IN EVIDENZA
PROTESTA DEI DOCENTI UNIVERSITARI. LE
MOTIVAZIONI
Sono
più di cinquemila i docenti universitari che in tutta Italia sono pronti a
cancellare un appello d’esame della sessione autunnale per protestare contro il
blocco degli stipendi fermo al 2011. Gli stipendi, tra i più bassi d’Europa,
sono fermi a 3.300 – 4.000 euro per i professori ordinari, 2.200 – 2.700 per
gli associati e 1.300 – 1.700 per i ricercatori. E se per gli altri impiegati
pubblici lo scongelamento parte dal primo gennaio 2015, per i prof degli atenei
la data fissata è l’1 gennaio 2016. “Non solo un anno in più rispetto agli
altri, ma anche con la cancellazione di questi cinque anni passati. Come se non
fossero mai esistiti ai fini della carriera, della pensione, del Tfr. Noi non pretendiamo
gli arretrati ma è giusto avere adesso gli aumenti che avremmo avuto senza il
blocco”, spiega a La Stampa Carlo Ferraro, docente del Politecnico di Torino,
coordinatore del Movimento per la dignità della docenza. Una situazione che non
è più tollerabile per 5.444 professori e ricercatori di 79 università, circa il
10% del corpo accademico. (Fonte: www.corriereuniv.it
14-07-17)
PARLA LA MINISTRA SUL BLOCCO DEGLI
ESAMI E SUL NUMERO CHIUSO
«Per
prima cosa - ha detto – non è chiaro come i docenti abbiano annunciato lo
sciopero con mesi di anticipo, quando esiste un tavolo di confronto aperto. Un
modo di operare che non condivido». Contestata, in particolare, la forma di
protesta paventata. «Trovo che il blocco degli esami sia una forma di protesta
impropria e impopolare, destinata a creare un forte malcontento tra l'opinione
pubblica. In questo modo, a essere danneggiati, saranno gli studenti. Senza
contare che, alla sessione successiva, non sarà possibile perpetrare il blocco.
Invito, quindi, i professori a trovare forme differenti per manifestare il
proprio dissenso». Ribadendo la volontà di concentrare fondi e risorse sul
mondo universitario, il ministro Fedeli ha «rilanciato» sulle facoltà a numero
chiuso. «Bisogna allargare e non chiudere» aveva già dichiarato, lo scorso
maggio, rispetto alla decisione del rettore dell'università di Milano di
istituire un test d'ingresso alla Statale, per le facoltà umanistiche. Un tema
su cui il ministro è tornato a parlare da Savona. «Non ha senso investire negli
atenei, ampliando il più possibile il concetto di formazione continua, quando
alcune facoltà sono a numero chiuso. Sono atteggiamenti contraddittori»,
preannunciando, in modo implicito, la volontà di avviare una riflessione sul
tema. Da rivedere, ancora, i criteri di finanziamento e di valutazione delle
performance degli atenei secondo criteri premiali, «che dovranno tenere
maggiormente conto dell'impegno verso la digitalizzazione e la sostenibilità
energetica e ambientale». (Fonte: La Stampa 14-07-17)
QS UNIVERSITY RANKING. LA CLASSIFICA
DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE IN BASE A SEI CRITERI
Quest'anno
sono state analizzate 4,388 Università e, tra queste, 956 sono state incluse
nella classifica. Per identificare le Università globalmente competitive, sono
stati considerati sei criteri.
I
sei criteri sono i seguenti con riferimento alle università italiane (i numeri
davanti a ciascun ateneo indicano la posizione nella classifica):
Sondaggio Accademici - Università italiane tra le prime
200: 77 Università di Bologna: 86 Sapienza - Università di Roma; 138
Politecnico di Milano; 159 Università degli Studi di Padova; 181 Università
degli Studi di Milano; 195 Università di Pisa.
Sondaggio Datori di Lavoro/Recruiter - Università italiane tra le prime
200: 30 Università Commerciale Luigi Bocconi; 53 Politecnico di Milano; 126
Politecnico di Torino; 132 Università Cattolica del Sacro Cuore; 157 Università
di Bologna.
Citazioni per Ricercatore (Impatto
Ricerca Prodotta) - Università
italiane tra le prime 300: 18 Scuola Normale Superiore; 27 Scuola Superiore
Sant'Anna Pisa; 135 Politecnico di Torino, 204 Politecnico di Milano, 206
Università di Brescia. 212 Università di Ferrara, 219 Università degli Studi di
Modena e Reggio Emilia; 231 Università degli Studi di Trento.
Proporzione tra Docenti e Studenti - Le migliori Università italiane: 73
Scuola Normale Superiore; 90 Scuola Superiore Sant'Anna Pisa; 475 Università
degli Studi di Trieste.
Nei rimanenti tre indicatori, che cumulativamente
rappresentano il 30% del punteggio totale, l'Italia è molto svantaggiata. In
particolare, nell'indicatore "Faculty/Student
Ratio" dove, ad eccezione della Normale e di Sant'Anna, solo Trieste é
tra le prime 500 al mondo. Con l'espansione della classifica, che quest'anno
vede 43 new entry, l'Italia perde sempre più terreno in questo determinante
indicatore.
L’Università
di Trento ottiene il miglior risultato italiano nell'indicatore "International Faculty" (proporzione di docenti ricercatori internazionali)
classificandosi 348esima al mondo, mentre la Scuola Superiore Sant'Anna Pisa
primeggia in Italia nell'indicatore "International
Students" (proporzione di studenti internazionali) ottenendo il
291esimo posto al mondo.
La classifica
delle migliori Università al mondo, QS World University Rankings, é
consultabile su: www.TopUniversities.com . (Fonte: A. De Gregorio, CorSera
07-06-17)
IL “TESORETTO” DI OLTRE 415 MILIONI
SUL CONTO CORRENTE DELL’ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA (IIT). DOMANDE SENZA
RISPOSTA
Era
stata Laura Margottini sul Fatto Quotidiano a evidenziare l’anomalia di circa
mezzo miliardo di Euro non spesi che giacevano in conti correnti e prodotti
finanziari (Human Technopole: IIT ha «540 milioni in conti bancari e
investimenti». Dare ancora soldi è intelligente?). L’esistenza del tesoretto
era confermata da una testimonianza di prim’ordine: il direttore scientifico
dell’IIT Roberto Cingolani che ne aveva data conferma a Riccardo Iacona nel
corso di un’intervista mandata in onda su Presa Diretta del 19 settembre 2016.
Nessuna sorpresa che la richiesta della senatrice Elena Cattaneo di recuperare
questo tesoretto e di destinarlo alla ricerca pubblica avesse trovato ampio
consenso nel mondo della ricerca (basti ricordare le più di 5.00 firme raccolte
da quest’appello). Un intervento letteralmente a costo zero che non toglie
niente a nessuno (IIT continuerebbe a ricevere il suo ingente finanziamento
annuale di 100 milioni) e che dà un po’ di ossigeno al mondo della ricerca
penalizzato da anni di tagli. Ma ecco che arriva il colpo di scena.
Intervistata dall’edizione nazionale di Repubblica, la senatrice Cattaneo
dichiara: Ambienti della maggioranza hanno detto, lasciandomi sconcertata, che
quei fondi non ci sono più perché lo Stato li ha già usati. Vera o falsa che
fosse, l’indiscrezione sul forziere vuoto, un primo effetto l’ha avuto. Niente
più emendamento sul recupero. Passato il pericolo, ci si è affrettati a
minimizzare la notizia del “buco”. Sul conto corrente infruttifero n. 25039
aperto presso la Banca d’Italia, intestato all’Istituto italiano di tecnologia,
gli oltre 415 milioni di euro di liquidità certificati dalla Corte di Conti, ci
sono? Sono disponibili? Se non ci sono che fine hanno fatto? Se sono
indisponibili perfino alle decisioni del Parlamento, per quali oscure ragioni
finanziarie? L’imbarazzo dalle parti del Ministero dell’Economia sembra essere
confermato dagli ultimi sviluppi. Come prontamente notato dall’ADI, spunta
fuori un comunicato MIUR su un’inedita “Convergenza MIUR-IIT”. Una specie di
premio di consolazione: no, non recuperiamo i 415 milioni parcheggiati (ammesso
che lo siano ancora) ma IIT s’impegna a diventare una specie di agenzia per il
finanziamento di progetti di ricerca. Il governo sarebbe già dovuto intervenire
da tempo, recuperando i fondi non spesi dall’IIT e destinandoli ad attività di
ricerca maggiormente produttive di un conto infruttifero. Secondo La Repubblica
e un comunicato stampa del MIUR, a fronte di 415 milioni di tesoretto, le
risorse messe a disposizione sarebbero 250. Dunque ora l’IIT, una fondazione di
diritto privato, è elevato a rango di decisore sullo stanziamento di 250
milioni di euro da destinare alla ricerca pubblica, solo una parte del
“tesoretto”. Perché adesso sono messi a disposizione solo 250 milioni? Vuol
dire che gli altri 165 milioni sono stati già spesi? Se i soldi non ci sono
più, chi li ha spesi e per che cosa? (Fonte: Red.ne Roars 28-05-17; FlcCgil
29-05-17)
DIPARTIMENTI IN GARA. L’AUTONOMIA
DI BILANCIO DEGLI ATENEI RESTA SULLO SFONDO
La legge di stabilità 2016 ha inopinatamente previsto una sorta di
scelta comparativa e competitiva, non tanto tra gli atenei, ma tra i loro
dipartimenti, per selezionare e privilegiare all’interno del sistema nazionale
180 dipartimenti, scelti in una platea di 350 candidabili secondo i risultati
dell’ultima valutazione della ricerca (VQR), con l’obiettivo di attribuire loro
somme cospicue per l’attività presente e futura, ponendoli così in posizione
preminente non solo all’interno dei rispettivi atenei ma dell’intero contesto
accademico. Riservare loro 271 milioni di euro l’anno costituirà una differenza
rispetto alle altre strutture e una distanza incolmabile tra chi potrà
assidersi a una tavola riccamente imbandita e chi dovrà contendersi le briciole
del tutto insufficienti per prospettive di sviluppo che, proprio in virtù delle
eventuali lacune registrate, dovrebbero trovare consiglio e investimento
solidale da parte dei poteri pubblici, se si vuole tendere a un’equilibrata
distribuzione di risorse e opportunità per tutta l’organizzazione
universitaria. La prospettiva, forse non ipotizzata, ma certamente probabile,
potrà essere la polverizzazione del concetto di “universitas studiorum” che
finora ha sempre caratterizzato i nostri atenei. L’enucleazione di singole
preminenti strutture, con passo e capacità ben più potenti della restante
palude, potrebbe ragionevolmente indurli a connettersi con altri dipartimenti
di pari efficienza, coerenti per attività scientifica e convergenti per
dinamiche progettuali, rompendo così fragili equilibri di settori scientifici e
disciplinari, realizzati con scelte difficili e, a volte, discusse e
contrastate ma pur sempre autonomamente e consapevolmente deliberate dagli
organi di governo. Preme riscontrare se, anche in questo intervento
ministeriale così determinante per il futuro delle università, non vi sia
stata, alla luce dell’insegnamento ora impartito dalla Consulta (a proposito
del costo standard per studente) una sottovalutazione dell’essenzialità della
valutazione e decisione politica nei confronti dell’automatismo di formule
matematiche, più o meno corrette ed efficaci ma incompatibili con la doverosa
responsabilità di governo per soluzioni così decisive per composizione e futuro
del nostro sistema universitario. Siamo dinanzi all’essenza delle scelte di
governo di un’università che andrebbero considerate nel complesso della
strategia dell’ateneo interessato e che dovrebbero, semmai, essere sottoposte a
un vaglio di merito specifico e non valutate, dalla Commissione tecnica,
soltanto per punteggi numerici predefiniti che, necessariamente non possono
tener conto della complessiva programmazione strategica dell’ateneo. Il comma
328 della legge di stabilità sancisce espressamente che [ ... ] “il Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca trasferisce alle università
statali cui appartengono i dipartimenti il relativo finanziamento. L’università
è vincolata all’utilizzo di queste risorse a favore dei dipartimenti
finanziati”. L’autonomia di bilancio resta sullo sfondo come un sogno
interrotto da un brusco risveglio! (Fonte: F. Matarazzo, estratto di articolo
33 n 5-6 2017)
I GRANT DEL CONSIGLIO EUROPEO DELLE
RICERCHE. ITALIA PRIMA NAZIONE EUROPEA PER PREMIATI ALL'ESTERO
Il
Grant europeo - che oggi è il premio continentale più prestigioso - compie
dieci anni. Dal 2007 al 2016 sono stati distribuiti 12 miliardi di euro e per
il periodo 2014-2020 saranno 13,1, il 17 per cento dell'intero programma
Horizon 2020. La singola borsa in media è valsa 1,651 milioni di euro,
arrivando fino a un massimo di 2,5 milioni per progetto. Nei dieci anni
trascorsi i ricercatori europei hanno presentato 65.000 proposte di studio,
64.074 sono state valutate, 7.270 finanziate (l'11,3 per cento, una selezione
severa). Gli oltre settemila progetti avviati hanno significato cinquantamila
posti di lavoro, altamente qualificati. Tra i vincitori del Grant, sei
ricercatori successivamente hanno preso il Premio Nobel.
L'Italia
ha fatto la sua parte: ha presentato 7.533 progetti, ne ha vinti 644 (l'8,5 per
cento) per 608 milioni di euro totali, ma c'è un dato che fa capire che spesso
sono state le singole teste ad attirare la borsa e non le nostre università: in
dieci anni 350 "grants" vinti da italiani sono stati spesi in Italia
(siamo al settimo posto da questo punto di vista, il Regno Unito, in testa alla
classifica, ne ha attratti 1.488). Ben 294 borse, invece, sono state spese
all'estero. E a questo si aggiunge che i nostri centri di ricerca, le nostre
università, sono state mediocremente attrattive: soltanto 30 borse vinte da
stranieri sono state poi usate da noi (in questa classifica scendiamo
all'undicesimo posto). Duecentonovantaquattro cervelli in uscita, trenta in
entrata. Il problema è decennale, ma nel 2016 l'esodo dei migliori ha toccato i
suoi picchi: siamo diventati la prima nazione europea per premiati all'estero.
E'
l'Università Bocconi ad aver preso il maggior numero di "grants"
italiani nel periodo 2007-2016: sono stati 25. Poi il Consiglio nazionale delle
ricerche (Cnr) e la Sapienza di Roma (20), il Politecnico di Milano e
l'Università di Padova con 18. Va rilevato come la scuola superiore Sissa di
Trieste con soli ottanta docenti abbia ottenuto 17 borse europee.
(Fonte:
C. Zunino, R.it 09-05-17)
LA GESTIONE DEI CORSI E
L’ACCOMPAGNAMENTO AL MONDO DEL LAVORO
Per
aiutare la gestione dei Corsi universitari, per valutarli ciclicamente, si
chiede ai loro responsabili di compilare protocolli e di studiare tabelle; di
condurre inchieste e compulsare statistiche; di lodare i percorsi di studio e
le performance degli stessi, dichiarando al tempo stesso le criticità
didattiche, le carenze, le “azioni” intraprese o da intraprendere per
superarle, i tempi e le fasi di tali processi, i relativi responsabili. Si
forniscono dati e tabelle (naturalmente on-line) già ben presenti sulle
scrivanie dei valutatori, per far dire ai Presidenti e ai gruppi AQ
[Assicurazione della Qualità] le cose che i committenti già sanno: quanti
studenti, quante studentesse, quanti anni per la laurea, quali voti, quali
medie, quali miglioramenti, quali peggioramenti. Si pretende che Dipartimenti e
Corsi interpellino la Confindustria o, in mancanza, l’associazione caciottari
locale, sull’importanza del corso di laurea in Semiologia e Linguistica, o in
Scienze della Mercatanzia: sulla congruenza del suo piano di studi col Mercato.
Chiedono come si posizioni il Corso rispetto a knowledge and understanding, con
particolare riferimento ad applying knowledge and understanding, soprattutto;
vogliono che si sappia quanto sia importante la capacità degli studenti
nell’arte del making judgements nonché delle communication skills; il tutto al
fine, naturalmente, di soddisfacenti learning skills. E se nella descrizione,
nella programmazione, nell’analisi dei dati, nell’abisso fra proponimenti e
realizzazioni didattiche può servire talvolta la retorica, la manipolazione, la
promessa, c’è poi un punto sul quale la ghigliottina non può non cadere, o
almeno stare lì, appesa a un filo magnanimamente tenuto: l’accompagnamento al
mondo del lavoro. Sì, i docenti, un gruppo scelto fra loro, dovrà pur
“accompagnare” i giovani da qualche parte. Dove siano stati scritti questi
compiti (in quale contratto di lavoro o in quale stato giuridico) nessuno lo
sa. Uno crede di aver studiato e di dover insegnato analisi matematica o
filologia slava. No, deve “accompagnare” i giovani al lavoro. Governo,
Ministeri, Regioni, Imprese non creano lavoro. Gli investimenti sono a secco.
La spesa pubblica langue, invischiata nel Debito. La ricerca, manco a parlarne.
Ma i docenti debbono “accompagnare” al lavoro che non c’è. (Fonte: https://tinyurl.com/y8cdtuw3 03-07-17)
L’IMPATTO DEGLI ATENEI ITALIANI SUI
SOCIAL
VOICES
from the Blogs, spinoff universitario, ha deciso di occuparsi dell’Università
dal punto di vista della presenza in Rete e del passaparola online. In attesa
della classifica degli Atenei, che uscirà in autunno, ecco alcuni dati in
anteprima su quanto se ne parla, chi ne parla e come se ne parla. Una specie di
Tripadvisor degli atenei italiani. Anche se l’analisi completa riguarderà anche
altri canali social oltre che forum e siti web, ecco i primi risultati basati
sull’analisi di oltre 236mila Tweet raccolti tra gennaio e inizio luglio 2017.
Si tratta dei tweet in cui vengono menzionati gli account ufficiali degli
stessi Atenei. Ecco la classifica dei primi trenta account twitter più citati:
@SapienzaRoma @unimessina @UniCalPortale @univUda @UniGenova @unipait @PolibaOfficial
@UniperugiaNews @iuav @unibait @UniSalerno @unipr @UniVerona @UNI_FIRENZE
@UniboMagazine @univca @PoliTOnews @UnivRoma3 @Unipisa @UNIMORE_univ @unipv
@LaStatale @UninaIT @unitorvergata @Unibocconi @UniPadova @unimib @unito
@Unicatt @polimi. (Fonte: CorSera 22-07-17)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
INTERPRETARE I RANKING
Un
recentissimo articolo pubblicato sul sito del World Economic Forum analizza il
posizionamento degli atenei nel contesto dell’offerta complessiva di ciascun
“sistema paese”. In particolare, riporta alcuni dati elaborati a partire
dall’Academic Ranking of World Universities della Shanghai Jiao Tong University
e Webometrics. Al primo posto come numero di università tra le prime 200
figurano gli Stati Uniti con 92 atenei. Nella graduatoria di destra, tuttavia,
gli Usa scendono al tredicesimo posto. In poche parole, le 92 università top
rappresentano solo il 2,8 per cento degli atenei del paese: vi sono molte
eccellenze, ma il paese nel suo complesso è più debole di quel che normalmente
si immagini. L’Italia ha solo cinque atenei tra i primi 200, che rappresentano
il 2,1 per cento del totale. Se consideriamo le università Top 500, vediamo che
la percentuale di atenei degli Stati Uniti crolla al 5,1 per cento rispetto al
7,2 per cento dell’Italia. Se consideriamo poi le università Top 1000, che
costituiscono pur sempre il top 5 per cento degli atenei al mondo, gli Stati
Uniti scendono ancor più giù nella classifica riguardante la percentuale degli
atenei presenti, mentre l’Italia sale al quinto posto. Letto in altro modo, in
Italia il 20 per cento circa delle università del paese offre una formazione da
Top 1000. In Usa sono solo l’8,4 per cento e in Francia la percentuale scende
al 7,5 per cento. Interessante la conclusione dell’articolo citato: “Ciò che
interessa al cittadino medio non è tanto che il suo paese abbia istituzioni
come Stanford o Oxford, quanto la qualità delle università che i suoi figli con
ogni probabilità frequenteranno”. Compito dei politici è perciò garantire che
un’educazione terziaria di alta qualità sia accessibile a tutti e non solo a
una élite. (Fonte: A. Fuggetta, lavoce.info 17-05-17).
Nota
di A. Fuggetta a margine dei commenti: Vorrei ricordare che: 1. Il confronto è
stato fatto dal collega dell'Insead e pubblicato sul WEF. 2. I dati sono stati
raccolti in modo omogeneo considerando le diverse tipologie di istituzioni
(anche per l'Italia). 3. Stiamo parlando della qualità dell'offerta e non della
struttura della domanda.
CLASSIFICA CENSIS DELLE UNIVERSITÀ
Tra
le università statali che contano oltre 40mila iscritti Bologna mantiene la
prima posizione con il punteggio complessivo di 92,0, una media che la vede
primeggiare nelle strutture e nell'internazionalizzazione, mentre fanno meglio
Pisa nei servizi, La Sapienza di Roma nelle borse di studio, Palermo e Torino
nella comunicazione e nei servizi digitali. La seconda è Firenze, che non
eccelle in nessuna categoria ma ha ottime medie e terza Padova, come Firenze
capace di mantenersi a buoni livelli in ogni voce. Padova e La Sapienza di
Roma, rileva il Censis, oltre a migliorare il loro punteggio nella
comunicazione e nei servizi digitali guadagnano punti nel livello di
internazionalizzazione. Ultima in classifica tra i mega atenei è, come lo
scorso anno, l'Università di Napoli "Federico II", penultima Catania,
che ha perso una posizione, mentre si conferma terzultima la Statale di Milano.
Prima tra i grandi atenei statali che contano tra i 20mila e i 40mila iscritti,
si conferma Perugia, eccellenza per comunicazione e servizi digitali (+5 punti
rispetto allo scorso anno) e internazionalizzazione. Seconda è Pavia, in virtù
di standard alti in ogni voce e del primato per le strutture, terza Parma,
nessun primato, ma solo due punti di media in meno dalla seconda. Al quarto
posto una nuova entrata, l'Università di Modena e Reggio Emilia, passata dai
medi ai grandi atenei e sopra di 3 punti nei servizi per gli studenti rispetto
all'anno passato. Trento perde il primato tra i medi atenei statali (da 10mila
a 20mila iscritti) scalzata da Siena, ma la differenza tra le due università è
minima: 99,4 la prima e 99,2 la seconda in classifica. Siena la spunta su
Trento soprattutto grazie alle borse di studio, ma l'università del Nord Italia
va oltre i 100 punti in ben tre voci, oltre alle borse di studio, nelle
strutture e nella comunicazione. Al terzo posto Sassari, che ottiene punteggi
alti per le strutture e la comunicazione e servizi digitali, mentre resta
indietro nei servizi. Anche quest'anno quarta in graduatoria è l'Università di
Trieste, seguita da un altro ateneo friulano, l'Università di Udine, in ascesa
di due posizioni nella classifica complessiva e con un incremento di 14 punti
in quella riguardante la spesa per borse e altri interventi in favore degli
studenti. (Fonte: C. Nadotti, La Repubblica 03-07-17)
QS UNIVERSITY RANKING. USA E UK AL TOP
Ben
quattro posizioni di testa della classifica annuale delle migliori università
del mondo redatta dalla Quacquarelli Simonds (che ha preso in esame 4.388
atenei e ne ha inclusi 956 nella classifica), sono occupate da americane. Per
la prima volta nella storia di questa classifica le prime quattro Università
sono Statunitensi: MIT, Stanford, Harvard e Caltech, il California Institute of
Technology. Il Massachussett Institute of Technology (MIT) domina la
quattordicesima edizione riconfermandosi la migliore Università al mondo per il
sesto anno consecutivo. Seguono quattro eccellenze (comunque) anglosassoni, poi
di nuovo gli Usa con la University of Chicago al nono posto. Ma scorrendo la
classifica (che si può consultare su https://www.topuniversities.com/) c’è tanta America in tutte le prime
venti posizioni: Princeton è tredicesima, Cornell 14esima, Yale, Johns Hopkins,
Columbia, University of Pennsylvania occupano le caselle dalla 16 alla 19. E
prima di arrivare alla cinquantesima posizione ci sono altre sette università
Usa: Duke, Michigan, Berkeley, Northwestern, Ucla, San Diego, Carnegie Mellon.
Ben Sowter, Responsabile della Ricerca per QS commenta così il primato della
regina: «MIT é il nucleo di un ecosistema innovativo senza rivali. Start-up
create dagli alumni producono cumulativamente ricavi per oltre 2 trilioni di
dollari, rendendo questa realtà l’equivalente dell’undicesima economia al
mondo». Eppure, questo dominio ininterrotto della classifica, non riesce a
oscurare i cambiamenti in atto: «Molte università statunitensi e britanniche
stanno lentamente perdendo terreno, che viene occupato dalle migliori in altre
nazioni, tra cui Russia, Australia, Singapore, Cina e India», dice il
ricercatore. (Fonte: A. De Gregorio, CorSera 07-07-17)
REPUTATION RANKING THE 2017. AVANZANO
GLI ATENEI ASIATICI
La
rivista Times Higher Education (THE) ha pubblicato sul proprio sito il reputation
ranking del 2017, ovvero una lista che comprende le prime 100 università a
livello mondiale classificate sulla base della propria reputazione in termini
di insegnamento e ricerca. Le prime 5 università che godono della reputazione
più alta al mondo nel 2017 sono quasi le stesse del 2016: Harvard si colloca al
primo posto, il Massachusetts Institute of Technology al secondo, Stanford al
terzo, e, infine, Cambridge e Oxford sono a pari merito al quarto posto, mentre
nel 2016 Cambridge era quarta e Oxford era quinta. Fino alla decima posizione
non si registra nessuna variazione significativa rispetto al ranking del 2016:
l’Università della California, Berkeley occupa il sesto posto anche nel 2017 e
lo stesso vale per Princeton al settimo posto e Yale all‘ottavo. Forse l’unica
differenza degna di nota in questa top ten è che nel ranking del 2017
l’Università di Chicago si colloca al nono posto, il quale era, invece,
occupato nell’anno precedente dalla Columbia University, scivolata ora in
12esima posizione. La California Institute of Technology chiude la lista delle
prime dieci università sia nel 2017 sia nel 2016.
Ma
è proprio a partire dalla decima posizione in giù che il reputation ranking del
2017 diverge significativamente da quella del 2016: laddove nel 2016 l’11esimo
posto era saldamente occupato da un ateneo americano, l’Università di Chicago,
ora questo è ricoperto per la prima volta da un’università asiatica,
l’Università di Tokyo, che era 12esima nel 2016. Inoltre, nel ranking del 2017
un’altra università a stelle a strisce, la University of Michigan (ora al
15esimo posto), è stata sostituita da un altro ateo asiatico, la cinese
Tsinghua University, che ora riveste la 14esima posizione. Questo scambio di
posizioni si è verificato anche tra la cinese Peking University e l’americana
Cornell University: la Peking University che era 21esima nel 2016 nel 2017 è
salita al 17esimo posto, mentre Cornell è scesa addirittura di 6 posizioni da
un anno all’altro.
A
giudicare da questi risultati, si potrebbe concludere che l’avanzata delle
università asiatiche (una giapponese e due cinesi) in termini di reputazione si
sta facendo sentire a discapito delle università americane, proprio come
sottolinea un articolo del Times Higher Education che analizza il ranking del
2017. (Fonte: https://it.businessinsider.com 29-06-17)
DOCENTI
PERCHÈ I DOCENTI UNIVERSITARI HANNO DI
CHE LAMENTARSI
E’
opportuno ricordare che per il quadriennio 2011-2014 non chiediamo arretrati,
soffrendo come hanno sofferto tutti gli altri 3 milioni del pubblico impiego
(Magistrati e Avvocati dello Stato esclusi), ma che dal 1° gennaio 2015 la
Docenza Universitaria si è vista riservare un “trattamento particolare” che
nessuno degli altri ha subito, che la condanna a perdere "a vita". Un
trattamento lesivo non solo per l’aspetto economico, pur importante, ma lesivo della
nostra dignità.
Perdite
stipendiali medie di un Professore Associato a circa metà della carriera:
1) Quadriennio
2011-2014: perdita di circa 3200 euro netti all’anno per un totale, nel
quadriennio, di 13000 euro netti: questi sono gli arretrati che, come detto
sopra, non chiediamo.
2) Anno 2015
e tutti i successivi, fino alla pensione: perdita di 3200 euro netti l’anno
(250 euro netti ogni mese)
3) Perdite
sul trattamento di fine rapporto (la “buonuscita”): perdita di 13000 euro netti
4) Pensione:
perdita di 2500 euro netti l’anno (200 euro netti al mese).
(Fonte:
Movimento per la dignità della docenza universitaria)
CHIAMARE DOCENTI DALL’ESTERO
Finora
le procedure messe in campo in passato per chiamare docenti dall'estero hanno
funzionato poco e male: «Ci sono troppe complicazioni e troppi interventi
normativi che fanno regnare la confusione e l'incertezza», avverte il
presidente del Consiglio universitario nazionale (CUN), Carla Barbati. Che
segnala tra l'altro come «nelle circa 100 pratiche che esaminiamo ogni anno, si
tratta, nella maggior parte dei casi, di italiani che vogliono ritornare». Sono
almeno tre le procedure attualmente in vigore per le chiamate dirette: una
prevista dalla legge Moratti (la 230/2005), che prevede comunque l'ottenimento
dell'abilitazione italiana, la seconda - una sorta di chiamata
"direttissima" - destinata ai vincitori di grandi progetti di ricerca
di rilievo europeo o nazionale (senza abilitazione) e infine le chiamate per
chiara fama cui però le università hanno fatto poco ricorso. A questo impianto
già complicato si aggiungerebbe ora, nel caso fosse varata, anche la procedura
delle cattedre Natta che il mondo accademico avverte come un corpo estraneo.
Anche perché tra l'altro questa corsia speciale - anche nella nuova bozza di
Dpcm che ne ha rivisto alcuni aspetti - prevede incentivi retributivi in più
per chi sarà scelto dagli atenei dalla lista del 500 vincitori. Il nuovo
decreto stabilisce, infatti, che ai vincitori siano attribuite «due classi
stipendiali» per i nuovi docenti e «due classi di avanzamento stipendiale
rispetto a quella in godimento» per i docenti che già insegnano. A questo
riconoscimento retributivo ogni ateneo «con oneri a carico del proprio
bilancio» potrà riconoscere al professore «fino a cinque classi ulteriori»
rispetto alle classi stipendiali previste come base. Un modo questo per rendere
più attraente la possibilità di venire a fare ricerca e insegnamento in Italia.
«Anche se - aggiunge la presidente del CUN Barbati - il vero problema non sono
tanto gli stipendi, ma i fondi e le risorse scientifiche a disposizione nel
nostro Paese per fare ricerca che sono sottodimensionate rispetto agli altri».
(Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 25-05-17)
RIENTRO
IN ITALIA DI DOCENTI E RICERCATORI. CHIARIMENTI SULLE AGEVOLAZIONI
L’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti
chiarimenti sulle agevolazioni per il rientro in Italia di docenti e ricercatori,
temporaneamente introdotte nel 2010 e successivamente confermate dalla legge di
Bilancio 2017. L’agevolazione spetta unicamente in relazione ai redditi
derivanti da rapporti aventi ad oggetto attività di ricerca o di docenza svolte
nel territorio italiano e non si estende ad altri eventuali redditi percepiti
dal beneficiario. Il regime fiscale agevolato si applica complessivamente per
quattro periodi d’imposta: con quali modalità? Con la circolare n. 17/E del 23
maggio 2017, rubricata “Regimi agevolativi per persone fisiche che
trasferiscano la residenza fiscali in Italia”, l’Agenzia delle Entrate ha avuto
cura di illustrare compiutamente le agevolazioni fiscali introdotte quale
misura temporanea dall’art. 44 del D.L. n. 78/2010 (Incentivi per il rientro in
Italia di ricercatori residenti all'estero) e recentemente confermate a regime
dalla Legge di Bilancio 2017 per attrarre in Italia docenti e ricercatori
esteri. La circolare integra i chiarimenti già forniti in passato con le
Circolari n. 4/E del 15 febbraio 2011 e n. 22/E dell’8 giugno 2004. (Fonte: www.ipsoa.it 21-06-17)
LE CATTEDRE NATTA SONO RISALITE SUI
BINARI
Le
controverse cattedre Natta date per spacciate o quantomeno accantonate dopo la
sonante bocciatura del Consiglio di Stato di fine 2016 e soprattutto dopo
l'uscita di scena del premier Renzi che ne aveva issato la bandiera per
internazionalizzare i nostri atenei, ora sono risalite sui binari. Una nuova
bozza di Dpcm, cui ha lavorato il ministero dell'Istruzione, Università e
Ricerca, è, infatti, allo studio di Palazzo Chigi. Tra le principali novità c'è
la previsione di un ampio coinvolgimento della comunità scientifica nelle
procedure di selezione di questi superdocenti, oltre alla promessa nel caso di
rivedere tutto il meccanismo dopo tre anni. Nel nuovo decreto i presidenti
delle 25 commissioni di selezione saranno scelti dal MIUR (e non più da Palazzo
Chigi) da tre liste redatte dalla Conferenza dei rettori (Crui), dal Cun e
dalla Consulta dei presidenti degli enti di ricerca e dall'Accademia dei
lincei. Mentre gli altri due commissari saranno sorteggiati da liste redatte
dall'ANVUR. Basterà questa procedura meno accentratrice a far passare il mal di
pancia alla nostra accademia? Il decreto, che è un decreto della presidenza del
consiglio e non del MIUR, dovrà ora ricominciare tutti i passaggi di
legittimità previsti dalla legge. Sarà dunque molto difficile che il bando per
i commissari e poi la scelta dei primi dei 500 beneficiari del nuovo sistema
possa avvenire prima della fine dell’anno. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore
25-05-17)
L’annuncio
della ripartenza del contestatissimo progetto ha immediatamente sollevato nuove
proteste. Dottori di ricerca e ricercatori a tempo determinato sono già sulle
barricate. Con l’appoggio della Cgil Scuola, nei giorni scorsi hanno lanciato
una petizione online su Change.org, che ha raggiunto ormai oltre 5 mila firme,
per chiedere che quei fondi - circa 75 milioni l’anno - siano utilizzati,
invece che per premiare dei super cervelli, per stabilizzare giovani scienziati
altrimenti condannati alla precarietà da un sistema di reclutamento che fa
sempre più affidamento sulle figure a tempo determinato: negli ultimi 8 anni
l’università italiana ha perso 13 mila cattedre.
CARRIERA ACCADEMICA. ANVUR. QUALITÀ
DELLA RICERCA. ASN. Un’analisi di Forges Davanzati
La
probabilità di fare carriera accademica, in Italia, dipende in misura rilevante
dalla capacità del singolo aspirante ricercatore di pubblicare su riviste
reputate “eccellenti”. Si tratta di riviste censite dall’Agenzia Nazionale di
Valutazione della Ricerca (ANVUR) che opera sostanzialmente così. L’Agenzia
valuta le pubblicazioni riguardo alla sede che le ha ospitate,
indipendentemente dal loro contenuto, così che un articolo che nulla aggiunge
alle nostre conoscenze, se, per puro caso, è stato pubblicato su riviste di
“eccellenza” (ovvero certificate tali dall’Agenzia) riceve una valutazione
molto positiva, così come, per contro, un articolo estremamente innovativo
pubblicato su riviste che l’ANVUR non considera buone riceve una valutazione
bassa. E’ del tutto evidente che questo dispositivo genera attitudini
conformiste, dal momento che per pubblicare su riviste considerate prestigiose
(e definite di classe A) occorre uniformarsi alla loro linea editoriale, e
talvolta – come spesso documentato – anche mettere in atto comportamenti
eticamente discutibili.
La
storia della Scienza mostra inequivocabilmente che le maggiori ‘rivoluzioni
scientifiche’ si sono generate non allineandosi al paradigma dominante. In tal
senso, l’operazione ANVUR è quanto di più dannoso si possa immaginare per
l’avanzamento delle conoscenze in ogni ambito disciplinare e, non a caso, in
quasi nessun Paese al mondo esiste una valutazione “dall’alto” della qualità
della ricerca. In alcuni casi, quando si è provato a farlo si è rapidamente
tornati indietro. Non a caso, all’estero, non si è valutati sulla base di
protocolli di riviste generati da agenzie governative e vi è ampio consenso sul
fatto che è semmai la dispersione di risorse (e non il loro accentramento) a
produrre maggiore ricerca e di migliore qualità. Il problema è aggravato dal
fatto che l’accesso alla carriera universitaria, o gli avanzamenti di carriera,
avvengono, da quando è in vigore la c.d. legge Gelmini, in modo assai
farraginoso. Si tratta di una procedura di valutazione costosa e soprattutto
del tutto inefficace per selezionare i docenti più meritevoli e più produttivi.
E’ innanzitutto una procedura costosa. La Camera dei Deputati, nella relazione
tecnica del 29 giugno 2011, stimò un costo annuo per le procedure di ASN
(abilitazione scientifica nazionale), pre-requisito per l’accesso alla docenza,
pari a €17.000.000. (Fonte: G. Forges Davanzati, https://tinyurl.com/y7t58ne9
25-05-17)
UNA SENTENZA DEL TAR SUL BLOCCO DEGLI
SCATTI STIPENDIALI AI DOCENTI UNIVERSITARI
L'articolo
9, comma 21, del Dl n. 78/2010, convertito dalla legge n. 122/2010, disponeva
che i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non
contrattualizzato di cui all'articolo 3 del DLgs n. 165/2001 non si
applicassero per gli anni 2011, 2012 e 2013 e non dessero comunque luogo a
successivi recuperi. Tre docenti e ricercatori universitari presentavano nel
2012 ricorso per l'accertamento del diritto al trattamento retributivo
spettante per il triennio 2011-2013, nonché per la condanna dell'Università di
Milano al pagamento di tali differenze retributive, senza tener conto del
blocco degli adeguamenti e degli aumenti degli stipendi. La sentenza del Tar
Lombardia (sez. IV, 9 maggio 2017, n. 1037) in tema di scatti stipendiali dei
docenti universitari, ha respinto il ricorso.
Valendo
per docenti e ricercatori un automatico scatto dello stipendio – scrive il
giudice amministrativo - perciò trova applicazione anche la disciplina sul
blocco, perché finalizzata al contenimento delle spese per l'impiego pubblico.
Il significato del sintagma “progressione automatica” non va riferito alla
posizione del singolo dipendente ma correlato alla sfera del bilancio pubblico,
alla cui salvaguardia è preordinato lo stesso Dl 78, atteso che il bilancio è
automaticamente intaccato per effetto della maturazione degli scatti
stipendiali, dovendosi stanziare appositi fondi a copertura delle spettanze di
tutti coloro che sono potenzialmente interessati da tale maturazione. La
sospensione degli scatti non è volta a correggere la dinamica della loro attribuzione,
ma la loro incidenza in termini economici sulle poste passive del bilancio
statale; ne consegue che l'automatismo della loro attribuzione determina il
blocco delle progressioni economiche anche per i docenti e i ricercatori
universitari, come stabilito dalla normativa speciale.
L’iter
logico-giuridico seguito dal Tar Lombardia, tuttavia, non convince, poiché
sembra sovrapporre una considerazione di fatto a una valutazione di diritto. Se
è vero, come ammette lo stesso collegio giudicante, che, in punto di diritto,
l’Università può negare gli avanzamenti a chi non ha dimostrato un adeguato
impegno, tale circostanza non sembra possa essere superata dalla constatazione,
che è solo, di fatto, che in concreto gli avanzamenti ci sono poi per tutti. In
altri termini, a parere di chi scrive, l’automatismo è ricavato da un fatto,
mentre non c’è alcuna norma che lo preveda. Per i ricorrenti, dunque, sembra
esserci margine per un appello vittorioso al Consiglio di Stato, cui spetta
l’ultima parola in tali controversie. (Fonte: R. Tomei, Il Foglietto 08-06-17)
INSEGNANTI UNIVERSITARI DI
MADRELINGUA. UN DISEGNO DI LEGGE AL RALLENTATORE
In
merito dell’articolo 8 dello schema del Disegno di Legge e della relativa
illustrazione tecnico-finanziaria, è evidente che siamo ben lontani da una
soluzione complessiva per la categoria degli insegnanti universitari di
madrelingua, in quanto il provvedimento è esclusivamente orientato alla
risoluzione del solo contenzioso in atto da parte degli ex-Lettori, che nella
relazione tecnica sono quantificati nel numero di 260. Inoltre, dalla cifra
stanziata a fronte dei potenziali aventi diritto, ne consegue che l’intervento
previsto è considerato “a regime”, cioè con decorrenza 1 gennaio 2017, mentre
per il pagamento delle spettanze riguardanti il pregresso saranno eventualmente
a carico dei singoli atenei che, da quanto previsto al comma 2 dell’articolo 8,
avranno l’obbligo di concludere la procedura con la sottoscrizione di appositi
contratti integrativi di ateneo, pena l’esclusione dal cofinanziamento statale.
La data prevista nel Disegno di legge per approvare gli specifici contratti
integrativi di ateneo è fissata al 31 dicembre 2017, il che potrebbe indurre a
pensare a una celerità dell’iter legislativo, che purtroppo però è in netto
contrasto con la realtà delle cose, in quanto, a oggi, il DDL non risulta
nemmeno incardinato alle Camere. (FLC CGIL 04-06-17)
I DOCENTI AFAM “RETROCESSI” NEL
COMPARTO DEL PERSONALE DELLA SCUOLA
Il
decreto legislativo 13 aprile 2017, numero 59 (Madia), avendo trascurato la
sollecitazione del Senato a rendere autonomo il «comparto di contrattazione»
delle accademie e dei conservatori di musica ha improvvidamente «retrocesso» i
professori di questi istituti nel comparto del personale della scuola «di ogni
ordine e grado». In sostanza dal luglio 2016 i docenti di accademie e
conservatori (circa 6.000 persone) sono stati inglobati nel mare magnum del
personale delle scuole materne, elementari, secondarie e artistiche, nonostante
si tratti di istituzioni culturali che, sulla base della legge numero 508/99,
devono rilasciare titoli accademici di primo e secondo livello, insomma lauree,
come accade ovunque nel mondo. È evidente l'assurdità di questa situazione. Con
la conseguenza che, in prospettiva, sarà difficile mantenere alto il prestigio
di queste istituzioni, dal momento che al corpo insegnante e agli studenti sarà
sempre più evidente che le loro scuole non sono più considerate un'eccellenza,
che l'Italia non è più il Paese dei grandi pittori, scultori e musicisti ai
quali si ispirano gli artisti di tutto il mondo. (Fonte: S. Sfrecola, La Verità
15-07-17)
DOTTORATO
L’ACCREDITAMENTO DEL DOTTORATO DI
RICERCA. LINEE GUIDA DEL MIUR
L’8
febbraio 2016 l’ANVUR approva il documento “l’Accreditamento dei corsi di
dottorato” in cui sono mostrati i criteri, gli indicatori e le modalità di
verifica degli stessi. Per oltre un anno di accreditamento non si è più
parlato. Finché il MIUR, il 14 aprile scorso, in maniera del tutto inaspettata,
non ha prodotto le proprie Linee guida,
con una proposta basata sul documento dell’ANVUR di un anno fa, ma, attenzione,
semplificata e adeguata nell’ottica di rendere più lineare la procedura,
ponendo l’attenzione sugli aspetti qualificanti del processo di accreditamento
e tenendo conto della fattibilità gestionale delle operazioni richieste, nel
rispetto dell’autonomia universitaria e degli enti di ricerca. Il criterio
sulla qualità scientifica del collegio viene, in questo documento del MIUR,
ulteriormente vincolato a indicatori sviluppati per altre finalità. In
particolare, oltre al criterio mediato di R e X della VQR, si richiede al
collegio il superamento (in media) di almeno due delle soglie fissate dall’ASN
per il livello superiore (ricercatori soglie PA, PA soglie PO, PO soglie
commissari). Sempre dal punto di vista della fattibilità gestionale delle
operazioni il requisito sulla produttività scientifica è ricondotto per
ciascuno alla soglia prevista per gli associati nel proprio settore
concorsuale. Essa è così definita: per i settori bibliometrici, la soglia degli
articoli indicizzati da Scopus e/o WOS negli ultimi 5 anni; per i settori non
bibliometrici, la soglia degli articoli pubblicati in riviste di fascia A nel
proprio settore concorsuale negli ultimi 10 anni.
Ma
per conoscere tutta la cronistoria di quello che Roars ha chiamato il circo
Barnum dell’accreditamento leggere qui. (Fonte: Red.ne Roars 01-06-17)
DOTTORATI. SEI SOCIETÀ SCIENTIFICHE
ESPRIMONO PREOCCUPAZIONI PER L’ACCREDITAMENTO
Sono
ben sei le società scientifiche – SISMED, SISEM, SISSCO, SIS, SISI, CUSGR e
persino la SISSCO la società già presieduta da Graziosi – che scrivono alla
Ministra, all’ANVUR, al CUN e alla CRUI per esprimere «la più viva
preoccupazione per le nuove disposizioni per l’accreditamento dei dottorati e
sui dottorati innovativi». «Le recenti linee-guida [per l’accreditamento dei
dottorati] […] 1) Inaspriscono i criteri di valutazione e selezione dei collegi
docenti […] con l’effetto di pregiudicare lo svolgimento dell’attività
didattica dottorale. 2) Assegnano un carattere improprio alle cosiddette
“riviste di fascia A”, limitando la tradizione scientifica dell’ambito storico
e umanistico. 3) Introducono criteri contraddittori per l’individuazione dei
“dottorati innovativi”, ai quali saranno tuttavia destinate risorse ingenti. 4)
Prefigurano il rischio che l’eccessivo peso dato a indicatori quantitativi
renda di fatto “bibliometrico” l’ambito della ricerca storica e umanistica in
genere, che non può che essere valutata qualitativamente. […] Il pericolo, già
in atto, è di snaturare i metodi di organizzazione e disseminazione della
ricerca e di limitare ulteriormente le possibilità per le future generazioni di
studiosi e ricercatori storici.» (Fonte: Red.ne Roars 20-06-17)
IL TAR DEL LAZIO HA ORDINATO AL MIUR
CON ORDINANZA N. 3186/2017 DEI CHIARIMENTI SUL VALORE ABILITANTE DEL DOTTORATO
DI RICERCA
Il
dottorato di ricerca – scrive il SAESE in un comunicato – è il massimo grado di
istruzione ottenibile e, nonostante ciò, è poco spendibile ed apprezzato in
Italia, soprattutto in ambito scolastico. Il Sindacato SAESE è riuscito ad
ottenere dal Parlamento EU l’equiparazione tra l’abilitazione all’insegnamento
e il dottorato di ricerca, ma l’Italia non è obbligata a recepirla, e al
momento pare che il MIUR non voglia farlo. La beffa è che, sebbene sia stato un
sindacato italiano a presentare ed ottenere la richiesta, ad accettare la norma
sono stati gli altri Paesi europei. Adesso anche il TAR del Lazio con ordinanza
n. 3186/2017 chiede dei chiarimenti all’Amministrazione centrale.
(Fonte: www.orizzontescuola.it 25-06-17)
DOTTORATO. PROROGHE
Con
il Decreto Direttoriale 1373/2017 il ministero proroga i termini relativi alla
conclusione del progetto di ricerca e alla sua rendicontazione di ben 11 mesi,
fissandoli rispettivamente al 30 settembre 2020 e al 30 novembre 2020. Il MIUR
riconosce dunque le criticità insite nel disciplinare attuativo per i dottorati
innovativi a caratterizzazione industriale, che ADI aveva evidenziato sin dalla
pubblicazione del decreto. Le nostre critiche si appuntavano in particolare sui
commi 3 e 6 dell'art.2, proprio quelli che il MIUR ha ritenuto opportuno
correggere. I due commi dettavano tempistiche ai limiti dell'assurdo per i
progetti di ricerca. In particolare il ministero imponeva che la data di avvio
dei progetti fosse precedente a quella dell'emanazione del decreto, supponendo forse
l'uso da parte dei dottorandi di una macchina del tempo. Inoltre si stabiliva
che la rendicontazione finale dei progetti dovesse aver luogo entro il 15
dicembre 2019, concedendo al massimo soltanto 45 giorni per la valutazione
della tesi e l’esame finale. ADI aveva evidenziato immediatamente come tali
tempistiche fossero del tutto irrealistiche, rendendo molto arduo il rispetto
del requisito relativo alla durata triennale del dottorato di ricerca. (Fonte:
ADI 10-07-17)
E-LEARNING. CULTURA DEL DIGITALE. MOOC
LE PROFESSIONI DIGITALI PIÙ RICERCATE
Quali
sono le professioni digitali più richieste oggi dal mercato? Di cosa si
occupano gli esperti del Web 2.0? In cima alla lista delle figure professionali
più ricercate c’è il Data Scientist,
ovvero l’esperto nella lettura e nell’analisi dei dati, spesso utili
all’interno di un’azienda per intercettare gusti, interessi ed esigenze dei
clienti sul web. Segue poi l’IT Security
Manager, figura di riferimento per l’organizzazione, la gestione e
l’assunzione di responsabilità della sicurezza di un’azienda. Ogni eventuale
effrazione in internet, infatti, deve essere prevenuta per evitare gravi falle
nel sistema di sicurezza. Compito di questo professionista è proprio di
difendere tutti i sistemi informatici aziendali da qualsiasi intrusione di
malintenzionati. Altra figura richiestissima è il Chief Technology Officer, che seleziona le tecnologie da applicare
a prodotti e servizi offerti dall’impresa. Non meno ricercati sono lo
Sviluppatore Mobile, che si occupa di applicazioni per smartphone e tablet, e
il Big Data architect, che gestisce
l’analisi dell’architettura del sistema dei dati. Altrettanto quotati nel
mercato delle professioni digitali sono poi il Digital Copywriter, che gestisce contenuti di marketing su piattaforme
digitali (web, piattaforme e-commerce, etc.), il Community Manager, addetto alla gestione di una comunità virtuale
con il compito di progettarne la struttura e di coordinarne le attività e il Digital PR, esperto di pubbliche
relazioni attraverso i canali online.
Non
vanno dimenticati poi il Digital
Advertiser, che segue e pianifica la gestione di campagne pubblicitarie sul
web, l’ E-Reputation Manager che
gestisce la reputazione online e il SEO e
SEM Specialist, esperto di tecniche che supportano le aziende
nell’ottimizzazione del loro posizionamento sui motori di ricerca. Nella lista
delle posizioni più ricercate vi è anche lo User
Experience Director, che gestisce l’esperienza dell’utente all’interno di
spazi virtuali condivisi.
Ultimo,
ma non per ordine d’importanza, il Social
Media Marketing Manager, che spesso racchiude alcune mansioni comprese nei
ruoli delle professionalità sopra elencate. Questo professionista spesso
incarna quello che possiamo definire il Manager del Web, con il preciso compito
di coordinare attraverso strategie e tecniche di Social Media Marketing tutte
quelle azioni volte al supporto dell’immagine di un brand così come
all’incremento delle vendite di un’azienda. (Fonte: Palermomania.it 20-07-17)
SULLA NECESSITÀ E SULLA FUNZIONE DELLE
RIVISTE SCIENTIFICHE NELL’AMBIENTE DIGITALE
Le
riviste non si occupano per niente della valutazione e raramente dell’editing –
lavori, questi, svolti graziosamente e gratuitamente da redattori e revisori di
solito stipendiati, se lo sono, dalle università e non dagli editori; le
riviste tradizionali non sono vocate a diffondere i testi, ma a prenderli in
ostaggio, limitandone la circolazione: quanto nel mondo della stampa era un
passaggio tecnologicamente ed economicamente obbligato ora è divenuto un
ostacolo che non viene scavalcato solo grazie al feticismo della collocazione
editoriale. Come mai questo modello economico aberrante, nel quale chi lavora
paga il datore di lavoro per l’onore di esserne sfruttato e trattenuto lontano
dal pubblico, continua a sopravvivere? Se gli accademici fossero battitori
liberi, smettere di mandare articoli alle riviste o – ancor meglio, smettere di
scrivere articoli per comporre piuttosto ipertesti sezionabili, commentabili e
linkabili – non apparirebbe eroicamente anticonformista, ma semplicemente
razionale. Allo stato, però, a causa di sistemi di valutazione della ricerca
fondati sulla lettura delle testate delle riviste in cui gli articoli sono
privatizzati, è preferibile pubblicare un articolo stupido e inutile in una
rivista che nessuno legge, ma dal nome noto, piuttosto che un testo
intelligente e che sarà letto da molti ricercatori, ma in un blog privo di
valore simbolico. Le tecnologie digitali – e in particolare il web semantico –
consentono di costruire strumenti di indicizzazione e di ricerca che si
estendono al di sopra e di là dai singoli siti, aprendo spazi di discussione e
comunicazione decentralizzati, nei quali risulta manifesto che fare
ricerca – discutere, connettere, rivedere – è molto più che “pubblicare”.
(Fonte: M. C. Pievatolo, Roars 15-06-17)
FINANZIAMENTI
LA SELEZIONE DEI POTENZIALI
DIPARTIMENTI D’ECCELLENZA
Il
MIUR ha pubblicato l’elenco dei 352 dipartimenti (su 807 delle università
statali) ammessi alla selezione dei 180 definiti di eccellenza. I vincitori
riceveranno un contributo medio annuo di 1.350.000 euro; per scienze naturali,
mediche e ingegneria si aggiungono altri 250mila euro. In totale si tratta di
1,35 miliardi di euro (271 milioni all’anno per cinque anni), che potranno essere
usati dai dipartimenti vincitori per attirare nuovi ricercatori dall’Italia e
dall’estero, motivare i docenti già in ruolo attraverso avanzamenti di
carriera, finanziare programmi di ricerca e di didattica innovativa. Alla lista
dei potenziali eccellenti si è arrivati sulla base dei risultati della VQR,
appositamente standardizzati attraverso l’indicatore standardizzato di
performance dipartimentale (Ispd) in modo da confrontare dipartimenti di aree
diverse. La scelta dei 180 vincitori è ora affidata a una commissione di sette
membri che procederà in due fasi. Nella prima, saranno premiati i singoli
migliori dipartimenti di ogni ateneo (inclusi nella lista dei 352): la
commissione esprimerà il proprio parere basandosi esclusivamente sulla qualità
del progetto quinquennale di sviluppo presentato. Dovrebbero perciò essere
premiati 65 dipartimenti di 65 atenei diversi. Nella seconda fase, saranno
assegnati i 115 posti rimanenti, in base sia all’indicatore Ispd (70 punti su
100) sia alla bontà del progetto (30 punti su 100). In questa nuova geografia
appare però evidente che le università del Sud saranno ulteriormente
marginalizzate. La lista dei potenziali eccellenti ci consegna infatti una
forte e attesa sperequazione geografica: il 13,1 per cento dei dipartimenti
concorrenti ha sede nelle regioni del Sud, il 17,3 per cento in quelle del
Centro e il 69,6 per cento in quelle del Nord, mentre si trova al Sud il 27 per
cento dei dipartimenti statali italiani, al Centro il 32 per cento e al Nord il
40 per cento. La sperequazione rimarrà probabilmente anche quando sarà
pubblicata la lista dei 180 vincitori. Dato il peso assegnato al punteggio
Ispd, per le università del Sud sarà difficile recuperare posizioni grazie alla
bontà dei progetti presentati. E anche se tutti i 46 potenziali dipartimenti
eccellenti del Sud ottenessero il finanziamento si raggiungerebbe il 25 per
cento del totale; nell’ipotesi più realistica di finanziamento per circa la
metà, si arriverà al 13 per cento, benché il Sud abbia il 31 per cento dei
docenti e circa il 29 per cento degli studenti iscritti. (Fonte: M. DePaola,
lavoce.info 26-05-17)
DIPARTIMENTI IN GARA PER 1,3 MLD IN 3 ANNI
È partita una gara tra i dipartimenti
universitari “eccellenti”. In palio, 1,3 miliardi euro, ripartiti in tranche
da 271 milioni di Euro annui per cinque anni. I dipartimenti vincitori
riceveranno tra 1,1 e 1,6 milioni di euro annui più altri 250mila per le
“scienze dure”. Roars ha provato a simulare il torneo fino alla determinazione
dei 180 vincitori. I dipartimenti del Centro-Nord si aggiudicheranno l’87%
delle risorse pari a quasi 1,2 miliardi in cinque anni; al Sud ed Isole resterà
il 13%, cioè complessivamente circa 180 milioni in cinque anni. Per avere un’idea
della sperequazione, basti pensare che le università del Sud e Isole
rappresentano il 31% del corpo docente e che la quota percentuale di
finanziamento premiale sarà meno della metà. Il combinato disposto di costo
standard (incostituzionale) e premialità FFO ha già drenato risorse dagli
atenei del Sud agli atenei del Nord.
La gara tra dipartimenti avviene in due fasi. Nella prima fase, già
svoltasi a porte chiuse, nel senso che sono stati pubblicati risultati che
nessuno può verificare perché non sono disponibili i dati, il MIUR ha
selezionato 350 dipartimenti “quasi eccellenti” tra i circa 800 dipartimenti
italiani.
Nella seconda fase della gara i 350 “quasi eccellenti” si contenderanno
i 180 premi a disposizione. Le regole bizantine della gara sono pressoché
inaccessibili ai profani. C’è una commissione nominata dalla ministra Fedeli, il cui
presidente è la Rettrice di un’università privata, la LUISS. Ma i
giochi sono in gran parte già fatti, perché le regole limitano il potere di
intervento della commissione stessa, dato che la vittoria finale dipende da un
punteggio da 1 a 100, di cui 70 punti sono attribuiti in base all’ISPD del
singolo dipartimento e 30 punti sono attribuiti in base al progetto dipartimentale
di sviluppo. (Fonte: A. Baccini, G. De
Nicolao, Roars 18-05-17)
CUN. SUL FINANZIAMENTO AI DIPARTIMENTI
UNIVERSITARI DI ECCELLENZA
Si
rileva l’incoerenza fra la previsione di risorse quinquennali e il loro vincolo
per almeno la metà del totale al finanziamento a posizioni a tempo
indeterminato o con tenure track. In analogia con quanto previsto per le
convenzioni di cui all’art. 18 c. 3 della legge 240/2010, che per posizioni a
tempo indeterminato, richiedono un finanziamento almeno quindicennale, sarebbe
opportuno consentire, attraverso opportune politiche di accantonamento, una
copertura di almeno quindici anni alle posizioni a tempo indeterminato o con
tenure track di cui al c. 335, ridimensionandone il numero complessivo. (Fonte:
https://tinyurl.com/y95ox2h6)
GARA DEI DIPARTIMENTI. UNA CORSA
ALL’ECCELLENZA INSOSTENIBILE SECONDO ROARS
La
Ministra Fedeli ha annunciato con toni quasi trionfalistici l’avvio delle
procedure di selezione di 180 Dipartimenti “eccellenti”, che riceveranno un
super-premio di oltre 1.000.000 di euro l’anno per cinque anni. La Ministra
promette anche che ripartirà l’iter per l’assegnazione delle 500 cattedre Natta
ad altrettanti studiosi che, sempre per la loro eccellenza, otterranno un
trattamento significativamente diverso, non solo dal punto di vista economico,
rispetto a quello dei loro colleghi. Il comunicato stampa (del 12 maggio) si
conclude citando l’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile:
provvedimenti come questi – secondo la Ministra – corrispondono agli obiettivi
di educazione e formazione di qualità “che ci siamo prefissati aderendo
all’Agenda”.
È
proprio guardando agli obiettivi indicati dalle Nazioni Unite che questa corsa
all’eccellenza, almeno in queste modalità, mi sembra invece francamente
insostenibile, perché non aiuta lo sviluppo di tutto il paese e mette a rischio
l’equità. Il goal n. 9 (Industria, innovazione e infrastrutture) fissa fra i
suoi traguardi quello di “incrementare considerevolmente” il numero degli
addetti e la spesa nel settore della ricerca, ma non è per questo che sono
stilate le classifiche di università e dipartimenti. Il loro scopo è di
assegnare premi e concentrare progressivamente le risorse dove si pensa che
possano essere spese meglio e il risultato, come è ormai chiaro da tempo, è un
processo di progressiva redistribuzione che, con qualche isolata eccezione,
toglie al Sud per dare al Centro-Nord. (Fonte: S. Semplici, Roars 09-07-17)
INDICATORE ISPD (INDICATORE
STANDARDIZZATO DI PERFORMANCE DIPARTIMENTALE) DISTRIBUISCE 1,3 MILIARDI DI €
Redazione
Roars ha ricevuto la lettera che il presidente del consiglio direttivo di ANVUR
prof. Andrea Graziosi ha inviato ai rettori italiani sui dipartimenti
eccellenti. La lettera accompagna l’invio ai rettori dei dati riguardanti l’indicatore
ISPD (Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale) sulla base del
quale sono stati selezionati i 352 dipartimenti quasi eccellenti. Nella lettera
si legge che ANVUR concede ai rettori la visione dell’indicatore ISPD. Il
“sovrano” raccomanda ai rettori di farne buon uso. E si premura altresì di
ricordare loro che comunque farà pervenire linee guida per l’uso dei dati a
livello di Ateneo. Cosa accadrebbe in un paese normale se la comunità
accademica ricevesse una comunicazione del genere? Prima di tutto si
comincerebbe a pensare che sulla base dei valori di ISPD si distribuiscono ben
1,3 miliardi di €. Quindi la comunità scientifica si domanderebbe se quegli
indicatori sono costruiti su una base scientifica nota. Ci si domanderebbe se
quegli indicatori sono stati validati dalla comunità scientifica di
riferimento, diciamo gli studiosi di bibliometria e statistica. Poi ci si
domanderebbe se qualcuno ha adottato un sistema simile per distribuire le
risorse. Molti si domanderebbero com’è costruito l’ISPD, se è possibile
verificare e riprodurre i conti; se sono disponibili i dati di base su cui i
conti sono stati fatti.
Ci
piace pensare che dopo aver constatato che la risposta a tutte queste domande è
NO, la comunità scientifica farebbe sentire la propria voce e forse
tenterebbero di opporsi all’adozione di una misura di politica economica così
anomala. (Fonte: Red.ne Roars 29-05-17)
SUI CRITERI PER PREMIARE DIPARTIMENTI
ECCELLENTI
L’individuazione
dei dipartimenti «eccellenti» è basata sugli esiti della recente Valutazione
della qualità della ricerca (VQR) realizzata dall’ANVUR. Tale esercizio è stato
oggetto di vaste critiche nell’ambito della comunità scientifica italiana, sia
di taglio metodologico sia a proposito delle scelte di politica della ricerca
in esso implicite, tali da sconsigliarne l’utilizzo come criterio per la
ripartizione dei finanziamenti ordinari. Scelta che caratterizza l’Italia come
un unicum nel panorama internazionale (con qualche somiglianza con la
situazione inglese). Una volta acquisiti i dati della VQR, l’ANVUR ha
provveduto al calcolo di un indicatore dipartimentale (Ispd); tale indicatore è
stato definito nei suoi dettagli rilevanti dopo aver avuto disponibili tutti i
dati, potendo teoricamente simulare l’impatto, dipartimento per dipartimento,
di formulazioni alternative. La scelta è stata effettuata da commissari ANVUR
che afferiscono a dipartimenti universitari italiani, e che sono quindi in
evidente conflitto di interessi. Inoltre, stando alla relazione finale VQR
firmata dalla stessa ANVUR, «tra le finalità della VQR non compare il confronto
della qualità della ricerca fra aree scientifiche diverse». Questo confronto è
stato invece fatto, e ha prodotto disparità non giustificate fra il numero di
«eccellenti» nelle diverse aree scientifiche (ad esempio: 35 in economia e 8
nelle scienze politiche), frutto delle scelte discrezionali operate
nell’individuazione dell’Ispd. L’esercizio produce una suddivisione in due
gruppi di dipartimenti (352 «eccellenti», a fronte di circa 500 «non eccellenti»),
sulla base di differenze anche minime su questo indicatore; basato
esclusivamente del giudizio costruito dall’ANVUR su due pubblicazioni
scientifiche di ciascuno dei docenti italiani, senza tenere conto della
complessiva produzione scientifica dei dipartimenti, dell’impegno e della
qualità della didattica, della loro capacità di interagire fruttuosamente con i
propri territori di insediamento («terza missione»). La scelta dei dipartimenti
effettivamente destinatari del finanziamento aggiuntivo (180 dei 352) avverrà
poi sia sulla base dell’Ispd, sia sulla base dei giudizi discrezionali su un
«progetto di sviluppo dipartimentale» effettuato da una commissione nominata
dal ministro, e presieduta dalla rettrice di un’università privata, composta da
docenti che, anche per le proprie normali relazioni con componenti di alcuni
dei dipartimenti oggetto di valutazione, non potranno avere carattere di
terzietà. (Fonte: G. Viesti, Roars 30-05-17)
FONDI PRIN – SH1 E BOCCONIANI
I
docenti della Bocconi sono il 5,1% dei docenti di economia (SSD da SECS/P-01 a
SECS/P-13), ma il 77% dei fondi PRIN nel settore economico (SH1) sono assegnati
a progetti in cui la Bocconi coordina (36%) o collabora (41%). E’ davvero un
caso che un membro del comitato dei garanti sia un alumnus Bocconi, il comitato
di area SH1 sia formato da un bocconiano e da un alumnus e il 48% delle
revisioni siano state svolte da bocconiani o da alumni? Scrive Roars: La
prossima volta, per l’area SH1, il MIUR non potrebbe attribuire il compito di
distribuire i soldi direttamente all’associazione degli alumni della Bocconi?
(Fonte: Red.ne Roars 16-05-17)
UNIVERSITÀ E FINANZIAMENTI
“Gentile
Direttore,
la
sentenza della Corte Costituzionale, con cui sono state bocciate le misure
fissate dal cosiddetto decreto Profumo del 2012 sul costo standard di
formazione per ciascuno studente universitario, è molto positiva. Stupisce che
nella situazione in cui versa il nostro sistema universitario, di ricerca e
formazione, essa sia passata, con l'eccezione del Sole 24 Ore, nel silenzio pressoché
generale. La sentenza della Corte, infatti, offre la possibilità di una più
attenta e diversa revisione del meccanismo di finanziamento delle università,
che si ponga l'obiettivo di una crescita complessiva ed equa del sistema del
nostro Paese. Si possono, cosi, correggere le storture originate dalla legge
Gelmini, intrisa di deleghe, declinata in maniera frettolosa dagli esecutivi
che la hanno applicata. A questo proposito, riteniamo, tra l'altro, che gli
interventi decisi nelle stanze ministeriali, con la valenza politica che hanno
avuto, avrebbero meritato attenzione parlamentare ben prima dell'intervento
della Consulta. Vogliamo citare, ad esempio, it declino al quale sono state
spinte gran parte delle università del Mezzogiorno e l'ulteriore emarginazione
delle isole. Tutto questo è stato accompagnato dalla tendenza alla
polarizzazione di un sistema che nel passato, viceversa, aveva fatto suo punto
di forza il confronto solidale tra le sedi per promuovere quella grande produzione
di cervelli che fa sempre più fatica a porsi al servizio del nostro Paese”.
(Fonte: dalla lettera inviata al direttore de IlSole24Ore da M. Speranza e M.
Fiorentino 25-05-17)
FINANZIAMENTI AI CLUSTER TECNOLOGICI
500
milioni per i cluster tech. Arriveranno dal MIUR e sono stati annunciati dal
ministro Valeria Fedeli. "Mi sembra un elemento importante il bando da 500
milioni di euro sui cluster tecnologici che lancerò tra gli altri entro il mese
di luglio - ha detto Fedeli a margine di un’iniziativa in Regione Lazio. Le
risorse permetteranno di finanziare progetti per 250 milioni di euro che
coinvolgono, a vario titolo, imprese, università e centri di ricerca nello
sviluppo delle nuove tecnologie. Il MIUR stanzierà inoltre altri 250 milioni di
euro per assumere nuovi ricercatori e per finanziare i progetti di ricerca
interesse nazionale destinati agli atenei. I cluster tecnologici nazionali
rientrano nell’ambito del Programma nazionale per la ricerca che “crea quindi
le premesse per un migliore ecosistema dell’innovazione – si legge nel
documento del MIUR – e mette a disposizione del sistema nazionale di ricerca
un’infrastruttura intermedia di soft-governance”. I cluster tecnologici
nazionali rappresentano lo “strumento principale per raggiungere gli obiettivi
di coordinamento pubblico-pubblico (Stato-Regioni-Amministrazioni locali) e
pubblico-privato, cui viene affidato il compito di ricomposizione di strategie
di ricerca e roadmap tecnologiche condivise su scala nazionale”. Queste
strutture sono state costituite per generare piattaforme di dialogo permanente
tra sistema pubblico della ricerca e imprese. I numeri riguardanti i primi otto
cluster sono stati forniti dal ministero: 456 soggetti tra cui 112 appartenenti
al sistema della ricerca pubblica e 344 a quello della ricerca industriale,
ripartiti questi ultimi in 140 grandi imprese e 204 piccole e medie imprese.
Agli otto cluster tecnologici avviati in prima battuta (aerospazio, agrifood,
chimica verde, fabbrica intelligente, mobilità e trasporti, salute, smart
communities, tecnologie per gli ambienti di vita) se ne sono aggiunti altri
quattro per completare il presidio delle dodici aree di specializzazione: blue
growth, design creatività made in Italy, energia, cultural heritage. (Fonte: www.corrierecomunicazioni.it/digital/ 16-06-17)
'FONDO PER LE ATTIVITÀ BASE DI
RICERCA'
A
decorrere dal 2017, si ricorda nell'avviso, la legge di bilancio 11 dicembre
2016 n. 232 ha istituito, nel Fondo di Finanziamento Ordinario delle università
statali (FFO), un'apposita sezione denominata 'Fondo per le attività base di
ricerca'. Tale fondo prevede uno stanziamento di 45.000.000 di euro l'anno al
fine di finanziare le attività base di ricerca dei professori di seconda fascia
e dei ricercatori, entrambi in servizio a tempo pieno. L'importo individuale
del finanziamento è pari a 3.000 euro per un totale di 15.000 finanziamenti
individuali da assegnarsi in modo da soddisfare il 75% delle domande dei
ricercatori e il 25% delle domande dei professori di seconda fascia. Dal 7
settembre 2017 e fino al 30 settembre 2017, i soggetti ammessi dall'ANVUR a
richiedere il finanziamento potranno completare e inoltrare la domanda di
finanziamento tramite l'apposita procedura telematica accessibile dal sito
istituzionale dell'ANVUR. (Fonte: www.adnkronos.com 28-06-17)
LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE POST LAUREA-OCCUPAZIONE
IL NUMERO DEI LAUREATI DI I E II
LIVELLO IN MATERIE SCIENTIFICHE AUMENTA, MA LA PERCENTUALE DI OCCUPATI IN
QUESTO SETTORE STENTA A DECOLLARE
Nelle
statistiche Eurostat che forse più contano in termini d’impatto
sull’innovazione, quelle riguardanti i livelli d’istruzione più elevati, ovvero
lauree di secondo livello e dottorati, quasi raggiungiamo la media europea: i
giovani tra i 20-29 anni con tali titoli sono in Italia poco meno che nella UE.
In Italia ci sono tante dottorande e laureate di secondo livello in fisica,
scienze, ingegneria quanto negli altri Paesi europei, e anzi, nel caso di
laureati di secondo livello, più che in Germania, Svezia, Belgio. Succede
dunque che abbiamo un sufficiente numero di 25enni che esce da un’università
con un titolo elevato, apparentemente spendibile e utile a tutto il sistema
produttivo, ma poi per varie ragioni questi stessi giovani non riescono a
sfruttarlo. Va un po’ meglio per le donne, a quanto pare. Oltre a studiare
materie scientifiche come le coetanee europee sono più degli uomini tra gli
occupati in questi settori. Tuttavia il problema rimane, c’è una spinta a
occuparsi di più di tecnologia, molti giovani stanno capendo che è importante
orientarsi verso studi scientifici, ma la volontà individuale non basta. Finché
non vi sarà una spinta di governi e imprese verso un aumento della produttività,
verso investimenti in tecnologia e innovazione, molte di quelle lauree e di
quei dottorati saranno sprecati e inutilizzati. (Fonte: www.linkiesta.it 28-06-17)
MODALITÀ DI AMMISSIONE ALLE SCUOLE DI
SPECIALIZZAZIONE. L’INTERCOLLEGIO DI AREA MEDICA NON CONDIVIDE ALCUNI PUNTI
La
Conferenza Permanente dei Presidenti dei Collegi di Area Medica sul nuovo
sistema di accreditamento delle Scuole di specializzazione, nello specifico dei
provvedimenti anticipati dal Comunicato stampa del MIUR, non condivide alcuni
punti essenziali: 1) la graduatoria ‘unica’ nazionale non offre alcun
orientamento ai candidati che potranno scegliere qualsiasi tipo di
Specializzazione con la conseguenza che nelle posizioni inferiori della graduatoria
si assisterai ad una sorta di un arrembaggio, confuso e non finalizzato, con
l’unico scopo di usufruire per un anno di un contratto “di parcheggio” in una
Scuola di Specializzazione priva d’interesse per poi tentare un nuovo concorso
di ammissione l’anno successivo. 2) La vanificazione del valore del curriculum
formativo acquisito durante i sei anni di Corso di Laurea potrebbe scoraggiare
il perseguimento di elevate votazioni dei singoli esami di profitto e di un
elevato voto nell’esame di Laurea determinando un livellamento verso il basso
ed una involuzione nell’acquisizione delle conoscenze. (Fonte: Red.ne Roars
02-07-17)
CHI PRENDE LA LAUREA PER TEMPO È SOLO
IL 25%
Secondo
gli ultimi dati raccolti dall’ANVUR, 6 anni dopo essersi immatricolati nelle
lauree triennali solo poco più di metà degli studenti ha conseguito la laurea.
Il 14% risulta invece ancora iscritto, mentre un altro 33% ha abbandonato gli
studi. Se invece guardiamo ai ragazzi che si sono laureati in tempo, per chi si
è iscritto nel 2010/2011 si tratta di poco sopra un quarto del totale. Nello
stesso periodo una parte altrettanto ampia di studenti ha invece già lasciato
gli studi, mentre la metà rimanente appare ancora impegnata in corsi, esami e
appelli. Una nota positiva arriva invece tornando indietro nel tempo. Certo
oggi la situazione non è proprio rose e fiori, ma risulta senz’altro migliorata
se la confrontiamo con quanto succedeva una decina di anni fa. Rispetto alle
matricole del 2003-2004 la fetta di laureati in tempo è aumentata dal 19 al 27%
del totale, con gli abbandoni a breve termine ridotti anch’essi di qualche
punto. (Fonte: D. Mancino, wired 29-06-17)
CUN AVVISA: CON 24 CFU IN PIÙ RISCHIO
SEI MESI IN PIÙ PER LAUREA
Per
accedere ai concorsi si dovranno avere 24 crediti formativi in psicologia,
pedagogia, didattica, un allungamento che per il Consiglio universitario
nazionale (CUN) rischia di allungare di sei mesi le lauree magistrali.
Un’eventualità da evitare. Inoltre, precisa il CUN, si dovrebbe prevedere la
possibilità di una disciplina transitoria per l’accesso ai concorsi a quei
laureati e studenti terminali delle università che non possono più modificare
la struttura dei crediti riguardanti gli esami. Il governo è avvisato, così si
rischia di allungare ulteriormente i percorsi universitari delle lauree
magistrali, attualmente considerate valide ai fini dell’accesso
all’insegnamento. (Fonte: www.corriereuniv.it/ 20-06-17)
DIPARTIMENTI UMANISTICI CON CORSI A
NUMERO CHIUSO
Per
far partire i corsi gli atenei devono rispettare un equilibrio tra il numero
dei professori e quello degli iscritti: ci vogliono almeno 9 docenti di
riferimento per il primo livello (la laurea triennale) e 6 per il secondo
livello (quella specialistica). Solo che rispettare questa soglia è diventato
sempre più difficile negli ultimi anni. Dal MIUR, a fine 2016, è arrivata una
nuova direttiva che ha modificato diversi parametri per l’accreditamento dei
corsi, il cosiddetto “codice Ava 2”. Il numero dei docenti di riferimento è
rimasto invariato (sempre 9 per la triennale e 6 per la specialistica), ma è
cambiata la soglia di studenti oltre ai quali devono aumentare in maniera
proporzionale anche i professori. Per fare un esempio: fino a ieri per un corso
triennale di lettere i 9 docenti di base dovevano crescere oltre i 230
iscritti, adesso l’aumento scatta già dopo i 200. E questo ha mandato in crisi
alcuni corsi di laurea.
Alla
Statale di Milano la questione è questa: nei dipartimenti umanistici della Statale
(Lettere, Storia, Filosofia, Beni culturali e Beni ambientali) la crescita
degli iscritti è stata forte, il 30 per cento in un anno. Mancano spazi e
docenti per farvi fronte. Inoltre, il 21 per cento degli iscritti poi
abbandona, a dimostrazione che almeno un quinto prende Lettere senza avere le
idee chiare. In assenza del rettore, il preside Corrado Sinigaglia ha provato a
spiegare: «Il ministero ha irrigidito i criteri di proporzione tra docenti e
studenti, non riusciamo più a garantire la sostenibilità dei corsi. Dobbiamo
contenere gli accessi già dal prossimo anno accademico».
Lo
stesso problema — nuovi accessi programmati — si sta proponendo all’Università
di Firenze. Lo denunciano gli studenti dell’Udu. Sono in arrivo, il 26 maggio,
numero chiuso e frequenza obbligatoria in Scienze dell’educazione e della
formazione (500 posti) e Scienze farmaceutiche applicate (150 posti). Il
rettore Luigi Dei: «Gli studenti non possono certo presentarsi a lezione senza
trovare posto a sedere o essere costretti a lavorare pressati in un
laboratorio». L’ultimo dato in possesso del MIUR, sull’argomento, è del 2014.
Parla del 39 per cento dei corsi di studio delle università italiane “a numero
programmato”: 1.671 su 4.311. È ipotizzabile che nel 2017 si sia arrivati alla
metà dell’intera platea. (Fonte: C. Zunino, La Repubblica 15-05-17)
L’ESODO DEI LAUREATI
Il
2017 potrebbe essere l’anno record delle partenze dei laureati italiani, a
dirlo è il XIX Rapporto sul Profilo e sulla condizione occupazionale dei
laureati italiani, realizzato dal Consorzio interuniversitario AlmaLaurea.
Entrando nel dettaglio del rapporto si legge che il 49% dei laureati italiani
si dice disposto a lasciare l’Italia per trasferirsi in un altro stato estero;
lo scorso anno questa percentuale era del 38% e solo dopo 1 anno è aumentata
dell’11%; il 35% dei laureati sarebbe disposto addirittura a trasferirsi in un altro
continente, mentre il 27% si dichiara disponibile a effettuare trasferte anche
frequenti e anche a trasferire la propria residenza nel 52% dei casi. Ma quali
sono i fattori che spingono i nostri laureati a emigrare sempre di più? I fattori
sono davvero tanti, in primis la mancanza di lavoro che per i laureati negli
ultimi anni è aumentata sempre di più, secondo i dati di settore rispetto al
2008 il tasso di disoccupazione è quasi raddoppiato passando per le lauree
triennali dall’11% al 21% e per le magistrali dall’11% al 20%. Altro motivo che
spinge i laureati italiani a emigrare è sicuramente il fattore retribuzione,
nei paesi esteri le retribuzioni medie percepite sono notevolmente superiori a
quelle degli occupati in Italia: i laureati magistrali biennali guadagnano (a
cinque anni dal titolo) 2.202 € mensili netti, contro i 1.405 € dei colleghi
che restano in Italia a svolgere il medesimo lavoro. (Fonte: MIURistruzione.it
17-05-17)
RIFORMA DEL «3+2», UN MEZZO
FALLIMENTO. NE PARLANO IVANO DIONIGI E LUIGI BERLINGUER
La
riforma del 1999 con il Dm 509 ha introdotto per la prima volta in Italia la
novità del «3+2», una laurea triennale cui far seguire, in alcuni casi, una
biennale specialistica (magistrale). Ma ancora oggi «oltre la metà dei laureati
preferisce continuare a studiare», ricorda Ivano Dionigi, presidente del
Consorzio AlmaLaurea. Il campanello d’allarme doveva suonare da subito quando
già nei primissimi anni della riforma l’80% dei laureati di primo livello poi
si iscriveva alla magistrale. Ma il trend anche se è rallentato non si è fermato.
Perché? «Quando c’è stata la riforma gli atenei si sono trovati a dover
riformulare i curricula di studi, ma a causa di cattive pratiche accademiche
invece di costruire lauree triennali tagliate su misura delle esigenze dei
territori, del mercato del lavoro e dunque della domanda si sono fatti i corsi
in base all’offerta. Ha purtroppo prevalso uno spirito di autoconservazione.
E così molte lauree triennali non sono appetibili e la crisi ha reso tutto più
difficile». Su questo fronte comunque un primo passo si sta facendo. Anche se
rinviate di un anno (al 2018) rispetto al previsto le università sono pronte a
sperimentare - dopo il via libera del MIUR - le prime lauree
professionalizzanti che prevedono un anno di teoria, uno di laboratorio e un
ultimo on the job con l’obiettivo di formare figure già pronte per fare il
proprio ingresso nel mercato del lavoro».
Ma
la riforma era davvero indispensabile? Assolutamente si, risponde Luigi
Berlinguer il “padre” della riforma. “La riforma è frutto di un processo europeo
che puntava a rendere uguale la durata dei corsi di studio. Un passaggio
cruciale che oggi consente ai nostri giovani di farsi riconoscere il proprio
titolo di studio all'estero e lavorare così in un altro Paese europeo. E poi
era giusto introdurre lauree di primo livello più brevi e funzionali visto che
allora ben il 70% degli iscritti si perdeva per strada. Dove si è sbagliato
allora? Innanzitutto, c'e stato un approccio dei docenti universitari frutto di
una vecchia mentalità rigoristica che ha pensato di rinchiudere in tre anni
quello che prima si faceva in quattro. E invece le lauree triennali dovevano
essere diverse e più leggere. Colpa solo dell'università? La responsabilità è
anche dello Stato e della politica che doveva lavorare per aiutare le università
a definire il profilo e lo sbocco occupazionale per ogni laurea triennale. Era
fondamentale far capire agli studenti che cosa potevano fare con quel titolo di
studio se s’iscrivevano a un corso o a un altro. E questo si poteva e si doveva
fare coinvolgendo il mondo delle imprese e delle professioni per definire
questi profili. Cosa che non è stata ancora fatta. L'avvio delle lauree
professionali, previste dal 2018 come sperimentazione, pub essere la giusta
risposta? Si, può essere una via corretta a patto che si trovi il giusto
equilibrio perché sempre lauree devono restare e quindi non si deve cancellare
la componente culturale. E poi non devono confondersi con gli Its che hanno
attivato corsi post diploma molto utili per l’inserimento nelle aziende di
figure tecniche altamente specializzate. Corsi questi che purtroppo soffrono di
poca comunicazione a famiglie e studenti. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore
08-06-17)
CRESCONO DI 150 I CORSI. QUELLI A
NUMERO CHIUSO ARRIVANO AL 42%
I
corsi universitari tornano a crescere: il prossimo anno accademico partirà con
un'offerta arricchita di circa 150 new entry, soprattutto tra le lauree
magistrali e tra quelle tecniche ed economiche. In tutto 4.800 corsi tra primo
e secondo Iivello e ciclo unico. Per aumentare età e tasso di occupazione dei
laureati gli atenei scommettono sui doppi titoli riconosciuti all'estero,
raddoppiati dal 2012. Cresce il numero di corsi a numero chiuso, 42% del
totale, con ii debutto dei test in alcuni corsi dell’area umanistica, come alla
Statale di Milano, dove sono stati
approvati tra le polemiche. (Fonte: IlSole24Ore 04-06-17)
RECLUTAMENTO
RECLUTAMENTO. UNA COOPTAZIONE
TRASPARENTE E RESPONSABILE
Negli
anni, i parlamenti che si sono succeduti hanno varato numerose leggi per
"razionalizzare" reclutamento e carriere universitarie. Ma nessuna
legge, in quaranta anni, è riuscita a risolvere l'ambiguità di fondo del
"posto" all'università: il concorso. All'università si entra per
cooptazione ma siccome l'università è pubblico impiego è richiesto un concorso,
ergo si entra per cooptazione mascherata da concorso. Intendiamoci la
cooptazione accademica non è un male, tutt'altro. Ricercatori e studiosi non
sono intercambiabili. L’assunzione diretta (spesso con abilitazione) è il
metodo usato nella maggior parte dei sistemi universitari evoluti dove, però,
chi coopta risponde alle istituzioni e alla comunità accademica nazionale e
internazionale delle scelte fatte.
La
cooptazione non funziona quando perde trasparenza e viene mascherata di oggettività
da procedure concorsuali che spesso, fatta salva la forma, sollevano da
responsabilità chi esegue le scelte. Il controllo di questa cooptazione, e dei
meccanismi con la quale esercitarla, è quindi, da sempre, il "core
business" di molta parte della comunità accademica italiana. Il vero
potere accademico sta lì, difeso dai recinti dei settori disciplinari e dalle
logiche di non-ingerenza tra aree nei Dipartimenti. (Fonte: D. Braga,
IlSole24Ore 20-07-17)
RECLUTAMENTO. CERTEZZA DEI TEMPI E
DELLE REGOLE E SEMPLIFICAZIONE DEL PRE-RUOLO
Il
meccanismo di reclutamento è stato cambiato molte volte negli ultimi anni. Ogni
metodo scelto ha presentato luci e ombre. La procedura utilizzata oggi credo
stia dando buoni risultati con il doppio livello di abilitazione nazionale e
concorso locale, ma soffre di eccessive rigidità, riducendo la discrezionalità
per contrastare gli arbitri, e penalizzando in questo modo gli studiosi di
frontiera rispetto ai settori disciplinari. Qualunque regola si applichi, la
responsabilità di chi sceglie è determinante e va rafforzata sempre di più
utilizzando la leva della valutazione ex-post che deve essere severa con un
sistema certo e rapido di premi e penalizzazioni. L'introduzione nella
ripartizione dell'Ffo (Fondo di finanziamento ordinario) dell'indicatore legato
alla performance dei docenti reclutati ha sicuramente contribuito a favorire
scelte di qualità nei dipartimenti come i dati della VQR (Valutazione della
qualità della ricerca) dimostrano in maniera chiara. Arrivare a meccanismi di
scelta più semplici, controbilanciati da valutazioni più severe, è un obiettivo
da perseguire. Ma avere una selezione meritocratica non basta per attrarre i
migliori in un mercato della ricerca sempre più globale e competitivo dove la
qualità del capitale umano rappresenta la leva fondamentale per creare sviluppo
economico e benessere sociale. Per attrarre dobbiamo parlare di certezza dei
tempi e delle regole, stipendi e opportunità di ricerca. Tempi di ingresso nel
percorso universitario devono essere ragionevoli e certi. Oggi esiste un lungo
precariato con regole spesso non chiare e che cambiano nel tempo. E giusto che
ci sia un periodo congruo di prova che consenta alla struttura di valutare le
attitudini di chi aspira a svolgere il difficile ruolo di ricercatore, ma per
chi segue quest’aspirazione ci deve essere la certezza che dopo questo periodo
ci sia l'opportunità concreta di avere una posizione definitiva. Per ottenere
questo è necessaria una semplificazione del pre-ruolo e piani pluriennali di
investimento che consentano alle università di programmare il reclutamento con
una ragionevole sicurezza. (Fonte: G. Manfredi, IlSole24Ore 21-07-17)
CUN. SULL’INDICATORE IRAS2
L’indicatore
IRAS2** ha generato differenze molto marcate fra università di dimensioni
confrontabili che hanno reclutato, in termini di punti organico, nuovi addetti
alla ricerca nel periodo 2011-14 in misura molto maggiore rispetto ad altre che
hanno effettuato un minor reclutamento per motivi di natura economico-finanziaria
È pertanto auspicabile che il Ministero inserisca opportuni meccanismi
correttivi per evitare di penalizzare per il futuro, già dal FFO 2017, atenei
che hanno poco reclutato nel passato, soprattutto laddove i nuovi reclutati,
seppur in numerosità limitata, abbiano comunque prodotti della ricerca di
qualità elevata. (Fonte: https://tinyurl.com/y95ox2h6 )
**“Indicatore
quali-quantitativo relativo al sottoinsieme delle pubblicazioni e dei prodotti
della ricerca presentati dagli addetti alla ricerca che, nel periodo 2011-2014
oggetto di valutazione, sono stati reclutati dall’ateneo o incardinati in una
fascia o ruolo superiore. L’indicatore è calcolato prendendo in considerazione
come variabile dimensionale il peso in termini di punti organico dei soggetti
reclutati nel periodo di riferimento”.
RICERCA
8 GIOVANI ITALIANI RIENTRANO NELLA
LISTA DEI MIGLIORI RICERCATORI AL MONDO IN ONCOLOGIA
Al
congresso dell’American Society of Clinical Oncology saranno presenti otto
italiani talentuosi che saranno premiati per le loro ricerche. È tra i
riconoscimenti più importanti al mondo quello che a Chicago nei prossimi giorni
premierà, tra gli altri, anche otto ricercatori italiani. Si parla di
oncologia, quindi un tema molto delicato e complesso. Questi ragazzi e ragazze,
di cui il più giovane ha solo 29 anni, si sono distinti per i loro studi nel
campo della ricerca in questa materia.
L’evento
organizzato dall’American Society of Clinical Oncology e da Conquer Cancer
Foundation Merit Award si tiene ogni anno negli Stati Uniti e si propone di
riunire i più brillanti oncologi di tutto il mondo per discutere di nuove
modalità di trattamenti, nuove terapie e delle controversie esistenti nel
campo. L’evento si terrà dal 2 al 6 di Giugno a Chicago. (Fonte: faccecaso
02-06-17)
PETIZIONE DEI PRECARI DELLA RICERCA AI
MINISTRI
Uno
dei principali problemi dell’Università italiana è lo stato di precarietà
contrattuale in cui versa la maggioranza dei ricercatori. Questo fenomeno ha
radici più che decennali, ed è stato aggravato dal disinteresse della politica
nei confronti della scienza e della ricerca e dal cronico sottofinanziamento
del sistema universitario italiano. Dall’emanazione della Legge 240/2010, che
ha abolito la figura del ricercatore a tempo indeterminato, la piaga della
precarietà non ha fatto altro che aggravarsi. Oggi il numero di ricercatori
precari, il cui lavoro quotidiano è fondamentale nelle attività di ricerca e
didattica delle nostre Università, è nell’ordine delle 40.000 unità, a fronte
di un organico di docenti con contratto a tempo indeterminato che è
recentemente sceso di sotto alle 50.000 unità. Nel complesso in questi ultimi
otto anni l’Università italiana ha perso più di 13.000 posizioni a tempo
indeterminato, solo in parte compensate dall’uso, anzi, dall’abuso delle varie
figure di ricercatore a tempo determinato (RTD, assegnisti di ricerca,
contratti di collaborazione, partite iva, etc.). (Fonte: da una lettera
petizione dei precari della ricerca ai ministri Fedeli, Padoan e Poletti
17-05-17)
“THE RESEARCH COUNTS, NOT THE
JOURNAL!” DICONO 12 PREMI NOBEL
La
Fondazione Nobel ha diffuso un video intitolato “The research counts, not the
journal!” dove alcuni premi Nobel prendono una posizione netta contro l’uso
degli impact factors per valutare la qualità della ricerca. Si tratta della
sintesi di una intera sezione del canale youtube della Fondazione che ospita dodici
video di altrettanti premi Nobel, dedicati proprio alla critica dell’uso di
bibliometria e impact factors. Nel breve video vengono smentiti tutti i luoghi
comuni che nel nostro paese sono serviti per giustificare l’invasione della
bibliometria ANVURiana. La ricerca di qualità - sostengono i premi Nobel - è
solida, basata sui dati, consistente. Non conta la sede di pubblicazione. In
particolare per qualificare una ricerca come buona non basta che sia apparsa su
una rivista top, passando il giudizio di un paio di referee. Per valutare un
ricercatore si devono leggere i suoi lavori, non basta conoscerne la sede di
pubblicazione. Il video mostra in modo drammatico che la ricerca italiana è
stata saldamente proiettata in un mondo alla rovescia in cui non contano
scoperte, dati, solidità. Contano solo sede di pubblicazione, citazioni e
autocitazioni. In Cina, probabilmente l’unico paese che ha adottato regole
simili a quelle italiane, si stanno accorgendo che i meccanismi di valutazione
hanno deformato in modo drammatico la ricerca. Ed è iniziata la discussione per
limitare i danni. (Fonte: A. Baccini, Il Mulino 26-06-17)
BIBLIOMETRIC INDICATORS FOR
ASSESSMENTS ARE IMPERFECT MEASURES
Although
journal impact factors (JIFs) were developed to assess journals and say little
about any individual paper, reviewers routinely justify their evaluations on
the basis of where candidates have published. As participants on multiple
review panels and scientific councils, we have heard many lament researchers'
reluctance to take risks. Yet we've seen the same panels eschew risk and rely
on bibliometric indicators for assessments, despite widespread agreement that
they are imperfect measures. A few funding agencies in the Czech Republic,
Flanders (northern Belgium) and Italy ask applicants to list journal impact
factors (JIFs) alongside their publications, but such requirements are not the
norm. The ERC, the National Natural Science Foundation in China, the US
National Science Foundation and the US National Institutes of Health do not
require applicants to report bibliometric measures. When it comes to hiring and
promotion, bibliometric indicators have an even larger, often formal, role. In
Spain, the sexenio evaluation (a salary increase based on productivity) depends
heavily on rankings derived from JIFs. In Italy, a formal bibliometric profile
of each candidate up for promotion is provided to reviewers. At many campuses
in Europe, the United States and China, faculty members are given lists of
which journals carry the most weight in assessing candidates for promotion. In
some countries, notably China, bonuses are paid according to the prestige of
the journal in which research is published. The UK Research Excellence
Framework (REF) exercise is a rare exception in that it explicitly does not use
JIFs. For the first three years after publication, the probability that a
highly novel paper was among the top 1% of highly cited papers was below that
of non-novel papers; beyond three years, highly novel papers were ahead. We are
not saying that non-novel papers cannot be important or influential, but that
current systems of evaluation undervalue work that is likely to have high,
long-term impact. Fifteen years after publication, highly novel papers are
almost 60% more likely to be in the top 1% of highly cited papers. Highly novel
papers also tend to be published in journals with lower impact factors. In a
nutshell, our findings suggest that the more we bind ourselves to quantitative
short-term measures, the less likely we are to reward research with a high
potential to shift the frontier — and those who do it. (Fonte: P. Stephan et
al, Nature, Comment 26-04-17)
NUOVI FONDI PER LA RICERCA CON IL
BANDO SUI 12 CLUSTER TECNOLOGICI, CON INDUSTRIA 4.0 E SALUTE, AEROSPAZIO E
AGRIFOOD
Un’importante
boccata di ossigeno per la ricerca è in arrivo. A partire da quella industriale
con il bando sui 12 cluster tecnologici atteso nelle prossime settimane che
finanzierà con 350 milioni progetti che vedono insieme imprese, università e
centri di ricerca nello sviluppo di nuove tecnologie . E con industria 4.0
insieme a salute, aerospazio e agrifood che avranno la massima priorità anche
per i fondi. «In un contesto globale sempre più basato sulla società e
sull’economia della conoscenza università e ricerca sono fondamentali. La loro
valorizzazione attraverso specifici investimenti e il riconoscimento delle
eccellenze non sono questioni di settore: interessano l'intero Paese, il suo
tessuto produttivo, il suo sviluppo economico», avverte la ministra dell’Istruzione,
Università e Ricerca Valeria Fedeli che ricorda come il bando attui il
Programma nazionale per la ricerca «su cui stiamo accelerando». Ma il MIUR è
pronto a mettere sul piatto altri 250 milioni che saranno attinti dal
“tesoretto” non speso negli anni dall’Iit, l’Istituto italiano di tecnologia di
Genova, e che saranno destinati per finanziare l’assunzione di mille
ricercatori e il potenziamento dei Prin (i progetti di ricerca interesse
nazionale) destinato agli atenei, il cui bando atteso entro l’estate avrà un
super budget da 200 milioni circa. (Fonte:M. Bartoloni, IlSole24Ore 04-06-17)
ANVUR NO, ANVUR SI. PIÙ NO CHE SI A UN
CONVEGNO MILANESE SULLA VALUTAZIONE UNIVERSITARIA
Sulla
base degli interventi assai critici nei confronti di ANVUR succedutisi in un
recente convegno milanese sulla valutazione universitaria, Roberto Caso si
chiede come mai questa istituzione inammissibilmente anfibia – cooptata
dall’esecutivo e nel suo seno a tutti gli effetti operante ma pronta
all’occorrenza a rivendicare quarti di nobiltà scientifico-accademica –
sia ancora in vita. E si domanda perché, a undici anni dall’istituzione di quest’acronimo,
fra quanti “vivono” l’Università in Italia non si faccia strada e assuma più
coraggio un movimento di opinione con rivendicazioni politiche esplicite,
finalizzato a staccare la spina e a ripensare su nuove basi il sistema della
valutazione di Stato all’italiana, facendo tesoro dei tragici errori commessi
fin qui.
Tra
i tanti interventi, solo quelli della prof.ssa Cristina Messa, Rettore della
Bicocca, e della prof.ssa Patrizia Marzaro dell’Università di Padova, erano
connotati da toni positivi nei confronti dell’ANVUR e delle sue procedure. Per
il resto sono piovute critiche, anche molto pesanti, nei confronti delle
procedure dell’agenzia (VQR, classificazione delle riviste, AVA).
Il
convegno si è aperto con due presentazioni del sociologo Roberto Moscati e
dell’economista Alberto Baccini. Quest’ultimo ha criticato – le sue incisive
slide sono reperibili qui – gli argomenti usati per giustificare l’adozione di
sistemi di valutazione massiva della ricerca del tipo VQR, mostrando in
particolare, anche con riferimento al caso italiano, che non esistono evidenze
che i benefici di quelle attività siano superiori ai loro costi. (Fonte: R.
Caso, Roars 13-07-17)
15 MILIONI DI DOLLARI PER VIOLAZIONE
DI COPYRIGHT. LI DEVE PAGARE SCI-HUB A ELSEVIER
Elsevier,
uno dei più grandi editori del mondo in ambito medico e scientifico, dovrà
ricevere diversi milioni di dollari da parte di Sci-hub. È questa la sentenza
emessa il 21 giugno dal tribunale distrettuale di New York, secondo cui il sito
di pirateria che fornisce l’accesso illegale a decine di milioni di documenti e
ricerche coperte da copyright, dovrà rimborsare l’editore olandese Elsevier di
ben 15 milioni di dollari per violazioni del diritto d’autore. Sci-Hub, il sito
pirata che fornisce l’accesso gratuito a decine di milioni di paper
scientifici, è stato fondato il 5 settembre del 2011 in Kazakistan da Alexandra
Elbakyan, neuroscienziata e programmatrice che ha inventato il portale, con
l’obiettivo di aumentare la diffusione della conoscenza scientifica, bypassando
i costi e le rigidità del sistema divulgativo. Infatti, mentre svolgeva le sue
ricerche sulle interfacce neurali, Elbakyan aveva notato quanto fosse
complicato avere accesso alla letteratura scientifica: la maggior parte dei
documenti era reperibile solo su riviste in paywall con abbonamenti molto
costosi. Da qui, il dato di fatto che gli accademici e gli studenti ottengono
l’accesso a queste riviste grazie alle loro università, ma i ricercatori
indipendenti e gli studenti dei paesi più poveri sono costretti a dover ricorrere
ai siti di pirateria. (Fonte: M. Musso, wired 26-06-17)
OPEN SCIENCE. SOLO IL 46% DELLE
RICERCHE È «OPEN» IN ITALIA
Una
ricerca ha coinvolto oltre 6mila ricercatori che hanno risposto a un
questionario inviato via email alla fine del 2014. Con l’obiettivo di misurare
la diffusione dell’open science, appunto la scelta di pubblicare liberamente i
risultati delle ricerche. E il risultato è che tra il 50 ed il 55% delle
pubblicazioni è disponibile in formato open entro tre o quattro anni dalla
pubblicazione. Una scelta, quella dell’open access, più diffusa nelle economie
emergenti. In Indonesia si supera il 90%, in Thailandia l’80, in Turchia il
70%. E anche se ci si limita alle economie più mature, il primato spetta alla
Corea del Sud con il 66%, seguita dal Brasile con il 64 e dalla Russia con il
61. In Italia, invece, appena il 46% delle ricerche sono pubblicate in formato
aperto. La tendenza alla pubblicazione in open access varia di molto anche secondo
il campo di ricerca. Gli articoli che si occupano di immunologia e
microbiologia sono resi disponibili in questo formato in poco meno del 60% dei
casi. Mentre solo un terzo delle ricerche in campo economico e nelle scienze
dei materiali sono accessibili senza costi né restrizioni all’utilizzo. C’è poi
una conseguenza tutta interna al mondo scientifico. Le ricerche in open access
hanno un impatto maggiore in termini di citazioni da parte di altri articoli.
(Fonte: www.infodata.ilsole24ore.com 10-07-17)
CREARE UN’AGENZIA DELLA RICERCA
Nell'ottobre
2014 la Commissione ricerca del Senato individuava nella riduzione delle
risorse e nella mancanza di una strategia coordinata le principali criticità
del sistema pubblico della ricerca. Sul fronte risorse si chiedeva al governo
l'impegno a varare un piano pluriennale di rifinanziamento per centrare gli
obiettivi europei per il 2020. Sul piano dell'efficienza si suggeriva di creare
un'Agenzia della ricerca, per evitare la frammentazione, coordinare le scelte e
garantire l'indipendenza della ricerca e dei suoi apparati dalla pubblica
amministrazione e dal decisore politico. La richiesta di un'Agenzia non è una
novità. Il motivo è semplice: le risorse pubbliche che l'Italia stanzia per la
ricerca scientifica, oltre ad essere «briciole», sono parcellizzate e spalmate
su diversi ministeri. Inoltre – con rare eccezioni - non perseguono obiettivi
strategici comuni, né adottano gli stessi criteri di merito o di valutazione.
Non si può più andare avanti così. Non è previsto dall'etica pubblica liberale
che un ministero (legittimamente) decida di assegnare i soldi della ricerca a
un proprio ente il quale poi, senza alcun bando, negozia arbitrariamente le
erogazioni con i beneficiari. Né si possono tollerare i meccanismi «a sportello»,
dove lo studioso si reca presso il ministero in qualsiasi momento dell'anno per
farsi finanziare. In alcuni casi i bandi ancora esistono ma, dopo anni di
carestia, le domande sono in numero tale da rendere la valutazione una
lotteria. La bocciatura raggiunge fino al 90% delle proposte, con giudizi a
volte poco pertinenti e il finanziamento, laddove arriva, risibile. (Fonte: E.
Cattaneo, La Stampa 13-07-17)
SISTEMA UNIVERSITARIO
LE UNIVERSITÀ ITALIANE DOVREBBERO
“FARE SISTEMA”, CONVERGERE INVECE DI COMPETERE.
Paola
Severino, da ottobre 2016 rettore della Luiss, l’ateneo promosso da
Confindustria, è convinta “che la nostra cultura è spesso vittima di
pregiudizi, ma è anche oggetto di forte e crescente attrazione dall'estero. E’
un capitale che si può valorizzare, e molto”. Sta di fatto che poche università
italiane sono incluse e ben posizionate nei ranking internazionali. «Ai nostri
atenei sono assegnate posizioni inferiori a quelle che meriterebbero. Chi fa le
classifiche adotta criteri in linea con i propri parametri culturali, per lo
più anglosassoni. Le università italiane hanno compiuto comunque grandi
progressi». Che piani ha per "scalare le classifiche"? «Accetto la
battuta perché semplifica le cose, noi però lavoriamo non solo per i ranking ma
perché il nostro ateneo e il sistema universitario italiano siano sempre più
riconosciuti come uno dei punti di eccellenza del Paese. Gli obiettivi
principali ai quali io e l’ateneo, in perfetta intesa con la presidente
Marcegaglia, stiamo lavorando sono tre: internazionalizzazione,
interdisciplinarietà, preparazione di professionisti per imprese private e
istituzioni». Manager pubblici? «Luiss e da sempre vicina anche al mondo delle
istituzioni. L'ambizione è una collocazione analoga a quella dell'alta scuola
francese Ena. L'università dovrebbe essere protagonista nel compito nobile di
formare e riformare la pubblica amministrazione, per renderla più competente,
più trasparente e semplificarne i meccanismi». «Un appello? Meglio parlare di
convinzione e auspicio: le università italiane dovrebbero "fare
sistema", convergere invece di competere. Per affermare a livello
internazionale l’eccellenza culturale e II modello formativo interdisciplinare,
qualità ancora non percepite fino in fondo all’estero. E sulle quali andrebbe
"acceso un faro" con il contributo di tutti, sistema pubblico e
privato». (Fonte: S. Bocconi, Corriere/Economia 22-05-17)
LA PECULIARITÀ AMMINISTRATIVA DELLE
UNIVERSITÀ PUBBLICHE
La
peculiarità delle università pubbliche è che il fondamento costituzionale
dell’autonomia normativa è correlato direttamente alla libertà di ricerca
scientifica e dell’insegnamento (art. 33 co. 1, Cost.) da intendersi entrambe
in senso lato. Autonomia anzitutto organizzativa, poi come libertà di “scelta”
di un proprio ordinamento che disciplini l’Università, precisandosi - a seconda
dei campi d’intervento – in autonomia istituzionale, amministrativa, tecnica,
organizzativa, finanziaria, contabile, correlata come mezzo al raggiungimento
dei propri fini di ricerca e di insegnamento. Le Università possono candidarsi
a pieno titolo a essere luogo di elezione per la sperimentazione di una precoce
informatizzazione dei servizi strumentali da aggiungere ai software gestionali
già approntati dal MIUR. Un software comune a tutti gli Atenei sia per la
gestione del personale e delle relative attività istituzionali (es. progetti di
ricerca) che sia “user friendly” e per gli uffici come per i diretti
interessati, in tutta analogia ai servizi di home banking, sia degli appalti
pubblici. Lo stesso software deve poter consentire di accedere ai propri fondi di
ricerca e di disporre direttamente degli acquisti e delle spese ordinarie per
missioni, forniture correnti, abbonamenti a riviste, libri, conferimento d’incarichi
di ricerca a terzi, fermo restando l’ostensione del fascicolo e la verifica a
campione casuale della conformità della spesa. (Fonte: federalismi.it 05-07-17)
PROBLEMI E PROSPETTIVE PER IL SISTEMA
UNIVERSITARIO SECONDO LA FLC CGIL
La
“valutazione” non deve essere usata come strumento punitivo o premiale,
peraltro a invarianza di risorse, ma come aiuto a individuare le criticità del
sistema e a porvi rimedio. Le politiche di accreditamento e di certificazione
di qualità non devono essere strumento per la censura amministrativa degli
atenei o avere come esito la burocratizzazione degli atenei. Il sistema delle
“classifiche” non funziona. La cosiddetta meritocrazia sta frammentando il
sistema universitario italiano, indebolendolo, e legittima le diseguaglianze.
L’università italiana, questo è un dato certo, ha perso dal 2008 migliaia di
studenti (nonostante il recupero d’immatricolati registrato quest’anno), di
docenti, di personale tecnico-amministrativo e di dottorandi. I governi hanno
ridotto i finanziamenti e l’Italia spende poco per il diritto allo studio,
benché le tasse siano tra le più alte d’Europa. Il nostro paese investe
percentualmente pochissimo nella ricerca. Non servono per l’università ”superdipartimenti”
o ”superprofessori”, non servono risorse come quelle accantonate e non spese
dall’Istituto Italiano di tecnologia, serve più semplicemente incentivare i
giovani allo studio, ridurre il precariato, rinnovare i contratti, sbloccare il
turn cover, dare dignità al lavoro. (Fonte: Flc Cgil 26-06-17)
STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO
LA TENDENZA DELLE IMMATRICOLAZIONI
ALL’UNIVERSITÀ
L'Istat
(L'Italia in cifre, 2016) informa che a tre anni dal titolo è in cerca di
lavoro il 12-13% dei laureati magistrali, il 19-20% dei laureati triennali,
almeno il 30% dei diplomati di scuola superiore e almeno il 40% di chi è senza
diploma. Allora perché le iscrizioni all'università sono in calo? Si verifica
da anni un calo fisiologico degli immatricolati dovuto alla minore natalità,
tuttavia non si sta verificando alcun crollo sistematico di iscritti. Si nota,
invece, una considerevole minore propensione degli studenti a iscriversi a
università del Meridione e a spostarsi dal Sud al Nord per realizzare gli studi
universitari, tendenza che, se permangono gli attuali sistemi di valutazione e
premialità delle università, non è destinata ad esaurirsi. In realtà, in
rapporto al numero di residenti, il sistema educativo italiano mostra dati
piuttosto stabili (Istat, Italia in cifre. 2016): nel 2014/15, il 93% della
popolazione in età 14-18 frequenta una scuola secondaria superiore (era il 93%
anche nel 2005/06, mentre era il 68,3% nel 1990/91) e s'immatricola
all'università il 29,4% dei diciannovenni (era il 30,8% nel 2005/06). Alla
fine, si laureano in Italia circa 300mila giovani ogni anno (I + II livello).
Pertanto, anche se la tendenza è a lentamente ridursi, i grandi numeri
dell'università italiana sono tuttora importanti. Anzi, il numero di laureati
tra i giovani è quasi uguale alla soglia-obiettivo della Ue, in risalita negli
ultimi anni, partendo da posizioni molto sfavorevoli. (Fonte: L. Fabbris,
sussidiario.net 16-06-17)
BORSE DI STUDIO. PER IL 10% DEGLI
IDONEI SOLO “BORSE FANTASMA”
Il
nostro Paese - unico nel panorama europeo - si distingue per la figura
dell’idoneo non beneficiario: uno studente cioè che ha diritto alla borsa, ma
per mancanza di risorse non la ottiene. L’anno scorso il fenomeno è stato
ridotto a oltre 14mila idonei senza borsa, mentre l’anno prima erano circa
48mila. Anche per il prossimo anno accademico 2017/2018 si dovrebbe arrivare a
una copertura intorno al 90% (la soglia massima Isee per accedere alla borsa è
stata ritoccata a 23mila euro). Lo sforzo del Governo non basta comunque a
farci abbandonare le ultime posizioni in Europa per il diritto allo studio;
«Gli idonei sono stati l’8,8% del totale degli iscritti - avverte Elisa
Marchetti, dell’Udu (l’Unione degli universitari) - una percentuale sicuramente
più bassa della media europea. Oltretutto ci sono stati circa 10 mila idonei
non beneficiari, e questi sono iscritti quasi esclusivamente nelle università
del Sud». (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 13-06-17)
CUN. SULL’ESENZIONE/RIDUZIONE DELLE
TASSE UNIVERSITARIE
È
opportuno aumentare le tutele per gli studenti e per gli atenei rendendo la
fascia tra 13.001 e 30.000 euro di ISEE più chiaramente calmierata, garantendo
opportune tutele per gli altri studenti e fornendo a regime un rimborso in FFO
coerente con il mancato gettito – da monitorare in itinere – per non
compromettere la sostenibilità economica prospettica degli atenei pubblici.
(Fonte: https://tinyurl.com/y95ox2h6)
COM’È CAMBIATO L'ERASMUS
Com’è cambiato l'Erasmus in questi anni? “Prima di tutto c'e stato un
aumento esponenziale dei ragazzi che hanno aderito. Siamo partiti con appena
220 universitari italiani e 3.244 in totale nel 1987, per arrivare a 33.977
italiani e 291.121 partecipanti complessivi nel 2016. Il progetto è stato
esteso oltre l'Europa, ai Paesi dello Spazio Economico Comune (Islanda, Liechtenstein
e Norvegia), alla Turchia, alla Macedonia e ad altre nazioni. Qual è stato il
ruolo dell'Italia?
«Dal 1987, considerando solo il nostro Paese, hanno partecipato al
programma ben 300mila studenti, circa il 10% del totale. Questo dato pone
l'Italia tra i quattro principali Paesi per studenti in partenza verso diverse
destinazioni”. Ci sono mete più richieste di altre? «Gli italiani prediligono
la Spagna, anche per motivi di vicinanza linguistica e culturale. Seguono
Portogallo, Francia, Regno Unito e Germania. Ultimamente comunque le novità
sono state molte e alcune università stanno sviluppando progetti specifici con
Russia, Georgia, Serbia, Israele e Albania”. (Fonte: L. Ciardi, QN E&L
22-05-17)
ERASMUS. GLI STUDENTI ITALIANI
ALL'ESTERO AUMENTERANNO DI OLTRE IL 40%
Per
l’anno accademico 2017/2018 l’Agenzia ha attribuito i fondi per finanziare le
attività di mobilità Erasmus+ di 32.109 studenti italiani. Tuttavia, sulla base
dei numeri della partecipazione negli anni precedenti, si stima una crescita di
oltre il 40% del numero degli studenti in partenza dagli Atenei italiani, in
conformità a una diversa distribuzione delle borse di mobilità. Ciò significa
che gli universitari italiani in uscita nel 2017/18 saranno oltre 41mila. Per
quanto riguarda l’anno accademico in corso (2016/2017), il budget disponibile
in Italia per finanziare attività di mobilità e progetti di cooperazione per il
settore Università è di 72 milioni di euro. L’Agenzia ha impiegato il 95,6% del
budget disponibile e ha utilizzato i fondi restanti per finanziare le borse
Erasmus di studenti e personale universitario con bisogni speciali. (Fonte:
Avvenire 06-07-17)
I COSTI STANDARD DEGLI ATENEI NEL
MIRINO DELLA CONSULTA
Una recentissima sentenza della Corte Costituzionale, la 104 dell’11 maggio,
ha puntualizzato un aspetto assai rilevante per la determinazione del costo
standard degli studenti universitari, novità assai significativa per la
definizione del finanziamento delle Università. Il DLgs del 2012 con il quale
il Governo ha attuato la delega, nell’art. 8, definisce così il costo standard:
“Il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la
durata normale del corso di studio, determinato in considerazione della
tipologia di corso, delle dimensioni dell’ateneo e dei differenti contesti
economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera ciascuna università.”
Questo contesto normativo, a giudizio del TAR del Lazio che ha rimesso
la questione alla Corte, sarebbe illegittimo, violando l’art. 76 della
Costituzione, perché demanda per intero a decreti ministeriali l’individuazione
degli indici in base ai quali determinare il costo standard, nonché le
percentuali del finanziamento da ripartire in base a tale criterio. Saremmo alla
presenza di poteri ministeriali svincolati da adeguati criteri di indirizzo con
conseguente violazione degli articoli 33, 34 e 97 della Costituzione. Il
decreto legislativo non ha affidato ad atti successivi l’esecuzione di scelte
ben delineate nelle loro linee fondamentali. “Ha, invece, lasciato
indeterminati aspetti essenziali della nuova disciplina, dislocando, di fatto,
l’esercizio della funzione normativa del Governo, nella sua collegialità, ai
singoli Ministri competenti, e declassando la relativa disciplina a livello di
fonti sub-legislative con tutte le
conseguenze, anche di natura giurisdizionale, che una tale ricollocazione
comporta sul piano ordinamentale”. (Fonte: F. Matarazzo, www.edizioniconoscenza.it maggio
2017)
La
Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi i costi standard nelle
università: il parametro con cui sono stati assegnati finora 3,5 miliardi dal
2014 - primo anno di loro applicazione - al 2016 con il riparto del Ffo (il
Fondo ordinario di finanziamento). Nel mirino della Corte costituzionale sono
finiti l'articolo 8 e 10 del Dlgs 49/2012 - dichiarati illegittimi - che
applicando la legge Gelmini (non bocciata dai giudici) hanno tracciato
l'identikit del costo standard negli atenei, i primi a sperimentarli nella Pa.
Questo criterio mira a definire quanto uno studente frequentante dovrebbe
costare all'ateneo (in base a cattedre, servizi, strutture, ecc.). E quindi
quanto vale poi nella distribuzione dei fondi che avviene ogni anno con il Ffo
dove i costi standard hanno conquistato sempre più peso ai danni della spesa
storica, passando dal 20% (982 milioni) nel 2014, al 25% (1,2 miliardi) nel
2015 fino al 28% (1,3 miliardi) nel 2016. Il nodo sottolineato dalla sentenza
si basa sul fatto che il Governo scrivendo il DLgs 49 ha commesso due errori,
demandando per intero ai decreti ministeriali l'individuazione degli indici in
base ai quali determinare il costo standard, ma anche le percentuali del Ffo da
dividere in base al costo standard. Invece al Governo - spiega la Consulta -
«era stato conferito il compito di individuare quantomeno gli indici per la
quantificazione e di dettare disposizioni in merito alla valorizzazione del
costo standard, ossia al suo collegamento con una parte del Ffo». Un compito cui
«si è sottratto» con un "deficit di delega". (Fonte: M. Bortoloni,
IlSole24Ore 12-05-17)
BORSE DI STUDIO. AZZERARE LE
SPEREQUAZIONI TERRITORIALI
I
dati comunicati dagli enti per il diritto allo studio fotografano ancora una volta
un'Italia spaccata in due. Se da un lato, le Regioni che garantiscono la borsa
di studio a tutti gli idonei e mantengono i requisiti di reddito al massimo
possibile sono sensibilmente aumentate negli anni, dall'altro, i dati di
moltissime Regioni rimangono drammatici. A Napoli e Salerno gli idonei che
hanno ottenuto la prima rata della borsa di studio sono solo il 55%, con una
soglia Isee per l’accesso ai benefici ancora ferma a 15.900 euro, in Calabria
il 67% e in Sicilia l’80%. Anche in Veneto e Puglia la situazione rimane
difficile, in entrambe le regioni più di 1500 studenti stanno ancora aspettando
la prima rata della borsa di studio. Per azzerare le sperequazioni territoriali
è innanzitutto necessario innalzare le soglie Isee in tutte le Regioni fino a
23mila euro e l’Ispe a 50mila, cioè fino alle soglie massime, appena confermate
anche per il prossimo anno accademico. Inoltre, è urgente rivedere il riparto
del Fondo Integrativo Statale come previsto dalla legge di stabilità 2017,
garantendone l'erogazione entro il 30 settembre. Come indicato dal Consiglio
nazionale degli studenti universitari, bisogna passare da un sistema imperniato
sulla spesa delle Regioni a uno più attento ai fabbisogni regionali, da
calcolare sulla base del numero degli idonei alla borsa di studio, del numero
di posti alloggio destinati agli idonei fuori sede, dei contributi di mobilità
internazionale erogati e del numero dei pasti erogati agli studenti. In questo
momento ci sono Regioni come la Lombardia che con 14.798 idonei ha ottenuto
23,1 milioni o il Lazio che con 14.535 idonei ha ottenuto 29 milioni, a fronte
di Regioni che, con pochi meno idonei, ottengono molto meno: è il caso per
esempio di Campania e Sicilia che con rispettivamente 11.701 e 13.456 idonei
hanno ottenuto un fondo integrativo statale più che dimezzato, di soli 7,7 e 13
milioni. (Fonte: A. Torti, Sole S 24 18-06-17)
TEST DI AMMISSIONE. DA INTEGRARE
L’intera
questione dei test d’ingresso ai corsi di laurea a numero chiuso andrebbe
ripensata. L’anno scorso l’ex rettore di Bologna Ivano Dionigi aveva dichiarato:
“Il test non basta. Credo che un colloquio sarebbe importante, ma per 10.000
ragazzi vorrebbe dire strutture, personale, laboratori, risorse, investimenti
che non ci sono. Quello del test è un ripiego frettoloso da scuola-guida che
serve a lavarsi la coscienza e a risparmiare. Laddove la scuola fosse la
priorità, allora ci sarebbero un colloquio, una prova scritta, il test, e si
terrebbe conto del curriculum dello studente”. (Fonte: F. Tonello, IlBo
09-07-17)
NUMERO CHIUSO. IL CONSIGLIO DI STATO
CHIEDE AL TAR DI “VALUTARE LEGITTIMITÀ RIDUZIONE POSTI PER FABBISOGNO
PRODUTTIVITÀ NAZIONALE”
Il
Consiglio di Stato chiede al Tar di “valutare legittimità riduzione posti per
fabbisogno produttività nazionale”. Sarà il Tribunale Amministrativo quello
chiamato ora a valutare riapertura delle graduatorie. Per la prima volta è
messa in discussione la riduzione dei posti alla facoltà di Medicina, operata
in virtù di quello che in ambito giuridico viene definito il “fabbisogno
produttivo nazionale” e non solo sulla base delle effettive capacità ricettive
delle università. «Il Consiglio di Stato – entra nei dettagli l’avvocato Marco
Tortorella, che ha patrocinato i ricorsi per Consulcesi – attraverso le
ordinanze cautelari del 25 maggio scorso ha ritenuto meritevole di
approfondimento la questione della illegittimità della riduzione dei posti
disponibili a livello nazionale per opera del MIUR in base appunto al
“fabbisogno produttivo nazionale”. L’ammissibilità di tale parametro e i
criteri di determinazione non erano mai stati adeguatamente valutati dai
Giudici amministrativi». Se la censura fosse accolta, diverrebbe illegittima la
riduzione dei posti resi disponibili dal MIUR rispetto a quelli indicati dagli
atenei in numero maggiore. Questo porterebbe come immediata conseguenza alla
riapertura della graduatoria all’ammissione dei ricorrenti. (Fonte: www.corriereuniv.it 14-06-17)
NUOVE REGOLE PER IL COSTO STANDARD
Sono
inserite nel Decreto Legge per il Mezzogiorno, dopo la bocciatura da parte
della Corte Costituzionale. Rimangono molte e importanti le criticità del
provvedimento. Confermata l’esclusione degli studenti fuori corso dal calcolo
del costo standard. Le numerosità di riferimento, anche con il nuovo costo
standard, potranno essere modificate dal MIUR stesso con un meccanismo simile
al precedente: il MIUR potrà decidere per quali corsi si dovrà tener conto
delle numerosità per l’accreditamento e quali, invece, potranno avere
numerosità alleggerite da ‘bonus’. Viene pure varata una sorta di
"sanatoria retroattiva" per le assegnazioni già disposte per gli
anni 2014, 2015 e 2016. Reggerà? Il dettaglio degli indicatori sarà deciso
attraverso un decreto ministeriale del MIUR, sentiti CRUI e ANVUR,
ufficializzando il passaggio alla CRUI che, però, non riveste il ruolo di
istituzione pubblica, ma continua a rimanere un soggetto di diritto privato.
Per chiudere, quanto è solido il nuovo costo standard? Una domanda lecita, poiché,
invece di creare veramente una nuova norma primaria si procede con vecchie
normative, direttamente connesse a norme dichiarate illegittime dalla Corte
Costituzionale. (Fonte: Roars 28-06-17)
Nel
comunicato di LINK-Coordinamento Universitario si legge fra l’altro: Il nuovo
costo standard approvato dal Governo è invariato rispetto alla precedente
formulazione e gli studenti fuori corso rimangono esclusi dal computo dei
finanziamenti, nonostante le forti critiche degli studenti e di gran parte
della comunità accademica. Unica novità è l’introduzione di un’ulteriore quota
perequativa che potrà far variare il costo standard al massimo del 10% della
media nazionale, in base alla rete di trasporti e collegamenti a disposizione
delle università. La definizione dei parametri con cui sarà definita questa e
le altre quote del costo standard saranno specificate con un decreto attuativo
da emanare entro 60 giorni, a seguito della consultazione con ANVUR e CRUI. Riteniamo
che la scelta di includere la CRUI, ente di diritto privato, escludendo gli
organi consultivi del MIUR, come CUN e CNSU, sia !ennesima dimostrazione della
mancanza di confronto con gli studenti e la comunità accademica tutta. (Fonte:
Orizzonte scuola 28-06-17)
VARIE
COLLABORAZIONE CUN-CNGR PER ANDARE
OLTRE IL SISTEMA DEI SETTORI SCIENTIFICO- DISCIPLINARI
Un
comunicato del CUN informa dell’avvio di un lavoro congiunto che coinvolgerà il
CUN, titolare ex lege delle competenze per determinare i settori e il CNGR
(Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca), competente in merito alle
problematiche concernenti la valutazione dei progetti di ricerca. Da tempo
ormai, e da più parti, è diffusa la consapevolezza che l’attuale organizzazione
delle discipline in settori scientifico-disciplinari (SSD), cui si sono
aggiunti, per le necessità delle nuove procedure di reclutamento introdotte
dalla legge n.240/2010, i Settori Concorsuali (SC) e i Macro Settori
Concorsuali (MSC), quali articolazioni interne alle Aree Disciplinari CUN,
meriti nuove riflessioni. A questa necessità è diretto il lavoro congiunto che
si avvia tra l’Organo, il Consiglio Universitario Nazionale, titolare ex lege
delle competenze a determinare i settori, e l’Organo, il Comitato Nazionale dei
Garanti per la Ricerca, competente in merito alla valutazione delle varie
tipologie di progettualità di ricerca e al confronto internazionale della
classificazione dei progetti scientifici e dei relativi valutatori. A tale
scopo è stato nominato un Gruppo di Lavoro paritetico costituito dai Presidenti
del CUN e del CNGR (ex officio), dai proff. G. Baldassarri, F. Laquaniti e A.
Vicino per il CUN e dai proff. P. Bisiacchi, M. Li Calzi e G. Tortora per il
CNGR. (Fonte: CUN e Red.ne Roars 17-06-17)
CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. UNA RISPOSTA
PARTE DALLE UNIVERSITÀ
Di
fronte alle trasformazioni camaleontiche della mafia e alla sua presenza sempre
più capillare a livello locale, una risposta parte dalle università.
“Ultimamente – spiega Enzo Ciconte, docente di ‘Storia della criminalità
organizzata’ a Roma Tre e ‘Storia delle mafie italiane’ a Pavia, – l’università
si sta svegliando. Undici anni fa sono stato il primo a insegnare storia della
criminalità organizzata a Roma Tre. Oggi diverse università tengono corsi
simili, anche se fanno eccezione le cattedre dedicate proprio a questa materia.
Certo c’è un enorme ritardo culturale riscontrabile anche all’interno del
Ministero che non ha mai voluto bandire concorsi per cattedre di questo tipo”.
Anche Antonelli della Luiss indica nell’università la culla per far nascere la
cultura della legalità e creare così gli anticorpi contro la criminalità. “La
lotta alla mafia – spiega – si combatte non solo col mero rispetto delle
regole, ma con la legalità dei diritti. Oggi la mafia colpisce quando lo Stato
non riesce a garantire i diritti. L’idea è portare avanti una legalità dei
diritti, non solo la repressione. E l’Università può essere la culla dove
matura questa cultura”. Un’iniziativa che va in questa direzione, esemplifica
Antonelli, è quella che ha portato avanti l’università Luiss che, grazie a un
accordo con l’associazione Libera, consente agli studenti di fare un periodo di
volontariato estivo nelle cooperative che gestiscono i BENI confiscati alla
mafia. (Fonte: S. Rossitto, Roars 15-06-17)
STATI GENERALI PER LA PROMOZIONE
ALL’ESTERO DELLA FORMAZIONE SUPERIORE ITALIANA
“Strategia”
è il termine usato negli Stati generali per la promozione all’estero della
formazione superiore italiana: un simposio che ha visto collaborare ministero
degli Esteri, MIUR e Crui nella stesura di un documento che prefigura l’azione
congiunta con cui dicasteri e conferenza dei rettori intendono rendere
l’università italiana sempre meno vincolata a contesti puramente regionali e
territoriali. Il rapporto riassume le conclusioni del gruppo di lavoro
istituito un anno fa per avanzare proposte di promozione del nostro sistema
universitario oltre i confini nazionali. Tra le azioni suggerite, la mappatura
generale degli studenti internazionali già presenti nel sistema italiano,
comprendendo anche categorie normalmente non al centro dell’attenzione: ad
esempio gli iscritti di cittadinanza italiana che, pur in possesso di un titolo
di studio superiore estero, abbiano scelto di tornare da noi per la formazione
universitaria. Un capitolo fondamentale è la semplificazione dei passaggi per
riconoscere i titoli esteri e garantire i visti necessari per i periodi di
studio. Nella strategia di promozione all’estero del nostro sistema accademico,
un ruolo particolare sarà attribuito al portale Universitaly: da pura vetrina
di divulgazione dell’offerta formativa, diverrà un portale interattivo pensato
anche per gli studenti internazionali, che potranno compiere via web parte
delle procedure necessarie per venire a studiare in Italia. (Fonte: M. Periti.
IlBo 10-05-17)
LE ORGANIZZAZIONI SINDACALI LAMENTANO
IL RIFIUTO DEL MIUR A UN CONFRONTO SUI PRECARI
Le
organizzazioni sindacali e le associazioni universitarie hanno condiviso un
documento in cui, a fronte della drammatica situazione in cui versa il sistema
universitario, si registra l’inaccettabile comportamento del MIUR che rifiuta
il confronto, in particolare sul tema del precariato. Le organizzazioni
sindacali e le associazioni universitarie rivendicano l’apertura di un vero
confronto e la necessità di un piano straordinario di interventi a partire dal
reclutamento di 20.000 posti di ruolo. (Fonte: FLCCGIL 18-07-17)
UNIVERSITÀ IN ITALIA
UNIBO TRA LE QUATTRO UNIVERSITÀ
ITALIANE CLASSIFICATESI TRA LE PRIME 200 AL MONDO
Quattro
università italiane per la prima volta si sono classificate tra le prime 200 al
mondo secondo una delle più note classifiche internazionali, il QS World
University Rankings: Politecnico di Milano (170° posto, guadagnando 13
posizioni e confermandosi prima università italiana); Università di Bologna
(188°, sale di 20 posizioni); e per la prima volta entrano Scuola Superiore
Sant'Anna Pisa e Scuola Normale Superiore (entrambe al 192° posto). “È un
risultato di cui siamo molto soddisfatti, che va a premiare gli sforzi messi in
campo in questi anni per rendere l'Alma Mater un punto di riferimento a livello
internazionale”. Lo dichiara il Rettore dell'Università di Bologna, Francesco
Ubertini, commentando l'ingresso dell'Alma Mater nel 'top 200' degli atenei
mondiali. Considerando che nel mondo esistono circa 26mila università - rileva
lo studio QS World University Ranking - l'Alma Mater rientra quindi ora nell'1%
dei migliori atenei a livello globale. Reputazione accademica, opinione del
mondo delle imprese, citazioni scientifiche, numero di studenti e
internazionalizzazione sono i parametri presi in considerazione per comporre il
ranking. L'Alma Mater - che ottiene buoni o ottimi piazzamenti in tutte le voci
- brilla in particolare nell’Academic Reputation, l'indicatore di maggior peso
per formulare il giudizio complessivo sull'ateneo: 77° posto a livello mondiale
e prima posizione tra le università italiane. Molto bene anche l’Employer
Reputation, calcolata da QS intervistando oltre 44mila aziende e imprese in
tutto il mondo: Unibo guadagna 35 posizioni rispetto allo scorso anno. Altro
risultato di rilievo è quello legato alle citazioni ottenute dalla ricerca
Unibo (Citations per Faculty): considerando questo indicatore, l'Alma Mater
guadagna ben 57 posizioni. (Fonte: IlSole24Ore 08-06-17)
UNIBO. NELLA GARA DEI DIPARTIMENTI
L’università
di Bologna ha 28 dei suoi 33 dipartimenti nella lista degli ammessi alla gara
per il super-premio, ma solo 15 potranno aspirare a ottenerlo. Secondo quanto
stabilito nella Legge di bilancio 2017, dovrà essere l’università stessa a
procedere a questa prima selezione. Non voglio neppure pensare a quel che
accadrà fra i colleghi e nei dipartimenti della nostra più antica università e
rimango convinto che siano altre le strade che conducono a un’istruzione di
qualità, equa e inclusiva. Quella di far crescere la qualità di pochi spingendo
gli altri verso il declino è una pericolosa illusione, che ci allontana dallo
spirito e dagli obiettivi dell’Agenda 2030. E che rischia a mio avviso, prima
di tutto, di allontanarci dallo spirito e dalla lettera della nostra
Costituzione. (Fonte: S. Semplici, Roars 09-07-17)
UNIBO. ASSEGNISTI DI RICERCA IN
SCADENZA
A
livello nazionale, secondo la banca dati MIUR, gli assegnisti di ricerca in
scadenza da qui a dicembre sono 440 su 13.623. I primi. Ma saranno almeno
mille, stimano i ricercatori, quelli che nel giro di due anni dovranno fare le
valigie. In particolare nelle aree scientifiche. A Bologna sono 79 quelli a
termine nel 2017 e 120 quelli al penultimo anno di assegno. In tutto gli
assegnisti dell’Alma Mater sono 1.187: 168 al quarto anno, 193 al terzo, 259 al
secondo. (Fonte: I. Venturi, R.it Bologna 1107-17)
UNIBO. PIÙ CHE RADDOPPIATE LE DOMANDE
DI DOTTORATO
L’Alma
Mater ha registrato un boom delle domande di dottorato: 5.996 contro le 2.288
del 2016. Quest’anno sono stati stanziati 2 milioni e mezzo in più per le borse
di dottorato ed è stata abolita la tassa di iscrizione (Fonte: La Repubblica
Bologna 13-06-17)
UNIBO. UNA CONVENZIONE PER LA RICERCA
FIRMATA DA UNIBO E CNA
Favorire
la nascita di start up innovative, rafforzare la collaborazione tra Ateneo e
imprese, facilitare l’inserimento nelle aziende bolognesi di stagisti
provenienti dal mondo universitario. Sono questi i tre punti forti della convenzione
firmata, oggi, dal rettore dell’Università di Bologna Francesco Ubertini e dal
direttore generale della Cna di Bologna Cinzia Barbieri.
La convenzione avrà una durata di
cinque anni e ne rinnova una precedente siglata da Ateneo e Cna nel 2011.
Un’esperienza che ha dato buoni frutti: in questi anni dalla collaborazione tra
Cna e Università di Bologna sono nate diverse start up innovative costituite da
imprenditori di Innovanet (il gruppo degli imprenditori innovatori di Cna Bologna)
e da ricercatori universitari. Per i prossimi anni la partnership Cna ed Ateneo
sarà sempre più all’insegna delle start up innovative e dell’impresa 4.0.
Questi anni poi sono sempre più caratterizzati dallo sviluppo dell’impresa 4.0,
anche grazie ai forti investimenti nazionali nel Piano Industria 4.0. Cna è già
un Digital Innovation Hub in grado di rendere concrete per le aziende le
opportunità del Piano, l’Università può diventare un Competence Center come
previsto dal Piano e quindi essere un punto di eccellenza per le aziende
innovative che nello spirito dell’impresa 4.0 chiedono ricerca applicata,
inserimento di tirocini, formazione universitaria”. (Fonte: www.magazine.unibo.it 06-07-17)
UNIBOCCONI SETTIMA AL MONDO PER LAUREA
IN FINANZA
Lo
stretto legame con il mondo della finanza internazionale e l'efficienza del
servizio di placement dei laureati sono valsi all'Università Bocconi un
avanzamento di due posizioni, al 7/mo posto al mondo, nel ranking dei Global
Masters in Finance, pubblicato dal Financial Times. Il programma valutato dal
quotidiano londinese è il corso di laurea magistrale in finanza in inglese
(Master of Science in Finance). Tra i 19 criteri utilizzati dal Financial Times
per valutare i Master of Science in Finance, la Bocconi - si legge in una nota
- spicca per quelli legati al rapporto con il mondo del lavoro: il career
service (primo al mondo) e la retribuzione dei laureati. Il fatto che il 97%
dei docenti del programma possegga un PhD è, inoltre, segnale dello stretto
legame dell'insegnamento con la ricerca più avanzata. (Fonte: ANSA.it 19-06-17)
UNINETTUNO. LA MIGLIORE TRA LE PRIME
CINQUE UNIVERSITÀ A DISTANZA
Uninettuno
promossa a pieni voti dall’ANVUR: è risultata la migliore tra le prime cinque università
a distanza finora accreditate dall’Agenzia di valutazione. Uninettuno in una
nota ricorda la sua offerta formativa: corsi universitari in cinque lingue
(italiano, inglese, francese arabo e greco), sei facoltà, venticinque corsi di
laurea e oltre 140 sedi d’esame nel mondo. (Fonte: www.scuola24.ilsole24ore.com
05-05-17))
UNIPG. NASCE IL CORSO DI DOTTORATO
(PH.D) IN DATA SCIENCE
A
Pisa nasce il corso di dottorato (Ph.D) in Data Science. Università di Pisa,
Scuola Normale, Scuola Sant’Anna, Scuola IMT Alti Studi Lucca e CNR,
rilasceranno il massimo titolo accademico universitario, il diploma
internazionale di Ph.D (equivalente a quello italiano di Dottore di Ricerca)
nella disciplina che studia i “Big Data” e l’impatto che la “Data Science” ha
sulla società e sulla scienza nel suo complesso. (Fonte: unipinews 16-06-17)
UE. ESTERO
EUROPE. THE DIGITAL FUTURE OF EUROPEAN
STUDENT CARDS
Information
technology experts across the continent recently came together to discuss the
development of a student card that
can be used across Europe, allowing students to use services and move more
freely and seamlessly across borders and across institutional frameworks.
(Fonte: https://tinyurl.com/725wlyg 03-07-17)
EUROPE IS STRUGGLING TO CATCH UP WITH
THE US ON PRODUCING IMPORTANT SCIENCE AND IS IN DANGER OF BEING OVERTAKEN BY
CHINA AND OTHER ASIAN COUNTRIES
Published
in the Science and Public Policy journal, “European paradox or delusion – are
European science and economy outdated?” looked at the 495 most highly cited
papers every third year from 1990 to 2011, across four fields: chemistry,
physics, clinical medicine, and biochemistry and molecular biology. In total,
15,840 papers were analysed. In each field, the paper concludes, the number of
papers produced in the US was typically one-and-a-half to three times higher
than the EU’s count. While the EU was making progress in each field, this
appeared largely attributable to US collaboration, not European achievements
alone. And, in “hot areas” of research such as graphene – in which European
researchers made the initial breakthrough – Asian nations such as China and
South Korea had already overtaken the UK and Germany in producing highly cited
papers by 2013.
However,
Sir Richard Roberts, joint winner of the 1993 Nobel Prize for Physiology or
Medicine and chief scientific officer of Massachusetts-based bioscience
supplier New England Biolabs, noted that the paper “relies on citation data and
bibliographic measures of quality”, which he believes is a “very flawed way of
judging good quality science”. “In my own field, I see no difference between
the quality of science produced in Europe and in the US,” he said.
Jean-Pierre
Bourguignon, president of the European Research Council, said the “idea that
Europe lags behind the US in terms of research with the highest impact” was one
of the major rationales behind the ERC’s formation. “Ten years [on], there is
already evidence the ERC is making a difference at this level,” he said. “It is
very pleasing to see the results of a [recent] independent report by Clarivate
Analytics [acknowledging] the breadth, quality and frontier nature of
ERC-funded research. “It also establishes that the gap between the research
performance of the US and the EU countries has narrowed…since the ERC was
established.” (Fonte: J. Elmes, https://www.timeshighereducation.com/news/europe-struggling-to-catch-us-on-high-impact-science
08-07-17
SPESE IN SCIENZA E TECNOLOGIA NELLE
AREE EUROPEE
La
situazione dal 2010 a oggi è peggiorata con l’Italia che ha tagliato il 20%
dell’intero budget del finanziamento universitario, mentre, ad esempio in
Germania dal 2005 la spesa scientifica generale del governo federale è
aumentata di un enorme 60% – da 9 miliardi di euro fino a circa 14,4 miliardi
di euro nel 2013. Non è un caso che anche la ricerca industriale abbia
prosperato: la Germania è ormai vicina a spendere il 3% del suo prodotto
interno lordo sulla scienza e la tecnologia, un obiettivo fondamentale della
strategia di crescita dell’Unione europea 2020 che solamente Finlandia, Svezia
e Danimarca hanno rispettato finora. Tradotto in cifre nell’area della
Germania, dove ancora regge la competitività nel mondo globalizzato, si
spendono 635 dollari per abitante in istruzione terziaria, contro i 489
dell’area anglo-francese, i 340 dell’area mediterranea e i 202 dell’area
orientale. Questo significa che nell’Europa settentrionale si spende il doppio
per l’università rispetto ai paesi mediterranei e il 30% in più rispetto
all’area anglo-francese. Nell’area della Germania s’investono in ricerca e
sviluppo 162 miliardi di dollari l’anno, una cifra superiore del 53% a quella
dell’area anglo-francese e addirittura del 245% a quella dell’area
mediterranea. Questa situazione si ripercuote ovviamente nella produzione beni
e servizi ad alta tecnologia e nella capacità d’innovazione (ad esempio
nell’area tedesca in un anno si producono 2,4 volte più brevetti che nell’area
anglo-francese e addirittura 5,4 volte più che nell’area mediterranea). (Fonte:
F. Sylos Labini, Roars 26-05-17)
FRENCH SCIENTISTS SAY THEY’RE RELIEVED
AND HAPPY THAT THEIR COUNTRY’S NEXT PRESIDENT WILL BE EMMANUEL MACRON
French
research bodies rarely take overt positions on elections, but this one was
different. France’s academy of science, the heads of nine national research
agencies and many prominent scientists had all made public appeals against Le
Pen’s party ahead of Sunday’s head-to-head vote, arguing that the Front
National’s illiberal and anti-immigrant views threatened the tolerant, open and
democratic environment in which science and evidence-based policy thrives.
"Unlike the Front National, Emmanuel Macron bears the republican and
humanist values that we defend, and which constitute the DNA of
universities," says Gilles Roussel, who heads France's Conference of
University Presidents, which in April had called for a vote against Le Pen.
Thierry Coulhon, a mathematician and president of the PSL Research University
in Paris says that Macron aims to free up innovation in universities by
decentralizing power and reducing bureaucracy; in particular, Macron intends to
let universities hire lecturers and researchers without having to wait for a
central administration in Paris to approve appointments. Coulhon expects that
Macron’s policies on France’s national research agencies will be more about continuity,
with less need for major reforms. (Fonte: D. Butler, Nature News 08-05-17)
GRECIA. RIFORMA DEL GOVERNO
TSIPRAS ELIMINA GLI ISTITUTI PRIVATI PER LA PREPARAZIONE AGLI ESAMI DI ACCESSO
ALLE UNIVERSITÀ
Uno dei capisaldi della riforma della “Buona scuola” in salsa ellenica,
annunciata da Tsipras, è proprio la valorizzazione della scuola pubblica e
l’eliminazione dei famigerati frontistiria, che da decenni si arricchiscono sui
sogni dei genitori greci riguardo al futuro della prole. Sì, perché le famiglie
elleniche sono forse le uniche, in Europa, a pagare 600 euro il mese, circa
5000 euro l’anno, per preparare i propri figli agli esami di ammissione
all’università. E questa cifra va moltiplicata per almeno gli ultimi tre anni
scolastici delle superiori. I ragazzi greci sono gli unici a frequentare, oltre
alla scuola pubblica la mattina, anche circa tre-quattro ore di frontistirio
ogni pomeriggio. Questi ultimi sono istituti privati che preparano appunto agli
esami ufficiali panellenici che ogni estate decidono la sorte universitaria di
ogni studente. Il loro costo è un salasso, tanto più in un paese che dal 2008
attraversa la peggiore crisi economica della sua storia. (Fonte: G. Lyghounis, www.balcanicaucaso.org 18-05-17)
ALTERNATIVE AI BLASONATI
ATENEI INGLESI
Già oggi, con la Gran Bretagna ancora nell’Unione europea, a Oxford o a
Cambridge si paga una retta tra i 9.250 e i 10.900 euro l’anno. Anche il costo
della vita in Belgio è minore: sul sito dell’ateneo di Leuven si suggerisce di
mettere a budget una spesa media per vitto e alloggio di circa 7.500 euro l’anno,
mentre sul sito di Cambridge è indicata una cifra di almeno 10.500 euro.
Nella classifica Arwu il Politecnico
federale di Zurigo è 19°, addirittura tre posizioni sopra all’Imperial
College di Londra, mentre nella graduatoria Reuters dell’innovazione si
aggiudica un più che dignitoso undicesimo posto. Qui i corsi in inglese sono
rari, perché la lingua ufficiale delle lezioni è il tedesco, ma a sorpresa le
tasse sono molto basse: in tutto, un migliaio di euro l’anno. Certo, il costo
della vita in Svizzera è molto elevato: gli esperti del Politecnico di Zurigo
ritengono opportuno avere in tasca almeno 20mila euro l’anno.
Chi è orientato sulle materie tecniche, piuttosto, dovrebbe far rotta
sulla Technische Universität di Monaco,
in Germania: oltre ai corsi di laurea in tedesco, ne offre almeno quattro in
inglese e la sua retta è di soli 250 euro l’anno, cui va sommato un costo della
vita inferiore a quello di Zurigo. Anche il Politecnico
di Delft, in Olanda, potrebbe essere una risorsa, con le sue lezioni tutte
in inglese, una retta da 2mila euro e un’invidiabile posizione all’ottavo posto
nella graduatoria degli atenei più innovativi.
Chi è interessato alle materie scientifiche potrebbe optare per la Pierre et Marie Curie di Parigi,
altrimenti nota come Paris 6, che nella stessa classifica è 39esima ed è meglio
posizionata nella graduatoria dell’innovazione (settima, a fronte del 16° posto
di Manchester). Studiare a Paris 6 costa al massimo 606 euro l’anno e per
vivere nel campus, tra vitto e alloggio, vanno messi in conto 1.072 euro il
mese.
Per medicina un’ottima opzione è il Karolinska
Institute, vicino a Stoccolma, 44° nella graduatoria Arwu, praticamente
allo stesso livello dell’Università di Edimburgo (41esima). L’ateneo svedese,
che forma solo medici, fa lezione in inglese e non prevede tasse universitarie.
E l’Irlanda? Le sue università hanno campus all’inglese e, grazie alla
Free Fees Initiative del governo, se si è cittadini Ue costano solo 3mila euro l’anno
di retta.
(Fonte: M. Cappellini, IlSole24Ore 22-05-17)
UK. LA REF (RESEARCH EXERCISE
FRAMEWORK) HA RINUNCIATO AGLI INDICATORI BIBLIOMETRICI
Nel
Regno Unito, per l'equivalente della nostra VQR - la Ref (Research Exercise
Framework) pubblicata nel 2014 - hanno rinunciato alla scorciatoia degli
indicatori bibliometrici dopo uno studio pilota tra il 2008-09 che ne ha stimata
la capacità di misurare la qualità. Il responso, del 2011, ha rivelato che ci
sono "troppi difetti e problemi con tali indicatori," e che "non
sono abbastanza robusti da sostituire la peer review," si legge sul sito
della Ref. Si è scoperto che l'indicatore delle citazioni sfavorisce le donne:
"L'uso delle citazioni introduce pregiudizi di genere", spiega Graeme
Rosenberg, Manager della Ref in un rapporto del 2015: sono citati molto di più
gli articoli i cui autori sono uomini. Anche questo "ci ha spinto a
ridurre ulteriormente l'appetito per l'utilizzo delle citazioni.".Per la
Ref è stato adottato il criterio della peer review, per valutare190 mila
pubblicazioni e comporre le pagelle di 154 istituti. (Fonte: FQ 11-07-17)
UK. L’UNIVERSITÀ DI MANCHESTER RIDUCE
I COSTI DEL PERSONALE PROGETTANDO 171 LICENZIAMENTI
Per
sottrarsi ai licenziamenti fatti in nome dell’eccellenza accademica, non basta
avere tra i docenti tre premi Nobel e primeggiare nelle classifiche nazionali e
internazionali (l’ateneo in questione è 35esimo a livello mondiale nella
classifica ARWU). L’Università di Manchester sta progettando 171 licenziamenti,
principalmente di personale accademico. Una dolorosa necessità per far fronte
alle crepe nel bilancio? A dire il vero nell’anno 2015/2016 l’attivo ha
sfiorato i 60 milioni di sterline. Colpa dei debiti accumulati? Se si sfoglia
il rapporto finanziario, risulta che l’università ha messo da parte un
“tesoretto” di 1,5 miliardi di sterline, con una liquidità pari a 430 milioni. Questa
la spiegazione da parte del portavoce dell’università: «The University of
Manchester has a bold ambition to be a world leading institution, with a
reputation based on academic excellence. In order to meet this ambition, we
must improve the quality of our research and student experience in some areas
and ensure the financial sustainability of the university. Realising this
ambition will require a capacity to invest in our strategic priorities. We have
detailed plans for significant growth in funds from a range of activities, but
we will also need to make cost savings.». Come riporta il Guardian, dietro la
retorica dell’eccellenza potrebbe esserci il piano di ridurre i costi del
personale tramite la sostituzione di personale “senior” con nuove posizioni
“junior” meno retribuite. (Fonte: Red.ne Roars 18-06-17)
TURKEY. DROP IN RESEARCH OUTPUT AFTER
PURGE OF ACADEMICS
A
new report claims that the short-term effects of the large-scale purge carried
out by the Turkish government since the failed coup attempt a year ago include
a 28% drop in research output of academics based in Turkey in 2017. (Fonte: https://tinyurl.com/725wlyg 03-07-17)
RUSSIA. INAUGURATO IL 26 MAGGIO A
MOSCA IL MONUMENTO DEDICATO ALL'ANANONYMOUS PEER REVIEWER.
Si
tratta di un dado di cemento del peso di 1.5 tonnellate che reca sulle sue
facce iscrizioni come "Reject" e "Major Changes". È il
risultato di una campagna di crowdfunding a cui hanno aderito anche due premi
Nobel, Eric Maskin e Andre Gaim, lanciata da Igor Chirikov, direttore del
Center of Sociology of Higher Education della Higher School of Economics di
Mosca. (Fonte: [The Guardian;
Nicola Davis] 29-05-17)
RUSSIA. PREVISTO UN TAGLIO DEL 40% DEL
PERSONALE STATALE DELLE UNIVERSITÀ
The
Russian government is pushing on with plans to cut 40% of state-funded places
in domestic universities in 2018 and to cut teaching jobs at state
universities. These plans were first announced about a year ago. However, their
implementation was postponed due to signs of the beginning of a recovery of the
Russian economy from the economic crisis and the possibility of lifting of at
least part of Western sanctions against Russia. Still, the beginning of a
second wave of the financial crisis – fuelled in June by a resumption of the
devaluation of the national currency, the ruble, and an awareness that
sanctions against Russia would not be lifted soon – has forced the state to
return to these plans. (Fonte: E. Vorotnikov, wired 13-07-17)
CHINA
CRACKS DOWN ON FAKE PEER REVIEWS
The
Chinese government is going on the offensive against scientists who dupe
journals by creating fraudulent reviews of submitted papers. A coalition of
agencies led by the science ministry announced on 14 June that the government
would suspend the grants of researchers involved in such fraud, which surfaced
earlier this year when a cancer journal retracted 107 research papers from
Chinese authors. And funding agencies in China promised to increase policing of
the scientific community to prevent similar deceptions. The harsh penalties and
stricter enforcement were decided earlier this month at a meeting of
representatives of the science ministry, the health ministry, the National
Natural Science Foundation of China (NSFC) and other agencies. (Fonte: Nature
546, 464, 22 -06-17)
USA. 32 TOP POSITIONS IN THIS YEAR’S
SHANGHAI RANKING’S GLOBAL RANKING OF ACADEMIC SUBJECTS
United
States universities took 32 top positions out of 52 in this year’s Shanghai
Ranking’s Global Ranking of Academic Subjects, followed by China with eight,
the Netherlands with five and the United Kingdom with three. The top
institution was Harvard University with 15 top spots, while Massachusetts
Institute of Technology landed five. (Fonte: https://tinyurl.com/725wlyg
03-07-17)
USA. 515 MILIARDI DI DOLLARI IL
PATRIMONIO GESTITO DAI GRANDI ATENEI
I
grandi Atenei statunitensi, attraverso le loro fondazioni, sono arrivati a
gestire un patrimonio complessivo di 515 miliardi di dollari. Una somma che
ormai distingue le università Usa per essere tra i più grandi investitori del
Paese. Lo rivela un'inchiesta di Affari&Finanza. E non sono le sole che,
esentasse, gestiscono ricchezze miliardarie. Alle grandi università americane
si affiancano le cosiddette charity, le Fondazioni private che attraverso
donazioni di semplici cittadini, ma anche di miliardari influenti, sono
arrivate a gestire circa 300 miliardi di dollari. Messe insieme dunque
università e charity sono diventate un gigante del mercato azionario Usa.
(Fonte: La Repubblica 16-07-17)
LIBRI. RAPPORTI. SAGGI
IL PIANO INCLINATO
Autore:
Romano Prodi, Il Mulino, 2017.
La
tastiera di Prodi è articolata. Torna su temi fondamentali, oggi in secondo
piano: una forte politica industriale, volta a favorire crescita dimensionale
delle imprese e innovazione; il potenziamento
dell’istruzione; una gestione più incisiva e innovativa dei beni comuni.
Non rinunciando a proposte che destano certamente scandalo per il politicamente
corretto dei giorni nostri, fatto sempre e solo di tagli alla spesa e alle
tasse: come quella di (re)introdurre una normale tassa di successione (con
aliquote come quelle di Francia e Germania) per finanziare il potenziamento
dell’istruzione. Fino all’illustrazione di misure apparentemente minori, ma
assai importanti: le fondazioni di famiglia cui poter destinare la proprietà
delle imprese; un fondo immobiliare per i mutui in sofferenza; reti di
incubatori di nuove imprese e di centri di diffusione tecnologica come i
Fraunhofer tedeschi. Insomma, ce n’è abbastanza per discutere. Ce ne sarebbe
abbastanza per un Partito che volesse parlare di politiche e non di facce,
comparando ad esempio le idee del libro con l’azione di governo degli ultimi
anni: dall’abolizione della tassazione sull’abitazione alle misure che hanno
favorito l’uso del contante; dall’esaltazione della flessibilità sul mercato
del lavoro al massacro di gran parte del sistema universitario italiano.
(Fonte: G.Viesti, Il Mulino 22-05-17)
I SENSI DEL TESTO. SAGGI DI CRITICA
DELLA LETTERATURA
Autore:
Raul Mordenti, ed. Bordeaux, pg. 350, 2016.
Ci
sono fortunatamente anche figure di critici capaci di coniugare la robustezza
metodologica dello studioso con l'autentica passione del lettore. Raul
Mordenti, docente di Critica letteraria e letterature comparate all'Universita
di Roma "Tor Vergata", sembra essere uno di loro. Non è un caso che
l'ultima parte del suo nuovo libro, I
sensi del testo. Saggi di critica della letteratura (Bordeaux, pagine 350),
sia tutta incentrata su un’impietosa disamina del sistema di valutazione della
ricerca da non molto entrato in vigore nelle università italiane. «Già
prostrata da sempre più accentuate politiche di de-finanziamento e da "riforme"
arroganti quanto sciocche, la nostra accademia è oggi oggetto - scrive Mordenti
- di «ossessive e grottesche pratiche di registrazione, di misurazione, di
differenziazione, di gerarchizzazione, di competizione, di privatizzazione. Sta
sempre più prendendo piede una visione "aziendalistica" dell'università
(ma la stessa cosa potrebbe dirsi della scuola), che porta i docenti a
pubblicare, magari a pagamento, studi che di per se richiederebbero ulteriori
approfondimenti, pur di non mancare la scadenza della valutazione triennale, da
cui dipende l'allocazione delle risorse finanziarie, peraltro sempre più
scarse. Del resto – s‘interroga l'autore - su quali basi si possono davvero
valutare i risultati di una ricerca? Normalmente si tende a valutare in modo
positivo un contributo che presenti una corrispondenza “fra ciò che la ricerca
ha prodotto e ciò che già si sa, e che è stato consolidato in una comunità
scientifica”. Eppure il compito della ricerca, se libera e innovativa, è invece
esattamente contrario, cioè la ricerca consiste proprio nel tentare di dimostrare
che la comunità scientifica ha dei limiti, che essa non conosce ancora o non
conosce abbastanza alcune cose, che insomma l'assetto epistemico vigente si
sbaglia”. Attenendosi al primo criterio
- la corrispondenza dei nuovi studi a ciò che è già noto - difficilmente
Galileo, Leibniz, Einstein o Freud avrebbero ottenuto buone valutazioni da
parte di eventuali "commissari ministeriali". E ricordando le mitiche
lezioni su Leopardi tenute negli anni Sessanta da Binni alla facoltà di Lettere
della Sapienza di Roma o lo straordinario impegno culturale che ha sostenuto,
negli anni Ottanta e Novanta, la realizzazione della monumentale Letteratura
italiana curata da Asor Rosa per Einaudi, che a Mordenti sembra venire
letteralmente da piangere a vedere che cosa sta diventando (e in parte è già
diventata) l'Università italiana. Ciononostante, l'autore ritiene importante
proseguire un impegno culturale basato sulla convinzione che proprio nella
letteratura è possibile trovare iI luogo privilegiato «dello sforzo umano di
dare senso alle cose del mondo oltre che uno strumento insostituibile di quella
che, oggi più di ieri, è una necessità storica non più dilazionabile, vale a
dire quella di porsi in una relazione autentica con l'altro. La letteratura è
per Mordenti proprio questo luogo di confronto con l'alterità, per conseguire,
per il suo tramite, un vitale arricchimento in termini culturali e civili.
(Fonte: R. Carnero, Avvenire 16-05-17)
RICERCARE ALTROVE - FUGA DEI CERVELLI,
CIRCOLAZIONE DEI TALENTI, OPPORTUNITÀ
A
cura di Chantal Saint-Blancat. Ed. Il Mulino, febbraio 2017.
Quanti
sono i “cervelli in fuga”, in quali settori lavorano e che legami conservano
con la madrepatria? Un vuoto informativo grave e particolarmente
incomprensibile in un Paese che continua a investire quel (poco) che riesce per
preparare ricercatori e scienziati che in molti casi prendono la via
dell’estero. Per questo sono particolarmente preziose le iniziative come “Ricercare
altrove”, il libro recentemente pubblicato dal Mulino da un’équipe di studiosi
(Stefano Boffo, Salvatore La Mendola, Stefano Sbalcherio e Arjuna Tuzzi)
guidati dalla sociologa dell’università di Padova Chantal Saint-Blancat. Un
libro da tenere sul comodino per chi si occupa di università e istruzione,
perché per una volta dà voce ai nostri ricercatori in modo scientifico e
rigoroso senza per questo rinunciare alle loro storie e al loro vissuto. Come
ogni ricerca scientifica seria, il libro parte da una precisa delimitazione
dell’oggetto e della metodologia. L’indagine parte da 83 interviste a
ricercatori e docenti universitari di fisica, ingegneria e matematica che
lavorano in sei paesi europei: Regno Unito, Germania, Francia, Paesi Bassi,
Spagna e Svizzera. Successivamente, dopo l’analisi delle 160 ore di
registrazione trascritte in 1.500 cartelle di testo, è stato redatto un
questionario che è stato somministrato a 2.420 ricercatori italiani in
condizioni analoghe, raccogliendo 528 risposte valide. Mai finora era stata
tentata una ricerca tanto approfondita su un campione così omogeneo e le
sorprese non sono mancate. Un primo dato a emergere è che i ricercatori
generalmente non vanno via dall’Italia a causa del precariato e spesso nemmeno
per lo stipendio. Un periodo all’estero è visto come un passaggio necessario e
per molti versi normale: il brain drain nasce insomma dalla brain circulation,
stimolata in primo luogo dalle istituzioni europee (dal progetto Erasmus fino
alle borse Marie Curie ed ERC). Una situazione che ha moltiplicato gli scambi
scientifici ma ha anche aperto, per dirla con il libro, un vero e proprio vaso
di Pandora, dato che spesso in altri Paesi i nostri ricercatori percepiscono di
trovarsi in un sistema più trasparente e meritocratico, quindi più adatto alla
ricerca e a progettare una carriera. (Fonte: D. Mont D’Arpizio, IlBo 25-05-17)
UNIVERSITALY. LA CULTURA IN SCATOLA
Autore:
Federico Bertoni. Ed. Laterza, Roma-Bari 2016.
Al
trasversale e animato dibattito sul destino dell’università e sui cambiamenti
che, ormai da diverso tempo, la interessano, partecipa anche F. Bertoni,
professore di Teoria della letteratura presso l’Università di Bologna, con il
suo libro “Universitaly. La cultura in scatola”, definito dal suo Autore «un
racconto, un saggio di critica culturale e un testardo gesto d’amore» (p. VII)
per il sapere e per la stessa università, oggi ridotta a «uno straordinario
concentrato di stupidità» (ibidem). Una constatazione inequivocabilmente amara,
gravata dal peso della «piena complicità del corpo docente» (ibidem), ma da cui
non nasce il rimpianto per una passata condizione, come Bertoni sottolinea a
più riprese. Poste tali premesse, l’Autore si propone di individuare le ragioni
alla base di «un fallimento collettivo» (p. VII) e di guardare alle cose
dall’interno, con l’intenzione di mettersi in gioco «personalmente» (p. VIII),
così riuscendo a far fare esperienza al lettore di quella che è, oggi, «la
giornata di un professore». (Fonte: V. D’Ascanio, http://rivista.scuolaiad.it)
LA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE DEI
DOCENTI UNIVERSITARI
Autore:
Loredana Ferluga, 29 giugno 2017.
SOMMARIO:
1. L’art. 10 della legge di riforma dell’Università. – 2. Gli illeciti
sostanziali e le sanzioni disciplinari applicabili ai docenti universitari. –
3. I codici etici delle Università e le norme disciplinari. Si legge qui https://www.diritto.it/la-responsabilita-disciplinare-dei-docenti-universitari/ .
MANUALE DI LEGISLAZIONE UNIVERSITARIA
A
cura di Cesare Miriello, Maggioli Editore, dicembre
2016, 396 pg.
Un’esposizione
completa di tutte le materie legate alla complessa macchina universitaria con
un taglio pratico e sistematico: ogni materia è trattata con chiarezza e in
forma esaustiva, tenendo conto di tutte le novità normative. L’opera racchiude,
in un unico volume di facile lettura, tutta la materia del diritto delle
amministrazioni universitarie e della loro gestione finanziaria e contabile.
Ciò
costituisce anche la logica conseguenza di una formazione scientifica e/o
professionale acquisita a vario titolo dagli autori: funzionari, ricercatori,
studiosi di diversi sistemi gestionali. Sono trattati in maniera completa e
mirata tutti gli aspetti giuridici, gestionali e contabili della vita di un
Ateneo, compresa l’attività di diritto privato e l’impiego alle dipendenze
delle amministrazioni universitarie: materie queste ultime di vitale
importanza, improntate più di altre da un taglio critico e scientifico, anche
in considerazione della loro delicatezza e delle non comuni difficoltà
applicative. (Fonte: www.maggiolieditore.it )
RECLUTAMENTO UNIVERSITARIO E DINTORNI:
TEMPI DIFFICILI, SCELTE TRAGICHE, INCUBI GIURIDICI
Autore:
Alessandro Bellavista, pubblicato su Munus,
n. 3/2016
In
questo articolato saggio Alessandro Bellavista esamina la nuova disciplina del
reclutamento dei professori e dei ricercatori universitari alla luce delle
recenti pratiche di valutazione della ricerca e delle tendenze regolative del
sistema universitario nazionale. Lo studio mostra, da un lato, i difetti di
architettura dei meccanismi di reclutamento e di valutazione costruiti dal
legislatore che si enfatizzano nella loro applicazione in concreto; dall’altro
lato, e soprattutto, la continua e profonda invasione della politica nel mondo
accademico, che comporta il rischio di un’inammissibile lesione dei valori,
costituzionalmente riconosciuti, della libertà di ricerca e dell’autonomia
universitaria.
SOMMARIO:
1. Premessa.- 2. Concorso pubblico, cooptazione, sorteggio, elezione.- 3. I
criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni.
L’abilitazione scientifica nazionale.– 4. L’Asn 2.0: un incubo giuridico?- 5.
Dislocazione incontrollata di potere normativo e politica della ricerca.- 6.
L’invasione diretta della politica nel sistema universitario.- 7. Precarietà,
primo ingresso nel sistema, selezioni locali.- 8. Proposte di modifica della
carriera accademica.
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