venerdì 7 settembre 2018

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N. 5 03-09-2018




IN EVIDENZA

PARLA IL NEOMINISTRO BUSSETTI SULLE LINEE PROGRAMMATICHE DEL MIUR
Il ministro Bussetti ha ricordato che l’età media dei docenti negli atenei italiani è tra le più alte d’Europa. Anche il numero dei dottorandi è un terzo di quelli tedeschi e si sta riducendo dal 2008 di circa il 25%. «La carriera universitaria non è più particolarmente attraente, gli stipendi non sono particolarmente attrattivi - ha sottolineato Bussetti - non ho timore dalla fuga dei cervelli, però la ricerca è internazionale, parla tutte le lingue del mondo; è fisiologico che un nostro dottorando senta l’esigenza di lavorare per un periodo all’estero. La questione non è la partenza ma il mancato ritorno, questo sì è un depauperamento. Bisogna fare sì che i giovani studiosi possano rientrare in Italia disponendo di infrastrutture attrezzate in cui poter continuare a sviluppare la loro attività scientifica. Abbiamo bisogno di accrescere il numero dei ricercatori e dei professori aumentando globalmente la dotazione organica». «Bisogna creare le condizioni affinché - ha aggiunto il ministro -, dopo un periodo più o meno lungo, i giovani talenti possano rientrare in Italia: riallineando il salario a quello degli altri principali centri di ricerca e dando loro la possibilità di sviluppare un percorso di carriera, di disporre di infrastrutture fisiche e tecnologiche (ad esempio, laboratori attrezzati) adeguate e finanziate in maniera costante, nelle quali poter continuare a sviluppare l’attività scientifica». «Dall’altro - continua ancora Bussetti - dovremo riuscire ad attirare le menti più brillanti, junior o senior, dall’Europa e dal mondo, attività questa in cui siamo deboli».
Il senatore Francesco Verducci in merito all’intervento del ministro Bussetti in Parlamento: «L’università ha grandi problemi aperti: scarsità di immatricolati e laureati, scarsità e precariato dei ricercatori, divario territoriale. Ma in 45 minuti di intervento il ministro non ha mai citato né il tema dell’accesso, né il tema della precarietà, né quello degli squilibri territoriali, né quello del diritto allo studio universitario». (Fonte: IlSole24Ore 13-07-18)

PUNTI INCERTI NEL CONTRATTO DI GOVERNO SU UNIVERSITÀ E RICERCA
Nel contratto fra Movimento 5 stelle e Lega non si definiscono tempi, modi e priorità di intervento. Non si capisce come il nuovo governo intenda alzare la percentuale di laureati fra i giovani, fra le più basse in Europa (27 per cento contro una media Ocse del 40 per cento), dovuta sia alle immatricolazioni insufficienti sia all’elevatissimo abbandono durante gli studi (42 per cento). Né si capisce se si vuole che tutte le 96 istituzioni universitarie continuino a offrire una vasta gamma di corsi di studio e di ambiti di ricerca oppure si preferisca per ciascuna di esse una specializzazione nelle aree di maggior forza, magari negoziando gli obiettivi con il MIUR, come proposto da Giliberto Capano, Marino Regini e Matteo Turri; se vada privilegiata la qualità della ricerca oppure se didattica e terza missione – citate nel testo – debbano avere pari rilevanza. Così come non è chiaro se il fondo di finanziamento ordinario vada assegnato in base ai costi standard (e quindi alla capacità di attrarre gli studenti, introducendo forme di concorrenza fra università), alla spesa storica (quindi privilegiando gli atenei più antichi), a criteri premiali o a esigenze perequative nei confronti delle università del Sud, o ad altro ancora; o se la selezione di ricercatori e professori debba continuare a passare per il vaglio nazionale oppure vada affidata direttamente ai dipartimenti, come nel mondo anglosassone.
Basta un esempio per mostrare l’incertezza sulle linee guida: da un lato, si esaltano i risultati eccellenti nella ricerca (e in effetti nelle aree bibliometriche l’impact factor per ricercatore negli ultimi anni è stato secondo solo a quello olandese). Dall’altro, ci si lancia in un’accusa generalizzata al sistema universitario e all’utilizzo indebito del potere accademico. Ora, delle due l’una: o il sistema è fondamentalmente bacato e non produce buoni frutti oppure, se la qualità della ricerca è così elevata, le cattive pratiche anti-meritocratiche non devono essere poi così imperanti. Nel contratto Lega-M5s viene proposto un aumento della spesa universitaria: è un punto di partenza importante, anche se non se ne specifica l’entità. Mentre la spesa pro capite nella scuola italiana è sostanzialmente allineata alla media dei paesi avanzati, secondo i dati Ocse 2014, nell’università investiamo appena l’1 per cento del Pil, contro l’1,5 medio: siamo agli ultimi posti in Europa. (Fonte: A. Gavosto, lavoce.info 12-06-18)

TAR PUGLIA. DUE SISTEMI PARALLELI DI C.D. TENURE-TRACK
Così il Tar Puglia Bari sez. I, 24 maggio 2018, n. 736: E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24. commi 2. lett. b). e 3, lett. b). 1. 30 dicembre 2010. n. 240, per violazione artt. 3, 97. 33 e 35 Cost., nella parte in cui individua i requisiti di accesso al contratto per ricercatore a tempo determinato di tipo B o c.d. Senior che consentirebbe un accesso privilegiato alla qualifica di professore universitario di II fascia (c.d. associato). Risulta rispondere a logiche razionali l'aver previsto per i ricercatori a tempo determinato e per quelli a tempo indeterminato, perché in situazioni non del tutto sovrapponibili, due sistemi paralleli di c.d. tenure-track, il primo contenuto nel comma 5 ed il secondo disegnato nel comma 6 della legge n. 230 cit., nella misura in cui ad entrambe possano essere riservate adeguate risorse finanziarie nell'ambito della programmazione per il sistema di avanzamento per c.d. tenure-track, non rilevando il sistema con cui, in concreto, l'Università provveda al reperimento dei fondi, in quanto questione meramente contabilistica.
Quel che importa e che, comunque sia, alla stregua di una corretta programmazione finanziaria, vi siano sufficienti fondi per non discriminare ricercatori confermati a tempo indeterminato (vecchio ordinamento) e ricercatori a tempo determinato (nuovo ordinamento), ai fini dell'accesso al c.d. tenure-track. (Fonte: Tar Puglia, sentenza 24-05-18, n. 736)

LA RIDUZIONE DI RISORSE ECONOMICHE E UMANE A FRONTE DELL’AUMENTO DEI FREQUENTANTI PUÒ ABBASSARE LA QUALITÀ MEDIA DELLA DIDATTICA
Se gli indicatori quantitativi ci parlano di un restringimento del nostro ritardo dalla media europea, nel Rapporto ANVUR 2018 mancano, invece, indicatori per una valutazione della qualità della didattica, sebbene si preannunci un uso più diffuso dei questionari degli studenti (che peraltro possono fornire giudizi distorti nelle classificazioni). Sulla qualità della didattica e sul suo monitoraggio è necessario tenere alta l’attenzione: l’aumento dei laureati è avvenuto, infatti, in presenza di una riduzione delle risorse economiche (-20 per cento in termini reali rispetto al 2008) e dei docenti (-13 per cento), per effetto del pensionamento di numerosi ordinari e dei limiti posti al turnover. Il rischio è che, con l’aumento dei frequentanti e il sovraffollamento delle aule, l’insufficienza delle risorse investite nel personale e nella didattica porti alla lunga a un abbassamento della qualità media. (Fonte: A. Gavosto, lavoce.info 17-07-18)

LA MANCANZA DI TITOLI TERZIARI (UNIVERSITARI) PROFESSIONALIZZANTI CONTRIBUISCE AL BASSO NUMERO DI LAUREATI
Il basso numero di laureati in Italia è anche dovuto al fatto che nel nostro paese esiste sostanzialmente solo una laurea accademica (Tertiary type A), mentre negli altri paesi ne esiste anche una professionalizzante (Tertiary type B). In quasi tutti i paesi europei la mobilità sociale è stata favorita dalla creazione di titoli terziari (universitari) professionalizzanti, che hanno attratto nella sfera dell’università i figli di genitori senza laurea. Tradizionalmente (e aggiungeremmo anche culturalmente) l’Italia non ha mai investito in un canale vocational di pari dignità del canale accademico. La riforma del 3+2 degli anni Duemila è stata un fallimento nel suo tentativo di creare corsi professionalizzanti perché ha preteso che fossero i professori accademici a insegnare le professionalità. Infatti la riforma 3+2 non ha aumentato la mobilità sociale. Nella legislatura appena iniziata è necessaria una riforma che introduca in Italia quel che in altri paesi c’è da 20 anni: un canale professionalizzante che parta dagli Its, gli istituti tecnici superiori che oggi realizzano corsi professionalizzanti per 8 mila studenti. (Fonte: M. Leonardi e M. Paccagnella, lavoce.info 11-05-18)

LA VERA VALUTAZIONE DELLA RICERCA
Una vera valutazione non si può fare sulle cose intellettuali di livello molto alto. Tanto meno se a scopo comparativo e premiale, perché anteporre la buona ricerca di uno alla buona ricerca di un altro senza motivi seri è osceno non solo intellettualmente, ma anche moralmente. Quindi, sui livelli molto alti come lo è la ricerca di punta che praticano gli universitari, semplicemente non si deve fare. Se si fa qualcosa di simile a quello che si fa adesso, chiamarla "lotteria universitaria" o "capriccio del ministero" non si discosterebbe dal vero molto più che "valutazione della qualità della ricerca". Invece di spendere enormi energie di tutti (perché, dimenticavo di dirlo, l'intero procedimento è una mostruosa e patetica farragine che tiene tutti in scacco senza sosta con mille squallidi adempimenti) in questa screditatissima messa in scena, i ricercatori di livello universitario che hanno una produzione decente vanno semplicemente finanziati e lasciati lavorare. La maggior parte di loro produrrà migliore scienza così, perché non ne mancano gli incentivi (di carriera, di soddisfazione intellettuale e personale, di riconoscimenti almeno fra gli addetti ai lavori). Non per nulla, dalle origini della civiltà fino a pochi anni fa, tutta la scienza che si è fatta si è fatta proprio in queste condizioni. Oltre a questo, per indirizzare la ricerca verso alcuni campi ritenuti strategici, si devono finanziare specifici progetti, naturalmente garantendosi che il livello qualitativo sia al di sopra di una certa soglia.
La valutazione su base essenzialmente quantitativa, cioè quella che si fa adesso, deve essere applicata solo ai livelli più bassi della compagine scientifica, stabilendo dei minimi sotto cui il ricercatore non può andare, e deve avere la funzione di impedire la completa improduttività. Su chi per qualsiasi motivo sarebbe portato a non produrre quasi niente per periodi davvero troppo lunghi, dei vincoli sul numero minimo di prodotti e sul tipo di sedi di pubblicazione possono avere il vantaggio di spingere a produrre almeno alcuni lavori su riviste che garantiscano la presentabilità; e questo è sicuramente per il meglio. Si dovranno anche premiare in modo speciale alcune eccellenze conclamate, consacrate dalla comunità scientifica internazionale. Insomma, il bastone e la carota per il 5-10% più pigro e per il 5-10% più bravo; ma quello che ciclisticamente sarebbe il "gruppo", va trattato tutto nella stessa maniera. Questo perché la libertà della ricerca è più importante della quantità. E al tempo stesso è il massimo fattore che ne produce la qualità. (Fonte: E. L. Vallauri, temi.repubblica.it/micromega-online 05-06-18)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

ASN. CUN: PARERE SUI NUOVI VALORI SOGLIA PROPOSTI DA ANVUR
Come previsto dal DM 120/2016, il CUN ha formulato il suo parere sui nuovi valori soglia proposti da ANVUR. «Perché sia meglio assicurata la comprensibilità delle soluzioni adottate dall’ANVUR, come impone il principio di trasparenza funzionale alla conoscenza reale e al controllo di ogni attività pubblica, questo Consesso ritiene inoltre opportuno che sia reso noto l’algoritmo esatto di calcolo dei valori soglia che ha permesso il raggiungimento di detti valori alla percentuale predeterminata di candidati.». Il CUN non solo denuncia la mancanza di trasparenza della procedura che ha portato alla determinazione dei valori, ma contesta la continuità con le procedure adottate nel 2016, in particolare riguardo alla decisione di scegliere valori «che consentissero il raggiungimento di due valori soglia su tre a predeterminate percentuali delle platee dei professori di prima fascia, dei professori di seconda fascia e dei ricercatori». Il CUN evidenzia che «nelle indicazioni del legislatore, infatti, l’Abilitazione dovrebbe essere attribuita a tutti gli studiosi che abbiano raggiunto, per la seconda fascia, la maturità scientifica e, per la prima fascia, la piena maturità scientifica, senza stabilire a priori una quota di candidati che non potrà conseguirla.
I “nuovi” valori soglia introdotti, anche in attuazione delle modifiche del 2014, dal DM 7 giugno 2016, n. 120 dovrebbero pertanto costituire un mero valore di accesso alla procedura in termini di adeguata qualità e quantità della produzione scientifica, come riconosciuta dalle rispettive Comunità, e non dovrebbero dipendere da calcoli statistici sulla platea dei possibili Candidati.».
(Fonte: Red.ne Roars 01-08-18)

ASN. LA RESISTENZA DEL MIUR PER QUATTRO ANNI VERSO I NON ABILITATI CON 3/5
Roars riporta la seguente lettera del “Coordinamento dei non abilitati con 3/5”.
Scrivo a nome dell’auto-costituito “Coordinamento dei non abilitati con 3/5”, nato ormai quattro anni fa a seguito dell’annullamento, ad opera del Consiglio di Stato, della norma del regolamento dell’ASN che prescriveva una maggioranza qualificata dei 4/5 per l’ottenimento dell’abilitazione. Da allora il MIUR scelse la strada di applicare la “nuova” maggioranza esclusivamente “ex nunc” (cioè a partire dalla data di annullamento e in pochissimi altri isolati casi di situazioni “pendenti”) creando un’evidentissima disparità di trattamento tra candidati. Chiedemmo subito al MIUR di agire invece per tutti in autotutela, ricevendo solo un assordante silenzio. Purtroppo il silenzio perdurò e fummo costretti, alcuni collettivamente, altri individualmente (con notevole impegno economico e morale) ad adire le vie legali. Finalmente, il 15 novembre scorso, il Consiglio di Stato ha emessa una chiarissima condanna senza alcuna attenuante, riguardo all’assurda posizione tenuta dal MIUR. Eppure, il MIUR è rimasto ancora inerte, costringendoci a nuovi ricorsi al TAR contro il suo silenzio (vinti lo scorso giugno). Solo allora ha emesso una nuova Circolare che, finalmente, dopo più di quattro anni, metterà la parola fine alla questione. Ci chiediamo: Era davvero necessario che il MIUR ci facesse patire per quattro anni? Era davvero impossibile capire che questa fosse da subito l’unica soluzione possibile? Chi ci ripagherà per i quattro anni di occasioni mancate? (Fonte: Red.ne Roars 25-07-18)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

CRITICHE AI RANKING
In primo luogo la logica del ranking, delle graduatorie che incolonnano i migliori atenei in cui andare a studiare, è una logica molto americana. Parliamo di un Paese diverso dal nostro in cui c’è sempre stata una grandissima mobilità sociale legata agli studi. E’ normale, negli Usa, che un ragazzo lasci casa sua per cambiare Stato e raggiungere un college che lo attira. In un contesto del genere è facile che le università considerino i ranking un buon modo per attirare visibilità e studenti. Da noi, ma in realtà in tutta Europa, è una cosa meno diffusa e gli studenti sono più stanziali. A questo si aggiunge che ad essere molto ‘americani’ sono anche i criteri con cui vengono valutati gli atenei. Nel senso che alcune delle voci che sono prese in considerazione sono cose come il rapporto tra docenti e studenti. E’ ovvio che da noi ci siano più studenti per ogni singolo docente rispetto ai campus degli Stati Uniti dove si pagano rette molto care per essere ammessi e le strutture che ospitano le matricole sono completamente diverse. Inoltre il ranking usa criteri non scientifici, scelti con una ratio impostata da chi li gestisce, e mette sullo stesso piano università che hanno tasse diverse per gli studenti, capacità di attrarre finanziamenti privati diversi e che ricevono finanziamenti statali che non si possono paragonare tra loro. Se si usano certi criteri è normale che l’ultima università del Texas primeggi su molte italiane. (Fonte: G. Ajani, La Stampa 28-05-18)

LA CLASSIFICA DEGLI ATENEI STILATA DAL CENTRE FOR WORLD UNIVERSITY RANKINGS (CWUR)
Gli indicatori su cui si basa la classifica delle università di CWUR (https://cwur.org/2018-19.php  2018) sono sette: qualità della formazione; tasso di occupazione dei laureati; qualità della docenza; produzione scientifica; qualità della ricerca; prestigio internazionale; numero di citazioni sulle riviste. In totale 45 le università italiane che sono riuscite a entrare nella classifica università CWUR 2018. Sapienza 67esima. Dietro c’è la Statale di Milano, 148esima. Tra le prime 200 al mondo ci sono anche UniPd (150esima) e UniFi (185esima). UniBo 201esima. Sono riuscite a inserirsi tra le migliori 300 al mondo anche Torino (208esima), Napoli Federico II (247esima), Tor Vergata di Roma (283esima) e Pisa (285esima).
Ormai abbonata a stare sempre in vetta, anche in questa graduatoria, è Harvard a occupare la prima posizione. La blasonata università americana precede, nell’ordine, le connazionali Stanford e MIT di Boston. La medaglia di legno della classifica università CWUR 2018 va, invece, alla britannica Cambridge, che precede la rivale storica Oxford. Per trovare un ateneo non angloamericano occorre scendere fino alla 12esima posizione, occupata dalla University of Tokyo.
Al di là di Cambridge e Oxford, invece, la prima delle istituzioni europee è lo University College London, che si piazza in 21esima posizione. (Fonte: P. Cirica, universityequipe.com 30-05-18)

CLASSIFICA IBRIDA DELLE 500 “MIGLIORI” UNIVERSITÀ
Swissinfo.ch ha creato una classifica ibrida delle 500 “migliori” università, elaborando una media delle tre graduatorie mondiali più approfondite ed influenti: QS World University Ranking, Times Higher Education (THE) e Shanghai Ranking (ARWU). La Svizzera è ben rappresentata con 8 università tra le prime 500 al mondo. La maggior parte delle 50 migliori università in assoluto si trovano nei paesi di lingua inglese, ma sono di gran lunga anche le più costose. Sotto le italiane con l’average rank:

Scuola Superiore Sant'Anna Pisa     173.5  

Scuola Normale Superiore Pisa        188.0  

Sapienza di Roma                              195.3  

Politecnico di Milano                          210.3  

Università di Bologna                         219.3  

Università di Padova                         235.8  

Università di Torino                           250.5   

Università di Milano                          287.8   

Politecnico di Torino                         307.0   

Università di Pisa                             338.0    

Università di Milano-Bicocca            350.5  

Università di Pavia                           350.5   

(Fonte: https://tinyurl.com/ycaxs4dw 15-05-18)


CLASSIFICAZIONE CENSIS DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE
Anche quest'anno il Censis pubblica le classifiche delle università italiane, suddivise in categorie omogenee per dimensioni e valutate in base ai servizi, le strutture, le borse di studio offerti agli studenti, ma anche in base alla comunicazione e all'internazionalizzazione. Bologna è ancora prima per il 9° anno consecutivo tra i mega atenei. Migliora Sapienza, Padova raggiunge Firenze. L'Università della Calabria balza in avanti. Pavia scivola al quarto posto, Teramo retrocede. (Fonte: La Repubblica 02-07-18)

ACADEMIC RANKING OF WORLD UNIVERSITIES (ARWU)
Indicatori disaggregati delle università italiane nelle classifiche ARWU 2017 e 2018.
TABELLA. In rosso: valori degli indicatori che sono peggiorati. Caselle gialle: i casi di arretramento in classifica e gli indicatori che sono maggiormente peggiorati.
ARWU non pubblica i punteggi degli atenei oltre la 100-ma posizione, ma pubblica i punteggi dei sei indicatori (Alumni, Award, HiC, N&S, PUB, PCP) la cui somma pesata produce lo score finale:

-Alumni of an institution winning Nobel Prizes and Fields Medals (peso 0,1);

-Award: staff of an institution winning Nobel Prizes and Fields Medals (peso 0,2),

HiC: the number of Highly Cited Researchers selected by Thomson Reuters (peso 0,2);

-N&S: the number of papers published in Nature and Science between 2013 and 2017. (peso 0,2);

-PUB: total number of papers indexed in Science Citation Index-Expanded and Social Science Citation Index in 2017 (peso 0,2);

-PCP: the weighted scores of the above five indicators divided by the number of full-time equivalent academic staff (peso 0,1). (Fonte: Roars 29-08-18)








CULTURA DEL DIGITALE

I DOCENTI SONO INDISPENSABILI ANCHE NELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE DELL’INSEGNAMENTO
Troppo spesso la questione su come gli insegnanti debbano affrontare la trasformazione digitale, “per stare al passo coi tempi”, viene affrontata meramente sul piano tecnologico. Questo è un grave errore. Ci si focalizza solo sul passaggio dalla carta agli e-book, dalla formazione in aula all’e-learning, e così via. I servizi educativi sono ben diversi da quelli commerciali: continueremo ad avere bisogno di tanti insegnanti, forse ancor di più che in passato. D’altro canto, chi svolge questo lavoro sarà destinato a cambiare – drasticamente – ruolo ricoperto e a rinnovare le sue competenze.
Le piattaforme digitali possono creare nuovi ed efficaci modelli di fruizione dei contenuti formativi, ma il valore aggiunto del docente nei processi di interazione e confronto, quale stimolatore di discussioni e pensiero critico, nonché come ‘educatore’ in senso stretto resta tuttora inimitabile e scarsamente replicabile sul web. Anche i tentativi di replicare tali circostanze per via telematica si sono finora dimostrati, in larga parte, piuttosto fallimentari. La conoscenza personale, il confronto continuo fra docente e discente, il fatto di essere nella stessa stanza e vivere “la stessa atmosfera’, la possibilità di incontrarsi davanti a una macchinetta del caffè restano dinamiche sociali che fanno la differenza quando i modelli di formazione si basano sull’interattività e sull’apprendimento applicato, anziché sulla didattica frontale. Secondo questo paradigma, l’insegnante è un po’ meno formatore – quantomeno secondo l’accezione tradizione – e sempre più coach, mentor, facilitatore dei processi di apprendimento. (Fonte: S. De Nicolai, www.agendadigitale.eu 06-07-18)


DOCENTI

ATTO DI INDIRIZZO MINISTERIALE SUL DOPPIO LAVORO DEI DOCENTI
Il 14 maggio scorso la ministra Valeria Fedeli, in coordinamento con l’Anac di Raffaele Cantone, ha inviato a tutti i rettori d’Italia un atto d’indirizzo per arginare il fenomeno dei doppi lavori, che avrebbe prodotto un danno erariale pari a 52 milioni 563mila 319 euro, come emerge dal “Progetto Magistri”, una indagine del Nucleo speciale spesa pubblica della Guardia di finanza.
Sotto la lente del MIUR sono finiti l’abuso di consulenze, le partecipazioni a società e il ricorso alla partita Iva da parte di professori universitari che con un incarico a tempo pieno dovrebbero avere un rapporto di esclusività - come tutti i dipendenti della Pa - con le università di appartenenza. Ma che grazie anche a qualche spazio grigio nella pioggia di norme degli ultimi anni hanno in qualche caso approfittato per svolgere qualche lavoro privato di troppo. Ora però la vigilanza sarà rimessa direttamente agli atenei «i quali pur non essendo titolari in materia di un potere autorizzatorio - si legge nell’atto del MIUR - provvederanno a effettuare le verifiche del caso». Inoltre, «i regolamenti di ateneo provvederanno a disciplinare procedure interne basate sulla comunicazione, almeno semestrale, da parte dei docenti al Rettore, al fine di consentire un adeguato monitoraggio, funzionale ad assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di regime a tempo pieno, anche sotto il profilo della prevenzione dell’insorgere di situazioni di conflitto di interessi».
(Fonte: M. Bartoloni e M. Cimarrusti, IlSole24Ore 16-05-18)

DOCENTI UNIVERSITARI: QUANDO POSSONO FARE UN DOPPIO LAVORO

Chi esercita come professore in un ateneo statale è considerato, a tutti gli effetti, un dipendente pubblico con un rapporto di esclusività. A questo punto, i docenti universitari possono fare un doppio lavoro? A stare a guardare inchieste e pronunciamenti del Ministero dell’Istruzione, la risposta è decisamente negativa. I docenti a tempo pieno che, insieme all’insegnamento nelle facoltà, offrono delle consulenze a pagamento o partecipano a società esterne violano la legge e, secondo le stime della Guardia di Finanza, provocano un danno erariale per decine di milioni di euro. Tuttavia, ci sono dei casi in cui i docenti universitari possono fare un doppio lavoro, purché non sia in conflitto con gli interessi dell’ateneo o incompatibile con la funzione pubblica che svolgono. È il caso di chi collabora con una rivista specializzata, di chi partecipa ad un convegno o di chi, ad esempio, insegna scienze giuridiche ed economiche ed ha uno studio di avvocato.
Nel saggio si legge cosa è permesso e cosa non è permesso fare ai docenti universitari e quando possono fare un doppio lavoro. (Fonte: C. Arija Garcia, laleggepertutti.it 15-05-18)


DOTTORATO

RILIEVI DEL CONSIGLIO DI STATO SULLO SCHEMA DI DECRETO CHE MODIFICA IL REGOLAMENTO PER L’ACCREDITAMENTO DELLE SEDI E DEI CORSI DI DOTTORATO
Il Consiglio di Stato ha mosso una serie di rilievi sullo schema di decreto che modifica il regolamento per l’accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato. Il più importante riguarda la definizione del dottorato come qualificante per i «più elevati profili professionali delle pubbliche amministrazioni». Il Consiglio di Stato osserva che le finalità del dottorato sono definite nella legge 210/1998, e non possono essere ridefinite per via regolamentare. A parte questo punto decisivo, nel suo parere in primo luogo Palazzo Spada sottolinea come la relazione tecnica sia priva della validazione da parte della Ragioneria Generale dello Stato del ministero dell'Economia, necessaria per la formulazione di un parere definitivo. Il Consiglio di Stato rimprovera al MIUR il mancato inserimento delle università, degli enti di ricerca, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni tra i destinatari indiretti della normativa. Una impostazione, questa, che conferma l’alta potenzialità del dottorato di ricerca, e la necessità di una compiuta valorizzazione del titolo anche oltre la carriera accademica, nella pubblica amministrazione e nel settore privato. Infine Palazzo Spada raccomanda al MIUR di definire in maniera più precisa i criteri di valutazione e di definirli in rapporto alla natura del percorso di ricerca, definendo più chiaramente le tipologie di dottorato industriale, internazionale e intersettoriale, chiarendo le modalità di convenzione con le imprese e quelle per cui differenti atenei o enti di ricerca possono collaborare nell'istituzione di dottorati internazionali e intersettoriali. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 08-06-18)


FINANZIAMENTI

450 MILIONI PER GLI ADVANCED GRANT - ERC-2018
Con l'apertura della call per gli «Advanced Grant - Erc-2018», avvenuta lo scorso 17 maggio, sono stati messi a disposizione ben 450 milioni per supportare il lavoro di ricercatori ormai già affermati nel proprio ambito. La deadline per l'invio delle richieste è fissata al 30 agosto 2018. Sostegno ai «Principal Investigator» più ambiziosi e innovativi. Essere ricercatori dalle riconosciute competenze non basta a prospettare una carriera duratura. Sebbene siano stati raggiunti tanti e importanti risultati, il rischio è quello di non essere più considerati all'altezza e al passo con i tempi. La possibilità di essere quindi messi al margine a favore delle nuove leve, risulta essere concreta e non sempre ben giustificata. Con questa call l'Unione Europea vuole sia sostenere sia spingere i cosiddetti «Principal Investigator» nel dimostrare la natura innovativa, l'ambizione e la fattibilità delle proprie proposte scientifiche. Le dimensioni delle sovvenzioni avanzate dall'Erc saranno ben commisurate alle relative proposte di progetto. A ciascun candidato non potranno essere aggiudicati più di due milioni e mezzo di euro scaglionati in un tempo limite di 5 anni. Nel caso di progetti dalla minor durata l'intera sovvenzione sarà ridotta pro rata temporis. Ipotizzando di garantire a tutti i partecipanti il massimo del budget disponibile, saranno quantomeno 180 le proposte a poter sperare in una valutazione positiva. (Fonte: R. Nicchi, IlSole24Ore 21-06-18)

RIPARTIZIONE DEL FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO DELLE UNIVERSITÀ STATALI IN UNA BOZZA DI DECRETO. QUASI IL 30% ALLA “PREMIALITÀ”
Il FFO complessivamente si colloca intorno ai 7,3 miliardi di euro. Cresce di circa 345 milioni rispetto allo scorso anno (+4,9%) solo perché contiene tra l’altro: 271 milioni di euro per il finanziamento dei cosiddetti “dipartimenti di eccellenza”; 50 milioni di euro a titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali dei docenti; 105 milioni di euro per compensare l’ampliamento della no tax area per le contribuzioni studentesche.
Tutti questi interventi sono finalizzati a finanziare totalmente o parzialmente specifiche iniziative previste da provvedimenti legislativi, temporalmente limitate e quindi non strutturali. Gli Atenei, inoltre, dovranno far fronte con il proprio bilancio anche al rinnovo del CCNL del personale tecnico e amministrativo (e dal 2019 anche agli aumenti per il personale docente e ricercatore). Quindi le risorse strutturali a disposizione degli atenei sono di fatto diminuite e cala in particolare la quota base di finanziamento (che si riduce al 60% del FFO, dal 72% di quattro anni fa), arrivando intorno ai 4 miliardi e 400 milioni di euro (165 milioni di euro in meno del 2017, circa il 4%). Quasi 3 miliardi (2,950) sono attribuiti sulla base dei finanziamenti dell’anno precedente (nel FFO 2017 erano più di 3,2 miliardi, con una diminuzione di circa 260 milioni di euro, pari a quasi il 9% in meno per questa voce). La quota ripartita secondo il criterio del cosiddetto “costo standard di formazione studente” aumenta invece da quasi 1,3 a quasi 1,4 miliardi di euro (circa 95 milioni di euro in più, +8% della voce), passando dal 28,6% al 31,9% della quota base. Continua a crescere la percentuale delle risorse destinate alla cosiddetta premialità che raggiunge quasi un miliardo e 700 milioni di euro (158 milioni in più dello scorso anno, ben 11% in più nei fondi su questa voce, pari a circa il 24% delle risorse disponibili contro il 22% dello scorso anno), al netto dei dipartimenti di eccellenza (sommando i quali si raggiunge quasi il 30% delle risorse complessive). (Fonte Flc Cgil 23-07-18)

CHE FINE HA FATTO IL FFABR
La legge di bilancio 2017 ha introdotto il FFABR (Fondo per il finanziamento delle attività base di ricerca dei ricercatori e dei professori di seconda fascia). Lo stanziamento previsto era di 45 milioni di euro a decorrere dal 2017, con un importo individuale annuale pari a 3 mila euro, per un totale di 15 mila finanziamenti individuali. A distanza di poco tempo c’è stata però una drastica inversione di marcia e con successive decurtazioni il provvedimento è rimasto del tutto privo di copertura finanziaria. Dopo il primo stanziamento si è proceduto a progressivi tagli, dapprima con la legge 21 giugno 2017, che diminuiva il finanziamento del 30 per cento dal 2019, poi con la legge di bilancio 2018, che ha ridotto lo stanziamento per il 2018 a 30 milioni e quello del 2019 e 2020 a 18 milioni e infine (per dare il colpo di grazia) con ulteriori due decurtazioni del fondo stanziato per il 2018 che lo hanno ridotto a soli 2 milioni di euro (e azzerato dal 2019). (Fonte: F. Di Paola, lavoce.info 31-07-18)


LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA – OCCUPAZIONE

L’OCCUPAZIONE DEI LAUREATI
Tra i laureati nella classe di età tra 20 e 34 anni (circa 1,2 milioni) che hanno un'occupazione, ben il 28% (348 mila) risulta sovraistruito, cioè occupa una posizione professionale che in realtà non richiede la laurea. Si tratta di circa il 30% dei giovani laureati, costretto ad accettare un lavoro inferiore alle proprie aspettative, con punte di sovraqualificazione anche sopra al 50% per chi proviene dalle facoltà di lingue e scienze sociali, mentre per i laureati in medicina, ingegneria, statistica e farmacia il fenomeno è più contenuto e non raggiunge il 20%. La crisi economica ha poi aggravato notevolmente un secondo aspetto, quello della sotto occupazione: tra chi ha meno di 34 anni si è infatti passati da un'incidenza di part-time involontario pari al 48,3% del 2008 al
74,8% del 2017. Nello stesso periodo, mentre il numero dei giovani con contratto a tempo determinato è rimasto sostanzialmente invariato, quelli con contratto a tempo indeterminato sono scesi da 4.200.000 a 2.700.000. Paradossale che da una parte il M5s abbia elevato la disintermediazione e l'utilizzo delle Rete a paradigma di una nuova società (nella quale non ci saranno più agenzie di viaggio, giornali, partiti politici, sindacati), mentre dall'altra nel programma del governo del cambiamento si prevede di investire 2 miliardi di euro (!) per rilanciare l’intermediazione dei vecchi uffici di collocamento, che finora hanno fatto di tutto meno che trovare un lavoro a chi non ce l’ha. (Fonte: M. Longoni, ItaliaOggi 2506-18)

LAUREE PIÙ RICHIESTE NEL FUTURO PER LE PROFESSIONI EMERGENTI
Secondo la Previsione dei Fabbisogni Occupazionali in Italia a medio termine (2018-2022), nel periodo 2018-2022 il fabbisogno di laureati da parte del sistema economico nazionale raggiungerà le 778 mila unità suddivise nei seguenti settori:
25% nel settore economico-sociale: circa 40mila unità nel settore politico-sociale e 150mila in quello economico-statistico.
24% nel settore umanistico (comprende: formazione, linguistico, psicologico, ecc).
18% nel settore ingegneristico – architettonico – edilizio.
18% nel settore medico sanitario.
8% nel settore matematico scientifico chimico.
7% nel settore giuridico.
(Fonte: M. Crisci, tag24.it 28-07-18)

POSTI DISPONIBILI PER CORSI DI LAUREA AD ACCESSO PROGRAMMATO. CORSI A NUMERO CHIUSO. MOOCS (MASSIVE ON LINE COURSES) 
Posti disponibili per corsi di laurea ad accesso programmato 2018-19: 9.779 posti per Medicina-Chirurgia (erano 9.100 nel 2017), 1.096 posti per Odontoiatria (erano 908 nel 2017), 759 per Medicina Veterinaria (erano 655), 7.211 per Architettura (erano 6.873). In tutto 1309 posti in più.
Corsi a numero chiuso passati dai 919 del 2013 ai 972 del 2017. Ormai un corso su 5 è a numero chiuso (il 21,9% dei 4441 totali). Ma se si aggiungono anche i 720 ad accesso programmato a livello nazionale (il 16,2%), quelli ad accesso aperto sono il 61,9%.
I Moocs (Massive on line courses) italiani nel 2013 erano soltanto 18 inseriti in corsi di laurea ed erogati da 2 università. Nel 2014 sono diventati 39, quindi 94, e oggi siamo vicini a quota 400. In cinque stagioni sono cresciuti oltre 20 volte. E gli studenti sono diventati 200.000, 4 volte quelli del 2013.

NUOVO ESAME DI STATO PER L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI MEDICO-CHIRURGO. TEMPI DI ATTUAZIONE
Il Decreto ‘Regolamento recante gli esami di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo’ prevede che il tirocinio pratico-valutativo avrà una durata complessiva di tre mesi e dovrà essere espletato durante il corso di studio, non prima del quinto anno di corso ed a condizione che siano stati sostenuti positivamente tutti gli esami fondamentali relativi ai primi quattro anni di corso previsti dall’ordinamento della sede dell'Università; esso sarà organizzato secondo quanto stabilito dagli ordinamenti e dai regolamenti didattici di ciascuna sede. Di conseguenza, gli studenti iscritti nell’anno accademico 2018/19 al sesto anno dovranno necessariamente usufruire dei 2 anni di proroga previsti dalla norma transitoria. Inoltre, per tutti i CLM in Medicina e Chirurgia saranno necessari tempi tecnici per adeguare l’ordinamento vigente, inserendo negli ultimi 2 anni di corso i 15 CFU professionalizzanti (ex art. 10, comma 5, lettera d del DM 22 ottobre 2004, no.270) dedicati all’esame di abilitazione professionale. Tale adeguamento dovrà inoltre essere coordinato dalla Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia allo scopo di garantire la omogeneità dello svolgimento e la valutazione del tirocinio pratico-valutativo in tutte le sedi. Pertanto, sebbene il decreto preveda l’entrata in vigore nell’anno 2019, la prima tornata del nuovo esame di stato potrà svolgersi solo dopo la prima sessione di lauree dell’anno accademico 2019/2020 e cioè nel luglio 2020. (Fonte: S. Basili, www.quotidianosanita.it 14-05-18)

LE PROFESSIONI NELL’ICT (INFORMATION COMMUNICATION TECHNOLOGY)
«Analista funzionale», «app developer», «it architect», «web developer» sono i titoli per alcuni incomprensibili, in ufficio sono considerati un po' eccentrici, ma con una caratteristica in comune: sono ricercatissimi. Sono gli esperti del mondo digitale, i «nerd» dell'Ict (Information communication technology) ai quali la società specializzata nello studio delle retribuzioni JobPricing ha dedicato una serie di indagini in collaborazione con Modis (recruiting digitale). Il primo dato che emerge è che mentre in genere l'occupazione in Italia è in stallo, quella nel settore dell’Ict cresce a ritmi del 4 per cento l'anno. Il problema è che le aziende hanno bisogno di laureati ma il sistema universitario non è in grado di fornirne a sufficienza, al punto che i laureandi trovano lavoro prima di aver terminato gli studi. Così il cosiddetto mismatch, cioè la differenza tra domanda e offerta, in Italia è molto ampio: attualmente le imprese sono alla ricerca di 80 mila persone con competenze digitali e non le trovano. (Fonte: Panorama 17-05-18)

LAUREE PROFESSIONALIZZANTI: COME LE VUOLE IL CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI (CNI)
In merito alla sperimentazione delle nuove lauree ad ordinamento professionale, il CNI fa presenti alcuni punti fermi: distinguere i nuovi percorsi da quelli esistenti, con l'introduzione di una nuova categoria di classi di laurea (lauree professionalizzanti - LP); ribadire che il conseguimento della nuova LP è finalizzato esclusivamente all'immediato inserimento nel mercato del lavoro e/o all'acquisizione di una specifica abilitazione professionale; le nuove LP aventi contenuto abilitante dovranno abilitare all'esercizio di un'unica specifica professione (in particolare quella di Perito Industriale e di Geometra) a differenza della Lauree di primo livello (L) e alle Lauree Magistrali (LM) che consentono l'accesso agli esami di abilitazione per l'esercizio di una pluralità di professioni, e non dovranno consentire l'accesso alla sezione B dell'Albo degli Ingegneri, che dovrà essere riservato ai possessori della laurea di primo livello; il contenuto abilitante delle LP dovrà essere circoscritto alle mansioni esecutive e di supporto alle prestazioni più complesse (esclusa la progettazione) che resteranno di competenza dei professionisti con percorsi accademici di livello superiore. (Fonte: M. Peppucci, www.ingenio-web.it 28-06-18)

10 MISURE DI CAMBIAMENTO PER LA SCUOLA
A proposito del tanto nominato “cambiamento” E. Galli Della Loggia propone al ministro dell’istruzione le seguenti misure per la scuola:

1)    Reintroduzione in ogni aula scolastica della predella, in modo che la cattedra dove siede l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale siedono gli alunni.

2)    Sempre a questo principio deve ispirarsi la reintroduzione dell’obbligo per ogni classe di ogni ordine e grado di alzarsi in piedi in segno di rispetto (e di buona educazione) all’ingresso nell’aula del docente.

3)    Divieto deciso nei confronti di tutte le «occupazioni» più o meno simboliche e delle relative autogestioni.

4)    Cancellazione di ogni misura legislativa o regolamentare che preveda un qualunque ruolo delle famiglie o di loro rappresentanze nell’istituzione scolastica.

5)    Divieto di convocare gli insegnanti ad assemblee, riunioni, commissioni e consigli di qualunque tipo per più di tre o al massimo quattro volte al mese.

6)    Sull’esempio del Giappone, affidamento della pulizia interna e del decoro esterno degli edifici scolastici agli studenti della scuola stessa.

7)    Per superiori ragioni di igiene antropologico - culturale divieto assoluto agli studenti (pena il sequestro) di portare non solo in classe ma pure all’interno della scuola lo smartphon.

8)    Obbligo per tutti gli istituti scolastici di organizzare e tenere aperta ogni giorno per l’intero pomeriggio una biblioteca e cineteca con regolari cicli di proiezioni.

9)    Alle gite scolastiche sia fatto obbligo di scegliere come meta solo località italiane.

10) Istituti e «plessi scolastici» devono essere intitolati al nome di una personalità illustre.

(Fonte: E. Galli Della Loggia, corriere.it 18-06-18)


RICERCA

RICERCA E DIDATTICA. CONFRONTO CON HARVARD SU BASE ARWU (ACADEMIC RANKING OF WORLD UNIVERSITIES)
Tranne Sapienza, in tutti gli atenei italiani la percentuale dei lavori scientifici rapportata a quella di Harvard cresce nel 2018 rispetto al 2017; le spese (4,8 mln USD) dei primi 8 atenei italiani sono poco più di quelle di Harvard (4,6 mln USD). Ma i primi 8 atenei italiani, assieme, producono 1,7 volte gli articoli prodotti da Harvard; i primi 8 atenei italiani, assieme, erogano didattica a più di mezzo milione di studenti contro i 22mila di Harvard. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 16-08-18)

LA POSIZIONE ITALIANA DELLA RICERCA NEL CONFRONTO MONDIALE
La produzione scientifica mondiale vede l’Italia all’ottavo posto e con una crescita media annua forte rispetto ad altri paesi, ma è al 27° posto tra i paesi che spendono di più in ricerca in % sul prodotto interno lordo al netto delle spese per la difesa, al di sotto della media dei paesi dell’OCSE e al di sotto della media dei paesi della UE a 28. Lontani dall’obiettivo europeo del 2020, che punta al 3% in tutta l’Ue, e lontanissimi dal podio di Israele (4,3%), Corea del Sud (4,2) e Svizzera (3,4). L’Italia scivola ancora più giù nelle classifiche quando si conta il numero di ricercatori per mille occupati (34° posto), non brilla per parità di genere e affonda in ultima posizione se si considerano i docenti universitari sotto i 40 anni. Il rischio non è solo quello di perdere posizioni, e quindi di non riuscire ad attrarre fondi continuando a lasciar andare ricercatori, bensì di non guadagnare un ruolo nel campo dell’innovazione, dove l’Italia è al 19esimo posto sui 28 Paesi Ue. (Fonte: www.nextquotidiano.it 08-07-18)

QUALI COMPITI PER UN’AGENZIA NAZIONALE DELLA RICERCA
La stampa riporta l'intenzione del Ministro del MIUR Marco Bussetti di istituire una Agenzia Nazionale della Ricerca, che richiama la proposta storica del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica. Alcune interpretazioni giornalistiche fanno intendere però che tale Agenzia proposta dal governo dovrebbe svolgere un ruolo di coordinamento unico degli enti di ricerca, ora vigilati da diversi ministeri. In questo caso si tratterebbe di una proposta ben lontana dall'idea originale del Gruppo 2003. Secondo il Gruppo, infatti, l'Agenzia nazionale della Ricerca avrebbe il compito primario di accorpare e gestire non gli enti, bensì tutti i fondi destinati alla ricerca competitiva: una struttura che dovrebbe essere snella, trasparente e autonoma dalla politica. Un'Agenzia con questi chiari compiti, insieme a un considerevole incremento dei finanziamenti, sono due condizioni essenziali per il rilancio della ricerca e sviluppo nel nostro Paese. Quella che propone il Gruppo 2003 non è un’Agenzia Nazionale della Ricerca non è un super Ente che raccorda e coordina l’attività di tutti gli Enti e i centri di ricerca – impresa difficile e indesiderabile – ma la costituzione di un’Agenzia terza rispetto agli Enti di ricerca e rispetto al governo che finanzi i migliori progetti di ricerca, secondo modalità tutto sommato simili a quelle della National Science Foundation (NSF) degli Stati Uniti. (Fonte: dichiarazione del Gruppo 2003, 12-07-18)

I PILASTRI DI HORIZON EUROPE 2021-2027
Luigi Nicolais in un convegno al Bo ha illustrato i 3 pilastri di Horizion Europe (2021-2027), il programma europeo di finanziamenti alla ricerca che sostituisce e rinnova Horizion2020 (2014-2020). “È  stato approvato un budget di 100 miliardi di euro (80 quelli del precedente quadro, ndr) e insieme alla mobilità la ricerca è l'unico settore che ha visto un aumento”. Dei tre pilastri, Open Science, Open innovation, e Global challenges and industrial competitiveness, il secondo sarà il punto di riferimento per le innovazioni ad alto potenziale. Lo European Innovation Council in particolare sarà lo strumento che prevede finanziamenti veloci e flessibili e il coinvolgimento di investitori privati; sarà il punto di riferimento per lo sviluppo di tecnologie ad alto impatto (tecnologie breakthrough e market creating) e per le aziende che hanno il potenziale di scalare velocemente il mercato.
“In Italia la ricerca funziona bene, non funziona altrettanto bene il trasferimento, ovvero la trasformazione della ricerca in ricchezza” ha detto Luigi Nicolais. “L'università oggi ha bisogno di un organo snello e veloce per sviluppare le potenzialità di un prodotto, una volta individuate. Serve a ridurre le distanze tra università e mondo industriale. Serve a superare quella che gli americani chiamano la 'valle della morte', ovvero l'ingresso nel mercato, riuscire a trasformare con successo la ricerca in prodotto”. (Fonte: F. Suman, IlBo 22-05-17)

NEL PROGRAMMA DEL NUOVO GOVERNO GIALLOVERDE NUOVA VESTE PER L'ANVUR E L'AGENZIA PER LA RICERCA
Le riforme previste dal nuovo esecutivo annunciano di toccare anche la governance del sistema universitario: sarà «ridisegnato il ruolo» dell'ANVUR, per «renderlo uno strumento per il governo e non di governo», e verranno individuati i soggetti «che potrebbero contribuire nei processi decisionali», a partire dal Cun, il consiglio universitario nazionale. Sul fronte della ricerca, infine, una nuova Agenzia nazionale servirà a superare la «frammentazione» e lo «scarso coordinamento» tra gli enti pubblici, così come il loro «carente coinvolgimento» sulle questioni strategiche per lo sviluppo del Paese. Per la proposta di costituire un’agenzia unica della ricerca per il coordinamento dei diversi enti e centri di ricerca bisognerà però capire in concreto come il governo vorrà strutturarla, con quale governance e quali risorse. È soprattutto importante che l’agenzia assicuri un raccordo efficiente degli enti di ricerca, e non diventi un’ulteriore stratificazione burocratica, scarsamente trasparente nell’operato e nelle logiche di indirizzo.
 (Fonte: A. Tripodi, IlSole24Ore 22-05-18)

LA FITNESS SCIENTIFICA DEI PAESI
Per valutare quantitativamente il vantaggio comparato della diversificazione scientifica è possibile utilizzare un nuovo approccio, che permette di definire una misura sia per la competitività dei sistemi di ricerca scientifica delle nazioni sia per la complessità dei settori scientifici. Quest’approccio usa come dati grezzi le citazioni nei diversi campi scientifici normalizzate alla spesa HERD (Spesa in istruzione superiore relativa al Prodotto Interno Lordo) ed è basato su un algoritmo ispirato a Google PageRank. In questo modo si ordinano i paesi in base alla loro “fitness” scientifica dove la fitness è una variabile che tiene conto della competitività scientifica di una nazione misurando, al contempo, il livello di diversificazione e di complessità dei campi scientifici in cui quel paese è attivo: un paese con alta fitness è competitivo scientificamente in campi scientifici molto complessi, e un campo è molto complesso se è sviluppato solo dai paesi con alta fitness. Le due definizioni sono autoconsistenti ed è dunque possibile utilizzare i dati sulle citazioni per calcolare, attraverso l’algoritmo matematico, la fitness di ogni paese e la complessità. Ad esempio, solo le nazioni più avanzate e competitive sono attive in alcuni campi specialistici delle scienze mediche, mentre la gran parte delle nazioni sono attive in campi come la fisica e la matematica. (Fonte: F. Sylos Labini, Roars 24-05-18)

CLASSIFICAZIONE DELLE RIVISTE IN CLASSE A. NON TUTTO ORO ...
Vale la pena di ricordare che le classificazioni delle riviste decidono quali professori ordinari hanno accesso al sorteggio per diventare commissari dell’Abilitazione Scientifica Nazionale. Inoltre, le liste sono decisive per valutare chi ha requisiti per essere valutato ai fini dell’Abilitazione Scientifica Nazionale di prima e seconda fascia. Vengono anche usate nell’ambito delle valutazioni comparative bandite dagli atenei. Infine, sono utilizzate nell’accreditamento dei corsi di dottorato, dove uno degli indicatori è il numero di soglie ASN superato dai componenti dei collegi dei docenti. Roars fa l’esempio dell’Area 11, dove, a partire da febbraio 2017, era stata non solo attribuita la patente di scientificità ma anche quella di eccellenza (classe A per il Settore concorsuale 11/D2) ad una rivista “predatoria”, il Journal of Sports Science. Una rivista, non solo priva di basilari requisiti, ma che fin dal titolo cerca di “clonare” il più serio Journal of Sports Sciences, di cui copia persino gli “aims and scopes“. Roars si domanda: “L’inserimento in fascia A di riviste di dubbio valore è solo una svista (ma allora perché non correggerla?) o serve ad aiutare qualcuno, candidato o commissario che sia? Tutta la vicenda è assai istruttiva. Grazie alla certificazione ANVUR diventa possibile spalancare le porte delle commissioni, di un giudizio abilitativo o di un ruolo universitario a chi raggiunge le soglie con “lavori” che non hanno subito nessuna seria valutazione scientifica. Con un dettaglio tutt’altro che trascurabile: grazie all’oggettività dei criteri bibliometrici, la promozione dei mediocri e/o dei furbi diventa blindata dal punto di vista amministrativo. (Fonte: Red.ne Roars 28-05-18)

RICERCA FINANZIATA DALLA CE TUTTA IN OPEN ACCESS
Tutta la ricerca finanziata dalla Commissione Europea dovrà essere pubblicata in Open Access entro il 2020. Per garantire il raggiungimento di questo obiettivo, la Commissione ha lanciato l'Open Science Monitor, ma ne ha appaltato una parte al gigante dell'editoria scientifica Elsevier. L'obiettivo dell'Open Science Monitor è di sviluppare indicatori che misurino il grado di "apertura" della scienza europea, soprattutto nei confronti dei decisori politici. Se Elsevier si occuperà dello sviluppo di questi indici è probabile che saranno indici proprietari, basati cioè su database a pagamento. La contraddizione è allarmante: nell'ultimo anno diversi consorzi di biblioteche universitarie in Europa hanno deciso di boicottare le riviste pubblicate da Elsevier, per le clausole di segretezza imposte sui propri contratti, e per i costi sempre in crescita dell'accesso alle pubblicazioni. Con questa decisione la Commissione mette a rischio la riuscita dell'intera operazione. (The Guardian, Scienza in rete, 05-07-18)

CORSI E RICERCHE INTERDISCIPLINARI
Nei paesi anglosassoni le migliori università si sono da tempo attivate per promuovere la ricerca interdisciplinare, ad esempio Harvard fin dal 2007 ha fortemente enfatizzato la ricerca interdisciplinare e cercato di modificare (almeno parzialmente) la sua struttura a dipartimenti troppo chiusi in se stessi. Negli Stati Uniti, la National Science Foundation finanzia da tempo progetti di ricerca interdisciplinare, mentre la National Academy of Science ha pubblicato un importante libro su come incentivare la ricerca interdisciplinare. Anche nel Regno Unito i Research Councils si sono attivati da tempo per sollecitare la ricerca interdisciplinare. La Comunità Europea promuove numerose attività interdisciplinari e multidisciplinari. In questo contesto, il programma Horizon 2020 focalizza la creazione di progetti con obiettivi concreti volti al progresso della società, piuttosto che su tematiche specifiche di ricerca.
Il futuro è interdisciplinare. L’interdisciplinarietà può far avanzare la ricerca con scoperte fatte nell’intersezione delle varie discipline per migliorare la vita degli individui e lo stato del pianeta.
L’educazione interdisciplinare permette agli studenti di guardare i problemi da punti di vista nuovi e innovativi. Gli studenti possono diventare individui indipendenti, responsabili, coscienti, che “imparano ad imparare” e non perderanno più questa capacità per tutta la loro vita. (Fonte: T. Catarci, www.agendadigitale.eu 17-06-18)

ENTI PUBBLICI DI RICERCA. PIÙ CHE UN COORDINAMENTO MANCA UN SERIO PIANO NAZIONALE DI RICERCA
Il neoministro Marco Bussetti ha ragione nel sostenere che esiste una certa frammentazione e uno scarso coordinamento nelle attività degli Enti Pubblici di Ricerca, non fosse altro perché se 12 sono vigilati dal MIUR, altri afferiscono a una pletora di altri ministeri. Sarebbe bene che ci fosse, anche a livello di governo, un minimo di coordinamento. Ma quello che manca è un serio Piano Nazionale della Ricerca, che definisca, esso sì, gli assi strategici dell’attività scientifica nel paese e li finanzi adeguatamente. Ma Marco Bussetti ha parlato di un’Agenzia Nazionale della Ricerca che dovrebbe avere il compito di coordinare e raccordare gli Enti e i Centri di Ricerca. Ed è questo che ha generato l’attenzione e, insieme, le perplessità di una parte della comunità scientifica. Le parole del ministro sembrano indicare la creazione di una sorta di super Ente che coordini e raccordi le specifiche ricerche degli attuali Enti e Centri. Il che si presta a due critiche, affatto diverse. Nel progetto non si fa cenno alla ricerca universitaria. Che ne sarà. Sarà fuori dal raccordo e dal coordinamento? L’altra critica, riguarda l’autonomia dei vari Enti e Centri di ricerca. Non è auspicabile un centro che coordini nel medesimo tempo il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ente generalista con oltre cento istituti che coprono l’intero scibile umano, e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) o l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) che invece svolgono la loro attività di ricerca in settori altamente specifici con progetti fortemente internazionalizzati, il primo nel campo della fisica delle alte energie e il secondo nel settore, come dice il nome, dell’astrofisica. Men che meno si può pensare a un’integrazione stretta tra enti di ricerca pura come questi ed enti, come l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che afferisce al Ministero dell’Ambiente e che svolge sia attività di ricerca pura sia, soprattutto, attività di servizi tecnici altamente specializzati. La stessa cosa vale per l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ente vigilato dal Ministero della Salute. (Fonte: P. Greco, IlBo 13--07-18)

GOVERNARE E CONTROLLARE LA RICERCA E L’INSEGNAMENTO ATTRAVERSO STRUMENTI BIBLIOMETRICI AUTOMATICI
Su Roars si legge un dettagliato rapporto di Alberto Baccini e Giuseppe De Nicolao su come il sistema accademico italiano si è trasformato in un laboratorio dove si sta svolgendo un esperimento in vivo senza precedenti: governare e controllare la ricerca e l’insegnamento attraverso strumenti bibliometrici automatici. Nel tentativo di sintetizzare il rapporto propongo la nota seguente.
Le “misure oggettive” delle attività scientifiche e dei professori sono utilizzate non solo per gli esercizi di valutazione della ricerca (VQR), ma anche per l’abilitazione scientifica nazionale necessaria per l’accesso ai ruoli universitari (ASN), per la distribuzione di microfinanziamenti individuali ai ricercatori (finanziamento FFAR) e, infine, localmente, anche per aumenti di stipendio. In questo articolo illustriamo come un crescente controllo centralizzato stia emergendo dagli esercizi di valutazione della ricerca, e come sia realizzato attraverso dispositivi apparentemente tecnici, la cui giustificazione scientifica dà luogo a un conflitto tra dimensione politica, scientifica ed etica della ricerca. Il ruolo centrale è stato svolto dall’ANVUR, l’agenzia di valutazione delle università e della ricerca. L’ANVUR non è un’agenzia autonoma. È invece un’agenzia governativa: il suo consiglio è costituito, infatti, da sette professori nominati direttamente dal ministro. Inoltre, l’ANVUR agisce principalmente realizzando attività direttamente definite con decreti ministeriali, quali la valutazione della ricerca, le procedure di assicurazione della qualità della didattica (AVA), la valutazione dei compiti amministrativi delle università, la qualificazione dei candidati alla ASN. Tra le istituzioni europee simili, come AERES in Francia o ANECA in Spagna, nessuno concentra così tanti poteri e funzioni. Inoltre, in nessun altro paese occidentale è stato sviluppato un analogo controllo governativo delle scienze e delle università. Per trovare caratteristiche simili, dobbiamo tornare all’organizzazione della scienza nelle economie pianificate. L’ANVUR ha adottato per la VQR “un doppio sistema di valutazione” in base al quale ogni lavoro presentato è stato classificato in una classe di merito mediante revisione dei pari informata (informed peer review, IR) o attraverso un algoritmo di punteggio automatico basato su indicatori bibliometrici. L’ANVUR ha adottato il doppio sistema di valutazione prima che fosse validato scientificamente. Questo non può che creare uno scontro tra i due ruoli svolti dall’ANVUR in questa storia: ideatore di regolamenti e procedure, ma anche fornitore di prove scientifiche ex post a sostegno di quei regolamenti e di quelle procedure. Mettendo insieme tutti i pezzi, è ora possibile concludere che nell’esperimento condotto da ANVUR la peer review e la bibliometria non concordano. Di conseguenza, la coesistenza di due diverse metodologie di valutazione ha introdotto distorsioni non controllabili nei risultati finali della VQR, che sono attualmente utilizzati dal governo per il finanziamento delle università. Inoltre l’ANVUR rifiuta di divulgare i dati per la loro riproduzione e controllo (https://doi.org/10.13130/2282-5398/8872). Un rifiuto che si può spiegare con il timore di consentire indagini indipendenti su un presupposto fondamentale su cui si basa l’intero esercizio di valutazione della ricerca. (Fonte: A. Baccini e G. De Nicolao, Roars e blog dell’ Institute for New Economic Thinking, New York, giugno 2018)

18 PRINCIPI PER TRASFORMARE LA COMUNICAZIONE SCIENTIFICA
In una dichiarazione dell’aprile scorso l’Università della California ha proposto una serie di principi che possono facilitare la trasformazione della comunicazione scientifica da sistema editoriale chiuso, basato sugli abbonamenti, a sistema aperto, ove i lavori scientifici sono liberamente accessibili a tutti. In sintesi, mentre gli editori stanno facendo di tutto per ridurre i diritti e la libertà accademica degli autori, crediamo che la proposta possa aiutare a ristabilire un equilibrio, per dare ai ricercatori un maggiore controllo sul frutto del loro lavoro. Questi principi hanno il potenziale di trasformare il sistema della comunicazione scientifica da chiuso e inaccessibile a un sistema più aperto, equo, trasparente, sostenibile. I 18 principi:
1 Nessun trasferimento di copyright.  2 Nessuna restrizione sui preprints. 3 Nessuna deroga alle politiche di accesso aperto. 4 Nessun ritardo nella condivisione. 5 Nessuna limitazione al riuso da parte dell’autore. 6 Nessuna restrizione alla modifica rispetto ai diritti ceduti. 7 Nessuna riduzione delle eccezioni alla cessione dei diritti. 8 Nessuna barriera alla disponibilità dei dati. 9 Nessun vincolo sul Text and Data Mining. 10 Nessuna chiusura dei metadati. 11 Nessun lavoro gratis. 12 No agli abbonamenti a lungo termine. 13 No a barriere all’accesso permanenti. 14 No al double dipping. 15 No a profitti nascosti. 16 Nessun accordo se non c’è un riequilibrio dei costi legati all’OA. 17 Nessuna nuova barriera per l’accesso ai nostri lavori. 18 Nessun accordo che preveda la confidenzialità. (Fonte: P. Galimberti, Roars 26-06-18)


SISTEMA UNIVERSITARIO

MODERATE TENDENZE POSITIVE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
I 91 atenei italiani, due terzi dei quali statali, accolgono oggi poco meno di 1,7 milioni di studenti e,  nonostante un calo del numero assoluto dei diciannovenni, le immatricolazioni, in netta flessione negli anni più duri della crisi economica, sono tornate al livello del 2008-9. Migliora (non molto) il tasso di passaggio all'università dei diplomati tecnici, che non supera comunque il 25%, e non si registra un'inversione di tendenza nel reclutamento di studenti maturi, in larga misura ignorati dal sistema. In compenso, il tasso di abbandono continua a calare. Il 12,2% degli immatricolati alle
lauree triennali lascia dopo il primo anno, il che non è poco, ma dieci anni fa si sfiorava il 16%. Gli abbandoni proseguono dopo il primo anno, e quasi un terzo degli studenti lascia in un qualche punto della carriera, una percentuale che continua a segnalare un problema su molti fronti: orientamento, tutorato, diritto allo studio. È in miglioramento costante, anche se la cifra assoluta è tuttora deludente, la percentuale di studenti che conseguono la laurea nei tempi previsti, oggi poco
più del 30% rispetto al 21,3% di dieci anni fa. Tra il 2015 e il 2017, mentre il tasso di occupazione dei diplomati restava pressoché costante intorno al 63%, quello dei laureati cresceva dal 61,9 al 66,2%. In questo contesto resta difficile spiegare l'esitazione a investire di più sugli Istituti tecnici superiori, che confermano anno dopo anno il loro successo, sia in termini di conseguimento del titolo (tre iscritti su quattro si diplomano), sia di prospettive occupazionali, considerato che l'80% dei diplomati trova lavoro entro un anno. Peccato che gli Its accolgano oggi, pur dopo anni di solida crescita, appena 10mila studenti, neppure lo 0,6% degli iscritti all'università. L'interesse per la formazione terziaria di carattere non tradizionalmente universitario è confermato dal triplicarsi in dieci anni degli iscritti nel settore dell'alta formazione artistica e musicale, che dimostra inoltre una forte capacità di attrazione di studenti stranieri, molto superiore a quella delle università.
Nel complesso questi numeri consentono all'Italia di accorciare le distanze rispetto ad altri Paesi europei. (Fonte: A. Schiesaro, Rapporto ANVUR 2018 e Il Sole24Ore 17-07-18)

SITUAZIONE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Il calo dei trasferimenti statali al sistema Università e Ricerca si attesta sull'11% in cifra assoluta, ma è vicino al 20% in termini reali. Anche se i tagli hanno coinciso con una delle peggiori crisi economico-finanziarie del dopoguerra, questa è comunque una pessima notizia, soprattutto in un momento in cui si avverte in modo sempre più acuto la necessità di investire su istruzione e ricerca per far fronte, tra l'altro, a una trasformazione epocale delle forme stesse del conoscere, per non dire del lavoro e dell'industria. Dal 2008 si assiste poi a una crescita pressoché costante della percentuale di liceali che si iscrive all'università, di contro a un calo brusco e costante dei diplomati degli istituti tecnici e professionali. Il numero dei fuori corso è ancora sostenuto, e continua a preoccupare l'alto numero di abbandoni o cambi di corso, segno che manca un sistema efficace di orientamento. La flessione delle immatricolazioni e gli abbandoni, poi, sono più frequenti quanto più basso è il voto conseguito alla maturità. Il Meridione partecipa di questi elementi di crisi in modo assai più intenso e problematico del resto d'Italia: il 20% di calo degli immatricolati tra 2002 e 2015 è dieci volte superiore a quello registrato al Nord (-2%), che peraltro registra un saldo nettamente positivo (+17,6%) se si prendono in considerazione solo gli immatricolati di età inferiore ai 20 anni. Le opzioni per cambiare rotta esistono. Si possono potenziare percorsi di livello terziario con caratteristiche diverse da quelli accademici tradizionali, mentre per questi ultimi si possono creare, come avviene in molti Paesí, robusti percorsi di rafforzamento delle competenze subito dopo l'immatricolazione, anche prevedendo, ove necessario, un anno integrativo preliminare: un'opzione di gran lunga preferibile, da tutti i punti di vista, all'abbandono o a un estenuante fuoricorso. (Fonte: A. Schiesaro, Il Sole24Ore 18-05-18)

L’UNIVERSITÀ VERSO IL COLLASSO PROGRESSIVO DELLA SUA QUALITÀ
Sembra proprio che l’università sia avviata decisamente verso questo destino: per aumentare la qualità della ricerca si investono somme crescenti per monitorarla, si complicano le procedure che ne regolamentano il funzionamento, si rende sempre più cervellotica la sua gestione col risultato finale di vanificare lo scopo per cui tutto questo ambaradan è stato concepito, di sottrarre risorse utili e impedire di fatto la effettuazione di buona e creativa ricerca; analogamente, le misure per il  miglioramento della qualità della didattica richiedono sempre più tempo nella gestione dei meccanismi burocratici che permettono di controllarla e certificarla, sottraendo spazio ed energie ai docenti e a chi è interessato di fatto ad esercitarla, così ottenendo il risultato esattamente contrario a quello previsto. E ci limitiamo a questi due aspetti, senza parlare dello stato di insoddisfazione, disamoramento e di distacco – sia dei singoli docenti (che ormai vedono il pensionamento come una sorta di liberazione) come di chi occupa una carica – chiamati a un lavoro sempre più pesante a cui non corrisponde alcun tipo di gratificazione (nemmeno di tipo non economico), ma solo continue bastonature in termini di controllo e di mortificazioni, persino stipendiali, in un ateneo in cui ci si sente sempre più sudditi. Insomma l’università è sempre più impigliata in una attività forsennata di complicazione e aumento della complessità di ogni procedura, che finirà per avere come risultato, in una sorta di eterogenesi dei fini, solo il collasso progressivo della sua qualità, della sua attitudine a far ricerca, della sua capacità di formare uno spirito creativo e consapevole del cittadino, persino della sua prontezza nel rispondere alle esigenze del mercato del lavoro. (Fonte: F. Coniglione, Roars 01-06-18)

PARERE DEL CUN SULLA REVISIONE DEI SETTORI SCIENTIFICO-DISCIPLINARI (SSD)
La conclusione del parere CUN sulla revisione degli SSD rivela quale potrebbe essere la portata dell’operazione. Infatti, «le innovazioni proposte nel parere qui espresso, in attuazione del mandato conferito, presuppongono interventi di livello legislativo oltre che, per quanto concerne la loro attuazione, regolamentare, e richiedono perciò un necessario adeguamento e coordinamento sostanziale del contesto normativo.» Il parere delinea un aggiornamento che inciderà non solo sull’abilitazione nazionale, ma anche sull’organizzazione dei dipartimenti, sui bandi, le procedure di chiamata, il finanziamento della ricerca e la riorganizzazione dell’offerta didattica. «[…] per quanto concerne le procedure per il conferimento dell’Abilitazione scientifica nazionale, il nuovo modello di classificazione dei saperi disciplinari e i tratti che, nel suo ambito, connotano il raggruppamento disciplinare renderanno necessario ripensare profondamente i meccanismi di determinazione e uso dei parametri e dei criteri di valutazione, con specifico riferimento al significato dei «valori-soglia degli indicatori che devono essere raggiunti per conseguire l’abilitazione» (art. 4, comma 2, DPR. 4 aprile 2016, n. 95) e alla inderogabilità del loro raggiungimento attualmente prevista (art. 6, DM 7 giugno 2016, n. 120), ampliando lo spazio di valutazione rimesso alle Commissioni anche nel rispetto delle caratteristiche specifiche degli eventuali profili del raggruppamento.» (Fonte: Red.ne Roars 14-05-18)

LA SCHEDA SUA-CDS E ALTRE SUPERFETAZIONI BUROCRATICHE PRECIPITANO IL SISTEMA VERSO LA “CONTROPLESSITÀ”
Ho da poco finito di redigere la scheda SUA-CdS, che viene approvata ogni anno dal Corso di studio, scrive F. Coniglione su Roars. Ho dovuto così dimenarmi tra Gruppi di gestione di qualità e consultazioni fatte con i cosiddetti “stakeholders”, cioè supposti portatori di interessi esterni all’università e composti da società, aziende e organizzazioni varie, che dovrebbero dire ai docenti come si fa meglio a organizzare un corso di studio affinché i suoi laureati siano in grado di entrare nel “mercato di lavoro”, al quale devono essere opportunamente “accompagnati”. Già, perché ormai l’università sembra avere solo questo compito: formare degli obbedienti lavoratori che possano incastrarsi come utili rotelline in un mercato di lavoro le cui caratteristiche dovrebbero essere rese conoscibili da qualche stakeholder, che possibilmente conosce solo il “particulare” della propria azienda o società e le cui conoscenze sono spesso in tremendo ritardo rispetto al sempre più veloce cambiamento delle opportunità di impiego. La cultura, la formazione della personalità e dell’uomo nella sua integrità, il possesso di una coscienza critica completa e non funzionale alla professionalizzazione sembrano essere stati espulsi totalmente dagli orizzonti universitari. Ma non basta: ho anche dovuto delineare il “Profilo professionale e sbocchi occupazionali e professionali previsti per i laureati”, indicandone la funzione nel contesto di lavoro e le competenze associate alla funzione; indicare le conoscenze richieste per l’accesso al CdS, nonché le modalità di ammissione, quali siano gli obiettivi formativi specifici del corso e quali “competenze” ci si propone di sviluppare; descrivere la “knowledge and understanding” nonché la capacità di “applying knowledge and understanding”, in coerenza con gli indicatori di Dublino. E poi descrivere ciascuno di questi elementi per le diverse aree disciplinari del CdS, indicare la discipline di riferimento attraverso le quali vengono verificate le attività formative; descrivere in che modo i laureati sviluppano la “autonomia di giudizio”, le “abilità comunicative” e le “capacità di apprendimento” e così via, sino alle attività di tutorato in itinere, alle prove di ingresso e, per finire – e qui abbrevio per non essere noioso – alle opinioni studenti, cioè alla loro soddisfazione per il CdS, rilevata dalle schede OPIS (= OPInione Studenti) somministrate nel CdS e dai dati forniti da AlmaLaurea. E poi dati statistici su quanti studenti, che percentuali, in che misura e così via, oltre a una infinità di “indicatori”, “punti di attenzione”, “requisiti di qualità” “sillabi”, parametri, sigle e acronimi.
La scheda SUA-CdS – come anche i suoi consanguinei e parenti quali l’AVA e la VQR e tutte le altre infinite superfetazioni burocratiche, amministrative e normative che infettano e rendono invivibile l’odierna università – sono una prova di quanto il sistema universitario sia ormai giunto in quello stato di complessità in cui subentra la cosiddetta “controplessità”, quando «ad ogni nuovo livello di complessità, i payoff sono inferiori che nel precedente livello di complessità» (G. Sapienza, “Principi di controplessità”, in Id., Processo alla complessità, letteredaQalat, Caltagirone 2015, p. 139). Infatti, vale in generale che al crescere della complessità di una organizzazione o di una società, i rendimenti risultano sempre più decrescenti, sino al punto che il sistema, incapace di aumentare la propria efficienza, finisce per collassare sotto il peso di una complessità ormai ingestibile. (Fonte: F. Coniglione, Roars 01-05-18)


STUDENTI. TASSE UNIVERSITARIE

PRESTITI FINALIZZATI ALL’ACCESSO AGLI STUDI UNIVERSITARI. E L’IMPOSSIBILITÀ DI SALDARE IL DEBITO
Molte università hanno diffuso un questionario commissionato dal MIUR “per valutare l’opportunità di istituire uno strumento finanziario per erogare prestiti finalizzati all’accesso agli studi universitari”. Si tratterebbe di una misura indirizzata alle Regioni obiettivo del Programma Operativo Nazionale (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia). La “soluzione” alle carenze del diritto allo studio sarebbe quindi indebitare gli studenti, in particolare quelli del Sud dove la disoccupazione giovanile è più grave. L’UDU invita al boicottaggio della consultazione.
L’esperienza inglese e americana in tema di prestiti d’onore ci mostra come questi non costituiscano un’agevolazione del percorso formativo, ma al contrario lo opprimono e disincentivano. In America si stima che milioni tra studenti e studentesse hanno contratto tale forma di debito, di cui buona parte si trova nell’impossibilità di saldarlo. L’indebitamento precoce, soprattutto nel contesto di crisi economica e lavorativa italiana, riproduce povertà e disuguaglianze: il tasso di disoccupazione all’interno del nostro Paese, in particolare quella giovanile, e la precarietà rendono impossibile ripagare il debito e costringe prematuramente ad un indebitamento a vita. Singolare che questo strumento sia proposto nelle Regioni del meridione, più povere e in cui vi è meno garanzia del diritto allo studio, all’interno delle quali le condizioni di cui sopra si moltiplicano. E’ quindi veramente giusto che uno studente o una studentessa debba indebitarsi per proseguire gli studi o piuttosto lo Stato dovrebbe garantire il diritto allo studio e la formazione a tutte e tutti? (Fonte: Red.ne Roars 06-07-18)

L’EMIGRAZIONE STUDENTESCA CAUSA AL SUD UNA PERDITA COMPLESSIVA ANNUA DI CONSUMI PUBBLICI E PRIVATI DI CIRCA 3 MILIARDI DI EURO
La SVIMEZ rivela che nell’anno accademico 2016/2017 i meridionali iscritti all’Università sono complessivamente 685 mila circa, di questi il 25,6%, pari a 175 mila unità, studia in un Ateneo del Centro-Nord. La quota, invece, di giovani residenti nelle regioni del Centro-Nord che frequenta un’Università del Mezzogiorno è appena dell’1,9%, pari a 18 mila studenti. Ne deriva, quindi, un saldo migratorio netto universitario pari a circa 157.000 unità. Per offrire un ulteriore termine di paragone, si tenga presente che nello stesso A.A. in tutte le università del Sud risultavano iscritti 509.000 studenti. Il movimento “migratorio” per fini di studio ha interessato, quindi, circa il 30% dell’intera popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali. Gli studenti “emigrati” per motivi di studio rappresentano, inoltre, circa lo 0,7% della popolazione residente meridionale.
Le regioni meridionali che si caratterizzano per i maggiori flussi in uscita in termini assoluti sono la Sicilia e la Puglia, con oltre 40 mila giovani che studiano al Nord, mentre in termini di percentuale su totale degli iscritti, i tassi migratori universitari più elevati riguardano le regioni più piccole del Sud, Basilicata e Molise con oltre il 40%, la Puglia e la Calabria con il 32% circa e la Sicilia con il 27%. “È evidente che la perdita di una quota così rilevante di giovani ha, già di per sé, un effetto sfavorevole sull’offerta formativa delle università meridionali – rileva il Direttore di SVIMEZ, Luca Bianchi – Ben più gravi, tuttavia, sono le conseguenze sfavorevoli che derivano dalla circostanza che, alla fine del periodo di studio, la parte prevalente degli studenti emigrati non ritorna nelle regioni di origine, indebolendo le potenzialità di sviluppo dell’area attraverso il depauperamento del c.d. capitale umano, uno degli asset più importanti nell’attuale contesto”. In termini di impatto finanziario l’emigrazione studentesca causa al Sud una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi di euro. (Fonte: www.dire.it 24-06-18)

PUBBLICATO CON 8 MESI DI RITARDO IL DECRETO CHE DISTRIBUISCE IL FONDO INTEGRATIVO STATALE (FIS) 2017 PER I SUSSIDI AGLI STUDENTI
Il MIUR ha pubblicato il decreto che distribuisce il fondo integrativo statale (Fis) 2017. Una delle tre gambe su cui si regge il finanziamento dei sussidi agli studenti insieme ai fondi regionali e ai proventi della tassa sul diritto allo studio. Contestualmente sono stati aggiornati gli importi delle borse di studio e le soglie massime per accedere ai benefici (la soglia Isee passa da 23.000 a 23.253 euro, quella Ispe da 50.000 a 50.550). Una duplice buona notizia che non risolve però i problemi di sottofinanziamento e di tempistica che caratterizza il diritto allo studio. Come sottolineano le associazioni studentesche. Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell'Udu, stigmatizza gli otto mesi di ritardo con cui il decreto è arrivato. E ricorda come «anche in regioni dove non era mai successo (ad esempio l'Emilia Romagna) alcuni atenei hanno dovuto anticipare o, addirittura, stanziare direttamente i fondi per poter garantire la copertura totale delle borse». Senza dimenticare i 7.500 idonei ancora senza borse. (giugno 2018)


VARIE

UNIVERSITÀ E RICERCA NEL CONTRATTO DI GOVERNO 5STELLE-LEGA. DAL TESTO INTEGRALE
Nel corso degli ultimi anni il nostro Paese si è contraddistinto a livello europeo per una continua riduzione degli investimenti nel comparto del nostro sistema universitario e di ricerca. È pertanto urgente e necessario assicurare un’inversione di marcia. È prioritario incrementare le risorse destinate all’università e agli Enti di Ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento delle stesse.
Il sistema universitario e il mondo della ricerca dovranno essere maggiormente coinvolti nello sviluppo culturale, scientifico e tecnologico del nostro paese, contribuendo ad indicare gli obiettivi da raggiungere e interagendo maggiormente con tutto il sistema Paese. Sarà dunque fondamentale implementare la terza missione delle università attraverso la loro interazione con gli altri centri di ricerca e con la società. Attraverso una costante sinergia con la Banca per gli investimenti saremo in grado di assicurare maggiori fondi per incrementare il nostro livello di innovazione, rendendoli efficaci ed eliminando gli sprechi. Intendiamo incentivare, inoltre, lo strumento delle partnership pubblico-private, che consentiranno, di fatto, un maggior apporto di risorse in favore della ricerca. I centri del sapere, università e centri di ricerca in primis, oltre a garantire la fondamentale ricerca di base, dovranno altresì contribuire a rendere il sistema produttivo italiano maggiormente competitivo e propenso alla valorizzazione delle attività ad alto valore tecnologico. Occorrerà riformare il sistema dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), nell’ottica di potenziare un settore storicamente e culturalmente importantissimo per l’Italia. È necessario avere una classe docente all’altezza delle aspettative, eticamente ineccepibile. Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, garantendo il regolare turn-over dei docenti. Occorre incentivare l’introduzione di nuove norme per garantire al maggior numero possibile di studenti l’accesso ai gradi più alti degli studi. Tra questi figurano la necessità di ampliare gli strumenti e le risorse per il diritto allo studio, incrementando così la percentuale di laureati nel nostro Paese, oggi tra le più basse d’Europa, e la revisione del sistema di accesso ai corsi a numero programmato, attraverso l’adozione di un modello che assicuri procedure idonee a verificare le effettive attitudini degli studenti e la possibilità di una corretta valutazione.

DAL PRIMO COMPUTER OLIVETTI ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
“Il coding (programmazione informatica) è il nuovo inglese”, così il rettore dell’Università Bocconi Gianmario Verona ha aperto l’edizione 2018 del Wired Next Fest. “Il secolo digitale è iniziato nel 1959 con il primo computer a transistor prodotto dalla Olivetti“, e si è sviluppato fino ad arrivare a smartphone e tablet, social network e cloud. Percorso la cui prossima tappa è rappresentata dall’intelligenza artificiale. “Questo cambiamento”, ha sottolineato Verona, “impatta innanzitutto i nostri comportamenti. Fino a qualche anno fa era impensabile dormire in casa di uno sconosciuto o farsi dare un passaggio da chi non si conosce. Oggi ci sono Airbnb e Uber“. Non solo, “abbiamo a disposizione informazioni puntuali sui singoli individui. Un cambiamento copernicano che mette l’individuo al centro”. Infine, le aziende, che “oggi hanno una capacità di innovazione che prima era inimmaginabile”.
Ma cosa succederà quanto l’intelligenza artificiale sarà completamente sviluppata? Quando cioè “delle macchine superintelligenti conosceranno l’uomo più di quanto lui non conosca se stesso? Come cambieranno la società, la politica e l’impresa?”. (Fonte: R. Saporiti, https://www.robotiko.it/coding-cose/ 25-05-18)

IL CONTRATTO DI GOVERNO, IL MINISTRO E IL CUN
Il contratto di governo** cita esplicitamente il CUN come uno dei soggetti che potrebbero contribuire nei progetti decisionali, ma se il buongiorno si vede dal mattino, la giornata si annuncia quanto meno assai nuvolosa. Ci risulta infatti che il ministro Bussetti non abbia mai dato alcuna risposta alla nota di saluto e di invito a incontro inviatagli dalla Presidenza CUN. Se così fosse, sarebbe il primo ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca a non degnare di considerazione il suo organo consultivo per l’università. Un segnale o una semplice distrazione, dovuta anche ad una scarsa conoscenza del settore universitario? In entrambi i casi, c’è da essere preoccupati.
**“Occorrerà apportare dei correttivi alla governance del sistema universitario e all’interno degli stessi atenei, ridisegnando il ruolo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) per renderlo uno strumento per il governo (e non di governo), e individuando puntualmente i soggetti che potrebbero contribuire nei processi decisionali, a cominciare dal CUN, organo elettivo di rappresentanza del mondo universitario.
(Fonte: Red.ne Roars 02-08-18)


UNIVERSITÀ IN ITALIA

UNIMI. BICOCCA LANCIA L’UNIVERSITÀ DEL CROWDFUNDING
Dopo il successo della raccolta fondi per CoderBot, il robot didattico per le scuole primarie e secondarie, chiusa con più di 7mila euro di fondi raccolti in due mesi (oltre il 140 per cento dell’obiettivo), ora l’Università di Milano-Bicocca, in partnership con Produzioni dal Basso – la più grande community Italiana di crowdfunding – lancia la piattaforma che consente a studenti, ex studenti, docenti, ricercatori, dottorandi e dipendenti dell’Ateneo di finanziare i propri progetti con il crowdfunding e il supporto delle aziende partner. Tre i punti cardine dell’iniziativa, varata in concomitanza con le celebrazioni del Ventennale: mettere a disposizione una modalità di finanziamento alternativa e complementare ai tradizionali grant e bandi; offrire l’opportunità di misurarsi col mercato attraverso la gestione delle campagne; incrementare il senso e l’attitudine all’imprenditorialità. «È un modello innovativo – dice il rettore Cristina Messa – e per ora unico nel suo genere, almeno tra le Università italiane. I progettisti selezionati riceveranno formazione e assistenza per imparare a costruire campagne di successo. I mini corsi saranno dedicati a fornire strumenti efficaci per favorire l’interesse di potenziali sostenitori. Da qui nasce l’idea di chiamare la piattaforma Università del Crowdfunding». (Fonte: www.impresamia.com 15-06-18)

UNITR. I FINANZIAMENTI SUPERANO LO STANDARD ITALIANO E DANNO OTTIMI RISULTATI
La produzione scientifica italiana è terza per qualità in Europa, dopo quella francese e quella tedesca, e siamo tra i primi al mondo per la produttività dei ricercatori. Anche in questo caso, Trento, Padova e gli altri atenei italiani ben piazzati nella classifica di THE relativa alla soddisfazione degli studenti sono quelli in cui secondo l’ANVUR si fa ricerca di livello più alto: qualità della didattica e qualità della produzione scientifica non si escludono, come pensa qualcuno, ma vanno di pari passo. Ottimi ricercatori sono anche, di solito, ottimi docenti. Lo stesso rapporto ANVUR mette però in evidenza che la spesa annuale per studente nel nostro sistema universitario è inferiore di circa il 25% alla media OCSE, collocandosi al 24esimo posto su 34. Ripeto: terzi per la ricerca, 24esimi per l’investimento per studente. Nel Regno Unito, dove si trova la gran parte delle università che stanno davanti a Trento nella classifica del THE, la spesa media per studente è più che doppia rispetto a quella italiana. La deduzione non è difficile: sia secondo il THE sia secondo l’ANVUR, le università italiane hanno performance didattiche e scientifiche di altissimo livello: è probabile che, fatte le debite proporzioni, in nessuno Stato europeo l’investimento in istruzione dia risultati altrettanto buoni. Il problema, ovviamente, è che l’investimento italiano è troppo scarso per renderci davvero competitivi, e tra l’altro per avere un numero di laureati che sia in linea con la media Ocse. L’Università di Trento ha ottenuto in questi anni eccellenti risultati anche perché può contare sui finanziamenti della Provincia autonoma, che non raggiungono certo gli standard europei ma superano lo standard italiano. (Fonte: CorSera Univerità, 19-07-18)


UE. ESTERO

UN BUON USO DELL'EUROPEISMO CULTURALE È FONDAMENTALE PER COSTRUIRE UN'EUROPA APERTA E INCLUSIVA
Ecco perché bisogna ripartire dalla scuola e dall'università. «Non a caso il presidente francese Macron ha scelto la Sorbona e un pubblico di giovani studenti per pronunciare il 26 settembre 2017 il suo discorso sull'Europa». Quali sono i punti più importanti, a suo avviso, di questa visione? «Innanzitutto, la convinzione che cultura e sapere saranno il cemento più forte dell'Unione Europea. E poi considerare "l'educazione europea" come un volano fondamentale: la mobilità degli studenti (nel 2024 la metà dei giovani sotto i 25 anni deve aver soggiornato non meno di 6 mesi in un'altra nazione), l'apprendimento di almeno due lingue europee in ogni Paese, l'istituzione di "università europee" come "luogo d'innovazione pedagogica e di eccellenza" (democratizzazione ed eccellenza non debbono essere in contraddizione: per questo la mobilità studentesca deve coinvolgere il maggior numero di allievi). Così saremo in grado, senza perdere di vista l'inserimento professionale e la mobilità sociale, di creare ciò che Habermas ha definito l'autentico "patriottismo costituzionale". Vivendo nella Sorbona — grande centro europeo dell'internazionalizzazione dei saperi — mi sono convinto che la rifondazione dell'Europa passerà per le peregrinazioni europee dei nostri giovani allievi in formazione». (Fonte: G. Pécout, La Lettura 26-08-18)

HORIZON EUROPE, IL PROGRAMMA QUADRO PER LA RICERCA E L'INNOVAZIONE PROPOSTO DALLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL 2021-2027
Horizon Europe ha un bilancio di 100 miliardi di euro, il più ricco di sempre, e potranno parteciparvi anche paesi al di fuori dell'UE, compresa la Gran Bretagna del dopo Brexit. Previsti cambiamenti nei meccanismi di finanziamento, ma i fondi destinati a strumenti di eccellenza come l'ERC non sembrano ancora sufficienti. Più della metà del finanziamento totale, pari a 52,7 miliardi di euro, sarà destinato al fondo per le sfide che deve affrontare la società. Con questi fondi i ricercatori vogliono rispondere all’invito a presentare proposte di ricerca in alcuni specifici settori: salute, società inclusiva e sicura, digitale e industria, clima, energia e mobilità, risorse alimentari e naturali. Oltre 10 miliardi di euro del bilancio proposto saranno destinati a un Consiglio europeo dell'innovazione (EIC) di recente istituzione, che avrà lo scopo di immettere sul mercato nuove tecnologie d'avanguardia, e che quest'anno ha iniziato a funzionare come progetto pilota nell'ambito di Horizon 2020. L'EIC finanzierà singoli ricercatori e imprese in modo analogo a come l'European Research Council (ERC) – il principale finanziatore della ricerca "creativa" del programma - finanzia i ricercatori per attività scientifiche di base. (Fonte: Le Scienze 09-06-18)

IL NUOVO PIANO HORIZON EUROPE È PIÙ RICCO MA PENALIZZA LA RICERCA DI BASE
La Commissione Europea ha recentemente reso noti i dettagli del prossimo Programma Quadro per il finanziamento della spesa in ricerca e innovazione degli stati membri durante il periodo 2021-2027. Denominato “Horizon Europa”, il nuovo piano risulta molto più ricco di quello attuale (Horizon 2020) ma a differenza di questo pone una sostanziale enfasi su attività di impresa e di innovazione nel contesto di “grandi missioni” volte a fronteggiare i maggiori problemi della società contemporanea. In particolare, il piano si iscrive in un nuovo approccio alla politica della ricerca in Europa, formulato nei mesi precedenti da gruppi di esperti provenienti dal mondo della ricerca accademica ed industriale, che in più di un documento hanno sottolineato l’importanza delle ricadute sociali dell’attività di ricerca e di qui la necessità di orientarla opportunamente su specifiche aree di interesse. Tuttavia, come riportato da Stewart Wills nel sito OSA.org, l’accoglienza da parte del mondo accademico non è stata delle migliori. In una nota congiunta a nome di 14 distinti gruppi di universitari, è stato infatti rilevato che lo stanziamento complessivo per Horizon Europa sarebbe dovuto almeno raddoppiare arrivando a un totale di almeno 160 miliardi di euro, pari a circa 60 miliardi in più di quanto ad oggi previsto. In secondo luogo è stato sottolineato come l’allocazione dei fondi abbia penalizzato la ricerca di base, con un incremento più ridotto previsto per i fondi Marie Curie ed ERC nonostante il successo mostrato da questi ultimi nell’avanzamento della Ricerca europea. (Fonte: D. Palma, Roars 27-07-18)

L’UE HA RAGGIUNTO L’OBIETTIVO DEL 40% DI LAUREATI TRA I GIOVANI FINO A 34 ANNI
Alla fine dello scorso anno l’Unione europea ha complessivamente centrato l’obiettivo che si era data per il 2020: avere almeno il 40 per cento di laureati tra i giovani fino a 34 anni. I dati pubblicati da Eurostat nei giorni scorsi fanno segnare un 39,9 per cento di media. Un risultato al quale hanno contribuito tutti i Paesi, in misura diversa perché quando si decise l’obiettivo nel 2002, la situazione delle università nei diversi stati era molto distante. Resta un unico Paese dove l’obiettivo è lontano e la crescita dei laureati è troppo lenta per mantenersi al passo con gli altri. Questo Paese è purtroppo l’Italia. Nel 2002 i laureati della fascia di età fino a 34 anni erano da noi il 13,1 per cento, una delle percentuali più basse dei Paesi Ue. Ma peggio faceva il Portogallo (12,9) che oggi è al 33, 5 mentre l’Italia è ferma al 26.9. La Romania ci tallona essendo passata in quindici anni dal 9,1 per cento di laureati al 26,3, la Polonia invece ha triplicato i suoi giovani con diploma passando dal 14,4 al 45,7. Per non dire dei Paesi che già avevano un quarto dei laureati nella fascia di età fino a 34 anni e che oggi sono ampliamente sopra il 40 per cento: la Francia per esempio, il Belgio, la Grecia, la Finlandia, l’Irlanda e la Slovenia, la Svezia e il Regno Unito. (Fonte: G. Fregonara, CorSera 27-07-18)

PROGETTI FINANZIATI DAL CONSIGLIO EUROPEO DELLA RICERCA (ERC). IL 79 PER CENTO HA PORTATO A UN IMPORTANTE PROGRESSO SCIENTIFICO
Dall'ultima valutazione annuale indipendente dei progetti ERC è arrivato un apprezzato e insolito riesame dei risultati ottenuti dal più prestigioso finanziatore scientifico d'Europa. La valutazione annuale, giunta al terzo anno, ha stabilito che quasi un progetto su cinque di quelli sostenuti dal Consiglio europeo della ricerca (ERC) ha portato a una svolta scientifica. La valutazione indipendente è iniziata nel 2017 e ha preso in esame 223 progetti dell'ERC che si erano conclusi a metà del 2015. Stando a essa, il 79 per cento di quelle ricerche ha portato a un importante progresso scientifico, e il 19% di esse è stato considerato un progresso fondamentale. Questa percentuale arriva poi al 27% per le sovvenzioni "ERC Advanced Grants", concesse a ricercatori esperti. Solo l'1% di tutte le ricerche non avrebbe fornito un contributo scientifico apprezzabile. La revisione è stata pubblicata il 31 maggio. (Fonte: Le Scienze 09-06-18)

FRANCIA. LA MINI RIFORMA DEGLI ACCESSI AI CORSI UNIVERSITARI NON PIACE AGLI STUDENTI
Un cardine del sistema francese è la libertà d’accesso ai corsi universitari, con il solo filtro dell’esame di baccalauréat, introdotto da Napoleone nel 1808. Da allora poco è cambiato. In pratica uno studente superiore con pessimi voti in matematica ma che comunque supera l’esame di maturità può iscriversi senza problemi alla facoltà di Matematica. L’uguaglianza d’accesso alle università pubbliche ha un alto valore simbolico e, combinata con un generoso sistema di finanziamento statale, permette alla Francia di offrire rette molto basse (mediamente 189 euro per studente nel 2017) e buona qualità degli studi. Il sistema era però pensato per un Paese dove l’istruzione terziaria era riservata a pochissimi: nei primi anni dell’Ottocento gli studenti universitari erano poche centinaia, nel 1950 solo il 5% sosteneva il baccalauréat. Oggi quasi l’80% di coloro che completano le scuole superiori decide di tentare l’accesso ai corsi universitari. Per ovviare alla situazione, lo scorso anno il governo francese ha introdotto un nuovo regolamento che permette agli atenei di avere accesso ai risultati ottenuti alle scuole superiori dai nuovi immatricolati, in modo da poter offrire loro dei corsi di recupero per ovviare a eventuali evidenti carenze pregresse. Non si cita mai la parola “selezione” o “accesso”, non si tratta di test d’ingresso o di “numeri chiusi” e da osservatori esterni pare una piccola misura di buonsenso. Per molti studenti, però, questa è apparsa come il primo passo verso una “anglicizzazione” o “americanizzazione” del sistema accademico francese, cioè la prima misura volta a disegnare un’università più selettiva e più chiusa. Fondata sulla competizione e non più egalitaria. (Fonte: M. Morini, IlBo 18-05-18)

FRANCIA. CON LA NUOVA PIATTAFORMA INFORMATICA PARCOURSUP DI SELEZIONE POST-BAC 102.606 LICEALI NON SANNO ANCORA IN QUALE UNIVERITÀ ACCEDERE
Nel sistema scolastico francese la selezione è abbastanza complicata già nel lungo percorso che va dal Collège (le medie) fino al liceo. Senza dire, poi, che l'accesso agli studi universitari (nelle facoltà tradizionali o nelle scuole d'eccellenza come l'Ena, il Politécnique, l'Ecole de mines o la Normale Supérieure) è stato gestito per anni attraverso un portale internet del Ministero - si chiama Apb, Admission post bac - il quale decideva l'ammissione a questa o a quella facoltà attraverso un algoritmo che valutava il percorso scolastico dello studente (a cominciare dalle ultime classi delle elementari!) incrociando le domande con l'offerta di posti disponibili seguendo una griglia di graduatorie a scalare. Ora l’80% (delle famiglie con un figlio che ha appena conseguito la maturità, il baccalaureat, e si prepara agli studi universitari) dichiara di essere fortemente preoccupato perché al momento, a un mese dalla conclusione degli esami e a quasi un anno dall'avvio del nuovo sistema informatico di selezione post-bac (si chiama Parcoursup ed è entrato in funzione a gennaio in contemporanea con una nuova legge chiamata forse troppo ottimisticamente Ore, Orientation et réussite des étudiants), oltre centomila ragazzi (su una platea di 800mila diplomati, l'85% dei candidati perché il 15%, va detto, qui in Francia non supera gli esami e deve ripetere l'anno) non sanno ancora in quale università e in quale facoltà potranno continuare gli studi. (Fonte: G. Corsentino, CEST 27-07-18)

UK. LE BIG DELL’HI-TECH SACCHEGGIANO I «CERVELLI» DELLE UNIVERSITÀ ESPERTI DI IA
Il rettore del King’s Cross Campus dell’Università di Warwick a Londra, che ne coordina i progetti di IA (Intelligenza artificiale), teme che la razzia dei migliori cervelli informatici dagli istituti di formazione superiore del Regno Unito da parte di gruppi statunitensi come Amazon, Google, e Uber rischi di mettere a repentaglio la capacità della Gran Bretagna di perseguire una posizione leader nel settore dell’apprendimento automatico. «Le migliori società tecnologiche succhiano linfa dalle università: offrono loro stipendi cospicui, pari a circa il quadruplo o il quintuplo di quelli che ricevono», ha detto. «Le domande da porci sono le seguenti: chi è il proprietario delle conoscenze prodotte? E chi formerà i ricercatori del futuro?». Il Regno Unito si sta battendo contro altri paesi (e tra questi la Francia, dove a marzo il presidente Emmanuel Macron ha promesso di allocare 1,5 miliardi di euro per dare nuovo impulso nel prossimo quinquennio all’apprendimento automatico) perché determinato a diventare leader mondiale nell’IA. Ogni impegno in questo senso, tuttavia, scompare rispetto ai grandiosi piani cinesi di creare entro il 2030 un settore industriale impegnato nell’IA per 150 miliardi di dollari. (Fonte: A. Ram, IlSole24Ore 15-06-18)

UK. ANCHE LA DIAGNOSI DELLO STATO DI SALUTE DEGLI UTENTI NEL FUTURO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE (IA)
Nel futuro dell’IA c’è anche la diagnosi dello stato di salute degli utenti. Lo scorso mese, quando ha annunciato la decisione del governo di investire 300 milioni di sterline per finanziare la ricerca nel campo dell’apprendimento automatico, per esemplificare l’alto livello raggiunto dal Regno Unito nel campo dell’intelligenza artificiale, il segretario alla Cultura Matt Hancock ha citato i nomi di tre aziende che hanno sede a Londra. Le prime due sono DeepMind e Swiftkey, che mette a punto software per i testi predittivi ed è stata acquistata da Microsoft nel 2016 per 250 milioni di dollari.
La terza azienda è più piccola: si tratta di Babylon, una startup digitale britannica che opera in campo sanitario e usa algoritmi di IA per diagnosticare le malattie. Questa azienda ha un’intesa con Bupa, il gruppo privato di assistenza sanitaria, e con il numero di assistenza telefonica non d’emergenza 111 del Servizio Sanitario Nazionale per contribuire al triage dei servizi per casi non critici, e ha anche un accordo con il SSN per permettere a circa un milione di londinesi di usare l’app di Babylon come primo punto di contatto quando ci si sente male, invece di rivolgersi direttamente al proprio medico curante. In ogni caso, i due contratti-fiori all’occhiello di Babylon con Bupa e il numero 111 di assistenza del SSN non si sono espansi più di tanto dopo la forte reazione contraria dei medici. (Fonte: A. Ram, IlSole24Ore 15-06-18)

ERC STARTING GRANTS. UNO SU DIECI A RICERCATORI ITALIANI
Su 403 European starting grants, i finanziamenti destinati ai ricercatori junior, gli italiani se ne sono aggiudicati uno su dieci. I nostri giovani scienziati hanno sorpassato anche i francesi, balzando al secondo posto subito dietro i tedeschi. Peccato che nella stragrande maggioranza dei casi i vincitori svolgeranno le loro ricerche fuori dall’Italia: su 42 vincitori con il passaporto italiano solo 12 resteranno a lavorare qui. Gli altri 30 (tre su quattro) presteranno i loro cervelli all’estero. La penuria di fondi penalizza ulteriormente l’Italia in quanto non solo fa scappare i nostri cervelli ma soprattutto ci rende assai poco attraenti per dei ricercatori stranieri. I nostri laboratori ne sono riusciti ad attrarre solo tre: uno sloveno (a Pavia), un ungherese (alla Bocconi) e un canadese (a Trento). (Fonte: CorSera 30-07-18)


LIBRI. RAPPORTI. SAGGI

LA LAUREA NEGATA
Autore: Gianfranco Viesti, ed. Laterza 2018.
La base di questo lavoro è un rapporto della Fondazione Red pubblicato due anni fa. I dati sono chiari: l’università italiana è più piccola del 20% rispetto a dieci anni fa. E non è una buona notizia.
Il blocco del turnover ha ridotto il numero dei docenti da 63mila a 49mila tra il 2008 e il 2016, ma ci sono anche meno corsi e meno studenti, al contrario di quanto si possa pensare. Si dice che l’Università diventi un parcheggio per i giovani, ma in questo momento storico non vale. Per una semplice ragione: i costi dei nostri atenei sono aumentati e sempre più persone non se lo possono permettere. Indipendentemente dal colore dei governi, possiamo dire che la linea è stata piuttosto univoca: il costante taglio dei fondi ha portato l’Università pubblica a dipendere per il 30% da finanziamenti privati, con una pericolosa concentrazione degli atenei sbilanciata verso il Centro-Nord. I criteri di ripartizione dei fondi statali sono stati cambiati, ma sono ancora troppo poco trasparenti. A farne le spese sono stati gli studenti. Soprattutto i meno abbienti, visto che gli investimenti per il diritto allo studio sono rimasti gli stessi mentre i costi aumentavano. E non è solo un problema di tasse, ma anche di tutte le altre spese che uno studente, magari fuori sede, deve sostenere. Ma oltre al merito, c’è un problema di metodo. In questi ultimi dieci anni la politica ha trasformato l’Università senza che gran parte dell’opinione pubblica se ne rendesse neanche conto, attraverso modifiche burocratiche molto tecniche e graduali, quasi per evitare responsabilità. Un tema del genere meriterebbe invece di essere al centro del dibattito parlamentare. I finanziamenti non sono più ripartiti agli atenei su base storica, cioè su quanto erano abituati a prendere in precedenza, ma su un sistema di indicatori. Il problema è che questi criteri sono poco trasparenti e, se vogliamo vedere dei benefici, devono essere riformati. (Fonte: intervista all’autore, www.linkiesta.it  03-08-18)

VITA DA PRECARI. UNA MINIGUIDA PER ORIENTARSI NEL LAVORO UNIVERSITARIO
Autore: Francesca Forte. Edizioni Conoscenza, 2018, 54 pg.
Sono oltre 83 mila i precari nelle università italiane. Un esercito di ricercatori a tempo determinato, assegnisti, borsisti, docenti a contratto senza i quali gli atenei non potrebbero funzionare, ma ai quali si danno ben poche opportunità per un futuro accademico. I precari universitari della ricerca e della docenza non possono accedere a nessun processo di stabilizzazione, e spesso lavorano senza la garanzia di elementari diritti, come le ferie o le assenze per malattia e per maternità.. Questo libro nasce dall’esperienza degli “Sportelli precari” istituiti da FlcCgil di Milano ed è una guida per i lavoratori “non strutturati” per l’accesso a una serie di diritti che siano loro garantiti nel contesto delle diverse forme contrattuali: dai congedi parentali e di maternità alle cure in caso di malattia o di infortunio, all’assegno di disoccupazione, alle prospettive di pensione. Il volumetto pubblicato da Edizioni Conoscenza ha una Presentazione di Pasquale Cuomo e contributi di Alessandro Arienzo e Barbara Grüning.

FUTUREINRESEARCH. L’ESPERIENZA DELL’UNIVERSITÀ DEL SALENTO
A  cura di Silvio Labbate. Tangram edizioni scientifiche, 2018.
“La ricerca deve continuare, non può subire le dinamiche travagliate dei finanziamenti: in palio c’è il progresso della società civile». È chiaro il messaggio del rettore dell’Università del Salento Vincenzo Zara, in occasione della presentazione del volume che raccoglie le idee progettuali che i ricercatori a tempo determinato dell’Università del Salento stanno sviluppando per rispondere alle necessità di innovazione rilevanti per la Puglia nel quadro del programma omonimo. Curato da Silvio Labbate, Ricercatore di Storia contemporanea, il libro è un focus su “FuturelnResearch”, destinato a sostenere la formazione, la mobilità e lo sviluppo delle capacità dei ricercatori pugliesi. “La Regione Puglia – spiega - ha inteso realizzare un sistema di censimento che, da una parte, soddisfi le aree di intervento regionali e, dall’altra, l’esigenza di dotazione organica per le Università in funzione della ricerca applicata sul territorio. In altri termini, un sistema di “potenziamento del sistema universitario” attraverso la “specializzazione intelligente”. (Fonte: www.trnews.it 21-05-18)




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