IN EVIDENZA
L’UNIVERSITÀ DIMENTICATA
Il disinteresse del MIUR
verso una regolare routine delle scadenze di vita dell’università italiana
verte su tre punti. Il primo è la
valutazione del sistema della ricerca. Da mesi si vocifera nei corridoi che sta
per partire la famosa valutazione ANVUR (vedi la nota successiva che ne
anticipa le caratteristiche), i responsabili di questa agenzia ci informano
negli incontri che dal loro punto di vista da tempo è tutto pronto, ma la
valutazione non parte. Il secondo punto dolente è il ritardo, questa volta
senza che neppure si immagini quando il problema verrà risolto, nel prosieguo
delle abilitazioni nazionali per le due fasce di insegnamento. Il terzo punto
riguarda il problema da un lato dell’affollamento negli atenei di “abilitati”
già in servizio a un livello inferiore per i quali non ci sono speranze di
upgrading, dall’altro quello dei numerosi abilitati che non sono in servizio in
un ateneo e per i quali la speranza di essere assorbiti è ridotta al lumicino.
Il testo integrale dell'articolo di P. Pombeni su mentepolitica.it (04-06-15)
si può leggere qui.
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. CARATTERISTICHE DELLA
NUOVA VQR 2011-2014
L'ANVUR ha segnalato
che sta lavorando sul secondo esercizio della VQR, per il periodo 2011-2014.
Vediamo quali caratteristiche avrà la nuova VQR secondo quanto ha annunciato da
un suo alto rappresentante. I punti salienti della proposta, messi al confronto
con la prima VQR (senza l'intento di avallarne la struttura) sono i seguenti:
1. Riduzione dei
prodotti. Saranno valutati 2 prodotti, oppure uno solo in caso di monografia.
2. Aumento del numero
dei gradi di giudizi positivi da 3 a 4.
3. Allargamento delle
fasce a punteggio inferiore. Le nuove soglie di suddivisione sono: top 10%, 10%
- 30%, 30% - 50%, 50% - 80%.
4. Eliminazione delle
punizioni.
5. Modifica dei
criteri. Sono stati riscritti i criteri cui si debbono attenere i valutatori.
Sono spariti Rilevanza e Internazionalizzazione e rimangono: Originalità,
Rigore Metodologico e l’Impatto.
6. Valutazione dei
revisori. Mentre prima i giudizi erano semplicemente assegnati, e i valutatori
non venivano sottoposti a nessuna revisione, ora i revisori dovranno fornire un
commento a spiegazione del giudizio assegnato, e inoltre saranno valutati, in
qualche modo non meglio specificato. (Fonte: www.sbilanciamoci.info 03-06-15)
IN ITALIA IL LIVELLO MEDIANO DI IMPATTO DELLE
PUBBLICAZIONI UNIVERSITARIE SULLA RICERCA INTERNAZIONALE È SOSTANZIALMENTE PARI
A QUELLO U.S.A.
In base al parametro
di impatto dei prodotti della ricerca, indipendente dalla dimensione della
singola istituzione, il Normalized Impact
(come definito dal Karolinska Institutet svedese ed elaborato da Scimago),
in Italia il livello mediano di impatto delle pubblicazioni universitarie sulla
ricerca internazionale è sostanzialmente pari a quello U.S.A. (leggermente
superiore per l’Excellence Rate, leggermente inferiore per il Normalized
Impact). Ciò significa (in prima approssimazione) che i nostri ricercatori
sono, mediamente, almeno altrettanto validi e produttivi di quelli statunitensi
(e ciò nonostante le enormi differenze nei rispettivi livelli di finanziamento).
Sono però distribuiti in modo molto più omogeneo (o casuale, il che –
statisticamente – ha quasi lo stesso significato). L’eccellenza U.S.A. è
concentrata su poche università. In entrambi i ranking esaminati, il migliore
ateneo italiano, se “trasferito” in U.S.A., si collocherebbe al 12° posto,
insieme o al di sopra di prestigiosissime istituzioni come Columbia, Yale o
U.C.L.A., per fare qualche esempio. Reciprocamente, meno del 3% delle
università statunitensi si collocherebbe in testa alla classifica italiana. La
distanza tra le migliori e le peggiori università è in U.S.A. più che doppia
rispetto alla situazione italiana. Alle (importantissime, ma poco numerose)
eccellenze fanno da “contrappeso” un numero molto maggiore di istituti con
risultati estremamente bassi. In particolare, il 15% circa delle Università
U.S.A. è al di sotto della peggiore posizione italiana per quanto riguarda
l’Excellence Rate (addirittura il 21% per il Normalized Impact). La situazione
aggregata dell’Europa occidentale è in qualche modo intermedia, con livelli
particolarmente bassi (al di sotto dei valori U.S.A.) nel 4° quartile.
Le elaborazioni sopra
riportate differiscono, anche in maniera molto significativa, da altre più
ampiamente pubblicizzate, in quanto rigidamente indipendenti dalla dimensione.
E’ ovvio, infatti, che essere “grosse” Università non implica necessariamente
essere “grandi”: nella classifica mondiale Scimago per output (numero assoluto
di paper Scopus pubblicati) la prima Università Italiana è la Sapienza di Roma,
al 58° posto. Una sua ipotetica “fusione” con l’Alma Mater di Bologna (2° posto
in Italia, 95° al mondo) creerebbe un soggetto che – nella stessa classifica –
sarebbe tra le prime 10 università del pianeta, ma ciò non aggiungerebbe una
virgola alla qualità della ricerca universitaria in Italia. Tutto ciò significa
che la nostra “nazionale” è assolutamente competitiva a livello internazionale
(nonostante, lo ricordiamo, il sistema universitario nazionale risulti
largamente sotto finanziato rispetto ai competitors internazionali), mentre il
nostro “campionato” è molto più livellato che negli U.S.A. Potremmo dire che
gli atenei italiani giocano tutti in serie A, anche se con posizioni diverse in
classifica. (Fonte: N. Costantino, Roars 02-06-15)
UN EMENDAMENTO AL DDL SULLE AMMINISTRAZIONI
PUBBLICHE (NEI CONCORSI PUBBLICI AVRÀ UN PESO NON SOLO IL VOTO DI LAUREA MA ANCHE
L'ATENEO DOVE LA LAUREA È STATA CONSEGUITA) HA SUSCITATO ALLARME PER LA
POSSIBILE ABOLIZIONE SURRETTIZIA DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO
Il 2 luglio 2015 la
Commissione Affari costituzionali della Camera, discutendo il provvedimento
"Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni
pubbliche (C. 3098 Governo, approvato dal Senato)", ha approvato il
seguente emendamento presentato da
Marco Meloni: Al
comma 1, dopo la lettera b), aggiungere la seguente: b-bis) superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per
l'accesso ai concorsi e possibilità di valutarlo in rapporto a fattori inerenti
all'istituzione che lo ha assegnato e al voto medio di classi omogenee di
studenti, ferma restando la possibilità di indicare il conseguimento della
laurea come requisito necessario per l'ammissione al concorso.
Finora nei concorsi
il voto ha il suo peso, mentre, almeno nella fase delle prove basata sui
punteggi, l'università che ha rilasciato il titolo accademico non fa testo.
Adesso si propone di cambiare: ad esempio, ha spiegato Meloni, «il mio voto verrà considerato a seconda
del voto medio che viene dato nella mia facoltà. Vogliamo impedire che gli
studenti scelgano un certo indirizzo solo perché il meccanismo di valutazione è
più generoso». Ovviamente il meccanismo sarà definito nei decreti attuativi del
ddl Madia, ma il concetto è chiaro: il voto preso in se stesso, slegato da
tutto il resto, non dovrebbe più essere un elemento chiave. La Pubblica
Amministrazione dovrebbe puntare anche la lente sul tipo di ateneo e più in
generale sull'ambiente di cui quel voto è il frutto.
La polemica è nata
immediata, tanto da lasciare quasi sorpreso il deputato democratico Marco
Meloni, autore dell’emendamento che inserirebbe questo nuovo punto del
curriculum di ogni potenziale candidato tra i vari fattori da valutare ai fini
della vittoria di un concorso pubblico. “La mia originaria proposta prevedeva
semplicemente l’abolizione del voto minimo di laurea (che, ad oggi, non è
previsto da alcuna norma, ma che è previsto solo nel caso di alcuni bandi,
come, per esempio, Bankitalia e università, n.d.r.) quale filtro per la
partecipazione ai concorsi pubblici“.
Altra intenzione
dell’emendamento Meloni era quella di evitare che uno studente, alunno di
un’università seria e “di manica stretta” quanto a voti, sia penalizzato
rispetto al suo collega che ha studiato in un ateneo dal “110 e lode facile”. Negata
anche ogni volontà di attenuare il valore legale del titolo di laurea. Le
obiezioni più frequenti: se, dicono in molti, il criterio da considerare è
quello del “valore” dall’università frequentata, chi si laurea in un ateneo
poco prestigioso non avrà alcuna chance rispetto a chi va a studiare in un
ateneo dalla fama indiscussa. Non casualmente, poi, nella classifica delle
università migliori, ben 15 sono dislocate al Nord.
«In modo surrettizio,
si introdurrebbe l'abolizione del valore legale del titolo», ragiona Gianfranco
D'Alessio, docente di diritto amministrativo a Roma Tre. Stefano Paleari,
presidente della CRUI, rileva: «Io dico soltanto che o si è ipotizzato di
rivedere una impalcatura giuridica relativa al titolo di studio, e non ne ho notizia,
oppure non ha senso. Ogni singolo ateneo viene valutato dall'Agenzia ANVUR che
accredita le università. Se un ateneo è accreditato dall'ANVUR per l'erogazione
di quel corso di laurea vuol dire che il laureato di quel corso di quella citta
è pari a quello di un'altra. E basta». Numerosi rettori si sono ribellati all'idea che venga considerato il
peso dell'ateneo nel quale ci si laurea perché, hanno detto, il criterio di
selezione dei docenti universitari è lo stesso in tutta Italia e anche i loro
stipendi sono gli stessi ovunque: perciò le università sono in teoria tutte
uguali. Ciò che davvero cambia, ma questo i rettori evitano di dirlo, è che
invece una stessa materia viene trattata in maniera molto differente da ateneo
ad ateneo. Per questo appare giusto,
ha rilevato L. Eduati, che uno studente che abbia preso 110 e lode in una
università dove raramente questo voto viene concesso, sia valutato in maniera
migliore di uno studente che si è laureato in un ateneo dove i voti sopra il
105 sono la regola. Perché va ancora difeso iI valore legale del titolo di
studio?, è stato chisto a S. Settis, che ha risposto: «A volerlo abolire sono i
sostenitori di un mercato totalmente liberalizzato. Senza un riconoscimento
pubblico, prevalgono inesorabilmente concorrenza, libero mercato, legge del più
forte. Negare che la sanzione statale rende valido un titolo di studio spalanca
le porte a cinquant'anni di caos. E' giusto snellire la burocrazia legata a
esami, abilitazioni e concorsi, anche perchè è assurdo che per alcuni mestieri
ci sia un ordine professionale e per altri, come per noi archeologi, no. Però
un riconoscimento pubblico, oggettivo della validità del percorso di studi è
stata una conquista democratica. Va difesa dagli attacchi come questo». Ma ha frenato
la senatrice dem Francesca Puglisi: «Questo emendamento verrà corretto in
aula». Infine il ministro Marianna Madia ha detto la parola definitiva: «Il
governo il 13 luglio in aula ritirerà l'emendamento» contestato. (Fonti:
corriereadriatico.it, QN, La Repubblica, La Stampa, Huffington Post, Unità 02-04/07/15)
FUGA DELL'UNIVERSITÀ DAL DIRITTO AMMINISTRATIVO?
UNA SOLUZIONE SBAGLIATA
Nel documento
sulla c.d. Buona Università si trova un’affermazione che merita qualche breve
considerazione: occorre “restituire autonomia agli Atenei con l’uscita
dell’università dal campo di applicazione del diritto amministrativo (cioè
dalla pubblica amministrazione)”. La verità è che la fuga dal diritto
amministrativo è una soluzione semplice, facile da capire, e sbagliata. Perché non è possibile fare a meno di regole, e se
si è una pubblica amministrazioni queste regole diventano diritto
amministrativo. Perché non si può
smettere di essere una pubblica amministrazione, quando si svolgono funzioni
pubbliche, si utilizzano risorse pubbliche, si è istituiti e disciplinati dalla
legge. Se è vero quanto
sopra probabilmente occorre concludere che la fuga dal diritto amministrativo è
sbagliata, forse impossibile, probabilmente inutile. Il che non significa che
tutte le regole che valgono per le altre amministrazioni debbano valere anche
per le università. Quali regole
dovrebbero essere adattate allo specifico dell’università? E’ nella risposta a
queste domande che risiede la vera o auspicata fuga dal diritto amministrativo. Nella Buona Università si prevede, a ben vedere,
in più passaggi, l’idea non di fuga dal diritto amministrativo, ma più
banalmente (e efficacemente, se ben fatto) di “meno” diritto amministrativo:
vale a dire una semplificazione, normativa ed amministrativa. Ma semplificare, eliminando le regole inutili e
complicate, siano esse indebitamente proiettate sulle università mentre sono
pensate per altri contesti (tipo la fattura elettronica per rimborsare la cena
a un visiting professor), o inopinatamente pensate proprio per le stesse
università ma avvertite come non funzionali (come la giungla dei vincoli per le
assunzioni), è un lavoro complicato, e difficile da comunicare. In definitiva è
proprio da ciò che ci distingue dalle altre pubbliche amministrazioni che
dovremmo chiedere di essere difesi. (Fonte: E. Carloni, Roars 10-06-15)
COLPISCE
SOLO I DOCENTI UNIVERSITARI LA MANCATA MATURAZIONE DELLE CLASSI STIPENDIALI
Il blocco triennale delle retribuzioni dei
docenti universitari sancito dal Decreto Legge n. 78 del 2010 (convertito nella
legge n. 122 del 30 Luglio 2010), e successivamente prorogato dalle varie leggi
di stabilità al fine di coprire l’intero quinquennio 2011-2015, sta portando a
delle penalizzazioni retributive per la categoria che non hanno eguali in tutto
il pubblico impiego. Ma questo è ancora poco se paragonato ai successivi
prelievi stipendiali che colpiranno la categoria per gli anni a venire: per
alcuni rappresenterà un danno continuativo che dura per l’intera carriera, per
altri addirittura per tutta la vita. Di fatto la nostra categoria è l’unica
caratterizzata da una carriera retributiva che, partendo con stipendi molto
bassi all’inizio ma crescenti nel tempo, permette di raggiungere una
retribuzione paragonabile a quella percepita dai colleghi degli altri paesi
occidentali soltanto alla fine. Purtroppo l’aver inserito nel blocco, oltre
agli scatti stipendiali, anche “la maturazione delle classi”, determina un
rallentamento della carriera che si traduce in un prelievo forzoso crescente
nel tempo. La situazione si è aggravata dopo la famosa sentenza della Corte
Costituzionale (la 310 del 2013) che ha giudicato “non incostituzionale”
il blocco contenuto nel comma 21 dell’art. 9 del D.L. 78/2010. I giudici
della Consulta hanno ritenuto temporaneo, e quindi lecito, un prelievo
retributivo che può durare tutta la vita. Tralasciamo l’entità dei
prelievi nel quinquennio del blocco che, per il fine emergenziale che si
era posto il governo, possono anche risultare accettabili, e veniamo ai danni
più seri. Il blocco della maturazione delle classi stipendiali fa sì che
ciascun docente, sia esso Ricercatore (RTI), Associato (PA) o Ordinario
(PO), a partire dal 2016 (anno di augurabile fine del blocco) si troverà sempre
a una classe stipendiale inferiore a quella che gli sarebbe spettata in assenza
del blocco, esattamente 2,5 classi biennali al di sotto, e quindi
continuerà a subire un prelievo di stipendio crescente nel tempo. Quei docenti
che fossero entrati in ruolo pochi anni prima del blocco, ma in giovane età,
hanno la possibilità di percorrere l’intera carriera (28 anni in corrispondenza
delle 14 classi biennali + 3 anni del periodo di conferma/straordinariato)
prima di andare in pensione. Per questi colleghi la perdita complessiva
ammonterà a circa 83.000 euro per RTI, 100.000 per i PA e 140.000 per i
PO. A parte l’entità delle cifre complessive finali (si tratta di cifre
“nette” in busta paga, già depurate anche dell’IRPEF!) facciamo notare
che il prelievo ha carattere continuativo e dura tutta la vita lavorativa.
Anzi, a causa dei riflessi sulle pensioni, durerà tutta la vita. Se ci
riferiamo invece all’età media di ingresso in ruolo dei docenti (37, 44 e
51 anni rispettivamente per RTI, PA e PO, vedi Rapporto ANVUR sullo Stato
del Sistema Universitario relativo al 2013) ci accorgiamo che soltanto il
ricercatore ha il tempo di percorrere tutta la carriera prima della pensione (a
65 anni) mentre PA e PO, nonostante la più alta età di pensionamento (70 anni)
non ce la faranno a raggiungere la classe finale n. 14 prima della pensione.
Per tale ragione subiranno un danno economico complessivo inferiore. Il
risultato di questi confronti è che non si capisce come la Corte
Costituzionale abbia potuto definire “temporaneo” un prelievo che può
durare tutta la vita.
Tralasciamo il confronto con i magistrati,
con i quali proprio non c’è partita. Essi infatti, già esentati dal blocco
quanto ad alcune voci stipendiali in base al comma 22, art. 9 dello stesso D.L.
78/2010, sono stati poi completamente
graziati dalla sentenza n. 223/2012 della Consulta (composta prevalentemente da professori universitari e
magistrati) che, a garanzia della loro autonomia, ha sancito la incostituzionalità
di qualsivoglia blocco delle loro retribuzioni, inclusa anche la semplice
rivalutazione ISTAT.
Per altre categorie di pubblici dipendenti
risulta che il blocco è stato praticamente annullato già prima di ora. Questo è
successo per gli scatti stipendiali dei docenti della Scuola, ripristinati da
parte del governo Renzi nel 2014 (D.L. 23 gennaio 2014 n. 3) e anche per le
indennità di posizione e perequativa di militari e forze di polizia di livello
dirigenziale, come riconosciuto nel Marzo di quest’anno (con diritto agli
arretrati) dal MEF, Ragioneria Generale dello Stato. Recentemente è stato
riattivato anche il meccanismo della progressione economica all’interno del
singolo livello (i cosiddetti "gradoni") per i dipendenti degli Enti
di Ricerca, come i ricercatori del CNR. Tutto quanto sopra discusso mette in
evidenza le gravi conseguenze della mancata maturazione delle classi
stipendiali, che in pratica colpisce solo gli universitari. (Fonte: P. Gianni,
http://tinyurl.com/qfhztlx 24-06-15)
EU. RAPPORTO HIGHER
EDUCATION IN THE EU
Il Rapporto "Higher Education in the EU. Approaches, issues and
trends" è una pubblicazione espressamente indirizzata ai
membri e allo staff del Parlamento europeo recentemente eletto, per descrivere
loro le strategie politiche e le tendenze in atto nei sistemi universitari
degli Stati membri. Si focalizza sulla riconosciuta importanza dell'istruzione
superiore per la crescita economica e il benessere sociale e, in tale ottica,
inquadra risultati e sfide in una comparazione internazionale con gli Stati
Uniti. L'efficienza e la qualità dell'insegnamento universitario sono divenuti
un segnale forte della capacità di un Paese nel preparare il proprio sviluppo
economico futuro, al punto che è sempre più generalizzata la gara a livello
mondiale per accaparrarsi i migliori talenti. Gli USA da soli attraggono il 17%
degli studenti internazionali, e anche l'Unione europea è un'area geografica
abbastanza ambita (Regno Unito 13%, Francia 6%, Germania 6%) per effetto sia
della tassazione universitaria inferiore a quella statunitense sia delle crescenti attività di
internazionalizzazione accademica. Nuovi attori stanno apparendo sullo scenario
dell'attrattività globale (Canada 5%, Giappone 4%, Federazione Russa 4%, Spagna
2%), interessati ad ospitare una grossa fetta degli studenti in mobilità, che
sono peraltro divenuti un'importante risorsa finanziaria. A decorrere dal 2008,
molti Governi europei hanno operato sensibili tagli negli stanziamenti
pubblici, indispensabili per mantenere la competitività del sistema:
significative riduzioni (tra 1 e 10%) hanno riguardato Croazia, Polonia,
Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Grecia, Ungheria, Lituania e Regno Unito.
L'Italia - che già prima del 2008 destinava al settore lo 0,8% del PIL rispetto
alla media UE dell'1,23%, nel 2012 si è piazzata al penultimo posto dell'ideale
graduatoria (seguita solo dalla Slovacchia) a causa della riduzione superiore
al 10% delle assegnazioni di bilancio. Al contrario, Germania e Svezia hanno
aumentato i fondi in misura superiore al 10% mentre Francia, Paesi Bassi,
Austria e Belgio (comunità francese) hanno registrato una crescita più
contenuta tra l'1% e il 10%. (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas maggio
2015)
FINANZIAMENTI. NUOVO BANDO PRIN IN ARRIVO
L’ultimo bando dei
Progetti di Ricerca di Importanza Nazionale (PRIN) è del 2012, quando il
finanziamento toccò il minimo storico con 38 milioni di euro. Nel 2014, il
Ministro Carrozza sostituì i PRIN con i RIDE (Ricerca Italiana Di Eccellenza),
ma da allora nessuno ha mai più sentito parlare di RIDE. È recente l'annuncio
di Marco Mancini, capo Dipartimento per l'università, che è imminente un nuovo
PRIN con un budget di 95 mln di euro. Roars fa notare che alla sua ricomparsa
dopo due anni di “ibernazione”, il PRIN si troverà a dover soddisfare un enorme
bacino di utenti che comprende tutti quelli che nel frattempo sono rimasti a
secco: in realtà è come se il bando si riferisse al triennio 2013-2015 ed è
evidente che il budget effettivo sarà di circa 31,600 milioni di euro all’anno,
una cifra inferiore a quella di 38 milioni del 2012. (Fonte: P. Dimitri,
http://tinyurl.com/odyrj58 06-07-15)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ASN. TAR SOTTOLINEA L’IMPORTANZA PREMINENTE DEI
GIUDIZI DI MERITO RISPETTO ALLE SOGLIE QUANTITATIVE
Con la sentenza
5640/2015, il TAR Lazio, sezione terza, pronunciandosi ancora una volta in
materia di abilitazioni, ha sottolineato l’importanza preminente dei giudizi di
merito rispetto alle soglie quantitative. Così si esprime il giudice
amministrativo: premesso che trattasi di procedura abilitativa e non
concorsuale, dunque con numero di posti non limitato né predefinito, quindi
senza confronto concorrenziale tra un candidato e l’altro (cfr. TAR Lazio, III,
n. 11500 del 2014), è necessario evidenziare al riguardo che gli indici
correlati alle mediane, essendo a carattere quantitativo (cfr. all. A, B al
D.M. n. 76 del 2012), non possono comunque assumere un ruolo decisivo ai fini
dell’abilitazione medesima, né dunque il mancato superamento delle stesse
mediane risultare preclusivo ai suddetti scopi, essendo preminente all’uopo il
giudizio di merito della Commissione sulla maturità scientifica raggiunta dagli
abilitandi (cfr. già TAR Lazio, III, ord. n. 3079 del 2014)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
RIPASSANDO LE CLASSIFICHE ANVUR E ARWU
L’ANVUR
(Agenzia Nazionale Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca),
nella sua VQR 2004-2010, volta a
valutare i risultati della ricerca scientifica nel periodo 2004-2010 dalle
università statali e non, ha pubblicato la classifica degli “Atenei al Top
d’Italia”. Ma saranno realmente solo questi venti atenei italiani (v. tabella) a poter essere degni d i
quest’onore oppure no? Diverse ricerche e classifiche
ANVUR mostrano come per ciascuna università vi siano dipartimenti, campi di
ricerca e simili che possono vantare l’eccellenza nel loro settore, anche a
livello di competizione nazionale, e altri che, invece, sono decisamente più
carenti. Per cui, se si vogliono penalizzare le università in quanto tali -
classificandole come di serie A e B - si
andrebbero a penalizzare i settori di eccellenza in università facenti parti
della cosiddetta serie B e, viceversa, verrebbero premiati settori pessimi di
università di serie A. A livello internazionale, secondo le stime ARWU (Academic Ranking of World Universities), una classifica
delle 500 migliori università del mondo, sei università nostrane si posizionano
tra le 151esima e la 200esima posizione
dello Shangai Ranking: Bologna,
Milano, Padova, Pisa, Sapienza di Roma, Torino. Tra la 201esima e la
300esima posizione si collocano il Politecnico
di Milano e l’Università di
Firenze. Tra la 301esima e la 400esima posizione la Normale di Pisa, Milano Bicocca, Federico II
di Napoli, Roma Tor Vergata. In coda, tra la 401esima e la 500esima posizione, la Cattolica di Milano,
gli atenei di Cagliari, Ferrara, Genova, Palermo, Parma, Pavia, Perugia e Trieste.
Il Belpaese vanta ottime valutazioni in matematica, con ben 13 atenei in top 200,
grazie a Milano, Pisa e La Sapienza in top 100, al Politecnico di Milano, la Normale di Pisa e
gli atenei di Padova, Pavia e Parma. E ancora Catania, Genova, Bicocca, Federico II, Pavia, Tor Vergata, Trieste
(151esima-200esima) posizione. Milano e Torino le migliori per le facoltà di Medicina e Chirurgia.
Per la situazione su scala nazionale è un
trionfo per le università di Trento e
Verona, subito seguite dal
Politecnico di Milano e dall’università
di Bologna. Tra gli atenei non
statali, invece, spiccano il San Raffaele
di Milano, la Bocconi, la LUISS di Roma e il Campus Biomedico di Roma.
Analizzando il risultato milanese, si nota come
sia la città con un più elevato numero di università presenti nelle classifiche
più importanti grazie alla Bocconi
che, oltre a essersi piazzata settima nella classifica mondiale e terza in
Europa, è terza nella classifica “Business
e management“, dopo Mit e
Oxford; eccelle in Economia (17esima posizione) e in Scienze delle Finanze (28esima
posizione), mentre il Politecnico
si piazza al decimo posto nella sezione design ed e tra i top 20 mondiali
per Ingegneria Civile e Architettura (occupando
rispettivamente 13esima e 14esima posizione). (Fonte: A. Fuoti, http://tinyurl.com/qf3s6e5 06-07-15)
CLASSIFICA UNIPLACES DEGLI ATENEI PIÙ BELLI 2015. PRIMA SALAMANCA, TERZA
L'ALMA MATER STUDIORUM DI BOLOGNA
L’Università di Salamanca (Spagna) guarda tutte
dall’alto in basso nella classifica Uniplaces dei campus più belli 2015. Con una
storia che ha inizio nel lontano 1218, l’ateneo spagnolo domina la graduatoria
grazie al pregio degli edifici che la ospitano - in tutto tre: l’Hospital del
Estudio, la Escuelas Menores e l’Escuelas Mayores - che si segnalano per il
particolare stile in cui sono realizzati. A regalare all’Università di
Salamanca la vetta della classifica Uniplaces dei campus più belli 2015 è
soprattutto l’Escuelas Mayores, con la sua famosissima facciata in stile
plateresco, che rappresenta un affascinante mix tra gotico e rinascimento
italiano. In questa speciale classifica, che mette in fila i 10 campus più
belli al mondo, c’è spazio anche per l’Alma Mater Studiorum di Bologna, che con
i suoi quasi mille anni di storia è la più antica università del mondo.
L’ateneo nostrano si classifica al terzo posto. Davanti all’Università di
Bologna, nella classifica Uniplaces dei campus più belli 2015 troviamo
l’Université Catholique de Louvain (Belgio), la cui costruzione risale al 1495.
Nella classifica Uniplaces dei campus più belli 2015 c’è poi spazio anche per
la cinese University of Tsinghua, per l’Università di Otago (Nuova Zelanda),
per la britannica University of Glasgow, per l’americana Università di Furman,
immersa nel verde, e per l’Università autonoma del Messico. (Fonte: M. Russo,
IlSole24Ore 14-05-15)
L'OSSESSIONE DEI RANKING
Nel 2003 un gruppo
di ricercatori dell’Università cinese Jiao Tong di Shanghai ha messo a punto il
primo ranking comparativo globale che misura il valore di un ateneo sulla base
delle pubblicazioni su riviste scientifiche, e numero di citazioni di questi da
parte di altri studi, eventuali premi Nobel e Field Medalist tra gli ex alumni.
Più che una classifica, l’iniziativa cinese si è rivelata un guanto di sfida.
Da allora si sono moltiplicati in modo esponenziale i ranking internazionali.
Dare un voto alla qualità dell’insegnamento è particolarmente complesso. Perciò
sono nati, a vario titoli, indici un po’ per tutti i gusti. Ellen Hazelkorn,
direttore del dipartimento di Ricerca e Impresa dall’Istituto di tecnologie di
Dublino si è presa la briga di contarli tutti, e ne ha trovati ben 150.
Insomma, a ben cercare una promozione c’è per tutti, in quella che Hazelkorn
definisce “l’ossessione dell’eccellenza” e la “schizofrenia dei ranking”.
Tant’è che molti atenei investono tempo e denari per adeguarsi agli standard
internazionali di queste classifiche, in modo tale da potersi fregiare di
titoli che aumentino la popolazione di matricole e diventino attrattive per i
migliori talenti in circolazione. La scelta del campionato su cui puntare è
molto varia come vari sono i panieri di valutazione. Nel 2004 nasce il QS World
University Rankings, creato dalla società britannica Quacquarelli Symonds,
utilizzando rating di studenti e docenti in cinque discipline differenti, nello
stesso anno, in Spagna parte Webometrics Ranking e negli Usa Human Resources
& Labor Review, nel 2006 è la volta del Top 100 Global Universities della
rivista Newsweek, e poi ancora Times Higher Education World University
Rankings, Academic Performance, U. S. News & World Report’s Best Global
Universities Rankings, e infine l’ultimo arrivato, l’anno scorso, l’europeo
U-Multirank
dove troviamo sei università
italiane tra le 148 migliori del mondo. (Fonte: C. Benna, La Repubblica
18-05-15).
DOCENTI
BLOCCO DEGLI SCATTI STIPENDIALI DEI DOCENTI
UNIVERSITARI. INTERROGAZIONE PARLAMENTARE
"Il problema del blocco degli scatti stipendiali dei docenti
universitari non è più rinviabile né eludibile. Per questo oggi ho depositato
un'interrogazione parlamentare rivolta al presidente del Consiglio, al ministro
della P.A. e al ministro dell’Istruzione". Così Antimo Cesaro,
vicecapogruppo di Scelta Civica alla Camera e membro della commissione Lavoro.
"Con la legge di Stabilità 2015 - aggiunge - il governo ha prorogato per
il quinto anno consecutivo il blocco degli scatti stipendiali dei docenti e dei
ricercatori universitari; per altre categorie (magistrati, avvocati dello
Stato, personale militare e di polizia, diplomatici ed insegnanti), invece, il
blocco è stato revocato. Oltre all'evidente danno economico, la docenza
universitaria considera il perdurare del blocco solo nei suoi riguardi
discriminatorio e lesivo della sua dignità. Una decisione mortificante: il
personale dell'Università non può certo rientrare nella 'spesa improduttiva',
anzi, proprio nei momenti di crisi occorre avere il coraggio di scommettere su
scuola, università e ricerca a partire dalla valorizzazione delle risorse umane
del settore. Sottolineo, infine, che gli scatti stipendiali dei docenti
universitari non sono automatici, ma conseguenza di un processo di valutazione.
Dunque, proprio in nome del 'merito', ritengo necessario che sia riconosciuto
pieno riconoscimento del quadriennio lavorativo 2011-2014 ai fini giuridici,
economici e pensionistici". (Fonte: ilVelino/AGV NEWS Roma 24-06-15)
PER I PROFESSORI UNIVERSITARI CHE ASSUMONO
CARICHE DI VERTICE NEGLI ENTI PUBBLICI È OBBLIGATORIA L'ASPETTATIVA
Il Tar Sardegna,
con sentenza 27 aprile 2015 n. 737, ha deciso un ricorso in materia di incompatibilità
per i professori universitari a tempo pieno. Si può leggere nella predetta
sentenza che, in forza di quanto previsto dall’art. 13 del Dpr. n. 382 del
1980, non abrogato dall’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, deve
ritenersi legittimo il decreto con il quale il Rettore ha espresso un diniego
in ordine all’istanza avanzata da un professore universitario a tempo pieno,
tendente ad ottenere il nulla-osta a svolgere l’incarico retribuito di
commissario straordinario di un ente pubblico. Infatti - proseguono i giudici
amministrativi - la suindicata disposizione normativa, rubricata “Aspettativa
obbligatoria per situazioni di incompatibilità”, al punto n. 10, prevede,
sostanzialmente, l’incompatibilità per i professori universitari a tempo pieno,
con la “nomina alle cariche di ‘presidente, di amministratore delegato di enti
pubblici’ a carattere nazionale, interregionale o regionale, di enti pubblici
economici, di società a partecipazione pubblica, anche a fini di lucro”. Ne
consegue, dunque, che, in tali casi, per un verso, la regola è quella del
collocamento obbligatorio in aspettativa per i professori che assumono cariche
pubbliche di vertice di enti pubblici. (Fonte: F. Scotti, Il Foglietto della
Ricerca 26-05-15)
PERCHÉ UN VALENTE PROFESSORE DEGLI USA NON
SAREBBE INCENTIVATO A TRASFERIRSI IN ITALIA
Roars
(01-07-15) rileva che non si può fare a meno di notare una domanda retorica
della senatrice Puglisi che suggella un articolo di ItaliaOggi (19-06-15): «Com’è strutturata oggi l’università, un valente professore di Yale
non potrebbe venire a insegnare qui. Non dice niente questo?».
Ma perché un
“valente professore di Yale” non potrebbe venire a insegnare da noi se solo ne
avesse voglia? Voglia? Ma ne avrebbe voglia? Ma quanto guadagna un valente
professore di Yale? Al cambio attuale, sono più di 164.000 Euro annui. Ma cosa
guadagna mediamente in Italia un Professore Ordinario? Si tratta di 88.280 Euro annui, circa la
metà di quanto prende il “valente professore di Yale”, che forse non è
particolarmente incentivato a dimezzare il suo reddito. A maggior ragione se
consideriamo che da neoassunto guadagnerebbe sensibilmente meno della media
degli ordinari italiani. Inoltre il “valente professore di Yale” nel frattempo potrebbe aver scoperto che
da un paio di anni il finanziamento della ricerca di base in Italia (il
cosiddetto PRIN) è stato azzerato e che il numero di corsi di laurea e di
dottorato si sta contraendo, per non dire dei tagli all’FFO, rivelatori di una
strategia di disinvestimento rispetto al settore dell’istruzione terziaria. Ma
il Professore di Yale, potrebbe mai concorrere ad una cattedra in un Ateneo
Italiano? Solo in caso di chiamata diretta e forse nemmeno così, visto che non
basta la decisione dell’Ateneo ma ci deve essere un’approvazione lunga dal
Ministero che coinvolge troppi soggetti. Piuttosto,
se fosse cittadino statunitense, il vero problema sarebbe quello dei visti per
lui e per la sua famiglia, dato che, a tutti gli effetti, è un
extracomunitario. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 01-07-15)
PRECARIATO AFAM. UNA LETTERA AL MIUR
Dopo anni di continua
incertezza e a seguito della costituzione della Graduatoria Nazionale ex
L.128/2013, che raccoglie appunto i precari dell'alta formazione artistica e
musicale degli ultimi dieci anni attraverso un unico decreto (il D.M.
526/2014), chiediamo di poter aprire
in tempi brevissimi un serio e fattivo tavolo di confronto sul tema
"Precariato AFAM" con il Ministero e le organizzazioni sindacali,
prima di ogni riordino del comparto, al fine di trovare la soluzione per questi
lavoratori che ad oggi rappresentano ormai quasi il 50% del personale docente,
che ricoprono posti liberi e vacanti da non meno di un triennio, e che non sono
stati comunque numericamente sufficienti a ricoprire tutte le disponibilità che
si sono create e che si creeranno nei prossimi anni a seguito dei
pensionamenti.
Questo corpo docente,
selezionato per merito nell’arco dell’ultimo decennio mediante continui e
periodici concorsi per titoli artistici, culturali e professionali, è composto
da stimati professionisti che svolgono attività di docenza, ricerca, produzione
artistica e coordinamento didattico, al pari dei propri colleghi con contratti
a tempo indeterminato, subendo però nel contempo una serie di gravi disagi
causati dalla contrattualizzazione a tempo determinato, in un contesto
lavorativo ove le tutele previste si applicano quasi esclusivamente al
personale reclutato a tempo indeterminato.
Si rende necessario
terminare il processo di stabilizzazione. (Fonte: da una lettera di professori
presso Accademie di Belle Arti pubblicata da Redazione Roars 04-06-15)
DOTTORATO
DOTTORATI ATTIVATI IN CALO DEL 42% IN DUE ANNI E
CON SPEREQUAZIONE TERRITORIALE
Secondo l'indagine ADI, l'Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca
Italiani, l'offerta di posti di dottorato è caratterizzata da una forte
concentrazione e sperequazione: per il 30° ciclo (l'ultimo) 10 Università (e 8
città) garantiscono da sole il 44% dei posti. Si tratta della Sapienza (931),
Politecnico di Milano (587), Alma Mater Bologna (428), Padova (407), Genova
(333), Federico II di Napoli (321) Roma Tor Vergata (289), Politecnico di
Torino (270), Milano (263) e Firenze (263). Una performance questa nell'offerta
dottorale che i maxi atenei si sono potuti assicurare semplicemente non
applicando il vincolo minimo del 75% delle borse di studio da garantire.
«Troviamo infatti - spiega l'indagine - contemporaneamente quattro università
(Sapienza, Politecnico di Milano, Genova e Firenze) alle posizioni apicali
relativamente ai posti banditi e a quelle peggiori in quanto a copertura delle
borse di studio». Unica eccezione virtuosa è Milano ai vertici in entrambe le
classifiche. La sperequazione si sente ancora più forte a livello di Regioni se
si prende in considerazione il fatto che in sette (una sola al Sud) coprono il
74,5% delle posizioni bandite: Piemonte (6%) Veneto (7%) Emilia Romagna (8,5%)
Campania (9%) Toscana (8,5%), Lazio (18%) e Lombardia (17,5%). Quello che
dovrebbe essere una delle punte di diamante della formazione terziaria
italiana, ha subito un taglio per l'effetto combinato del Dm 45/13 e delle
linee guida per l'accreditamento dell'ANVUR del 2014 che hanno introdotto un
vincolo minimo del 75% di copertura delle borse sul totale delle posizioni
bandite (prima era il 50%). E così in due anni si è registrata una riduzione
del 42% dei corsi di dottorati attivati e il numero di posti di dottorato
banditi annualmente a livello nazionale è diminuito, in un solo anno, del 25%.
«Un drammatico ridimensionamento» avverte l'ADI che è «l'ultima tappa di un
declino che dura da almeno 8 anni». Il numero di dottorandi ogni 1.000
abitanti, che collocava l'Italia in fondo alle graduatorie europee già nel
2012, «senza un'inversione di tendenza, da qui al 2016 subirà un ulteriore
ridimensionamento, con una situazione insostenibile specialmente per gli atenei
del Sud»: se nel 2014 se ne contavano 0,56 ogni mille abitanti (erano lo 0,6
nel 2012) nel 2016 con questo trend caleranno ulteriormente a 0,45. (Fonte: M.
Bartoloni, IlSole24Ore 10-06-15)
DOTTORI DI RICERCA ITALIANI ALL'ESTERO
Aumenta la fuga dei
cervelli. Sempre più laureati italiani lasciano il paese per andare all'estero.
Secondo il rapporto annuale dell'Istat 3 mila dottori di ricerca del 2008 e del
2010 vivono abitualmente all'estero e sono pari al 12,9% del totale. Un
fenomeno in decisa espansione. La mobilità verso l'estero è superiore di quasi
sei punti a quella registrata nella precedente indagine (7% dei dottori delle
coorti del 2004 e 2006) ed è più accentuata per gli uomini (16,6%) in confronto
alle donne (9,9%). Migrano soprattutto i dottori di ricerca nelle scienze
fisiche (31,5%) e nelle scienze matematiche o informatiche (22,4%) molto meno
quelli con dottorato in scienze giuridiche (7,5%). I paesi che attraggono
maggiormente sono la Gran Bretagna (16,3%), Stati Uniti (15,7%), Francia 14,2%,
Germania 11,4% e Svizzera 8,9%. I motivi che spingono gli italiani ad andare
all'estero sono le maggiori opportunità di lavoro, più qualificato e meglio
retribuito secondo l'85% degli intervistati. In effetti il reddito è
decisamente più elevato per chi lavora all'estero (750 euro in più per la
coorte del 2008 e 830 euro per la coorte 2010). Inoltre è maggiore la quota di
coloro che trovano un'occupazione consona al percorso formativo svolto. Chi
risiede in Italia trova un'occupazione in professioni intellettuali nell'85,2%
dei casi, ma per coloro che vanno all'estero la percentuale sale al 91,2%.
(Fonte: askanews.it 20-05-15)
ASSEGNISTI DI RICERCA E DOTTORANDI CHIEDONO
L’INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE
Nell’ambito delle
misure previste dal Jobs Act, il Dlgs 22/2015 ha introdotto nel marzo scorso
un’indennità di disoccupazione rivolta a collaboratori coordinati e
continuativi e a progetto: la cosiddetta DIS-COLL. Sebbene questo nuovo
istituto tenti di intervenire su alcune falle del sistema di protezione sociale
nel nostro Paese, rimangono ampie le lacune e le ambiguità circa l’intensità
del sostegno e la platea dei beneficiari. Proprio per questi motivi, nei giorni
scorsi FLC-CGIL e ADI – Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani -
hanno lanciato una petizione online indirizzata al Ministero del Lavoro per
estendere l’ambito di applicazione della DIS-COLL anche ad assegnisti di
ricerca e dottorandi, la cui inclusione tra i beneficiari appare tutt’altro che
garantita.
(Fonte: A.
Bonatesta, C. Pratelli, Roars 21-05-15)
FINANZIAMENTI
FINANZIAMENTI. IL TREND DEL FFO
L'analisi del trend
mette in evidenza un crollo della quota base del finanziamento, quella che
dovrebbe pagare il normale funzionamento delle attività. Essa è scesa di 1,5
mld di euro e pesa per 71% del totale contro l'84% del 2009. Viceversa, la
componente competitiva, quella che dovrebbe premiare in termini incrementali le
migliori università è salita fino al 20% dell'importo complessivo, raggiungendo
quasi 1,4 mld di euro.
L'analisi della quota
base rivela come, a partire dal 2014, si assista all'ingresso dei "costi
standard" che nel 2015 rappresentano un quarto della stessa e la bellezza
di 1,2 mld di euro. Affinché, come è auspicabile, i costi standard giungano a
regime è necessario che la quota base non diminuisca più ma si consolidi almeno
sui valori attuali.
Si sta parlando
quindi di un'Università italiana con molti meno fondi e molta più competizione
per le risorse, non quelle per fare di più ma quelle per sopravvivere.
Un'Università che ricorda molto la lotta nella giungla man mano che giunge la
stagione secca e ci si deve abbeverare in una pozza d'acqua sempre più
ristretta. È interessante e opportuno che il Governo avvii una riflessione, è
il momento giusto. Troverà un'Università molto consapevole del passato
trascorso, l'unica parte della pubblica amministrazione che ha adottato i costi
standard e nella quale i docenti e i ricercatori sono soggetti alla valutazione
del loro operato da parte di un'Agenzia indipendente. Troverà un'Università che
ha acquisito il DNA del confronto, soprattutto su scala internazionale, ma anche
la consapevolezza che questo sforzo finora è stato ripagato con tagli
draconiani. Un'Università con l'amaro in bocca, disposta a mettersi in gioco,
senza più credere alle favole. (Fonte: S. Paleari, presidente CRUI, IlSole24Ore
02-06-15)
FINANZIAMENTI. LE NOVITÀ DEL
FFO NEL 2015
Sono due le
principali novità di quest’anno. Da un lato la quota premiale continua a
crescere: per il 2015 è pari a 1 miliardo 385 milioni, e rappresenta ormai il
20% delle risorse stanziate (l’anno scorso era inferiore al 18%). Dall’altro
aumenta ancora (salendo al 25%) la parte della quota base assegnata in base al
costo standard per studente in corso, un complesso indice che tenta di fissare
il “giusto costo” che il singolo ateneo deve sostenere per ogni studente, in
relazione all’offerta didattica e ai servizi che offre. Queste due voci, la
quota premiale e il costo standard, sono ormai parametri che determinano, su
base competitiva, l’assegnazione di oltre due miliardi e mezzo di euro.
Entrando nel dettaglio della quota premiale, rispetto allo scorso anno i
criteri distributivi vedono ridotta l’incidenza dei risultati nella ricerca (la
valutazione ANVUR pesa per il 65% contro il 70% del 2014); è confermata la
quota del 20% in base alle politiche di reclutamento (viene valutato il livello
scientifico dei docenti assunti); la parte restante (la valutazione della
didattica) si sdoppia, ridimensionando drasticamente la componente
internazionale (dal 10 al 3%) e introducendo (12%) la valutazione della
regolarità negli studi degli iscritti (“regolare” è, per il ministero, lo
studente che in un anno acquisisce almeno 20 crediti). È confermata per il 2015
la quota destinata alle chiamate di professori di seconda fascia: 171 milioni 748
mila euro. Nota fortemente negativa, invece, per le borse post lauream: i
finanziamenti passano da 148 a 126 milioni. Viene stabilito che gli assegni di
ricerca non possano assorbire più del 10% dell’importo. I criteri di
assegnazione ai singoli atenei sono gli stessi dello scorso anno (ricerca,
internazionalizzazione, impatto socioeconomico, attrattività, risorse per i
dottorandi), ma aumenta, rispetto allo scorso anno, il margine di incertezza
sui risultati che ogni ateneo può conseguire: la singola sede accademica potrà
vedersi decurtati i fondi per le borse fino al 20% rispetto al 2014; nel caso
invece aumenti la quota, il vantaggio non potrà eccedere il 5%. Rimanendo in
tema di interventi perequativi (i correttivi che ogni anno attenuano i
risultati premiali, proteggendo le università “in fondo alla classifica” da
perdite eccessive), quest’anno è previsto che nessun ateneo perda più del 2%
della sua quota complessiva di Ffo rispetto all’anno scorso (nel 2014 la “rete
di protezione” era posta a -3,5%). (Fonte: M. Periti, IlBo 20-05-15)
FFO 2015. CONFRONTO ASSEGNAZIONI 2013, 2014,
2015
Il decreto definitivo
di attribuzione del FFO 2015 (decreto ministeriale n. 335 dell’8 giugno 2015)
non si discosta sostanzialmente dalla bozza presentata dal MIUR per i
prescritti pareri della CRUI, del CUN e del CNSU. Contiene solo piccoli
correttivi in diminuzione su alcuni finanziamenti, introdotti per consentire
l’accantonamento, nelle more dell’assestamento di bilancio dello Stato, di
12.000.000 di euro per far fronte al cofinanziamento dei contratti di formazione
per le scuole di specializzazione di Medicina per l’anno accademico 2014-2015.
In particolare sono stati ridotti rispettivamente di 3 ml€, 3 ml€ e 6 ml€ gli
stanziamenti ai Consorzi Interuniversitari, alle borse post-laurea e alla
mobilità degli studenti.
È da rilevare,
infine, che per la prima volta, l’intera disponibilità di risorse allocate nel
capitolo 1694 del Bilancio dello Stato (€ 6.923.188.596) è stata completamente
assegnata non lasciando, come avveniva nel passato, residui anche consistenti
di non chiara specificata finalizzazione.
In allegato la tabella aggiornata dopo le modifiche
presenti nel DM 335/15 (Fonte: elaborazione flc cgil confronto assegnazioni ffo
2013, 2014, 2015) .
PARERE DEL CNSU (CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI
STUDENTI UNIVERSITARI) SUL DECRETO DI RIPARTO DEL FFO 2015
Tale decreto
evidenzia, ancora una volta, una visione strategica del settore dell’Università
e della Ricerca non condivisa da questo Consiglio, in quanto inadeguata al
rilancio economico e sociale del Paese. Un settore ancora profondamente in
crisi rispetto al quale non si riscontra, nelle politiche del Ministero e del
Governo tutto, una reale inversione di tendenza. Questo è confermato
dall’ennesimo taglio ai finanziamenti, dalla conservazione di un sistema di
finanziamento punitivo e privo di reali meccanismi incentivanti e dalla totale
instabilità degli indicatori che variano da un anno all’altro, svilendo gli
impegni degli atenei a tendere verso le linee programmatiche individuate. Una
situazione ancora più aggravata dalla manifesta decisione di proseguire nel
definanziamento secondo l’art. 1 comma 339 della legge 190/2014 per la cifra di
32 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016. Tra l'altro il CNSU
sottolinea che ritiene inaccettabili i tagli previsti all’art. 10, lettera c,
comma 1, con la riduzione di oltre 22 milioni di euro al finanziamento delle
borse post-laurea rispetto al 2014, unitamente alla modifica dei limiti
positivi e negativi relative alle differenze di assegnazione rispetto al FFO 2014,
portate a -20% e +5%. Tali misure condurranno a una nuova e significativa
contrazione delle borse di dottorato e dell’offerta dottorale italiana nel suo
complesso, già agli ultimi posti nel raffronto europeo. (Fonte: Redazione Roars
27-05-15)
FINANZIAMENTO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Sul sito della
Fondazione RES è stato pubblicato un Working Paper dedicato a “Meriti” e “Bisogni”
nel finanziamento del sistema universitario italiano. Il lavoro ha l’obiettivo
di analizzare le decisioni e le regole che hanno determinato tanto l’ammontare
del finanziamento del sistema universitario nazionale quanto i criteri di
allocazione fra le singole sedi universitarie; nell’ultimo ventennio, ma con
un’attenzione particolare agli anni successivi al 2008, anni nei quali si sono
registrati notevoli cambiamenti. Al tempo stesso si intende valutare – almeno
in parte – l’impatto di queste regole. In particolare si cercherà di discutere
se e in che misura tali regole rispondano effettivamente a criteri che premiano
il “merito” dei soggetti coinvolti e quanto siano in grado di soddisfare il
notevole “bisogno” di istruzione terziaria nel nostro paese. Il testo può
essere scaricato a questo LINK. (03-06-15)
LAUREE. DIPLOMI. FORMAZIONE POST LAUREA. OCCUPAZIONE
SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONI MEDICHE. ACCESSO IN
SOVRANNUMERO SENZA BORSA STUDIO DEGLI SPECIALIZZANDI RICORRENTI. N.RO BORSE PER
QUEST'ANNO
Il Consiglio di
Stato, sez. VI giurisdizionale, a seguito dell’udienza del 4 giugno 2015,
ha pubblicato le ordinanze 2462, 2441,
2464, 2463, 2461 del 5 giugno 2015 che consentono l’ingresso soprannumerario
negli ospedali e nei reparti di medici giovani che avevano presentato il ricorso
promosso dalla Fp Cgil Medici, contro le irregolarità del noto concorso delle
specializzazioni mediche, dove avevano invertito le prove dei test e che aveva
portato inizialmente alla decisione del Ministro Stefania Giannini di annullare
il concorso, salvo poi tornare indietro sui suoi passi. "Ritenuto che
sussistono i presupposti per concedere la richiesta tutela cautelare, si
accoglie l'appello e, per l'effetto in riforma dell'ordinanza impugnata - si
legge nelle sentenze - si dispone l'ammissione con riserva dei ricorrenti,
senza borsa di studio".
L'anno scorso c'erano
5.500 borse date dallo Stato e un migliaio di Medicina generale, per un totale
di 6.500 contratti a fronte di 12.500 medici che avevano partecipato al
concorso. (Fonte: G. Boffa, Orizzontescuola 06-06-15; A&F 06-07-15)
SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE IN MEDICINA. FIRMATO
IL BANDO PER L'ACCESSO
Il ministro
Giannini ha firmato il bando
per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina. Le selezioni
quest'anno si svolgeranno dal 28 al 31 luglio, interesseranno circa 10 mila
candidati che dovranno spartirsi 6.363 borse, 6.000 messe a disposizione dallo
Stato, 334 dalle Regioni e 29 da altri enti. Ogni candidato, all'atto di
iscrizione, potrà scegliere un massimo di tre scuole (non più di due per area,
clinica, medica o chirurgica) e indicare l'ordine di preferenza delle sedi. Le
domande restano 110 come lo scorso anno: 70 comuni a tutti i candidati, 30
comuni a ciascuna area, 10 comuni per tipologia di scuola. Le 70 comuni faranno,
però, maggiore riferimento alla formazione clinica del percorso di laurea.
(Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 28-05-15; studenti.it 27-05-15)
PROGETTO "CRESCERE IN DIGITALE"
L'ambizioso obiettivo
del progetto "Crescere in Digitale", realizzato dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con Google e
Unioncamere, è formare i giovani in cerca di occupazione verso le professioni
digitali attraverso training online e tirocini formativi nelle imprese
italiane. Il progetto, presentato il 28 aprile 2015, è inserito all'interno di
"Garanzia Giovani" e si rivolge, nello specifico, ai cinquecentomila
giovani iscritti al programma. Prende spunto dal successo di "Made in
Italy: Eccellenze in Digitale", altro progetto realizzato assieme da
Google e Unioncamere, e dalla necessità che hanno le aziende di ampliare la
loro professionalità sul web e sui social network, dai quali non si può più
prescindere nella diffusione delle conoscenze.
Il progetto prevede
un percorso formativo di almeno 50 ore, erogato su una specifica piattaforma
Google; 120 laboratori di gruppo locali, ognuno composto da un massimo di 50
persone, con un focus tematico-settoriale specifico, per avviare i giovani a un
tirocinio o all'attività imprenditoriale; 3.000 tirocini in aziende
tradizionali, della durata di 6 mesi e con un compenso di 500 euro al mese, per
avvicinare le grandi aziende al digitale. Le imprese ospitanti non avranno
nessun costo da sostenere: chi assume un giovane tirocinante avrà un bonus di 6
mila euro. (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 12-05-15)
RECLUTAMENTO
RECLUTAMENTO. CONSEGUENZE DELLA LEGGE GELMIMI
Si è ritenuto di abolire, per quanto riguarda il
grande bubbone del reclutamento, i vecchi concorsi per passare alle
abilitazioni nazionali che avrebbero dovuto essere fondate su criteri puramente
meritocratici culminando in un listone nazionale di idonei, inquadrati e non
nelle università, al cui interno gli Atenei avrebbero potuto attingere,
attraverso concorsi di nuovo tipo, il personale docente da assumere. Qui
entriamo nel massimo di confusione e autocontraddizione cui mai si era forse
giunti nella spesso grandguignolesca vicenda storica dell'università italiana.
Il legislatore aveva, tra l'altro, voluto democraticamente offrire una chance a
chi dell'università non faceva parte e tuttavia aveva i titoli per accedervi,
ma le cose sono andate come nel grande dramma shakespeariano o in certi film di
Woody Allen. II caso si è impadronito maliziosamente del congegno, e si è di
fatto creato il meccanismo più familistico che mai un cervello ministeriale
abbia avuto modo di congegnare. Si è detto di voler favorire il reclutamento di
coloro che non erano ancora inseriti nei ranghi dell'università salvo poi
rendere possibile i progressi di carriera, per motivi di budget, solo a coloro
che di fatto erano già «accademici». Di fatto è cosi: chi viene da fuori costa
troppo. Il meccanismo così creato e di fatto abnorme e distorcente del tutto
indipendentemente dal sicuro valore di molti candidati «interni». In ogni
sistema universitario che si rispetti si favorisce lo scambio di professori tra
gli Atenei e l'acquisizione di nuove risorse per rinnovare gli ambienti
scientifici e rivitalizzarli di idee e di iniziative. In Italia invece, per un
meccanismo di distribuzione delle risorse malato, si favoriscono esclusivamente
gli scorrimenti interni che costano «solo» un segmento stipendiale e non un
coefficiente intero. (Fonte: F. Vercellone, La Stampa 15-05-15)
RECLUTAMENTO BLOCCATO
La situazione dei
giovani ricercatori all’interno dell’università è ormai diventata
insostenibile: i tagli lineari e il sostanziale blocco del reclutamento che
hanno caratterizzato questi anni si sono tradotti nella proliferazione di un
precariato destinato a un’espulsione di massa dal mondo accademico. I primi
provvedimenti (Legge di Stabilità 2015) in materia da parte del Governo non
solo non hanno invertito questo trend ma hanno anzi indebolito uno dei pochi
vincoli che favorivano l’accesso al ruolo. (Fonte: da Lettera dell'ADI al
Presidente del Consiglio 22-05-15)
RETRIBUZIONI
PENSIONI. CIRCOLARE INPS: RICALCOLO E TETTO
DELLE C.D. PENSIONI D'ORO
Al via il tetto sulle
pensioni “d’oro”, informa Marina Crisafi, che ha pubblicato questo articolo
(http://tinyurl.com/qjdlqf6) sul sito di Studio Cataldi: è stata emanata la
circolare 74/2015 dell’Inps (http://tinyurl.com/o5fmns9) che dà attuazione al tetto sulle pensioni
d’oro previsto dalla legge di Stabilità 2015. Le nuove disposizioni si
applicano anche alle forme sostitutive ed esclusive come l’Inpgi. Saranno
colpiti soprattutto magistrati, docenti universitari e burocrati con
stipendi alti. A 4 mesi dall’entrata in vigore della manovra, l’Inps ha emanato
la circolare che traduce in pratica le norme, prevedendo il “doppio calcolo”,
con le modalità nella stessa descritte, ovvero confrontando l’importo delle
pensioni risultante dal confronto tra i due sistemi di calcolo pensionistico e
mettendo in pagamento quello più basso. Operazione che, secondo le stime,
dovrebbe avere un effetto comunque contenuto sulla maggior parte dei
pensionati, andando a colpire soprattutto gli assegni più “pesanti”: così, ad
esempio, su una media di 50 mila euro annui percepita da un docente
universitario in pensione dal 2014 con 40 anni e 8 mesi di contributi, la decurtazione
dovrebbe aggirarsi sui 500 euro, mentre su una pensione di 88 mila annui goduta
da un magistrato a riposo da fine 2014 con un’anzianità contributiva di 42 anni
e 10 mesi, potrebbe arrivare a duemila euro circa (leggi l’articolo
sul Fatto Quotidiano). Ma non solo. L’Inps, come stabilito nella circolare,
procederà “al recupero delle somme indebitamente corrisposte” a decorrere
dall’1 gennaio 2015 (“indebitamente”, si intende, per via del ritardo con cui
l’ente diretto da Tito Boeri ha emanato la circolare operativa). (Fonti: ai
link nella nota 01-06-15)
COME
SI COLLOCANO I SINGOLI ATENEI RISPETTO ALLA MEDIA RETRIBUTIVA DEI LAUREATI NEL
PRIMO DECENNIO POST-DIPLOMA
Come si collocano i singoli atenei rispetto
alla media retributiva dei laureati nel primo decennio post-diploma (tra i 25 e
i 34 anni)? Gli ex-Bocconi guadagnano in media 34.914 euro, il 20,9% in più di
quanto accade per i pari età di tutta Italia. Segue il Politecnico di Milano,
poi la Cattolica e la Luiss di Roma. Quest'ultima ha la palma della
progressione di carriera più fulminante: promette di raddoppiare gli assegni
nella fase di maturità lavorativa, dopo i 45 anni, rispetto ai livelli
iniziali. Ben sotto la media italiana si trovano Cagliari e Messina, poco sopra
i 26 mila euro. Nel grafico, quanto
guadagnano in media i laureati dei singoli atenei italiani nell'età compresa tra 25 e i 34 anni.
(Fonte: R. Ricciardi, La Repubblica A&F 25-05-15)
RICERCA. RICERCATORI. VALUTAZIONE DELLA RICERCA
PIANO NAZIONALE RICERCA. 2,4 MILIARDI DA
INVESTIRE FINO AL 2016
La bozza di Piano
nazionale ricerca 2014-2020 messo a punto dal MIUR e atteso al prossimo Cipe
mette sul piatto innanzitutto una somma ragguardevole: poco più di un miliardo,
quasi la metà dei 2,4 miliardi che il ministero vuole investire in ricerca fino
al prossimo anno. E poi introducendo una serie di strumenti su misura: dai
fondi in più per convincere i vincitori di borse dell’Erc (il consiglio Ue
della ricerca) a venire in Italia a sviluppare le loro ricerche alle chiamate
dirette semplificate per i ricercatori e i docenti all’estero fino alle
selezione di almeno 100 top talent. In pista anche un restyling dei dottorati
per renderli più appetibili per il mercato e incentivi per le imprese che li
assumono. Su questa misura la bozza di Pnr scommette 516,8 milioni. «Per
formare i migliori ricercatori è importante investire sugli attuali percorsi di
dottorato rafforzandoli ulteriormente su almeno tre aspetti:
internazionalizzazione, interdisciplinarità, intersettorialità», avverte il
documento programmatico del MIUR. L’internazionalizzazione si inseguirà
soprattutto favorendo la mobilità dei dottorandi italiani verso università
straniere. L’intersettorialità si dovrà tradurre in una «effettiva
collaborazione con partner esterni all’università, sia pubblici che privati».
Mentre l’interdisciplinarietà si favorirà favorendo l’ingresso di candidati con
corsi diversi di laurea magistrale e acquisendo competenze funzionali alla
ricerca ma anche al mercato del lavoro.
Su questo fronte la
prima sigla evocata dal Pnr è «Fare», che sta per framework per l’attrazione e
il rafforzamento delle eccellenze. Come? con 4 linee di intervento finanziate
con 209 milioni: dalle misure di accompagnamento per enti di ricerca ed atenei
che puntano a partecipare ai bandi Erc al sostegno a quei ricercatori che sono
stati selezionati ma senza essere ammessi alla sovvenzione. In pista anche
stanziamenti ad hoc - fino a 500 mila euro - per convincere i vincitori di
bandi Erc a fare la loro ricerca in Italia e per rimanere poi a lavorare in
istituzioni e organizzazioni italiane sia pubbliche che private con la garanzia
che metà stipendio per tre anni sarà pagato da un fondo. Altri 186,5 milioni
sono destinati poi alla «Ricerca italiana di eccellenza» («Ride»): questo piano
riguarda docenti e ricercatori di atenei ed enti di ricerca per «consolidare
gruppi di ricerca che abbiano dimostrato particolare creatività». Infine con il
piano top talents (78,5 milioni) si punta ad attrarre cervelli dall’estero
usando innanzitutto il metodo delle «chiamate dirette» da semplificare a cui
aggiungere i bandi Montalcini e il programma "messaggeri della conoscenza".
Ma anche mettendo in campo una procedura selettiva di carattere nazionale che
ogni anno assegnerà «almeno un centinaio di posizioni triennali a tempo
determinato» tra ricercatori di qualsiasi nazionalità che abbiano trascorso
almeno 3 anni all’estero o abbiano vinto una borsa Erc. (Fonte: M. Bartoloni,
IlSole24Ore 09-06-15)
SOTTO L'EGIDA DI HORIZON 2020. BORSE DI STUDIO
PER PROGETTI DI RICERCA AVANZATI DAL CONSIGLIO EUROPEO PER LA RICERCA (ERC). 16
PER SCIENZIATI ITALIANI
Il Consiglio europeo
per la Ricerca (ERC) ha annunciato i vincitori delle sue Borse di Studio per
progetti di ricerca avanzati, con uno stanziamento di 445 milioni di euro che
permetteranno a 190 scienziati di proseguire con i loro studi innovativi. Quest'anno
sono stati premiati studiosi provenienti da 23 nazioni: il più premiato di
tutti è il Regno Unito, con ben 45 borse di studio assegnate. L'Italia si
aggiudica il 5° posto in classifica, aggiudicandosi 16 finanziamenti alle
ricerche. Gli scienziati vincitori hanno presentato proposte in ambiti
totalmente differenti e, tra i premiati, c'è anche un team pioneristico
italiano che ha proposto una nuova terapia genetica per la cura delle aritmie
cardiache, mentre uno scienziato ceco condurrà uno studio sulla biodiversità
presente nelle foreste tropicali. Queste assegnate nel 2015 sono le prime borse
di studio concesse sotto l'egida di Horizon 2020, il programma che finanzia i
Progetti per la Ricerca e l'Innovazione in Europa ed in particolare del suo
pilastro dedicato alla scienza. I criteri di assegnazione delle borse di studio
sono puramente scientifici, e vogliono portare la qualità della ricerca
all'eccellenza. Le borse di studio sono conferibili a ricercatori di ogni
nazionalità, che lavorino già o vogliano lavorare sul territorio europeo.
(Fonte: askanews.it 03-07-15)
CONSIGLIO DI STATO: ILLEGITTIMI DAL 2010 CONCORSI
INTERNI EX ART. 15 E SCORRIMENTI DI GRADUATORIE
Il Consiglio di
Stato, con sentenza n. 3284 del 2 luglio 2015, ha statuito, tra l'altro, che:
"Dopo l'entrata in vigore degli articoli 24 e 62 del d.lgs. n. 150 del
2009 non puo pertanto procedersi allo svolgimento di nuove procedure selettive
con le modalita previste dall'art. 15 del CCNL (degli enti pubblici di ricerca, ndr) e tanto meno puo procedersi allo
scorrimento di graduatorie risultanti dalle procedure selettive precedentemente
svoltesi. Al riguardo la circolare it 11786 del 22 febbraio 2011 del
Dipartimento della Funzione Pubblica vieta di ricorrere allo scorrimento di
graduatorie relative ad idonei delle progressioni verticali a decorrere dal 10
gennaio 2010. Il massimo organo di
giustizia amministrativa, infatti, dopo aver ribadito quanto gia deciso nel
2010 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e cioe che "il
passaggio dal livello di ricercatore al livello superiore non
costituisce una
migliore posizione sul piano meramente retributivo o una qualifica superiore
nell'ambito di un'area omogenea, ma configura una posizione funzionale
qualitativamente diversa, l'accesso alla quale integra una modalita di
progressione verticale", ha precisato che l'articolo 24 del d.lgs. n. 150/
2009 , al comma 1, prevede che: "Ai sensi dell'articolo 52, comma 1-bis,
del decreto legislativo n.165 del 2001, come introdotto dall'articolo 62 del
presente decreto, le amministrazioni pubbliche, a decorrere dal primo gennaio
2010, coprono i posti disponibili nella dotazione organica attraverso concorsi
pubblici, con riserva non superiore al cinquanta per cento a favore del
personale interno, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di
assunzioni". Fonte: Il Foglietto della Ricerca 05-07-15)
CURRENT RESEARCH INFORMATION SYSTEM (CRIS) E
ORCID (OPEN RESEARCHER AND CONTRIBUTOR ID)
Sul Current Research Information System
(CRIS), che verrà adottato (e per una ventina di atenei ciò è già avvenuto)
dalla maggior parte degli atenei italiani, il 26 maggio si è tenuta a Bologna
una giornata dedicata. Questa giornata voleva fare il punto delle migrazioni
dai sistemi in essere al nuovo sistema e illustrare gli sviluppi futuri. CRIS è
un sistema modulare al cui centro sta l’institutional repository, che va a
sostituire quello che per gli atenei che avevano UGov era il catalogo, e
diventa quindi l’anagrafe pubblica della ricerca di Ateneo. L’institutional
repository contiene tutte le informazioni anagrafiche dei docenti e ricercatori
di un ateneo e le loro pubblicazioni, sia per quanto riguarda i metadati
bibliografici sia per quanto riguarda i full-text. Si tratta di una modifica
notevole rispetto ai sistemi in uso precedentemente negli atenei italiani,
perché l’institutional repository è un sistema aperto, pubblico e interoperabile
con altri sistemi sia pubblici che privati. Esso si interfaccia per i dati in
uscita con i sistemi del Ministero (ad esempio Loginmiur), con il sistema di
raccolta delle pubblicazioni finanziate dalla Commissione Europea (OpenAIRE),
con sistemi specifici di harvesting di metadati (ad esempio DART Europe per le
tesi di dottorato, DRIVER per i i repository). Per i dati in entrata (import
dei metadati bibliografici) si interfaccia con Scopus (per quegli atenei che
hanno sottoscritto le API specifiche), con Pubmed, con Crossref.
Il passaggio dal
Catalogo di UGov all’institutional repository implica alcune azioni
fondamentali da parte degli atenei. In primo luogo la stesura di una policy che
definisca chi può inserire i dati nella anagrafe pubblica, quali sono le
tipologie accolte e entro quando le registrazioni vanno inserite affinché
l’anagrafe sia sempre aggiornata.
Sempre nella stessa
giornata bolognese, è stato presentato il progetto di adozione a livello
nazionale dell’identificativo ORCID (Open
Researcher and Contributor ID). L’adozione di ORCID a livello nazionale è già stata fatta dal sistema
delle ricerca svedese (Swedish Research Council) e da quello danese, è
raccomandato dal sistema autraliano, dai research councils britannici, dal
sistema finlandese. In Spagna è stato adottato del gruppo di università della
Catalogna, in Austria dal FWF per tutti i progetti finanziati. Nella recente
valutazione degli istituti di ricerca portoghesi è stato chiesto a tutti i
ricercatori di crearsi un ORCID. L’iniziativa italiana, portata avanti da
ANVUR, CRUI e CINECA, appare senza dubbio meritoria, ma per essere efficace
necessita di un impegno da parte dei ricercatori (con eventuale supporto da
parte degli atenei). Una volta che l’ORCID è stato creato sarà infatti
necessario utilizzarlo ogni volta che si sottomette un lavoro, e per poter
rendere affidabili eventuali analisi bibliometriche ciascun ricercatore dovrà
unificare e allineare i propri profili nelle banche dati WOS e Scopus (quelle
attualmente più utilizzate) e collegare il proprio profilo ORCID con i profili
delle banche dati. (Fonte: P. Galimberti, http://tinyurl.com/pu4xlmr 17-06-15)
RACCOMANDAZIONI DEL CUN SUL RECLUTAMENTO DEI RICERCATORI
La raccomandazione approvata dal CUN nella
riunione del 28-29 aprile riguarda la necessità di adottare misure che
favoriscano il reclutamento di ricercatori universitari. L’emergenza
determinata dal drammatico calo di personale docente a causa della
diminuzione delle risorse e dai vari
blocchi, totali o parziali, del turn over, rende assolutamente necessarie
politiche di reclutamento di ricercatori. Nella discussione si è anche
evidenziata la necessità di incrementare il numero dei docenti di prima e
seconda fascia.
Il CUN (adunanza del
10-06-15) chiede l’adozione di provvedimenti atti a:
– garantire che i
ricercatori a tempo determinato di tipologia b), che entro la scadenza del
triennio non abbiano potuto partecipare alle procedure di abilitazione per
effetto della mancata indizione delle procedure ASN dal 2013, conservino il
diritto riconosciuto dall’art. 24, comma 5, della l. n. 240/2010 ad essere
valutati ai fini dell’inquadramento nel ruolo di professore associato, in caso
di conseguimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, purché presentino
immediatamente domanda alla riapertura delle procedure;
– consentire agli
Atenei il mantenimento in servizio dei suddetti ricercatori fino alla
valutazione ai fini della chiamata in ruolo riservando le risorse necessarie
per il relativo inquadramento. (Fonte: Sito CUN Provvedimenti)
RIFORMA DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA (EPR)
INSERITA NEL DDL CHE DELEGA IL GOVERNO A RIORGANIZZARE LA PA
Su una riforma attesa
da anni, incombono almeno tre nuvole nere: i tempi dell’entrata in vigore,
alcuni contenuti del provvedimento e la sua costituzionalità. Per questo caso è
vero che il tempo è denaro, anche perché ogni ritardo sulla riforma si traduce
in un ritardo per sfruttare al meglio i pur ingenti finanziamenti Ue agganciati
ad Horizon 2020, il programma di aiuti comunitari alla ricerca in vigore dal
2014 e che, appunto, scadrà alla fine del 2020. Se, come si pronostica, la
legge fosse approvata entro l’estate, si rischierebbe, comunque, di attendere
la fine del 2016 per produrre effetti, senza contare eventuali altri mesi per
gli adempimenti. In pratica ogni settimana spesa nel dibattito parlamentare si
traduce in soldi persi per finanziare la ricerca. Rimane anche aperto il
problema della ridefinizione delle carriere dei ricercatori degli Epr.
Dato che in Italia ci sono
ancora almeno tre disomogeneità tra ricercatori delle università, degli Epr e
del privato, intenzione del Governo sarebbe sbrogliare la matassa andando a
regolare, per legge, i rapporti di lavoro; una scelta di metodo cui si
oppongono i sindacati che vedono bypassata la contrattazione collettiva.
Infine il terzo problema riguarda il dubbio di costituzionalità: il testo, per ora, affida all’Esecutivo la
“semplificazione della normativa riguardante gli Epr e il suo coordinamento con
le migliori pratiche internazionali” ed è su questo che i tecnici di
Montecitorio hanno obiettato: “il principio indicato”, scrivono, “appare
eccessivamente generico”; in particolare, “visto che il principio si riferisce
al coordinamento con le migliori pratiche internazionali, al fine di rendere
comparabile l'attività degli Epr anche a livello internazionale, occorrerebbe
chiarire se si intende richiamare il sistema di valutazione degli enti di
ricerca". (Fonte: P. Romano, CorSera 05-06-15)
GENIUSLAB. PORTALE ONLINE PER DARE AI
RICERCATORI L'OPPORTUNITÀ DI COMUNICARE E DIFFONDERE I PROPRI PROGETTI
Da oggi nella
ricerca è tutto più semplice grazie a GeniusLab, il portale online che è
finalmente attivo e consultabile. Smart Italy, associazione che promuove la
cultura del digitale e sostiene il talento italiano, ha presentato il sito
geniuslab.org, piattaforma che raccoglie i profili, le storie e i progetti di
ricerca delle menti più brillanti in ambito scientifico e permette loro di
condividere il sapere accademico, confrontarsi e promuovere il proprio operato. GeniusLab è
stato ideato e creato in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia,
il Consiglio Nazionale delle Ricerche, i
Politecnici di Milano, Torino, Bari e l’Università Politecnica delle Marche.
Gli ambiti di studio cui GeniusLab si riferisce spaziano all'interno di uno
spettro molto ampio: dalla robotica alle energie rinnovabili, dall'ingegneria aerospaziale
all'architettura e al design. Sono più di 80 i ricercatori attivi nelle 22 aree
di ricerca che vedono in testa la specializzazione in Information and
Communication Technology (ICT) seguita da Nanotechnology. GeniusLab è uno
strumento pensato per far emergere le migliori storie di Ricerca e fungere da
piattaforma dove si incontrano ricercatori e aziende attraverso un linguaggio
tale che permetta alle storie di essere percepite da un ampio pubblico. Lo
sforzo che si chiede ai ricercatori è quello di incontrarsi su questo portale,
scambiarsi esperienze e di renderlo estremamente leggibile alla maggior parte
di persone. (Fonte: geniuslab.org 26-05-15)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. NASCITA DELLA
BIBLIOMETRIA
L’uso della
bibliometria nella valutazione della ricerca prende le mosse nella seconda metà
del secolo scorso. Il chimico e imprenditore statunitense Eugene Garfield, dopo
aver fondato nel 1954 la Eugene Garfield Associated, nel 1964 istituisce
l’Institute for Scientific Information (ISI) con lo scopo di ideare gli
strumenti e studiarne i possibili usi per servizi di valutazione a enti
istituzionali e non solo, tanto nel settore pubblico che in quello privato. Nel
1992 Garfield vende la ISI alla famosa multinazionale Thomson Reuters. Dal 1964
ad oggi la ISI si è trasformata in uno dei più importanti e autorevoli
fornitori di servizi legati agli studi bibliometrici: una vera e propria
agenzia che offre consulenze a pagamento su scala transnazionale, con uffici
sparsi in tutto il mondo. Il lavoro svolto dalla ISI è stato reso possibile
grazie alla creazione di particolari database che raccolgono dati e metadati di
riviste selezionate da questa stessa compagnia. Queste banche di informazioni,
tra loro molto differenti, variano in relazione al campo disciplinare da
analizzare; la prima a essere stata realizzata da Garfield è il SCI (Science
Citation Index), che ricopriva circa seicento giornali scientifici. Dopo questo
primo esperimento, che elaborava esclusivamente discipline scientifiche, l’ISI
ha iniziato a lavorare sulle pubblicazioni di scienze sociali e scienze umane:
nel 1973 è stato fondato il SSCI (Social Science Citation Index), e nel 1978 il
A&HCI (Art and Humanities Citation Index). Nel 2009, dopo che la ISI è
diventata proprietà della Thomson Reuter, tutti e tre i database (SCI, SSCI e
A&HCI) sono stati trasformati in versione elettronica chiamata Web of Science
(WoS). Continuando l’esplorazione degli strumenti sviluppati da Garfield per
valutare il lavoro nel mondo accademico e della ricerca, non possiamo non
parlare dello strumento Impact Factor (IF), un indicatore sviluppato
all`interno del progetto Journal Citation Reports definito da Garfield «uno
strumento bibliometrico per stimare la rilevanza di un giornale scientifico»
(Garfield, 1972). La valutazione dell’impatto di un giornale accademico
all`interno della comunità scientifica è calcolato dividendo il numero totale
delle citazioni ricevute in un dato anno dai contributi pubblicati nel giornale
nel biennio precedente per il numero delle «original research» e dei «review
articles» pubblicati nei due anni precedenti. Siamo nel mezzo di una vera e
propria moltiplicazione degli strumenti di misurazione che si accompagna a
quella dei suoi risultati: in questo ricco scenario non c’è più un unico
standard valido una volta per tutte. Si tratta di un eterogeneo panorama che
mostra tutta l’artificialità e l’arbitrarietà della nuova misura che, a seconda
dei processi di selezione, degli indicatori o dell`algoritmo scelto, rileva
differenti gradi e valori. (Fonte: P. Do, http://tinyurl.com/n9m5udo 06-06-15)
LA CONTRADDIZIONE DI DESTINARE PARTE INGENTE
DELLE ESILI RISORSE STATALI PER "CONTROLLARE" LA RICERCA, MENTRE IL
"FARLA" È ALLO STREMO
La comunità
scientifica dovrebbe restituirsi almeno la capacità di opporsi a quella che mi
sembra la più cruenta delle contraddizioni alimentate dalla pur legittima
volontà di accertare la qualità scientifica delle università italiane: l'aver
impegnato una quota considerevole delle più che mai esili risorse che lo Stato
riesce oggi a destinare alla ricerca per «controllare» la ricerca, mentre il
«farla» è ormai ridotto allo stremo, specialmente nel settore umanistico. Posso
confortare personalmente questa affermazione: sto per ricevere un rimborso per
aver «valutato» la ricerca di alcuni colleghi, ma sono ormai anni che non
ricevo rimborsi né per la partecipazione a congressi né per aver prodotto
ricerca frequentando biblioteche, essendosi di fatto estinte tutte le
possibilità di accesso ai fondi di ricerca per chi coltiva ricerche non toccate
dal demone del mercato.
A livello locale la
tendenza a disperdere le poche risorse a disposizione degli atenei assume poi
connotazioni ancor più aberranti. In nome degli accorpamenti delle antiche
facoltà nei nuovi dipartimenti, molte università stanno infatti destinando
ingenti risorse a faraoniche ristrutturazioni degli spazi interni all'insegna dell'antico principio del cuius
regio eius et religio. Quelle stesse università non distribuiscono da tempo un
centesimo per finanziare quelle ricerche «di base» che mai otterranno un
finanziamento statale e tantomeno privato, e che sono da sempre il volano della
crescita delle conoscenze. Oltre al danno economico, questa realtà genera
frustrazioni e demotivazioni: sentimenti che confliggono con la pur indomita
volontà che ancora alberga in molti di noi di concorrere ad accrescere la
cosiddetta «competitività» dell'università di appartenenza, cioè a compiere nel
migliore dei modi il nostro dovere, senza che ci venga minacciata alcuna
pagella. (Fonte: A. Iurilli, Gazzetta del Mezzogiorno 11-06-14)
UN DDL PER CONSENTIRE AI RICERCATORI ABILITATI
DI PARTECIPARE AI CONCORSI PER RTDB
Secondo la L. 240/10,
esistono due tipi di RTD (“a” e “b”) e che per accedere a posti RTDb è
necessario aver usufruito di i) un contratto RTDa, oppure ii) di tre anni di
assegni di ricerca bandititi prima dell’entrata in vigore della legge 240.
Condizione che andava ad includere anche i titolari di “nuovi” assegni (post L.
240) secondo una indicazione MIUR in data 6 agosto 2014 (prot. MIUR 0021700) in
risposta a un quesito allora posto dall’Università di Roma “Sapienza”. Fino ad
arrivare alla sede TAR in cui prevale l'interpretazione più restrittiva: gli
assegnisti post legge 240 sono esclusi. In questo scenario, la recente stesura
(19/5/2015) del DDL S. 1873 recepisce la
condizione di stallo che si sta generando in coincidenza della mancanza di
figure “aventi titolo” (a fronte del numero di “aventi altri titoli”) per
l’accesso alle posizione RTDb. Ovvero, dal punto di vista formale, ci sono
pochi RTDa o assegnisti pre-240, che possono accedere ai bandi RTDb, mentre,
dal punto di vista del curriculum e delle competenze scientifiche, ci sono
numerosi ricercatori con le carte più che in regola per un ingresso in quel
ruolo. Tuttavia proprio per l’attuale impianto normativo a questi ultimi non è
permesso neppure di partecipare ai concorsi RTDb: neppure nel caso avessero una
abilitazione a I o II fascia. Il DDL S. 1873 si propone quindi di superare tale
nonsenso, consentendo agli abilitati la partecipazione ai bandi per RTDb. La soluzione di consentire l’accesso ai concorsi
RTDb a quanti in possesso di abilitazione è certo una misura positiva, ma solo
come misura ponte nelle more di una sistemazione non più rinviabile
dell’assetto giuridico dei ruoli universitari e in particolare di un riordino
delle figure poste all’inizio della carriera: assegni di ricerca e ricercatori
a tempo determinato. (Fonte: A. Pezzella, http://tinyurl.com/o5c42c3 12-06-15).
Nell'articolo di cui al link vi è in coda un esteso dibattito che finora (29
giugno) mostra 178 interventi e repliche.
BANDO SIR. DECINE DI PROGETTI DI RICERCA
CERTIFICATI “ECCELLENTI” SCARTATI PER LA RISTRETTEZZA DEL BUDGET
Il limite autentico
del bando SIR (un bando promosso dal MIUR nel gennaio 2014 con l'esplicita
intenzione di supportare “l'indipendenza scientifica dei giovani ricercatori”)
è l'estrema ristrettezza del budget. In questo modo, decine di progetti di
ricerca certificati per ben due volte come “eccellenti” dallo stesso Ministero
hanno dovuto forzosamente essere scartati.
In una lettera al Presidente
del Consiglio Renzi un ricercatore ha rilevato: «Tale situazione è
particolarmente grave e ingiusta nel caso di quei giovani ricercatori non
strutturati che, come me, collaborano da molti anni – nel mio caso quasi un
decennio – alla sopravvivenza dell'Università pubblica e che potranno, a questo
punto, soltanto emigrare. Io stesso avevo fortunatamente provveduto a
presentare alcune domande all'estero alcuni mesi or sono, non confidando più
nelle forze di un'istituzione al collasso.
Lei, signor Presidente,
ha più volte lamentato l'oggettivo degrado dell'accademia italiana e delle sue
pratiche corporative. Proprio per questa ragione, mi permetto di chiederle: una
volta appurata l'esistenza di alcune giovani “eccellenze” all'interno di una
sistema malato, non è forse opportuno utilizzarle come “anticorpi” da iniettare
a beneficio di tutti? A tale scopo, basterebbe integrare la cifra fin qui
stanziata, dando priorità, ovviamente, alla difficile condizione dei
ricercatori precari. E' doveroso ricordare che mentre in passato il MIUR aveva
dedicato annualmente un budget specifico a questo tipo di bandi (prima
denominati bandi FIRB), nel 2015 nulla è stato concesso. Tale scelta può in
parte attribuirsi alla lunga durata delle procedure di valutazione del SIR
2014. Ma non è certo tardi per rimediare, prendendo atto dell'infelice stato di
cose venutosi a creare.
Sono più che sicuro
che la mia esperienza sia analoga a quella di tanti altri colleghi di tutte le
aree disciplinari, ugualmente “eccellenti”. Persone che ogni giorno vedono un
indegno spreco di danaro attanagliare il nostro Paese e frenarne lo sviluppo,
in ossequio a logiche di corruzione, malavita e immobilismo gerontocratico. Un
Paese così, se non ha il coraggio di scommettere sulle leve più dinamiche della
Ricerca e dell'Innovazione, è destinato a restare (umanamente ed economicamente)
povero». (Fonte: da una lettera di F. Turone al Presidente del Consiglio Renzi
pubblicata da Roars 16-06-15)
BANDO SIR. OLTRE 50 RICERCATORI PROPONGONO DI
ALLARGARE IL FINANZIAMENTO DEL BANDO ALMENO A TUTTI I PROGETTI VALUTATI CON IL
MASSIMO DEI VOTI NELLE DUE FASI DI PEER-REVIEW
In seguito al bando
ministeriale SIR 2014 (un bando promosso dal MIUR con l'obiettivo di finanziare
i progetti di ricerca dei giovani studiosi più meritevoli) dopo una selezione
durissima, solo 216 su 5250 progetti sono stati ammessi alle audizioni finali,
avendo ricevuto un giudizio di eccellenza nelle due fasi della valutazione
internazionale. Si tratta del 4,3% del totale, una percentuale inferiore a
quella dei più severi bandi europei. Nonostante ciò, dopo lo svolgimento delle
audizioni, più di 70 progetti sono stati declassati ed esclusi dal
finanziamento. In proposito oltre 50 ricercatori hanno scritto una lettera al
Presidente del Consiglio Renzi e al Ministro Giannini dove si mette in evidenza
che risulta discutibile il downgrading dei progetti dalla categoria A alla categoria
B sulla sola base dell’audizione: una procedura non menzionata nell'Art. 7
comma 9 del bando. Inoltre, notano i ricercatori, un altro elemento rende
altamente inefficiente l’applicazione di soglie di selezione troppo basse. Una
grande frazione dei PI di progetti rigettati, pur essendo stata riconosciuta da
due referaggi MIUR come altamente meritevole, sarà probabilmente costretta ad
abbandonare il mondo della ricerca, oppure ad emigrare. Il costo sostenuto
dallo Stato Italiano per formare ricercatori così competitivi e meritevoli può
essere facilmente stimato nell'ordine del milione di Euro a ricercatore
(sommando il costo dei corsi universitari, del dottorato di ricerca, di diversi
anni di post doc e delle strutture di ricerca utilizzate nel tempo). In altre
parole, lo Stato Italiano potrebbe ritrovarsi nell'assurda condizione di aver
speso cifre rilevanti allo scopo di formare studiosi formalmente riconosciuti
come “eccellenti”, ma in ultimo indirizzati verso centri di ricerca stranieri. Una
via percorribile per alleviare i problemi sinteticamente esposti in questo
documento sarebbe quella di allargare il finanziamento del bando SIR 2014
almeno a tutti quei progetti valutati con il massimo dei voti nelle due fasi di
peer-review (top 4%). (Fonte:
http://www.roars.it/online/lettera-al-ministro-a-proposito-del-bando-sir/
03-07-15)
RIFORMA UNIVERSITARIA
TRASFORMARE LE UNIVERSITÀ IN FONDAZIONI.
L'ESEMPIO DEL GIAPPONE
Qualche anno fa le
Università nazionali in Giappone sono state trasformate da un giorno all’altro
in fondazioni (kokuritsu daigaku hōjin) e non è successo niente di grave. Esse
funzionano ora su per giù come funzionavano prima, senza grosse semplificazioni
né complicazioni. La straordinaria efficienza delle Università giapponesi – se
comparata alla nostra – è rimasta straordinaria.
Se un collega
giapponese ha bisogno di un collaboratore adesso che è in una fondazione,
esattamente come prima quando era nella PA, sceglie chi vuole e stipula in 10
minuti un contratto con i propri fondi di ricerca, se deve comprare un computer
lo acquista in negozio o sul web dove costa meno e dove glielo consegnano
prima, se deve rimborsare una missione a un collaboratore chiede una nota spesa
e poi apre il cassetto e rimborsa in contanti seduta stante.
Per di più, adesso
come prima, il cassetto della scrivania con i soldi per i rimborsi non è
nemmeno chiuso a chiave e neanche la porta dell’ufficio, perché nessuno si
sogna di rubare né nella PA né in una fondazione.
In Giappone,
nonostante i gravi problemi di indebitamento pubblico, le Università-fondazioni
di oggi, esattamente come le Università-PA di ieri, non hanno i controlli preventivi
di legittimità della Corte dei Conti, il bilancio unico, la tracciabilità dei
flussi finanziari, le limitazioni di turnover, i punti-organico, la PEC, la
fattura elettronica obbligatoria, la SUA, la VQR, l’ASN, il mercato elettronico
della PA, lo split payment e tutte le altre sciocchezze che abbiamo inventato
noi negli ultimi anni in nome della Legalità.
L’unica cosa di cui
i colleghi giapponesi si lamentano a causa dell’ingresso dei privati e delle
grandi industrie nei consigli di amministrazione delle loro
Università-fondazioni è il fatto che la libertà di ricerca e di insegnamento è
stata significativamente limitata. Ma questo non è poi un grosso problema: loro
mica ce l’hanno fra i principi fondamentali della Costituzione la libertà di
ricerca e di insegnamento.
Di fatto quindi con
la trasformazione delle Università in fondazioni è sì cambiata la governance,
ma per il resto non è cambiato molto. Loro però sono Giapponesi, ovvero un
popolo che per cultura e tradizione è capace di darsi regole chiare e di farle
rispettare. Noi Italiani no, in queste cose proprio non siamo portati e,
infatti, abbiamo già dato ampia dimostrazione di ciò che siamo capaci di fare
con le fondazioni, in campo politico, bancario, culturale e delle
amministrazioni locali. (Fonte: N. Casagli, Roars 26-05-15)
CONSIDERAZIONI SULLA "USCITA DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE"
PER LE UNIVERSITÀ
È stato pubblicato il Rapporto Finale della US Task Force on
Federal Regulation of Higher Education sulla ricalibrazione dei regolamenti
delle università e dei college.
Il Report è frutto di un’iniziativa bipartisan
partita due anni fa. La sua lettura suggerisce alcune utili considerazioni.
1. Anche in uno Stato (gli Stati Uniti) in cui
il “diritto amministrativo” assolve ad un ruolo, sia per ambiti che per regole,
molto differente e limitato, rispetto a quello che gli è proprio nel nostro
sistema, e in cui le Università hanno spesso veste che noi diremmo “privata”,
si verificano eccessi di regolazioni. Ciò a dimostrazione che le regolazioni
scaturiscono non tanto dalla natura del soggetto, ma dalla funzione esercitata
e anche dall’intervento diretto e indiretto della parte pubblica. Nemmeno negli
Stati Uniti è immaginabile una università che opera senza bisogno di interventi
pubblici e questi portano con sé regole, e nemmeno poche. Al punto che i
fenomeni di ipertrofia burocratica si osservano anche nell’esperienza
statunitense.
2. Negli Stati Uniti si sono resi conto del
“peso” del problema, riconoscendo in particolare che l’eccesso di regolazione
può diventare una barriera all’innovazione, come già rilevato dall’OCSE che da
tempo mette in guardia su questo aspetto.
3. Che sia stata riconosciuta la rilevanza del
problema e la sua capacità di essere ostacolo all’efficienza delle università,
è testimoniato dalla natura bipartisan dell’iniziativa.
Sono considerazioni che potrebbero tornare
utili, in particolare, agli aspiranti riformatori di casa nostra, fiduciosi nei
poteri taumaturgici dell’ennesima bacchetta magica che prende il nome di
“uscita dalla Pubblica Amministrazione”. Ma come dimostrano gli Stati Uniti,
quelli veri e non quelli immaginari di tanti editorialisti nostrani, per
disboscare la burocrazia inutile, più che la fede nella magia, ci vogliono
determinazione e lavoro serio. (Fonte: Redazione Roars 15-05-15)
USCITA DELL'UNIVERSITÀ DALLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE? UN'ALTERNATIVA RAGIONEVOLE
In un documento
non si sa quanto ufficiale del PD riferentesi alla c.d. Buona Università ha
suscitato molto interesse la frase «Restituire autonomia agli Atenei con
l’uscita dell’università dal campo di applicazione del diritto amministrativo
(cioè dalla pubblica amministrazione)». Nicola Casagli su Roars online ha
tratto lo spunto da questa asserzione per proporre invece la possibilità di
"mantenere l’attuale natura giuridica delle Università statali, eliminando
semplicemente alcuni dei vincoli impropriamente introdotti". Di seguito si
prova a sintetizzare gli argomenti essenziali del lungo articolo.
Secondo il
previgente Sistema Europeo dei Conti SEC95 l’impatto su disavanzo e debito
veniva considerato significativo nei casi in cui i ricavi per proprie
prestazioni di servizi non riescano a coprire una quota superiore al 50% dei
costi di produzione. Di fatto questo non è il caso per molte Università statali
oggi. Il fatto poi che le Università non siano menzionate nemmeno una volta
nelle 235 pagine che costituiscono il Manuale SEC95 del disavanzo e del debito
pubblico, è forse la migliore dimostrazione che forse esse non c’entrano niente
con il sistema europeo di conti economici integrati. Se poi si considera il
nuovo SEC2010 – vigente in Italia dallo
scorso anno –, la principale innovazione risiede nel fatto che le spese per
ricerca e sviluppo (R&S) sono ora riconosciute come una “spesa di
investimento” da cui origina la creazione di prodotti della proprietà
intellettuale. Pertanto le spese di R&S diventano parte della domanda
finale e contribuiscono quindi al Prodotto Interno Lordo (PIL), mentre in
precedenza erano considerate come “costo intermedio” dell’unità economica che
la effettuava. Quindi adesso se un’Università riesce ad attrarre più studenti e
a fare ricerca e innovazione con maggiori risorse su progetti, il risultato è
che aumenta il PIL e assolutamente non si genera né disavanzo né debito. Non ci
sono pertanto ragioni né giustificazioni per imporre assurde regolamentazioni
per il controllo della spesa, o per limitare l’accesso dei capaci e meritevoli
alla formazione superiore e alla ricerca, a meno che l’intento non sia quello
di deprimere il PIL.
Nell’elenco ISTAT
della PA erano finite anche le società di diritto privato che godono di
prevalente o esclusivo finanziamento pubblico. Ma questo avrebbe bloccato il
grande evento dell’Expo di Milano, che pare strategico per la ripresa del
Paese, per cui tutti abbiamo fatto straordinari sacrifici.
Noi
universitari in primis, con il taglio del 20% del Fondo di Finanziamento
Ordinario disposto dal DL 25 giugno 2008, n. 112 (poi Legge 6 agosto 2008, n.
133) e con il blocco ormai quinquennale delle progressioni stipendiali imposto
dal DL 31 maggio 2010, n. 78 (poi Legge 30 luglio 2010, n. 122) e successive
reiterazioni. Per mettere una pezza al problema dell’Expo 2015 è
tempestivamente arrivata la Legge 23 dicembre 2014, n. 190 – cosiddetta Legge
di Stabilità 2015 – che con l’art.1 comma 547 (sic) si premura di specificare: Le norme di contenimento delle spese per
l’acquisto di beni e servizi nonché quelle limitative delle assunzioni di
personale, anche con forme contrattuali flessibili, previste dalla legislazione
vigente a carico dei soggetti inclusi nell’elenco dell’Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma
2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non si
applicano, fino al 31 dicembre 2015, alla società Expo 2015 Spa, in
considerazione del suo scopo sociale. Non si potrebbe semplicemente fare lo
stesso per le Università? Modificando lo stesso comma nella prossima legge di
stabilità, così: Le norme di contenimento delle spese per
l’acquisto di beni e servizi nonché quelle limitative delle assunzioni di
personale, anche con forme contrattuali flessibili, previste dalla legislazione
vigente a carico dei soggetti inclusi nell’elenco dell’Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma
2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, non si
applicano alle Università e agli Enti di Ricerca in considerazione del loro
scopo sociale, del loro ordinamento autonomo riconosciuto dalla Costituzione e
dalla Legge, nonché del concorso al benessere e allo sviluppo economico e
sociale della Nazione connesso alle loro attività istituzionali di formazione,
ricerca, sviluppo e innovazione. (Fonte: N. Casagli, Roars 29-05-15)
CHE COSA SONO LE UNIVERSITÀ. RIMANGANO NELLA PA
MA SI APPLICHINO LE LEGGI ESISTENTI
Nicola Casagli, nel suo
terzo articolo sulle ventilate prospettive di far uscire l'università dalla
pubblica amministrazione per liberarla da vincoli impropri, arriva a una
conclusione che qui si sintetizza.
Le Università sono enti pubblici non statali a
ordinamento autonomo,
in molti casi non godono ormai più di prevalente finanziamento pubblico, non
impattano sul debito né sul disavanzo ma anzi contribuiscono alla crescita del
PIL secondo il vigente SEC2010, devono operare ispirandosi a principi di
autonomia e di responsabilità, si danno propri statuti e regolamenti, eleggono
o nominano autonomamente i propri organi e rappresentanti, non sono controllate
né vigilate dal Ministero. Un po’ tutti chiedono di essere esclusi dai vincoli
della Legge di contabilità e finanza pubblica del 31 dicembre 2009, n. 196, dal
famigerato elenco ISTAT e, soprattutto, da tutte le sciagurate norme a esso
ricollegate, cercando condizioni speciali per rimanere nella PA.
Noi universitari
dovremmo essere i primi a pretendere un trattamento speciale all’interno della
PA proprio in forza delle prerogative speciali garantite dalla Costituzione,
dalla Legge, dal buon senso e dalla necessità di non porre inutili freni allo
sviluppo economico, sociale, civile e culturale del nostro Paese. Quello che
veramente sarebbe necessario per liberare l’Università dai vincoli impropri
della PA sarebbe un semplicissimo articoletto di legge così formulato:
"Nel rispetto dei principi di autonomia stabiliti dall’articolo 33 della
Costituzione e specificati dalla legge, le università sono disciplinate, oltre
che dai rispettivi statuti e regolamenti, esclusivamente da norme legislative
che vi operino espresso riferimento". Per chiarire bene una volta per
tutte ai burocrati ministeriali il concetto di autonomia, sarebbe inoltre
assolutamente indispensabile specificare in fondo: "È esclusa
l’applicabilità di disposizioni emanate con circolare". Ma questo c’è già:
è esattamente l’art. 6 comma 2 della Legge 9 maggio 1989, n. 168. Grazie ad
Antonio Ruberti.
In conclusione, a ben
vedere, la cosa migliore da fare è proprio di lasciare tutto com’è, senza
introdurre alcuna nuova norma e pretendendo semplicemente l’applicazione delle
leggi che già ci sono. (Fonte: N. Casagli, Roars 08-06-15)
CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI DECLINATO AD HOC
PER LE UNIVERSITÀ, "MA SOLO PER LE FIGURE PRE-RUOLO"
Governo e Pd
starebbero ragionando a una sorta di contratto a tutele crescenti da applicare
alle "figure pre-ruolo" negli Atenei, per semplificare il quadro tra
assegnisti, collaboratori e ricercatori di vario tipo e prendere di petto il
tema del precariato. Ma il Jobs act "non c'entra nulla" con la
riforma dell'Università. A dirlo è la senatrice Pd Francesca Puglisi, che
risponde alla dura presa di posizione dei candidati rettore dell'Alma Mater di
Bologna contro il progetto di riforma universitaria. Forse però il timore dei
candidati rettore di vedere applicato il Jobs act al sistema universitario ha
un qualche fondamento. "E' innegabile che oggi c'è bisogno di una
razionalizzazione delle figure pre-ruolo negli Atenei - spiega Puglisi - tra contratti
di collaborazione, assegnisti e ricercatori di tipo A e B c'è un'enorme
precarietà. E su questo nei documenti si sta lavorando". Secondo la
senatrice Pd, responsabile Scuola nella segreteria dem di Renzi, "gli
Atenei vanno liberati da troppi vincoli che generano precarietà". Per
questo, "stiamo riflettendo su un contratto che permetta di selezionare il
merito e la qualità dei ricercatori, ma garantisca anche maggiore
stabilità". Insomma, una sorta di contratto a tutele crescenti declinato
ad hoc per le università, "ma solo per le figure pre-ruolo" che
generano precarietà". Per questo, "stiamo riflettendo su un contratto
che permetta di selezionare le figure pre-ruolo". (Fonte: http://tinyurl.com/pqb3kcx
12-06-15)
STUDENTI
TEST D'INGRESSO, DAL
6 LUGLIO LE ISCRIZIONI. SELEZIONI PER MEDICINA, ODONTOIATRIA, PROFESSIONI
SANITARIE, MEDICINA VETERINARIA E ARCHITETTURA
Per chi vuole frequentare uno dei corsi universitari a
numero chiuso scattano il 6 luglio le iscrizioni ai test che saranno a
settembre, e i mesi estivi offrono un'importante occasione per prepararsi al
meglio ad affrontarli. Si comincia venerdì 4 settembre con la prova di
ammissione alle professioni sanitarie presso le sedi universitarie. Per
medicina e chirurgia e odontoiatria, invece, il test si svolgerà martedì 8
settembre; mercoledì 9 settembre sarà la volta di medicina veterinaria, mentre
il giorno dopo, il 10, si terranno le selezioni per chi vuole iscriversi ad
architettura, e il 16 l'appuntamento è per medicina e chirurgia in lingua inglese.
I test di scienze della formazione primaria, infine, avranno luogo venerdì 11 settembre.
I posti in palio sono 9.513 per medicina e chirurgia, 792
per odontoiatria, 717 per medicina veterinaria e 7.802 per architettura fissati
dai decreti emanati il 3 luglio dal MIUR. Lo scorso anno le candidature sono
state oltre 170.000 in totale: 63.000 per medicina e odontoiatria, 85.000 per
le professioni sanitarie, 6.700 per medicina veterinaria, quasi 12.000 per
architettura e circa 5.000 per scienze della formazione primaria.
I decreti emanati dal MIUR hanno confermato la struttura
della prova, che prevede 60 quesiti a risposta multipla con una scelta esatta
tra 5 possibilità proposte, e 100 minuti di tempo a disposizione per rispondere
al maggior numero possibile di domande.
La struttura del test subirà delle modifiche rispetto a
quella dell'anno scorso. Nella prova sale il peso delle materie d'indirizzo,
mentre scende il peso della cultura generale. Per quest'ultima le domande
scendono da 4 a 2, quelle di ragionamento logico da 23 a 20, mentre salgono da
15 a18 le domande di biologia, da 10 a 12 quelle di chimica. Confermate le 8
domande di matematica e fisica. La stessa struttura è prevista anche per il test
dei corsi di medicina in lingua inglese. Il test di ammissione a medicina
veterinaria prevede 2 domande di cultura generale (erano 4), 20 di logica
(erano 23), 46 di chimica (erano 14), 16 di biologia (erano 13), mentre restano
6 quelle di fisica e matematica.
Il sistema di calcolo dei punteggi, tranne scienze della
formazione primaria, prevede che ogni scelta esatta varrà 1 punto e mezzo, un
quesito lasciato in bianco 0 punti, ma una risposta errata sottrarrà 0,4
preziosissimi punti dal calcolo finale. Nel dubbio, allora, meglio lasciare in
bianco qualche domanda piuttosto che rischiare di perdere posizioni in
graduatoria. (Fonti: businessonline.it 01-07-15; F. Barbieri, A. Curiat, an.
cu., IlSole24Or 06-07-15)
STUDENTI. IL NUOVO ISEE RIDUCE LE BORSE DI STUDIO
Il nuovo Isee potrebbe diventare uno tsunami
sulle borse di studio degli universitari. Le organizzazioni studentesche lo
avevano denunciato, ma ora ci sono i numeri a dimostrarlo. Arrivano dalla
Toscana, sicuramente una delle Regioni più benestanti d'Italia dove però ci
sono anche moltissimi fuori sede: il prossimo anno rischiano di perdere la
borsa di studio o subire decurtazioni il 14% degli studenti che nel 2015 erano
stati reputati abbastanza "poveri" da avere diritto a un aiuto. I
calcoli li ha fatti l'Istituto regionale programmazione economica (Irpet)
secondo cui solo il 63% degli aventi diritto con il nuovo Isee sarà comunque
incluso senza cambiare fascia. Piccola invece la percentuale di chi avrà un
miglioramento: Il 7%, o perché l'anno precedente erano stati esclusi (1%) o
perché avranno un aumento dell'importo della borsa di studio (6%). (Fonte: C.
Gubbini, universita.it 14-05-15)
ANCORA IN ATTESA DAL 28 FEBBRAIO DELL'EMANAZIONE
DEL DECRETO “INDICATORI ISEE E ISPE E IMPORTO MINIMO BORSE DI STUDIO PER L’A.A.
2015-2016"
Posto che nulla è cambiato
sul fronte del DSU, né sotto il profilo del finanziamento né sotto il profilo
normativo, ci si aspetterebbe che si adempiesse almeno alla “ordinaria
amministrazione”. Il DPCM 9 aprile 2001 sancisce che entro il 28 febbraio di
ogni anno venga emanato il DM di aggiornamento dei limiti massimi dell’ISEE e
ISPE per accedere alla borsa e degli importi minimi della borsa di studio – si
definiscono minimi perché le Regioni non possono stabilire degli importi
inferiori a quello ministeriale. Ad oggi, nessun DM è all’orizzonte. La
ripercussione negativa sugli studenti è presto detta: gli organismi regionali
per il DSU che stanno approvando (o hanno già approvato) i bandi per l’a.a.
2015/16, in assenza del DM di aggiornamento, lasciano invariati gli importi minimi
di borsa e le soglie ISEE e ISPE dell’anno precedente. In breve, senza
l’aggiornamento all’inflazione, né è incrementato l’importo minimo di borsa né
sono alzate le soglie di accesso alla borsa. In particolare per il prossimo
anno accademico, in cui la riforma ISEE impatterà negativamente sulla platea
degli idonei – secondo alcune stime ne determinerà una contrazione -, sarebbe
particolarmente opportuno che gli enti fissassero il limite ISEE al massimo
valore consentito dalla normativa. Speriamo che non si replichi la storia dello
scorso anno, quando il decreto “Indicatori ISEE e ISPE e Importo minimo Borse
di studio per l’a.a. 2014-2015” fu emanato il 14 luglio (DM 14 luglio 2014 n.
553)! (Fonte: http://tinyurl.com/pwqh6up 17-06-15)
ERASMUS+ MASTER LOANS, INIZIATIVA PER
FINANZIARE PRESTITI AGLI STUDENTI CHE PARTECIPANO A ERASMUS+
L'obiettivo del
piano di prestiti agevolati lanciato dalla Commissione europea e dall'EIF -
European Investment Fund - è finanziare prestiti agli studenti che partecipano
a Erasmus+ e che desiderano ottenere un titolo di secondo livello in uno dei 33
paesi che aderiscono al programma europeo di mobilità, per arrivare al
traguardo di duecentomila ragazzi beneficiari entro il 2020. L'iniziativa,
denominata Erasmus+ Master Loans, prevede
un bando che rimarrà aperto fino al 30 settembre 2020, rivolto a tutte le
istituzioni finanziarie (banche, organismi di credito, istituti di credito) per
partecipare al nuovo sistema di prestiti: i fondi stanziati dall'Ue sono 520
milioni di euro, pari al 3,5% di tutto il budget di Erasmus+. L'impegno
complessivo a cui si vuole arrivare è pari a 3 miliardi di euro.
Ogni anno l'EIF
selezionerà, tra gli istituti che hanno manifestato interesse a partecipare,
quelli più adatti a concedere i prestiti agli studenti. Dall'autunno del 2015
gli studenti potranno fare domanda per accedere al finanziamento, che sarà di
massimo 12 mila euro per corsi di secondo ciclo della durata di un anno e 18
mila euro per corsi della durata di due anni. I prestiti avranno tassi di
interesse più bassi rispetto a quelli di mercato e saranno a restituzione
agevolata. Inoltre tutti coloro
che riceveranno un prestito o una borsa di studio Erasmus+ potranno affidarsi
anche ai consigli di ESAA, la nuova associazione di studenti ed ex-studenti
europei presentata per la prima volta lo scorso 12 giugno a Bruxelles. ESAA
avrà il compito di rappresentare presso le istituzioni UE oltre 3 milioni di
giovani talenti, che da oggi fino al 2020 usufruiranno dei fondi per
perfezionare la propria formazione. ESAA riunisce quattro associazioni già
attive nel campo del supporto agli studenti Erasmus: ESN, GaragErasmus, Oceans
e Erasmus Mundus Association. (Fonti: D. Gentilozzi, rivistauniversitas
14-05-15; F. Vinci, Roars 19-06-15)
TECO – TEST SULLE COMPETENZE EFFETTIVE DI
CARATTERE GENERALISTA DEI LAUREANDI ITALIANI
L’ANVUR (l’Agenzia
di valutazione nazionale per università e ricerca) ha dato avvio alla seconda
edizione della sperimentazione di Teco – test sulle competenze effettive di
carattere generalista dei laureandi italiani. Mentre alla prima edizione, del
2013, hanno partecipato dodici università, a questa seconda edizione ne
aderiscono ventitré, distribuite su tutto il territorio nazionale.
Il test (gemello
del Collegiate Learning Assessment, CLA+, somministrato negli Stati Uniti) è
rivolto agli studenti del terzo anno dei corsi di laurea triennale e laurea
magistrale a ciclo unico che soddisfino determinati requisiti di merito nello
svolgimento della loro carriera universitaria: devono aver ottenuto almeno il
75 per cento (triennali) o 90 per cento (ciclo unico) dei crediti di base e
caratterizzanti previsti dalla classe di laurea.
Lo scopo del test
Teco, identico per tutti i laureandi indipendentemente dal percorso accademico
seguito, è quello di accertare e certificare le competenze generaliste e
trasversali degli studenti: capacità di lettura, di analisi critica, di
argomentazione e comunicazione, di problem solving e così via. Come evidenziato
dal rapporto Teco 2014, al test del 2013 ha partecipato circa il 27 per cento
degli studenti idonei (5.898 studenti su 21.872 idonei), con forti differenze
tra atenei (con un minimo del 13,9 per cento per l’università di Bologna e un
massimo del 64,3 per cento per quella di Udine). Come è facile intuire, i
partecipanti hanno caratteristiche diverse dai non partecipanti e ciò rende
difficile interpretare i risultati del test. (Fonte: M. Di Paola, lavoce.info
21-05-15)
CORSO DI SCRITTURA E DI GRAMMATICA DELLA FRASE
PER STUDENTI DI GIURISPRUDENZA
Eleonora Sirsi,
un'insegnante di diritto a Pisa, in collaborazione con il linguista ed ex
presidente della Crusca Francesco Sabatini, ha rotto gli indugi, stanca di
leggere le tesi scorrette dei suoi allievi. Non imprecise o lacunose sul piano
concettuale, ma deficitarie sul piano della lingua italiana. Anacoluti,
distorsioni, pleonasmi, reggenze sbagliate, sviste lessicali, incapacità di
usare la punteggiatura. Per non dire del deficit grammaticale e sintattico che
emerge dai concorsi pubblici. Un disastro. Ed è significativo che siano i
giuristi a prendere provvedimenti urgenti al riguardo: il fatto è che per un
avvocato, come per un magistrato o per un legislatore, l'uso consapevole e
corretto della lingua non è un capriccio superfluo, ma è parte integrante e irrinunciabile
della pratica professionale. Vale cioè esattamente quanto la conoscenza del
codice penale o di quello civile. Vista la gravità della situazione, si è
trovato un solo provvedimento utile a rimediare alla deriva linguistica:
tornare all'ABC, cioè alle nozioni fondamentali. E allora viene programmato,
per il terzo o per il quarto anno di studio (si partirà dal nuovo anno
accademico), un
corso di scrittura e
di grammatica della frase. Non la retorica o lo stile, ma la grammatica. Quella
che sarebbe indispensabile acquisire nel percorso scolastico, tra le elementari
e il liceo, e che invece viene tranquillamente elusa o trascurata in nome di
altre presunte priorità. Il corso "sarà a scelta libera e darà diritto a
tre crediti. (Fonte: P. Di Stefano, CorSera 02-06-15)
STUDENTI CON CARENZE
D'ORTOGRAFIA ALLE SUPERIORI E ALL'UNIVERSITA ANCHE IN FRANCIA
La guerre contre les fautes d'orthographe gagne aussi
les grandes écoles. Il faut dire que les bacheliers intègrent de plus en plus
souvent l'enseignement supérieur avec un niveau en orthographe tout à fait
insuffisant. À leur décharge, il est vrai que l'exemple vient parfois de haut,
si l'on en juge par les récentes fautes d'accord relevées dans les convocations
aux épreuves du bac et du brevet des collèges dans les académies de Besançon et
de Créteil. Pour remédier aux carences de leurs élèves, les grandes écoles
adoptent des stratégies différentes. Même les universités s'y mettent :
Nanterre et l'université de Bourgogne ont par exemple déployé leur propre dispositif
d'amélioration de l'orthographe de leurs étudiants. À Nanterre, le suivi de ces
cours est obligatoire, alors qu'à Dijon, il reste pour le moment facultatif.
À l'Isen, une école d'ingénieurs installée à Lille,
Brest et Toulon, c'est la certification Voltaire qui a été mise en place depuis
la rentrée 2012. Pour décrocher leur diplôme d'ingénieurs en informatique et
électronique, les étudiants doivent obligatoirement réussir ce test. «Il
fallait faire quelque chose. En corrigeant certains rapports, nous n'arrivions
même plus à comprendre le fond tellement il y avait de fautes d'orthographe»,
affirme Frédérique Grumetz, chef du département formation humaine économique et
sociale de l'école. Selon elle, il en va de la crédibilité de ses élèves sur le
marché du travail: «Nous avons eu le cas d'un maître de stage qui ne voulait
pas embaucher un de nos apprentis, par ailleurs excellent, à cause du niveau de
français», explique-t-elle. (Fonte: Le Figaro 08-06-15)
STUDENTI. IMMATRICOLAZIONI IN CALO
Calo di immatricolazioni
nell'università italiana. Sono state 265.565 nell'anno accademico 2014-2015,
3.500 in meno rispetto alla stagione precedente che aveva fatto registrato una
piccola crescita dopo nove anni di discesa. È il peggior risultato dal Duemila
e nelle ultime dieci stagioni il sistema universitario ha perso oltre 72 mila
iscritti al primo anno (più di un quarto). Il ministero dell'Istruzione
sostiene che nell'ultimo anno accademico «il trend decrescente del recente
passato possa considerarsi ormai superato». Il tenue ottimismo si basa sul
numero di immatricolati di età non superiore ai 19 anni: risale leggermente,
805 studenti in più. Il dossier del servizio statistico del MIUR dice che tra i
diplomati con maturità classica e scientifica è alta l'iscrizione
all'università (rispettivamente 84,4% e 81,4%) mentre crolla all'11,4% tra
coloro che hanno conseguito il diploma professionale. Dalla rilevazione sulle
immatricolazioni emerge complessivamente una più elevata attrattività dell'area
scientifica e dell'area sociale: la prima è preferita dal 49% degli studenti
maschi, la seconda dal 35% delle studentesse. I maggiori iscritti sono al
Nord-Ovest (52,5%), nelle Isole il dato più basso (42,3%). (Fonte: c.z., La
Repubblica 20-06-15)
CALANO LE IMMATRICOLAZIONI SPECIALMENTE AL SUD
I dati pubblicati
dall'Anagrafe nazionale studenti universitari elaborata dal MIUR, benché ancora
provvisori, parlano chiaro: sono sempre meno gli studenti italiani che decidono
di iscriversi all'università. Rispetto a dieci anni fa, infatti, nell'anno
accademico 2014-2015 i diplomati che hanno proseguito gli studi sono diminuiti
del 27,5%. Si tratta di un trend negativo che risulta ancora più drammatico al
Sud: l'Abruzzo è in testa con un calo del 56%; seguono Molise (-52,3%),
Basilicata (-49,4%) e Calabria (-43,8%). I dati inerenti agli atenei siciliani
non smentiscono tale tendenza: dall'anno accademico 2004-2005 all'anno in corso
l'università siciliana ha visto diminuire i suoi immatricolati del 50,7%: se,
infatti, dieci anni fa gli immatricolati erano 28.724, quest'anno, pur con la
presenza di un nuovo ateneo (la Libera Università della Sicilia Orientale
"KORE" con sede a Enna), le matricole sono solo 17.038. L'Università
di Palermo dieci anni fa aveva 11.498 immatricolati; quest'anno invece solo
6.808 diplomati l'hanno scelta per continuare il loro percorso di istruzione:
ciò significa che ha perso 4.690 immatricolati. Stessa sorte hanno avuto
l'ateneo catanese (5.755 immatricolati quest'anno contro i 10.845 del 20042005,
ovvero 5.090 diplomati in meno) e quello messinese, dove mancano all'appello
2.874 matricole (dai 6.296 immatricolati di dieci anni fa ai 3.422 di oggi).
(Fonte: P. Giordano, Quotidiano Sicilia 10-06-15)
NUMERO CHIUSO E FORMAZIONE DI QUALITÀ
Per i corsi di laurea
ad accesso programmato il numero chiuso è strategico per offrire una formazione
di qualità, che deve fare i conti con la disponibilità dei docenti, la capienza
delle aule e dei laboratori, i servizi agli studenti. Il nuovo magnifico
rettore dell'Università di Padova, il medico Rosario Rizzuto, promuove
"l'imbuto". Anche alla luce del caos che si è venuto a creare
quest'anno a Medicina e chirurgia, dove ai 440 posti disponibili stabiliti
dall'Ateneo se ne sono dovuti aggiungere altri 160, frutto di altrettanti
ricorsi vinti al Tar. Dunque, 600 aspiranti medici iscritti al primo anno a
Padova, quando l'Ateneo è tarato per accoglierne 440. «Il diritto allo studio
si deve temperare con il diritto al buono studio. Mi spiego meglio: dobbiamo
tutelare - argomenta Rizzuto, in carica dal primo ottobre prossimo - l'ampiezza
del sapere. Un'Università pubblica non deve operare per formare poche persone
di altissima qualità ma ha il dovere dell'ampiezza. Su questo l'Unione europea
ci sollecita ricordandoci che i laureati dovrebbero essere il 40% della
popolazione. L'Italia è al 22%... Siamo talmente lontani che ci hanno dato un
obiettivo più basso, intorno al 28%. Il problema è che non dobbiamo solo
laureare un buon numero di studenti ma laurearli nella qualità. Ne discuteremo,
ma non possiamo pensare a un'apertura indiscriminata. Non dobbiamo dare un
pezzo di carta ma una buona formazione. Aumentare gli accessi a Medicina così
come ha deciso il Tar è stato un pessimo esempio. È passato il messaggio che si
entra all'Università per via giudiziaria ed è stato messo sotto pressione il
sistema formativo». (Fonte: F. Cappellato, Il Gazzettino 21-06-15)
STUDENTI DI MEDICINA. TRASFERIMENTO DA
UN'UNIVERSITÀ STRANIERA AD UN'UNIVERSITÀ ITALIANA. SENTENZA DEL CONSIGLIO DI
STATO
Con l'attuale e più
favorevole orientamento scaturito dalla sentenza del C.d.S. n. 1 del 28.01.2015
(Adunanza Plenaria), l'obbligo del test di ingresso non è un valido parametro
di riferimento e, pertanto, merita accoglimento l'eventuale richiesta di uno studente
che, iscritto in corso di laurea dell’area medico-chirurgica presso università
straniere, voglia trasferirsi, previo riconoscimento della carriera ed
iscrizione ad anni di corso successivi al primo, presso università italiane.
L'unica valutazione doverosa che rimane in piedi è la valutazione del periodo
di formazione svolto all’estero, con il rispetto del numero di posti
disponibili per trasferimento.
VARIE
UNIMOVE. PER FACILITARE LA MOBILITÀ
INTERUNIVERSITARIA DI DOCENTI
La l. 240/2010
prevede che “La mobilità
interuniversitaria è altresì favorita prevedendo la possibilità di
effettuare trasferimenti di professori e ricercatori consenzienti attraverso lo
scambio contestuale di docenti in possesso della stessa qualifica tra due sedi
universitarie, con l’assenso delle università interessate.” Per
questa ragione e per facilitare la mobilità, Luca Di Gaspero ha realizzato
UniMove: una piattaforma web per la raccolta delle proposte di scambio del
personale docente e ricercatore delle Università italiane ai sensi dell’art. 7
c. 3 della legge 240/2010. UniMove è pensato come facilitatore di contatti fra
persone interessate ad un trasferimento mediante scambio contestuale nello
stretto rispetto della confidenzialità delle informazioni conferite dai proponenti.
Ci si può iscrivere al sito e inserire proposte di scambio al seguente
indirizzo: http://www.unimove.it/
STATO DI SALUTE DELL'UNIVERSITÀ
Il rapporto ANVUR
del 2013, sullo stato di salute dell’università italiana dopo la riforma
Berlinguer del 3+2, ha rilevato che i problemi cronici che interessano gli
assetti politico-istituzionali del mondo accademico permangono in un confronto
impietoso con gli altri Paesi europei. Il dato positivo che emerge da questa
relazione è che dal 1993 al 2012 si è verificato un notevole aumento del numero
dei laureati dal 5,5 al 12,7% sulla popolazione in età di lavoro; addirittura
tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni la percentuale aumenta
vertiginosamente dal 7,1 al 22,3%. Questo dato rivela che il sistema
universitario, in termini quantitativi, ha perduto il suo carattere elitario,
aprendosi alla massa. Tuttavia, questa relazione rivela anche alcuni punti di
debolezza che fanno riflettere sulla qualità dell’offerta didattica: «Circa il
40% degli studenti iscritti negli atenei italiani non prosegue oltre il
percorso di studi triennale» con una marcata differenza tra Nord e Sud.
«L’offerta formativa non permette alternative, dopo la maturità, tra un corso
di laurea a contenuto prevalentemente teorico e l’abbandono degli studi». Ciò
dimostra che, innanzitutto, esiste un gap enorme tra preparazione teorica e
competenza pratica; nonostante i tentativi da parte delle varie riforme di
rendere l’università più professionalizzante. (Fonte: M. Ferretti, L’Indro
20-05-15)
PROGETTO GARANZIA GIOVANI
Il progetto,
presentato il 28 aprile 2015, ha questo ambizioso obiettivo: formare i giovani
in cerca di occupazione verso le professioni digitali attraverso training
online e tirocini formativi nelle imprese italiane. Il progetto è inserito
all'interno di "Garanzia Giovani" e si rivolge, nello specifico, ai
cinquecentomila giovani iscritti al programma. Prende spunto dal successo di
"Made in Italy: Eccellenze in Digitale", altro progetto realizzato
assieme da Google e Unioncamere, e dalla necessità che hanno le aziende di
ampliare la loro professionalità sul web e sui social network, dai quali non si
può più prescindere nella diffusione delle conoscenze.
Il progetto prevede
un percorso formativo di almeno 50 ore, erogato su una specifica piattaforma
Google; 120 laboratori di gruppo locali, ognuno composto da un massimo di 50
persone, con un focus tematico-settoriale specifico, per avviare i giovani a un
tirocinio o all'attività imprenditoriale; 3.000 tirocini in aziende
tradizionali, della durata di 6 mesi e con un compenso di 500 euro al mese, per
avvicinare le grandi aziende al digitale. Le imprese ospitanti non avranno
nessun costo da sostenere: chi assume un giovane tirocinante avrà un bonus di 6
mila euro. (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 12-05-15)
“RAPPORTO ANNUALE 2015” DELL’ISTAT.
INVESTIMENTI IN R&S, RAPPORTO TRA ISTRUZIONE E MERCATO DEL LAVORO
Nel Rapporto si
legge che “Le imprese italiane mostrano una modesta propensione
all’investimento in ricerca e sviluppo (lo 0,7 per cento del Pil a fronte di
una media Ue dell’1,3 per cento), ma si collocano sopra la media europea in
termini di propensione all’innovazione, più aderente alle caratteristiche delle
nostre imprese (42 per cento di innovatrici rispetto a 36 per l’Ue). Ciò si
traduce in un numero di registrazioni di marchi e di prodotti di design
industriale tra i più elevati al mondo. L’intensità brevettuale del paese è
inferiore a quella media europea (circa 75 brevetti per milione di abitanti
contro 111 per l’Ue). Tuttavia il rapporto tra numero di brevetti e spesa per
R&S è tra i più alto dell’Ue”. Sulla questione del rapporto tra istruzione e mercato del lavoro, si
legge: “Come è ampiamente documentato nel Rapporto, il titolo di studio
continua a costituire sul mercato del lavoro un vantaggio notevole: nel 2014 il
tasso di disoccupazione dei laureati è all’8 per cento, quasi nove punti in
meno rispetto a quello di chi possiede la licenza media. Il divario sale a 18
punti per il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro (13 per
cento dei laureati, 31 per cento per i meno istruiti). Tra i laureati il tasso
di occupazione si attesta nel 2014 al 75 per cento (a fronte del 63 per cento
tra i diplomati e al 42 per cento tra i meno istruiti).” E più avanti: “Anche i
dati sui dottori di ricerca confermano che l’investimento in alta formazione
assicura retribuzioni più elevate e maggiore soddisfazione professionale. A
quattro anni dal conseguimento del titolo nove dottori di ricerca su dieci sono
occupati; l’85 per cento svolge una professione di tipo intellettuale,
scientifico o di elevata specializzazione". (Fonte)
I TEMPI
PER RECUPERARE L'INVESTIMENTO NELLA FORMAZIONE UNIVERSITARIA
Considerando i costi diretti (tasse
universitarie) e indiretti (libri, pc, materiale didattico), la rinuncia a
percepire uno stipendio durante i cinque anni di studi e le prospettive
retributive sul mercato del lavoro, uno studente del Politecnico di Milano
recupererà l'investimento nella formazione dopo 11,8 anni, che diventano 13,1
se si tratta di un ragazzo fuori sede. Alla Bocconi ne serviranno 12,4 (13,4
considerando l'affitto a Milano e le spese basilari di sostentamento), alla
Cattolica 13 (14,3 fuori sede).
È quanto emerge dallo University report di
JobPricing, l'Osservatorio sulle retribuzioni presieduto da Mario Vavassori, in
collaborazione con Repubblica.it. Anche gli atenei della Capitale (Luiss, Tor
Vergata e Sapienza nell'ordine) sono ben posizionati, anche se pagano il costo
della vita di Roma e vedono dilatarsi i tempi di ritorno dall'investimento nei
casi dei fuori sede. In coda a questa speciale classifica, le Università degli
Studi di Cagliari, della Calabria, di Messina e di Napoli Parthenope: in questi
casi gli studenti impiegano oltre 20 anni per rientrare delle spese.
"Le grandi
Università hanno un buon appeal sul mercato del lavoro, garantendo retribuzioni
che generalmente accorciano i tempi per cogliere i frutti degli studi",
sintetizza Vavassori. Se resistono gli atenei storici come Pavia, Pisa, Padova
o Perugia, solo per citarvi alcuni, in generale escono ridimensionati quelli
"a carattere condominiale", cioè nati su un bacino territoriale
piccolo e non in grado di offrire sbocchi lavorativi di alto livello una volta
che i ragazzi si sono formati. Per il sistema italiano è una piccola lezione:
"Deve riprendere la stagione delle grandi Università, legate a un mercato
del lavoro di riferimento e non a un quartiere", spiega l'esperto. (Fonte:
R. Ricciardi, La Repubblica A&F 25-05-15)
L'AUTONOMIA DELLE UNIVERSITÀ HA QUALCHE
ECCEZIONE
Una circolare del
Direttore Generale MIUR del 17 Aprile 2015 con oggetto "Punti organico e
programmazione assunzioni 2015" obbliga le Università – in spregio alla
loro autonomia – a riservare per il 2015 e il 2016 una quota del 30% dei
punti-organico delle cessazioni del personale tecnico-amministrativo alla
mobilità del personale delle Province e della Croce Rossa Italiana. (Fonte: N.
Casagli, Roars 26-05-15)
IL POSSIBILE RUOLO DEGLI ISTITUTI TECNICI
SUPERIORI
La recente
istituzione degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) che attualmente accolgono
circa 5.000 studenti sembra corrispondere a una volontà politica di
diversificare il sistema di istruzione terziaria, nel senso che era previsto
dalla Commissione Ermini, attraverso i cosiddetti Istituti Aggregati.
Naturalmente non siamo più negli anni settanta e non disponiamo di una macchina
del tempo che ci riporti indietro: l’espansione del sistema universitario è già
avvenuta secondo il modello “non dualista”. C'è da chiedersi se gli ITS possano
espandersi fino a costituire un’alternativa valida all’università per una
porzione consistente degli attuali immatricolati. Gli immatricolati negli
ultimi anni sono stati all’incirca 250.000. Il numero degli attuali iscritti al
primo anno degli ITS è all’incirca 2.500. Non sembra probabile che questo
numero raggiunga nel futuro prevedibile una porzione significativa del numero
degli immatricolati. Ci sono comunque molti ostacoli che impediranno agli ITS
di svolgere il ruolo che, ad esempio svolgono i “junior college” in California,
che è anche quello di avviare agli studi universitari studenti potenzialmente
capaci ma la cui preparazione alla fine della scuola secondaria non raggiunge
il livello necessario per accedere all’università. Prima di tutto gli ITS sono
aperti solo ai diplomati degli attuali istituti tecnici, inoltre, anche se
teoricamente previsto dalla normativa sugli ITS, manca un canale di
comunicazione tra gli ITS e l’università. Manca, ad esempio la possibilità di
riconoscere qualche credito ITS, come credito universitario. L’ITS si presenta
pertanto al diplomato di scuola secondaria come un vicolo cieco, mentre
l’iscrizione ad un corso di laurea, a tutti formalmente accessibile, può
apparire come una strada aperta ad un proficuo proseguimento degli studi. Così,
mentre l’esperimento degli ITS dovrebbe essere seguito, incoraggiato ed esteso,
non sembra che queste istituzioni possano dar luogo ad una vera alternativa
all’università. (Fonte: A. Figà Talamanca, dalla relazione "Ha un futuro
l'università?" al Congresso USPUR, Roma 22-05-15)
NESSO TRA OCCUPAZIONE ED ISTRUZIONE NEL
RAPPORTO ISTAT
Nel Rapporto Istat
2015 risulta che il nesso tra occupazione ed istruzione, dopo una fase di
incertezza (in parte da collegarsi con l'introduzione ed il rodaggio della
nuova struttura - 3 + 2 - dell'istruzione di terzo livello), toma ad essere
simmetrico sia con il resto d'Europa sia con l'Italia del passato. I lavoratori
in possesso di laurea trovano un'occupazione più presto e sono pagati di più
(le donne il 28,9% in più, gli uomini il 67,9% in più) di coloro con un diploma
di scuola secondaria superiore. Ci sono naturalmente differenze su base territoriale
e professionale. In breve, ciò vuol dire che studiare rende, e rende bene. Se
dal generale si va al caso particolare dei dottorati di ricerca (di norma, la
categoria maggiormente connessa agli investimenti in prodotti della proprietà
intellettuale), il Rapporto ci dice che a quattro anni dal conseguimento del
dottorato, il 91,5% dei "dottori" del 2010 e il 98% dei
"dottori" del 2008 sono occupati — oltre il 97% nelle aree
disciplinari di ingegneria e informatica, ma anche l'88,7% e l'87,6% nelle discipline
letterarie. (Fonte: G. Pennisi, Avvenire 28-05-15)
REGOLE DI CORRISPONDENZA FRA SETTORI
CONCORSUALI
Il CUN ha espresso
un parere sulle regole di corrispondenza fra settori concorsuali dell’ASN e
quelli stabiliti ai fini delle procedure di chiamata ai sensi degli articoli 18
e 20 della l. 240/2010.
Il CUN, dando
seguito a quanto raccomandato nel Parere del 1 aprile 2015, definisce qui le
regole di corrispondenza tra i Settori Concorsuali (SC) interessati dalle
modifiche che saranno introdotte dal prossimo Decreto Ministeriale di
rideterminazione dei SC, raggruppati in MCS. Queste regole, transitorie, sono
preordinate a salvaguardare i diritti di coloro che, nelle tornate 2012 e 2013,
già hanno ottenuto l’Abilitazione Scientifica Nazionale in uno di questi SC e
devono considerarsi vigenti per tutta la durata di validità dell’Abilitazione
conseguita. Allegata al parere, quale parte integrante del Decreto Ministeriale
di rideterminazione dei SC, la tabella nella quale sono state tradotte. (Fonte: CUN
29-04-15)
ATENEI. IT
FORUM DELLE UNIVERSITÀ DEL
MEZZOGIORNO
La SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno) con una
deliberazione ha dato nuovo impulso alle attività del Forum delle Università
del Mezzogiorno, consulta permanente composta dai rettori delle università del
Sud Italia. Il Forum è stato costituito nel 2011 e ha l'obiettivo di promuovere
e realizzare iniziative di studio sul Mezzogiorno, attività di formazione
post-laurea e convegni di studio specificamente dedicati alla promozione delle
università meridionali. Una delle prime attività del Forum venne realizzata in
occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia: la realizzazione del volume
"Le Università del Mezzogiorno nella storia dell'Italia unita", edito
dalla casa editrice Il Mulino. Il Forum, che ha durata triennale, è coordinato
da Alessandro Bianchi, rettore dell'Università telematica "Pegaso" e
Consigliere della SVIMEZ. Le attività previste per il 2015 sono: una tavola
rotonda sulle Università del Mezzogiorno al tempo della crisi, un seminario
sulle valutazioni dell'ANVUR e l'elaborazione dei contributi scientifici che
confluiranno nel Rapporto SVIMEZ 2015 sull'economia del Mezzogiorno, edito
entro la fine dell'anno. (Fonte: Redazione di rivistauniversitas 11-05-15)
UNIBO. MARCHIO DI QUALITÀ EPAS PER IL GLOBAL MBA
DELLA BOLOGNA BUSINESS SCHOOL
Il marchio di qualità
Epas, un sistema di accreditamento di programmi internazionali rilasciato da
Efmd (European foundation of management development) è stato ottenuto dal
Global Mba di Bologna Business School (Università di Bologna). L'accreditamento
certifica che il master Global Mba possiede gli standard richiesti a livello
globale e si accredita, pertanto, come un momento formativo di grande qualità e
prestigio. Un altro importante riconoscimento per la Bologna Business School,
guidata da Massimo Bergami, dean e consigliere di amministrazione della
struttura e professore ordinario di organizzazione aziendale preso l'ateneo
bolognese. Nata nel 2000, la scuola è oggi una delle più importanti scuole di
management del continente. Interdisciplinarietà, integrazione con le imprese e
orientamento internazionale sono le parole chiave che caratterizzano la sua
filosofia, che ha l'obiettivo di fornire ai giovani gli strumenti adeguati per
affrontare con conoscenze e competenze il panorama economico contemporaneo.
(Fonte: G. Costa, IlSole24Ore 05-0615)
UNIBO. UN PERCORSO DI STUDI IN INGEGNERIA DEL MOTOVEICOLO
L'Università di Bologna e Ducati hanno deciso di
collaborare dando vita al percorso in "ingegneria del motoveicolo" in
seno alla laurea magistrale in Ingegneria meccanica. (http://corsi.unibo.it/Magistrale/IngegneriaMeccanicaBologna/
Pagine/default.aspx). Inoltre la Casa di Borgo Panigale supporterà
un contratto di ricerca, legato all'ambito motociclistico, al dipartimento di
Ingegneria meccanica. Si sviluppa in questi termini il rapporto tra la Casa e
l'ateneo che, tra gli altri, ha laureato Claudio Domenicali attuale ad di
Ducatimotor holding. Il percorso appena avviato entrerà nel vivo a partire dal
secondo anno accademico. Per gli studenti interessati al settore motociclistico
ci sarà la possibilità di seguire lezioni, svolgere tirocini in azienda,
analizzare casi di prova, aderire a progetti di lavoro e attivítà connesse con
la tesi, il tutto in stretta collaborazione con lo staff ingegneristico Ducati.
(Fonte: E. Netti, IlSole24Ore 11-05-15)
UNIMI. TASSE GRATIS E SCONTATE
Alla Statale di
Milano, dal prossimo anno accademico, i neo diplomati con il massimo dei voti
(ovvero 100 e Iode) saranno esonerati dalla retta per il primo anno di frequenza
e dovranno pagare soltanto la tassa regionale di 215 euro. Un bel risparmio, se
si considera che le quote per il primo anno partono da un minimo di 693 euro a
un massimo di 3938 euro a seconda delle fasce di reddito. La Statale ha deciso
di premiare anche chi avrà il 100 senza la lode, con uno sconto di 400 euro. E
uno sconto di 500 euro arriverà anche agli universitari già iscritti che sono
in pari con gli esami. L'obiettivo è duplice. Da una parte premiare il merito e
attrarre quindi gli studenti migliori. Dall'altra ridurre per quanto possibile
il numero di studenti fuori corso, incentivando a essere in pari con gli esami
attraverso uno sconto nella retta. (Fonte: La Repubblica 24-05-15)
UE. ESTERO
OCSE. RAPPORTO "THE ABC OF GENDER EQUALITY IN EDUCATION: APTITUDE, BEHAVIOUR AND
CONFIANCE"
A marzo 2015 l'OCSE
ha pubblicato il Rapporto "The ABC
of Gender Equality in Education: Aptitude, Behaviour and Confiance",
sui progressi registrati dagli Stati membri per colmare i divari di genere nel
settore formativo universitario. L'indagine evidenzia come, nonostante i
significativi passi in avanti degli ultimi vent'anni, esistano ancora ostacoli
da superare. Se all'inizio del XXI secolo la popolazione adulta dei Paesi OCSE
annoverava mediamente una maggior presenza di laureati maschi, già nel 2012 le
femmine hanno superato numericamente i colleghi. La tendenza è ancora più
evidente tra i giovani di età inferiore ai 25 anni, come è in crescita il
numero delle donne che partecipano a programmi di ricerca di alto livello. Le
donne sono ancora sottorappresentate nello studio universitario della
matematica, delle scienze fisiche, dell'ingegneria e dell'informatica, che
rientrano poco nelle loro aspirazioni giovanili di carriera: sempre nel 2012,
in media, solo il 14% delle immatricolate ha scelto studi scientifici rispetto
al 39% dei nuovi studenti. La mancata predilezione per queste discipline,
secondo i risultati dell'Indagine PISA (Programme for International Student
Assessment), non è determinata da differenze attitudinali innate, ma piuttosto
da pregiudizi di genere di genitori, docenti e datori di lavoro, che hanno
influenzato scelte precoci di studio o di lavoro. (Fonte: L. Moscarelli,
rivistauniversitas aprile 2015)
EU. CONFERENZA MINISTERIALE SU EHEA. RAPPORTO
ANALITICO DEL SEMESTRE EUROPEO 2015 CON RACCOMANDAZIONE ALL'ITALIA
SULL'ISTRUZIONE
Lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore (EHEA) è un
accordo intergovernativo sottoscritto nel marzo 2010 che amplia quello che
nella conferenza dei ministri tenutasi a Bologna nel 1999 era stato chiamato
“Processo di Bologna”. L’obiettivo è costruire un'area comune tra i paesi
aderenti basata sull’introduzione di un sistema di titoli comparabili, su un
comune sistema di crediti, sul riconoscimento reciproco dei titoli di studio,
su politiche comuni sulla assicurazione della qualità.
Si sono chiusi il
15 maggio a Erevan, Armenia, i lavori della Conferenza Ministeriale sullo
Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore (EHEA) con l’approvazione di due
importanti documenti: lo Yerevan Communiqué e lo Statement of the Fourth
Bologna Policy Forum. Il Comunicato Ministeriale e la Dichiarazione
del Bologna Policy Forum sono il risultato di un lungo processo negoziale tra i
ministri dei paesi aderenti al Processo di Bologna, la Commissione Europea, le
organizzazioni a diverso titolo partecipanti al Bologna Follow-up Group (Il
Gruppo di accompagnamento al Processo di Bologna).
In ultimo, mentre
si chiudevano i lavori della Conferenza di Erevan, la Commissione Europea ha
pubblicato il Rapporto analitico del semestre europeo 2015 appena conclusosi e
le proprie raccomandazioni ai Paesi aderenti all’Unione Europea: le
Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education
Area (ESG) 2015 che stabiliscono il quadro comune delle politiche di
assicurazione della qualità.
Oltre al rapporto
complessivo è possibile leggere anche le raccomandazioni ai singoli Paesi.
Tutti i documenti sono di particolarmente interesse. Segnaliamo quello relativo
all’Italia (Raccomandazione del Consiglio sul programma
nazionale di riforma 2015 dell'Italia e che formula un parere del Consiglio sul
programma di stabilità 2015 dell'Italia) nel quale - per i temi di stretto
interesse dell’istruzione - troviamo l’indicazione che “la disoccupazione
giovanile ha quasi raggiunto il 43% nel terzo trimestre del 2014, e la
percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano né sono impegnati
in corsi di studio o di formazione è la più elevata dell'UE. Alcune delle cause
sono da ricercare nel sistema dell'istruzione, ancora caratterizzato da
risultati scolastici inferiori alla media dell'UE e da tassi di abbandono
scolastico relativamente elevati“. Pertanto, “nell'ambito degli sforzi per
ovviare alla disoccupazione giovanile” è necessario “adottare e attuare la
prevista riforma della scuola e ampliare l'istruzione terziaria
professionalizzante”. (Fonte: flcgil.it/attualita/estero 22-05-15)
BUSINESS SCHOOL ESCP EUROPE
Un'unica scuola con
cinque sedi, che le offrono una visione di matrice europea: Parigi, Londra,
Madrid, Berlino e Torino. La business school Escp Europe ha un'anima antica, ma
una vocazione al futuro. Nata nel 1819 come prima Grande École francese, è la
più antica scuola manageriale del mondo, la prima ad aver introdotto un modello
multicampus, dal 1973. Censita nei ranking mondiali delle migliori business
school, è attualmente riconosciuta dal Financial Times come dodicesima migliore
business school d'Europa; è prima in Italia per programmi Master in management
pre-esperienza lavorativa (settima al mondo); è prima in Italia per Executive
Mba (nona in Europa, sedicesima al mondo), fra le prime al mondo per Executive
programme. Ogni anno la scuola forma 4 mila studenti e sono attualmente 45 mila
gli ex allievi che occupano posizioni di rilievo nelle maggiori aziende
internazionali. A Torino è presente da oltre dieci anni e i suoi gioielli si
chiamano Mim (Master in management), Meb (Master in european business), Emba
(Executive master in business administration). E da novembre 2014 è stato
attivato il reclutamento anche del Bim (Bachelor in management), la cui
edizione partirà da settembre 2015 nel campus di Londra. Per rimarcare la
vocazione globale ma anche le radici del territorio, la Escp Europe Torino
Campus ha da poco lanciato tre nuovi master post laurea: il Master in food
management, il Master in hospitality management e il Master in luxury &
design management. Il Bim è un programma di laurea triennale internazionale in
management, accessibile immediatamente dopo l'acquisizione del diploma di
scuola superiore. È una novità per l'Italia e da settembre 2015 darà accesso per
gli studenti italiani ad un percorso universitario internazionale, strutturato
all'interno di un'unica scuola, la Escp Europe, in tre diversi paesi: il primo
anno a Londra, il secondo anno a Madrid o Torino (o Parigi, dal 2017), il terzo
anno a Berlino. II Mim (Master in management) è un programma di laurea
magistrale internazionale pre-esperienza lavorativa di tre anni, in tre paesi,
nelle rispettive tre lingue, conferente fino a tre titoli europei di laurea. È
rivolto a studenti universitari al secondo anno di facoltà economiche e a tutti
i laureati di primo livello di qualsiasi facoltà. II Meb (Master in european
business) è un master in General management post universitario, di un anno in
due paesi. È rivolto a laureati di primo o di secondo livello di qualsiasi facoltà
universitaria. (Fonte: La Stampa 08-06-15)
ALBANIA. RIFORMA UNIVERSITARIA
IN ITINERE
Dal rapporto
pubblicato dalla commissione presieduta dal prof. Arjan Gjoncaj e composta da
docenti del sistema pubblico e privato, nell’agosto del 2014 è emerso che in
Albania erano attive 59 istituzioni universitarie, di cui 15 pubbliche e 44
private. Venivano offerti 1500 programmi di studio, 650 corsi di laurea di
primo livello, 600 corsi di master professionali e scientifici e 100 corsi di
dottorato. Dei 160.000 studenti universitari, più del 78% risultava comunque
iscritto presso le università pubbliche e di questi il 25% era iscritto al
cosiddetto part-time, che prevede corsi solo durante il fine settimana. Sulla base del sopra descritto rapporto del
2014, la commissione Gjoçaj ha avviato i lavori per una riforma del sistema
universitario in linea con gli standard internazionali. Gli obiettivi
dichiarati sono: il miglioramento della qualità degli insegnamenti e della
ricerca universitaria; l'adeguamento delle istituzioni universitarie alle
esigenze del mercato del lavoro e dello sviluppo del paese; la ristrutturazione
del sistema di finanziamento agli istituti sulla base della loro performance e,
infine, a lungo termine, la graduale confluenza verso un sistema unificato, in
cui le differenze tra pubblico e privato siano progressivamente attenuate. Il
disegno di legge sull’istruzione universitaria è stato approvato dal Consiglio
dei ministri il primo aprile scorso. Il passaggio in Parlamento, come spiega
Arlind Qori, docente di filosofia politica dell’Università di Tirana, si
attende tra agosto e settembre. Per
ora, commissione e ministero non sono riusciti a dissipare le perplessità
suscitate dalla riforma. Il timore è che le università pubbliche siano
costrette ad arrendersi alle regole del mercato, a vedersi ridurre i
finanziamenti a discapito degli istituti privati, a rinunciare al pensiero
critico per non far trapelare all’esterno problemi che potrebbero intaccarne le
performance, ad aumentare le tariffe rendendo l’istruzione universitaria sempre
meno accessibile. (Fonte: balcanicaucaso.org 20-05-15)
CH. INCORAGGIARE DI PIÙ LE CARRIERE
ACCADEMICHE
Il Fondo nazionale
per la ricerca scientifica ritiene che le carriere accademiche non siano
abbastanza incoraggiate in Svizzera e cerca soluzioni per rimediare, facendo
notare inoltre che il futuro di tutto questo contesto dipenderà strettamente
dalla partecipazione o meno al programma "Orizzonte 2020" dell'Unione
Europea. Nel programma 2017-2020, che l'ente ha presentato martedì a Berna, si
stima a 4,5 miliardi di franchi il fabbisogno finanziario dei ricercatori e
quasi un quinto di quest'importo dovrebbe essere usato per misure volte a
favorirne l'attività. Si tratta, in particolare, di sfruttare meglio il
potenziale indigeno. Già lo scorso anno, il Fondo ha investito una cifra da
primato (849 milioni) nel sostegno a progetti (3469) e carriere. (Fonte:
rsi.ch/news/svizzera 19-05-15)
FINLANDIA. TAGLI ALL'ISTRUZIONE SUPERIORE
In riferimento a un
articolo
su University World News, Roars rende noto che la Finlandia – finora considerata
come uno dei paesi modello quanto a politiche relative all’education – si sta
accingendo ad applicare tagli radicali al proprio sistema di formazione
avanzata. Il nuovo governo intende infatti ridimensionare significativamente la
spesa pubblica. Si intende anche introdurre le tasse universitarie per gli
studenti provenienti dall’esterno dell’UE. Verrà anche varato un programma per
incentivare tali studenti a rimanere in Finlandia dopo aver terminato il
percorso di studi. Va detto che il partito ora al governo aveva già varato in
precedenza tagli alle università, che avevano in particolare colpito
l’università di Helsinki, che per tale ragione ha dovuto ridurre il proprio
staff di circa 500 persone. (Fonte:
http://www.roars.it/online/anche-la-finlandia-si-avvia-sulla-strada-dei-tagli/
04-07-15)
FRANCIA. PER MIGLIORARE IL SISTEMA
UNIVERSITARIO TASSE
PIÙ ALTE AGLI STUDENTI INTERNAZIONALI
A livello mondiale
si avverte una progressiva decrescita della quota di studenti internazionali
nelle istituzioni universitarie: negli USA è scesa dal 20,8% del 2005 al 18,55%
del 2010; nello stesso quinquennio, nel Regno Unito dall'11,2% del 2005 al
10,7% del 2010; in Francia dall'8,4% del 2005 al 6,8% del 2010; in Germania dal
9,2% del 2005 al 5,2% del 2010; in Italia dal 2,3% del 2005 all'1,9% del 2010;
in Australia dal 6,3% del 2005 al 6,2% del 2010. Tendenze opposte solo in
Russia (dal 3,2% del 2005 al 4,3% del 2010) e Cina (dall'1,8% al 2,2%).
In Francia, il
Rapporto Investir dans l'Internationalisation de l'Enseignement Supérieur,
redatto da Stratégie de la France per acquisire maggiori risorse da destinare
alle tecnologie didattiche e alle collaborazioni di ricerca in grado di
promuovere l'eccellenza, propone che venga introdotto il principio secondo cui
gli studenti non UE debbano pagare integralmente il costo dei loro studi
all'estero (fatta eccezione a livello di dottorato). Si stima che il diverso
sistema di tassazione proposto potrebbe originare un maggior reddito annuo di
circa €850 milioni. Questo importo ulteriore dovrebbe piuttosto essere
impiegato per migliorare qualità ed equità dell'istruzione superiore francese,
innescando un meccanismo virtuoso, che la renda più competitiva e attrattiva.
(Fonte: M. L. Marino, rivistauniversitas 21-04-15)
FRANCIA. RIFORMA DEL
POLITECNICO: UNA "RIVOLUZIONE"
«Révolution.» Le mot est de Jean-Yves Le Drian. Le
ministre de la défense a lancé, samedi 6 juin, la réforme de Polytechnique par
un discours prononcé sur le campus de l'école militaire d'ingénieurs. Je
partage, a-t-il dit, une bonne partie des recommandations» formulées par
Bernard Attali, conseiller maître honoraire à la Cour des comptes, dans un
rapport révélé par Le Monde vendredi 5 juin. Polytechnique est un «immense
atout» pour le pays, a dit M. Le Drian. L'«enjeu» est de «faire en sorte que
dans cinq, dix, quinze ans, nous continuions d'avoir des industriels capables
de fabriquer des équipements au meilleur niveau, avec des ingénieurs de tout
premier plan». Or, pour le ministre, «l'école est bousculée». Et «son rang dans
certains classements internationaux témoigne des dangers qui la menacent : trop
limitée en taille, trop peu visible à l'international». Va donc pour la
«révolution». Pour peser, l'école doit se regrouper avec les dix grandes écoles
scientifiques de l'université Paris-Saclay au sein d'une nouvelle «Ecole
polytechnique de Paris», ainsi que le suggère M. Attali. Cela doit «être étudié
rapidement», a dit M. Le Drian. Elle doit également «attirer les meilleurs
talents» et «quadrupler, à terme, le nombre d'élèves internationaux du cycle
ingénieur». Ils deviendraient 400, soit autant que les Français. Le ministre a
également insisté sur la diversité sociale, reprenant des idées de M. Attali:
créer un internat de la réussite réservé aux boursiers, mais aussi tripler les
recrutements universitaires (les faisant passer de 18 à 50). Les propositions
les plus audacieuses du rapport Attali seront bel et bien étudiées: l'ouverture
d'un accès après le bac, l'alternance ou la fin du classement sur lequel repose
aujourd'hui le recrutement par l'Etat de 70 polytechniciens sur 400. Une seule
d'entre elles fait tiquer le ministre de la défense: la suppression de la solde
des élèves (goo euros par mois). «Je suis plutôt circonspect», a confié M. Le
Drian. Mais, dit-il, l'idée pourrait cependant être «retenue». (Fonte: B.
Floch, Le Monde 09-06-15)
GB. AUMENTATI DEL 20% IN UN ANNO GLI STUDENTI
ITALIANI
Il maggior incremento
di matricole "europee" nelle università britanniche proviene
dall'Italia: sono 4850, +20% rispetto all'anno scorso secondo l'HESA, Agenzia
statistica dell'istruzione universitaria del Regno Unito, per un numero totale
di italiani anche post-laurea di 11.685. Dietro i polacchi (+10%) e gli
spagnoli (+9%). Flessione del 3-4% per Germania e Francia. Italia in controtendenza.
Boom di richieste per la Scozia (+30%). Il circuito britannico UCAS raccoglie
online le application e comprende i londinesi UCL, Imperial College, King's
College e London School of Economics, poi Edimburgo e St. Andrews, in Scozia,
dove il Principe William ha conosciuto Kate, e Warwick, Surrey, Durham... Tutti
alti nel ranking più attendibile, quello del quotidiano "The
Guardian". Un mondo a parte "Oxbridge", ossia Cambridge più
Oxford, un tempo concorrenti, che oggi fraternamente si alternano al vertice
delle classifiche nazionali, incalzati da St. Andrews al n. 3 ma primo in
Scienze politiche e secondo per la Filosofia. Per Oxbridge, che formalmente
rientra nello UCAS, le application vanno presentate prima, in ottobre invece
che a gennaio. Oasi d'eccellenza trendy il Central St. Martins di Londra per
arti, design e moda, un gioiello anche d'architettura che attira come un
magnete aspiranti artisti e designer da tutto il mondo. Per la Gran Bretagna,
l'istruzione universitaria è diventata un'industria dal fatturato miliardario,
con un indotto che ha fatto ripartire anche il mercato degli affitti e
modificato, internazionalizzandoli ancora di più, i quartieri
"universitari" di Londra. Oltre ad assorbire giovani promettenti
dall'estero, il sistema dell'istruzione britannico ne ricava un guadagno netto,
che reinveste. (Fonte: Il Mattino 09-06-15)
GB. PRIMA DONNA RETTORE A OXFORD IN 800 ANNI
L'ateneo di Oxford
ha nominato, per la prima volta in otto secoli, una donna come rettore. La
prescelta è la professoressa Louise Richardson, 56 anni, sposata con il medico
Thomas Jevon e madre di tre figli ormai adulti. Nata a Tranmore, una cittadina
sulla costa irlandese e figlia maggiore dei sette figli di un semplice addetto
alle vendite, Louise si è pagata gli studi lavorando come bibliotecaria e come
cameriera in un bar. Al suo attivo ha un curriculum accademico impressionante:
laurea in Storia a Dublino, un master in Scienze Politiche conseguito
all'Università della California a Los Angeles, e un'ultima specializzazione in
Politiche Governative ottenuta a Harward, nonché decine di pubblicazioni sulla
nascita e lo sviluppo dei movimenti terroristici internazionali, che hanno
fatto di lei una delle massime autorità nel campo della pubblica sicurezza e
della lotta al terrorismo. Dal 1981 al 2001, la signora ha insegnato Relazioni
Internazionali proprio a Harward e, oltre a essere una mente brillante, si è
sempre rivelata anche una docente particolarmente apprezzata dagli studenti che
in quel periodo l'avevano inserita nel ristretto novero dei professori più
amati. (Fonte: E. Orsini, Il Giornale 30-05-15)
BOICOTTAGGIO SILENTE DELLA RICERCA ISRAELIANA
C'è un boicottaggio
dello stato ebraico di cui non si parla, meno roboante degli annunci delle rock
star, un boicottaggio sinuoso, latente, silente, che colpisce le università
israeliane.
Nel 2002, anno di
inizio della campagna dell'ostracismo accademico contro Israele, Paul Zinger,
dell'Associazione scientifica d'Israele, rivelò che più di settemila ricerche
scientifiche venivano mandate da Israele all'estero ogni anno. Decine di lavori
scientifici tornarono indietro con la motivazione: "Ci rifiutiamo di
esaminare i documenti". Quel fenomeno adesso appare fuori controllo. Zeev
Zahor, preside del Sapir College, sul maggiore giornale israeliano, Yedioth
Ahronoth, parla di "esclusione silenziosa degli accademici
israeliani". "Ho aspettato per la pubblicazione del mio articolo nel
prossimo numero, e poi nel numero successivo ancora, ma non è successo niente.
Non c'era né la pubblicazione, né una lettera di rifiuto. Ho inviato l'articolo
di nuovo, nel caso in cui ci fosse stato un errore di email, e non ho ricevuto
risposta". E' così che si tronca la cooperazione fra accademici israeliani
ed europei. "Il boicottaggio accademico è illegittimo secondo tutte le
organizzazioni accademiche del mondo", dice al Foglio il professor Zvi
Ziegler, matematico al Technion (Istituto tecnologico di Haifa) e capo del
principale forum scientifico israeliano che combatte il boicottaggio. "E'
contro il progresso, così non troverà università o accademici europei che
ufficialmente boicottano Israele. Ma molti lo fanno in maniera silenziosa,
dietro le quinte. Se ad esempio sei il direttore di una rivista scientifica e
ti arriva un articolo da un israeliano, quello che ti basta fare per
distruggerlo è mettere quel saggio sotto tutti gli altri, farlo morire sotto le
scartoffie. Accade. Lo stesso avviene per docenti che si rifiutano di firmare
lettere di raccomandazione per gli israeliani, adducendo magari ragioni come la
mancanza di tempo". (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 09-06-15)
RUSSIA. A CAUSA DELLA CRISI ECONOMICA ENTRO
IL PROSSIMO ANNO SARANNO DISMESSI IL 40% DELLE UNIVERSITÀ E L'80% DELLE SEDI
DISTACCATE
La profonda crisi
economica della Russia comporta una serie di pesanti tagli nel settore
dell'istruzione superiore. Dmitry Livanov, Ministro dell'Istruzione e della
Scienza della Federazione Russa, ha annunciato che entro la fine del 2016
saranno dismessi il 40% delle università e l'80% delle sedi distaccate. Nel
corso dei prossimi mesi gli atenei saranno sottoposti a valutazioni
qualitative: tali azioni fanno parte di un piano statale per lo sviluppo
dell'istruzione, il cui fine ultimo è creare forti università federali
collocate nelle 10 diverse regioni. L'intero processo dovrebbe essere
completato entro il 2016. Secondo i dati del Ministero dell'istruzione,
attualmente ci sono 593 università statali e 486 private, che hanno
rispettivamente 1.376 e 682 sedi distaccate (un numero cinque volte più alto
rispetto al periodo dell'USSR, dovuto al proliferare delle università private
negli anni Novanta). Vi studiano 7 milioni di studenti, di cui 2 milioni
occupano posti finanziati dallo Stato ad un costo medio stimato di 3.000 euro
per studente. I tagli colpiranno principalmente gli atenei privati, ma non
risparmieranno le università statali. Nonostante la complessa situazione
finanziaria, tuttavia, non saranno messi in discussione i salari dei docenti né
verranno toccate le borse di studio: Michael Alashkevich, direttore del
dipartimento finanziario del Ministero dell'Istruzione, ha promesso che saranno
erogate senza diminuzioni o ritardi. (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas
13-05-15)
SPAGNA. ASSOCIAZIONE DEI RICERCATORI ITALIANI IN
SPAGNA (ARIS),
E’ nata a Madrid
l’Associazione dei Ricercatori Italiani in Spagna (ARIS), una nuova realtà che
punta a promuovere la comunicazione e la collaborazione della comunità
accademica e scientifica italiana con quella spagnola. L’associazione, che è
aperta a tutti, punta ad agevolare contatti e collaborazioni tra i sistemi
della ricerca e dell’industria di Italia e Spagna e a promuovere collaborazioni
bilaterali tra istituzioni pubbliche e private italiane e spagnole sui temi
della ricerca scientifica e della politica universitaria. Scopo
dell’associazione sarà anche quello di costituire una piattaforma di appoggio
per facilitare l’inserimento di studenti o giovani ricercatori italiani nel
mondo accademico/scientifico spagnolo e di fare da punto di riferimento per le
istituzioni italiane in Spagna. (Fonte: liberoreporter.it 17-06-15)
USA. NEW
PLAN THAT BOOSTS THE NUMBER OF LOW-INCOME STUDENTS AT THE NATION'S TOP COLLEGES
Investorsn
now have a new target: college admissions. A group of Silicon Valley's top
venture capitalists have been pouring resources into an education nonprofit
that boosts the number of low-income students at the nation's top colleges.
Part of their interest, they say, is to help build a deeper talent pool for
American corporations, especially in jobs requiring training in science,
technology, engineering and mathematics, so-called STEM skills.The investors,
who include LinkedIn Corp. co-founder Reid Hoffman, have contributed financial
and advisory support to Quest-Bridge, conceived in 2003 to connect
disadvantaged students with elite colleges that pay a recruiting fee for the
services. The service has spread to 35 mostly private colleges, including
Stanford University and Yale University, and helps place about 2,000
low-income students from an applicant pool that now tops 10,000 a year—one of
the largest such programs in the country.
"I
am attracted to organizations with potential massive scale, disruptive
potential and sustainability," Mr. Hoffman said in an email.
"QuestBridge has all three of these features."
America's
top schools have billions of dollars in financial aid available, but it often
goes to low-income students they identify in the nation's most populous urban
areas. Admissions directors are rarely able to visit smaller cities or rural
areas, said Michael McCullough, who founded QuestBridge with his wife, Ana, and
is now a partner in a medical-investing firm. "It's not intuitive to [a
disadvantaged] kid that an Ivy League school would give them a quarter-million
dollars," said Dr. McCullough. The McCulloughs created a network of
recruiters, including high-school counselors, to help identify a pool of
gifted, disadvantaged students. (Fonte: J. Carlton, The Wall Street Journal
Europe 15-05-15)
USA.
VARIAZIONI DI TENDENZA NELLE DISTRIBUZIONI DELLE BORSE DI STUDIO E NEL GENERE
DI STUDENTE AMMESSO
Le borse di studio per merito sono un’ottima
esca per attirare studenti meritevoli, che però possono permettersi di
trasferirsi da uno Stato. In questa corsa per accaparrarsi gli studenti da
altri Stati, sono gli studenti residenti che rischiano di rimanere indietro. I
college e le università statali erano nati in origine per aiutare gli studenti
locali, che possono pagare una quota della retta. Questa loro funzione sta
venendo meno, rendendo anche le università pubbliche veri e propri bastioni di
privilegio. Da un’ottica puramente utilitaristica, infatti, gli studenti di
altri stati rappresentano la gallina dalle uova d’oro dei college pubblici:
pagano tasse più alte, generalmente hanno punteggi più alti negli esami
(facendo alzare la posizione dell’università nelle classifiche), il tutto a un
costo relativamente basso. La media delle borse di studio è di 5000$, mentre
per uno studente a basso reddito se ne spenderebbero 20.000$. Questo tipo di
pratica è diffuso in ogni tipo di istituzione: dalle università pubbliche
dedicate alla ricerca che vogliono competere con le loro controparti private,
ai piccoli college privati che cercano un modo per rimanere a galla
economicamente.
La corsa all’accaparrarsi gli studenti da altri
Stati ha fatto perdere completamente di vista la missione originale dei college
e delle università pubblici. (Fonte: F. Parlati, mediapolitika.com/dalmondo
25-05-15)
USA. ESPULSI MIGLIAIA DI STUDENTI CINESI
La Cina continua ad
inviare migliaia di studenti negli Stati Uniti, perché l'istruzione superiore
americana è considerata un passaggio essenziale per il loro futuro. Molti di
questi ragazzi però sono oggi figli viziati delle famiglie emergenti più
ricche, e si comportano di conseguenza. Quando non falsificano i documenti di
ingresso, imbrogliano nei test, non studiano, violano le regole etiche
dell'accademia. Così vengono espulsi in massa, aggiungendo un altro problema
alle relazioni già complicate fra i due paesi. Durante il 2014 ne sono stati
espulsi circa 8.000, perché imbrogliavano o prendevano brutti voti, mentre
quindici cittadini della Repubblica popolare sono stati incriminati a
Pittsburgh perché falsificavano i documenti per entrare nelle università
americane.
Fino a poco tempo
fa, gli studenti cinesi erano considerati il massimo: seri, educati,
rispettosi, lavoravano come matti e ottenevano grandi risultati. Erano i più
ricercati anche nei laboratori scientifici, dove il loro impegno e la loro
qualità non avevano rivali. Da qualche anno a questa parte, però, la percezione
è cambiata radicalmente. (Fonte: P. Mastrolilli, La Stampa 30-05-15)
USA. L'ATENEO PIÙ RICCO DEL MONDO RICEVE IN DONO
400 MILIONI DI DOLLARI
Il miliardario
americano John Paulson, con un patrimonio personale stimato da Forbes in 11,2
miliardi sarà ricordato anche per aver donato 400 milioni di dollari
all'Università di Harvard, la più grande donazione mai ricevuta dall'ateneo USA
nei suoi 379 anni di storia. Quella di Paulson, che nel 2012 ha fatto il suo primo dono di peso
regalando 100 milioni a Central Park, vicino alla sua casa newyorchese, è la
terza elargizione record che Harvard riceve dai suoi ex studenti in meno di due
anni, da quando cioè l'università ha lanciato la campagna per raccogliere 6,5
miliardi in 5 anni (ne ha già incassati 5). E con un endowment, un patrimonio,
di 36,4 miliardi oggi è l'ateneo più ricco del mondo. (Fonte: CorSera 04-06-15)
LIBRI. RAPPORTI
LA GOVERNANCE DELLE UNIVERSITÀ EUROPEE
A cura di Marino Regini. N.ro 1/2015 quadrimestrale Scuola democratica, ed. Il
Mulino.
Il segno distintivo
del cambiamento verificatosi negli ultimi decenni nelle università europee -
sia pure in tempi diversi (più recenti per l'Italia) e con modalità che tengono
conto dei contesti locali - è costituito per tutte dalla progressiva
sostituzione del termine 'governo', "implicante attività sostenute da
autorità formali", con quello di 'governance', che "fa riferimento a
'una struttura di relazioni che garantisce la coerenza organizzativa, e dunque
autorizza politiche, decisioni, attività di programmazione, e altresì fornisce
riscontri sulla loro correttezza, coerenza e convenienza"', scrive Moscati
citando la definizione proposta da M. Gallagher già nel 2001. Le università
europee sono in graduale transizione verso forme di managerialità gestionale
che implicano più concorrenza, più valutazione, più interazione con le imprese
e il mondo economico e minore autoreferenzialità. Se non lo facessero il
sistema accademico Europa perderebbe il confronto con gli altri sistemi
continentali o subcontinentali. Forse salverebbe la sua anima humboldtiana,
l'ethos della ricerca 'disinteressata', ma perderebbe sul versante
dell'innovazione. Avrebbe un passato ma non un futuro. (Fonte: dal commento di R. Moscati)
PORTRAIT OF A LADY –
WOMEN IN SCIENCE: PARTICIPATION ISSUES AND PERSPECTIVES IN A GLOBALIZED
RESEARCH SYSTEM
Autori: Sveva
Avveduto e Lucio Pisacane. Ed. Gangemi, Roma 2014, pp. 95.
Nonostante il
sorpasso di genere operato nelle immatricolazioni universitarie, la presenza
femminile continua ad essere concentrata soprattutto nelle discipline
umanistiche e sottorappresentata sia nella ricerca scientifica che nei ruoli
direttivi. Il presente volume intende focalizzare probabili cause ed effetti di
questa persistente disparità: un approfondito strumento di riflessione che
suggerisce l’introduzione di appropriate strategie per superare le difficoltà
laddove – come nel settore della ricerca pubblica – il principio delle pari
opportunità è più apparente che reale. Sfatato innanzitutto il pregiudizio,
purtroppo ancora radicato nell’opinione pubblica, che la mancata attrattività
degli studi scientifici da parte del segmento femminile possa essere originata
da fattori biologici, emerge innanzitutto come sul proseguimento degli studi e
di quelli scientifici in particolare contino piuttosto i risultati ottenuti nel
corso della carriera scolastica secondaria. Peraltro, non si riscontrano
differenze sostanziali tra i due generi neppure in relazione alle aspirazioni di
carriera e ai valori che le hanno motivate: generalmente il sesso femminile
risulta meno interessato al guadagno e più attento a svolgere un lavoro
socialmente utile, oltre a voler assicurare il benessere familiare e soddisfare
il desiderio di maternità. Le diversità connotano piuttosto i vari ambiti
disciplinari: le donne ingegnere sono quelle che aspirano maggiormente ad
essere occupate in settori professionali in linea con la formazione ricevuta e
sono anche quelle più avverse alle discriminazioni di carriera in una realtà
lavorativa ancora a forte connotazione maschilista. In tutte le cosiddette aree
STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) le donne, pur riportando
votazioni migliori, dimostrano una minore fiducia nell’investire su se stesse e
sono conseguentemente meno propense ad affrontare l’ulteriore formazione
post-graduate, che è invece di essenziale importanza in alcune carriere
scientifiche. (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas maggio 2015)
DALLO STUDIO AL LAVORO. INIZIATIVE, STRUMENTI E
CRITICITÀ DEL PLACEMENT DEI LAUREATI
A cura di Benedetto
Coccia. Universitas Quaderni n. 28.
A metà tra ricerca
scientifica e manuale di studi, il volume si pone l'obiettivo di analizzare la
transizione studio-lavoro, compresi gli strumenti che favoriscono il passaggio
dai libri alla professione, da un punto di vista teorico e pratico assieme. Il
tema dell'orientamento alla professione, alla scelta dell'occupazione e alla
creazione di possibilità concrete di lavoro per i giovani è un obiettivo politico
degli ultimi Governi che si sono succeduti, nonché la vera sfida del futuro. In
un periodo in cui le statistiche italiane parlano costantemente di un tasso di
disoccupazione giovanile ormai oltre il 40%, dell'aumento del fenomeno dei NEET
(Not in Education, Employment or Training) e della difficoltà per i giovani
laureati di inserirsi nel mondo del lavoro alla fine del percorso di studi,
sembra giusto interrogarsi su quali siano i canali offerti dalle istituzioni
per aiutare i giovani nella ricerca attiva di un'occupazione, e fornire un
possibile supporto orientativo. Il Quaderno è rivolto ai giovani laureati e
laureandi, al personale accademico universitario coinvolto nelle attività di
placement, ai docenti universitari e agli imprenditori. Finanziato
dall'Istituto di Studi Politici "San Pio V" e realizzato in
collaborazione con alcuni ricercatori della Fondazione Rui, esso offre un
quadro attuale completo del sistema di transizione studio-lavoro: dalla
comparazione di esperienze con altri paesi europei alla presentazione delle
singole tappe metodiche di avvicinamento al mondo del lavoro; dall'analisi
della normativa italiana sui temi dell'occupazione e della formazione
professionale alla necessità dello sviluppo delle soft skills personali.
(Fonte: rivistauniversitas, dalla Nota Introduttiva di B. Coccia, curatore del
Quaderno, maggio 2015)
DEFINE THEMATIC REPORT: UNIVERSITY MERGERS
IN EUROPE
Autori: E. Bennetot
Pruvot, T. Estermann, P. Mason. Ed. EUA - European University Association,
2015, pp. 61.
University mergers in Europe è il secondo Rapporto EUA - European
University Association - che idealmente segue quello sul finanziamento
dell’eccellenza, nell’ambito del Progetto
Define, destinato a offrire ai decisori politici e agli amministratori
universitari validi suggerimenti per utilizzare al meglio i finanziamenti
pubblici. La pubblicazione descrive un’ampia varietà di processi di fusione e di concentrazione tra istituzioni universitarie,
realizzati a partire dal 2000 con crescente intensità in 25 sistemi europei di
istruzione superiore. Focalizzandone l’efficienza, sono presentate e analizzate
come best practice alcune realizzazioni – specifiche per fattori storici e/o
geografici – che hanno prodotto una concentrazione con riduzione numerica dei
preesistenti atenei ovvero la creazione di poli universitari (hub) federati. Ne
è un necessario presupposto il volontario processo improntato alla mutua
fiducia – il cosiddetto CAM spectrum (collaboration, alliances e mergers) – al
termine del quale almeno una delle istituzioni coinvolte perde la propria
individualità giuridica per originare una nuova realtà. A livello statale le
fusioni sono particolarmente diffuse in Danimarca, che in pochissimi anni ha
ridotto i suoi atenei, creando nel 2009 una nuova mappa di università della
ricerca. Dall’inizio del secolo la discussione sull’innovativa architettura
istituzionale sta guadagnando posizioni nell’Agenda dei principali sistemi
europei di istruzione superiore. Numerosi esempi pilota sono stati avviati con
crescente interesse anche in Belgio, Croazia (creazione di 3 nuove università
in un sistema tradizionalmente frammentato in storiche facoltà indipendenti),
Danimarca, Finlandia, Estonia, Francia, Ungheria (in meno di due decenni
riduzione delle università da 50 a 28), Lettonia, Lituania, Norvegia e Svezia.
Altrove (Repubblica Ceca, Germania, Islanda, Italia, Polonia, Portogallo e
Slovacchia) le fusioni rappresentano ancora un fenomeno isolato. Tra le principali motivazioni alla base
delle fusioni analizzate, indicate dalle Conferenze Nazionali dei Rettori
coinvolte nell’indagine, figurano, oltre alle intese geografiche per evitare
possibili esodi di studenti nazionali: l’accrescimento della qualità e il
consolidamento del sistema in termini di reputazione e di competitività,
conseguenti all’accorpamento di talenti, di infrastrutture e di risorse
finanziarie concentrate con maggiori opportunità di condurre ricerche
interdisciplinari in un più ampio ventaglio di discipline accademiche; i
risparmi derivanti dalle economie di scala nella fornitura dei servizi, grazie
alla razionalizzazione dell’offerta formativa, che evita inutili duplicazioni
ed elimina i programmi didattici di scarsa qualità. (Fonte: L. Moscarelli,
rivistauniversitas maggio 2015)
EBOOK. DIFFUSIONE NEGLI ATENEI ITALIANI
Per la prima volta
ATHENA Università, la banca dati delle adozioni universitarie italiane, indaga
la
diffusione nei nostri
atenei degli ebook. Innanzitutto nell'anno accademico 2014/2015 le adozioni di
libri digitali hanno superato il 50% nell'area umanistica e linguistica, mentre
l'Ingegneria e le Scienze non sono arrivate al 20%. Se si osservano gli atenei
si scopre che il più tecnologico è quello di Torino (20,8%), seguito da Bologna
(14,9%). Sono quasi un centinaio gli editori che si contendono questo mercato
anche se gli operatori che contano non arrivano alla decina. La parte del leone
spetta a Laterza con 246 titoli adottati. Il Gruppo Mondadori, secondo leader
digitale all'Università, si ferma a 67. I numeri sono piccoli, leggermente
inferiori alle tendenze del mercato editoriale: 419 titoli, poco più del 3%. Di
questi 75 sono usciti nel formato esclusivo dell'ebook, gli altri sono sia
digitali che cartacei. E questa sì che non è una novità, essendo ormai chiaro
come anche in America, dove il digitale è una realtà solida, gli studenti
continuano a preferire la carta.
(Fonte: S.
Parmeggiani, La Repubblica 25-05-15)
CONTRO L’IDEOLOGIA DELLA VALUTAZIONE. L’ANVUR E
L’ARTE DELLA ROTTAMAZIONE DELL’UNIVERSITÀ
Autore: Davide
Borrelli. Editoriale Jouvence, Milano, 2015.
Il titolo suona come
una sorta di sfida all’OK corral contro l’ANVUR, ma la tesi non è affatto
quella del rifiuto della valutazione dell’università. In realtà il libro
affronta con competenza e serietà, in chiave politico-filosofica, una questione
che negli ultimi tempi è diventata un tormentone all’interno ed all’esterno
dell’università e che si è manifestata nello sviluppo di un processo che
ha aumentato a dismisura gli
adempimenti gestionali, in particolare quelli legati alle procedure di verifica
e di assicurazione della qualità, così che la burocrazia universitaria tende a
soffocare progressivamente ogni logica espansiva riferibile agli aspetti
relativi alla formazione e alla cultura.
L’autore sottolinea
che la pressante domanda di valutazione della qualità della ricerca rischia di
funzionare come una vera e propria forma di depistaggio cognitivo, verosimilmente
finalizzata a distogliere l’attenzione pubblica dai problemi che riguardano il
sistema universitario nel suo complesso. (Fonte: dalla recensione di G.
Sirilli, http://wp.me/p1WBc2-blQ
05-06-15)
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