domenica 15 aprile 2018

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N. 3 15-04-2018


IN EVIDENZA

L’UNIVERSITÀ ITALIANA. PREGI E DIFETTI
Fra i pregi, un alto livello di produttività scientifica, vicino a quello di Paesi con ben maggiori investimenti di settore (pubblici e privati), e un'alta capacità formativa, di cui è prova la prestigiosa collocazione in tutto il mondo degli studiosi formati in Italia. Fra i difetti, una crescente autoreferenzialità e la tendenza al nepotismo di scuola e talora di famiglia. E visto che di competitività si riempiono tutti la bocca, cominciamo da qui. Per essere competitiva, l'università deve rispettare alcune regole generali, le stesse in vigore nei Paesi con cui dovremmo confrontarci. Vediamone alcune. Primo, garantire la stabilità delle strutture, convogliando le migliori energie degli studiosi nella ricerca e nella produzione dell'innovazione. Secondo, rinnovare di continuo sia gli strumenti della ricerca (laboratori e biblioteche) sia il corpo di insegnanti, garantendone la qualità sulla base di una rigorosa considerazione del merito. Terzo, competere con le università dei Paesi comparabili assicurando salari e fondi di ricerca concorrenziali. La struttura delle nostre università è stata sconvolta da una riforma pedante e ottusa, che ha modificato la topografia delle discipline raggruppandole in Dipartimenti di estensione e contenuto sempre diversi, con nomi di fantasia che cambiano da una sede all'altra, per cui a esempio le vecchie, oneste Facoltà di Lettere e Filosofia ora sono dipartimenti di Studi Interculturali in una città, Civiltà e forme del sapere in un'altra, Studi Linguistici e Culturali in una terza. Un balletto di etichette a cui non corrisponde nessun progresso di conoscenza, ma la moltiplicazione di organi, riunioni, regolamenti, adempimenti e impicci che consumano tempo ed energie costringendo chi vorrebbe far ricerca entro la camicia di forza di una miope burocrazia. Le tortuosità del sistema sono giustificate come garanzia di qualità e di trasparenza, ma è arduo dimostrare che quel che a Harvard si può verbalizzare in una pagina a Roma debba richiederne duecento. Il continuo inseguimento di fondi aggiuntivi mediante criteri invariabilmente etichettati come "eccellenza" (una delle parole più inflazionate della lingua italiana) è uno dei meccanismi che risentono di una sorta di aziendalizzazione dell'università, che ne erode la funzione culturale e sociale. Ma anche chi crede di vincere questa difficile battaglia fra poveri, sta in verità perdendo la guerra: perché per conquistare qualche posizione avrà dovuto piegarsi alla cinica burocratizzazione di ideali e istituzioni come la scienza, l'insegnamento e la ricerca, che dovrebbero essere il luogo dove si coltiva e si esercita la piena libertà intellettuale, la formazione di uno spirito critico, la cittadinanza responsabile. (Fonte: S. Settis, FQ 27-02-18)

VALUTAZIONE DELLA RICERCA. NEL PERIODO 2005-14 L’ITALIA ECCELLE IN RICERCA ONCOLOGICA
C'era una volta il paradosso francese, secondo il quale i cugini d'oltralpe mangiano più grassi ma muoiono di meno per malattie cardiovascolari. Oggi, in tutt'altro campo, si parla di paradosso italiano. La ricerca italiana va bene anche se finanziata meno che negli altri Paesi. L'ultimo rapporto sulla ricerca oncologica sul cancro pubblicato da Elsevier in base ai dati Scopus (Cancer Research Report di Elsevier) sembrerebbe confermare il paradosso. Esaminando il periodo 2005-2014, l'Italia eccelle in questo settore di ricerca alla luce di diversi parametri. Nel 2014 siamo, ad esempio, al secondo posto fra i Paesi presi in esame per crescita nel numero di citazioni dal 2010 e al terzo rispetto al 2005, mentre balziamo al primo posto per numero di pubblicazioni nel 10% delle più citate. Per l'Italia, il rapporto Elsevier Scopus evidenzia ottime performance quanto a impatto citazionale corretto per campo (Field-weighted citation impact - FWCI), che divide il numero di citazioni ricevute da una pubblicazione per il numero medio di citazioni ricevute da pubblicazioni nello stesso campo, dello stesso tipo e pubblicate nello stesso anno. La media mondiale è pari a 1. Valori superiori a 1 indicano un impatto di citazioni superiore alla media, mentre i valori inferiori a 1 indicano che l'impatto della citazione è al di sotto della media. Ebbene, dal 2005 al 2014 la Cina ha visto un incremento importante, passando da un indice di 0.5 a uno di 1.2. Molti altri paesi, come Giappone, Francia, Germania, Regno Unito, hanno visto aumentare il loro FWCI, mentre gli Stati Uniti si sono mantenuti stabili. Ma ciò che sorprende è che l'ultimo impatto citazionale italiano è secondo solo a quello britannico (2.07 contro 2.08). (Fonte: L. Carra, C. De Rold, Scienzainrete 05-03-18)

RICERCATORI. PIANO MIUR PER ASSUMERE RICERCATORI. I PRIMI 5 ATENEI CHE NE OTTENGONO DI PIÙ: UNIBO (75), SAPIENZA (68), UNIPD (65), FEDERICO II NA (64) E UNITO (55)
Il piano varato dal MIUR è in buona parte l’attuazione dell’ultima legge di bilancio che ha previsto le risorse per assumere 1.305 ricercatori nelle Università e altri 308 posti a tempo indeterminato negli enti di ricerca. In particolare per le assunzioni nelle Università sono previsti 12 milioni di stanziamento per il 2018 e altri 76,5 a partire dal 2019 per il reclutamento di 1.305 ricercatori di tipo «B», quelli più “pregiati” perché possono ambire alla cattedra e infatti si stanziano le risorse per il loro consolidamento a docente alla fine del contratto triennale, una volta ottenuta l’abilitazione scientifica per la posizione di professore di seconda fascia. I posti saranno ripartiti in base a criteri non proprio semplici che puntano anche, tra le altre cose, a “risarcire” parzialmente il Sud recentemente penalizzato dalla maxi assegnazione di fondi per la ricerca (1,35 miliardi in cinque anni) ai 180 dipartimenti di eccellenza finiti quasi per il 90% al Centro Nord. Secondo il decreto, firmato ieri 31-03-18, una quota fissa fra 2 e 10 ricercatori è assicurata a ogni ateneo in base alle dimensioni; un’ulteriore quota di 2 ricercatori è attribuita ai 172 dipartimenti che hanno partecipato alla selezione, ma che non sono risultati fra i 180 d’eccellenza; 327 posti sono divisi sulla base della valutazione della qualità della ricerca (la VQR dell’ANVUR 2011-2014) e 326 posti, infine, distribuiti considerando sia la quantità di ricercatori già in servizio, sia la loro percentuale rispetto al resto della docenza. Tra i primi 5 atenei che ne conquistano di più: UniBo (75), Sapienza (68), UniPd (65), Federico II NA (64) e UniTo (55). Di tutto questo contingente il Sud ne conquista in tutto 352 che salgono a quasi 1000 grazie agli altri 600 tipo «A» del bando PON. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 01-03-18). Qui tutte le assegnazioni >https://www.ticonsiglio.com/miur-assunzioni-ricercatori/ .

QS WORLD UNIVERSITY RANKING BY SUBJECTS
In 33 casi (che interessano 13 atenei) l’Italia si è posizionata tra le migliori 50 al mondo per comparto. Con una nota di merito per La Sapienza di Roma, che eccelle in Scienze dell'Antichità, il Politecnico di Milano, che si piazza quinto per Design, e la Bocconi, che sale al decimo posto in Business & Management. Ben Sowter, direttore del dipartimento Ricerca di QS, commenta così: «Le università italiane sono tra le 50 migliori al mondo in 21 discipline, sei in più rispetto al 2017, raggiungendo ottimi risultati in materie molto differenti come Finanza e Archeologia, Fisica e Arti dello Spettacolo». (Fonte: IlSole24Ore Scuola 01-03-18)

GRADUATORIE ACCADEMICHE INTERNAZIONALI E NAZIONALI. DUE ESAURIENTI RASSEGNE
Le graduatorie accademiche internazionali e nazionali sono ormai una consuetudine. In questo articolo Cristina Buscaglia ne presenta una rassegna, seguita nel successivo articolo dalle critiche a cui sono sottoposte e da altre considerazioni in proposito, dalla segnalazione di due risorse pertinenti e infine dalla bibliografia. Si può affermare che "i ranking sono destinati a regnare per lungo tempo, perché godono di un alto grado di approvazione tra gli stakeholder e tra un pubblico più ampio proprio in virtù della loro semplicità”: "Like them or not, rankings are here to stay" ed è impossibile ignorarli; se ne sono accorti anche i loro più convinti detrattori. I due articoli linkati si segnalano per la completezza dei dati. (Fonte: C. Buscaglia, www.linkedin.com 18-12-17)

UK. LE VALUTAZIONI DEGLI STUDENTI E IL LORO IMPATTO SUI DOCENTI. LA RIFORMA BLAIR E L’AUMENTO DEGLI STUDENTI E DELLE TASSE
Nel Regno Unito le valutazioni degli studenti sono importantissime perché essi pagano tasse salate e il loro parere è tenuto in grande considerazione. «Si, è vero – conferma Elisabetta Zontini, professoressa di Sociologia all’università di Nottingham –. Se gli studenti se ne lamentano, i professori possono essere convocati dal preside di facoltà e messi sotto osservazione. All’inizio dell’anno, uno dei nostri obiettivi più importanti è prendere un buon voto dalle matricole e, se non succede, la nostra valutazione come docenti ne risente». «I professori lo sanno e fanno di tutto per farsi amare dagli allievi – aggiunge –. Si sono alzati i voti degli studenti perché, pur di farli contenti, li si tiene buoni anche così. Un 2.1 di adesso, che corrisponde a un 28 delle università italiane, si prende molto più facilmente di quindici anni fa. I voti si danno con molta più leggerezza».
Negli atenei di tutto il Regno Unito chi impara non è più uno studente desideroso di approfondire la materia, ma un vero 'cliente' che paga per una merce che deve essere di una certa qualità. Il rapporto tra giovani e professori è cambiato per sempre con l’introduzione delle tasse universitarie nel 1998. Una scelta adottata dal governo laburista di Tony Blair. «Fino ad allora l’istruzione universitaria britannica era ottima, anche se molto elitaria, con il sistema del tutoraggio che metteva a stretto contatto alunni e professori, come ai tempi di Aristotele e Platone. Così si preparavano le élite, meno del 10% della popolazione, per le quali pagava lo Stato», spiega il professor Michael Alexander. Ma, poi, venne appunto Blair e il Paese decise di ammettere nelle aule universitarie moltissimi studenti in più e di imporre tasse più salate per pagare i costi dovuti al numero in forte espansione degli iscritti. Oggi una laurea, in UK, costa circa 31.500 euro, ai quali vanno aggiunti 15.000 euro di vitto e alloggio se si studia a Londra o poco meno di 14.000 se si studia nel resto del Paese. È possibile fare un mutuo, che però va poi restituito in modo graduale, una volta che lo stipendio supera la soglia dei 28.000 euro. La popolazione universitaria è passata dai 909.300 studenti dell’anno accademico 1985-86, alla vigilia della riforma di Blair, ai 2,32 milioni del 2017. Il doppio delle cifre del nostro Paese, se si pensa che l’Italia, nel 2017, contava 1.654.680 iscritti contro il milione e 113.000 che si era registrato nel 1985. (Fonte: S. Guzzetti, www.avvenire.it 03-04-18)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

L’IMPARZIALITÀ DEI RANKING. CLASSIFICHE DA MANEGGIARE CON CAUTELA
Entrambi i ranking britannici, Times Higher Education (THE) e  Quacquarelli-Symonds (Qs ranking)   — due dei più noti sui 21 censiti dall'Ireg, associazione non-profit che vigila sulla qualità accademica — non passano il vaglio dell'imparzialità geografica: tendono a conferire a Oxford e Cambridge posizioni al top a danno delle rivali americane, Harvard in particolare. Un'accusa che nessuno ha mosso all'Arwu (Academic Ranking of World Universities), la decana delle classifiche nata nel 2003. Redatto da un organismo indipendente, il ranking di Shanghai rivendica di basarsi solo su indicatori «obiettivi»: dal numero di lavori pubblicati su riviste come «Science» e «Nature», all'indice di citazioni, fino ai premi Nobel ottenuti (anche da docenti che nel frattempo sono morti). Ma nemmeno questa scelta è neutra: gli indicatori bibliometrici funzionano per ingegneria e per le scienze naturali (anche se tendono a far pesare di più i lavori di medicina, grazie alla voluminosità di pubblicazioni firmate da tantissimi ricercatori) e trascurano le scienze umane. Se i ranking THE, Qs e Arwu restano, con pregi e difetti, i più consultati da studenti, il più quotato fra docenti e ricercatori è quello dell'università di Leiden in Olanda, che si basa solo sulla performance scientifica senza occuparsi della qualità della didattica. D'altronde la misurazione dell'impatto della ricerca è diventata per gli atenei una tale ossessione che lo stesso direttore del ranking Paul Wouters due anni fa ha pubblicato insieme ad altri ricercatori una specie di «manifesto» sui rischi della pervasività degli indici bibliometrici. (Fonte: G. Fregonara e O. Riva, CorSera La Lettura 25-03-18)

QS WORLD UNIVERSITY RANKINGS BY SUBJECT
Dai dati emersi dall’ottava edizione del QS World University Rankings by Subject, pubblicata il 28 febbraio 2018, risulterebbe che Sapienza di Roma è la migliore università al mondo in Scienze dell'Antichità. Anche il Politecnico di Milano, la Bocconi e l'Università di Pisa non sarebbero da meno. Ma non solo, l’Ateneo romano supera addirittura Cambridge che si classifica seconda mentre Oxford si colloca in terza posizione e Harvard risulta quinta. Sapienza risulterebbe inoltre nona tra le top 10 per Archeologia. Si piazza inoltre tra le Top 50 al mondo anche per Scienze Archivistiche e Librarie (33esima), Fisica e Astronomia (39esima) e Scienze Naturali (50esima).
Il Politecnico di Milano conquista invece il quinto posto al mondo in Design e il nono posto in Architettura e in Ingegneria Civile e Ambientale. Sale al 17esimo posto in Ingegneria Meccanica e ottiene lo stesso risultato per la macro area di studio Ingegneria e Tecnologia. Ottiene infine altri due piazzamenti tra le Top-50: 35esimo posto per Ingegneria Elettronica e 44esimo per Informatica.
Tra le Top-10 al mondo è anche l'Università Bocconi, che sale al decimo posto in Business & Management. Bocconi guadagna sei posizioni in Scienze Sociali e Management, piazzandosi all'11esimo posto, mantiene il sedicesimo posto in Contabilità e Finanza.
L'Università di Bologna (UniBo) è presente nella Top 100 più di ogni altra università italiana, posizionandosi in questo range in 25 discipline, quattro in più rispetto al 2017.
L' Università degli Studi di Pisa ottiene il 12esimo posto in Scienze dell'Antichità, seguita da Università degli Studi di Roma - Tor Vergata al 13esimo. Per entrambe, questo risultato è il più alto mai ottenuto in questa classifica e lo stesso vale per l'Università degli Studi di Pavia (UniPv), che si posiziona al 30esimo posto, Scuola Normale Superiore di Pisa (40esimo) e l'Università degli Studi di Siena (50esimo), in questa disciplina, inclusa per la prima volta quest'anno, in cui l'Italia eccelle e domina.
L'Università degli Studi di Napoli Federico II, invece, è l'unico ateneo del Sud Italia tra i primi 100 al mondo in una disciplina. L'eccellenza della più importante università partenopea si esprime al massimo nell'Ingegneria Civile e Ambientale (51-100) in questa classifica.
Ben Sowter, direttore del dipartimento Ricerca di QS, commenta così: «Le università italiane sono tra le 50 migliori al mondo in 21 discipline, sei in più rispetto al 2017, raggiungendo ottimi risultati in materie molto differenti come Finanza e Archeologia, Fisica e Arti dello Spettacolo». (Fonte: IlSole24Ore Scuola 01-03-18; www.artemagazine.it 02-03-18)

LE 50 MIGLIORI UNIVERSITÀ D’INFORMATICA NEL MONDO
Una laurea in scienze informatiche conseguita in una delle migliori università del mondo può essere il trampolino di lancio per lavorare in Apple, Google, Microsoft, Facebook o Amazon. Sia questi giganti del web sia i cacciatori di teste che cercano talenti con questa preparazione scrutano attentamente la classifica QS World University Rankings 2018, perché è una tra le più affidabili. Al 1° posto il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Unico ateneo italiano il Politecnico di Milano al 44° posto.  Qui la classifica delle 50 migliori università di informatica nel mondo > https://tinyurl.com/y8pl635v . (Fonte: L. Garofalo, 08-03-18)

QS WORLD UNIVERSITY RANKING
Le migliori università in Europa per "Engineering and Technology". UK: Cambridge, Imperial College London, Oxford. Svizzera: ETH di Zurigo, Ecole Polytechnique Federale di Losanna. Olanda: Delft University of Technology. Germania: Technical University di Munich, RWTH Aachen, Technische Universität di Berlino. Svezia: Kth Royal Institute of Technology di Stoccolma.
(Fonte: Skuola.net 20-03-18)


CULTURA DEL DIGITALE

RINASCIMENTO UMANISTICO NELL'ERA DIGITALE
A delineare un rinascimento umanistico nell'era digitale è Paolo Darlo, professore di Robotica Blomedica, e direttore dell'istituto di Biorobotica presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Dall'intelligenza artificiale al robot, secondo l'esperto si stanno aprendo strade Inedite per gli studiosi umanistici: «Le aziende hi-tech stanno assumendo sempre più persone con queste competenze perché sanno che l'uomo sarà il fulcro della rivoluzione digitale. È una delle poche certezze in un futuro che ci consegnerà lavori che non possiamo nemmeno immaginare e rispetto ai quali non ha senso affannarsi troppo: qualcuno aveva predetto che Google avrebbe superato i 70mila dipendenti?», cita provocatoriamente Darlo, che sottolinea l'importanza di educare i giovani a "capire le connessioni, l'umanità, la sensibilità". E che auspica una maggiore apertura dei docenti umanistici: «Servono insegnanti disposti ad adattare gli insegnamenti ai grandi cambiamenti In atto. Non dobbiamo avere paura del futuro». (Fonte: a. fr., Repubblica A&F 05-03-18)

ATENEI TELEMATICI. LA REGOLAMENTAZIONE MAI ARRIVATA. FORSE DAL 2020-21 L’ACCREDITAMENTO
La storia delle università telematiche, che oggi contano circa 60mila iscritti per 11 atenei, comincia con la legge finanziaria del 2003 che annunciava le norme per la loro istituzione: il decreto Moratti-Stanca, dai nomi dei ministri dell'Istruzione e dell'Innovazione di allora, puntualmente arrivò qualche mese dopo disciplinandone l'architettura. Ma da allora sono seguiti mini interventi attraverso diversi decreti ministeriali fino al 2013 quando una commissione di studio del MIUR di fronte a una crescita anche disordinata del fenomeno delle telematiche ha chiesto una severa revisione della materia. L’obiettivo anche allora era l’adozione del regolamento richiesto appunto dalla legge 286 del 2006 quando emerse per la prima volta l'esigenza di introdurre regole più rigorose per l'accreditamento dei corsi di studio a distanza. Ma questa regolamentazione non è mai arrivata. Ora il MIUR ci riprova con l’istituzione di un Tavolo tecnico con il compito di formulare sulla base dei criteri proposti dall’ANVUR, e su quelli indicati dal decreto che istituisce il Tavolo, una proposta di regolamento con i criteri e i requisiti per l’accreditamento dei corsi universitari a distanza che sarà adottato dal MIUR e dal ministero per la Pa entro settembre in modo da entrare a regime dall’anno accademico 2020/2021. (Fonte: M. Bartoloni, Sole Scuola24 23-03-18)

E-LEARNING E AULA VIRTUALE. DUE DIVERSE TIPOLOGIE FORMATIVE
Con il termine e-Learning identifichiamo una tipologia di corso frequentato in modo autonomo via Internet. In parole povere, si studia da soli seguendo video o lezioni o laboratori via Internet. Il corso e-Learning è perciò indicato per tutti coloro che non possono partecipare a un corso in aula che ha orari rigidi di frequenza. Il corso e-Learning (tipicamente accessibile per 90 giorni) permette invece di studiare con i propri tempi e i propri ritmi. D'altra parte viene meno l'interattività che è invece una delle caratteristiche del corso in aula. Non si ha a propria disposizione un docente cui porre domande o richieste di chiarimento e nemmeno un gruppo di allievi con cui confrontare la propria esperienza. Invece un altro vantaggio del corso e-Learning è il prezzo, tipicamente più basso del corrispondente corso frequentato in aula. L'Aula Virtuale, spesso confusa con l'e-Learning, è invece un corso "live", un corso che ha la peculiarità di essere frequentato a distanza, via Internet. Non si studia da soli, ma si frequenta un corso con orari precisi e lezioni tenute da un docente con cui è possibile interagire via VoIP e chat per porre quesiti e richieste di spiegazioni. (Fonte: www.pipeline.it 20-03-18)

DI FRONTE ALLA RIVOLUZIONE DIGITALE. L'UNIVERSITÀ ITALIANA? UN PROMETEO INCATENATO
Thomas M. Siebel, un famoso imprenditore americano, nel ricevere la laurea honoris causa in ingegneria informatica del Politecnico di Torino ha affermato: «Da oltre 30 anni opero nell'informatica, ma quello che sta per accadere supera di gran lunga quanto abbiamo vissuto finora. L'internet delle cose, i "big data" e l'intelligenza artificiale rivoluzioneranno ogni aspetto della nostra vita». È la cosiddetta rivoluzione digitale che, rispetto alla ben nota rivoluzione industriale, «proromperà a ritmi 10 volte superiori, interesserà una frazione del mondo 300 volte più estesa e produrrà un impatto sulla Società 3000 volte più grande». Cambierà il modo di produrre, più distribuito sul territorio e vicino alle fonti rinnovabili di energia e materia; cambierà la sanità con meno ospedali ma di dimensioni più grandi e la distribuzione di molti servizi a casa per assistere una popolazione sempre più anziana; cambierà la mobilità, con veicoli a guida autonoma e treni superveloci; cambieranno anche gli scenari geopolitici con la Cina che rapidamente diventerà il cuore pulsante del Mondo. È un processo inarrestabile. E l'Università Italiana? Un Prometeo incatenato. L'istituzione destinata a donare il "fuoco" della conoscenza e le chiavi del futuro alla nostra Società si ritrova sotto-finanziata, con oltre il 20% in meno docenti rispetto al 2008 e bloccata da una "giungla normativa", per dirla col nostro Presidente Mattarella. Tutto questo accade proprio in un Paese come il nostro che avrebbe disperato bisogno di aumentare il tasso di innovazione dei propri servizi e dei propri prodotti, in modo da collocarci nella fascia alta della filiera produttiva internazionale. (Fonte: G. Saracco, La Stampa 07-03-18)


DOCENTI

GIUDIZIO DEL MOVIMENTO PER LA DIGNITÀ DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA (MDDU)
SULL'UNA TANTUM PER IL RIMBORSO AI DOCENTI UNIVERSITARI DEGLI SCATTI STIPENDIALI BLOCCATI
Una “una tantum” di modestissima entità rispetto alle perdite subite che:
1) viene trattata con metodi da pignoleria cavillosa e paralizzante: quanti mesi ci vorranno per vedere l’una tantum in busta paga?: basta osservare, per fare un solo esempio, che per definire le procedure previste occorreranno ulteriori Regolamenti di Ateneo, e chissà quanto tempo occorrerà per emanarli;
2) creerà diseguaglianze da un Ateneo all’altro, per via anche dei Regolamenti locali già richiesti dalla legge Gelmini, disomogenei da una sede all’altra: ciò che in una sede verrà corrisposto potrebbe essere benissimo diverso da quanto corrisposto in un’altra sede;
3)  dimostra che il MIUR ha forzato arbitrariamente alcuni passaggi della legge di bilancio. Ha tenuto in conto la legge di bilancio recente, come dovuto, ma ha messo in campo l’una tantum della legge Gelmini, che non era richiamata nella legge di bilancio come criterio da seguire: un comportamento arbitrario;
4) è un provvedimento “divisivo”, oltre che arbitrario, perché avvantaggia alcuni a scapito degli altri, che toglie sicurezza nel futuro, anche a chi nell’occasione ne trarrà vantaggio, dato che l’arbitrarietà non potrà essere sempre a suo favore.
Insomma, si tratta di un’“una tantum” di modestissima entità, dovremo aspettare mesi per vederla in busta paga, creerà ulteriori divisioni in ogni Ateneo e disparità di trattamento tra i vari Atenei: non se ne aveva nessuna necessità. (Fonte: C. Ferraro, MDDU febbraio 2018)

COPPIE DI DOCENTI “A CARRIERA DUALE” (DUAL CAREER COUPLES). VANTAGGI E DUBBI
Su Corriere Innovazione del 1° dicembre 2017 Ilaria Capua richiamava un istituto in auge oltreoceano denominato «dual career couples»: le Università interessate a reclutare un docente o una docente particolarmente bravo/brava offrono una posizione accademica anche al coniuge. In questo si favorisce un maggiore benessere della famiglia che si traduce in una maggiore produttività sul luogo di lavoro, a propria volta volano di una maggiore competitività dell’Ateneo.
Ilaria Capua sostiene che proporre una cosa del genere in Italia farebbe gridare allo scandalo. Questo non è del tutto vero. Il Dipartimento della conoscenza della Provincia di Trento, nel vigente piano della ricerca (pag. 66), ha esplicitamente previsto quanto segue: «Nell’ottica di favorire la mobilità e attrarre ricercatrici e ricercatori di punta ma anche di contribuire a una gestione di qualità delle risorse umane, tra le azioni favorite, verrà anche considerata la possibilità di attivare iniziative volte all’accoglienza delle coppie “a carriera duale” (dual career couples), cioè a quelle coppie dove entrambi i partner seguono un percorso di carriera nel mondo accademico».
L’attivazione dell’istituto del Dual Career è favorita quando le Università possono negoziare il trattamento economico di ciascun docente. Chi ha potere contrattuale può chiedere uno stipendio maggiore, ovvero benefits come la casa o l’automobile, o, appunto, l’assunzione del coniuge. In Italia questo è molto più complicato perché lo statuto giuridico ed economico dei docenti è stabilito dalla legge ed è uguale per tutti. Ma oltre ai profili giuridici, occorre svolgere anche considerazioni di opportunità ed efficacia. Al di là dell’assunzione non è detto che nel tempo l’Ateneo possa e tanto meno debba garantire la progressione ad entrambi. Più di tutto, però, andrebbe approfondito l’impatto sulla comunità universitaria: l’esistenza di coppie sposate (che possono assumere anche ruoli di vertice nell’Ateneo) crea ricadute virtuose sulla vita della comunità o innesca meccanismi deteriori facendo sì che l’interesse della famiglia venga anteposto a quello dell’istituzione? (Fonte: Originariamente pubblicato su http://www.giovannipascuzzi.it/ 21-03-18)


DOTTORATO

IL NUOVO REGOLAMENTO SUL DOTTORATO DI RICERCA
Il decreto che modifica il regolamento sul dottorato di ricerca (il Dm 8 febbraio 2013 n. 45) è praticamente pronto. Con una novità molto attesa dai dottorandi italiani: il riferimento al possibile impiego di questo titolo di studio per accedere ai «più elevati profili professionali delle pubbliche amministrazioni». Ancora non è una “corsia preferenziale” per i concorsi nella Pa, ma comunque è un primo passo. Tra le altre possibili novità c’è anche una nuova e più chiara definizione degli obiettivi formativi del dottorato di ricerca, assieme ad un elenco di attività formative per il perfezionamento linguistico ed informatico, per la gestione della ricerca, per la conoscenza dei sistemi di ricerca europei ed internazionali e la valorizzazione della ricerca. Ci sarà anche un migliore raccordo tra specializzazione medica e dottorato, con obbligo per lo specializzando che opta per la frequenza congiunta di assicurare che il suo impegno sul dottorato sia compatibile con quello nella specializzazione. Dovrebbe poi essere reintrodotta la proroga annuale sulla consegna della tesi, su richiesta del dottorando. La proroga può essere disposta anche dal collegio docenti, ma solo per comprovate esigenze di carattere scientifico. Sono introdotte anche tempistiche certe per la valutazione dell'elaborato finale da parte dei revisori esterni che avranno a disposizione 30 giorni per produrre un giudizio analitico scritto sulla tesi. Viene inoltre assicurato un budget aggiuntivo del 10% anche ai dottorandi non borsisti, come già previsto dalle linee guida per l'accreditamento su proposta di ANVUR. Viene infine istituita un’anagrafe nazionale dei dottorandi e dei dottori di ricerca. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 26-03-18)

DOTTORI DI RICERCA. DIMINUISCONO QUELLI CHE LAVORANO ALL’ESTERO
"In Italia – si legge in un’indagine - si intravedono i primi segnali di cambiamento: nell’indagine si nota il calo di coloro che escono dall’Italia per lavorare. Il 21,4% dei dottori di ricerca (PhD) italiani lavora all’estero contro il 27,4% dei PhD 2013 - 2014. Stati Uniti, Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Regno Unito e Francia sono i Paesi dove la maggior parte trova impiego. Aumentano invece i PhD stranieri che rimangono in Italia: dal 25,9% dell’indagine precedente si passa al 39,1%, segno di una crescente attrattività del nostro territorio. C’è ancora da lavorare invece per colmare il gender gap.  Nonostante siano al vertice della preparazione accademica, le dottoresse di ricerca non vedono ancora pienamente riconosciute le loro competenze. Il loro tasso di occupazione è infatti inferiore del 4,3% e la loro busta paga è più leggera del 22%. I PhD sono generalmente molto soddisfatti del percorso di dottorato. I risultati dell’indagine ci mostrano infatti che oltre l’86% degli occupati ha dichiarato che la formazione acquisita risulta adeguata al proprio impiego e il 74% ritiene necessario il dottorato per il tipo di lavoro che svolge". (Fonte: Italpress 06-03-18)

TRA IL 2006 E IL 2016 20MILA DOTTORI DI RICERCA SONO STATI ASSUNTI DALLE AZIENDE
Se si esaminano i dati di Eurostat, si scopre che tra il 2006 e il 2016 i dottori di ricerca assunti dalle università sono aumentati di 12.000 unità, mentre quelli che hanno trovato posto in azienda sono cresciuti di ben 20.000. E in alcuni settori la domanda delle imprese è addirittura superiore all’offerta. È il caso, ad esempio, dell’Ingegneria informatica, per la quale le aziende sono continuamente a caccia di laureati brillanti e dottori di ricerca. Al punto che per le università è molto difficile riuscire a trattenere e coltivare i propri talenti. I dati nazionali confermano le migliori performance occupazionali di chi ha continuato gli studi dopo la laurea. Secondo AlmaLaurea, a un anno dal titolo, i dottori che hanno un lavoro sono l’85 per cento. I laureati magistrali per raggiungere un tasso di occupazione paragonabile debbono attendere 5 anni dalla laurea. Mentre a 12 mesi dal titolo risultano occupati solo nel 71 per cento dei casi. Il dottorato costituisce un vantaggio anche a livello retributivo, garantendo stipendi medi da 1.610 euro mensili, a fronte dei 1.153 dei laureati a un anno dal titolo e dei 1.405 di quelli che hanno completato gli studi da 5 anni. (Fonte: www.universita.it 16-03-18)


FINANZIAMENTI

FINANZIAMENTI ALLA RICERCA DA PARTE DEL MIUR
Si segnalano i recenti interventi da parte del Ministero per l'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR): finanziamenti a 180 dipartimenti universitari di eccellenza (271 milioni di euro); Programma Operativo Nazionale, PON (496,9); Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale, PRIN (391); Enti pubblici di ricerca, EPR (ca. 110 milioni). L'importo annuale di tali interventi è di circa 422 milioni. Ciò a fronte di una spesa stimata in ca. 7 miliardi per mantenere, per stipendi, infrastrutture e servizi a «uomo fermo», i circa 70.000 ricercatori pubblici italiani, (Istat, 2014-2016). (Fonte: CorSera 07-04-18)

RICERCA. DOMANDE E RISPOSTE SUL FINANZIAMENTO
Con l'austerità si taglia la ricerca. Ma si può fare diversamente? «Faccio notare che tra il 2011 e il 2016 i governi hanno potuto dispone di un surplus di circa 351 miliardi di euro, derivanti dall'incremento del debito pubblico e dall'aumento del gettito fiscale. Eppure la ricerca è stata trascurata, anzi ha subito riduzioni. Tagliare le gambe, in tempo di crisi, a chi può dare un contributo importante per lo sviluppo scientifico, tecnico ed economico del Paese è stata una scelta miope. Al CNR, per fare solo un esempio, sono stati azzerati i contributi necessari alla ricerca di oltre 3500 ricercatori. Naturale che, in queste condizioni, ne sia diminuito il numero: nelle università ne abbiamo 10.000 in meno. Solo in extremis l'attuale governo ha assegnato al settore ricerca 1,1 miliardi, in gran parte senza indicare i progetti da finanziare. Una mossa dal sapore elettoralistico, il cui impatto economico peraltro ricadrà sul prossimo esecutivo». Come si fa a cambiare rotta? «Tra l'altro, rivedendo il nostro rapporto con l'Ue, l'Italia contribuisce per circa il 14% al bilancio comunitario, ma riceve solo l'8,9% dei fondi». Colpa anche della nostra debolezza politica a Bruxelles? «Abbiamo meno della metà di ricercatori e tecnici rispetto a Francia, Regno Unito e Germania e, sì, scontiamo anche la nostra debolezza politica». (Fonte: R. Merano, intervista a G. Saccani Jotti, Libero 02-03-18)

PER LA RICERCA L'ITALIA STANZIA NUOVE RISORSE
Il ministero dello Sviluppo economico farà partire una nuova linea di interventi da circa 440 milioni per sostenere progetti di ricerca. Ma nel frattempo il nostro target di spesa all'1,53% del Pil, messo nero su bianco nel 2015 dal Programma nazionale della ricerca, resta un miraggio. Siamo fermi all'1,29% (l'obiettivo di Europa 2020 è pari addirittura al 3%) nonostante dal 2013 a oggi l'Italia abbia gradualmente incrementato la focalizzazione degli aiuti di Stato proprio verso il sostegno alla "Ricerca, sviluppo e innovazione". Il confronto europeo sul tema è illuminante. Rapportando il totale degli aiuti di Stato al prodotto interno lordo nazionale, l'Italia con lo 0,22% è il Paese che spende meno dopo l'Irlanda. Ma la prospettiva è completamente ribaltata se si guarda nello specifico all'obiettivo "Ricerca, sviluppo e innovazione" che assorbe quasi il 30% delle risorse italiane complessive: in rapporto al Pil - rileva la Relazione annuale del ministero sugli incentivi - siamo dietro al solo Regno Unito. Negli ultimi anni l'Italia ha aumentato l'impegno specifico, portando dallo 0,04 allo 0,07% del Pil gli aiuti per la ricerca. In particolare, esaminando il bilancio del Fondo crescita sostenibile, il contenitore unico previsto qualche anno fa dalla riforma degli incentivi dello Sviluppo economico, si sommano stanziamenti pubblici per quasi 2,8 miliardi. Uno sforzo che non è però bastato a metterci in carreggiata verso il raggiungimento in tempi rapidi degli obiettivi europei, e oggi, tra le righe delle statistiche, si possono al massimo scorgere piccoli progressi. Un bilancio più chiaro ad ogni modo si potrà fare al pieno utilizzo dei fondi europei dedicati proprio alla ricerca per il periodo 2014-2020, inclusi quelli ora a disposizione come dote "straordinaria". (Fonte: C. Fotina, IlSole24Ore 07-03-18)

MANCA UN REGISTRO UNICO DEI PROGETTI DI RICERCA FINANZIATI CON FONDI PUBBLICI
È paradossale che in Italia non esista un registro unico dei progetti di ricerca finanziati con fondi pubblici, col rischio che lo stesso progetto possa accedere a più fonti di finanziamento e che quelli non originali e vecchi di anni tolgano risorse ad altri. L'auspicio è che, partendo da aree specifiche, ad esempio la biomedicina, i ministeri e le istituzioni finanziatrici lavorino in sinergia per creare un database unico, nazionale, di tutti i progetti di ricerca (e dei valutatori) e per potenziare le valutazioni ex post dei progetti finanziati. Oggi non esiste un modo univoco per valutare l'esito dei progetti conclusi. L'assenza di un'Agenzia per la ricerca, il cui primo compito sarebbe lavorare sulle procedure per applicarle e aggiornarle, verificandone in ogni momento appropriatezza e rendimento, continua a essere l'anomalia del nostro Paese. Siamo ormai pressoché gli unici in Europa a non averla. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 30-03-18)


LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE POST LAUREA-OCCUPAZIONE

LAUREA E MASTER. I COSTI
Costo della LAUREA per i fuorisede: 27.000 € per una Triennale e fino a 45.000 se si prosegue anche con il biennio Magistrale. Secondo Istat ca. il 10% di quanti hanno interrotto gli studi accademici ha dichiarato di essere stato costretto a farlo perché ha avuto difficoltà a sostenere le spese universitarie e di mantenimento.
Con il MASTER le chances di trovare lavoro aumentano, con stipendi che partono da 1.500 €. Negli atenei pubblici le rette variano dagli 11.000 € in «Gestione d'impresa» a UniBo ai 4.500 della Sapienza per una specializzazione in «Beni culturali». Quelli che riescono a ottenere una borsa di studio, per coprire in parte le tasse di iscrizione, sono il 21%.
(Fonte: CorSera 21-03-18)


RECLUTAMENTO

UNA CIRCOLARE PER LE ASSUNZIONI DI 2MILA RICERCATORI PRECARI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La promessa della nuova circolare arriva, come riporta il Sole 24 Ore, dal ministro Marianna Madia. Facendo un passo indietro, il problema nasce dalla maxi-stabilizzazione, prevista nella riforma 2017 del pubblico impiego, per chi ha maturato come precario in una Pa almeno tre anni di anzianità negli ultimi otto anni. La circolare con cui il Ministero della Funzione Pubblica (dopo alcuni passaggi con la Corte dei conti) ha evidenziato le regole operative per le stabilizzazioni, ha anche specificato che «il trattamento economico accessorio graverà esclusivamente sul fondo calcolato ai sensi della normativa vigente». Ed è questa la riga della discordia, poiché si riferisce al fondo che in ogni amministrazione serve a finanziare le parti di stipendio aggiunte alla base nazionale (il cosiddetto "tabellare"): fondo che, «ai sensi della normativa vigente», al momento non può superare i livelli raggiunti nel 2016. Ma una circolare in grado di correggere la riga ostativa potrebbe correggere l'ostacolo che si frappone all'accesso al posto fisso per 2000 ricercatori. L'annuncio della ministra Madia: una nuova circolare, da ultimare insieme al MEF e al MIUR “nel più breve tempo possibile”. (Fonte: www.studiocataldi.it 03-04-18)


RICERCA

LA TEORIA DELL'ESISTENZA DI INFINITI UNIVERSI
Stephen Hawking, l’astrofisico scomparso il 14 marzo u.s. a Cambridge, aveva terminato dieci giorni prima di morire il suo lavoro più importante, quello che forse gli avrebbe procurato il Nobel che non ha mai ricevuto. Lavorando alla teoria del multiverso, in base alla quale non esiste solo l'Universo che possiamo vedere, ma ce ne sono molti altri, Hawking ha indicato la strada per poterla finalmente dimostrare. Come sempre è avvenuto, anche l'ultima scoperta è stata accolta con scetticismo da una parte dei suoi colleghi e con entusiasmo da altri: secondo alcuni scienziati, potrebbe rappresentare la svolta che la cosmologia attendeva. Hawking ha lavorato alla teoria insieme con il professor Thomas Hertog della Katholieke Universiteit di Lovanio, nei pressi di Bruxelles e sotto al testo pubblicato sul sito arXiv.org della Cornell University compare la firma di entrambi. Già nel 1983, in una ricerca compiuta con il fisico americano James Hartle, Hawking aveva affermato che il Big Bang era all'origine dell'Universo, ma aveva anche suggerito che potesse avere generato altri infiniti universi, la cui esistenza non poteva però essere testata. Da più di 30 anni gli scienziati discutono questa possibilità, un'ipotesi che ci costringerebbe a cambiare idea sul nostro spazio nel cosmo. Ma il multiverso è stato sempre impossibile da afferrare, era un paradosso matematico: non si potevano infatti misurare cose che si trovano al di fuori del nostro universo. Carlos Frenk, cosmologo dell'Università di Durham e membro, come fu Hawking, della Royal Society, ha spiegato in poche parole la nuova scoperta: «L'idea intrigante è che il multiverso abbia lasciato un'impronta sulla radiazione di fondo permeando il nostro Universo, e che possiamo dunque misurarla con un detector su una nave spaziale». (Fonte: V. Sabadin, La Stampa 20-03-18)

RICERCA. PROGRESSI NELL’IMPIEGO DELLE CELLULE STAMINALI. RISULTATI TERAPEUTICI OTTENUTI IN ITALIA
Negli anni '50, quando D. Thomas cominciò una serie di esperimenti che portarono all'impiego del trapianto di midollo osseo per trattare le leucemie, egli nemmeno sapeva che a curare erano le staminali che conteneva. Negli anni '80, Howard Green fu il primo a crescere in laboratorio cellule umane della pelle per uso terapeutico, salvando la vita a due bambini gravemente ustionati. Il giro di boa però lo compì James Thomson nel 1998 quando riuscì a isolare le staminali embrionali dalla blastocisti (uno dei primi stadi dello sviluppo embrionale) soprannumeraria e a portarle in un piattino di coltura. Per la prima volta si aveva a disposizione una staminale che "assolveva" ai requisiti desiderati, cioè la sua propagabilità in vitro in modo omogeneo, con le cellule figlie uguali alla madre, e la sua capacità di generare cellule specializzate. Nel 2007 sono poi arrivate le staminali pluripotenti indotte, ottenute riprogrammando i fibroblasti della pelle. Sono cellule che vogliono mimare la straordinarietà di quelle embrionali (distorta da chi le presenta al pubblico come "inutili" o "non etiche").
E sono arrivate anche le prime approvazioni per l'uso dei loro derivati in clinica. Nel 2010 la Advanced Cell Technology riceveva l'approvazione all'impianto di epitelio pigmentato retinico ottenuto dalle embrionali in pazienti con degenerazione della macula. Dal 2012 in poi i risultati mostrano un’efficacia del trapianto nel migliorare la visione. E vi sono studi in corso di produzione di cellule pancreatiche secernenti insulina per applicazioni nel diabete.
Ma — per la sua complessità — la cartina di tornasole della medicina rigenerativa è il Parkinson. Nel 2011, un gruppo americano e uno svedese partendo dalle embrionali ottengono neuroni dopaminergici autentici, (quasi) uguali a quelli che degenerano nel Parkinson. Dopo il loro trapianto nei modelli animali, già in passato determinanti per sviluppare farmaci, si dimostrano capaci di differenziare, sopravvivere, rilasciare dopamina, indurre un recupero comportamentale nell'animale con Parkinson, e anche generare connessioni con le cellule endogene dell'animale, suggerendo che possano riparare circuiti cerebrali lesi nell'uomo.
Ma i risultati con staminali, oggi già realtà terapeutica, specie per le malattie rare, sono tutti made in Italy. É italiano Holoclar, la prima terapia a base di staminali adulte ottenute dal limbo dell'occhio approvata nel 2015 per la rigenerazione della cornea ustionata. Dieci anni dopo il trapianto il recupero della visione è stabile. Vi è poi Strimvelis, approvata dall'Ema nel 2016: è la prima terapia genica ex-vivo con staminali ematopoietiche sviluppata da Luigi Naldini e Alessandro Aiuti al Tiget-San Raffaele di Milano, un colosso della terapia genica nel mondo, per pazienti affetti da una grave immunodeficienza di origine genetica. Nel 2017 gli stessi ricercatori di Holoclar, Graziella Pellegrini e Michele De Luca dell'Università di Modena e Reggio Emilia conquistano un altro traguardo. Partendo da 2 cm di pelle di un bambino affetto da epidermolisi bollosa, Hassan, ottengono milioni di staminali che poi correggono geneticamente inducendole a formare in laboratorio foglietti di pelle che reimpiantano, "ricostruendogli" 85 cmq di pelle persa. In quella nuova pelle ci sono anche staminali, che continuano a rifare pelle. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 27-02-18)

RAPPORTO SULLA CONOSCENZA – EDIZIONE 2018 DELL’ISTAT
In Italia la spesa per ricerca scientifica continua ad essere inferiore a quella delle altre maggiori economie europee (nel 2015, 1,3% del Pil contro una media dell’insieme dei Paesi europei poco superiore al 2,0%). Nel 2016, la quota di persone tra i 25 e i 64 anni con almeno un titolo di studio delle scuole medie superiori era del 60%, inferiore di 17 punti percentuali rispetto alla media europea. Il livello medio d’istruzione degli imprenditori delle piccole imprese (fino a 50 dipendenti) è relativamente modesto. Il livello d’istruzione d’imprenditori e dipendenti è correlato alle prestazioni delle imprese: più è elevato, più i salari sono alti e, soprattutto, i tassi di sopravvivenza nel periodo di crisi sono elevati. Non si è investito a sufficienza, ed ora il nostro sistema produttivo, comparativamente “ignorante” e, di conseguenza, con bassi livelli di produttività, è in affanno e trova difficoltà a competere ad armi pari nei mercati internazionali. Il quadro che emerge, ben noto a chi segue questi aspetti della vita nazionale, è preoccupante, anche se dalle statistiche si vedono alcuni segnali di miglioramento ed alcuni punti di forza. Il Rapporto conferma che siamo un paese che non investe a sufficienza in conoscenza, e che ne paga le conseguenze sia sul piano sociale che su quello economico. Il fatto è che da decenni questo settore cruciale per la vita del paese è trascurato dai decisori sia pubblici che privati. (Fonte: G. Sirilli, Roars 26-02-18)

RICERCATORI NEL FOCUS PUBBLICATO DALL’UFFICIO STATISTICA E STUDI DEL MIUR
Il numero dei ricercatori, che al 31 dicembre 2010 erano circa 24.500, è diminuito in 7 anni di oltre 5.000 unità, con un’ulteriore precisazione. La messa a esaurimento del ruolo di quelli a tempo indeterminato (nel 2010 il 97% del totale) fa sì che la gran parte dei nuovi (e pochi) posti messi a concorso corrisponda, come accade a tanti altri giovani in tutti i settori del mondo del lavoro, a una situazione nella quale diventa davvero arduo immaginare serenità esistenziale e attività di ricerca pensata anche su tempi lunghi e senza l’ossessione della pubblicazione a ogni costo. I numeri sono inequivocabili. Anche considerando «sistemati» i cosiddetti ricercatori di tipo «b», che dopo tre anni possono contare su un passaggio pressoché automatico fra gli associati grazie a un percorso di tenure track, il numero dei docenti che hanno un posto a tempo indeterminato è sceso in sette anni da oltre 55.000 a meno di 47.500. E il dato è ancora più impressionante se confrontato con quello del 2007, quando i docenti di ruolo erano oltre 59.500: il «taglio», in dieci anni, è pari al 20,6%. In compenso, ci sono adesso oltre 3.000 ricercatori di tipo «a» (a tempo determinato e senza tenure track), che sommati ai fortunati colleghi di tipo «b» corrispondono a poco più della metà dei posti di ricercatore a tempo indeterminato che sono nel frattempo andati perduti e la cui «precarietà» non è sostanzialmente dissimile da quella degli assegnisti di ricerca e delle altre figure meticolosamente elencate nel Focus del Ministero: titolari di contratti per attività di insegnamento, titolari di «contratti d’opera» collegati a programmi di ricerca e infine una pattuglia di «tecnologi a tempo determinato». (Fonte: S. Semplici, CorSera Università 28-02-18)

LA RICERCA DA PROMOTORI NO PROFIT IN ITALIA
Sono italiani la prima terapia genica e il primo farmaco a base di cellule staminali approvati per entrare in commercio in Europa. Eppure le eccellenze della ricerca made in Italy non riescono a sopperire alle carenze del sistema, o meglio all'assenza di un vero e proprio sistema. È questo uno dei temi principali del 5° Convegno Nazionale - La Ricerca da Promotori no profit in Italia, che si è chiuso a Roma il 22 marzo. “I risultati dei vari Paesi indicano che più gli investimenti in Ricerca & Sviluppo si avvicinano al target del 3% del Pil e maggiore è il livello di performance in Horizon 2020 - spiega il dr. Andrea Fontanella, Presidente Nazionale FADOI, la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti. -. La presenza di strategie scientifiche nazionali si dimostra la tattica vincente. Negli Stati più performanti si osservano iniziative nazionali di sostegno ai partecipanti ad H2020 in termini di advise e accompagnamento. Per fare “sistema” c’è bisogno di una normativa più snella, di fiscalità agevolata, di un maggior numero di ricercatori che possano anche fare carriera”. “Nell’immediato - aggiunge Fontanella - vanno definiti i decreti attuativi della Legge su numerosi aspetti critici della sperimentazione clinica, per i quali il mondo delle Istituzioni e quello della Ricerca sono chiamati a individuare le migliori opzioni. È un passaggio di particolare importanza, per il quale FADOI si è impegnata negli ultimi anni, e restituisce alla ricerca no profit la possibilità di incidere più concretamente nella pratica clinica quotidiana”. Perché lottare per la ricerca clinica no profit? “Non dimentichiamo che il know-how dei ricercatori italiani è tra i migliori al mondo - risponde il Presidente Nazionale FADOI -. La ricerca clinica no profit è fondamentale per colmare gli unmet medical need, perché è in grado di produrre value da re-investire, perché attrae investimenti dall’estero e aumenta la competitività. Serve al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), poiché promuove la crescita di centri di eccellenza; ha una conseguenza positiva in termini di appropriatezza dell’assistenza. (Fonte: www.pharmastar.it 22-03-18)

RICERCA SCIENTIFICA. NUOVO TIPO DI FRODE MINA LA CREDIBILITÀ DEL SISTEMA DI PUBBLICAZIONE
Ciò che è dato osservare oggi non è solo riducibile al tentativo di falsare metriche e indicatori scientifici. Emerge un nuovo tipo di frode resa possibile dall’impiego delle metriche, che si attua attraverso condotte abusive successive alla “submission” della pubblicazione. Essa appare diffusa quanto altre forme di frodi, come dimostrano almeno 300 lavori ritirati perché la loro peer review risultava attinta da questo genere di comportamento abusivo. Tratto notevole di questo tipo di condotta abusiva è che essa non riguarda il cuore del lavoro scientifico, ossia il merito scientifico che l’articolo discute. I responsabili di questo tipo di condotte abusive riguardanti lavori già pubblicati tentano di guadagnare valore scientifico non dal contenuto dell’articolo, ma dalle citazioni che l’articolo riceve. Dal loro punto di vista, non è importante che il loro articolo sia davvero letto da uno scienziato, ma solo che le citazioni ricevute dall’articolo siano catturate dai ragni che setacciano la rete a caccia di metadati. Il che significa che, diversamente dalle frodi sui dati e da altre forme di comportamenti abusivi tradizionali, l’abuso successivo alla pubblicazione non implica necessariamente contaminare il prodotto scientifico con risultati falsi. Si tratta però di una pratica che mina la credibilità del sistema di pubblicazione. Che è particolarmente diffusa nei paesi emergenti, forse perché le università di quei paesi assegnano molta enfasi alle metriche per riuscire a diventare rapidamente visibili sul piano globale. (Fonte: M. Biagioli, Roars 27-03-18)


SISTEMA UNIVERSITARIO

REFERTO SUL SISTEMA UNIVERSITARIO. I NUMERI DELLA CORTE DEI CONTI
I docenti delle università statali in soli quattro anni sono passati da 53.901 a 47.785 facendo registrare un calo dell’11,3%. Nelle università del Centro Italia il numero dei docenti è diminuito del 13% (da 14.118 a 12.283); mentre la riduzione minore si è avuta nel Nordest dove da 10.811 professori si è arrivati a 9.790 con una riduzione del 9,4%. Nel Nordovest e sud (isole comprese), le percentuali sono più vicine alla media nazionale (rispettivamente -10,8% e -11,5%).
Nessun taglio invece, anzi un leggero aumento, all’interno delle università private, dove si passa da 2.548 a 2.569 professori (+0,8%).
La riduzione maggiore si è registrata tra i ricercatori che, in quattro anni, sono diminuiti del 24,41% (da 7.983 a 6.033); mentre tra i professori associati si è registrata una tendenza inversa che ha portato a un aumento del 20,1% (da 15.884 a 19.081). I docenti ordinari, infine, sono passati da 14.532 a 12.124 con una riduzione del 16,6%. (Fonte: AdnKronos 01-04-18)

DUE VISIONI DELL’ACCADEMIA
Si è aperta una querelle che riguarda i modi per sciogliere i vincoli che legano le nostre università a un diktat centralistico, espresso dal potere politico. Sul fatto che l'università dovrebbe rifiutare che graduatorie di merito e concorsi siano pilotati dall'alto da una burocrazia paraministeriale, cioè da un agente politico esterno alla comunità scientifica e ai soggetti che costituiscono il sapere, c'è pieno accordo. Il disaccordo nasce sul "come", cioè sui modi per condurre in concreto una simile battaglia.
La querelle si è per adesso aperta tra la proposta avanzata da Roberto Defez (del Comitato nazionale della ricerca) e la controproposta firmata da Massimo Cacciari (sulle pagine di Repubblica). Il membro del Cnr ipotizza la costruzione di una cittadella della scienza, una casa dei saggi che dovrebbero sburocratizzare le regole e stabilire dall'interno del mondo accademico le forme più adeguate per selezionare i docenti e valutare le loro attività didattiche e di ricerca, nell'intento — par di capire — di una generale moralizzazione della vita accademica italiana, alquanto malata e periodicamente squassata da situazioni poco virtuose e dunque assai poco consone alle esigenze di un sapere degno di questo nome.
Da parte sua, Cacciari vede in questo remake della Casa di Salomone, se mai potesse realizzarsi, un ulteriore verticismo, la costruzione di un altro "sopra" in cui starebbero i cosiddetti "migliori" (e chi poi li sceglierebbe?) a esercitare una rinnovata "volontà di potenza" nei confronti dell'istituzione intera. E allora propone che si dia alle singole sedi universitarie il massimo di autonomia in modo che possano presentare agli studenti le loro specifiche offerte didattiche, e che gli studenti (liberati dal valore legale del titolo di studio) possano scegliere la sede che ritengono più congeniale.
Due visioni dell'accademia: una che premia i supposti saggi elevandoli a decisori, l'altra che guarda a cosa si fa veramente nelle università per riuscire a liberarne le energie autonome. (Fonte: P. A. Rovatti, Il Piccolo 02-03-18)

CHE COSA CHIEDE UN RETTORE PER L’UNIVERSITÀ A CHI CI GOVERNA
Romano Prodi ebbe a scrivere nel '91 sul Sole 24 Ore "Non si può essere ricchi e ignoranti per più di una generazione". Sta oggi alle Università - e in particolare a quelle tecniche - rinnovarsi e contaminare il sistema produttivo entrato in crisi con nuovi professionisti dotati di senso critico, responsabilità sociale e attitudine al lavoro in gruppo; alzare lo sguardo verso il futuro con la ricerca interdisciplinare e convincenti catene per il trasferimento tecnologico; rassicurare e abituare al cambiamento una società in forte disagio condividendo con essa conoscenza e dandole speranza. Chiedo tre cose a chi ci governa perché questo possa accadere:
- più investimenti in nuovi docenti e ricercatori: molte Università hanno rapporti studenti/docenti circa doppi rispetto al resto d'Europa. Questo va a scapito della qualità della didattica e del tempo che è possibile dedicare alla ricerca;
- una drastica semplificazione burocratica: più autonomia responsabile e più controlli ex post per evitare di perdere energie in pratiche sterili e ritrovare il tempo per fare bene il proprio lavoro;
- una valutazione che sposti l'attenzione dalla competizione tra singoli alla valorizzazione del gioco di squadra e della progettualità delle strutture (Dipartimenti, Scuole, Atenei interi), per promuoverne un miglioramento continuo e il raggiungimento di obiettivi di sistema in tempi ragionevoli. (Fonte: G. Saracco, rettore del PoliTo, La Stampa 07-03-18)

IL RAPPORTO PAESE 2018 DELLA COMMISSIONE EUROPEA
L’università continua a essere caratterizzata da un alto tasso di abbandoni e da una durata troppo lunga degli studi. Ma è solo la premessa di Bruxelles che accende poi i riflettori su due ritardi storici della nostra istruzione terziaria. Innanzitutto il sottofinanziamento, visto che le risorse investite su questa voce non arrivano allo 0,4% del Pil. E poi una quota di laureati nella classe d’età 30-34 anni che nel 2016 si è assestata al 26,2% contro la media europea del 39,1. Ma i limiti italiani non finiscono qui perché se è vero che i diplomati che proseguono gli studi hanno di nuovo superato il 50% è altrettanto vero che i nostri laureati – si legge nel paper – continuano a guadagnare troppo poco e ci mettono di più a trovare un lavoro rispetto ai loro coetanei europei. Alcuni passi sono stati fatti sull’istruzione post diploma. Sia per il rifinanziamento degli Istituti tecnici superiori (Its) sia per l’avvio delle lauree professionalizzanti. Due tasselli nel percorso di avvicinamento tra le competenze in uscita dei ragazzi e quelle in entrata richieste dalle aziende. Due mondi che erano e restano lontani. (Fonte: www.corriereuniv.it 0903-18)


STUDENTI. TASSE UNIVERSITARIE

AUMENTANO LE ISCRIZIONI ALL’UNIVERSITÀ. PIÙ 3,8 PER CENTO SUL 2016-2017
Le matricole, studenti al primo anno, sono 11.804 in più della stagione precedente. Più 3,8 per cento sul 2016-2017, che a sua volta era cresciuto in maniera identica. Le ultime due sono state le migliori stagioni dell'intero Duemila e segnalano come il sistema universitario italiano -
attaccato, sottofinanziato, intercettato da procure e attraversato da concorsi fasulli  - nuovamente attragga i diciannovenni italiani e le loro famiglie: nell'ultimo quadriennio, quello che ha invertito un andamento in caduta da dieci anni, sono stati recuperati all'istruzione superiore trentunmila diplomati. Un ottavo delle intere matricole del 2013. Cinquantanove università statali pubbliche su 61 hanno offerto a "La Repubblica" i dati delle immatricolazioni 2017-2018. La somma dei neoiscritti in tutti gli atenei segnala un numero di matricole pari a 321.652: sono, appunto, 11.804 in più rispetto all'anno scorso alla stessa data (sempre secondo i dati offerti dalle università). Come segnalano il MIUR e gli esperti di AlmaLaurea, ancora non si può paragonare questa cifra con le serie storiche consolidate, perché a luglio il dato di prassi scende (scremato di chi non ha pagato almeno la seconda rata). Ma tutti — esperti e rettori contattati — sono concordi con il dire che si è tornati a vedere quota trecentomila. Significa che anche per l'università la grande crisi — 2008-2014 — non fa più male. Il livello raggiunto è vicino a quello (307.586 neoiscritti) del 2007-2008, la vigilia della depressione socio-economica. (Fonte: I. Venturi, C. Zunino, La Repubblica 12-03-18)

TAR LAZIO. CONDIZIONI PER ESSERE ISCRITTI A MEDICINA SENZA TEST D’AMMISSIONE
La novità riguarda solo gli studenti laureati, laureandi o iscritti almeno al terzo anno in corsi di laurea a indirizzo sanitario. Che potranno immatricolarsi, se dovessero esserci posti liberi in graduatoria, al secondo anno di Medicina e Odontoiatria senza sostenere il test d'ingresso. Basterà dimostrare di avere raccolto, nel proprio piano di studi, circa 25 crediti in materie previste dal corso di laurea in Medicina. A sancirlo è una sentenza emessa dai giudici del Tar del Lazio. Che, per la prima volta, hanno dato il loro «nulla osta» a una ragazza di Latina, iscritta al terzo anno del corso di laurea in Chimica e Tecnologia farmaceutica all'università «La Sapienza» di Roma, il cui caso è adesso destinato a fare giurisprudenza. (Fonte: G. Mannino, Giornale di Sicilia 02-03-18)

DATI DALL’UFFICIO STATISTICA DEL MIUR. NON INSOLITE DOLENTI NOTE SUL DIRITTO ALLO STUDIO
Secondo i dati pubblicati dall’ufficio statistica del MIUR, i borsisti in Italia sono oltre 176 mila, di cui oltre 16 mila studenti extra Ue. Con l’innalzamento delle soglie ISEE si è allargata la platea dei beneficiari. La legge di bilancio dello scorso anno ha introdotto infatti una «no tax area» alla soglia di 14 mila euro di reddito ISEE, che può arrivare a 23 mila nel caso si raggiungono una serie di requisiti di merito. Quest’anno sono 7 mila gli studenti che pur avendone diritto, non riceveranno alcun sostegno economico. Una buona notizia, ma solo se consideriamo che cinque anni fa erano più di 38 mila. A non garantire la copertura di tutte le borse di studio sono Calabria, Campania e Sicilia, rispettivamente con 2.599, 1.629 e 2.832 studenti esclusi. Le regioni con più borsisti sono Lombardia (21.500) ed Emilia-Romagna (20.202).  Sul diritto allo studio l’Italia resta ancora molto lontana dagli altri Paesi europei. Se gli universitari con borsa sono il 9,4% del totale, in Francia sono il 38%. Negli ultimi dieci anni la percentuale di borsisti francesi è cresciuta del 47%, del 68% per gli spagnoli e del 23% per i tedeschi. E l’Italia? Appena del 7%. Abbiamo la più bassa percentuale di residenze universitarie: la Francia ha il quadruplo dei nostri posti letto e la Germania il quintuplo. (Fonte: N. Ferrigo, La Stampa, 27-02-18)

METÀ DELLE UNIVERSITÀ NON IN REGOLA CON LA LEGGE SULLE TASSE DEGLI STUDENTI
Su 59 presi in esame sono 33 gli atenei non in regola, con una crescita sensibile dopo i tagli della Tremonti-Gelmini del 2008-2010. Invano da anni si attende una risposta e una presa di posizione da parte del Ministero che non chiede agli atenei di rientrare nei limiti, comunque insufficienti, previsti dalla legge. L'Udu, l'Unione degli universitari, a tal proposito, ha presentato ricorso contro la Statale di Milano e l'Università degli studi di Torino impugnando i bilanci previsionali 2018. «Ma il problema è sistemico, non basta la nostra azione legale. È il sottofinanziamento dell'università che ha condotto gli atenei ad innalzare le tasse: nel solo 2015 la somma richiesta oltre i limiti di legge ammonta a 259 milioni di euro». (Fonte: www.studiocataldi.it 06-03-18)

ERASMUS, LE NOVITÀ DEI BANDI 2018 
La dotazione di quest’anno è aumentata di 200 milioni di euro rispetto al 2017, pari a un incremento dell’8%. Quest'anno ci saranno più soldi per gli studenti con condizioni economiche svantaggiate, inoltre, almeno il 50% della borsa sarà erogato prima della partenza. Fino ad oggi, la prima parte di borsa era data entro 30 giorni dalla firma dell'accordo di mobilità, il restante al rientro. Un'altra grande novità è quella relativa alla possibilità di effettuare più volte la mobilità, fino ad arrivare ad una somma massima di 12 mensilità per ciascun ciclo di studio (laurea triennale, laurea magistrale e dottorato) e 24 mensilità per le lauree a ciclo unico. (06-03-18)

PER CHI STUDIA ECONOMIA, QUALI SONO LE DESTINAZIONI ERASMUS MIGLIORI?
A questa semplice domanda Skuola.net risponde tramite la classifica QS World University Ranking, cioè la graduatoria dei migliori atenei nel mondo che si concentra su 48 discipline, divise in cinque macro aree di studio. Con una breve ricerca sul sito, abbiamo scovato le migliori università in Europa per l'ambito "Economics & Econometrics". Ecco quindi i Paesi in cui si trovano le università più quotate per questa area di studio: 1° London School of Economics. 2° Oxford. 3° Cambridge. 4° Bocconi. 5° College of London. 6° London Business School. 7° Warwick. 8° Swiss Federal Institute of Technology a Zurigo. 9° Universitat Pompeu Fabra a Barcellona. 10° Stockholm School of Economics. (Fonte: A. Carlino, www.skuola.net 13-03-18)

STUDENTI LAVORATORI. INDAGINE ALMALAUREA
Che cosa dice l’indagine AlmaLaurea, che coinvolge il 90% di tutti i laureati degli atenei italiani, con un tasso di risposta dell’82% tra i laureati a un anno. Secondo AlmaLaurea, «le esperienze di lavoro hanno caratterizzato il 65% dei laureati triennali, il 58% dei magistrali a ciclo unico e il 67% dei magistrali biennali. Più nel dettaglio, nel 2016, 6 laureati su cento hanno conseguito la laurea lavorando stabilmente durante gli studi (lavoratori-studenti); […] Gli studenti-lavoratori, ovvero gli studenti che hanno lavorato occasionalmente durante gli studi, rappresentano invece il 59%». Ai fini del dibattito sui fuoricorso, vale la pena di notare che «al crescere dell’impegno lavorativo degli studenti diminuisce l’assiduità nel frequentare le lezioni. Hanno seguito oltre i tre quarti degli insegnamenti previsti dal corso di studi 78 laureati su cento fra quanti non hanno lavorato, rispetto al 67% fra gli studenti-lavoratori e al 33% fra i lavoratori-studenti». Inoltre, «La condizione socio-culturale della famiglia di origine influenza la probabilità di lavorare nel corso degli studi. Tra i laureati con almeno un genitore laureato, infatti, i lavoratori-studenti sono solo il 4%; salgono al 6% fra quanti hanno genitori con titoli di scuola secondaria di secondo grado e raggiungono l’11% tra i laureati  con genitori in possesso di un titolo inferiore o che sono senza titolo di studio. Tra i laureati con una formazione liceale il lavoro durante gli studi è meno diffuso: i lavoratori-studenti sono solo il 5% contro l’11% di chi ha un diploma tecnico e il 15% di chi ne ha uno professionale». Insomma, gli studenti universitari che lavorano sono ben più di un terzo (anche se in calo a causa della crisi economica e della riduzione di studenti in età adulta). (Fonte: Red.ne Roars 30-03-18)

STUDENTI ALL’ESTERO. IL COSTO ANNUO
In un'università USA, la spesa può variare tra i 25.000 e i 40.000 dollari l'anno. Per l'Australia la spesa complessiva per un universitario si aggira sui 15.000 euro l'anno. 8.000 se ne vanno in vitto e alloggio, 5.000 in tasse universitarie, 625 per l'assicurazione sanitaria, 375 per il visto studentesco valido tre anni e 1.300 euro circa per tornare (una volta) a trovare la mamma in Italia.
Ci sono Paesi, poi, che mettono in campo politiche specifiche per attrarre gli studenti dall'estero. E il caso dell'Olanda, dove la retta universitaria costa, mediamente, 8.000 euro l'anno, ma dallo Stato le famiglie degli studenti, anche non olandesi, ricevono un contributo di 5.500 euro. L’Olanda è uno dei Paesi meno cari d'Europa, si spendono comunque circa 15.000 euro l'anno per studiare Diritto internazionale a Maastricht. Politiche attrattive anche nel Galles, dove la retta universitaria costa 10.550 euro l'anno, ma lo studente può accedere a una procedura di rimborso, ottenendo uno sconto di 5.700 euro. In Danimarca, invece, le università sono gratuite per tutti gli studenti dell'Unione Europea, che possono usufruire anche di borse di studio, oltre che di biblioteche e internet gratis. Il costo della vita si aggira sui 670 euro al mese e comprende cibo, vestiario, affitto, trasporti e materiale scolastico. (Fonte: P. Ferrario, Avvenire 05-04-18)


VARIE

IL MITO DELL’ECCELLENZA. L’INSEGUIVA ANCHE GALILEO? LA CORRELAZIONE LATITUDINE – DIPARTIMENTI D’ECCELLENZA
La distribuzione dei Dipartimenti universitari di Eccellenza è fortemente correlata con la Latitudine:
106 al Nord (59%), 49 al Centro (27%), 25 al Sud e nelle Isole (13%). Esiste anche una blanda correlazione con la Longitudine, soprattutto lungo la dorsale appenninica. La mappa, che mostra il numero di dipartimenti eccellenti per regione, evidenzia infatti come l’Eccellenza tenda a concentrarsi sul settore tirrenico, piuttosto che su quello adriatico. La determinazione dell’eccellenza dei dipartimenti è una strana pratica moderna, sconosciuta agli antichi. Eppure le Università esistono da mille anni. C’è chi è pronto a giurare che Galileo abbandonò l’Ateneo pisano per approdare a Padova, perché l’Università della Repubblica veneziana era stabilmente in testa alle classifiche di eccellenza. Personalmente tendo più a credere alla congettura che il grande scienziato abbia deciso di emigrare perché a Padova semplicemente gli raddoppiarono lo stipendio: da 60 ducati pisani (corrispondenti a 420 lire fiorentine) a 180 fiorini veneziani (equivalenti a 870 lire fiorentine). A supporto di questa ipotesi c’è il fatto che il Galilei non esitò a spostarsi a Firenze, che l’Università nemmeno ce l’aveva, come «Matematico primario dello Studio di Pisa e Filosofo del Ser.mo Gran Duca senz’obbligo di leggere e di risiedere né nello Studio né nella città di Pisa, et con lo stipendio di mille scudi l’anno, moneta fiorentina» che, se non sbaglio, corrispondevano a 5000 lire. Stipendio quintuplicato insomma ed esonero totale dagli obblighi didattici. Altro che eccellenza! Altro che scatti biennali!
Per misurare l’eccellenza oggi si deve istituire una costosa Agenzia Ministeriale, realizzare una macchinosa piattaforma informatica per l’immissione delle pubblicazioni, chiedere a tutti i professori e ricercatori d’Italia di perdere tempo prezioso per inserire i loro prodotti di ricerca nella banca dati, escogitare una formula complicatissima per misurare l’immisurabile – ovvero la qualità scientifica fra discipline diverse – istituire una commissione nazionale di valutatori, preselezionare 350 dipartimenti con la formula complicatissima suddetta, chiedere alla commissione di sceglierne 180 e di scartare il resto in base a un sistema di valutazione a punteggio, negoziare il risultato con i rettori e con la CRUI, pubblicare i risultati, rispondere alle proteste. (Fonte: N. Casagli, Roars 27-02-18)

LA LINGUA FAVORITA DALLA MATEMATICA E DALLE SCIENZE ERA L'ITALIANO BEN PRIMA DELL'INGLESE
Nei secoli passati - prima che l'inglese diventasse il linguaggio favorito delle scienze - la matematica aveva 'parlato italiano' in maniera formidabile e con grandi risultati. Ad aprire il 'racconto' dell'intenso rapporto tra lingua italiana e matematica, oggi, è stata una tavola rotonda aperta dal presidente dell'Accademia, Claudio Marazzini. "Per dimostrare al meglio la nostra tesi, oggi abbiamo lasciato la parola ai matematici - ha spiegato Marazzini - i quali non hanno mancato di intessere le lodi della ricchezza del linguaggio matematico italiano, ancora molto influente in Europa fino all'inizio del Novecento". A tal proposito, "è doveroso ricordare - sottolinea il presidente della Crusca - che Einstein utilizzò la matematica di Levi-Cívita, uno studioso che aveva scelto di scrivere libri in italiano. E, detto per inciso, Einstein conosceva abbastanza bene la nostra lingua perché da ragazzo aveva abitato in Italia. Nel 1921 presentò la teoria della relatività a Bologna, chiamato dai matematici del luogo, tra i quali Federigo Enriques. (Fonte: ANSA 16-03-18). Bene. Ne siamo orgogliosi. Ma oggi è l’inglese la lingua internazionale delle scienze. E allora perché opporsi al suo uso esclusivo in corsi di laurea scientifici?


UNIVERSITÀ IN ITALIA

LUISS. BORSE DI STUDIO PER TALENTI HI-TECH
Si chiamano LuissMatics e Zacconi scholarship le borse di studio messe in palio per il nuovo corso di laurea triennale in Management and Computer Science, novità dell’offerta formativa che  unisce le caratteristiche fondamentali dei percorsi offerti dagli altri corsi triennali in Economia e Management e Economics and Business, con una presenza significativa di materie tecniche e ingegneristiche, come l’Artificial Intelligence e il Machine Learning, che rappresentano il nuovo codice professionale di aziende, Istituzioni e Pubblica Amministrazione. Le borse LuissMatics, rivolte agli appassionati della matematica e dell’informatica, e la Zacconi scholarship, finanziata da Riccardo Zacconi, fondatore dell’azienda di gaming online King.com (nonché laureato Luiss) saranno a copertura totale e, spiega una nota dell’ateneo, potranno essere confermate per tutta la durata del corso di studi, nel rispetto dei requisiti previsti nei rispettivi bandi. Sostegni al merito anche per i candidati ai corsi di laurea in Giurisprudenza e Scienze Politiche che per particolari condizioni di merito e reddito, potranno concorrere all’assegnazione di oltre 500 borse di studio a esenzione totale e parziale, erogate da Luiss insieme a Enti, istituzioni, grandi imprese. (Fonte: www.corriereuniv.it 03-04-18)

POLIMI. POLIHUB È IL TERZO INCUBATORE UNIVERSITARIO A MONDO
PoliHub, l'incubatore universitario del Politecnico di Milano (sede al quartiere Bovisa) gestito dalla Fondazione Politecnico di Milano, è stato premiato come terzo incubatore (struttura che agevola nascita e crescita di startup) universitario al mondo secondo il ranking dell'associazione indipendente svedese Ubi Global e unico italiano tra i migliori 20 classificati. Rispetto all'indagine pubblicata nel 2015, PoliHub ha guadagnato due posizioni. Il risultato è stato comunicato a Toronto, dove è in corso il World Incubation Summit, l'evento di presentazione del ranking di Ubi Global che dal 2013 misura classifica gli incubatori universitari. La valutazione di Ubi 2018 ha preso in considerazione 1.370 incubatori al mondo e si è basata su tre aree principali di valutazione: il valore generato per l'ecosistema (numero di startup incubate e loro fatturato, posti di lavoro, finanziamenti ottenuti...), il valore per le startup incubate (quantità e qualità dei servizi offerti alle startup, numero di relazioni con imprese, università, finanziatori...) e l' attrattività per l'ecosistema (numero di idee valutate, tasso di crescita e sopravvivenza delle startup una volta uscite...). (Fonte: MF 27-02-18)

POLIMI. DOTTORI DI RICERCA, PER IL 94,7% LAVORO DOPO 1 ANNO
I dottori di ricerca (PhD) del Politecnico di Milano sono stati oggetto nel dicembre 2017 di un’indagine occupazionale che ha coinvolto più dell’80% di chi ha conseguito il titolo nel 2015 e 2016, quasi seicento persone. Ne emerge un quadro molto positivo e non scontato. Sono lontani i tempi in cui il dottorato era solo il primo passo per la carriera universitaria. "A un anno dal titolo - si legge nella nota - il 94,7% è occupato: poco meno della metà dei dottori di ricerca (dato in decrescita, erano poco più di metà nell’ultima indagine) continua una professione nel settore della ricerca al Politecnico e nelle università internazionali. Il 10% circa è lavoratore autonomo. I restanti PhD lavorano in azienda e di questi il 72,3% con un contratto a tempo indeterminato (dato quest’ultimo che li porta a superare di più di venti punti il già ottimo 51% raggiunto dai laureati).
A indicare il riconoscimento da parte del mercato del lavoro lo stipendio medio, circa 2.000 euro mese, il 35 % in più rispetto al laureato. Il dottorato di ricerca è un chiaro investimento sul proprio futuro. (Fonte: Italpress 06-03-18)

UNIMI. VIA LIBERA AL CAMPUS DA 18MILA STUDENTI NELL'AREA EXPO
Il si al trasferimento nell'ex area Expo ma anche la ristrutturazione degli spazi della facoltà di Medicina Veterinaria a Città Studi, che ospiterà il dipartimento di Beni culturali e il Museo dei diritti umani con il barcone dei migranti. Il voto del Senato accademico della Statale e del cda (all'unanimità) ha ufficializzato la volontà di trasferirsi nell’area dell'Esposizione universale, proprio di fronte allo Human Technopole e all'Albero della vita. La struttura accoglierebbe >18.000 studenti, 1.800 ricercatori e ca. 500 TA. (Fonte: La Repubblica 07-03-18)


UE. ESTERO

IRELAND. UNIVERSITIES HAVE RECEIVED GOVERNMENT APPROVAL TO RECRUIT TOP ACADEMICS ON SALARIES OF UP TO €337,000
While professors can earn up to €136,000, more senior appointments, such as registrars, directors or university presidents, may earn between €140,000 and €190,000. The Government provided a special derogation to help universities hire world-leading researchers on salaries of up to €250,000 and top academics on salaries of up to €337,000 a year. (Fonte: www.irishtimes.com 12-03-18)

UK. LO SCIOPERO PIÙ LUNGO DELLA STORIA DELLE UNIVERSITÀ INGLESI. E SI SCOPRE ANCHE CHE I PRECARI E IN PARTICOLARE I DOTTORANDI SONO UNA PARTE PREPONDERANTE DELLA DOCENZA
Si parla di 61 università coinvolte e di un milione di studenti le cui lezioni sono a rischio. Lo sciopero nasce dalla protesta contro il progetto di legare le pensioni dei docenti ai rendimenti azionistici per far fronte alle difficoltà del loro fondo pensionistico. […] La risposta del management è stata molto violenta, non solo detrarranno totalmente il salario dei 14 giorni di sciopero, ma la cosa più grave è che in seguito alla fine dello sciopero i dirigenti di quasi tutte le università hanno chiesto ai professori di riorganizzare tutte quelle lezioni che andranno perse. […] Dopo la minaccia del management di detrarre il 25% della paga per “action short of a strike”, i primi a vacillare sono stati i precari e in particolare i dottorandi che costituiscono una parte preponderante della docenza sopratutto perché sono quelli che coprono i seminari in cui hai un rapporto più diretto con gli studenti. L’università inglese si basa sempre di più sul lavoro precario: pagato a ore; fixed term; part-time o contrattualizzati. I ruoli di docenza sono assegnati sempre di più a queste figure contrattuali precarie. Il sindacato ha portato avanti un’azione molto concreta e ha dato la possibilità ai precari di richiedere un rimborso per il salario perso durante lo sciopero. I fondi di cui si parla si aggirano intorno alle 500 sterline a persona per l’intero periodo di sciopero […] (Fonte: Red.ne Roars 09-03-18)

UK. REVIEW OF TERTIARY EDUCATION ANNOUNCED BY PRIME MINISTER
The higher education reforms of recent years under which student tuition fees have more than tripled, have made equality of access to university more difficult and have created one of the most expensive systems in the world. Yet they have failed to create the competitive market between universities that their architects envisaged, the Prime Minister, Theresa May has admitted.
Announcing a yearlong review of tertiary education last Monday, she said: “Making University truly accessible to young people from every background is not made easier by a funding system which leaves students from the lowest-income households bearing the highest levels of debt, with many graduates left questioning the return they get for their investment.” She hinted that variable fees, dependent on the cost of running the course, might be an option on the agenda. “The competitive market between universities which the system of variable tuition fees envisaged simply has not emerged. All but a handful of universities charge the maximum possible fees for graduate courses.” At the same time, there has been no change on the length of degrees, as also envisaged, with three-year courses remaining the norm.  “And the level of fees charged do not relate to the cost or quality of the course. We now have one of the most expensive systems of university tuition in the world.” She said the review will focus on “how we ensure that tertiary education is accessible to everyone, from every background, how our funding system provides value for money, both for students and taxpayers, how we incentivise choice and competition right across the sector and how we deliver the skills that we need as a country”. (Fonte: universityworldnews.com  20-02-18)

USA. IN TANTE UNIVERSITÀ GLI STUDENTI SONO IMPEGNATI A ELIMINARE I CORSI DI STORIA E CIVILTÀ OCCIDENTALE
Sta succedendo ovunque in America. Ancora nel 1970, dieci dei cinquanta college principali avevano un corso obbligatorio di "civiltà occidentale", mentre 31 di loro offrivano il corso agli studenti se avessero voluto sceglierlo. Oggi, secondo un rapporto dal titolo "The Vanishing West" della National Association of Teachers, nessuna università americana offre quasi più simili corsi.
Gli studenti laureandi in inglese presso l'Università della California dovevano fino a oggi seguire un corso su Chaucer, due su Shakespeare e uno su Milton, i capisaldi della letteratura anglosassone. A seguito di una rivolta della facoltà, durante la quale è stato annunciato che Shakespeare “faceva parte dell'Impero", anche la Ucla ha cancellato questi singoli autori. Al Reed College, una università celebre per le sue discipline umanistiche a Portland, nell'Oregon, si è svolta una scena surreale. Una protesta studentesca contro il corso Humanities 110. Un grande classico delle università americane, in cui agli studenti si fornisce una infarinatura sulla nascita e la formazione della civiltà occidentale. Gli studenti hanno organizzato un sit-in per protestare contro il corso fino a che il professor Libby Drumm, titolare di Humanities 110, ha ceduto dicendo che il nuovo curriculum avrebbe adottato una "struttura a quattro moduli" per includere anche "altri pensatori", oltre a quelli di Atene e Roma. Fino a oggi, il programma includeva letture di Platone, Aristotele e Cicerone, tra gli altri. Un gruppo di studenti chiamati Reedies Against Racism ha protestato per più di un anno, sostenendo che fosse "eurocentrico" e "caucasico". Lo scorso autunno, gli attivisti anti-razzisti avevano anche interrotto la prima lezione di Humanities 110, circondando la cattedra e interrompendo i professori, che alla fine si sono alzati e se ne sono andati. (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 31-03-18)

USA. ATENEI COME MERCATI DELL’ISTRUZIONE
Negli Stati Uniti la trasformazione degli atenei in mercati dell’istruzione è cominciata addirittura agli inizi del 1900, con la decisione di Charles W. Eliot, allora preside di Harvard, di lasciare agli studenti la scelta delle materie. Quelle non gradite sarebbero scomparse dai piani di studi. Con l’eccezione di alcuni centri di eccellenza, dove il corpo insegnante decide ancora che cosa bisogna studiare per ottenere la laurea, oggi nei campus americani regna la libera scelta. La percentuale del bilancio destinata agli svaghi, alle strutture sportive e ai luoghi di ristoro da parte delle università è salita del 22% tra il 2003 e il 2013, molto più rapidamente di quella destinata alla ricerca o all’insegnamento, rimaste attorno al 9%. A parere del 'Washington Post', oggi gli studenti americani controllano a tal punto la vita delle università che sono in grado di cacciare professori che non la pensano come loro o di mettere all’indice libri non graditi, con risultati pessimi per il dibattito e la tolleranza intellettuale. (Fonte: S. Guzzetti, www.avvenire.it 03-04-18)


LIBRI. RAPPORTI. SAGGI

SALVARE L'UNIVERSITÀ ITALIANA
Autori: Giliberto Capano, Marino Regini, Matteo Turri. Il Mulino 2017.
Nella parte introduttiva di questo saggio è esposta un’efficace sintesi dei fattori di crisi. Tra cui si legge il semplicismo della analisi, al contrario le complicate ingegnerie delle ricette, in particolare un intreccio di colpe che riguarda governi e politica, sistema economico (imprese) e quelle che il libro di tre professori universitari chiama le “oligarchie accademiche”. Ne risulta – anche per improprietà della narrazione mediatica – un “clima culturale sfavorevole”, che per trovare vie di uscita obbliga a confrontarsi con gli altri Paesi soprattutto europei. Quali sono le proposte che, nella seconda parte del saggio, trovano posto? Un cambiamento sostanziale dei processi di valutazione, mettendo fine allo scontro tra una valutazione iper-tecnicistica e il partito della non valutazione. La capacità di assumere dati e analisi per progettare il futuro con obiettivi misurati nel medio e anche lungo termine. La possibilità di riportare a centralità la didattica. Una sostanziale politica di sostegno al diritto allo studio. E solo nel quadro di questa manovra integrata la massiccia battaglia per l’allocazione adeguata delle risorse. Al termine, gli autori propongono due misure che vengono considerate “fattori di detonazione”: attuare strumenti della contrattualizzazione poliennale dei rapporti tra ministero e atenei (mutuando il modello francese); concentrare le grandi scuole di dottorato obbligando gli atenei a specializzarsi nelle aree con probabilità di eccellere.
(Fonte: S. Rolando, http://www.linkiesta.it 21-03-18)

PER FORTUNA FACCIO IL PROF
Autore: Nando Dalla Chiesa, ed. Bompiani 2108, pp. 236.
Nando Dalla Chiesa rivela le sue intenzioni fin dalla prima pagina. «Non è (il mio) un libro di denuncia dei mali dell'università. Non è un'accusa contro lo Stato che non investe nella ricerca. (...) È invece un libro che canta la bellezza dell'insegnare e del vivere in università. Racconta il piacere delle sfide culturali (...) Ricorda quel che l'umanità dimentica: che le idee e il cuore smuovono le montagne, possono spesso più del denaro». Un libro controcorrente dalla parte dei giovani, certamente non tutti. Gli studenti di Dalla Chiesa, i più, sembra che non passino le giornate sui divani di casa a giocare con lo smartphone, senza mai leggere un libro, o al bar a bere birrette nella condiscendenza dei genitori, non tutti, certo, che credono così di compensare le loro manchevolezze e i loro spesso macroscopici errori. Il nodo centrale della materia che insegna Dalla Chiesa è naturalmente la mafia, il suo studio arricchito dai più sofisticati strumenti di analisi, sulla 'ndrangheta e su Cosa nostra. Aziende principi in quattro regioni italiane, diffuse in tutto il Paese e all'estero, rappresentano uno dei problemi (sottovalutati) della società nazionale: proprio per questo è importante culturalmente e politicamente l'istituzione specialistica di Milano, conosciuta e stimata in Italia e fuori. La chiusa del libro: «Chissà se potrà esistere un'Italia senza mafia. Credo di no, purtroppo. Non per colpa del destino, che è stato con questa nostra terra generoso di geni e di bellezze; ma a causa delle nostre teste, insaziabilmente nutrite dall'humus della corruzione. Quand'ero giovane speravo e credevo il contrario ( ). Favole senza lieto
fine». (Fonte: CorSera 06-03-18)

DALL'UNIVERSITÀ DI ÉLITE ALL'UNIVERSITÀ DI MASSA. L’ATENEO DI PADOVA DAL SECONDO DOPOGUERRA ALLA CONTESTAZIONE SESSANTOTTESCA
Monografia a cura di Alba Lazzaretto, Giulia Simone. Padova University Press 2017.
Il testo curato da Alba Lazzaretto e Giulia Simone, edito da  Padova University Press nel 2017, affronta la storia dell’Università di Padova a partire dal secondo dopoguerra – quando l’Ateneo di Padova riprendeva la sua attività, fiero della medaglia d’oro al valor militare, ma profondamente ferito nelle sue strutture – e analizza l’evolversi della sue istituzioni (facoltà, istituti scientifici, centri di ricerca), le biografie dei suoi rettori, la presenza delle donne nell’Ateneo, le connessioni tra docenza e rappresentanza politica. Particolare attenzione è stata riservata alla vita degli studenti, dalle loro proteste dagli ultimi anni Quaranta fino al Sessantotto, alla loro vita associativa, alla goliardia che, pesantemente ridimensionata dalla contestazione, va a perdere tradizioni antiche, originali e molto sentite nel mondo universitario padovano. (Fonte: https://tinyurl.com/y8zbdhxx 15-03-18)

LA LAUREA NEGATA. LE POLITICHE CONTRO L’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA
Autore: Gianfranco Viesti. Ed. Laterza, Bari. 2018. Pag. 149.
In un mondo in cui i livelli di istruzione superiore sono decisivi per il progresso economico e l'inclusione sociale, l'Italia sta operando da dieci anni un forte disinvestimento sull'università. Per la prima volta dall'Unità si sono ridotti gli immatricolati. È cresciuto il costo degli studi. L'università italiana è diventata ancora più povera nel confronto europeo. Un'intera generazione di studiosi è stata costretta alla precarietà o alla fuga. Inoltre, processi di valutazione estremamente discutibili stanno riconfigurando il sistema, principalmente a danno degli atenei del Centro-Sud. Tutto questo ha gravi conseguenze per i giovani italiani di oggi e di domani. Una vicenda che deve interessare tutti i cittadini, non solo gli esperti. (Fonte: Presentazione dell’editore)

RESEARCH POLICY: INSIGHTS FROM SOCIAL EPISTEMOLOGY
Autori: Eugenio Petrovich e Marco Viola.. 19 marzo 2018.
E’ uscito il Fascicolo 2018 di Roars Transaction, RT, la rivista open access gemmata dal blog ROARS. Si tratta di un numero monografico dedicato a “Research Policy: Insights from Social Epistemology”. Studiosi da tutto il mondo hanno tentato di rispondere alla domanda del filosofo della scienza americano Philip Kitcher: “How do we best design social institutions for the advancement of learning?”. Al fine di incoraggiare i filosofi (e più in generale, chi si occupa di STS, Student Travel Schools, un'organizzazione internazionale, protagonista nell'ambito degli scambi culturali e dello studio all'estero) a prendere posizione in modo ragionato e argomentato, e preferibilmente in un’ottica riformista piuttosto che panglossiana, riguardo all’aspetto normativo, circa un anno fa siamo partiti dal succitato slogan di Kitcher per lanciare una Call for papers su Roars Transaction, la rivista Open Access gemmata dal blog ROARS, intitolata Research Policy: Insights from Social Epistemology. L’obiettivo era di sollecitare filosofi della scienza e studiosi di STS a trarre conclusioni genuinamente normative (in termini, cioè, di “Policy advice” come diciamo nella nostra breve Introduzione) dalle teorie, per lo più descrittive, elaborate in filosofia della scienza ed epistemologia. Nei mesi successivi abbiamo ricevuto diversi contributi da ricercatori di tutto il mondo, che sono stati sottoposti a peer review da parte di colleghe e colleghi di varie discipline (che cogliamo l’occasione per ringraziare), e persino due lettere dello stesso Kitcher e di un altro pioniere degli STS, Steve Fuller. Al netto di aver permesso la diffusione di contributi originali e di qualità, speriamo di aver mosso il primo passo per invitare i nostri colleghi filosofi a mettersi in gioco per migliorare, e non solo descrivere, l’impresa scientifica. (Fonte: Roars 19-03-18)

SCOPERTA. COME LA RICERCA SCIENTIFICA PUÒ AIUTARE A CAMBIARE L’ITALIA
Autore: Roberto Defez. Ed. Codice, 2018. Pag. 168.
Defez parte da un’analisi piuttosto condivisa, almeno negli ambienti scientifici. L’Italia è un paese in difficoltà. Per la sua incapacità di innovare che deriva, a sua volta, da una cultura scientifica insufficiente anche tra le classi dirigenti. Sostiene Defez, con innumerevoli e puntuali esempi che si srotolano lungo i quattro quinti del libro, che gli scienziati italiani – pochi, ma in grande maggioranza buoni – sono maltrattati «oltre ogni limite di decenza». Lo sfondamento dei limiti avviene in più settori, da quello dei finanziamenti a quello degli adempimenti burocratici, che non sono solo una sorta di tortura istituzionale ma un’enorme perdita di tempo, tutto sottratto alla ricerca. In definitiva, Defez denuncia rapporti non sostenibili della comunità scientifica con i media, le classi dirigenti (per esempio la magistratura), l’economia e la politica. È tutto questo che contribuisce al declino ormai strutturale del paese. È tutto questo che bisogna rimuovere per aiutare a cambiare l’Italia. Ma a questo punto il ricercatore napoletano si pone la domanda, a sua volta classica: di chi è la colpa? Ed è in questo momento che la risposta diventa davvero originale, spiazzante, provocatoria: la colpa è degli scienziati italiani. No, non che questo assolva le (altre) classi dirigenti del paese. Tutt’altro. Ma il fatto è che la comunità scientifica del paese non è affatto unita, coordinata, organizzata. Ciascun ricercatore cerca la sua salvezza individuale, con il più classico individualismo. Ed è qui che l’analisi originale, spiazzante, provocatoria di Defez diventa proposta a sua volta originale, spiazzante, provocatoria: con la “carica dei 51”. Già, ma come? Creando un gruppo rappresentativo di tutte le discipline, di 50. Anzi, di 51 membri – scegliendo tra i ricercatori più bravi (secondo i criteri internazionali, ovviamente) ed eleggendo tra loro o anche tirando il nome del presidente pro tempore. Questo gruppo dovrebbe avere il compito di parlare sì a nome degli scienziati italiani, in maniera sistematica ed efficiente, in maniera professionale, ma utilizzando i metodi propri dei ricercatori: producendo documentazione rigorosa, scientifica appunto, a sostegno delle loro tesi. Una documentazione chiara e imponente, tale da sommergere i media, ma anche da raggiungere le classi dirigenti (magistratura compresa, cui indicare magari nomi di consulenti scientificamente accreditati per la cause in tribunale), gli uomini dell’economia, i politici. (Fonte: P. Greco, www.scienzainrete.it 12-03-18)


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