e mi
limito a osservare che, a parte certe surreali banalità (“Litigo, dunque sono”.
“Litigare è una forma assoluta per certificare la propria presenza; e magari,
giustificare la propria assenza”) e arbitrarie generalizzazioni (“Proliferano,
come cellule impazzite che si penserebbero radicate in ben altri strati della
società, le lettere anonime”), il lettore che conosce i nostri atenei, e ancor
meglio il professore universitario di lungo corso, non può non identificare nel
normotipo accademico delineato dall’autore un esemplare in realtà
fortunatamente del tutto minoritario esistente in qualche altrettanto
minoritario Dipartimento o in qualche obsoleto Istituto del secolo scorso.
(PSM)
MANIFESTO
PER LA RINASCITA DI UNA NAZIONE. SCIENZA, LA FRONTIERA INFINITA
Autore Vannevar Bush. Traduzione di Benedetta Antonielli
d'Oulx. Collana «Incipit», 2013, pg. 150.
Nel novembre 1944, nel pieno della guerra, il Presidente
degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt pose al proprio consigliere
scientifico, Vannevar Bush, una domanda cruciale: in che modo potremo, a guerra
conclusa, sfruttare al meglio lo sforzo che stiamo sostenendo nella ricerca
scientifica a scopo bellico e tradurlo in benessere per la nazione? Questo
libro è la risposta scritta da Bush e rappresenta di fatto un programma
politico e culturale per la ripresa economica, civile e sociale di una nazione
uscita da quindici anni di disastrosa crisi economica e cinque di guerra
massacrante. In 70 pagine, chiare e secche, Vannevar Bush sottolinea i vantaggi
economici e le ricadute positive della ricerca scientifica, chiedendo di
finanziare la ricerca fondamentale, di selezionare le future generazioni di
scienziati unicamente sulla base del merito e di diversificare la ricerca il
più possibile. Una lezione ancora straordinariamente attuale, anche per un
paese complicato e problematico come il nostro.
(Fonte:
scheda libro)
Il rapporto ha avuto un’influenza enorme sulle policy
americane relative all’innovazione e al progresso della conoscenza. Ancora oggi
il documento rappresenta un imprescindibile punto di riferimento per le teorie
che fanno da sfondo alla governance statale del rapporto tra ricerca di base e
applicata. Spiccano nelle pagine di Bush, l’enfasi sulla necessità che lo Stato
investa copiosamente nel finanziamento della ricerca di base attraverso il
potenziamento dei college, delle università e dei centri di ricerca, nonché
sull’importanza di rendere prontamente pubblici e disponibili al mondo i
risultati dell’indagine scientifica. Senza ricerca di base pubblicamente
disponibile a tutti non è possibile il progresso della conoscenza. Solo
formando generazioni di nuovi scienziati, investendo nella formazione si può
avere progresso e innovazione. Allo stato tocca alimentare costantemente la
ricerca di base, alle industrie sviluppare la ricerca applicata attingendo al
sapere pubblico e reclutando i giovani formati nei college e nelle università.
Senza investimenti nella scienza, unitariamente intesa, una nazione non ha
futuro. (Fonte: recensione di Roars 06-02-2015)
X CONFERENZA DEI RICERCATORI ITALIANI NEL MONDO
Ecco il link (clicca qui) per
scaricare il libro della X Conferenza dei Ricercatori
Italiani nel Mondo, che
si è svolta lo scorso 6 dicembre presso l’Auditorium del Consolato Generale
d’Italia a Houston, Texas.
Organizzata dal Comitato degli Italiani all’Estero della circoscrizione
consolare di Houston, che comprende gli Stati dell`Arkansas, Louisiana,
Oklahoma e Texas, in collaborazione con il Comitato Tricolore per gli Italiani
nel Mondo (CTIM) e con il patrocinio del Consolato Generale d’Italia a Houston
e l’Alto
Patronato della Presidenza della Repubblica.