domenica 23 luglio 2017

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE n. 4 29-07-17

IN EVIDENZA

PROTESTA DEI DOCENTI UNIVERSITARI. LE MOTIVAZIONI
Sono più di cinquemila i docenti universitari che in tutta Italia sono pronti a cancellare un appello d’esame della sessione autunnale per protestare contro il blocco degli stipendi fermo al 2011. Gli stipendi, tra i più bassi d’Europa, sono fermi a 3.300 – 4.000 euro per i professori ordinari, 2.200 – 2.700 per gli associati e 1.300 – 1.700 per i ricercatori. E se per gli altri impiegati pubblici lo scongelamento parte dal primo gennaio 2015, per i prof degli atenei la data fissata è l’1 gennaio 2016. “Non solo un anno in più rispetto agli altri, ma anche con la cancellazione di questi cinque anni passati. Come se non fossero mai esistiti ai fini della carriera, della pensione, del Tfr. Noi non pretendiamo gli arretrati ma è giusto avere adesso gli aumenti che avremmo avuto senza il blocco”, spiega a La Stampa Carlo Ferraro, docente del Politecnico di Torino, coordinatore del Movimento per la dignità della docenza. Una situazione che non è più tollerabile per 5.444 professori e ricercatori di 79 università, circa il 10% del corpo accademico. (Fonte: www.corriereuniv.it 14-07-17)

PARLA LA MINISTRA SUL BLOCCO DEGLI ESAMI E SUL NUMERO CHIUSO
«Per prima cosa - ha detto – non è chiaro come i docenti abbiano annunciato lo sciopero con mesi di anticipo, quando esiste un tavolo di confronto aperto. Un modo di operare che non condivido». Contestata, in particolare, la forma di protesta paventata. «Trovo che il blocco degli esami sia una forma di protesta impropria e impopolare, destinata a creare un forte malcontento tra l'opinione pubblica. In questo modo, a essere danneggiati, saranno gli studenti. Senza contare che, alla sessione successiva, non sarà possibile perpetrare il blocco. Invito, quindi, i professori a trovare forme differenti per manifestare il proprio dissenso». Ribadendo la volontà di concentrare fondi e risorse sul mondo universitario, il ministro Fedeli ha «rilanciato» sulle facoltà a numero chiuso. «Bisogna allargare e non chiudere» aveva già dichiarato, lo scorso maggio, rispetto alla decisione del rettore dell'università di Milano di istituire un test d'ingresso alla Statale, per le facoltà umanistiche. Un tema su cui il ministro è tornato a parlare da Savona. «Non ha senso investire negli atenei, ampliando il più possibile il concetto di formazione continua, quando alcune facoltà sono a numero chiuso. Sono atteggiamenti contraddittori», preannunciando, in modo implicito, la volontà di avviare una riflessione sul tema. Da rivedere, ancora, i criteri di finanziamento e di valutazione delle performance degli atenei secondo criteri premiali, «che dovranno tenere maggiormente conto dell'impegno verso la digitalizzazione e la sostenibilità energetica e ambientale». (Fonte: La Stampa 14-07-17)

QS UNIVERSITY RANKING. LA CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE IN BASE A SEI CRITERI
Quest'anno sono state analizzate 4,388 Università e, tra queste, 956 sono state incluse nella classifica. Per identificare le Università globalmente competitive, sono stati considerati sei criteri.
I sei criteri sono i seguenti con riferimento alle università italiane (i numeri davanti a ciascun ateneo indicano la posizione nella classifica):
Sondaggio Accademici - Università italiane tra le prime 200: 77 Università di Bologna: 86 Sapienza - Università di Roma; 138 Politecnico di Milano; 159 Università degli Studi di Padova; 181 Università degli Studi di Milano; 195 Università di Pisa.
Sondaggio Datori di Lavoro/Recruiter - Università italiane tra le prime 200: 30 Università Commerciale Luigi Bocconi; 53 Politecnico di Milano; 126 Politecnico di Torino; 132 Università Cattolica del Sacro Cuore; 157 Università di Bologna.
Citazioni per Ricercatore (Impatto Ricerca Prodotta) - Università italiane tra le prime 300: 18 Scuola Normale Superiore; 27 Scuola Superiore Sant'Anna Pisa; 135 Politecnico di Torino, 204 Politecnico di Milano, 206 Università di Brescia. 212 Università di Ferrara, 219 Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia; 231 Università degli Studi di Trento.
Proporzione tra Docenti e Studenti - Le migliori Università italiane: 73 Scuola Normale Superiore; 90 Scuola Superiore Sant'Anna Pisa; 475 Università degli Studi di Trieste.
Nei rimanenti tre indicatori, che cumulativamente rappresentano il 30% del punteggio totale, l'Italia è molto svantaggiata. In particolare, nell'indicatore "Faculty/Student Ratio" dove, ad eccezione della Normale e di Sant'Anna, solo Trieste é tra le prime 500 al mondo. Con l'espansione della classifica, che quest'anno vede 43 new entry, l'Italia perde sempre più terreno in questo determinante indicatore.
L’Università di Trento ottiene il miglior risultato italiano nell'indicatore "International Faculty" (proporzione di docenti ricercatori internazionali) classificandosi 348esima al mondo, mentre la Scuola Superiore Sant'Anna Pisa primeggia in Italia nell'indicatore "International Students" (proporzione di studenti internazionali) ottenendo il 291esimo posto al mondo.
La classifica delle migliori Università al mondo, QS World University Rankings, é consultabile su: www.TopUniversities.com . (Fonte: A. De Gregorio, CorSera 07-06-17)

IL “TESORETTO” DI OLTRE 415 MILIONI SUL CONTO CORRENTE DELL’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA (IIT). DOMANDE SENZA RISPOSTA
Era stata Laura Margottini sul Fatto Quotidiano a evidenziare l’anomalia di circa mezzo miliardo di Euro non spesi che giacevano in conti correnti e prodotti finanziari (Human Technopole: IIT ha «540 milioni in conti bancari e investimenti». Dare ancora soldi è intelligente?). L’esistenza del tesoretto era confermata da una testimonianza di prim’ordine: il direttore scientifico dell’IIT Roberto Cingolani che ne aveva data conferma a Riccardo Iacona nel corso di un’intervista mandata in onda su Presa Diretta del 19 settembre 2016. Nessuna sorpresa che la richiesta della senatrice Elena Cattaneo di recuperare questo tesoretto e di destinarlo alla ricerca pubblica avesse trovato ampio consenso nel mondo della ricerca (basti ricordare le più di 5.00 firme raccolte da quest’appello). Un intervento letteralmente a costo zero che non toglie niente a nessuno (IIT continuerebbe a ricevere il suo ingente finanziamento annuale di 100 milioni) e che dà un po’ di ossigeno al mondo della ricerca penalizzato da anni di tagli. Ma ecco che arriva il colpo di scena. Intervistata dall’edizione nazionale di Repubblica, la senatrice Cattaneo dichiara: Ambienti della maggioranza hanno detto, lasciandomi sconcertata, che quei fondi non ci sono più perché lo Stato li ha già usati. Vera o falsa che fosse, l’indiscrezione sul forziere vuoto, un primo effetto l’ha avuto. Niente più emendamento sul recupero. Passato il pericolo, ci si è affrettati a minimizzare la notizia del “buco”. Sul conto corrente infruttifero n. 25039 aperto presso la Banca d’Italia, intestato all’Istituto italiano di tecnologia, gli oltre 415 milioni di euro di liquidità certificati dalla Corte di Conti, ci sono? Sono disponibili? Se non ci sono che fine hanno fatto? Se sono indisponibili perfino alle decisioni del Parlamento, per quali oscure ragioni finanziarie? L’imbarazzo dalle parti del Ministero dell’Economia sembra essere confermato dagli ultimi sviluppi. Come prontamente notato dall’ADI, spunta fuori un comunicato MIUR su un’inedita “Convergenza MIUR-IIT”. Una specie di premio di consolazione: no, non recuperiamo i 415 milioni parcheggiati (ammesso che lo siano ancora) ma IIT s’impegna a diventare una specie di agenzia per il finanziamento di progetti di ricerca. Il governo sarebbe già dovuto intervenire da tempo, recuperando i fondi non spesi dall’IIT e destinandoli ad attività di ricerca maggiormente produttive di un conto infruttifero. Secondo La Repubblica e un comunicato stampa del MIUR, a fronte di 415 milioni di tesoretto, le risorse messe a disposizione sarebbero 250. Dunque ora l’IIT, una fondazione di diritto privato, è elevato a rango di decisore sullo stanziamento di 250 milioni di euro da destinare alla ricerca pubblica, solo una parte del “tesoretto”. Perché adesso sono messi a disposizione solo 250 milioni? Vuol dire che gli altri 165 milioni sono stati già spesi? Se i soldi non ci sono più, chi li ha spesi e per che cosa? (Fonte: Red.ne Roars 28-05-17; FlcCgil 29-05-17)

DIPARTIMENTI IN GARA. L’AUTONOMIA DI BILANCIO DEGLI ATENEI RESTA SULLO SFONDO
La legge di stabilità 2016 ha inopinatamente previsto una sorta di scelta comparativa e competitiva, non tanto tra gli atenei, ma tra i loro dipartimenti, per selezionare e privilegiare all’interno del sistema nazionale 180 dipartimenti, scelti in una platea di 350 candidabili secondo i risultati dell’ultima valutazione della ricerca (VQR), con l’obiettivo di attribuire loro somme cospicue per l’attività presente e futura, ponendoli così in posizione preminente non solo all’interno dei rispettivi atenei ma dell’intero contesto accademico. Riservare loro 271 milioni di euro l’anno costituirà una differenza rispetto alle altre strutture e una distanza incolmabile tra chi potrà assidersi a una tavola riccamente imbandita e chi dovrà contendersi le briciole del tutto insufficienti per prospettive di sviluppo che, proprio in virtù delle eventuali lacune registrate, dovrebbero trovare consiglio e investimento solidale da parte dei poteri pubblici, se si vuole tendere a un’equilibrata distribuzione di risorse e opportunità per tutta l’organizzazione universitaria. La prospettiva, forse non ipotizzata, ma certamente probabile, potrà essere la polverizzazione del concetto di “universitas studiorum” che finora ha sempre caratterizzato i nostri atenei. L’enucleazione di singole preminenti strutture, con passo e capacità ben più potenti della restante palude, potrebbe ragionevolmente indurli a connettersi con altri dipartimenti di pari efficienza, coerenti per attività scientifica e convergenti per dinamiche progettuali, rompendo così fragili equilibri di settori scientifici e disciplinari, realizzati con scelte difficili e, a volte, discusse e contrastate ma pur sempre autonomamente e consapevolmente deliberate dagli organi di governo. Preme riscontrare se, anche in questo intervento ministeriale così determinante per il futuro delle università, non vi sia stata, alla luce dell’insegnamento ora impartito dalla Consulta (a proposito del costo standard per studente) una sottovalutazione dell’essenzialità della valutazione e decisione politica nei confronti dell’automatismo di formule matematiche, più o meno corrette ed efficaci ma incompatibili con la doverosa responsabilità di governo per soluzioni così decisive per composizione e futuro del nostro sistema universitario. Siamo dinanzi all’essenza delle scelte di governo di un’università che andrebbero considerate nel complesso della strategia dell’ateneo interessato e che dovrebbero, semmai, essere sottoposte a un vaglio di merito specifico e non valutate, dalla Commissione tecnica, soltanto per punteggi numerici predefiniti che, necessariamente non possono tener conto della complessiva programmazione strategica dell’ateneo. Il comma 328 della legge di stabilità sancisce espressamente che [ ... ] “il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca trasferisce alle università statali cui appartengono i dipartimenti il relativo finanziamento. L’università è vincolata all’utilizzo di queste risorse a favore dei dipartimenti finanziati”. L’autonomia di bilancio resta sullo sfondo come un sogno interrotto da un brusco risveglio! (Fonte: F. Matarazzo, estratto di articolo 33 n 5-6 2017)

I GRANT DEL CONSIGLIO EUROPEO DELLE RICERCHE. ITALIA PRIMA NAZIONE EUROPEA PER PREMIATI ALL'ESTERO
Il Grant europeo - che oggi è il premio continentale più prestigioso - compie dieci anni. Dal 2007 al 2016 sono stati distribuiti 12 miliardi di euro e per il periodo 2014-2020 saranno 13,1, il 17 per cento dell'intero programma Horizon 2020. La singola borsa in media è valsa 1,651 milioni di euro, arrivando fino a un massimo di 2,5 milioni per progetto. Nei dieci anni trascorsi i ricercatori europei hanno presentato 65.000 proposte di studio, 64.074 sono state valutate, 7.270 finanziate (l'11,3 per cento, una selezione severa). Gli oltre settemila progetti avviati hanno significato cinquantamila posti di lavoro, altamente qualificati. Tra i vincitori del Grant, sei ricercatori successivamente hanno preso il Premio Nobel.
L'Italia ha fatto la sua parte: ha presentato 7.533 progetti, ne ha vinti 644 (l'8,5 per cento) per 608 milioni di euro totali, ma c'è un dato che fa capire che spesso sono state le singole teste ad attirare la borsa e non le nostre università: in dieci anni 350 "grants" vinti da italiani sono stati spesi in Italia (siamo al settimo posto da questo punto di vista, il Regno Unito, in testa alla classifica, ne ha attratti 1.488). Ben 294 borse, invece, sono state spese all'estero. E a questo si aggiunge che i nostri centri di ricerca, le nostre università, sono state mediocremente attrattive: soltanto 30 borse vinte da stranieri sono state poi usate da noi (in questa classifica scendiamo all'undicesimo posto). Duecentonovantaquattro cervelli in uscita, trenta in entrata. Il problema è decennale, ma nel 2016 l'esodo dei migliori ha toccato i suoi picchi: siamo diventati la prima nazione europea per premiati all'estero.
E' l'Università Bocconi ad aver preso il maggior numero di "grants" italiani nel periodo 2007-2016: sono stati 25. Poi il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e la Sapienza di Roma (20), il Politecnico di Milano e l'Università di Padova con 18. Va rilevato come la scuola superiore Sissa di Trieste con soli ottanta docenti abbia ottenuto 17 borse europee.
(Fonte: C. Zunino, R.it 09-05-17)

LA GESTIONE DEI CORSI E L’ACCOMPAGNAMENTO AL MONDO DEL LAVORO
Per aiutare la gestione dei Corsi universitari, per valutarli ciclicamente, si chiede ai loro responsabili di compilare protocolli e di studiare tabelle; di condurre inchieste e compulsare statistiche; di lodare i percorsi di studio e le performance degli stessi, dichiarando al tempo stesso le criticità didattiche, le carenze, le “azioni” intraprese o da intraprendere per superarle, i tempi e le fasi di tali processi, i relativi responsabili. Si forniscono dati e tabelle (naturalmente on-line) già ben presenti sulle scrivanie dei valutatori, per far dire ai Presidenti e ai gruppi AQ [Assicurazione della Qualità] le cose che i committenti già sanno: quanti studenti, quante studentesse, quanti anni per la laurea, quali voti, quali medie, quali miglioramenti, quali peggioramenti. Si pretende che Dipartimenti e Corsi interpellino la Confindustria o, in mancanza, l’associazione caciottari locale, sull’importanza del corso di laurea in Semiologia e Linguistica, o in Scienze della Mercatanzia: sulla congruenza del suo piano di studi col Mercato. Chiedono come si posizioni il Corso rispetto a knowledge and understanding, con particolare riferimento ad applying knowledge and understanding, soprattutto; vogliono che si sappia quanto sia importante la capacità degli studenti nell’arte del making judgements nonché delle communication skills; il tutto al fine, naturalmente, di soddisfacenti learning skills. E se nella descrizione, nella programmazione, nell’analisi dei dati, nell’abisso fra proponimenti e realizzazioni didattiche può servire talvolta la retorica, la manipolazione, la promessa, c’è poi un punto sul quale la ghigliottina non può non cadere, o almeno stare lì, appesa a un filo magnanimamente tenuto: l’accompagnamento al mondo del lavoro. Sì, i docenti, un gruppo scelto fra loro, dovrà pur “accompagnare” i giovani da qualche parte. Dove siano stati scritti questi compiti (in quale contratto di lavoro o in quale stato giuridico) nessuno lo sa. Uno crede di aver studiato e di dover insegnato analisi matematica o filologia slava. No, deve “accompagnare” i giovani al lavoro. Governo, Ministeri, Regioni, Imprese non creano lavoro. Gli investimenti sono a secco. La spesa pubblica langue, invischiata nel Debito. La ricerca, manco a parlarne. Ma i docenti debbono “accompagnare” al lavoro che non c’è. (Fonte: https://tinyurl.com/y8cdtuw3 03-07-17)

L’IMPATTO DEGLI ATENEI ITALIANI SUI SOCIAL
VOICES from the Blogs, spinoff universitario, ha deciso di occuparsi dell’Università dal punto di vista della presenza in Rete e del passaparola online. In attesa della classifica degli Atenei, che uscirà in autunno, ecco alcuni dati in anteprima su quanto se ne parla, chi ne parla e come se ne parla. Una specie di Tripadvisor degli atenei italiani. Anche se l’analisi completa riguarderà anche altri canali social oltre che forum e siti web, ecco i primi risultati basati sull’analisi di oltre 236mila Tweet raccolti tra gennaio e inizio luglio 2017. Si tratta dei tweet in cui vengono menzionati gli account ufficiali degli stessi Atenei. Ecco la classifica dei primi trenta account twitter più citati: @SapienzaRoma @unimessina @UniCalPortale @univUda @UniGenova @unipait @PolibaOfficial @UniperugiaNews @iuav @unibait @UniSalerno @unipr @UniVerona @UNI_FIRENZE @UniboMagazine @univca @PoliTOnews @UnivRoma3 @Unipisa @UNIMORE_univ @unipv @LaStatale @UninaIT @unitorvergata @Unibocconi @UniPadova @unimib @unito @Unicatt @polimi. (Fonte: CorSera 22-07-17)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

INTERPRETARE I RANKING
Un recentissimo articolo pubblicato sul sito del World Economic Forum analizza il posizionamento degli atenei nel contesto dell’offerta complessiva di ciascun “sistema paese”. In particolare, riporta alcuni dati elaborati a partire dall’Academic Ranking of World Universities della Shanghai Jiao Tong University e Webometrics. Al primo posto come numero di università tra le prime 200 figurano gli Stati Uniti con 92 atenei. Nella graduatoria di destra, tuttavia, gli Usa scendono al tredicesimo posto. In poche parole, le 92 università top rappresentano solo il 2,8 per cento degli atenei del paese: vi sono molte eccellenze, ma il paese nel suo complesso è più debole di quel che normalmente si immagini. L’Italia ha solo cinque atenei tra i primi 200, che rappresentano il 2,1 per cento del totale. Se consideriamo le università Top 500, vediamo che la percentuale di atenei degli Stati Uniti crolla al 5,1 per cento rispetto al 7,2 per cento dell’Italia. Se consideriamo poi le università Top 1000, che costituiscono pur sempre il top 5 per cento degli atenei al mondo, gli Stati Uniti scendono ancor più giù nella classifica riguardante la percentuale degli atenei presenti, mentre l’Italia sale al quinto posto. Letto in altro modo, in Italia il 20 per cento circa delle università del paese offre una formazione da Top 1000. In Usa sono solo l’8,4 per cento e in Francia la percentuale scende al 7,5 per cento. Interessante la conclusione dell’articolo citato: “Ciò che interessa al cittadino medio non è tanto che il suo paese abbia istituzioni come Stanford o Oxford, quanto la qualità delle università che i suoi figli con ogni probabilità frequenteranno”. Compito dei politici è perciò garantire che un’educazione terziaria di alta qualità sia accessibile a tutti e non solo a una élite. (Fonte: A. Fuggetta, lavoce.info 17-05-17).
Nota di A. Fuggetta a margine dei commenti: Vorrei ricordare che: 1. Il confronto è stato fatto dal collega dell'Insead e pubblicato sul WEF. 2. I dati sono stati raccolti in modo omogeneo considerando le diverse tipologie di istituzioni (anche per l'Italia). 3. Stiamo parlando della qualità dell'offerta e non della struttura della domanda.

CLASSIFICA CENSIS DELLE UNIVERSITÀ
Tra le università statali che contano oltre 40mila iscritti Bologna mantiene la prima posizione con il punteggio complessivo di 92,0, una media che la vede primeggiare nelle strutture e nell'internazionalizzazione, mentre fanno meglio Pisa nei servizi, La Sapienza di Roma nelle borse di studio, Palermo e Torino nella comunicazione e nei servizi digitali. La seconda è Firenze, che non eccelle in nessuna categoria ma ha ottime medie e terza Padova, come Firenze capace di mantenersi a buoni livelli in ogni voce. Padova e La Sapienza di Roma, rileva il Censis, oltre a migliorare il loro punteggio nella comunicazione e nei servizi digitali guadagnano punti nel livello di internazionalizzazione. Ultima in classifica tra i mega atenei è, come lo scorso anno, l'Università di Napoli "Federico II", penultima Catania, che ha perso una posizione, mentre si conferma terzultima la Statale di Milano. Prima tra i grandi atenei statali che contano tra i 20mila e i 40mila iscritti, si conferma Perugia, eccellenza per comunicazione e servizi digitali (+5 punti rispetto allo scorso anno) e internazionalizzazione. Seconda è Pavia, in virtù di standard alti in ogni voce e del primato per le strutture, terza Parma, nessun primato, ma solo due punti di media in meno dalla seconda. Al quarto posto una nuova entrata, l'Università di Modena e Reggio Emilia, passata dai medi ai grandi atenei e sopra di 3 punti nei servizi per gli studenti rispetto all'anno passato. Trento perde il primato tra i medi atenei statali (da 10mila a 20mila iscritti) scalzata da Siena, ma la differenza tra le due università è minima: 99,4 la prima e 99,2 la seconda in classifica. Siena la spunta su Trento soprattutto grazie alle borse di studio, ma l'università del Nord Italia va oltre i 100 punti in ben tre voci, oltre alle borse di studio, nelle strutture e nella comunicazione. Al terzo posto Sassari, che ottiene punteggi alti per le strutture e la comunicazione e servizi digitali, mentre resta indietro nei servizi. Anche quest'anno quarta in graduatoria è l'Università di Trieste, seguita da un altro ateneo friulano, l'Università di Udine, in ascesa di due posizioni nella classifica complessiva e con un incremento di 14 punti in quella riguardante la spesa per borse e altri interventi in favore degli studenti. (Fonte: C. Nadotti, La Repubblica 03-07-17)

QS UNIVERSITY RANKING. USA E UK AL TOP
Ben quattro posizioni di testa della classifica annuale delle migliori università del mondo redatta dalla Quacquarelli Simonds (che ha preso in esame 4.388 atenei e ne ha inclusi 956 nella classifica), sono occupate da americane. Per la prima volta nella storia di questa classifica le prime quattro Università sono Statunitensi: MIT, Stanford, Harvard e Caltech, il California Institute of Technology. Il Massachussett Institute of Technology (MIT) domina la quattordicesima edizione riconfermandosi la migliore Università al mondo per il sesto anno consecutivo. Seguono quattro eccellenze (comunque) anglosassoni, poi di nuovo gli Usa con la University of Chicago al nono posto. Ma scorrendo la classifica (che si può consultare su https://www.topuniversities.com/) c’è tanta America in tutte le prime venti posizioni: Princeton è tredicesima, Cornell 14esima, Yale, Johns Hopkins, Columbia, University of Pennsylvania occupano le caselle dalla 16 alla 19. E prima di arrivare alla cinquantesima posizione ci sono altre sette università Usa: Duke, Michigan, Berkeley, Northwestern, Ucla, San Diego, Carnegie Mellon. Ben Sowter, Responsabile della Ricerca per QS commenta così il primato della regina: «MIT é il nucleo di un ecosistema innovativo senza rivali. Start-up create dagli alumni producono cumulativamente ricavi per oltre 2 trilioni di dollari, rendendo questa realtà l’equivalente dell’undicesima economia al mondo». Eppure, questo dominio ininterrotto della classifica, non riesce a oscurare i cambiamenti in atto: «Molte università statunitensi e britanniche stanno lentamente perdendo terreno, che viene occupato dalle migliori in altre nazioni, tra cui Russia, Australia, Singapore, Cina e India», dice il ricercatore. (Fonte: A. De Gregorio, CorSera 07-07-17)

REPUTATION RANKING THE 2017. AVANZANO GLI ATENEI ASIATICI
La rivista Times Higher Education (THE) ha pubblicato sul proprio sito il reputation ranking del 2017, ovvero una lista che comprende le prime 100 università a livello mondiale classificate sulla base della propria reputazione in termini di insegnamento e ricerca. Le prime 5 università che godono della reputazione più alta al mondo nel 2017 sono quasi le stesse del 2016: Harvard si colloca al primo posto, il Massachusetts Institute of Technology al secondo, Stanford al terzo, e, infine, Cambridge e Oxford sono a pari merito al quarto posto, mentre nel 2016 Cambridge era quarta e Oxford era quinta. Fino alla decima posizione non si registra nessuna variazione significativa rispetto al ranking del 2016: l’Università della California, Berkeley occupa il sesto posto anche nel 2017 e lo stesso vale per Princeton al settimo posto e Yale all‘ottavo. Forse l’unica differenza degna di nota in questa top ten è che nel ranking del 2017 l’Università di Chicago si colloca al nono posto, il quale era, invece, occupato nell’anno precedente dalla Columbia University, scivolata ora in 12esima posizione. La California Institute of Technology chiude la lista delle prime dieci università sia nel 2017 sia nel 2016.
Ma è proprio a partire dalla decima posizione in giù che il reputation ranking del 2017 diverge significativamente da quella del 2016: laddove nel 2016 l’11esimo posto era saldamente occupato da un ateneo americano, l’Università di Chicago, ora questo è ricoperto per la prima volta da un’università asiatica, l’Università di Tokyo, che era 12esima nel 2016. Inoltre, nel ranking del 2017 un’altra università a stelle a strisce, la University of Michigan (ora al 15esimo posto), è stata sostituita da un altro ateo asiatico, la cinese Tsinghua University, che ora riveste la 14esima posizione. Questo scambio di posizioni si è verificato anche tra la cinese Peking University e l’americana Cornell University: la Peking University che era 21esima nel 2016 nel 2017 è salita al 17esimo posto, mentre Cornell è scesa addirittura di 6 posizioni da un anno all’altro.
A giudicare da questi risultati, si potrebbe concludere che l’avanzata delle università asiatiche (una giapponese e due cinesi) in termini di reputazione si sta facendo sentire a discapito delle università americane, proprio come sottolinea un articolo del Times Higher Education che analizza il ranking del 2017. (Fonte: https://it.businessinsider.com 29-06-17)



DOCENTI

PERCHÈ I DOCENTI UNIVERSITARI HANNO DI CHE LAMENTARSI
E’ opportuno ricordare che per il quadriennio 2011-2014 non chiediamo arretrati, soffrendo come hanno sofferto tutti gli altri 3 milioni del pubblico impiego (Magistrati e Avvocati dello Stato esclusi), ma che dal 1° gennaio 2015 la Docenza Universitaria si è vista riservare un “trattamento particolare” che nessuno degli altri ha subito, che la condanna a perdere "a vita". Un trattamento lesivo non solo per l’aspetto economico, pur importante, ma lesivo della nostra dignità.
Perdite stipendiali medie di un Professore Associato a circa metà della carriera:
1) Quadriennio 2011-2014: perdita di circa 3200 euro netti all’anno per un totale, nel quadriennio, di 13000 euro netti: questi sono gli arretrati che, come detto sopra, non chiediamo.
2) Anno 2015 e tutti i successivi, fino alla pensione: perdita di 3200 euro netti l’anno (250 euro netti ogni mese)
3) Perdite sul trattamento di fine rapporto (la “buonuscita”): perdita di 13000 euro netti
4) Pensione: perdita di 2500 euro netti l’anno (200 euro netti al mese).
(Fonte: Movimento per la dignità della docenza universitaria)

CHIAMARE DOCENTI DALL’ESTERO
Finora le procedure messe in campo in passato per chiamare docenti dall'estero hanno funzionato poco e male: «Ci sono troppe complicazioni e troppi interventi normativi che fanno regnare la confusione e l'incertezza», avverte il presidente del Consiglio universitario nazionale (CUN), Carla Barbati. Che segnala tra l'altro come «nelle circa 100 pratiche che esaminiamo ogni anno, si tratta, nella maggior parte dei casi, di italiani che vogliono ritornare». Sono almeno tre le procedure attualmente in vigore per le chiamate dirette: una prevista dalla legge Moratti (la 230/2005), che prevede comunque l'ottenimento dell'abilitazione italiana, la seconda - una sorta di chiamata "direttissima" - destinata ai vincitori di grandi progetti di ricerca di rilievo europeo o nazionale (senza abilitazione) e infine le chiamate per chiara fama cui però le università hanno fatto poco ricorso. A questo impianto già complicato si aggiungerebbe ora, nel caso fosse varata, anche la procedura delle cattedre Natta che il mondo accademico avverte come un corpo estraneo. Anche perché tra l'altro questa corsia speciale - anche nella nuova bozza di Dpcm che ne ha rivisto alcuni aspetti - prevede incentivi retributivi in più per chi sarà scelto dagli atenei dalla lista del 500 vincitori. Il nuovo decreto stabilisce, infatti, che ai vincitori siano attribuite «due classi stipendiali» per i nuovi docenti e «due classi di avanzamento stipendiale rispetto a quella in godimento» per i docenti che già insegnano. A questo riconoscimento retributivo ogni ateneo «con oneri a carico del proprio bilancio» potrà riconoscere al professore «fino a cinque classi ulteriori» rispetto alle classi stipendiali previste come base. Un modo questo per rendere più attraente la possibilità di venire a fare ricerca e insegnamento in Italia. «Anche se - aggiunge la presidente del CUN Barbati - il vero problema non sono tanto gli stipendi, ma i fondi e le risorse scientifiche a disposizione nel nostro Paese per fare ricerca che sono sottodimensionate rispetto agli altri». (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 25-05-17)

RIENTRO IN ITALIA DI DOCENTI E RICERCATORI. CHIARIMENTI SULLE AGEVOLAZIONI
L’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti sulle agevolazioni per il rientro in Italia di docenti e ricercatori, temporaneamente introdotte nel 2010 e successivamente confermate dalla legge di Bilancio 2017. L’agevolazione spetta unicamente in relazione ai redditi derivanti da rapporti aventi ad oggetto attività di ricerca o di docenza svolte nel territorio italiano e non si estende ad altri eventuali redditi percepiti dal beneficiario. Il regime fiscale agevolato si applica complessivamente per quattro periodi d’imposta: con quali modalità? Con la circolare n. 17/E del 23 maggio 2017, rubricata “Regimi agevolativi per persone fisiche che trasferiscano la residenza fiscali in Italia”, l’Agenzia delle Entrate ha avuto cura di illustrare compiutamente le agevolazioni fiscali introdotte quale misura temporanea dall’art. 44 del D.L. n. 78/2010 (Incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all'estero) e recentemente confermate a regime dalla Legge di Bilancio 2017 per attrarre in Italia docenti e ricercatori esteri. La circolare integra i chiarimenti già forniti in passato con le Circolari n. 4/E del 15 febbraio 2011 e n. 22/E dell’8 giugno 2004. (Fonte: www.ipsoa.it 21-06-17)

LE CATTEDRE NATTA SONO RISALITE SUI BINARI
Le controverse cattedre Natta date per spacciate o quantomeno accantonate dopo la sonante bocciatura del Consiglio di Stato di fine 2016 e soprattutto dopo l'uscita di scena del premier Renzi che ne aveva issato la bandiera per internazionalizzare i nostri atenei, ora sono risalite sui binari. Una nuova bozza di Dpcm, cui ha lavorato il ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, è, infatti, allo studio di Palazzo Chigi. Tra le principali novità c'è la previsione di un ampio coinvolgimento della comunità scientifica nelle procedure di selezione di questi superdocenti, oltre alla promessa nel caso di rivedere tutto il meccanismo dopo tre anni. Nel nuovo decreto i presidenti delle 25 commissioni di selezione saranno scelti dal MIUR (e non più da Palazzo Chigi) da tre liste redatte dalla Conferenza dei rettori (Crui), dal Cun e dalla Consulta dei presidenti degli enti di ricerca e dall'Accademia dei lincei. Mentre gli altri due commissari saranno sorteggiati da liste redatte dall'ANVUR. Basterà questa procedura meno accentratrice a far passare il mal di pancia alla nostra accademia? Il decreto, che è un decreto della presidenza del consiglio e non del MIUR, dovrà ora ricominciare tutti i passaggi di legittimità previsti dalla legge. Sarà dunque molto difficile che il bando per i commissari e poi la scelta dei primi dei 500 beneficiari del nuovo sistema possa avvenire prima della fine dell’anno. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 25-05-17)
L’annuncio della ripartenza del contestatissimo progetto ha immediatamente sollevato nuove proteste. Dottori di ricerca e ricercatori a tempo determinato sono già sulle barricate. Con l’appoggio della Cgil Scuola, nei giorni scorsi hanno lanciato una petizione online su Change.org, che ha raggiunto ormai oltre 5 mila firme, per chiedere che quei fondi - circa 75 milioni l’anno - siano utilizzati, invece che per premiare dei super cervelli, per stabilizzare giovani scienziati altrimenti condannati alla precarietà da un sistema di reclutamento che fa sempre più affidamento sulle figure a tempo determinato: negli ultimi 8 anni l’università italiana ha perso 13 mila cattedre.

CARRIERA ACCADEMICA. ANVUR. QUALITÀ DELLA RICERCA. ASN. Un’analisi di Forges Davanzati
La probabilità di fare carriera accademica, in Italia, dipende in misura rilevante dalla capacità del singolo aspirante ricercatore di pubblicare su riviste reputate “eccellenti”. Si tratta di riviste censite dall’Agenzia Nazionale di Valutazione della Ricerca (ANVUR) che opera sostanzialmente così. L’Agenzia valuta le pubblicazioni riguardo alla sede che le ha ospitate, indipendentemente dal loro contenuto, così che un articolo che nulla aggiunge alle nostre conoscenze, se, per puro caso, è stato pubblicato su riviste di “eccellenza” (ovvero certificate tali dall’Agenzia) riceve una valutazione molto positiva, così come, per contro, un articolo estremamente innovativo pubblicato su riviste che l’ANVUR non considera buone riceve una valutazione bassa. E’ del tutto evidente che questo dispositivo genera attitudini conformiste, dal momento che per pubblicare su riviste considerate prestigiose (e definite di classe A) occorre uniformarsi alla loro linea editoriale, e talvolta – come spesso documentato – anche mettere in atto comportamenti eticamente discutibili.
La storia della Scienza mostra inequivocabilmente che le maggiori ‘rivoluzioni scientifiche’ si sono generate non allineandosi al paradigma dominante. In tal senso, l’operazione ANVUR è quanto di più dannoso si possa immaginare per l’avanzamento delle conoscenze in ogni ambito disciplinare e, non a caso, in quasi nessun Paese al mondo esiste una valutazione “dall’alto” della qualità della ricerca. In alcuni casi, quando si è provato a farlo si è rapidamente tornati indietro. Non a caso, all’estero, non si è valutati sulla base di protocolli di riviste generati da agenzie governative e vi è ampio consenso sul fatto che è semmai la dispersione di risorse (e non il loro accentramento) a produrre maggiore ricerca e di migliore qualità. Il problema è aggravato dal fatto che l’accesso alla carriera universitaria, o gli avanzamenti di carriera, avvengono, da quando è in vigore la c.d. legge Gelmini, in modo assai farraginoso. Si tratta di una procedura di valutazione costosa e soprattutto del tutto inefficace per selezionare i docenti più meritevoli e più produttivi. E’ innanzitutto una procedura costosa. La Camera dei Deputati, nella relazione tecnica del 29 giugno 2011, stimò un costo annuo per le procedure di ASN (abilitazione scientifica nazionale), pre-requisito per l’accesso alla docenza, pari a €17.000.000. (Fonte: G. Forges Davanzati, https://tinyurl.com/y7t58ne9 25-05-17)

UNA SENTENZA DEL TAR SUL BLOCCO DEGLI SCATTI STIPENDIALI AI DOCENTI UNIVERSITARI
L'articolo 9, comma 21, del Dl n. 78/2010, convertito dalla legge n. 122/2010, disponeva che i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3 del DLgs n. 165/2001 non si applicassero per gli anni 2011, 2012 e 2013 e non dessero comunque luogo a successivi recuperi. Tre docenti e ricercatori universitari presentavano nel 2012 ricorso per l'accertamento del diritto al trattamento retributivo spettante per il triennio 2011-2013, nonché per la condanna dell'Università di Milano al pagamento di tali differenze retributive, senza tener conto del blocco degli adeguamenti e degli aumenti degli stipendi. La sentenza del Tar Lombardia (sez. IV, 9 maggio 2017, n. 1037) in tema di scatti stipendiali dei docenti universitari, ha respinto il ricorso.
Valendo per docenti e ricercatori un automatico scatto dello stipendio – scrive il giudice amministrativo - perciò trova applicazione anche la disciplina sul blocco, perché finalizzata al contenimento delle spese per l'impiego pubblico. Il significato del sintagma “progressione automatica” non va riferito alla posizione del singolo dipendente ma correlato alla sfera del bilancio pubblico, alla cui salvaguardia è preordinato lo stesso Dl 78, atteso che il bilancio è automaticamente intaccato per effetto della maturazione degli scatti stipendiali, dovendosi stanziare appositi fondi a copertura delle spettanze di tutti coloro che sono potenzialmente interessati da tale maturazione. La sospensione degli scatti non è volta a correggere la dinamica della loro attribuzione, ma la loro incidenza in termini economici sulle poste passive del bilancio statale; ne consegue che l'automatismo della loro attribuzione determina il blocco delle progressioni economiche anche per i docenti e i ricercatori universitari, come stabilito dalla normativa speciale.
L’iter logico-giuridico seguito dal Tar Lombardia, tuttavia, non convince, poiché sembra sovrapporre una considerazione di fatto a una valutazione di diritto. Se è vero, come ammette lo stesso collegio giudicante, che, in punto di diritto, l’Università può negare gli avanzamenti a chi non ha dimostrato un adeguato impegno, tale circostanza non sembra possa essere superata dalla constatazione, che è solo, di fatto, che in concreto gli avanzamenti ci sono poi per tutti. In altri termini, a parere di chi scrive, l’automatismo è ricavato da un fatto, mentre non c’è alcuna norma che lo preveda. Per i ricorrenti, dunque, sembra esserci margine per un appello vittorioso al Consiglio di Stato, cui spetta l’ultima parola in tali controversie. (Fonte: R. Tomei, Il Foglietto 08-06-17)

INSEGNANTI UNIVERSITARI DI MADRELINGUA. UN DISEGNO DI LEGGE AL RALLENTATORE
In merito dell’articolo 8 dello schema del Disegno di Legge e della relativa illustrazione tecnico-finanziaria, è evidente che siamo ben lontani da una soluzione complessiva per la categoria degli insegnanti universitari di madrelingua, in quanto il provvedimento è esclusivamente orientato alla risoluzione del solo contenzioso in atto da parte degli ex-Lettori, che nella relazione tecnica sono quantificati nel numero di 260. Inoltre, dalla cifra stanziata a fronte dei potenziali aventi diritto, ne consegue che l’intervento previsto è considerato “a regime”, cioè con decorrenza 1 gennaio 2017, mentre per il pagamento delle spettanze riguardanti il pregresso saranno eventualmente a carico dei singoli atenei che, da quanto previsto al comma 2 dell’articolo 8, avranno l’obbligo di concludere la procedura con la sottoscrizione di appositi contratti integrativi di ateneo, pena l’esclusione dal cofinanziamento statale. La data prevista nel Disegno di legge per approvare gli specifici contratti integrativi di ateneo è fissata al 31 dicembre 2017, il che potrebbe indurre a pensare a una celerità dell’iter legislativo, che purtroppo però è in netto contrasto con la realtà delle cose, in quanto, a oggi, il DDL non risulta nemmeno incardinato alle Camere. (FLC CGIL 04-06-17)

I DOCENTI AFAM “RETROCESSI” NEL COMPARTO DEL PERSONALE DELLA SCUOLA
Il decreto legislativo 13 aprile 2017, numero 59 (Madia), avendo trascurato la sollecitazione del Senato a rendere autonomo il «comparto di contrattazione» delle accademie e dei conservatori di musica ha improvvidamente «retrocesso» i professori di questi istituti nel comparto del personale della scuola «di ogni ordine e grado». In sostanza dal luglio 2016 i docenti di accademie e conservatori (circa 6.000 persone) sono stati inglobati nel mare magnum del personale delle scuole materne, elementari, secondarie e artistiche, nonostante si tratti di istituzioni culturali che, sulla base della legge numero 508/99, devono rilasciare titoli accademici di primo e secondo livello, insomma lauree, come accade ovunque nel mondo. È evidente l'assurdità di questa situazione. Con la conseguenza che, in prospettiva, sarà difficile mantenere alto il prestigio di queste istituzioni, dal momento che al corpo insegnante e agli studenti sarà sempre più evidente che le loro scuole non sono più considerate un'eccellenza, che l'Italia non è più il Paese dei grandi pittori, scultori e musicisti ai quali si ispirano gli artisti di tutto il mondo. (Fonte: S. Sfrecola, La Verità 15-07-17)


DOTTORATO

L’ACCREDITAMENTO DEL DOTTORATO DI RICERCA. LINEE GUIDA DEL MIUR
L’8 febbraio 2016 l’ANVUR approva il documento “l’Accreditamento dei corsi di dottorato” in cui sono mostrati i criteri, gli indicatori e le modalità di verifica degli stessi. Per oltre un anno di accreditamento non si è più parlato. Finché il MIUR, il 14 aprile scorso, in maniera del tutto inaspettata, non ha prodotto le proprie Linee guida, con una proposta basata sul documento dell’ANVUR di un anno fa, ma, attenzione, semplificata e adeguata nell’ottica di rendere più lineare la procedura, ponendo l’attenzione sugli aspetti qualificanti del processo di accreditamento e tenendo conto della fattibilità gestionale delle operazioni richieste, nel rispetto dell’autonomia universitaria e degli enti di ricerca. Il criterio sulla qualità scientifica del collegio viene, in questo documento del MIUR, ulteriormente vincolato a indicatori sviluppati per altre finalità. In particolare, oltre al criterio mediato di R e X della VQR, si richiede al collegio il superamento (in media) di almeno due delle soglie fissate dall’ASN per il livello superiore (ricercatori soglie PA, PA soglie PO, PO soglie commissari). Sempre dal punto di vista della fattibilità gestionale delle operazioni il requisito sulla produttività scientifica è ricondotto per ciascuno alla soglia prevista per gli associati nel proprio settore concorsuale. Essa è così definita: per i settori bibliometrici, la soglia degli articoli indicizzati da Scopus e/o WOS negli ultimi 5 anni; per i settori non bibliometrici, la soglia degli articoli pubblicati in riviste di fascia A nel proprio settore concorsuale negli ultimi 10 anni.
Ma per conoscere tutta la cronistoria di quello che Roars ha chiamato il circo Barnum dell’accreditamento leggere qui. (Fonte: Red.ne Roars 01-06-17)

DOTTORATI. SEI SOCIETÀ SCIENTIFICHE ESPRIMONO PREOCCUPAZIONI PER L’ACCREDITAMENTO
Sono ben sei le società scientifiche – SISMED, SISEM, SISSCO, SIS, SISI, CUSGR e persino la SISSCO la società già presieduta da Graziosi – che scrivono alla Ministra, all’ANVUR, al CUN e alla CRUI per esprimere «la più viva preoccupazione per le nuove disposizioni per l’accreditamento dei dottorati e sui dottorati innovativi». «Le recenti linee-guida [per l’accreditamento dei dottorati] […] 1) Inaspriscono i criteri di valutazione e selezione dei collegi docenti […] con l’effetto di pregiudicare lo svolgimento dell’attività didattica dottorale. 2) Assegnano un carattere improprio alle cosiddette “riviste di fascia A”, limitando la tradizione scientifica dell’ambito storico e umanistico. 3) Introducono criteri contraddittori per l’individuazione dei “dottorati innovativi”, ai quali saranno tuttavia destinate risorse ingenti. 4) Prefigurano il rischio che l’eccessivo peso dato a indicatori quantitativi renda di fatto “bibliometrico” l’ambito della ricerca storica e umanistica in genere, che non può che essere valutata qualitativamente. […] Il pericolo, già in atto, è di snaturare i metodi di organizzazione e disseminazione della ricerca e di limitare ulteriormente le possibilità per le future generazioni di studiosi e ricercatori storici.» (Fonte: Red.ne Roars 20-06-17)

IL TAR DEL LAZIO HA ORDINATO AL MIUR CON ORDINANZA N. 3186/2017 DEI CHIARIMENTI SUL VALORE ABILITANTE DEL DOTTORATO DI RICERCA
Il dottorato di ricerca – scrive il SAESE in un comunicato – è il massimo grado di istruzione ottenibile e, nonostante ciò, è poco spendibile ed apprezzato in Italia, soprattutto in ambito scolastico. Il Sindacato SAESE è riuscito ad ottenere dal Parlamento EU l’equiparazione tra l’abilitazione all’insegnamento e il dottorato di ricerca, ma l’Italia non è obbligata a recepirla, e al momento pare che il MIUR non voglia farlo. La beffa è che, sebbene sia stato un sindacato italiano a presentare ed ottenere la richiesta, ad accettare la norma sono stati gli altri Paesi europei. Adesso anche il TAR del Lazio con ordinanza n. 3186/2017 chiede dei chiarimenti all’Amministrazione centrale. (Fonte: www.orizzontescuola.it 25-06-17)

DOTTORATO. PROROGHE
Con il Decreto Direttoriale 1373/2017 il ministero proroga i termini relativi alla conclusione del progetto di ricerca e alla sua rendicontazione di ben 11 mesi, fissandoli rispettivamente al 30 settembre 2020 e al 30 novembre 2020. Il MIUR riconosce dunque le criticità insite nel disciplinare attuativo per i dottorati innovativi a caratterizzazione industriale, che ADI aveva evidenziato sin dalla pubblicazione del decreto. Le nostre critiche si appuntavano in particolare sui commi 3 e 6 dell'art.2, proprio quelli che il MIUR ha ritenuto opportuno correggere. I due commi dettavano tempistiche ai limiti dell'assurdo per i progetti di ricerca. In particolare il ministero imponeva che la data di avvio dei progetti fosse precedente a quella dell'emanazione del decreto, supponendo forse l'uso da parte dei dottorandi di una macchina del tempo. Inoltre si stabiliva che la rendicontazione finale dei progetti dovesse aver luogo entro il 15 dicembre 2019, concedendo al massimo soltanto 45 giorni per la valutazione della tesi e l’esame finale. ADI aveva evidenziato immediatamente come tali tempistiche fossero del tutto irrealistiche, rendendo molto arduo il rispetto del requisito relativo alla durata triennale del dottorato di ricerca. (Fonte: ADI 10-07-17)


E-LEARNING. CULTURA DEL DIGITALE. MOOC

LE PROFESSIONI DIGITALI PIÙ RICERCATE
Quali sono le professioni digitali più richieste oggi dal mercato? Di cosa si occupano gli esperti del Web 2.0? In cima alla lista delle figure professionali più ricercate c’è il Data Scientist, ovvero l’esperto nella lettura e nell’analisi dei dati, spesso utili all’interno di un’azienda per intercettare gusti, interessi ed esigenze dei clienti sul web. Segue poi l’IT Security Manager, figura di riferimento per l’organizzazione, la gestione e l’assunzione di responsabilità della sicurezza di un’azienda. Ogni eventuale effrazione in internet, infatti, deve essere prevenuta per evitare gravi falle nel sistema di sicurezza. Compito di questo professionista è proprio di difendere tutti i sistemi informatici aziendali da qualsiasi intrusione di malintenzionati. Altra figura richiestissima è il Chief Technology Officer, che seleziona le tecnologie da applicare a prodotti e servizi offerti dall’impresa. Non meno ricercati sono lo Sviluppatore Mobile, che si occupa di applicazioni per smartphone e tablet, e il Big Data architect, che gestisce l’analisi dell’architettura del sistema dei dati. Altrettanto quotati nel mercato delle professioni digitali sono poi il Digital Copywriter, che gestisce contenuti di marketing su piattaforme digitali (web, piattaforme e-commerce, etc.), il Community Manager, addetto alla gestione di una comunità virtuale con il compito di progettarne la struttura e di coordinarne le attività e il Digital PR, esperto di pubbliche relazioni attraverso i canali online.
Non vanno dimenticati poi il Digital Advertiser, che segue e pianifica la gestione di campagne pubblicitarie sul web, l’ E-Reputation Manager che gestisce la reputazione online e il SEO e SEM Specialist, esperto di tecniche che supportano le aziende nell’ottimizzazione del loro posizionamento sui motori di ricerca. Nella lista delle posizioni più ricercate vi è anche lo User Experience Director, che gestisce l’esperienza dell’utente all’interno di spazi virtuali condivisi.
Ultimo, ma non per ordine d’importanza, il Social Media Marketing Manager, che spesso racchiude alcune mansioni comprese nei ruoli delle professionalità sopra elencate. Questo professionista spesso incarna quello che possiamo definire il Manager del Web, con il preciso compito di coordinare attraverso strategie e tecniche di Social Media Marketing tutte quelle azioni volte al supporto dell’immagine di un brand così come all’incremento delle vendite di un’azienda. (Fonte: Palermomania.it 20-07-17)

SULLA NECESSITÀ E SULLA FUNZIONE DELLE RIVISTE SCIENTIFICHE NELL’AMBIENTE DIGITALE
Le riviste non si occupano per niente della valutazione e raramente dell’editing – lavori, questi, svolti graziosamente e gratuitamente da redattori e revisori di solito stipendiati, se lo sono, dalle università e non dagli editori; le riviste tradizionali non sono vocate a diffondere i testi, ma a prenderli in ostaggio, limitandone la circolazione: quanto nel mondo della stampa era un passaggio tecnologicamente ed economicamente obbligato ora è divenuto un ostacolo che non viene scavalcato solo grazie al feticismo della collocazione editoriale. Come mai questo modello economico aberrante, nel quale chi lavora paga il datore di lavoro per l’onore di esserne sfruttato e trattenuto lontano dal pubblico, continua a sopravvivere? Se gli accademici fossero battitori liberi, smettere di mandare articoli alle riviste o – ancor meglio, smettere di scrivere articoli per comporre piuttosto ipertesti sezionabili, commentabili e linkabili – non apparirebbe eroicamente anticonformista, ma semplicemente razionale. Allo stato, però, a causa di sistemi di valutazione della ricerca fondati sulla lettura delle testate delle riviste in cui gli articoli sono privatizzati, è preferibile pubblicare un articolo stupido e inutile in una rivista che nessuno legge, ma dal nome noto, piuttosto che un testo intelligente e che sarà letto da molti ricercatori, ma in un blog privo di valore simbolico. Le tecnologie digitali – e in particolare il web semantico – consentono di costruire strumenti di indicizzazione e di ricerca che si estendono al di sopra e di là dai singoli siti, aprendo spazi di discussione e comunicazione decentralizzati, nei quali risulta manifesto che fare ricerca – discutere, connettere, rivedere – è molto più che “pubblicare”. (Fonte: M. C. Pievatolo, Roars 15-06-17)


FINANZIAMENTI

LA SELEZIONE DEI POTENZIALI DIPARTIMENTI D’ECCELLENZA
Il MIUR ha pubblicato l’elenco dei 352 dipartimenti (su 807 delle università statali) ammessi alla selezione dei 180 definiti di eccellenza. I vincitori riceveranno un contributo medio annuo di 1.350.000 euro; per scienze naturali, mediche e ingegneria si aggiungono altri 250mila euro. In totale si tratta di 1,35 miliardi di euro (271 milioni all’anno per cinque anni), che potranno essere usati dai dipartimenti vincitori per attirare nuovi ricercatori dall’Italia e dall’estero, motivare i docenti già in ruolo attraverso avanzamenti di carriera, finanziare programmi di ricerca e di didattica innovativa. Alla lista dei potenziali eccellenti si è arrivati sulla base dei risultati della VQR, appositamente standardizzati attraverso l’indicatore standardizzato di performance dipartimentale (Ispd) in modo da confrontare dipartimenti di aree diverse. La scelta dei 180 vincitori è ora affidata a una commissione di sette membri che procederà in due fasi. Nella prima, saranno premiati i singoli migliori dipartimenti di ogni ateneo (inclusi nella lista dei 352): la commissione esprimerà il proprio parere basandosi esclusivamente sulla qualità del progetto quinquennale di sviluppo presentato. Dovrebbero perciò essere premiati 65 dipartimenti di 65 atenei diversi. Nella seconda fase, saranno assegnati i 115 posti rimanenti, in base sia all’indicatore Ispd (70 punti su 100) sia alla bontà del progetto (30 punti su 100). In questa nuova geografia appare però evidente che le università del Sud saranno ulteriormente marginalizzate. La lista dei potenziali eccellenti ci consegna infatti una forte e attesa sperequazione geografica: il 13,1 per cento dei dipartimenti concorrenti ha sede nelle regioni del Sud, il 17,3 per cento in quelle del Centro e il 69,6 per cento in quelle del Nord, mentre si trova al Sud il 27 per cento dei dipartimenti statali italiani, al Centro il 32 per cento e al Nord il 40 per cento. La sperequazione rimarrà probabilmente anche quando sarà pubblicata la lista dei 180 vincitori. Dato il peso assegnato al punteggio Ispd, per le università del Sud sarà difficile recuperare posizioni grazie alla bontà dei progetti presentati. E anche se tutti i 46 potenziali dipartimenti eccellenti del Sud ottenessero il finanziamento si raggiungerebbe il 25 per cento del totale; nell’ipotesi più realistica di finanziamento per circa la metà, si arriverà al 13 per cento, benché il Sud abbia il 31 per cento dei docenti e circa il 29 per cento degli studenti iscritti. (Fonte: M. DePaola, lavoce.info 26-05-17)

DIPARTIMENTI IN GARA PER 1,3 MLD IN 3 ANNI
È partita una gara tra i dipartimenti universitari “eccellenti”. In palio, 1,3 miliardi euro, ripartiti in tranche da 271 milioni di Euro annui per cinque anni. I dipartimenti vincitori riceveranno tra 1,1 e 1,6 milioni di euro annui più altri 250mila per le “scienze dure”. Roars ha provato a simulare il torneo fino alla determinazione dei 180 vincitori. I dipartimenti del Centro-Nord si aggiudicheranno l’87% delle risorse pari a quasi 1,2 miliardi in cinque anni; al Sud ed Isole resterà il 13%, cioè complessivamente circa 180 milioni in cinque anni. Per avere un’idea della sperequazione, basti pensare che le università del Sud e Isole rappresentano il 31% del corpo docente e che la quota percentuale di finanziamento premiale sarà meno della metà. Il combinato disposto di costo standard (incostituzionale) e premialità FFO ha già drenato risorse dagli atenei del Sud agli atenei del Nord.
La gara tra dipartimenti avviene in due fasi. Nella prima fase, già svoltasi a porte chiuse, nel senso che sono stati pubblicati risultati che nessuno può verificare perché non sono disponibili i dati, il MIUR ha selezionato 350 dipartimenti “quasi eccellenti” tra i circa 800 dipartimenti italiani.
Nella seconda fase della gara i 350 “quasi eccellenti” si contenderanno i 180 premi a disposizione. Le regole bizantine della gara sono pressoché inaccessibili ai profani. C’è una commissione nominata dalla ministra Fedeli, il cui presidente è la Rettrice di un’università privata, la LUISS. Ma i giochi sono in gran parte già fatti, perché le regole limitano il potere di intervento della commissione stessa, dato che la vittoria finale dipende da un punteggio da 1 a 100, di cui 70 punti sono attribuiti in base all’ISPD del singolo dipartimento e 30 punti sono attribuiti in base al progetto dipartimentale di sviluppo. (Fonte: A. Baccini, G. De Nicolao, Roars 18-05-17)

CUN. SUL FINANZIAMENTO AI DIPARTIMENTI UNIVERSITARI DI ECCELLENZA
Si rileva l’incoerenza fra la previsione di risorse quinquennali e il loro vincolo per almeno la metà del totale al finanziamento a posizioni a tempo indeterminato o con tenure track. In analogia con quanto previsto per le convenzioni di cui all’art. 18 c. 3 della legge 240/2010, che per posizioni a tempo indeterminato, richiedono un finanziamento almeno quindicennale, sarebbe opportuno consentire, attraverso opportune politiche di accantonamento, una copertura di almeno quindici anni alle posizioni a tempo indeterminato o con tenure track di cui al c. 335, ridimensionandone il numero complessivo. (Fonte: https://tinyurl.com/y95ox2h6)

GARA DEI DIPARTIMENTI. UNA CORSA ALL’ECCELLENZA INSOSTENIBILE SECONDO ROARS
La Ministra Fedeli ha annunciato con toni quasi trionfalistici l’avvio delle procedure di selezione di 180 Dipartimenti “eccellenti”, che riceveranno un super-premio di oltre 1.000.000 di euro l’anno per cinque anni. La Ministra promette anche che ripartirà l’iter per l’assegnazione delle 500 cattedre Natta ad altrettanti studiosi che, sempre per la loro eccellenza, otterranno un trattamento significativamente diverso, non solo dal punto di vista economico, rispetto a quello dei loro colleghi. Il comunicato stampa (del 12 maggio) si conclude citando l’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile: provvedimenti come questi – secondo la Ministra – corrispondono agli obiettivi di educazione e formazione di qualità “che ci siamo prefissati aderendo all’Agenda”.
È proprio guardando agli obiettivi indicati dalle Nazioni Unite che questa corsa all’eccellenza, almeno in queste modalità, mi sembra invece francamente insostenibile, perché non aiuta lo sviluppo di tutto il paese e mette a rischio l’equità. Il goal n. 9 (Industria, innovazione e infrastrutture) fissa fra i suoi traguardi quello di “incrementare considerevolmente” il numero degli addetti e la spesa nel settore della ricerca, ma non è per questo che sono stilate le classifiche di università e dipartimenti. Il loro scopo è di assegnare premi e concentrare progressivamente le risorse dove si pensa che possano essere spese meglio e il risultato, come è ormai chiaro da tempo, è un processo di progressiva redistribuzione che, con qualche isolata eccezione, toglie al Sud per dare al Centro-Nord. (Fonte: S. Semplici, Roars 09-07-17)

INDICATORE ISPD (INDICATORE STANDARDIZZATO DI PERFORMANCE DIPARTIMENTALE) DISTRIBUISCE 1,3 MILIARDI DI €
Redazione Roars ha ricevuto la lettera che il presidente del consiglio direttivo di ANVUR prof. Andrea Graziosi ha inviato ai rettori italiani sui dipartimenti eccellenti. La lettera accompagna l’invio ai rettori dei dati riguardanti l’indicatore ISPD (Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale) sulla base del quale sono stati selezionati i 352 dipartimenti quasi eccellenti. Nella lettera si legge che ANVUR concede ai rettori la visione dell’indicatore ISPD. Il “sovrano” raccomanda ai rettori di farne buon uso. E si premura altresì di ricordare loro che comunque farà pervenire linee guida per l’uso dei dati a livello di Ateneo. Cosa accadrebbe in un paese normale se la comunità accademica ricevesse una comunicazione del genere? Prima di tutto si comincerebbe a pensare che sulla base dei valori di ISPD si distribuiscono ben 1,3 miliardi di €. Quindi la comunità scientifica si domanderebbe se quegli indicatori sono costruiti su una base scientifica nota. Ci si domanderebbe se quegli indicatori sono stati validati dalla comunità scientifica di riferimento, diciamo gli studiosi di bibliometria e statistica. Poi ci si domanderebbe se qualcuno ha adottato un sistema simile per distribuire le risorse. Molti si domanderebbero com’è costruito l’ISPD, se è possibile verificare e riprodurre i conti; se sono disponibili i dati di base su cui i conti sono stati fatti.
Ci piace pensare che dopo aver constatato che la risposta a tutte queste domande è NO, la comunità scientifica farebbe sentire la propria voce e forse tenterebbero di opporsi all’adozione di una misura di politica economica così anomala. (Fonte: Red.ne Roars 29-05-17)

SUI CRITERI PER PREMIARE DIPARTIMENTI ECCELLENTI
L’individuazione dei dipartimenti «eccellenti» è basata sugli esiti della recente Valutazione della qualità della ricerca (VQR) realizzata dall’ANVUR. Tale esercizio è stato oggetto di vaste critiche nell’ambito della comunità scientifica italiana, sia di taglio metodologico sia a proposito delle scelte di politica della ricerca in esso implicite, tali da sconsigliarne l’utilizzo come criterio per la ripartizione dei finanziamenti ordinari. Scelta che caratterizza l’Italia come un unicum nel panorama internazionale (con qualche somiglianza con la situazione inglese). Una volta acquisiti i dati della VQR, l’ANVUR ha provveduto al calcolo di un indicatore dipartimentale (Ispd); tale indicatore è stato definito nei suoi dettagli rilevanti dopo aver avuto disponibili tutti i dati, potendo teoricamente simulare l’impatto, dipartimento per dipartimento, di formulazioni alternative. La scelta è stata effettuata da commissari ANVUR che afferiscono a dipartimenti universitari italiani, e che sono quindi in evidente conflitto di interessi. Inoltre, stando alla relazione finale VQR firmata dalla stessa ANVUR, «tra le finalità della VQR non compare il confronto della qualità della ricerca fra aree scientifiche diverse». Questo confronto è stato invece fatto, e ha prodotto disparità non giustificate fra il numero di «eccellenti» nelle diverse aree scientifiche (ad esempio: 35 in economia e 8 nelle scienze politiche), frutto delle scelte discrezionali operate nell’individuazione dell’Ispd. L’esercizio produce una suddivisione in due gruppi di dipartimenti (352 «eccellenti», a fronte di circa 500 «non eccellenti»), sulla base di differenze anche minime su questo indicatore; basato esclusivamente del giudizio costruito dall’ANVUR su due pubblicazioni scientifiche di ciascuno dei docenti italiani, senza tenere conto della complessiva produzione scientifica dei dipartimenti, dell’impegno e della qualità della didattica, della loro capacità di interagire fruttuosamente con i propri territori di insediamento («terza missione»). La scelta dei dipartimenti effettivamente destinatari del finanziamento aggiuntivo (180 dei 352) avverrà poi sia sulla base dell’Ispd, sia sulla base dei giudizi discrezionali su un «progetto di sviluppo dipartimentale» effettuato da una commissione nominata dal ministro, e presieduta dalla rettrice di un’università privata, composta da docenti che, anche per le proprie normali relazioni con componenti di alcuni dei dipartimenti oggetto di valutazione, non potranno avere carattere di terzietà. (Fonte: G. Viesti, Roars 30-05-17)

FONDI PRIN – SH1 E BOCCONIANI
I docenti della Bocconi sono il 5,1% dei docenti di economia (SSD da SECS/P-01 a SECS/P-13), ma il 77% dei fondi PRIN nel settore economico (SH1) sono assegnati a progetti in cui la Bocconi coordina (36%) o collabora (41%). E’ davvero un caso che un membro del comitato dei garanti sia un alumnus Bocconi, il comitato di area SH1 sia formato da un bocconiano e da un alumnus e il 48% delle revisioni siano state svolte da bocconiani o da alumni? Scrive Roars: La prossima volta, per l’area SH1, il MIUR non potrebbe attribuire il compito di distribuire i soldi direttamente all’associazione degli alumni della Bocconi? (Fonte: Red.ne Roars 16-05-17)

UNIVERSITÀ E FINANZIAMENTI
“Gentile Direttore,
la sentenza della Corte Costituzionale, con cui sono state bocciate le misure fissate dal cosiddetto decreto Profumo del 2012 sul costo standard di formazione per ciascuno studente universitario, è molto positiva. Stupisce che nella situazione in cui versa il nostro sistema universitario, di ricerca e formazione, essa sia passata, con l'eccezione del Sole 24 Ore, nel silenzio pressoché generale. La sentenza della Corte, infatti, offre la possibilità di una più attenta e diversa revisione del meccanismo di finanziamento delle università, che si ponga l'obiettivo di una crescita complessiva ed equa del sistema del nostro Paese. Si possono, cosi, correggere le storture originate dalla legge Gelmini, intrisa di deleghe, declinata in maniera frettolosa dagli esecutivi che la hanno applicata. A questo proposito, riteniamo, tra l'altro, che gli interventi decisi nelle stanze ministeriali, con la valenza politica che hanno avuto, avrebbero meritato attenzione parlamentare ben prima dell'intervento della Consulta. Vogliamo citare, ad esempio, it declino al quale sono state spinte gran parte delle università del Mezzogiorno e l'ulteriore emarginazione delle isole. Tutto questo è stato accompagnato dalla tendenza alla polarizzazione di un sistema che nel passato, viceversa, aveva fatto suo punto di forza il confronto solidale tra le sedi per promuovere quella grande produzione di cervelli che fa sempre più fatica a porsi al servizio del nostro Paese”. (Fonte: dalla lettera inviata al direttore de IlSole24Ore da M. Speranza e M. Fiorentino 25-05-17)

FINANZIAMENTI AI CLUSTER TECNOLOGICI
500 milioni per i cluster tech. Arriveranno dal MIUR e sono stati annunciati dal ministro Valeria Fedeli. "Mi sembra un elemento importante il bando da 500 milioni di euro sui cluster tecnologici che lancerò tra gli altri entro il mese di luglio - ha detto Fedeli a margine di un’iniziativa in Regione Lazio. Le risorse permetteranno di finanziare progetti per 250 milioni di euro che coinvolgono, a vario titolo, imprese, università e centri di ricerca nello sviluppo delle nuove tecnologie. Il MIUR stanzierà inoltre altri 250 milioni di euro per assumere nuovi ricercatori e per finanziare i progetti di ricerca interesse nazionale destinati agli atenei. I cluster tecnologici nazionali rientrano nell’ambito del Programma nazionale per la ricerca che “crea quindi le premesse per un migliore ecosistema dell’innovazione – si legge nel documento del MIUR – e mette a disposizione del sistema nazionale di ricerca un’infrastruttura intermedia di soft-governance”. I cluster tecnologici nazionali rappresentano lo “strumento principale per raggiungere gli obiettivi di coordinamento pubblico-pubblico (Stato-Regioni-Amministrazioni locali) e pubblico-privato, cui viene affidato il compito di ricomposizione di strategie di ricerca e roadmap tecnologiche condivise su scala nazionale”. Queste strutture sono state costituite per generare piattaforme di dialogo permanente tra sistema pubblico della ricerca e imprese. I numeri riguardanti i primi otto cluster sono stati forniti dal ministero: 456 soggetti tra cui 112 appartenenti al sistema della ricerca pubblica e 344 a quello della ricerca industriale, ripartiti questi ultimi in 140 grandi imprese e 204 piccole e medie imprese. Agli otto cluster tecnologici avviati in prima battuta (aerospazio, agrifood, chimica verde, fabbrica intelligente, mobilità e trasporti, salute, smart communities, tecnologie per gli ambienti di vita) se ne sono aggiunti altri quattro per completare il presidio delle dodici aree di specializzazione: blue growth, design creatività made in Italy, energia, cultural heritage. (Fonte: www.corrierecomunicazioni.it/digital/ 16-06-17)

'FONDO PER LE ATTIVITÀ BASE DI RICERCA'
A decorrere dal 2017, si ricorda nell'avviso, la legge di bilancio 11 dicembre 2016 n. 232 ha istituito, nel Fondo di Finanziamento Ordinario delle università statali (FFO), un'apposita sezione denominata 'Fondo per le attività base di ricerca'. Tale fondo prevede uno stanziamento di 45.000.000 di euro l'anno al fine di finanziare le attività base di ricerca dei professori di seconda fascia e dei ricercatori, entrambi in servizio a tempo pieno. L'importo individuale del finanziamento è pari a 3.000 euro per un totale di 15.000 finanziamenti individuali da assegnarsi in modo da soddisfare il 75% delle domande dei ricercatori e il 25% delle domande dei professori di seconda fascia. Dal 7 settembre 2017 e fino al 30 settembre 2017, i soggetti ammessi dall'ANVUR a richiedere il finanziamento potranno completare e inoltrare la domanda di finanziamento tramite l'apposita procedura telematica accessibile dal sito istituzionale dell'ANVUR. (Fonte: www.adnkronos.com 28-06-17)


LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE POST LAUREA-OCCUPAZIONE


IL NUMERO DEI LAUREATI DI I E II LIVELLO IN MATERIE SCIENTIFICHE AUMENTA, MA LA PERCENTUALE DI OCCUPATI IN QUESTO SETTORE STENTA A DECOLLARE
Nelle statistiche Eurostat che forse più contano in termini d’impatto sull’innovazione, quelle riguardanti i livelli d’istruzione più elevati, ovvero lauree di secondo livello e dottorati, quasi raggiungiamo la media europea: i giovani tra i 20-29 anni con tali titoli sono in Italia poco meno che nella UE. In Italia ci sono tante dottorande e laureate di secondo livello in fisica, scienze, ingegneria quanto negli altri Paesi europei, e anzi, nel caso di laureati di secondo livello, più che in Germania, Svezia, Belgio. Succede dunque che abbiamo un sufficiente numero di 25enni che esce da un’università con un titolo elevato, apparentemente spendibile e utile a tutto il sistema produttivo, ma poi per varie ragioni questi stessi giovani non riescono a sfruttarlo. Va un po’ meglio per le donne, a quanto pare. Oltre a studiare materie scientifiche come le coetanee europee sono più degli uomini tra gli occupati in questi settori. Tuttavia il problema rimane, c’è una spinta a occuparsi di più di tecnologia, molti giovani stanno capendo che è importante orientarsi verso studi scientifici, ma la volontà individuale non basta. Finché non vi sarà una spinta di governi e imprese verso un aumento della produttività, verso investimenti in tecnologia e innovazione, molte di quelle lauree e di quei dottorati saranno sprecati e inutilizzati. (Fonte: www.linkiesta.it 28-06-17)

MODALITÀ DI AMMISSIONE ALLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE. L’INTERCOLLEGIO DI AREA MEDICA NON CONDIVIDE ALCUNI PUNTI
La Conferenza Permanente dei Presidenti dei Collegi di Area Medica sul nuovo sistema di accreditamento delle Scuole di specializzazione, nello specifico dei provvedimenti anticipati dal Comunicato stampa del MIUR, non condivide alcuni punti essenziali: 1) la graduatoria ‘unica’ nazionale non offre alcun orientamento ai candidati che potranno scegliere qualsiasi tipo di Specializzazione con la conseguenza che nelle posizioni inferiori della graduatoria si assisterai ad una sorta di un arrembaggio, confuso e non finalizzato, con l’unico scopo di usufruire per un anno di un contratto “di parcheggio” in una Scuola di Specializzazione priva d’interesse per poi tentare un nuovo concorso di ammissione l’anno successivo. 2) La vanificazione del valore del curriculum formativo acquisito durante i sei anni di Corso di Laurea potrebbe scoraggiare il perseguimento di elevate votazioni dei singoli esami di profitto e di un elevato voto nell’esame di Laurea determinando un livellamento verso il basso ed una involuzione nell’acquisizione delle conoscenze. (Fonte: Red.ne Roars 02-07-17)

CHI PRENDE LA LAUREA PER TEMPO È SOLO IL 25%
Secondo gli ultimi dati raccolti dall’ANVUR, 6 anni dopo essersi immatricolati nelle lauree triennali solo poco più di metà degli studenti ha conseguito la laurea. Il 14% risulta invece ancora iscritto, mentre un altro 33% ha abbandonato gli studi. Se invece guardiamo ai ragazzi che si sono laureati in tempo, per chi si è iscritto nel 2010/2011 si tratta di poco sopra un quarto del totale. Nello stesso periodo una parte altrettanto ampia di studenti ha invece già lasciato gli studi, mentre la metà rimanente appare ancora impegnata in corsi, esami e appelli. Una nota positiva arriva invece tornando indietro nel tempo. Certo oggi la situazione non è proprio rose e fiori, ma risulta senz’altro migliorata se la confrontiamo con quanto succedeva una decina di anni fa. Rispetto alle matricole del 2003-2004 la fetta di laureati in tempo è aumentata dal 19 al 27% del totale, con gli abbandoni a breve termine ridotti anch’essi di qualche punto. (Fonte: D. Mancino, wired 29-06-17)

CUN AVVISA: CON 24 CFU IN PIÙ RISCHIO SEI MESI IN PIÙ PER LAUREA
Per accedere ai concorsi si dovranno avere 24 crediti formativi in psicologia, pedagogia, didattica, un allungamento che per il Consiglio universitario nazionale (CUN) rischia di allungare di sei mesi le lauree magistrali. Un’eventualità da evitare. Inoltre, precisa il CUN, si dovrebbe prevedere la possibilità di una disciplina transitoria per l’accesso ai concorsi a quei laureati e studenti terminali delle università che non possono più modificare la struttura dei crediti riguardanti gli esami. Il governo è avvisato, così si rischia di allungare ulteriormente i percorsi universitari delle lauree magistrali, attualmente considerate valide ai fini dell’accesso all’insegnamento. (Fonte: www.corriereuniv.it/ 20-06-17)

DIPARTIMENTI UMANISTICI CON CORSI A NUMERO CHIUSO
Per far partire i corsi gli atenei devono rispettare un equilibrio tra il numero dei professori e quello degli iscritti: ci vogliono almeno 9 docenti di riferimento per il primo livello (la laurea triennale) e 6 per il secondo livello (quella specialistica). Solo che rispettare questa soglia è diventato sempre più difficile negli ultimi anni. Dal MIUR, a fine 2016, è arrivata una nuova direttiva che ha modificato diversi parametri per l’accreditamento dei corsi, il cosiddetto “codice Ava 2”. Il numero dei docenti di riferimento è rimasto invariato (sempre 9 per la triennale e 6 per la specialistica), ma è cambiata la soglia di studenti oltre ai quali devono aumentare in maniera proporzionale anche i professori. Per fare un esempio: fino a ieri per un corso triennale di lettere i 9 docenti di base dovevano crescere oltre i 230 iscritti, adesso l’aumento scatta già dopo i 200. E questo ha mandato in crisi alcuni corsi di laurea.
Alla Statale di Milano la questione è questa: nei dipartimenti umanistici della Statale (Lettere, Storia, Filosofia, Beni culturali e Beni ambientali) la crescita degli iscritti è stata forte, il 30 per cento in un anno. Mancano spazi e docenti per farvi fronte. Inoltre, il 21 per cento degli iscritti poi abbandona, a dimostrazione che almeno un quinto prende Lettere senza avere le idee chiare. In assenza del rettore, il preside Corrado Sinigaglia ha provato a spiegare: «Il ministero ha irrigidito i criteri di proporzione tra docenti e studenti, non riusciamo più a garantire la sostenibilità dei corsi. Dobbiamo contenere gli accessi già dal prossimo anno accademico».
Lo stesso problema — nuovi accessi programmati — si sta proponendo all’Università di Firenze. Lo denunciano gli studenti dell’Udu. Sono in arrivo, il 26 maggio, numero chiuso e frequenza obbligatoria in Scienze dell’educazione e della formazione (500 posti) e Scienze farmaceutiche applicate (150 posti). Il rettore Luigi Dei: «Gli studenti non possono certo presentarsi a lezione senza trovare posto a sedere o essere costretti a lavorare pressati in un laboratorio». L’ultimo dato in possesso del MIUR, sull’argomento, è del 2014. Parla del 39 per cento dei corsi di studio delle università italiane “a numero programmato”: 1.671 su 4.311. È ipotizzabile che nel 2017 si sia arrivati alla metà dell’intera platea. (Fonte: C. Zunino, La Repubblica 15-05-17)

L’ESODO DEI LAUREATI
Il 2017 potrebbe essere l’anno record delle partenze dei laureati italiani, a dirlo è il XIX Rapporto sul Profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati italiani, realizzato dal Consorzio interuniversitario AlmaLaurea. Entrando nel dettaglio del rapporto si legge che il 49% dei laureati italiani si dice disposto a lasciare l’Italia per trasferirsi in un altro stato estero; lo scorso anno questa percentuale era del 38% e solo dopo 1 anno è aumentata dell’11%; il 35% dei laureati sarebbe disposto addirittura a trasferirsi in un altro continente, mentre il 27% si dichiara disponibile a effettuare trasferte anche frequenti e anche a trasferire la propria residenza nel 52% dei casi. Ma quali sono i fattori che spingono i nostri laureati a emigrare sempre di più? I fattori sono davvero tanti, in primis la mancanza di lavoro che per i laureati negli ultimi anni è aumentata sempre di più, secondo i dati di settore rispetto al 2008 il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato passando per le lauree triennali dall’11% al 21% e per le magistrali dall’11% al 20%. Altro motivo che spinge i laureati italiani a emigrare è sicuramente il fattore retribuzione, nei paesi esteri le retribuzioni medie percepite sono notevolmente superiori a quelle degli occupati in Italia: i laureati magistrali biennali guadagnano (a cinque anni dal titolo) 2.202 € mensili netti, contro i 1.405 € dei colleghi che restano in Italia a svolgere il medesimo lavoro. (Fonte: MIURistruzione.it 17-05-17)

RIFORMA DEL «3+2», UN MEZZO FALLIMENTO. NE PARLANO IVANO DIONIGI E LUIGI BERLINGUER
La riforma del 1999 con il Dm 509 ha introdotto per la prima volta in Italia la novità del «3+2», una laurea triennale cui far seguire, in alcuni casi, una biennale specialistica (magistrale). Ma ancora oggi «oltre la metà dei laureati preferisce continuare a studiare», ricorda Ivano Dionigi, presidente del Consorzio AlmaLaurea. Il campanello d’allarme doveva suonare da subito quando già nei primissimi anni della riforma l’80% dei laureati di primo livello poi si iscriveva alla magistrale. Ma il trend anche se è rallentato non si è fermato. Perché? «Quando c’è stata la riforma gli atenei si sono trovati a dover riformulare i curricula di studi, ma a causa di cattive pratiche accademiche invece di costruire lauree triennali tagliate su misura delle esigenze dei territori, del mercato del lavoro e dunque della domanda si sono fatti i corsi in base all’offerta. Ha purtroppo prevalso uno spirito di autoconservazione. E così molte lauree triennali non sono appetibili e la crisi ha reso tutto più difficile». Su questo fronte comunque un primo passo si sta facendo. Anche se rinviate di un anno (al 2018) rispetto al previsto le università sono pronte a sperimentare - dopo il via libera del MIUR - le prime lauree professionalizzanti che prevedono un anno di teoria, uno di laboratorio e un ultimo on the job con l’obiettivo di formare figure già pronte per fare il proprio ingresso nel mercato del lavoro».
Ma la riforma era davvero indispensabile? Assolutamente si, risponde Luigi Berlinguer il “padre” della riforma. “La riforma è frutto di un processo europeo che puntava a rendere uguale la durata dei corsi di studio. Un passaggio cruciale che oggi consente ai nostri giovani di farsi riconoscere il proprio titolo di studio all'estero e lavorare così in un altro Paese europeo. E poi era giusto introdurre lauree di primo livello più brevi e funzionali visto che allora ben il 70% degli iscritti si perdeva per strada. Dove si è sbagliato allora? Innanzitutto, c'e stato un approccio dei docenti universitari frutto di una vecchia mentalità rigoristica che ha pensato di rinchiudere in tre anni quello che prima si faceva in quattro. E invece le lauree triennali dovevano essere diverse e più leggere. Colpa solo dell'università? La responsabilità è anche dello Stato e della politica che doveva lavorare per aiutare le università a definire il profilo e lo sbocco occupazionale per ogni laurea triennale. Era fondamentale far capire agli studenti che cosa potevano fare con quel titolo di studio se s’iscrivevano a un corso o a un altro. E questo si poteva e si doveva fare coinvolgendo il mondo delle imprese e delle professioni per definire questi profili. Cosa che non è stata ancora fatta. L'avvio delle lauree professionali, previste dal 2018 come sperimentazione, pub essere la giusta risposta? Si, può essere una via corretta a patto che si trovi il giusto equilibrio perché sempre lauree devono restare e quindi non si deve cancellare la componente culturale. E poi non devono confondersi con gli Its che hanno attivato corsi post diploma molto utili per l’inserimento nelle aziende di figure tecniche altamente specializzate. Corsi questi che purtroppo soffrono di poca comunicazione a famiglie e studenti. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 08-06-17)

CRESCONO DI 150 I CORSI. QUELLI A NUMERO CHIUSO ARRIVANO AL 42%
I corsi universitari tornano a crescere: il prossimo anno accademico partirà con un'offerta arricchita di circa 150 new entry, soprattutto tra le lauree magistrali e tra quelle tecniche ed economiche. In tutto 4.800 corsi tra primo e secondo Iivello e ciclo unico. Per aumentare età e tasso di occupazione dei laureati gli atenei scommettono sui doppi titoli riconosciuti all'estero, raddoppiati dal 2012. Cresce il numero di corsi a numero chiuso, 42% del totale, con ii debutto dei test in alcuni corsi dell’area umanistica, come alla Statale di Milano, dove  sono stati approvati tra le polemiche. (Fonte: IlSole24Ore 04-06-17)


RECLUTAMENTO

RECLUTAMENTO. UNA COOPTAZIONE TRASPARENTE E RESPONSABILE
Negli anni, i parlamenti che si sono succeduti hanno varato numerose leggi per "razionalizzare" reclutamento e carriere universitarie. Ma nessuna legge, in quaranta anni, è riuscita a risolvere l'ambiguità di fondo del "posto" all'università: il concorso. All'università si entra per cooptazione ma siccome l'università è pubblico impiego è richiesto un concorso, ergo si entra per cooptazione mascherata da concorso. Intendiamoci la cooptazione accademica non è un male, tutt'altro. Ricercatori e studiosi non sono intercambiabili. L’assunzione diretta (spesso con abilitazione) è il metodo usato nella maggior parte dei sistemi universitari evoluti dove, però, chi coopta risponde alle istituzioni e alla comunità accademica nazionale e internazionale delle scelte fatte.
La cooptazione non funziona quando perde trasparenza e viene mascherata di oggettività da procedure concorsuali che spesso, fatta salva la forma, sollevano da responsabilità chi esegue le scelte. Il controllo di questa cooptazione, e dei meccanismi con la quale esercitarla, è quindi, da sempre, il "core business" di molta parte della comunità accademica italiana. Il vero potere accademico sta lì, difeso dai recinti dei settori disciplinari e dalle logiche di non-ingerenza tra aree nei Dipartimenti. (Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 20-07-17)

RECLUTAMENTO. CERTEZZA DEI TEMPI E DELLE REGOLE E SEMPLIFICAZIONE DEL PRE-RUOLO
Il meccanismo di reclutamento è stato cambiato molte volte negli ultimi anni. Ogni metodo scelto ha presentato luci e ombre. La procedura utilizzata oggi credo stia dando buoni risultati con il doppio livello di abilitazione nazionale e concorso locale, ma soffre di eccessive rigidità, riducendo la discrezionalità per contrastare gli arbitri, e penalizzando in questo modo gli studiosi di frontiera rispetto ai settori disciplinari. Qualunque regola si applichi, la responsabilità di chi sceglie è determinante e va rafforzata sempre di più utilizzando la leva della valutazione ex-post che deve essere severa con un sistema certo e rapido di premi e penalizzazioni. L'introduzione nella ripartizione dell'Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) dell'indicatore legato alla performance dei docenti reclutati ha sicuramente contribuito a favorire scelte di qualità nei dipartimenti come i dati della VQR (Valutazione della qualità della ricerca) dimostrano in maniera chiara. Arrivare a meccanismi di scelta più semplici, controbilanciati da valutazioni più severe, è un obiettivo da perseguire. Ma avere una selezione meritocratica non basta per attrarre i migliori in un mercato della ricerca sempre più globale e competitivo dove la qualità del capitale umano rappresenta la leva fondamentale per creare sviluppo economico e benessere sociale. Per attrarre dobbiamo parlare di certezza dei tempi e delle regole, stipendi e opportunità di ricerca. Tempi di ingresso nel percorso universitario devono essere ragionevoli e certi. Oggi esiste un lungo precariato con regole spesso non chiare e che cambiano nel tempo. E giusto che ci sia un periodo congruo di prova che consenta alla struttura di valutare le attitudini di chi aspira a svolgere il difficile ruolo di ricercatore, ma per chi segue quest’aspirazione ci deve essere la certezza che dopo questo periodo ci sia l'opportunità concreta di avere una posizione definitiva. Per ottenere questo è necessaria una semplificazione del pre-ruolo e piani pluriennali di investimento che consentano alle università di programmare il reclutamento con una ragionevole sicurezza. (Fonte: G. Manfredi, IlSole24Ore 21-07-17)

CUN. SULL’INDICATORE IRAS2
L’indicatore IRAS2** ha generato differenze molto marcate fra università di dimensioni confrontabili che hanno reclutato, in termini di punti organico, nuovi addetti alla ricerca nel periodo 2011-14 in misura molto maggiore rispetto ad altre che hanno effettuato un minor reclutamento per motivi di natura economico-finanziaria È pertanto auspicabile che il Ministero inserisca opportuni meccanismi correttivi per evitare di penalizzare per il futuro, già dal FFO 2017, atenei che hanno poco reclutato nel passato, soprattutto laddove i nuovi reclutati, seppur in numerosità limitata, abbiano comunque prodotti della ricerca di qualità elevata. (Fonte: https://tinyurl.com/y95ox2h6 )
**“Indicatore quali-quantitativo relativo al sottoinsieme delle pubblicazioni e dei prodotti della ricerca presentati dagli addetti alla ricerca che, nel periodo 2011-2014 oggetto di valutazione, sono stati reclutati dall’ateneo o incardinati in una fascia o ruolo superiore. L’indicatore è calcolato prendendo in considerazione come variabile dimensionale il peso in termini di punti organico dei soggetti reclutati nel periodo di riferimento”.


RICERCA

8 GIOVANI ITALIANI RIENTRANO NELLA LISTA DEI MIGLIORI RICERCATORI AL MONDO IN ONCOLOGIA
Al congresso dell’American Society of Clinical Oncology saranno presenti otto italiani talentuosi che saranno premiati per le loro ricerche. È tra i riconoscimenti più importanti al mondo quello che a Chicago nei prossimi giorni premierà, tra gli altri, anche otto ricercatori italiani. Si parla di oncologia, quindi un tema molto delicato e complesso. Questi ragazzi e ragazze, di cui il più giovane ha solo 29 anni, si sono distinti per i loro studi nel campo della ricerca in questa materia.
L’evento organizzato dall’American Society of Clinical Oncology e da Conquer Cancer Foundation Merit Award si tiene ogni anno negli Stati Uniti e si propone di riunire i più brillanti oncologi di tutto il mondo per discutere di nuove modalità di trattamenti, nuove terapie e delle controversie esistenti nel campo. L’evento si terrà dal 2 al 6 di Giugno a Chicago. (Fonte: faccecaso 02-06-17)

PETIZIONE DEI PRECARI DELLA RICERCA AI MINISTRI
Uno dei principali problemi dell’Università italiana è lo stato di precarietà contrattuale in cui versa la maggioranza dei ricercatori. Questo fenomeno ha radici più che decennali, ed è stato aggravato dal disinteresse della politica nei confronti della scienza e della ricerca e dal cronico sottofinanziamento del sistema universitario italiano. Dall’emanazione della Legge 240/2010, che ha abolito la figura del ricercatore a tempo indeterminato, la piaga della precarietà non ha fatto altro che aggravarsi. Oggi il numero di ricercatori precari, il cui lavoro quotidiano è fondamentale nelle attività di ricerca e didattica delle nostre Università, è nell’ordine delle 40.000 unità, a fronte di un organico di docenti con contratto a tempo indeterminato che è recentemente sceso di sotto alle 50.000 unità. Nel complesso in questi ultimi otto anni l’Università italiana ha perso più di 13.000 posizioni a tempo indeterminato, solo in parte compensate dall’uso, anzi, dall’abuso delle varie figure di ricercatore a tempo determinato (RTD, assegnisti di ricerca, contratti di collaborazione, partite iva, etc.). (Fonte: da una lettera petizione dei precari della ricerca ai ministri Fedeli, Padoan e Poletti 17-05-17)

“THE RESEARCH COUNTS, NOT THE JOURNAL!” DICONO 12 PREMI NOBEL
La Fondazione Nobel ha diffuso un video intitolato “The research counts, not the journal!” dove alcuni premi Nobel prendono una posizione netta contro l’uso degli impact factors per valutare la qualità della ricerca. Si tratta della sintesi di una intera sezione del canale youtube della Fondazione che ospita dodici video di altrettanti premi Nobel, dedicati proprio alla critica dell’uso di bibliometria e impact factors. Nel breve video vengono smentiti tutti i luoghi comuni che nel nostro paese sono serviti per giustificare l’invasione della bibliometria ANVURiana. La ricerca di qualità - sostengono i premi Nobel - è solida, basata sui dati, consistente. Non conta la sede di pubblicazione. In particolare per qualificare una ricerca come buona non basta che sia apparsa su una rivista top, passando il giudizio di un paio di referee. Per valutare un ricercatore si devono leggere i suoi lavori, non basta conoscerne la sede di pubblicazione. Il video mostra in modo drammatico che la ricerca italiana è stata saldamente proiettata in un mondo alla rovescia in cui non contano scoperte, dati, solidità. Contano solo sede di pubblicazione, citazioni e autocitazioni. In Cina, probabilmente l’unico paese che ha adottato regole simili a quelle italiane, si stanno accorgendo che i meccanismi di valutazione hanno deformato in modo drammatico la ricerca. Ed è iniziata la discussione per limitare i danni. (Fonte: A. Baccini, Il Mulino 26-06-17)

BIBLIOMETRIC INDICATORS FOR ASSESSMENTS ARE IMPERFECT MEASURES
Although journal impact factors (JIFs) were developed to assess journals and say little about any individual paper, reviewers routinely justify their evaluations on the basis of where candidates have published. As participants on multiple review panels and scientific councils, we have heard many lament researchers' reluctance to take risks. Yet we've seen the same panels eschew risk and rely on bibliometric indicators for assessments, despite widespread agreement that they are imperfect measures. A few funding agencies in the Czech Republic, Flanders (northern Belgium) and Italy ask applicants to list journal impact factors (JIFs) alongside their publications, but such requirements are not the norm. The ERC, the National Natural Science Foundation in China, the US National Science Foundation and the US National Institutes of Health do not require applicants to report bibliometric measures. When it comes to hiring and promotion, bibliometric indicators have an even larger, often formal, role. In Spain, the sexenio evaluation (a salary increase based on productivity) depends heavily on rankings derived from JIFs. In Italy, a formal bibliometric profile of each candidate up for promotion is provided to reviewers. At many campuses in Europe, the United States and China, faculty members are given lists of which journals carry the most weight in assessing candidates for promotion. In some countries, notably China, bonuses are paid according to the prestige of the journal in which research is published. The UK Research Excellence Framework (REF) exercise is a rare exception in that it explicitly does not use JIFs. For the first three years after publication, the probability that a highly novel paper was among the top 1% of highly cited papers was below that of non-novel papers; beyond three years, highly novel papers were ahead. We are not saying that non-novel papers cannot be important or influential, but that current systems of evaluation undervalue work that is likely to have high, long-term impact. Fifteen years after publication, highly novel papers are almost 60% more likely to be in the top 1% of highly cited papers. Highly novel papers also tend to be published in journals with lower impact factors. In a nutshell, our findings suggest that the more we bind ourselves to quantitative short-term measures, the less likely we are to reward research with a high potential to shift the frontier — and those who do it. (Fonte: P. Stephan et al, Nature, Comment 26-04-17)

NUOVI FONDI PER LA RICERCA CON IL BANDO SUI 12 CLUSTER TECNOLOGICI, CON INDUSTRIA 4.0 E SALUTE, AEROSPAZIO E AGRIFOOD
Un’importante boccata di ossigeno per la ricerca è in arrivo. A partire da quella industriale con il bando sui 12 cluster tecnologici atteso nelle prossime settimane che finanzierà con 350 milioni progetti che vedono insieme imprese, università e centri di ricerca nello sviluppo di nuove tecnologie . E con industria 4.0 insieme a salute, aerospazio e agrifood che avranno la massima priorità anche per i fondi. «In un contesto globale sempre più basato sulla società e sull’economia della conoscenza università e ricerca sono fondamentali. La loro valorizzazione attraverso specifici investimenti e il riconoscimento delle eccellenze non sono questioni di settore: interessano l'intero Paese, il suo tessuto produttivo, il suo sviluppo economico», avverte la ministra dell’Istruzione, Università e Ricerca Valeria Fedeli che ricorda come il bando attui il Programma nazionale per la ricerca «su cui stiamo accelerando». Ma il MIUR è pronto a mettere sul piatto altri 250 milioni che saranno attinti dal “tesoretto” non speso negli anni dall’Iit, l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, e che saranno destinati per finanziare l’assunzione di mille ricercatori e il potenziamento dei Prin (i progetti di ricerca interesse nazionale) destinato agli atenei, il cui bando atteso entro l’estate avrà un super budget da 200 milioni circa. (Fonte:M. Bartoloni, IlSole24Ore 04-06-17)

ANVUR NO, ANVUR SI. PIÙ NO CHE SI A UN CONVEGNO MILANESE SULLA VALUTAZIONE UNIVERSITARIA
Sulla base degli interventi assai critici nei confronti di ANVUR succedutisi in un recente convegno milanese sulla valutazione universitaria, Roberto Caso si chiede come mai questa istituzione inammissibilmente anfibia – cooptata dall’esecutivo e nel suo seno a tutti gli effetti operante ma pronta all’occorrenza a rivendicare quarti di nobiltà scientifico-accademica – sia ancora in vita. E si domanda perché, a undici anni dall’istituzione di quest’acronimo, fra quanti “vivono” l’Università in Italia non si faccia strada e assuma più coraggio un movimento di opinione con rivendicazioni politiche esplicite, finalizzato a staccare la spina e a ripensare su nuove basi il sistema della valutazione di Stato all’italiana, facendo tesoro dei tragici errori commessi fin qui.
Tra i tanti interventi, solo quelli della prof.ssa Cristina Messa, Rettore della Bicocca, e della prof.ssa Patrizia Marzaro dell’Università di Padova, erano connotati da toni positivi nei confronti dell’ANVUR e delle sue procedure. Per il resto sono piovute critiche, anche molto pesanti, nei confronti delle procedure dell’agenzia (VQR, classificazione delle riviste, AVA).
Il convegno si è aperto con due presentazioni del sociologo Roberto Moscati e dell’economista Alberto Baccini. Quest’ultimo ha criticato – le sue incisive slide sono reperibili qui – gli argomenti usati per giustificare l’adozione di sistemi di valutazione massiva della ricerca del tipo VQR, mostrando in particolare, anche con riferimento al caso italiano, che non esistono evidenze che i benefici di quelle attività siano superiori ai loro costi. (Fonte: R. Caso, Roars 13-07-17)

15 MILIONI DI DOLLARI PER VIOLAZIONE DI COPYRIGHT. LI DEVE PAGARE SCI-HUB A ELSEVIER
Elsevier, uno dei più grandi editori del mondo in ambito medico e scientifico, dovrà ricevere diversi milioni di dollari da parte di Sci-hub. È questa la sentenza emessa il 21 giugno dal tribunale distrettuale di New York, secondo cui il sito di pirateria che fornisce l’accesso illegale a decine di milioni di documenti e ricerche coperte da copyright, dovrà rimborsare l’editore olandese Elsevier di ben 15 milioni di dollari per violazioni del diritto d’autore. Sci-Hub, il sito pirata che fornisce l’accesso gratuito a decine di milioni di paper scientifici, è stato fondato il 5 settembre del 2011 in Kazakistan da Alexandra Elbakyan, neuroscienziata e programmatrice che ha inventato il portale, con l’obiettivo di aumentare la diffusione della conoscenza scientifica, bypassando i costi e le rigidità del sistema divulgativo. Infatti, mentre svolgeva le sue ricerche sulle interfacce neurali, Elbakyan aveva notato quanto fosse complicato avere accesso alla letteratura scientifica: la maggior parte dei documenti era reperibile solo su riviste in paywall con abbonamenti molto costosi. Da qui, il dato di fatto che gli accademici e gli studenti ottengono l’accesso a queste riviste grazie alle loro università, ma i ricercatori indipendenti e gli studenti dei paesi più poveri sono costretti a dover ricorrere ai siti di pirateria. (Fonte: M. Musso, wired 26-06-17)

OPEN SCIENCE. SOLO IL 46% DELLE RICERCHE È «OPEN» IN ITALIA
Una ricerca ha coinvolto oltre 6mila ricercatori che hanno risposto a un questionario inviato via email alla fine del 2014. Con l’obiettivo di misurare la diffusione dell’open science, appunto la scelta di pubblicare liberamente i risultati delle ricerche. E il risultato è che tra il 50 ed il 55% delle pubblicazioni è disponibile in formato open entro tre o quattro anni dalla pubblicazione. Una scelta, quella dell’open access, più diffusa nelle economie emergenti. In Indonesia si supera il 90%, in Thailandia l’80, in Turchia il 70%. E anche se ci si limita alle economie più mature, il primato spetta alla Corea del Sud con il 66%, seguita dal Brasile con il 64 e dalla Russia con il 61. In Italia, invece, appena il 46% delle ricerche sono pubblicate in formato aperto. La tendenza alla pubblicazione in open access varia di molto anche secondo il campo di ricerca. Gli articoli che si occupano di immunologia e microbiologia sono resi disponibili in questo formato in poco meno del 60% dei casi. Mentre solo un terzo delle ricerche in campo economico e nelle scienze dei materiali sono accessibili senza costi né restrizioni all’utilizzo. C’è poi una conseguenza tutta interna al mondo scientifico. Le ricerche in open access hanno un impatto maggiore in termini di citazioni da parte di altri articoli. (Fonte: www.infodata.ilsole24ore.com 10-07-17)

CREARE UN’AGENZIA DELLA RICERCA
Nell'ottobre 2014 la Commissione ricerca del Senato individuava nella riduzione delle risorse e nella mancanza di una strategia coordinata le principali criticità del sistema pubblico della ricerca. Sul fronte risorse si chiedeva al governo l'impegno a varare un piano pluriennale di rifinanziamento per centrare gli obiettivi europei per il 2020. Sul piano dell'efficienza si suggeriva di creare un'Agenzia della ricerca, per evitare la frammentazione, coordinare le scelte e garantire l'indipendenza della ricerca e dei suoi apparati dalla pubblica amministrazione e dal decisore politico. La richiesta di un'Agenzia non è una novità. Il motivo è semplice: le risorse pubbliche che l'Italia stanzia per la ricerca scientifica, oltre ad essere «briciole», sono parcellizzate e spalmate su diversi ministeri. Inoltre – con rare eccezioni - non perseguono obiettivi strategici comuni, né adottano gli stessi criteri di merito o di valutazione. Non si può più andare avanti così. Non è previsto dall'etica pubblica liberale che un ministero (legittimamente) decida di assegnare i soldi della ricerca a un proprio ente il quale poi, senza alcun bando, negozia arbitrariamente le erogazioni con i beneficiari. Né si possono tollerare i meccanismi «a sportello», dove lo studioso si reca presso il ministero in qualsiasi momento dell'anno per farsi finanziare. In alcuni casi i bandi ancora esistono ma, dopo anni di carestia, le domande sono in numero tale da rendere la valutazione una lotteria. La bocciatura raggiunge fino al 90% delle proposte, con giudizi a volte poco pertinenti e il finanziamento, laddove arriva, risibile. (Fonte: E. Cattaneo, La Stampa 13-07-17)


SISTEMA UNIVERSITARIO

LE UNIVERSITÀ ITALIANE DOVREBBERO “FARE SISTEMA”, CONVERGERE INVECE DI COMPETERE.
Paola Severino, da ottobre 2016 rettore della Luiss, l’ateneo promosso da Confindustria, è convinta “che la nostra cultura è spesso vittima di pregiudizi, ma è anche oggetto di forte e crescente attrazione dall'estero. E’ un capitale che si può valorizzare, e molto”. Sta di fatto che poche università italiane sono incluse e ben posizionate nei ranking internazionali. «Ai nostri atenei sono assegnate posizioni inferiori a quelle che meriterebbero. Chi fa le classifiche adotta criteri in linea con i propri parametri culturali, per lo più anglosassoni. Le università italiane hanno compiuto comunque grandi progressi». Che piani ha per "scalare le classifiche"? «Accetto la battuta perché semplifica le cose, noi però lavoriamo non solo per i ranking ma perché il nostro ateneo e il sistema universitario italiano siano sempre più riconosciuti come uno dei punti di eccellenza del Paese. Gli obiettivi principali ai quali io e l’ateneo, in perfetta intesa con la presidente Marcegaglia, stiamo lavorando sono tre: internazionalizzazione, interdisciplinarietà, preparazione di professionisti per imprese private e istituzioni». Manager pubblici? «Luiss e da sempre vicina anche al mondo delle istituzioni. L'ambizione è una collocazione analoga a quella dell'alta scuola francese Ena. L'università dovrebbe essere protagonista nel compito nobile di formare e riformare la pubblica amministrazione, per renderla più competente, più trasparente e semplificarne i meccanismi». «Un appello? Meglio parlare di convinzione e auspicio: le università italiane dovrebbero "fare sistema", convergere invece di competere. Per affermare a livello internazionale l’eccellenza culturale e II modello formativo interdisciplinare, qualità ancora non percepite fino in fondo all’estero. E sulle quali andrebbe "acceso un faro" con il contributo di tutti, sistema pubblico e privato». (Fonte: S. Bocconi, Corriere/Economia 22-05-17)

LA PECULIARITÀ AMMINISTRATIVA DELLE UNIVERSITÀ PUBBLICHE
La peculiarità delle università pubbliche è che il fondamento costituzionale dell’autonomia normativa è correlato direttamente alla libertà di ricerca scientifica e dell’insegnamento (art. 33 co. 1, Cost.) da intendersi entrambe in senso lato. Autonomia anzitutto organizzativa, poi come libertà di “scelta” di un proprio ordinamento che disciplini l’Università, precisandosi - a seconda dei campi d’intervento – in autonomia istituzionale, amministrativa, tecnica, organizzativa, finanziaria, contabile, correlata come mezzo al raggiungimento dei propri fini di ricerca e di insegnamento. Le Università possono candidarsi a pieno titolo a essere luogo di elezione per la sperimentazione di una precoce informatizzazione dei servizi strumentali da aggiungere ai software gestionali già approntati dal MIUR. Un software comune a tutti gli Atenei sia per la gestione del personale e delle relative attività istituzionali (es. progetti di ricerca) che sia “user friendly” e per gli uffici come per i diretti interessati, in tutta analogia ai servizi di home banking, sia degli appalti pubblici. Lo stesso software deve poter consentire di accedere ai propri fondi di ricerca e di disporre direttamente degli acquisti e delle spese ordinarie per missioni, forniture correnti, abbonamenti a riviste, libri, conferimento d’incarichi di ricerca a terzi, fermo restando l’ostensione del fascicolo e la verifica a campione casuale della conformità della spesa. (Fonte: federalismi.it 05-07-17)

PROBLEMI E PROSPETTIVE PER IL SISTEMA UNIVERSITARIO SECONDO LA FLC CGIL
La “valutazione” non deve essere usata come strumento punitivo o premiale, peraltro a invarianza di risorse, ma come aiuto a individuare le criticità del sistema e a porvi rimedio. Le politiche di accreditamento e di certificazione di qualità non devono essere strumento per la censura amministrativa degli atenei o avere come esito la burocratizzazione degli atenei. Il sistema delle “classifiche” non funziona. La cosiddetta meritocrazia sta frammentando il sistema universitario italiano, indebolendolo, e legittima le diseguaglianze. L’università italiana, questo è un dato certo, ha perso dal 2008 migliaia di studenti (nonostante il recupero d’immatricolati registrato quest’anno), di docenti, di personale tecnico-amministrativo e di dottorandi. I governi hanno ridotto i finanziamenti e l’Italia spende poco per il diritto allo studio, benché le tasse siano tra le più alte d’Europa. Il nostro paese investe percentualmente pochissimo nella ricerca. Non servono per l’università ”superdipartimenti” o ”superprofessori”, non servono risorse come quelle accantonate e non spese dall’Istituto Italiano di tecnologia, serve più semplicemente incentivare i giovani allo studio, ridurre il precariato, rinnovare i contratti, sbloccare il turn cover, dare dignità al lavoro. (Fonte: Flc Cgil 26-06-17)


STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO

LA TENDENZA DELLE IMMATRICOLAZIONI ALL’UNIVERSITÀ
L'Istat (L'Italia in cifre, 2016) informa che a tre anni dal titolo è in cerca di lavoro il 12-13% dei laureati magistrali, il 19-20% dei laureati triennali, almeno il 30% dei diplomati di scuola superiore e almeno il 40% di chi è senza diploma. Allora perché le iscrizioni all'università sono in calo? Si verifica da anni un calo fisiologico degli immatricolati dovuto alla minore natalità, tuttavia non si sta verificando alcun crollo sistematico di iscritti. Si nota, invece, una considerevole minore propensione degli studenti a iscriversi a università del Meridione e a spostarsi dal Sud al Nord per realizzare gli studi universitari, tendenza che, se permangono gli attuali sistemi di valutazione e premialità delle università, non è destinata ad esaurirsi. In realtà, in rapporto al numero di residenti, il sistema educativo italiano mostra dati piuttosto stabili (Istat, Italia in cifre. 2016): nel 2014/15, il 93% della popolazione in età 14-18 frequenta una scuola secondaria superiore (era il 93% anche nel 2005/06, mentre era il 68,3% nel 1990/91) e s'immatricola all'università il 29,4% dei diciannovenni (era il 30,8% nel 2005/06). Alla fine, si laureano in Italia circa 300mila giovani ogni anno (I + II livello). Pertanto, anche se la tendenza è a lentamente ridursi, i grandi numeri dell'università italiana sono tuttora importanti. Anzi, il numero di laureati tra i giovani è quasi uguale alla soglia-obiettivo della Ue, in risalita negli ultimi anni, partendo da posizioni molto sfavorevoli. (Fonte: L. Fabbris, sussidiario.net 16-06-17)

BORSE DI STUDIO. PER IL 10% DEGLI IDONEI SOLO “BORSE FANTASMA”
Il nostro Paese - unico nel panorama europeo - si distingue per la figura dell’idoneo non beneficiario: uno studente cioè che ha diritto alla borsa, ma per mancanza di risorse non la ottiene. L’anno scorso il fenomeno è stato ridotto a oltre 14mila idonei senza borsa, mentre l’anno prima erano circa 48mila. Anche per il prossimo anno accademico 2017/2018 si dovrebbe arrivare a una copertura intorno al 90% (la soglia massima Isee per accedere alla borsa è stata ritoccata a 23mila euro). Lo sforzo del Governo non basta comunque a farci abbandonare le ultime posizioni in Europa per il diritto allo studio; «Gli idonei sono stati l’8,8% del totale degli iscritti - avverte Elisa Marchetti, dell’Udu (l’Unione degli universitari) - una percentuale sicuramente più bassa della media europea. Oltretutto ci sono stati circa 10 mila idonei non beneficiari, e questi sono iscritti quasi esclusivamente nelle università del Sud». (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 13-06-17)

CUN. SULL’ESENZIONE/RIDUZIONE DELLE TASSE UNIVERSITARIE
È opportuno aumentare le tutele per gli studenti e per gli atenei rendendo la fascia tra 13.001 e 30.000 euro di ISEE più chiaramente calmierata, garantendo opportune tutele per gli altri studenti e fornendo a regime un rimborso in FFO coerente con il mancato gettito – da monitorare in itinere – per non compromettere la sostenibilità economica prospettica degli atenei pubblici. (Fonte: https://tinyurl.com/y95ox2h6)

COM’È CAMBIATO L'ERASMUS
Com’è cambiato l'Erasmus in questi anni? “Prima di tutto c'e stato un aumento esponenziale dei ragazzi che hanno aderito. Siamo partiti con appena 220 universitari italiani e 3.244 in totale nel 1987, per arrivare a 33.977 italiani e 291.121 partecipanti complessivi nel 2016. Il progetto è stato esteso oltre l'Europa, ai Paesi dello Spazio Economico Comune (Islanda, Liechtenstein e Norvegia), alla Turchia, alla Macedonia e ad altre nazioni. Qual è stato il ruolo dell'Italia?
«Dal 1987, considerando solo il nostro Paese, hanno partecipato al programma ben 300mila studenti, circa il 10% del totale. Questo dato pone l'Italia tra i quattro principali Paesi per studenti in partenza verso diverse destinazioni”. Ci sono mete più richieste di altre? «Gli italiani prediligono la Spagna, anche per motivi di vicinanza linguistica e culturale. Seguono Portogallo, Francia, Regno Unito e Germania. Ultimamente comunque le novità sono state molte e alcune università stanno sviluppando progetti specifici con Russia, Georgia, Serbia, Israele e Albania”. (Fonte: L. Ciardi, QN E&L 22-05-17)

ERASMUS. GLI STUDENTI ITALIANI ALL'ESTERO AUMENTERANNO DI OLTRE IL 40%
Per l’anno accademico 2017/2018 l’Agenzia ha attribuito i fondi per finanziare le attività di mobilità Erasmus+ di 32.109 studenti italiani. Tuttavia, sulla base dei numeri della partecipazione negli anni precedenti, si stima una crescita di oltre il 40% del numero degli studenti in partenza dagli Atenei italiani, in conformità a una diversa distribuzione delle borse di mobilità. Ciò significa che gli universitari italiani in uscita nel 2017/18 saranno oltre 41mila. Per quanto riguarda l’anno accademico in corso (2016/2017), il budget disponibile in Italia per finanziare attività di mobilità e progetti di cooperazione per il settore Università è di 72 milioni di euro. L’Agenzia ha impiegato il 95,6% del budget disponibile e ha utilizzato i fondi restanti per finanziare le borse Erasmus di studenti e personale universitario con bisogni speciali. (Fonte: Avvenire 06-07-17)

I COSTI STANDARD DEGLI ATENEI NEL MIRINO DELLA CONSULTA
Una recentissima sentenza della Corte Costituzionale, la 104 dell’11 maggio, ha puntualizzato un aspetto assai rilevante per la determinazione del costo standard degli studenti universitari, novità assai significativa per la definizione del finanziamento delle Università. Il DLgs del 2012 con il quale il Governo ha attuato la delega, nell’art. 8, definisce così il costo standard: “Il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio, determinato in considerazione della tipologia di corso, delle dimensioni dell’ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera ciascuna università.”
Questo contesto normativo, a giudizio del TAR del Lazio che ha rimesso la questione alla Corte, sarebbe illegittimo, violando l’art. 76 della Costituzione, perché demanda per intero a decreti ministeriali l’individuazione degli indici in base ai quali determinare il costo standard, nonché le percentuali del finanziamento da ripartire in base a tale criterio. Saremmo alla presenza di poteri ministeriali svincolati da adeguati criteri di indirizzo con conseguente violazione degli articoli 33, 34 e 97 della Costituzione. Il decreto legislativo non ha affidato ad atti successivi l’esecuzione di scelte ben delineate nelle loro linee fondamentali. “Ha, invece, lasciato indeterminati aspetti essenziali della nuova disciplina, dislocando, di fatto, l’esercizio della funzione normativa del Governo, nella sua collegialità, ai singoli Ministri competenti, e declassando la relativa disciplina a livello di fonti sub-legislative con tutte le conseguenze, anche di natura giurisdizionale, che una tale ricollocazione comporta sul piano ordinamentale”. (Fonte: F. Matarazzo, www.edizioniconoscenza.it maggio 2017)
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi i costi standard nelle università: il parametro con cui sono stati assegnati finora 3,5 miliardi dal 2014 - primo anno di loro applicazione - al 2016 con il riparto del Ffo (il Fondo ordinario di finanziamento). Nel mirino della Corte costituzionale sono finiti l'articolo 8 e 10 del Dlgs 49/2012 - dichiarati illegittimi - che applicando la legge Gelmini (non bocciata dai giudici) hanno tracciato l'identikit del costo standard negli atenei, i primi a sperimentarli nella Pa. Questo criterio mira a definire quanto uno studente frequentante dovrebbe costare all'ateneo (in base a cattedre, servizi, strutture, ecc.). E quindi quanto vale poi nella distribuzione dei fondi che avviene ogni anno con il Ffo dove i costi standard hanno conquistato sempre più peso ai danni della spesa storica, passando dal 20% (982 milioni) nel 2014, al 25% (1,2 miliardi) nel 2015 fino al 28% (1,3 miliardi) nel 2016. Il nodo sottolineato dalla sentenza si basa sul fatto che il Governo scrivendo il DLgs 49 ha commesso due errori, demandando per intero ai decreti ministeriali l'individuazione degli indici in base ai quali determinare il costo standard, ma anche le percentuali del Ffo da dividere in base al costo standard. Invece al Governo - spiega la Consulta - «era stato conferito il compito di individuare quantomeno gli indici per la quantificazione e di dettare disposizioni in merito alla valorizzazione del costo standard, ossia al suo collegamento con una parte del Ffo». Un compito cui «si è sottratto» con un "deficit di delega". (Fonte: M. Bortoloni, IlSole24Ore 12-05-17)

BORSE DI STUDIO. AZZERARE LE SPEREQUAZIONI TERRITORIALI
I dati comunicati dagli enti per il diritto allo studio fotografano ancora una volta un'Italia spaccata in due. Se da un lato, le Regioni che garantiscono la borsa di studio a tutti gli idonei e mantengono i requisiti di reddito al massimo possibile sono sensibilmente aumentate negli anni, dall'altro, i dati di moltissime Regioni rimangono drammatici. A Napoli e Salerno gli idonei che hanno ottenuto la prima rata della borsa di studio sono solo il 55%, con una soglia Isee per l’accesso ai benefici ancora ferma a 15.900 euro, in Calabria il 67% e in Sicilia l’80%. Anche in Veneto e Puglia la situazione rimane difficile, in entrambe le regioni più di 1500 studenti stanno ancora aspettando la prima rata della borsa di studio. Per azzerare le sperequazioni territoriali è innanzitutto necessario innalzare le soglie Isee in tutte le Regioni fino a 23mila euro e l’Ispe a 50mila, cioè fino alle soglie massime, appena confermate anche per il prossimo anno accademico. Inoltre, è urgente rivedere il riparto del Fondo Integrativo Statale come previsto dalla legge di stabilità 2017, garantendone l'erogazione entro il 30 settembre. Come indicato dal Consiglio nazionale degli studenti universitari, bisogna passare da un sistema imperniato sulla spesa delle Regioni a uno più attento ai fabbisogni regionali, da calcolare sulla base del numero degli idonei alla borsa di studio, del numero di posti alloggio destinati agli idonei fuori sede, dei contributi di mobilità internazionale erogati e del numero dei pasti erogati agli studenti. In questo momento ci sono Regioni come la Lombardia che con 14.798 idonei ha ottenuto 23,1 milioni o il Lazio che con 14.535 idonei ha ottenuto 29 milioni, a fronte di Regioni che, con pochi meno idonei, ottengono molto meno: è il caso per esempio di Campania e Sicilia che con rispettivamente 11.701 e 13.456 idonei hanno ottenuto un fondo integrativo statale più che dimezzato, di soli 7,7 e 13 milioni. (Fonte: A. Torti, Sole S 24 18-06-17)

TEST DI AMMISSIONE. DA INTEGRARE
L’intera questione dei test d’ingresso ai corsi di laurea a numero chiuso andrebbe ripensata. L’anno scorso l’ex rettore di Bologna Ivano Dionigi aveva dichiarato: “Il test non basta. Credo che un colloquio sarebbe importante, ma per 10.000 ragazzi vorrebbe dire strutture, personale, laboratori, risorse, investimenti che non ci sono. Quello del test è un ripiego frettoloso da scuola-guida che serve a lavarsi la coscienza e a risparmiare. Laddove la scuola fosse la priorità, allora ci sarebbero un colloquio, una prova scritta, il test, e si terrebbe conto del curriculum dello studente”. (Fonte: F. Tonello, IlBo 09-07-17)

NUMERO CHIUSO. IL CONSIGLIO DI STATO CHIEDE AL TAR DI “VALUTARE LEGITTIMITÀ RIDUZIONE POSTI PER FABBISOGNO PRODUTTIVITÀ NAZIONALE”
Il Consiglio di Stato chiede al Tar di “valutare legittimità riduzione posti per fabbisogno produttività nazionale”. Sarà il Tribunale Amministrativo quello chiamato ora a valutare riapertura delle graduatorie. Per la prima volta è messa in discussione la riduzione dei posti alla facoltà di Medicina, operata in virtù di quello che in ambito giuridico viene definito il “fabbisogno produttivo nazionale” e non solo sulla base delle effettive capacità ricettive delle università. «Il Consiglio di Stato – entra nei dettagli l’avvocato Marco Tortorella, che ha patrocinato i ricorsi per Consulcesi – attraverso le ordinanze cautelari del 25 maggio scorso ha ritenuto meritevole di approfondimento la questione della illegittimità della riduzione dei posti disponibili a livello nazionale per opera del MIUR in base appunto al “fabbisogno produttivo nazionale”. L’ammissibilità di tale parametro e i criteri di determinazione non erano mai stati adeguatamente valutati dai Giudici amministrativi». Se la censura fosse accolta, diverrebbe illegittima la riduzione dei posti resi disponibili dal MIUR rispetto a quelli indicati dagli atenei in numero maggiore. Questo porterebbe come immediata conseguenza alla riapertura della graduatoria all’ammissione dei ricorrenti. (Fonte: www.corriereuniv.it 14-06-17)

NUOVE REGOLE PER IL COSTO STANDARD
Sono inserite nel Decreto Legge per il Mezzogiorno, dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Rimangono molte e importanti le criticità del provvedimento. Confermata l’esclusione degli studenti fuori corso dal calcolo del costo standard. Le numerosità di riferimento, anche con il nuovo costo standard, potranno essere modificate dal MIUR stesso con un meccanismo simile al precedente: il MIUR potrà decidere per quali corsi si dovrà tener conto delle numerosità per l’accreditamento e quali, invece, potranno avere numerosità alleggerite da ‘bonus’. Viene pure varata una sorta di "sanatoria retroattiva" per le assegnazioni già disposte per gli anni 2014, 2015 e 2016. Reggerà? Il dettaglio degli indicatori sarà deciso attraverso un decreto ministeriale del MIUR, sentiti CRUI e ANVUR, ufficializzando il passaggio alla CRUI che, però, non riveste il ruolo di istituzione pubblica, ma continua a rimanere un soggetto di diritto privato. Per chiudere, quanto è solido il nuovo costo standard? Una domanda lecita, poiché, invece di creare veramente una nuova norma primaria si procede con vecchie normative, direttamente connesse a norme dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale. (Fonte: Roars 28-06-17)
Scheda UDU su Costo Standard > https://tinyurl.com/y9h5z87v
Nel comunicato di LINK-Coordinamento Universitario si legge fra l’altro: Il nuovo costo standard approvato dal Governo è invariato rispetto alla precedente formulazione e gli studenti fuori corso rimangono esclusi dal computo dei finanziamenti, nonostante le forti critiche degli studenti e di gran parte della comunità accademica. Unica novità è l’introduzione di un’ulteriore quota perequativa che potrà far variare il costo standard al massimo del 10% della media nazionale, in base alla rete di trasporti e collegamenti a disposizione delle università. La definizione dei parametri con cui sarà definita questa e le altre quote del costo standard saranno specificate con un decreto attuativo da emanare entro 60 giorni, a seguito della consultazione con ANVUR e CRUI. Riteniamo che la scelta di includere la CRUI, ente di diritto privato, escludendo gli organi consultivi del MIUR, come CUN e CNSU, sia !ennesima dimostrazione della mancanza di confronto con gli studenti e la comunità accademica tutta. (Fonte: Orizzonte scuola 28-06-17)


VARIE

COLLABORAZIONE CUN-CNGR PER ANDARE OLTRE IL SISTEMA DEI SETTORI SCIENTIFICO- DISCIPLINARI
Un comunicato del CUN informa dell’avvio di un lavoro congiunto che coinvolgerà il CUN, titolare ex lege delle competenze per determinare i settori e il CNGR (Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca), competente in merito alle problematiche concernenti la valutazione dei progetti di ricerca. Da tempo ormai, e da più parti, è diffusa la consapevolezza che l’attuale organizzazione delle discipline in settori scientifico-disciplinari (SSD), cui si sono aggiunti, per le necessità delle nuove procedure di reclutamento introdotte dalla legge n.240/2010, i Settori Concorsuali (SC) e i Macro Settori Concorsuali (MSC), quali articolazioni interne alle Aree Disciplinari CUN, meriti nuove riflessioni. A questa necessità è diretto il lavoro congiunto che si avvia tra l’Organo, il Consiglio Universitario Nazionale, titolare ex lege delle competenze a determinare i settori, e l’Organo, il Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca, competente in merito alla valutazione delle varie tipologie di progettualità di ricerca e al confronto internazionale della classificazione dei progetti scientifici e dei relativi valutatori. A tale scopo è stato nominato un Gruppo di Lavoro paritetico costituito dai Presidenti del CUN e del CNGR (ex officio), dai proff. G. Baldassarri, F. Laquaniti e A. Vicino per il CUN e dai proff. P. Bisiacchi, M. Li Calzi e G. Tortora per il CNGR. (Fonte: CUN e Red.ne Roars 17-06-17)

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. UNA RISPOSTA PARTE DALLE UNIVERSITÀ
Di fronte alle trasformazioni camaleontiche della mafia e alla sua presenza sempre più capillare a livello locale, una risposta parte dalle università. “Ultimamente – spiega Enzo Ciconte, docente di ‘Storia della criminalità organizzata’ a Roma Tre e ‘Storia delle mafie italiane’ a Pavia, – l’università si sta svegliando. Undici anni fa sono stato il primo a insegnare storia della criminalità organizzata a Roma Tre. Oggi diverse università tengono corsi simili, anche se fanno eccezione le cattedre dedicate proprio a questa materia. Certo c’è un enorme ritardo culturale riscontrabile anche all’interno del Ministero che non ha mai voluto bandire concorsi per cattedre di questo tipo”. Anche Antonelli della Luiss indica nell’università la culla per far nascere la cultura della legalità e creare così gli anticorpi contro la criminalità. “La lotta alla mafia – spiega – si combatte non solo col mero rispetto delle regole, ma con la legalità dei diritti. Oggi la mafia colpisce quando lo Stato non riesce a garantire i diritti. L’idea è portare avanti una legalità dei diritti, non solo la repressione. E l’Università può essere la culla dove matura questa cultura”. Un’iniziativa che va in questa direzione, esemplifica Antonelli, è quella che ha portato avanti l’università Luiss che, grazie a un accordo con l’associazione Libera, consente agli studenti di fare un periodo di volontariato estivo nelle cooperative che gestiscono i BENI confiscati alla mafia. (Fonte: S. Rossitto, Roars 15-06-17)

STATI GENERALI PER LA PROMOZIONE ALL’ESTERO DELLA FORMAZIONE SUPERIORE ITALIANA
“Strategia” è il termine usato negli Stati generali per la promozione all’estero della formazione superiore italiana: un simposio che ha visto collaborare ministero degli Esteri, MIUR e Crui nella stesura di un documento che prefigura l’azione congiunta con cui dicasteri e conferenza dei rettori intendono rendere l’università italiana sempre meno vincolata a contesti puramente regionali e territoriali. Il rapporto riassume le conclusioni del gruppo di lavoro istituito un anno fa per avanzare proposte di promozione del nostro sistema universitario oltre i confini nazionali. Tra le azioni suggerite, la mappatura generale degli studenti internazionali già presenti nel sistema italiano, comprendendo anche categorie normalmente non al centro dell’attenzione: ad esempio gli iscritti di cittadinanza italiana che, pur in possesso di un titolo di studio superiore estero, abbiano scelto di tornare da noi per la formazione universitaria. Un capitolo fondamentale è la semplificazione dei passaggi per riconoscere i titoli esteri e garantire i visti necessari per i periodi di studio. Nella strategia di promozione all’estero del nostro sistema accademico, un ruolo particolare sarà attribuito al portale Universitaly: da pura vetrina di divulgazione dell’offerta formativa, diverrà un portale interattivo pensato anche per gli studenti internazionali, che potranno compiere via web parte delle procedure necessarie per venire a studiare in Italia. (Fonte: M. Periti. IlBo 10-05-17)

LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI LAMENTANO IL RIFIUTO DEL MIUR A UN CONFRONTO SUI PRECARI
Le organizzazioni sindacali e le associazioni universitarie hanno condiviso un documento in cui, a fronte della drammatica situazione in cui versa il sistema universitario, si registra l’inaccettabile comportamento del MIUR che rifiuta il confronto, in particolare sul tema del precariato. Le organizzazioni sindacali e le associazioni universitarie rivendicano l’apertura di un vero confronto e la necessità di un piano straordinario di interventi a partire dal reclutamento di 20.000 posti di ruolo. (Fonte: FLCCGIL 18-07-17)


UNIVERSITÀ IN ITALIA

UNIBO TRA LE QUATTRO UNIVERSITÀ ITALIANE CLASSIFICATESI TRA LE PRIME 200 AL MONDO
Quattro università italiane per la prima volta si sono classificate tra le prime 200 al mondo secondo una delle più note classifiche internazionali, il QS World University Rankings: Politecnico di Milano (170° posto, guadagnando 13 posizioni e confermandosi prima università italiana); Università di Bologna (188°, sale di 20 posizioni); e per la prima volta entrano Scuola Superiore Sant'Anna Pisa e Scuola Normale Superiore (entrambe al 192° posto). “È un risultato di cui siamo molto soddisfatti, che va a premiare gli sforzi messi in campo in questi anni per rendere l'Alma Mater un punto di riferimento a livello internazionale”. Lo dichiara il Rettore dell'Università di Bologna, Francesco Ubertini, commentando l'ingresso dell'Alma Mater nel 'top 200' degli atenei mondiali. Considerando che nel mondo esistono circa 26mila università - rileva lo studio QS World University Ranking - l'Alma Mater rientra quindi ora nell'1% dei migliori atenei a livello globale. Reputazione accademica, opinione del mondo delle imprese, citazioni scientifiche, numero di studenti e internazionalizzazione sono i parametri presi in considerazione per comporre il ranking. L'Alma Mater - che ottiene buoni o ottimi piazzamenti in tutte le voci - brilla in particolare nell’Academic Reputation, l'indicatore di maggior peso per formulare il giudizio complessivo sull'ateneo: 77° posto a livello mondiale e prima posizione tra le università italiane. Molto bene anche l’Employer Reputation, calcolata da QS intervistando oltre 44mila aziende e imprese in tutto il mondo: Unibo guadagna 35 posizioni rispetto allo scorso anno. Altro risultato di rilievo è quello legato alle citazioni ottenute dalla ricerca Unibo (Citations per Faculty): considerando questo indicatore, l'Alma Mater guadagna ben 57 posizioni. (Fonte: IlSole24Ore 08-06-17)

UNIBO. NELLA GARA DEI DIPARTIMENTI
L’università di Bologna ha 28 dei suoi 33 dipartimenti nella lista degli ammessi alla gara per il super-premio, ma solo 15 potranno aspirare a ottenerlo. Secondo quanto stabilito nella Legge di bilancio 2017, dovrà essere l’università stessa a procedere a questa prima selezione. Non voglio neppure pensare a quel che accadrà fra i colleghi e nei dipartimenti della nostra più antica università e rimango convinto che siano altre le strade che conducono a un’istruzione di qualità, equa e inclusiva. Quella di far crescere la qualità di pochi spingendo gli altri verso il declino è una pericolosa illusione, che ci allontana dallo spirito e dagli obiettivi dell’Agenda 2030. E che rischia a mio avviso, prima di tutto, di allontanarci dallo spirito e dalla lettera della nostra Costituzione. (Fonte: S. Semplici, Roars 09-07-17)

UNIBO. ASSEGNISTI DI RICERCA IN SCADENZA
A livello nazionale, secondo la banca dati MIUR, gli assegnisti di ricerca in scadenza da qui a dicembre sono 440 su 13.623. I primi. Ma saranno almeno mille, stimano i ricercatori, quelli che nel giro di due anni dovranno fare le valigie. In particolare nelle aree scientifiche. A Bologna sono 79 quelli a termine nel 2017 e 120 quelli al penultimo anno di assegno. In tutto gli assegnisti dell’Alma Mater sono 1.187: 168 al quarto anno, 193 al terzo, 259 al secondo. (Fonte: I. Venturi, R.it Bologna 1107-17)

UNIBO. PIÙ CHE RADDOPPIATE LE DOMANDE DI DOTTORATO
L’Alma Mater ha registrato un boom delle domande di dottorato: 5.996 contro le 2.288 del 2016. Quest’anno sono stati stanziati 2 milioni e mezzo in più per le borse di dottorato ed è stata abolita la tassa di iscrizione (Fonte: La Repubblica Bologna 13-06-17)

UNIBO. UNA CONVENZIONE PER LA RICERCA FIRMATA DA UNIBO E CNA
Favorire la nascita di start up innovative, rafforzare la collaborazione tra Ateneo e imprese, facilitare l’inserimento nelle aziende bolognesi di stagisti provenienti dal mondo universitario. Sono questi i tre punti forti della convenzione firmata, oggi, dal rettore dell’Università di Bologna Francesco Ubertini e dal direttore generale della Cna di Bologna Cinzia Barbieri.
La convenzione avrà una durata di cinque anni e ne rinnova una precedente siglata da Ateneo e Cna nel 2011. Un’esperienza che ha dato buoni frutti: in questi anni dalla collaborazione tra Cna e Università di Bologna sono nate diverse start up innovative costituite da imprenditori di Innovanet (il gruppo degli imprenditori innovatori di Cna Bologna) e da ricercatori universitari. Per i prossimi anni la partnership Cna ed Ateneo sarà sempre più all’insegna delle start up innovative e dell’impresa 4.0. Questi anni poi sono sempre più caratterizzati dallo sviluppo dell’impresa 4.0, anche grazie ai forti investimenti nazionali nel Piano Industria 4.0. Cna è già un Digital Innovation Hub in grado di rendere concrete per le aziende le opportunità del Piano, l’Università può diventare un Competence Center come previsto dal Piano e quindi essere un punto di eccellenza per le aziende innovative che nello spirito dell’impresa 4.0 chiedono ricerca applicata, inserimento di tirocini, formazione universitaria”. (Fonte: www.magazine.unibo.it 06-07-17)

UNIBOCCONI SETTIMA AL MONDO PER LAUREA IN FINANZA
Lo stretto legame con il mondo della finanza internazionale e l'efficienza del servizio di placement dei laureati sono valsi all'Università Bocconi un avanzamento di due posizioni, al 7/mo posto al mondo, nel ranking dei Global Masters in Finance, pubblicato dal Financial Times. Il programma valutato dal quotidiano londinese è il corso di laurea magistrale in finanza in inglese (Master of Science in Finance). Tra i 19 criteri utilizzati dal Financial Times per valutare i Master of Science in Finance, la Bocconi - si legge in una nota - spicca per quelli legati al rapporto con il mondo del lavoro: il career service (primo al mondo) e la retribuzione dei laureati. Il fatto che il 97% dei docenti del programma possegga un PhD è, inoltre, segnale dello stretto legame dell'insegnamento con la ricerca più avanzata. (Fonte: ANSA.it 19-06-17)

UNINETTUNO. LA MIGLIORE TRA LE PRIME CINQUE UNIVERSITÀ A DISTANZA
Uninettuno promossa a pieni voti dall’ANVUR: è risultata la migliore tra le prime cinque università a distanza finora accreditate dall’Agenzia di valutazione. Uninettuno in una nota ricorda la sua offerta formativa: corsi universitari in cinque lingue (italiano, inglese, francese arabo e greco), sei facoltà, venticinque corsi di laurea e oltre 140 sedi d’esame nel mondo. (Fonte: www.scuola24.ilsole24ore.com 05-05-17))

UNIPG. NASCE IL CORSO DI DOTTORATO (PH.D) IN DATA SCIENCE
A Pisa nasce il corso di dottorato (Ph.D) in Data Science. Università di Pisa, Scuola Normale, Scuola Sant’Anna, Scuola IMT Alti Studi Lucca e CNR, rilasceranno il massimo titolo accademico universitario, il diploma internazionale di Ph.D (equivalente a quello italiano di Dottore di Ricerca) nella disciplina che studia i “Big Data” e l’impatto che la “Data Science” ha sulla società e sulla scienza nel suo complesso. (Fonte: unipinews 16-06-17)


UE. ESTERO

EUROPE. THE DIGITAL FUTURE OF EUROPEAN STUDENT CARDS
Information technology experts across the continent recently came together to discuss the development of a student card that can be used across Europe, allowing students to use services and move more freely and seamlessly across borders and across institutional frameworks. (Fonte: https://tinyurl.com/725wlyg 03-07-17)

EUROPE IS STRUGGLING TO CATCH UP WITH THE US ON PRODUCING IMPORTANT SCIENCE AND IS IN DANGER OF BEING OVERTAKEN BY CHINA AND OTHER ASIAN COUNTRIES
Published in the Science and Public Policy journal, “European paradox or delusion – are European science and economy outdated?” looked at the 495 most highly cited papers every third year from 1990 to 2011, across four fields: chemistry, physics, clinical medicine, and biochemistry and molecular biology. In total, 15,840 papers were analysed. In each field, the paper concludes, the number of papers produced in the US was typically one-and-a-half to three times higher than the EU’s count. While the EU was making progress in each field, this appeared largely attributable to US collaboration, not European achievements alone. And, in “hot areas” of research such as graphene – in which European researchers made the initial breakthrough – Asian nations such as China and South Korea had already overtaken the UK and Germany in producing highly cited papers by 2013.
However, Sir Richard Roberts, joint winner of the 1993 Nobel Prize for Physiology or Medicine and chief scientific officer of Massachusetts-based bioscience supplier New England Biolabs, noted that the paper “relies on citation data and bibliographic measures of quality”, which he believes is a “very flawed way of judging good quality science”. “In my own field, I see no difference between the quality of science produced in Europe and in the US,” he said.
Jean-Pierre Bourguignon, president of the European Research Council, said the “idea that Europe lags behind the US in terms of research with the highest impact” was one of the major rationales behind the ERC’s formation. “Ten years [on], there is already evidence the ERC is making a difference at this level,” he said. “It is very pleasing to see the results of a [recent] independent report by Clarivate Analytics [acknowledging] the breadth, quality and frontier nature of ERC-funded research. “It also establishes that the gap between the research performance of the US and the EU countries has narrowed…since the ERC was established.” (Fonte: J. Elmes, https://www.timeshighereducation.com/news/europe-struggling-to-catch-us-on-high-impact-science 
08-07-17

SPESE IN SCIENZA E TECNOLOGIA NELLE AREE EUROPEE
La situazione dal 2010 a oggi è peggiorata con l’Italia che ha tagliato il 20% dell’intero budget del finanziamento universitario, mentre, ad esempio in Germania dal 2005 la spesa scientifica generale del governo federale è aumentata di un enorme 60% – da 9 miliardi di euro fino a circa 14,4 miliardi di euro nel 2013. Non è un caso che anche la ricerca industriale abbia prosperato: la Germania è ormai vicina a spendere il 3% del suo prodotto interno lordo sulla scienza e la tecnologia, un obiettivo fondamentale della strategia di crescita dell’Unione europea 2020 che solamente Finlandia, Svezia e Danimarca hanno rispettato finora. Tradotto in cifre nell’area della Germania, dove ancora regge la competitività nel mondo globalizzato, si spendono 635 dollari per abitante in istruzione terziaria, contro i 489 dell’area anglo-francese, i 340 dell’area mediterranea e i 202 dell’area orientale. Questo significa che nell’Europa settentrionale si spende il doppio per l’università rispetto ai paesi mediterranei e il 30% in più rispetto all’area anglo-francese. Nell’area della Germania s’investono in ricerca e sviluppo 162 miliardi di dollari l’anno, una cifra superiore del 53% a quella dell’area anglo-francese e addirittura del 245% a quella dell’area mediterranea. Questa situazione si ripercuote ovviamente nella produzione beni e servizi ad alta tecnologia e nella capacità d’innovazione (ad esempio nell’area tedesca in un anno si producono 2,4 volte più brevetti che nell’area anglo-francese e addirittura 5,4 volte più che nell’area mediterranea). (Fonte: F. Sylos Labini, Roars 26-05-17)

FRENCH SCIENTISTS SAY THEY’RE RELIEVED AND HAPPY THAT THEIR COUNTRY’S NEXT PRESIDENT WILL BE EMMANUEL MACRON
French research bodies rarely take overt positions on elections, but this one was different. France’s academy of science, the heads of nine national research agencies and many prominent scientists had all made public appeals against Le Pen’s party ahead of Sunday’s head-to-head vote, arguing that the Front National’s illiberal and anti-immigrant views threatened the tolerant, open and democratic environment in which science and evidence-based policy thrives. "Unlike the Front National, Emmanuel Macron bears the republican and humanist values that we defend, and which constitute the DNA of universities," says Gilles Roussel, who heads France's Conference of University Presidents, which in April had called for a vote against Le Pen. Thierry Coulhon, a mathematician and president of the PSL Research University in Paris says that Macron aims to free up innovation in universities by decentralizing power and reducing bureaucracy; in particular, Macron intends to let universities hire lecturers and researchers without having to wait for a central administration in Paris to approve appointments. Coulhon expects that Macron’s policies on France’s national research agencies will be more about continuity, with less need for major reforms. (Fonte: D. Butler, Nature News 08-05-17)

GRECIA. RIFORMA DEL GOVERNO TSIPRAS ELIMINA GLI ISTITUTI PRIVATI PER LA PREPARAZIONE AGLI ESAMI DI ACCESSO ALLE UNIVERSITÀ
Uno dei capisaldi della riforma della “Buona scuola” in salsa ellenica, annunciata da Tsipras, è proprio la valorizzazione della scuola pubblica e l’eliminazione dei famigerati frontistiria, che da decenni si arricchiscono sui sogni dei genitori greci riguardo al futuro della prole. Sì, perché le famiglie elleniche sono forse le uniche, in Europa, a pagare 600 euro il mese, circa 5000 euro l’anno, per preparare i propri figli agli esami di ammissione all’università. E questa cifra va moltiplicata per almeno gli ultimi tre anni scolastici delle superiori. I ragazzi greci sono gli unici a frequentare, oltre alla scuola pubblica la mattina, anche circa tre-quattro ore di frontistirio ogni pomeriggio. Questi ultimi sono istituti privati che preparano appunto agli esami ufficiali panellenici che ogni estate decidono la sorte universitaria di ogni studente. Il loro costo è un salasso, tanto più in un paese che dal 2008 attraversa la peggiore crisi economica della sua storia. (Fonte: G. Lyghounis, www.balcanicaucaso.org 18-05-17)

ALTERNATIVE AI BLASONATI ATENEI INGLESI
Già oggi, con la Gran Bretagna ancora nell’Unione europea, a Oxford o a Cambridge si paga una retta tra i 9.250 e i 10.900 euro l’anno. Anche il costo della vita in Belgio è minore: sul sito dell’ateneo di Leuven si suggerisce di mettere a budget una spesa media per vitto e alloggio di circa 7.500 euro l’anno, mentre sul sito di Cambridge è indicata una cifra di almeno 10.500 euro.
Nella classifica Arwu il Politecnico federale di Zurigo è 19°, addirittura tre posizioni sopra all’Imperial College di Londra, mentre nella graduatoria Reuters dell’innovazione si aggiudica un più che dignitoso undicesimo posto. Qui i corsi in inglese sono rari, perché la lingua ufficiale delle lezioni è il tedesco, ma a sorpresa le tasse sono molto basse: in tutto, un migliaio di euro l’anno. Certo, il costo della vita in Svizzera è molto elevato: gli esperti del Politecnico di Zurigo ritengono opportuno avere in tasca almeno 20mila euro l’anno.
Chi è orientato sulle materie tecniche, piuttosto, dovrebbe far rotta sulla Technische Universität di Monaco, in Germania: oltre ai corsi di laurea in tedesco, ne offre almeno quattro in inglese e la sua retta è di soli 250 euro l’anno, cui va sommato un costo della vita inferiore a quello di Zurigo. Anche il Politecnico di Delft, in Olanda, potrebbe essere una risorsa, con le sue lezioni tutte in inglese, una retta da 2mila euro e un’invidiabile posizione all’ottavo posto nella graduatoria degli atenei più innovativi.
Chi è interessato alle materie scientifiche potrebbe optare per la Pierre et Marie Curie di Parigi, altrimenti nota come Paris 6, che nella stessa classifica è 39esima ed è meglio posizionata nella graduatoria dell’innovazione (settima, a fronte del 16° posto di Manchester). Studiare a Paris 6 costa al massimo 606 euro l’anno e per vivere nel campus, tra vitto e alloggio, vanno messi in conto 1.072 euro il mese.
Per medicina un’ottima opzione è il Karolinska Institute, vicino a Stoccolma, 44° nella graduatoria Arwu, praticamente allo stesso livello dell’Università di Edimburgo (41esima). L’ateneo svedese, che forma solo medici, fa lezione in inglese e non prevede tasse universitarie.
E l’Irlanda? Le sue università hanno campus all’inglese e, grazie alla Free Fees Initiative del governo, se si è cittadini Ue costano solo 3mila euro l’anno di retta.
(Fonte: M. Cappellini, IlSole24Ore 22-05-17)

UK. LA REF (RESEARCH EXERCISE FRAMEWORK) HA RINUNCIATO AGLI INDICATORI BIBLIOMETRICI
Nel Regno Unito, per l'equivalente della nostra VQR - la Ref (Research Exercise Framework) pubblicata nel 2014 - hanno rinunciato alla scorciatoia degli indicatori bibliometrici dopo uno studio pilota tra il 2008-09 che ne ha stimata la capacità di misurare la qualità. Il responso, del 2011, ha rivelato che ci sono "troppi difetti e problemi con tali indicatori," e che "non sono abbastanza robusti da sostituire la peer review," si legge sul sito della Ref. Si è scoperto che l'indicatore delle citazioni sfavorisce le donne: "L'uso delle citazioni introduce pregiudizi di genere", spiega Graeme Rosenberg, Manager della Ref in un rapporto del 2015: sono citati molto di più gli articoli i cui autori sono uomini. Anche questo "ci ha spinto a ridurre ulteriormente l'appetito per l'utilizzo delle citazioni.".Per la Ref è stato adottato il criterio della peer review, per valutare190 mila pubblicazioni e comporre le pagelle di 154 istituti. (Fonte: FQ 11-07-17)

UK. L’UNIVERSITÀ DI MANCHESTER RIDUCE I COSTI DEL PERSONALE PROGETTANDO 171 LICENZIAMENTI
Per sottrarsi ai licenziamenti fatti in nome dell’eccellenza accademica, non basta avere tra i docenti tre premi Nobel e primeggiare nelle classifiche nazionali e internazionali (l’ateneo in questione è 35esimo a livello mondiale nella classifica ARWU). L’Università di Manchester sta progettando 171 licenziamenti, principalmente di personale accademico. Una dolorosa necessità per far fronte alle crepe nel bilancio? A dire il vero nell’anno 2015/2016 l’attivo ha sfiorato i 60 milioni di sterline. Colpa dei debiti accumulati? Se si sfoglia il rapporto finanziario, risulta che l’università ha messo da parte un “tesoretto” di 1,5 miliardi di sterline, con una liquidità pari a 430 milioni. Questa la spiegazione da parte del portavoce dell’università: «The University of Manchester has a bold ambition to be a world leading institution, with a reputation based on academic excellence. In order to meet this ambition, we must improve the quality of our research and student experience in some areas and ensure the financial sustainability of the university. Realising this ambition will require a capacity to invest in our strategic priorities. We have detailed plans for significant growth in funds from a range of activities, but we will also need to make cost savings.». Come riporta il Guardian, dietro la retorica dell’eccellenza potrebbe esserci il piano di ridurre i costi del personale tramite la sostituzione di personale “senior” con nuove posizioni “junior” meno retribuite. (Fonte: Red.ne Roars 18-06-17)

TURKEY. DROP IN RESEARCH OUTPUT AFTER PURGE OF ACADEMICS
A new report claims that the short-term effects of the large-scale purge carried out by the Turkish government since the failed coup attempt a year ago include a 28% drop in research output of academics based in Turkey in 2017. (Fonte: https://tinyurl.com/725wlyg 03-07-17)

RUSSIA. INAUGURATO IL 26 MAGGIO A MOSCA IL MONUMENTO DEDICATO ALL'ANANONYMOUS PEER REVIEWER.
Si tratta di un dado di cemento del peso di 1.5 tonnellate che reca sulle sue facce iscrizioni come "Reject" e "Major Changes". È il risultato di una campagna di crowdfunding a cui hanno aderito anche due premi Nobel, Eric Maskin e Andre Gaim, lanciata da Igor Chirikov, direttore del Center of Sociology of Higher Education della Higher School of Economics di Mosca. (Fonte: [The Guardian; Nicola Davis] 29-05-17)

RUSSIA. PREVISTO UN TAGLIO DEL 40% DEL PERSONALE STATALE DELLE UNIVERSITÀ
The Russian government is pushing on with plans to cut 40% of state-funded places in domestic universities in 2018 and to cut teaching jobs at state universities. These plans were first announced about a year ago. However, their implementation was postponed due to signs of the beginning of a recovery of the Russian economy from the economic crisis and the possibility of lifting of at least part of Western sanctions against Russia. Still, the beginning of a second wave of the financial crisis – fuelled in June by a resumption of the devaluation of the national currency, the ruble, and an awareness that sanctions against Russia would not be lifted soon – has forced the state to return to these plans. (Fonte: E. Vorotnikov, wired 13-07-17)

CHINA CRACKS DOWN ON FAKE PEER REVIEWS
The Chinese government is going on the offensive against scientists who dupe journals by creating fraudulent reviews of submitted papers. A coalition of agencies led by the science ministry announced on 14 June that the government would suspend the grants of researchers involved in such fraud, which surfaced earlier this year when a cancer journal retracted 107 research papers from Chinese authors. And funding agencies in China promised to increase policing of the scientific community to prevent similar deceptions. The harsh penalties and stricter enforcement were decided earlier this month at a meeting of representatives of the science ministry, the health ministry, the National Natural Science Foundation of China (NSFC) and other agencies. (Fonte: Nature 546, 464, 22 -06-17)

USA. 32 TOP POSITIONS IN THIS YEAR’S SHANGHAI RANKING’S GLOBAL RANKING OF ACADEMIC SUBJECTS
United States universities took 32 top positions out of 52 in this year’s Shanghai Ranking’s Global Ranking of Academic Subjects, followed by China with eight, the Netherlands with five and the United Kingdom with three. The top institution was Harvard University with 15 top spots, while Massachusetts Institute of Technology landed five. (Fonte: https://tinyurl.com/725wlyg  03-07-17)

USA. 515 MILIARDI DI DOLLARI IL PATRIMONIO GESTITO DAI GRANDI ATENEI
I grandi Atenei statunitensi, attraverso le loro fondazioni, sono arrivati a gestire un patrimonio complessivo di 515 miliardi di dollari. Una somma che ormai distingue le università Usa per essere tra i più grandi investitori del Paese. Lo rivela un'inchiesta di Affari&Finanza. E non sono le sole che, esentasse, gestiscono ricchezze miliardarie. Alle grandi università americane si affiancano le cosiddette charity, le Fondazioni private che attraverso donazioni di semplici cittadini, ma anche di miliardari influenti, sono arrivate a gestire circa 300 miliardi di dollari. Messe insieme dunque università e charity sono diventate un gigante del mercato azionario Usa. (Fonte: La Repubblica 16-07-17)


LIBRI. RAPPORTI. SAGGI

IL PIANO INCLINATO
Autore: Romano Prodi, Il Mulino, 2017.
La tastiera di Prodi è articolata. Torna su temi fondamentali, oggi in secondo piano: una forte politica industriale, volta a favorire crescita dimensionale delle imprese e innovazione; il potenziamento dell’istruzione; una gestione più incisiva e innovativa dei beni comuni. Non rinunciando a proposte che destano certamente scandalo per il politicamente corretto dei giorni nostri, fatto sempre e solo di tagli alla spesa e alle tasse: come quella di (re)introdurre una normale tassa di successione (con aliquote come quelle di Francia e Germania) per finanziare il potenziamento dell’istruzione. Fino all’illustrazione di misure apparentemente minori, ma assai importanti: le fondazioni di famiglia cui poter destinare la proprietà delle imprese; un fondo immobiliare per i mutui in sofferenza; reti di incubatori di nuove imprese e di centri di diffusione tecnologica come i Fraunhofer tedeschi. Insomma, ce n’è abbastanza per discutere. Ce ne sarebbe abbastanza per un Partito che volesse parlare di politiche e non di facce, comparando ad esempio le idee del libro con l’azione di governo degli ultimi anni: dall’abolizione della tassazione sull’abitazione alle misure che hanno favorito l’uso del contante; dall’esaltazione della flessibilità sul mercato del lavoro al massacro di gran parte del sistema universitario italiano. (Fonte: G.Viesti, Il Mulino 22-05-17)

I SENSI DEL TESTO. SAGGI DI CRITICA DELLA LETTERATURA
Autore: Raul Mordenti, ed. Bordeaux, pg. 350, 2016.
Ci sono fortunatamente anche figure di critici capaci di coniugare la robustezza metodologica dello studioso con l'autentica passione del lettore. Raul Mordenti, docente di Critica letteraria e letterature comparate all'Universita di Roma "Tor Vergata", sembra essere uno di loro. Non è un caso che l'ultima parte del suo nuovo libro, I sensi del testo. Saggi di critica della letteratura (Bordeaux, pagine 350), sia tutta incentrata su un’impietosa disamina del sistema di valutazione della ricerca da non molto entrato in vigore nelle università italiane. «Già prostrata da sempre più accentuate politiche di de-finanziamento e da "riforme" arroganti quanto sciocche, la nostra accademia è oggi oggetto - scrive Mordenti - di «ossessive e grottesche pratiche di registrazione, di misurazione, di differenziazione, di gerarchizzazione, di competizione, di privatizzazione. Sta sempre più prendendo piede una visione "aziendalistica" dell'università (ma la stessa cosa potrebbe dirsi della scuola), che porta i docenti a pubblicare, magari a pagamento, studi che di per se richiederebbero ulteriori approfondimenti, pur di non mancare la scadenza della valutazione triennale, da cui dipende l'allocazione delle risorse finanziarie, peraltro sempre più scarse. Del resto – s‘interroga l'autore - su quali basi si possono davvero valutare i risultati di una ricerca? Normalmente si tende a valutare in modo positivo un contributo che presenti una corrispondenza “fra ciò che la ricerca ha prodotto e ciò che già si sa, e che è stato consolidato in una comunità scientifica”. Eppure il compito della ricerca, se libera e innovativa, è invece esattamente contrario, cioè la ricerca consiste proprio nel tentare di dimostrare che la comunità scientifica ha dei limiti, che essa non conosce ancora o non conosce abbastanza alcune cose, che insomma l'assetto epistemico vigente si sbaglia”.  Attenendosi al primo criterio - la corrispondenza dei nuovi studi a ciò che è già noto - difficilmente Galileo, Leibniz, Einstein o Freud avrebbero ottenuto buone valutazioni da parte di eventuali "commissari ministeriali". E ricordando le mitiche lezioni su Leopardi tenute negli anni Sessanta da Binni alla facoltà di Lettere della Sapienza di Roma o lo straordinario impegno culturale che ha sostenuto, negli anni Ottanta e Novanta, la realizzazione della monumentale Letteratura italiana curata da Asor Rosa per Einaudi, che a Mordenti sembra venire letteralmente da piangere a vedere che cosa sta diventando (e in parte è già diventata) l'Università italiana. Ciononostante, l'autore ritiene importante proseguire un impegno culturale basato sulla convinzione che proprio nella letteratura è possibile trovare iI luogo privilegiato «dello sforzo umano di dare senso alle cose del mondo oltre che uno strumento insostituibile di quella che, oggi più di ieri, è una necessità storica non più dilazionabile, vale a dire quella di porsi in una relazione autentica con l'altro. La letteratura è per Mordenti proprio questo luogo di confronto con l'alterità, per conseguire, per il suo tramite, un vitale arricchimento in termini culturali e civili. (Fonte: R. Carnero, Avvenire 16-05-17) 

RICERCARE ALTROVE - FUGA DEI CERVELLI, CIRCOLAZIONE DEI TALENTI, OPPORTUNITÀ
A cura di Chantal Saint-Blancat. Ed. Il Mulino, febbraio 2017.
Quanti sono i “cervelli in fuga”, in quali settori lavorano e che legami conservano con la madrepatria? Un vuoto informativo grave e particolarmente incomprensibile in un Paese che continua a investire quel (poco) che riesce per preparare ricercatori e scienziati che in molti casi prendono la via dell’estero. Per questo sono particolarmente preziose le iniziative come “Ricercare altrove”, il libro recentemente pubblicato dal Mulino da un’équipe di studiosi (Stefano Boffo, Salvatore La Mendola, Stefano Sbalcherio e Arjuna Tuzzi) guidati dalla sociologa dell’università di Padova Chantal Saint-Blancat. Un libro da tenere sul comodino per chi si occupa di università e istruzione, perché per una volta dà voce ai nostri ricercatori in modo scientifico e rigoroso senza per questo rinunciare alle loro storie e al loro vissuto. Come ogni ricerca scientifica seria, il libro parte da una precisa delimitazione dell’oggetto e della metodologia. L’indagine parte da 83 interviste a ricercatori e docenti universitari di fisica, ingegneria e matematica che lavorano in sei paesi europei: Regno Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera. Successivamente, dopo l’analisi delle 160 ore di registrazione trascritte in 1.500 cartelle di testo, è stato redatto un questionario che è stato somministrato a 2.420 ricercatori italiani in condizioni analoghe, raccogliendo 528 risposte valide. Mai finora era stata tentata una ricerca tanto approfondita su un campione così omogeneo e le sorprese non sono mancate. Un primo dato a emergere è che i ricercatori generalmente non vanno via dall’Italia a causa del precariato e spesso nemmeno per lo stipendio. Un periodo all’estero è visto come un passaggio necessario e per molti versi normale: il brain drain nasce insomma dalla brain circulation, stimolata in primo luogo dalle istituzioni europee (dal progetto Erasmus fino alle borse Marie Curie ed ERC). Una situazione che ha moltiplicato gli scambi scientifici ma ha anche aperto, per dirla con il libro, un vero e proprio vaso di Pandora, dato che spesso in altri Paesi i nostri ricercatori percepiscono di trovarsi in un sistema più trasparente e meritocratico, quindi più adatto alla ricerca e a progettare una carriera. (Fonte: D. Mont D’Arpizio, IlBo 25-05-17)

UNIVERSITALY. LA CULTURA IN SCATOLA
Autore: Federico Bertoni. Ed. Laterza, Roma-Bari 2016.
Al trasversale e animato dibattito sul destino dell’università e sui cambiamenti che, ormai da diverso tempo, la interessano, partecipa anche F. Bertoni, professore di Teoria della letteratura presso l’Università di Bologna, con il suo libro “Universitaly. La cultura in scatola”, definito dal suo Autore «un racconto, un saggio di critica culturale e un testardo gesto d’amore» (p. VII) per il sapere e per la stessa università, oggi ridotta a «uno straordinario concentrato di stupidità» (ibidem). Una constatazione inequivocabilmente amara, gravata dal peso della «piena complicità del corpo docente» (ibidem), ma da cui non nasce il rimpianto per una passata condizione, come Bertoni sottolinea a più riprese. Poste tali premesse, l’Autore si propone di individuare le ragioni alla base di «un fallimento collettivo» (p. VII) e di guardare alle cose dall’interno, con l’intenzione di mettersi in gioco «personalmente» (p. VIII), così riuscendo a far fare esperienza al lettore di quella che è, oggi, «la giornata di un professore». (Fonte: V. D’Ascanio, http://rivista.scuolaiad.it)

LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE DEI DOCENTI UNIVERSITARI
Autore: Loredana Ferluga, 29 giugno 2017.
SOMMARIO: 1. L’art. 10 della legge di riforma dell’Università. – 2. Gli illeciti sostanziali e le sanzioni disciplinari applicabili ai docenti universitari. – 3. I codici etici delle Università e le norme disciplinari. Si legge qui https://www.diritto.it/la-responsabilita-disciplinare-dei-docenti-universitari/ .

MANUALE DI LEGISLAZIONE UNIVERSITARIA
A cura di Cesare Miriello, Maggioli Editore,             dicembre 2016, 396 pg.
Un’esposizione completa di tutte le materie legate alla complessa macchina universitaria con un taglio pratico e sistematico: ogni materia è trattata con chiarezza e in forma esaustiva, tenendo conto di tutte le novità normative. L’opera racchiude, in un unico volume di facile lettura, tutta la materia del diritto delle amministrazioni universitarie e della loro gestione finanziaria e contabile.
Ciò costituisce anche la logica conseguenza di una formazione scientifica e/o professionale acquisita a vario titolo dagli autori: funzionari, ricercatori, studiosi di diversi sistemi gestionali. Sono trattati in maniera completa e mirata tutti gli aspetti giuridici, gestionali e contabili della vita di un Ateneo, compresa l’attività di diritto privato e l’impiego alle dipendenze delle amministrazioni universitarie: materie queste ultime di vitale importanza, improntate più di altre da un taglio critico e scientifico, anche in considerazione della loro delicatezza e delle non comuni difficoltà applicative. (Fonte: www.maggiolieditore.it )

RECLUTAMENTO UNIVERSITARIO E DINTORNI: TEMPI DIFFICILI, SCELTE TRAGICHE, INCUBI GIURIDICI
Autore: Alessandro Bellavista, pubblicato su Munus, n. 3/2016
In questo articolato saggio Alessandro Bellavista esamina la nuova disciplina del reclutamento dei professori e dei ricercatori universitari alla luce delle recenti pratiche di valutazione della ricerca e delle tendenze regolative del sistema universitario nazionale. Lo studio mostra, da un lato, i difetti di architettura dei meccanismi di reclutamento e di valutazione costruiti dal legislatore che si enfatizzano nella loro applicazione in concreto; dall’altro lato, e soprattutto, la continua e profonda invasione della politica nel mondo accademico, che comporta il rischio di un’inammissibile lesione dei valori, costituzionalmente riconosciuti, della libertà di ricerca e dell’autonomia universitaria.
SOMMARIO: 1. Premessa.- 2. Concorso pubblico, cooptazione, sorteggio, elezione.- 3. I criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni. L’abilitazione scientifica nazionale.– 4. L’Asn 2.0: un incubo giuridico?- 5. Dislocazione incontrollata di potere normativo e politica della ricerca.- 6. L’invasione diretta della politica nel sistema universitario.- 7. Precarietà, primo ingresso nel sistema, selezioni locali.- 8. Proposte di modifica della carriera accademica.





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