lunedì 11 maggio 2020

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE n.ro 1 Gennaio 2020






IN EVIDENZA



PARLA IL NUOVO MINISTRO MANFREDI

Quali problemi proverà a risolvere innanzitutto?

«Serve una strategia pluriennale: l’alta formazione e la ricerca non possono cambiare passo ogni anno. È importante dare stabilità a questo settore in una prospettiva internazionale, come avviene in altri Paesi. Dobbiamo programmare il rilancio per dare garanzie ai nostri giovani, per evitare che i migliori vadano via dall’Italia: dobbiamo tenerceli».

Programmare in che modo?

«Dobbiamo mettere in campo un piano pluriennale per i ricercatori, per garantire nuovi ingressi ogni anno e, quindi, quel rinnovo generazionale di cui abbiamo molto bisogno. I ricercatori oggi hanno un’età media troppo alta. Programmando gli ingressi anno per anno si dà la sensazione a chi resta fuori che l’occasione può arrivare».

Parliamo di numeri, quanti ricercatori e in quanti anni?

«Almeno 10mila nuovi ricercatori nei prossimi 5 anni, oltre al naturale turn over. In questo modo chi va all’estero lo fa per scelta, non per obbligo. Chi resta in Italia, invece, sa che può tentare il prossimo anno. Oggi abbiamo solo piani di assunzione straordinari: in questo modo si ha purtroppo la sensazione che, perso un treno, non ce ne saranno altri. Senza la speranza non si può guardare al futuro». (F: corriereuniv.it 02.01.20)

Successivamente il ministro ha detto: “Con un piano pluriennale di immissioni di ricercatori si da’ una vera opportunità ai giovani riducendo il precariato storico. Nei prossimi 5 anni sarà possibile assumere 10mila ricercatori. Voglio trovare una risposta insieme alla Conferenza delle Regioni per affrontare il tema delle borse di studio: vanno garantite a tutti gli aventi diritto”. (F: Il Messaggero 09.01.20)



UNIVERSITÀ ITALIANE. OLTRE IL 40% TRA LE TOP 1000

Secondo una ricerca di Italiadecide e Intesa Sanpaolo "l'Italia, seppur non abbia università tra le prime 100 in entrambi i ranking QS e THE, posiziona un numero di università confrontabile con Francia, Germania e Cina già nelle prime 500 e ancor di più nelle prime 1000. Poche le università per abitante rispetto ai principali Paesi europei, meno della metà rispetto a Francia, Germania, Regno Unito e circa un terzo degli Stati Uniti". E ancora, "normalizzando i dati dei ranking sul totale di università presenti in ogni Paese, l'Italia supera tutti, incluso il Regno Unito, per numero di istituzioni universitarie tra le prime 1000. Il sistema universitario italiano nel suo complesso vede infatti, nelle misurazioni di THE, addirittura oltre il 40% delle proprie istituzioni tra le top 1000, mentre gli Stati Uniti ne hanno solo l'8% del totale"."Di fronte a un contesto sempre più complesso, il potenziale di cui è dotata l'università italiana - apprezzata all'estero - deve rappresentare in misura maggiore un fattore nel quale investire per aumentare la competitività del nostro Paese", ha commentato il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro, alla presentazione dei risultati. (F: R. Ricciardi, La Repubblica 25.11.19)



LA PAROLA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA DELLA UE SUI RTD-TIPO A

Con sentenze del 10.01.20, nn. 240 e 246, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni riguardanti i ricercatori a tempo determinato tipo a:

1) Se la clausola 5) dell'accordo quadro di cui alla direttiva n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, d'ora in avanti «direttiva»), intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», letta in combinazione coi considerando 6) e 7) e con la clausola 4) di tal Accordo («Principio di non discriminazione»), nonché alla luce dei principi di equivalenza, d'effettività e dell'effetto utile del diritto eurounitario, osta a una normativa nazionale, nella specie l'art. 24, comma 3, lett. a) e l'art. 22, comma 9, I n. 240 del 2010, che consenta alle Università l'utilizzo, senza limiti quantitativi, di contratti da ricercatore a tempo

determinato con durata triennale e prorogabili per due anni, senza subordinarne la stipulazione e la proroga ad alcuna ragione oggettiva connessa ad esigenze temporanee o eccezionali dell'Ateneo che li dispone e che prevede, quale unico limite al ricorso di molteplici rapporti a tempo determinato con la stessa persona, solo la durata non superiore a dodici anni, anche non continuativi;

2) se la citata clausola 5) dell'Accordo quadro, letta in combinazione con i considerando 6) e 7) della direttiva e con la citata clausola 4) di detto Accordo, nonché alla luce dell'effetto utile del diritto eurounitario, osta ad una normativa nazionale (nella specie, gli artt. 24 e 29, comma 1, I n 240 del 2010), laddove concede alle Università di reclutare esclusivamente ricercatori a tempo determinato, senza subordinare la relativa decisione alla sussistenza di esigenze temporanee o eccezionali senza porvi alcun limite, mercé la successione potenzialmente indefinita di contratti a tempo determinato, le ordinarie esigenze di didattica e di ricerca di tali Atenei;

3) se la clausola 4) del medesimo Accordo quadro osta ad una normativa nazionale, quale l'art. 20, comma 1, d.lgs. n. 75 del 2017 (come interpretato dalla citata circolare ministeriale n. 3 del 2017), che, nel mentre riconosce la possibilità di stabilizzare i ricercatori a tempo determinato degli Enti pubblici di ricerca —ma solo se abbiano maturato almeno tre anni di servizio entro il 31 dicembre 2017—, non la consente a favore dei ricercatori universitari a tempo determinato solo perché l'art. 22, comma 16, d.lgs. n. 75 del 2017 ne ha ricondotto il rapporto di lavoro, pur fondato per legge su un contratto di lavoro subordinato, al "regime di diritto pubblico", nonostante l'art. 22, comma 9,1. n. 240 del 2010 sottoponga i ricercatori degli Enti di ricerca e delle Università alla stessa regola di durata massima che possono avere i rapporti a tempo determinato intrattenuti, sotto forma di contratti di cui al successivo art. 24 o di assegni di ricerca di cui allo stesso art 22, con le Università e con gli Enti di ricerca;

4) se i principi di equivalenza e di effettività e quello dell'effetto utile del diritto UE, con riguardo al citato Accordo quadro, nonché il principio di non discriminazione contenuto nella clausola 4) di esso ostano ad una normativa nazionale (l'art. 24, comma 3, lett. a, I. n. 240 del 2010 e l'art. 29, commi 2, lett. d e 4, dlgs. 81 del 2015) che, pur in presenza d'una disciplina applicabile a tutti i lavoratori pubblici e privati da ultimo racchiusa nel medesimo decreto n. 81 e che fissa (a partire dal 2018) il limite massimo di durata d'un rapporto a tempo determinato in 24 mesi (comprensivi di proroghe e rinnovi) e subordina l'utilizzo di rapporti a tempo determinato alle dipendenze della Pubblica amministrazione all'esistenza di «esigenze temporanee ed eccezionali», consente alle Università di reclutare ricercatori grazie ad un contratto a tempo determinato triennale, prorogabile per due anni in caso di positiva valutazione delle attività di ricerca e di didattica svolte nel triennio stessa, senza subordinare né la stipulazione del primo contratto né la proroga alla sussistenza di tali esigenze temporanee o eccezionali dell'Ateneo, permettendogli pure, alla fine del quinquennio, di stipulare con la stessa o con altre persone ancora un altro contratto a tempo determinato di pari tipologia, al fine di soddisfare le medesime esigenze didattiche e di ricerca connesse al precedente contratto;

5) se la clausola 5) del citato Accordo Quadro osta, anche alla luce dei principi di effettività e di equivalenza e della predetta clausola 4), a che una normativa nazionale (l'art. 29, commi 2, lett. d e 4, DLgs. 81 del 2015e l'art. 36, commi 2 e 5, d.lgs. n. 165 del 2001) precluda ai ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale e prorogabile per altri due (ai sensi del citato art. 24, comma 3, lett. a, I. n. 240 del 2010), la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato, non sussistendo altre misure all'interno dell'ordinamento italiano idonee a prevenire ed a sanzionare gli abusi nell'uso d'una successione di rapporti a termine da parte delle Università. (F: osservatorio università 10.01.20)



IL CUN ESPRIME UN PARERE NEGATIVO SUL BANDO ANVUR PER L'ESERCIZIO VQR 2015-2019

Il CUN ha inviato una lettera a Ministro, neo-presidente dell’ANVUR e CRUI in cui esprime un “parere negativo” sul bando ANVUR relativo alla VQR3 (https://tinyurl.com/rhgcdz7 ) e ne chiede la “revisione”. https://tinyurl.com/rvyxy5d

Il CUN esprime un parere negativo sul Bando ANVUR per l'esercizio VQR 2015-2019 emanato in attuazione del DM n. 1110, motivando che tali provvedimenti, tra l'altro non di rado fra loro in discrasia, potrebbero causare distorsioni del sistema universitario, disfunzioni nel processo di valutazione nonché discriminazioni fra le Aree con gravi ripercussioni sulla valutazione della qualità della ricerca delle Istituzioni, delle strutture e delle Aree. (F: A. Baccini, Roars 17.01.20)



EVOLUZIONE DEI CORSI ON-LINE. IL DIGITAL LEARNING EVOLUZIONE DELL’E-LEARNING

Nel 2019, nel mondo, più di 110 milioni di persone si sono formate attraverso 13.500 corsi universitari on-line in formato MOOC (vedi Grafico) erogati da più di 900 istituzioni universitarie tra le più prestigiose del mondo – ricordiamo solo MIT, Stanford e Harvard oltre alla Open University – e 50 sono i corsi laurea di queste e altre università che possono essere seguiti in formato Mooc.

Allo stesso modo un fatturato intorno ai 200 miliardi di dollari viene stimato nel 2019 – da accreditati analisti di mercato – per ciò che riguarda il Digital Learning, l’evoluzione contemporanea dell’e-learning, mercato del quale è prevista una crescita globale fino a 300 miliardi di dollari tra il 2023 e il 2025. Questo dato tiene conto sia della formazione continua erogata dalle aziende Corporate sia di quella erogata dalle pubbliche amministrazioni mondiali e in particolare dal settore scuole e ricerca.

Il termine digital learning identifica un’evoluzione dell’e-learning e del blended learning che prevede – sia all’interno dei percorsi di educazione formale sia di quelli di formazione continua aziendale e istituzionale – la possibilità per chi apprende e chi insegna di poter fruire di tutto l’ecosistema contemporaneo degli strumenti di formazione (Nacamulli, R. Lazazzara, A., 2019, L’ecosistema della formazione). Il Digital learning si avvale cioè, integrandoli, sia dell’apprendimento in aula e dei “supporti tradizionali” sia dei nuovi strumenti digitali che sono stati progettati in questi ultimi trent’anni dagli attori della rivoluzione digitale e che sono entrati nelle vite di tutti noi in maniera massiccia e ormai consueta quasi inavvertita.

Secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, il concetto di Digital Learning identifica una “piattaforma integrata di canali e strumenti a supporto dei programmi di formazione per rendere più fruibile l’apprendimento”. Gli strumenti cui si fa riferimento sono: ambienti virtuali per l’apprendimento (LMS), Mooc, Webinar, App per i dispositivi mobile, microlearning, podcast, ma anche gli strumenti della gamification ed i social media. In questo modo attraverso un adeguato mix di supporti formativi disponibili su device multipli è possibile mantenere aggiornato il menu dell’offerta formativa e quindi far apprendere in maniera più efficace le persone, di volta in volta utilizzando i mezzi più funzionali alla fruizione e alla comprensione dei contenuti. (F: P. Ferri, agendadigitale.eu 16.01.20)




PROFESSORI UNIVERSITARI. RICERCATORI. RECLUTAMENTO. PROPOSTE

Pongo di seguito in risalto, come non conformi a orientamenti personali, i contenuti di rilievo delle seguenti proposte emerse dal Testo unificato dei Progetti di Legge Torto-Melicchio, dal DDL Verducci, dalla proposta del CNU e dalla proposta Ferraro (Movimento dignità docenza):

- Proposte di un ruolo unico di Professore Universitario (PU) o “docente unico” (vecchia idea del secolo scorso sempre sostenuta da CNU e CIPUR) con possibile passaggio dei PA a PO (che diventa Professore universitario “unico”, PU) anche senza concorso e con successiva inqualificabile distinzione in “Professore normale” (con scatti normali) e “Professore superiore” (con scatti superiori). In particolare: 1. Passaggio a PO, in tempi certi, di tutti i PA già in possesso dell’ASN e di quelli che via via la conseguiranno. 2. Passaggio a PA di tutti gli RTI già in possesso dell’ASN e di quelli che via via la conseguiranno. 3. Giudizio di idoneità a PA di tutti gli RTI che non siano già in possesso dell’ASN.

- Sostituzione di RTDa e RTDb con le tre figure di Ricercatore Junior (figura completamente nuova prevalentemente precaria), Ricercatore Universitario, Professore Junior junior (ex RTDb).

- Contratto unico dei ricercatori a tempo determinato RTD, articolato in due fasi: Ricercatore junior e Ricercatore senior.

- Accesso diretto a PU per quanti si ritengono idonei al ruolo (unico requisito il Dottorato) attraverso un concorso nazionale per settore concorsuale.

- Abilitazione alla Docenza Universitaria (sostituisce l’ASN) tramite valutazione dell’attività scientifica, ma anche didattica e organizzativa.

Sarebbero invece da valutare positivamente:

- l’istituzione di contratti di ricerca senza tenure-track, stipulabili per una o due annualità e non rinnovabili, che sostituiscono gli attuali assegni di ricerca;

-  l’abrogazione dell’assegno di ricerca quale strumento principale di pre-ruolo;

- l’eliminazione della figura del Ricercatore a Tempo Determinato di tipo A (RTDa), su cui convergono varie proposte;

- la trasformazione di quella di tipo B (RTDb) nell’unica modalità di accesso al pre-ruolo in tenure track;

- ogni tipo di contratto universitario reso di tipo subordinato, con tutti i diritti e le tutele sociali e previdenziali;

- innalzamento dell’importo minimo delle borse di dottorato al minimale contributivo INPS e abolizione totale del contributo per l’accesso ai corsi di dottorato.

(PSM novembre 2019)





ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE



DECRETO SCUOLA (DL 126 29.10.19) DETTA NORME SU ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE, CHIAMATE NEL RUOLO DEI PROFESSORI ORDINARI E ASSOCIATI E ACQUISTI PER LA RICERCA.

Abilitazione scientifica nazionale. Si modifica la riforma Gelmini del 2010 per quanto attiene alla durata dell’abilitazione scientifica nazionale, nonché alla possibilità per le università di procedere alla chiamata nel ruolo di professore di prima e di seconda fascia di soggetti già in servizio nella stessa università e di utilizzare fino a metà delle risorse disponibili per coprire i posti di professore di ruolo per le chiamate a professore di seconda fascia di ricercatori a tempo determinato di tipo B. Nel dettaglio, aumenta (da 6) a 9 anni la durata dell’abilitazione scientifica nazionale.

Acquisti per la ricerca. Il provvedimento prevede che alcune disposizioni relative agli acquisti centralizzati tramite Consip SpA non trovano applicazione per le università statali, le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam) e per gli enti pubblici di ricerca, in relazione agli acquisti di beni e servizi funzionalmente destinati all'attività di ricerca, al trasferimento tecnologico e alla terza missione. (F: S24 05.12.19)





CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI



TRA LE TOP1000 IL 40% DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE

Il 40% delle università italiane rientra tra la top 1000 degli atenei di tutto il mondo. Lo rivela la ricerca “L’Italia e la sua reputazione: l’Università” condotta da italiadecide in collaborazione con Intesa Sanpaolo. Facendo riferimento ai prestigiosi ranking QS e THE, i curatori dello studio hanno analizzato il numero di università presenti nelle prime 100, 200, 500 e 1000 posizioni a livello globale (su circa 20mila atenei nel mondo). A riportare la notizia Ansa.it. Se è vero che non ci sono università italiane nella top 100 di entrambi i ranking, l’Italia posiziona però il 40% dei suoi atenei tra i primi 1000 a livello mondiale, “una percentuale migliore di Stati Uniti, Cina e Francia, con meno del 10% delle loro università, ma anche di Regno Unito, Germania e Spagna”, si legge nello studio presentato a Milano. L’Italia ha però meno atenei per numero di abitanti rispetto agli altri paesi e un corpo docente più anziano rispetto alla media europea. In particolare, nel nostro paese sono 99 gli enti universitari, in media 1,65 per ogni milione di abitanti, meno della metà di Francia, Germania e Regno Unito. Per quanto riguarda i professori, stando ai dati Ocse del 2016, secondo lo studio di italiadecide “l’Italia dimostra avere l’università più vecchia: più della metà dei docenti è over 50”. (F: tuttoscuola e Dentro l’università 21.11.19)



I MIGLIORI 250 ATENEI DEL MONDO PER OCCUPABILITÀ DEI LAUREATI

È stato pubblicato il “Global University Employability Ranking 2019“, a cura di “The World University Rankings“, la classifica che confronta i migliori 250 atenei del mondo per occupabilità dei laureati. Di seguito i primi 10:

Harvard University – USA

California Institute of Technology – USA

Massachussetts Institute of Technology – USA

University of Cambridge – UK

Stanford University – USA

Technical University of Munich – Germania

The University of Tokyo – Giappone

Princeton University – USA

Yale University – USA

The Hong Kong University of Science and Technology – Hong Kong

Per quanto riguarda le università italiane, assente il Sud, ma riescono a ottenere un posto in classifica cinque atenei del Nord e Centro Italia:

55° SDA Bocconi School of Management – Milano

101° Politecnico di Milano

179° Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

219° Università degli Studi di Padova

228° Scuola Normale Superiore di Pisa.



SDA BOCCONI. SCALA LA CLASSIFICA DEL FINANCIAL TIMES

European Business School Rankings 2019. Nella classifica delle classifiche del Financial Times (che tiene conto dei risultati di quattro classifiche pubblicati nel corso del 2019) sulle migliori Business School in Europa la SDA Bocconi conquista la medaglia di bronzo, superando istituzioni molto conosciute nella competizione internazionale come la francese Insead, la svizzera IMD e la Oxford Said, la business school dell’Università di Oxford. Un premio più che meritato se si pensa che nel 2019 ben 12.000 manager tra italiani e stranieri hanno scelto di frequentare i suoi corsi diversificati per livelli di competenza e durata. (F: Forbes 09.12.19)





CULTURA DEL DIGITALE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA



DIDATTICA DIGITALE PER LA SCUOLA. COMPETENZE DA ACQUISIRE NEI CORSI DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA

Nel decreto scuola (Decreto-Legge 126 del 29 ottobre 2019, volto a dare attuazione alla Riforma della Scuola 2020, GU Serie Generale n. 255 del 30-10-2019) si prevede l'acquisizione, da parte del personale docente, di competenze sulle  metodologie e tecnologie della didattica digitale e della programmazione informatica (coding). In particolare, la norma dispone che le competenze sopra indicate sono acquisite nei corsi di laurea in scienze della formazione primaria – finalizzati all'insegnamento nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria – e nell'ambito delle metodologie e tecnologie didattiche da acquisire ai fini del conseguimento dei 24 crediti formativi universitari o accademici (Cfu/Cfa) che rappresentano uno dei requisiti per l'accesso al concorso relativamente ai posti di docente e di insegnante tecnico-pratico nella scuola secondaria - ovvero durante il periodo di formazione e prova del personale docente. I settori scientifico-disciplinari all'interno dei quali sono acquisiti i Cfu/Cfa relativi alle competenze indicate, nonché i pertinenti obiettivi formativi, sono individuati con decreto del ministro dell'Istruzione. (F: IlSole24Ore 05.12.19)



PIANO DI DIGITALIZZAZIONE DEL SISTEMA SCOLASTICO E UNIVERSITARIO

Il precedente ministero aveva bloccato lo sviluppo di tutti i provvedimenti in cui questo piano si concretizzava: la Legge 107, il Piano Nazionale Scuola Digitale e il Piano per la Formazione dei Docenti 2016-2019. Alla fine del 2019 il Direttore Generale del MIUR ha firmato lo sblocco dei fondi per la formazione degli insegnanti legato al Piano per la Formazione dei Docenti 2016-2019. Il 7 gennaio del 2020, in un suo intervento per Agenda Digitale il vice-ministro Anna Ascani, ha fatto il punto sulla necessità di rilanciare l’attuazione del Piano Nazionale Scuola Digitale definito una “sfida” per la scuola italiana. (20.01.20)



COMPETENZE DIGITALI E MEDIA EDUCATION: POTENZIALITÀ E LIMITI DEL PIANO NAZIONALE SCUOLA DIGITALE

L’Unione europea ha inserito sin dal 2006 la “competenza digitale” tra le otto competenze fondamentali del Lifelong Learning Programme (European Council, 2006) allo scopo di rispondere alle esigenze indotte dalla New/Net/Knowledge Economy e superare nuove forme di digital divide. La recente legislazione italiana riguardante le istituzioni educative e la legge 13 luglio 2015, n. 107, in particolare, hanno recepito le indicazioni dell’Unione europea promuovendo un Piano Nazionale Scuola Digitale. Anche se appare prematuro valutare gli effetti prodotti da questo piano, l’impostazione data dal MIUR, a partire dal linguaggio utilizzato per definire le azioni, sembra muovere in direzione di un adattamento ai processi economici in atto, senza favorire una reale Media Education che permetta agli studenti di sviluppare forme di pensiero critico (F: Riassunto dell’articolo di E. Gremigni, Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, n. 1 2019. http://www.rtsa.eu – ISSN 0391-190X ISSNe 1972-494.)





DOCENTI. RICERCATORI



CORTE COST.: NON IRRAGIONEVOLE ATTRIBUIRE ANCHE AI DOCENTI EX SSEF TRASFERITI ALLA SNA IL TRATTAMENTO DEI PROFESSORI UNIVERSITARI DI PRIMA FASCIA A TEMPO PIENO

Corte costituzionale. Sentenza 21 novembre 2019, n. 241:

1.- Il Consiglio di Stato, sezione quarta, con quattro ordinanze del 2 maggio 2018 (r.o. n. 121, n. 122, n. 123 e n. 124 del 2018), una sentenza non definitiva del 4 maggio 2018 (r.o. n. 125 del 2018) e tre ordinanze del 9 maggio 2018 (r.o. n. 126, n. 127 e n. 128 del 2018), tutte di tenore sostanzialmente analogo, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, 38, 51 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 4, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114.

La disposizione censurata prevede che i docenti ordinari e i ricercatori dei ruoli a esaurimento della soppressa Scuola superiore dell'economia e delle finanze (d'ora in poi: SSEF) siano trasferiti alla Scuola nazionale dell'amministrazione (d'ora in poi: SNA) e che ad essi sia «applicato lo stato giuridico dei professori o dei ricercatori universitari», nonché un trattamento economico rideterminato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di renderlo «omogeneo» a quello degli altri docenti della SNA, «sulla base del trattamento economico spettante, rispettivamente, ai professori o ai ricercatori universitari a tempo pieno con corrispondente anzianità».

Attribuendo anche ai docenti ex SSEF, nell'ambito della rinnovata disciplina relativa alla condizione di tutti i docenti della SNA, il trattamento dei professori universitari di prima fascia a tempo pieno, tale disciplina non può inoltre ritenersi irragionevole, in quanto espressiva della volontà legislativa di attribuire a tutti i docenti a tempo pieno della SNA (pur con le giustificabili eccezioni previste all'art. 2, commi 2 e 3, del d.p.c.m. 25 novembre 2015), al più alto livello possibile, il medesimo trattamento economico. Al tempo stesso, la scelta in questione è indicativa anche della volontà di tenere in giusto conto, nei termini e nei limiti del possibile, il pregresso, più elevato, trattamento retributivo goduto dai docenti ex SSEF. (F: Sentenza ivi citata 21.11.19)





DOTTORATO



INDAGINE ISTAT SUL DOTTORATO RIPRESA NELL’ANNUARIO STATISTICO 2019

In un contesto generale che vede lavorare il 93,8% dei dottori di ricerca del 2012 e il 93,7 del 2014, sono sempre di più quelli che decidono di lasciare il Paese dopo aver conseguito il titolo. Tant’è che il 15,9% dei dottori del 2012 e il 18,5% dei dottori del 2014 dichiara di vivere abitualmente all’estero, percentuali superiori di 4,3 punti rispetto alla precedente indagine. In genere si tratta di talenti che partono a caccia di un’occupazione migliore rispetto a quella offerta dall’Italia.

Gli sbocchi sul mercato del lavoro variano in base all’ambito disciplinare di appartenenza. A registrare l’occupabilità maggiore sono ingegneria industriale e dell’informazione (con il 98,3% a 6 anni dal titolo e il 96,3 a 4 anni) mentre più contenuti sono le chances offerte dalle Scienze politiche e sociali (qui l’occupazione dei dottori del 2012 scende al 90,7%). Nella maggior parte dei casi (24,1%) si tratta di posti all’interno delle università (51,1% con un contratto da dipendente e 36,6% con assegno di ricerca). A cui si aggiunge il 17,3% nel settore della pubblica amministrazione e sanità, il 17% in quello dell’istruzione e formazione non universitaria e il 13,6% in un istituto di ricerca pubblico o privato. (F: E. Bruno, Sole Scuola 24 20.01.20)



DOTTORATO VERSO LA RIFORMA

Si va verso una riforma dei dottorati di ricerca ad opera del nuovo ministro Gaetano Manfredi che dovrebbe portare avanti quanto iniziato e non completato dai suoi predecessori. La nuova riforma dei dottorati dovrebbe prevedere, come riporta IlSole24Ore: valorizzazione dei dottorati innovativi, industriali e internazionali; introduzione del dottorato di interesse nazionale che conterà sui 10 milioni del Fondo di finanziamento ordinario;promozione dei consorzi tra atenei e ogni docente dovrebbe far parte al massimo di due collegi, di cui uno interdisciplinare;il ciclo di dottorato, con buona probabilità rimarrà unico. Una riforma quanto mai necessaria per il settore anche per contrastare la tendenza della maggior parte dei dottori di ricerca in Italia di trasferirsi all’estero dopo gli studi nella speranza di un futuro migliore e maggiori soddisfazioni lavorative. (F: T. Maddonni, Money 20-01-20)



DOTTORANDI. UN SONDAGGIO DI NATURE LI TROVA INSODDISFATTI QUASI AL 40%

“La salute mentale dei dottorandi necessita urgentemente di maggiore attenzione”. Così titola l’ultimo editoriale di Nature, raccontando i risultati di un sondaggio condotto su 6.300 studenti di dottorato di tutto il mondo, proseguendo in maniera altrettanto netta: “l‘ansia e la depressione negli studenti di dottorato sta peggiorando. La domanda che sorge spontanea è perché i PhD sono in ansia. Chi ha almeno un amico o un parente che lavora in accademia lo può facilmente intuire: la dinamica fagocitante del publish or perish, legata alla mobilità imposta (quasi il 40% degli intervistati studia fuori dal proprio paese di origine), che ci si sente in dovere di accettare di buon grado, con il sorriso, ma che nasconde un forte senso di precarietà per persone che sanno di non avere più vent’anni, e spesso nemmeno trenta. Il successo della carriera è il risultato di una serie di misurazioni che includono pubblicazioni, citazioni, finanziamenti, contributi a conferenze e se la propria attività di ricerca ha un impatto positivo sulle persone, sull’economia o sull’ambiente. Un altro problema importante – scrive Nature – è lo specchietto per le allodole rappresentato dall’idea di essere davvero liberi nella propria attività di ricerca accademica. “Possono sorgere problemi quando l’autonomia in tali questioni viene ridotta o viene addirittura meno, il che è ciò che accade quando gli obiettivi di finanziamento, impatto e pubblicazioni diventano parte dei sistemi di monitoraggio e valutazione formali delle università”. Quasi il 40% degli intervistati ha dichiarato che il dottorato non ha soddisfatto le loro aspettative originali, e solo il 10% ha dichiarato che gli anni trascorsi hanno superato le loro aspettative, un netto calo rispetto al 2017, quando questi ultimi erano il 23% degli intervistati. Quasi il 40% degli intervistati ha dichiarato di non essere soddisfatto del proprio equilibrio tra lavoro e vita privata; il 76% dei PhD lavora più di 41 ore settimanali, cioè più di 8 ore al giorno, il 25% anche più di 12 ore. (F: C. Da Rold, IlSole24Ore, 18.11.19)



L’AMMISSIONE DEI DOTTORI DI RICERCA AL CONCORSO STRAORDINARIO PER LA SCUOLA

I dottori di ricerca per i quali si chiede l’ammissione al concorso straordinario, sono anche l’unica categoria (tra quelle che parteciperebbero a tale concorso) già in possesso dei 24 cfu, a differenza di tutti i precari, statali e paritari, con 36 mesi, che non li hanno mai conseguiti perché a suo tempo, in vista del concorso ordinario, il MIUR li dispensò dal farlo. Questo significa che ad essere in gioco sono persone non soltanto massimamente preparate sulle proprie discipline (e come tali certificate dallo Stato) ma anche già testate e promosse dallo Stato, tramite esami all’università, su quelle competenze specifiche legate all’insegnamento scolastico che i PhD sono accusati di non possedere in virtù del loro titolo e che i precari con 36 mesi di servizio avrebbero acquisito “sul campo”, sugli studenti-cavie di cui sopra, senza però essere mai stati valutati in merito. (F: scuolainforma 14.12.19)





FINANZIAMENTI



CRUI E CUN CRITICANO IL GOVERNO SULL’ALTA FORMAZIONE

La Conferenza dei rettori, in una lettera al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio dei ministri, lamenta: “Quest’anno, più che mai, la Legge di bilancio dimentica l’università. Non una misura d’investimento. Non un segnale di attenzione”. Inoltre esprime “profonda preoccupazione” per la direzione diametralmente opposta a quella attesa: “Nonostante la stagnazione, perfino i Paesi emergenti puntano su università e ricerca, l’Italia no”.

La CRUI chiede al Governo un atto di responsabilità e un segnale concreto. La CRUI poi tratteggia un futuro incerto: “Si tratta di questioni che non potevano essere rimandate già anni fa. Oggi vanno considerate delle vere e proprie emergenze che mettono a rischio la tenuta dell’intero sistema universitario e di tutto ciò che da questo deriverebbe, innanzitutto il futuro dei giovani”.

Il Consiglio universitario nazionale scrive invece questo: “La grave insufficienza complessiva delle risorse pubbliche destinate al sistema universitario è stata confermata e peggiorata dal dispositivo legislativo”. Quattro i punti sottolineati dal CUN: serve prevedere un consistente incremento delle risorse per il sistema universitario, soprattutto per la parte non vincolata del Fondo di finanziamento ordinario, “rendendo anche più flessibile la gestione del fabbisogno finanziario degli atenei pubblici”; quindi bisogna proseguire nel finanziamento del Piano straordinario per la progressione di carriera dei ricercatori a tempo indeterminato in possesso di Abilitazione scientifica e proseguire nel finanziamento del Piano straordinario per ricercatori a tempo determinato (Tipo B) realizzato negli ultimi anni “e peraltro prospettato, ma ora espunto, fra lo sconcerto del sistema universitario, dalla Legge di Bilancio 2020”. (F: C. Zunino, La Repubblica 20.12.19)



LEGGE DI BILANCIO 2020. MAXIEMENDAMENTO CON COMMI RIGUARDANTI ISTRUZIONE E RICERCA

I commi 300-302 sono dedicati a Human Technopole. In particolare si cerca di regolare l’accesso alle risorse tecnologiche del polo lombardo mediante “procedure competitive annuali per la selezione, secondo le migliori pratiche internazionali, di progetti presentati per l’accesso alle facility infrastrutturali“. Di un milione è l’aumento del finanziamento destinato alle università che “provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti” (comma 385). Ci sono anche “2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 per il sostegno dello studio, della ricerca e della valutazione dell’incidenza dell’endometriosi” (comma 530). Un altro intervento, con uno stanziamento pari a 1 milione di euro per l’anno 2020, è finalizzato “a garantire un servizio di trasmissione radiofonica universitaria” (comma 532). Rimetteremo in funzione le stampanti ad aghi e i lettori di floppy disk? C’è da domandarselo, alla luce del comma 674 che prevede “un risparmio di spesa annuale pari al 10 per cento della spesa annuale media per la gestione corrente del settore informatico sostenuta nel biennio 2016-2017” attraverso il  riuso dei sistemi e degli strumenti ICT (Information and Communication Technology). Per fortuna, sembra scomparsa la farraginosa norma (l’ex. Art. 29) che imponeva stravaganti indicatori per il controllo della spesa per il personale degli enti di ricerca.

La Legge di bilancio viene approvata sottoponendo a voto di fiducia il classico “maxiemendamento”.

Di seguito Roars pubblica i commi che riguardano università e ricerca, aggiornati alle ore 21 del 15.12.2019.

Legge di bilancio prevede intervento “ad alto potenziale strategico”: 1 mln di euro l’anno per insediare nel Mezzogiorno “uno spazio dedicato per le infrastrutture di ricerca del settore delle scienze religiose riconosciute ad alto potenziale strategico dal Forum Strategico europeo per le infrastrutture di ricerca (ESFRI)” (commi 298-299).

Legge bilancio prevede “un risparmio di spesa annuale pari al 10% della spesa annuale media per la gestione corrente del settore informatico sostenuta nel biennio 2016-2017” attraverso il  riuso dei sistemi e degli strumenti ICT. Rimetteremo in funzione le stampanti ad aghi e i lettori di floppy disk?

(F: Roars 16.12.19)



LEGGE DI BILANCIO 2020. QUOTE PER L’UNIVERSITÀ

Le quote attribuite al MIUR dal fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese (di cui all’art. 1, comma 140 della legge n. 232 del 2016), pari a 800 milioni nel periodo 2017-2026, sono incrementate di 390 milioni per l’anno 2020, 452 milioni per il 2021, 377 milioni per il 2022, 432 milioni per il 2023 per raggiungere i 409 milioni per l’anno 2024. Le misure a favore dell’università si limitano ad un nuovo aumento, limitatamente all’esercizio 2020, del fondo integrativo statale per la concessione di borse di studio (16 milioni) e del fondo per il funzionamento ordinario delle università – FFO (16 milioni) nonché ad una riprogrammazione delle risorse stanziate per l’edilizia universitaria (60 milioni per il 2020, 75 milioni per il 2021, 75 milioni per il 2022). (F. Roars 19.11.19)



VINCE LA SPESA STORICA SUI FONDI AGLI ATENEI

In testa alla classifica dei fondi reali attribuiti ai diversi atenei per ogni studente troviamo un’università del Nord, Venezia Iuav, con 7.285 euro; a seguire, due del Centro (Siena e Camerino) e uno del Sud (Messina). In coda troviamo Bergamo (2.552 euro) e l’Orientale di Napoli (3.179). A conferma da un lato del peso preponderante della vecchia spesa storica e, dall’altro, di come la polarizzazione Nord-Sud nell’università non sia tale da giustificare in sé l’intenzione del ministro di aumentare la perequazione a favore del Mezzogiorno. Come ha sottolineato anche il rettore del Politecnico di Torino, Guido Saracco, su IlSole24Ore del 19 novembre. Lo stesso fa ora Remo Morzenti Pellegrini, rettore di Bergamo: «Il sottofinanziamento e/o sottodimensionamento delle università italiane è un problema sistemico e non riconducibile alla sterile dicotomia Nord-Sud. E non ha fatto altro che accentuare le diseguaglianze e le disparità che esistono all’interno del Paese. Sia al Nord sia al Sud - spiega - esistono università sottofinanziate e sottodimensionate e quindi squilibri a dir poco di sistema». A suo giudizio, aumentare il fondo perequativo - che attualmente garantisce che ogni ateneo non perda più del 2% e non guadagni più del 3% rispetto all’anno prima - «non è la soluzione del problema, perché a risorse invariate le ridistribuisce comunque all’interno del sistema». A risorse invariate, infatti, dare tout court di più al Sud significherebbe sottrarre al Nord. Morzenti Pellegrini, che è anche presidente del Comitato regionale di coordinamento delle università lombarde, suggerisce di «utilizzare il rapporto esistente negli atenei, oggettivo e semplice da verificare, tra docenti/studenti/personale tecnico-amministrativo oltre al costo Ffo/studente». Altrimenti - dice - «il rischio reiteratamente distorsivo è quello di continuare a finanziare atenei che non possono crescere e rallentare quelli che possono farlo». (F: E. Bruno, S24 25.11.19)



FINANZIAMENTO DELLA RICERCA ITALIANA

A febbraio il rapporto dell’Associazione Coscioni ha dimostrato che il nostro paese persiste a finanziare poco la ricerca, investendo solo l’1,3% del Pil contro il 3% raccomandato dalla Ue. A ottobre la Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia del Cnr ha mostrato come la Spagna abbia conseguito maggiori finanziamenti europei dell’Italia (9,8% contro il nostro 8,1%), nonostante abbia meno ricercatori. Inoltre, per esempio, solo il 7,5% dei nostri progetti viene selezionato per i fondi europei Horizon 2020 rispetto alla media europea del 13%. In pratica per ogni euro che contribuiamo all’Unione Europea per la ricerca ce ne tornano indietro 69 centesimi. È anche una ricerca vecchia, fatta di professori ultra 50enni. Spesso si ricorda che nonostante questi limiti strutturali c’è un “miracolo italiano” per cui produciamo quasi il 5% delle pubblicazioni scientifiche mondiali, con un ranking di qualità apparentemente in netta crescita. Ma proprio quest’anno il dato è stato messo in dubbio: la ricerca italiana sembra impegnata in una corsa a gonfiare il proprio numero di citazioni bibliografiche, che potrebbe falsare le valutazioni basate su questo parametro.

(F: M. Sandal, Wired Next  26.12.19)



IL RUOLO DELLA FORMAZIONE NELLO SVILUPPO ECONOMICO

Il 2008 è  l’anno in cui è stata varata l’infausta legge 13/2008 con un taglio di 1,5 miliardi al fondo di finanziamento dell’università che ha comportato una contrazione del 20% del sistema nazionale universitario e della ricerca. L’Italia dal 2008 in poi è stata tra i pochi paesi a tagliare risorse in istruzione. Questo taglio è andato di pari passo con una crisi economica che ancora perdura così come il nostro paese persiste come fanalino di coda in Europa per la spesa in istruzione rispetto alla spesa pubblica (o al PIL). Nel periodo tra il 2008 e il 2014 l’Italia ha tagliato il 21% della spesa universitaria mentre la Germania l’ha aumentata del 23% e la Francia, che pure non naviga in buone acque, del 4%.

Il quadro generale rimane però quello di comprendere quale sia il ruolo della formazione nello sviluppo economico: alla fine la sottovalutazione politica della ricerca ha questa radice ed è qui che si nasconde il rospo. In genere, però, nel dibattito pubblico (o forse, sarebbe meglio dire, nella propaganda di regime) il problema della mancata crescita è spostato addossando la responsabilità alla formazione, scuola o università che sia, con l’idea che nello stato in cui si trova non sia capace di formare al mondo del lavoro. Da questo approccio segue una involuzione programmata del sistema dell’istruzione che si dovrebbe adeguare a un sistema imprenditoriale (il mondo del lavoro) che richiede sempre meno personale con alta formazione. In questo schema la ricerca perde non solo la sua centralità ed anche il suo senso stesso. Il problema del nostro paese è quello di essere il fanalino di coda nella quota di occupati nei settori ad alta conoscenza, cioè quei settori ad alta intensità tecnologica che rendono possibile lo sviluppo di beni che più difficilmente sono prodotti anche da altri paesi.

Istruzione e sviluppo economico sono due facce della stessa medaglia: questa dovrebbe essere la questione cruciale, il rospo, da mettere al centro dell’agenda politica, che separa due visioni economiche e sociali completamente diverse e che invece continua ad essere assente.

(F: F. Sylos Labini, Roars 27.12.19)



SUL C.D. “PARADOSSO ITALIANO”: MENO FINANZIAMENTI MA BOOM DI CITAZIONI

I ricercatori italiani hanno cominciato ad autocitarsi maggiormente rispetto ai loro colleghi stranieri, cosicché l’Italia ha cominciato a guadagnare posizioni nella classifica citazionale delle nazioni. Lungi dal muovere accuse ai ricercatori italiani, un articolo di Roars rintraccia l’origine di questo cambiamento nell’adattamento dei ricercatori ai criteri di valutazione bibliometrici promossi da Anvur. Essendo divenuto indispensabile avere un certo numero di citazioni per far carriera, i ricercatori si sono adattati, autocitandosi o scambiandosi citazioni. La notizia del doping citazionale italiano ha fatto rapidamente il giro del mondo ed è stata ripresa non solo dai quotidiani nazionali,  incluso il Sole24Ore, ma anche da importanti riviste scientifiche internazionali, quali Nature, Science e Physics Today.

Il dibattito sul “paradosso italiano” (meno finanziamenti ma boom di citazioni) è esploso in seguito alla pubblicazione lo scorso settembre di un articolo di redattori di Roars su PlosOne. Il significato dell’articolo è stato generalmente ben compreso all’estero, dove i commenti si sono concentrati sugli effetti distorsivi dei criteri di valutazione numerici in un ambito così delicato come quello della ricerca scientifica. Esemplare il commento di Le Monde, che ha puntato il dito non tanto sui ricercatori italiani, ma sull’asineria governamentale (“ânerie gouvernementale”) di chi ha concepito e varato regole destinate inevitabilmente a incentivare comportamenti opportunistici. Scelte sbagliate, quelle italiane, che sono frutto di provincialismo e di ritardi scientifico-culturali che, sostiene Roars, traspaiono anche dagli argomenti, tecnicamente inadeguati, usati dall’Anvur.

Il miracolo scientifico italiano è solo un’illusione, dovuta a doping citazionale, così ha scritto Roars in un articolo recentemente apparso su Times Higher Education. Eugenio Bruno, nel suo articolo su IlSole24Ore dello scorso 21 ottobre, dà voce alle obiezioni dell’Anvur. Eppure, la tesi del doping trova conferma proprio nel grafico, di fonte Anvur, che accompagna l’articolo di Bruno. Infatti, nella figura, che è tracciata al netto delle autocitazioni, non si vede traccia dell’impetuosa crescita scientifica italiana che tanto aveva impressionato gli estensori di un rapporto commissionato dal governo britannico. Il sorpasso dell’Italia ai danni del Regno Unito appariva imminente e inevitabile se, come avevano fatto gli esperti di Elsevier, si esaminava il grafico senza depurarlo dalle autocitazioni. (F: A.Baccini, G. DeNicolao, E. Petrovich, Roars 13.01.20)





LAUREE -  DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE



CORSI DI LAUREA DELLE PROFESSIONI SANITARIE. DATI SULL’ACCESSO AI CORSI E PROGRAMMAZIONE POSTI NELL’ A.A. 2019-20.

Continua a crescere (+4,1%) il numero delle domande per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico di Medicina e Chirurgia e di Odontoiatria: da 90.806 dello scorso anno agli attuali 94.499, mentre era stato del +2,4% fra il 2018 e il 2017, da 88.680 a 90.806. Per le Professioni Sanitarie si rileva un aumento dei fabbisogni formativi da parte di tutte le Regioni con +1.698 posti (+7,2%), dai 23.611 dello scorso anno agli attuali 25.509. Aumenta, ma in misura inferiore, anche il fabbisogno da parte delle Categorie, da 27.807 dello scorso anno rispetto agli attuali 28.327 con +1,9%. E’ in aumento anche il potenziale formativo offerto dagli Atenei al Ministero dell’Università, da 26.617 della scorso anno agli attuali 27.478 (+3,2%). Analogo, ma minore (+2,6%) è stato il numero dei posti decretati dal MIUR e messo a bando dalle Università, da 24.681 a 25.328.

Per le Professioni Sanitarie rispetto allo scorso anno i posti a bando sono aumentati del +2,5%, da 24.061 a 25.286 a fronte di un quasi uguale numero di domande con 79.155, determinando una lieve riduzione del rapporto domande/posto (D/P) da 3,2 del 2018 all’attuale 3,1. Un più alto e significativo aumento dell’offerta formativa riguarda invece Medicina e Chirurgia (+16,9%), da 9.779 dello scorso anno agli attuali 11.434 posti. (F: Report Mastrillo dicembre 19)



LAUREATI. UN MILIONE NECESSARI NEI PROSSIMI CINQUE ANNI, MA DAGLI ATENEI NE USCIRANNO CENTOMILA IN MENO

Alcuni numeri del nuovo rapporto Excelsior sui fabbisogni occupazionali 2019-2023 di Unioncamere. Nei prossimi 5 anni il mercato del lavoro italiano nel suo complesso (imprese private più pubblica amministrazione) avrà bisogno di un milione di laureati ma i nostri atenei ne licenzieranno circa centomila in meno. Se alla scarsa offerta di laureati (l’Italia è penultima in Europa per giovani laureati) si aggiunge il forte disallineamento fra i percorsi di studio scelti e le richieste del mercato del lavoro, il dato diventa allarmante: mentre infatti ci saranno fin troppi laureati in discipline politico-sociali, umanistiche e psicologiche, non solo gli ospedali faranno sempre più fatica ad approvvigionarsi di medici (il buco previsto oscilla fra 60-70 mila posti) ma mancheranno anche ingegneri, architetti, manager, scienziati, statistici e, un po’ a sorpresa, i laureati in giurisprudenza (negli ultimi dieci anni la laurea in legge, tradizionalmente una delle più inflazionate, ha subito un crollo di immatricolazioni che sfiora il 40 per cento).

Il rapporto Excelsior fornisce delle stime sulla domanda di lavoro nei prossimi cinque anni in base a due scenari che dipendono dalle previsioni sulla crescita del Pil e dal tasso di turnover occupazionale. A seconda che la crescita vari fra +0,6% e + 0,9% del Pil, saranno necessari fra i 3 e 3,2 milioni di nuovi occupati, il 60 per cento dei quali fra laureati e diplomati. Ma mentre per i diplomati si profila un eccesso di offerta, i laureati saranno decisamente meno di quelli richiesti, soprattutto in alcuni indirizzi di studio.

L’analisi Excelsior parte dall’ultimo dato disponibile quello del 2017: il numero complessivo di laureati (al netto dei triennali che si iscrivono alla specialistica) è stato di 185.800. Quelli che si stima siano effettivamente entrati sul mercato del lavoro italiano ammontano a circa 163.700; nel quinquennio di previsione (2019-2023) questo valore dovrebbe salire a una media di circa 179.200 unità l’anno a fronte di un fabbisogno medio compreso tra 191.800 e circa 202.700 laureati l’anno (aggravato nel primo triennio dall’effetto Quota100). Si prospetta quindi mediamente un buco fra i 12.000 e 24.000 laureati l’anno, che nel quinquennio equivale a 60.000-120.000 laureati in meno del necessario. Un dato che sarà solo parzialmente corretto dalla disponibilità di un ampio bacino di laureati disoccupati (circa 337 mila) a causa del cronico disallineamento italiano fra titoli di studio richiesti dal mercato e titoli scelti dai giovani. (F: Red.ne Scuola CorSera 28.11.19)




FORMAZIONE MEDICA E NUMERO CHIUSO

Le due principali associazioni europee che si interessano di formazione medica, EJD (European Junior Doctors’ Association) e UEMS (European Union of Medical Specialists) convengono sul fatto che l’apertura libera nell’accesso a Medicina non può garantire un adeguato livello formativo degli studenti, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto pratico, dove tra l’altro in Italia siamo già carenti. Venendo all’Italia, qualora si riuscissero a garantire strutture per l’insegnamento di capienza adeguata e con i necessari supporti tecnologici (perché se la medicina sta cambiando, dobbiamo prevedere che si modifichi anche la metodologia di insegnamento), è necessario garantire anche un tirocinio professionalizzante presso strutture, universitarie e non (visto il possibile decuplicarsi degli aspiranti medici), che sia di livello, con personale formato per l’insegnamento e con il giusto case mix. Altrimenti, rischieremmo di avere più studenti di medicina che posti letto! Altro dato da considerare è la carenza di personale docente di ruolo e ricercatore scientifico nell’area disciplinare di scienze mediche. Il report Anvur 2017 parla di 8.944 unità, con un’età media di 52 anni (fonte: Statistica e Studi MIUR a.a. 2016/17), un numero certamente inferiore rispetto alla necessità di insegnare a un numero elevatissimo di studenti. E poi, quali parametri verrebbero usati per stabilire il superamento o meno dello sbarramento? Spetterebbe ai soli docenti universitari questo arduo compito? Questo tipo di valutazione sarebbe oggettiva o si potrebbe andare incontro ad elevate disparità tra le varie sedi universitarie? Facile immaginare il numero di ricorsi amministrativi a tribunali che hanno già dimostrato un’elevata propensione ad accoglierli. In Italia oggi mancano i medici specialisti perché da anni non sono finanziati in maniera adeguata i contratti di specializzazione e nemmeno sono recuperati annualmente quelli non assegnati per rinuncia o trasferimento dei vincitori, mentre allo stato attuale i laureati in medicina e chirurgia sono in numero superiore rispetto alla media europea! (F: A. Spedicato, P. Di Silverio, Anaao 01.10.19)



FARMACIA. UN DDL PER INTRODURRE IL NUMERO CHIUSO

In effetti, se per i medici una volta c'era il problema della pletora, erano "troppi", e ora c'è quello opposto degli esodi, per via dell'elevata età media dei professionisti, per i farmacisti c'è un problema contrario, con 13 mila disoccupati su 100 mila iscritti agli ordini, ai quali, al tasso di 4.700 laureati in Farmacia e Chimica tecnica farmaceutica di cui 4.000 si iscrivono all'Ordine, si potrebbero aggiungere in un decennio migliaia di altri che non trovano lavoro. Professionisti che non sono assorbiti dal turnover fisiologico, anche in considerazione del fatto che l'età media degli occupati è relativamente giovane. Di qui la richiesta di introdurre in una fase transitoria il numero programmato a livello nazionale. Ma è proprio necessario riproporre i quiz, sebbene posticipati, anziché abolirli visto che sono la pietra dello scandalo? «Per me - dice Andrea Mandelli (presentatore del DDL S-1558 in "visione" dalla scorsa primavera in commissione cultura alla Camera) - si potrebbero anche abolire. O più propriamente, nel disegno di legge miriamo a introdurre una selezione oggettiva per crediti e media voti al termine del 1° anno. Nulla osta a che tale valutazione sia supportata pure dall'esito di un test a quiz, l'importante è non laureare giovani che non trovino sbocchi per colpe non loro». (F: farmacista33 04.12.19)



I TITOLI DÌ STUDIO PIÙ RICHIESTI SULLA BASE DEL FABBISOGNO TOTALE 2019-2023 (Fonte Orbe Italia)

Medico - sanitario (da 171.400 a 175.800 unità)

Economico (da 151.800 a 162.200 unità)

Ingegneria (da 126.800 a 136.400 unità)

Giuridico (da 98.000 a 102.900 unità)

Insegnamento e formazione (da 91.900 a 96.800 unità)

Politico - sociale (da 59.600 a 62.900 unità)

Letterario (da 56.100 a 60.000 unità)

Architettura (da 56.000 a 59.400 unità)

Linguistico (da 34.000 a  36.800 unità)

Scientifico, matematico e fisico (da 28.900 a 30.600 unità)

Psicologico (da 25.600 a 27.000 unità)

Chimico - farmaceutico (da 24.900 a 26.600 unità)

Geo-biologico e biotecnologico (da 15.200 a 16.500  unità)

Agroalimentare (da 12.300 a 13.100 unità)

Statistico (da 6.500 a 6.800 unità).



LAUREATI. ESPATRI IN AUMENTO

Nel decennio 1999-2008 gli italiani che hanno trasferito la residenza all’estero sono stati complessivamente 428 mila a fronte di 380 mila rimpatri, con un saldo negativo di 48 mila unità. Dal 2009 al 2018 si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni per l’estero e una riduzione dei rientri (complessivamente 816 mila espatri e 333 mila rimpatri): di conseguenza, i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani, soprattutto a partire dal 2015, sono stati in media negativi per 70 mila unità l’anno. Significativi anche i dati sui laureati che lasciano il nostro Paese: in dieci anni sono stati 182 mila. Solo nell’ultimo anno hanno fatto la valigia 29 mila persone con un aumento del 6% che sale addirittura al 45% se si considerano gli ultimi 5 anni.

Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2018 più della metà dei cittadini italiani che si sono trasferiti all’estero (53%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto: si tratta di circa 33 mila diplomati e 29 mila laureati. Rispetto all’anno precedente le numerosità dei diplomati e laureati emigrati sono in aumento (rispettivamente +1% e +6%). L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con titolo di studio medio-alto crescono del 45%.

Quasi tre cittadini italiani su quattro trasferitisi all’estero hanno 25 anni o più: sono poco più di 84 mila (72% del totale degli espatriati); di essi 27 mila (32%) sono in possesso di almeno la laurea.

(F: HuffPost 16.12.19)



CORSI UNIVERSITARI IN LINGUA INGLESE. SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

Con la sentenza dell’11 novembre 2019, n. 7694, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha stabilito che a seguito della decisione della Corte Costituzionale, 24 febbraio 2017, n. 42, non è illegittima la scelta dell’ateneo di mantenere corsi in lingua inglese, laddove risulti la sussistenza di un numero adeguato di corsi di lingua italiana che faccia emergere come sia stata effettuata una scelta amministrativa che rappresenta l’esito di un proporzionato bilanciamento di interessi, di rilevanza costituzionale, sottesi alle esigenze di internazionalizzazione dell’offerta formativa e a quelle di dare la giusta rilevanza alla lingua italiana. (F: Osserv. univ. 21.12.19)



GLI ORDINI PROFESSIONALI E LA RAPPRESENTANZA USURPATA

L’Ordine è un Ente Pubblico al quale tutti i professionisti che vogliono esercitare la professione sono obbligati ad iscriversi, e l’obbligatorietà dell’iscrizione è la negazione di un fondamento democratico della rappresentanza, ovvero la volontarietà di adesione.

Nessun Ordine ha quindi la rappresentanza dei propri iscritti proprio perché l’iscrizione è obbligatoria e non volontaria, così come, ad esempio, la Camera di Commercio non ha, né può avere la rappresentanza dei commercianti, degli industriali, delle imprese, degli artigiani o degli agricoltori che competono invece alle sole associazioni di categoria.

Ne consegue che gli Ordini professionali, ai quali sono peraltro iscritti anche i professori universitari, i dipendenti pubblici o privati, e persino i colleghi che non esercitano la libera professione, e meno che mai la RTP (Rete delle Professioni Tecniche) o la Fondazione Inarcassa, per gli stessi motivi, non possono e non devono svolgere ruoli di rappresentanza né attività sindacali.

Per tali ragioni non è più rinviabile una seria riforma del sistema ordinistico italiano, finalizzata ad un suo radicale cambiamento, che consenta finalmente agli architetti e agli ingegneri italiani di organizzarsi in libere associazioni (sul modello anglosassone), che siano gli unici soggetti legittimati a rappresentare le istanze degli associati che esercitano la professione ai tavoli di contrattazione o di concertazione con gli interlocutori politici ed istituzionali di vario livello. (F: G. Maussier, lavoripubblici.it 27.12.19)



LE ACCADEMIE DI BELLE ARTI NON POSSONO PIÙ ATTENDERE. DEVONO ESSERE VALORIZZATE PER CIÒ CHE SONO: ISTITUTI DI RICERCA, SPERIMENTAZIONE E PRODUZIONE ARTISTICA E CULTURALE

In seguito alla riforma avviata dal “Processo di Bologna” (1999), in Europa le Accademie di Belle Arti, Danza, Arte drammatica e i Conservatori, hanno assunto lo status di Istituzioni di Alta Formazione di livello universitario. La legge 508/99 ha riformato il settore artistico-musicale, recependo il dettato costituzionale che prevede all’articolo 33 il sistema della formazione artistica parallelo al sistema universitario.

Sono attive in tutte le istituzioni AFAM iniziative sperimentali che ampliano la tradizionale offerta formativa e che consentono agli studenti di conseguire diplomi accademici di primo e di secondo livello. Nei corsi sperimentali viene generalmente utilizzato un sistema di crediti formativi basato sul Sistema europeo di accumulazione e trasferimento dei crediti (ECTS): 180 crediti per il triennio di I livello e 120 crediti per il biennio di II livello.

Complessivamente le istituzioni AFAM contano circa 70.000 studenti iscritti, tra cui una significativa quota di studenti stranieri (7,5%), 8.500 docenti e 2.300 non docenti. La mobilità internazionale è storicamente molto sviluppata presso le Accademie di belle arti, e dal 2000, grazie alla legge di riforma, anche l’Accademia nazionale di danza, i Conservatori di musica e gli Istituti musicali pareggiati possono partecipare ai programmi europei per la mobilità di studenti e docenti. Il sistema AFAM è composto complessivamente da 145 istituzioni, di cui 82 statali e 63 non statali e, precisamente, da: 20 Accademie di belle arti statali; un’Accademia nazionale d’arte drammatica; un’Accademia nazionale di danza; 55 Conservatori di musica statali; 18 ex Istituti musicali pareggiati; 5 Istituti superiori per le Industrie Artistiche; 18 Accademie di belle arti legalmente riconosciute, tra cui le 5 storiche di Genova, Verona, Perugia, Bergamo, Ravenna; 27 altri Istituti autorizzati a rilasciare titoli con valore legale.

Se oggi è possibile in Italia laurearsi (3+2 o 5), prendere un Dottorato di Ricerca, essere un Professore Ordinario o un Professore Associato o un Ricercatore, dalla Biologia all’Educazione Fisica, deve essere possibile farlo anche in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo, in Progettazione e Arti Applicate, in Didattica dell’Arte. (F: artribune.com 04.01.20)





RECLUTAMENTO



RECLUTAMENTO DEGLI INSEGNANTI. LA SOLITA SANATORIA PER NON ABILITATI

Gli altri Paesi europei (Inghilterra, Spagna, Germania, per citarne alcuni) hanno un sistema abilitante stabile e definito, in cui ogni anno sono banditi corsi post lauream di durata semestrale o annuale nei quali si seguono lezioni di psicologia, didattica e pedagogia. Questi percorsi sono selettivi in itinere e quindi in uscita. Al termine, gli abilitati svolgono un anno di prova in una scuola per ottenere il ruolo: concluso anche questo anno, il loro operato è giudicato da una commissione e ricevono un’ulteriore valutazione (con relativo punteggio che contempla anche la bocciatura) tramite una lezione simulata. Questi Paesi si trovano così con insegnanti davvero formati, che hanno seguito un percorso preciso, sempre uguale per tutti, e un’esperienza didattica guidata. Insegnanti abili e abilitati prima di entrare in classe, e non dopo avervi trascorso anni. Professionisti che non sono giudicati idonei a insegnare in base alla “stagionatura” del proprio precariato (24, 36, 48 mesi…) o alla capacità (e fortuna) di rispondere in maniera “esatta” (come diceva Mike Bongiorno) a dei quiz (in un Paese normale, specie se vige il valore legale del titolo di studio, le nozioni sulle materie si immagina siano certificate dal possesso della Laurea).

In questo scenario, come se non bastasse, ogni triennio masse di persone continuano ad essere immesse, senza alcun discrimine, in quell’ammortizzatore sociale (tanto deprecato ma quanto comodo!) che è la terza fascia degli Istituti scolastici. E sono proprio questi docenti, non abilitati e inesperti, a reggere in effetti il sistema, mentre “maturano” esperienza “sul campo”, ovvero sperimentando sugli studenti, equiparati di fatto a mere cavie. Bisognerebbe smettere di operare in questo modo e sarebbe, viceversa, il caso di guardare all’estero non solo per salutare i cervelli in fuga e per importare format televisivi, ma anche per recepire sistemi formativi e di reclutamento evidentemente più efficaci del nostro. (F: M. Della Corte, scuolainforma.it 14.12.19)





RETRIBUZIONI



IL GIUDICE AMMINISTRATIVO SUI BLOCCHI STIPENDIALI. NIENTE SUCCESSIVI RECUPERI

Con sentenza del 6 dicembre 2019, n. 1672, il TAR Toscana, Firenze, Sez. I, si è pronunciato in tema di blocchi stipendiali, precisando che l’art. 9, comma 21, d.l.  31 maggio 2010, n. 78, prevede che i meccanismi di adeguamento retributivo bloccati negli anni 2011, 2012 e 2013 (e, per effetto di proroghe ex lege, 2014 e 2015) non danno luogo a successivi recuperi, atteso che l’intento del legislatore è stato quello di evitare che il risparmio della spesa pubblica derivante dal blocco temporaneo potesse essere vanificato in futuro computando gli elementi retributivi, che sarebbero spettati nel quinquennio, nel trattamento economico successivo. (F: Osservatorio università 21.12.19)



SENTENZA DEL TAR DEL FRIULI VENEZIA GIULIA SU RETRIBUZIONI DEI MEDICI OSPEDALIERI

Il  Protocollo Regione-Università è pregiudizievole per i medici ospedalieri laddove «non prevede ... che il trattamento accessorio spettante ai professori e ai ricercatori universitari che svolgono attività assistenziale presso le aziende sanitarie universitarie integrate e gli altri enti del Ssr gravi esclusivamente a carico dei bilanci aziendali». La sua «imprecisa formulazione comporta l'effettivo e concreto rischio che la relativa spesa vada ad incidere, decurtandole, sulle risorse destinate esclusivamente al finanziamento» del trattamento economico degli ospedalieri. La sentenza sancisce che gli universitari vanno pagati a carico del bilancio aziendale, mentre gli ospedalieri per la parte variabile possono contare su fondi ad hoc costituiti per loro, che sono i fondi di posizione, di risultato (legato agli obiettivi) e quello cosiddetto di disagio, in cui rientrano il pagamento di straordinari e varie indennità. (F: C. De Mori, ilgazzettino.it 05.01.20)



DISPARITÀ DI TRATTAMENTO TRA RICERCATORI DI TIPO B

La legge 240/10 all’art. 24 c.8 consente a tutti gli Atenei di aumentare fino al 30% il trattamento economico dei ricercatori RTDb rispetto a quanto percepito dai ricercatori RTDa. Invece, le Leggi di Bilancio del 16, 18 e 19 hanno previsto un piano straordinario con finanziamento a ricercatore, pari a un incremento stipendiale obbligatorio pari al 20%. In questo suddetto quadro normativo, le università si trovano divise in università che hanno corrisposto l’aumento a tutti gli RTDb e università che hanno corrisposto l’aumento del 20% solo agli RTDb assunti sul piano straordinario, provocando una discriminazione economica tra RTDb sia tra atenei diversi sia all’interno dello stesso ateneo. Ci si ritrova pertanto nella paradossale situazione in cui vi sono atenei e dipartimenti in cui esistono ricercatori di tipo B che, che pur avendo la medesima qualifica professionale, svolgendo la stessa mansione e impegnandosi nel medesimo carico didattico, ricevono uno stipendio inferiore ai colleghi della scrivania accanto, “economicamente privilegiati” perché reclutati su piano di reclutamento straordinario. (F: Change.org 15.01.20)





RICERCA



RICERCA SCIENTIFICA. NORMATIVA NAZIONALE PRIVACY TROPPO RESTRITTIVA RISPETTO ALLA NORMATIVA EUROPEA

Il trattamento di dati particolari ai fini di ricerca scientifica trova la sua disciplina sia nel Regolamento UE n. 679/2016, (GDPR), sia nella normativa nazionale. Tuttavia, la disciplina nazionale pare molto più limitante e stringente rispetto a quanto previsto dal GDPR, deprimendo, di conseguenza, la possibilità per gli enti di ricerca di procedere a una maggiore condivisione delle banche dati, comprimendo l’attività di ricerca a livello nazionale e svilendo anche il benefico intento del GDPR di alleggerire gli obblighi di riservatezza in caso di ricerca scientifica, sul presupposto della prevalente utilità ed interesse della stessa rispetto al diritto alla riservatezza. Alla luce dell’esame dei vincoli normativi locali (in particolare, le limitazioni poste alla comunicazione, alla diffusione o, ancora, alla conservazione del dato), pare desumersi una chiusura del legislatore nazionale alla ricerca scientifica, in favore – al contrario – di una maggiore salvaguardia del diritto alla riservatezza degli interessati. Ciò, purtroppo, contrasta con la possibilità, tanto agognata dagli enti di ricerca, di procedere alla maggior libera condivisione delle banche dati. Prassi che si fonda sul fatto che la banca dati raccolta per un determinato progetto (in particolare, per quanto concerne il trattamento di dati genetici), costituisca un patrimonio prezioso per il centro di ricerca che dovrebbe essere messo in grado, anche normativamente, di poterla sfruttare per futuri e ulteriori progetti di ricerca non affini a quello originario.E ancora, si comprime in ultimo quella che è la portata dell’attività di ricerca scientifica nazionale, con conseguente graduale fuga degli investimenti in materia. (F: S. Gianvecchio, N. Martini, agendadigitale.eu 14.01.20)



LINEE GUIDA DELLA VQR. ANALISI DEL CUN

Il CUN chiedeva che, analogamente a quanto già avvenuto nei precedenti esercizi della VQR, fosse prevista una fase di consultazione sulla proposta del bando ANVUR prima della sua emanazione. Ma la richiesta del CUN è rimasta inascoltata. ANVUR ha emanato un bando VQR fatto e finito, senza fase di consultazione (a pensar male, scrive Roars, perché ben quattro consiglieri, in scadenza a primi di gennaio, avrebbero perso il “privilegio” di esser loro a dettare le regole della prossima valutazione nazionale). In attesa che il CUN commenti anche il bando, la sua analisi delle linee guida rileva: l’assenza di confronto con gli attori del sistema universitario e i loro rappresentanti nella stesura del DM; inoltre un’applicazione puntuale e stringente delle norme sull’open access potrebbe condizionare indebitamente la selezione dei prodotti della ricerca che dovrebbe essere ispirata esclusivamente a criteri qualitativi; la norma sugli “autori multipli”, se venisse applicata ad aree non omogenee dal punto di vista delle caratteristiche di pubblicazione, introdurrebbe distorsioni nella selezione dei prodotti della ricerca e limiterebbe in prospettiva la futura ricerca multidisciplinare e lo sviluppo di collaborazioni. Il CUN rimarca anche che i requisiti per la selezione dei GEV appaiono eccessivamente bassi e insufficienti a garantire l’elevata qualificazione richiesta. (F: Red.ne Roars 09.01.20)



LA VQR3 E LA BIBLIOMETRIA AUTOMATICA

Il bando VQR3 2015-2019 scritto dall’ANVUR sembra scritto ad arte, sostiene Roars, per consentire l’uso della bibliometria automatica e delle liste di riviste. Tra tutti gli scenari possibili quello peggiore è che la VQR sia usata come pretesto per sdoganare l’uso indiscriminato di CRUI-UNIBAS, un software che sforna valutazioni basate sulla bibliometria fai-da-te anvuriana, sviluppato dall’Università della Basilicata e che la CRUI distribuisce agli atenei italiani: agganci bibliometrici già pronti, classificazione delle riviste pronta. Si tratta di una valutazione automatizzata dei ricercatori, in completa contraddizione con le raccomandazioni internazionali, che da anni suonano l’allarme sui danni che derivano dall’uso indiscriminato delle metriche quantitative. Danni che sono già finiti sotto i riflettori della comunità scientifica internazionale, impressionata dall’incremento del doping citazionale messo in atto dai ricercatori italiani. Se gli articoli di Nature, Science, Times Higher Education e Le Monde rendono difficile difendere la “virata bibliometrica” come scelta politica, essa potrebbe però essere giustificata come una necessità dettata dalla mancanza di fondi. Eppure, bastano due conti per verificare che il vincolo di bilancio sarebbe un falso pretesto. A fronte di una VQR3 che le costerà circa €11,1 milioni, ANVUR ha già in bilancio un tesoretto di €17,5 milioni, di cui €10 milioni sono accantonati proprio per la VQR. (F: Red.ne Roars 16.01.20)



AGENZIA NAZIONALE DELLA RICERCA. 5.026 PROFESSORI E RICERCATORI DI 77 UNIVERSITÀ ED EPR CHIEDONO DI RITIRARE IL PROVVEDIMENTO DI ISTITUZIONE. Il PARERE DEL CAPO DIPARTIMENTO MIUR

La futura Agenzia nazionale della ricerca (ANR) è una nuova realtà che dovrebbe servire a promuovere, coordinare e finanziare i progetti dei vari enti di ricerca italiani con una dotazione - a regime - di 300 milioni l’anno. A differenza di analoghe strutture europee, a stringere e allargare i cordoni della borsa non sarebbe incaricato un comitato scientifico formato da ricercatori di chiara fama anche internazionali, ma un direttivo di nove membri, 6 dei quali di nomina governativa. Nel frattempo il Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria, coordinato dal professor Carlo Ferraro, già docente del Politecnico di Torino, ha deciso di promuovere un «Appello per la Ricerca Italiana» che, nei 3 giorni di diffusione utili per firmarlo, è stato sottoscritto da 5.026 Professori e Ricercatori di 77 Università ed Enti Pubblici di Ricerca Italiani. A preoccupare i firmatari è il rischio che l’Agenzia promuova solo alcune aree della ricerca applicata, trascurando quella di base che già soffre di un sottofinanziamento cronico. Inoltre nella proposta di istituzione dell’ANR c’è un altro aspetto molto grave, e cioè che l’ANR è essenzialmente di nomina “politica”: infatti il Direttore è scelto dalla Presidenza del Consiglio e altri 5, dei 9 componenti complessivi, sono nominati da vari Ministri. La politica entrerebbe quindi a piè pari nel controllo delle Università e degli Enti di Ricerca, in dispregio dell’art. 33 della Costituzione. Di qui la richiesta di ritirare il provvedimento.

“L’articolo 28 che prevede l’istituzione dell’Agenzia, se non ulteriormente precisato, rischia da un lato di comprimere il principio costituzionale della libertà della ricerca interferendo sulla autonomia e autogoverno delle Università e degli Enti pubblici […] Dall’altro lato, la norma interviene introducendo meccanismi di sovrapposizione con le competenze ministeriali.“. “La disposizione [l’ articolo 29] come proposta rischia di bloccare per anni le assunzioni di ricercatori e tecnologi“.

 A esprimere questi giudizi sugli articoli della Legge di Bilancio relativi a università e ricerca è stato il Capo Dipartimento Miur Giuseppe Valditara. (F: CorSera 05.12.19; Roars 13.12.19) )



ANR. ITALY’S PLAN TO CREATE €300-MILLION RESEARCH AGENCY DRAWS FIRE

Italy is a rare example of a major world economy without a research funding agency that operates independently of a science or research ministry. The new ANR (Agenzia Nazionale per la Ricerca), Conte said, would be modelled on science funding agencies in other European countries, which operate under the broad principle that politicians decide how much to allocate for research and have a say in strategic funding priorities. However, politicians do not decide which proposals are funded; nor are they involved in setting criteria for awards, or in evaluation. These tasks need to be performed independently, by subject experts chosen by the research community.

Under a proposal that has been presented to Italy’s parliament as part of the 2020 budget, the ANR will receive €25 million (US$28 million) for 2020, then €200 million for 2021 and €300 million annually from 2022. These are small sums by the standards of similar-sized economies, but it’s a start. The ANR will coordinate research at universities and public research institutes. It will also fund “highly strategic” projects, and encourage participation in international research initiatives and cooperation with the private sector. But the fine print — or lack of it — is causing concern. The current draft law says that the ANR’s nine-member governing board will be nominated by university presidents, as well as representatives from the prime minister’s office and government ministries. This is an unusually high level of involvement from political representatives, fuelling fears that the agency will come under the influence of politicians. (F: Nature 575, 565, 2019)



I RICERCATORI PIÙ INFLUENTI AL MONDO 2019 SECONDO CLARIVATE ANALYTICS. 81 SONO ITALIANI

Ogni anno, il Web of Science Group identifica i ricercatori più influenti al mondo. I pochi selezionati sono stati citati più frequentemente dai loro pari nell'ultimo decennio. Nel 2019 meno di 6.300, ovvero lo 0,1%, dei ricercatori di tutto il mondo, in 21 campi di ricerca, si sono aggiudicati questa segnalazione esclusiva.

La lista Highly Cited Researchers (HCR) 2019 rappresenta oltre 1.200 istituzioni, in più di 60 Paesi, e include 23 Nobel - tre dei quali hanno ricevuto il premio nel 2019.

Risultati HCR Italia: • Il numero di HCR è sceso da 92 nel 2018 a 81 nel 2019. (V. Tabella)

(F: https://clarivate.libguides.com/italia)



Tabella. Numero di ricercatori Highly Cited 2014-2019 nelle prime 20 istituzioni di ricerca italiane.





SECONDO I ‘TOP SCIENTISTS’ DI PLOS BIOLOGY LA RICERCA GASTROENTEROLOGICA ITALIANA ECCELLENZA MONDIALE

Un recente studio (PLOS Biology, August 12, 2019*) condotto in collaborazione tra diversi centri di ricerca statunitensi, tra cui l’università di Stanford (USA) e la Research Intelligence olandese, ha dato i voti ai ricercatori di tutto il mondo suddivisi in 22 settori e 176 sottosettori. Gli autori dello studio hanno preso in considerazione una serie di parametri tra cui il numero e la qualità delle citazioni, le autocitazioni, la posizione tra i co-autori di un articolo scientifico. Dalle più diffuse banche dati (tra cui Scopus e Google Scolar), sono stati analizzati gli articoli scientifici di milioni di ricercatori di tutto il mondo classificati per la produzione scientifica degli ultimi 20 anni e dell’anno 2017. Da questa analisi emerge come sono tantissimi i ricercatori italiani che occupano posizioni di prestigio nella classifica dei ‘Top-Scientists’ e tra questi i ricercatori di medicina.

In particolare compaiono nell’elenco ben 27 gastroenterologi e la gastroenterologia italiana emerge tra le discipline mediche come una di quelle con il più alto numero di presenze tra i Top-ricercatori mondiali. (F: M. Cavalieri, lecodelsud 24.11.19)



IL RECLUTAMENTO DEI RICERCATORI A TEMPO DETERMINATO TIPO A

Tra tutte le aree CUN, sono le due relative a ingegneria (08 e 09) a contenere, da sole, circa il 22% del totale dei 10.160 RTDa fino ad oggi reclutati. A fronte di tale costante crescita del numero di nuovi RTDa, però, non è corrisposto un equivalente effetto di incardinamento in ruoli stabili (includendo anche quella di RTD di tipo “b”), tant’è che il numero totale di RTDa in servizio è salito dai circa tremila del 2014 ai quasi cinquemila attuali, corrispondenti a poco meno del 10% dei 55mila docenti e ricercatori che al momento costituiscono il sistema universitario italiano. Limitando lo studio ai soli 3.745 RTD assunti fino all’anno 2013 incluso, la percentuale di “stabilizzazione” (il cui valore medio nazionale è 59,2%) è piuttosto uniforme: il minimo si riscontra al Centro, con un 52,3% nel quale in questo studio sono inserite la maggior parte delle università telematiche, mentre il Nord (64,6%) e il Sud (65,9%) sostanzialmente si equivalgono e le Isole si attestano attorno alla media (59,1%).Una recente proposta CUN mira a introdurre la figura del “Ricercatore post-Dottorato”, priva di obblighi di didattica e con una rinnovabilità per un massimo totale di sei anni (dei quali non più di tre nella stessa sede), alla quale seguirebbe la figura di “Professore Junior” in tenure track con accesso a PA dopo altri 3 anni (prorogabili a 5) a seguito di conseguimento dell’ASN. Staremo a vedere se questa possibile riforma sarà in grado di assicurare un accesso stabile nel sistema universitario, o se condurrà ad un’ulteriore precarizzazione del mondo della ricerca. (F: A. Ventura, Roars 27.11.19)



HYPERAUTHORSHIP. I LAVORI CON PIÙ DI 1000 AUTORI RADDOPPIATI IN CINQUE ANNI

Martin Szomszor e i suoi colleghi dell’Institute for Scientific Information (Isi) hanno analizzato gli articoli contenuti nel database Web of Science (Wos) constatando che negli ultimi 5 anni il numero dei paper con più di 1000 autori o che coinvolgono più di 100 Paesi è più che raddoppiato rispetto al lustro precedente. Se tra il 2009 e il 2013 erano 573, tra il 2014 e il 2018 se ne contano 1.315.

A stupire gli analisti dell’Isi non è solo l’impennata dell’hyperauthorship, ma anche il fatto che tali articoli di massa siano pubblicati con maggiore frequenza. Tra il 2009 e il 2013, nel Wos era indicizzato un solo manoscritto redatto da ricercatori di oltre 60 Paesi, nei cinque anni successivi ce ne sono stati 49, e quasi due terzi di questi avevano autori provenienti da oltre 80 nazioni.

Per Szomszor e diversi altri esponenti del mondo accademico l’hyperauthorship non è un fenomeno negativo, poiché riflette la natura sempre più globale della ricerca in diversi campi. Questa tendenza, inoltre, probabilmente aumenterà nel prossimo futuro. Basta pensare ai temi che dominano la cronaca: cambiamenti climatici, epidemie, cause delle migrazioni dei popoli non rispettano certo i confini nazionali. Ma il timore è quello che l’hyperauthorship finisca col nascondere pratiche non del tutto oneste, come quella di inserire nell’elenco degli autori di un articolo membri del team che in realtà hanno contribuito poco o niente alla specifica ricerca, ma che nella logica del publish or perish (la regola non scritta per cui se uno scienziato non pubblica lavori difficilmente sopravvivrà, lavorativamente parlando) ne traggono vantaggio per le loro carriere e per l’accesso ai finanziamenti. (F: M. Magistroni, Wired 18.12.19)



PRECARI DELL’UNIVERSITÀ DIVERSI DA QUELLI DEGLI EPR NEL DL 126

FlcCgil rileva che gli emendamenti per i lavoratori precari dell’università, diversi nella forma ma coerenti con quelli per gli enti di ricerca, sono stati tutti bocciati e quindi è rimasto immodificato nel passaggio parlamentare l’art. 5 del DL 126 “Semplificazioni in materia universitaria”.

La qualità di questi interventi normativi, per i quali occorre dare merito ad una evidente sensibilità emersa nelle commissioni parlamentari in cui si è svolta la discussione, rendono però del tutto paradossale l’opposto trattamento riservato ai precari dell’università.

Difficile spiegare come sia possibile che gli emendamenti per i lavoratori precari dell’università, diversi nella forma ma coerenti nella sostanza politica con quelli per gli enti pubblici di ricerca, siano stati tutti bocciati e che quindi sia rimasto immodificato nel passaggio parlamentare l’art. 5 del DL 126 “Semplificazioni in materia universitaria”. Vogliamo auspicare che il progetto di legge in via di presentazione riguardante il reclutamento nelle università sia davvero l’occasione aperta al confronto in grado di sanare definitivamente questa disparità di trattamento tra chi fa ricerca negli enti e chi la svolge negli atenei. (F: FlcCgil 21.12.19)



QUASI UNANIME CONTRARIETÀ ALL’USO AUTOMATIZZATO DI INDICATORI BIBLIOMETRICI NELLA VALUTAZIONE DELLA RICERCA

“There is a serious danger that undue emphasis on bibliometric indicators will not only fail to reflect correctly the quality of research, but may also hinder the appreciation of the work of excellent scientists outside the mainstream; it will also tend to promote those who follow current or fashionable research trends, rather than those whose work is highly novel and which might produce completely new directions of scientific research. Moreover, over- reliance on citations as a measure of quality may encourage the formation of aggregates of researchers (or “citation clubs”) who boost each others citation metrics by mutual citation. It thus becomes important to concentrate on better methods of evaluation, which promote good and innovative scientific research. […] Evaluations must be based under all circumstances on expert assessment of scientific content, quality and excellence.”

Una presa di posizione netta, sottoscritta nel 2017 da tre accademie delle scienze: Académie des Sciences, Leopoldina e Royal Society 2017. Da anni, i valutatori di stato italiani e la CRUI si tappano le orecchie, ma sull’inopportunità e i pericoli di un uso automatizzato di indicatori bibliometrici nelle valutazioni individuali dei ricercatori e dei singoli lavori scientifici c’è un consenso pressoché universale, testimoniato da diverse dichiarazioni sottoscritte da autorevoli organismi scientifici, agenzie di valutazione, premi Nobel e così via. Roars ha pubblicato una antologia, necessariamente incompleta, di queste prese di posizione pubbliche, sperando che possa servire da promemoria al neo-Ministro, alla CRUI e anche all’ANVUR, il cui direttivo sarà presto rinnovato per quattro settimi. (F: G. De Nicolao, Roars 17.01.20)



CON IL TITOLO “UN SISTEMA DI VALUTAZIONE DA RIFARE. FERMIAMO LA VQR 2015/2019” LA FLC CGIL CRITICA METODI E FINALITÀ DEL SISTEMA DI VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLA RICERCA

In quest’ultimo decennio, dopo l’approvazione della cosiddetta Legge Gelmini, il MIUR e l’ANVUR hanno sviluppato un complicato sistema di valutazione che ha inciso sulla vita quotidiana delle università. Questa valutazione ha infatti contribuito significativamente alla progressiva divergenza tra gli atenei distribuendo su base premiale una quota crescente di risorse (nel Fondo di Finanziamento Ordinario come nei piani straordinari di reclutamento). Tutto ciò ha gravemente distorto la libera attività di ricerca, determinando sperequazioni insormontabili tra i diversi gruppi di ricerca e le differenti aree scientifiche; ha imposto una logica da publish or perish che è andata deprimendo la qualità delle pubblicazioni scientifiche a favore della quantità; ha diffuso nella comunità accademica prassi opportuniste, come recentemente evidenziato dalle discussioni sulle cosiddette autocitazioni nazionali. In ultimo, la rilevazione capillare di dati e parametri ha spostato una parte sempre più rilevante di lavoro e di impegno di docenti e uffici, in una crescente deriva burocratica. (21.01.20). E questo è solo l’inizio. Vedi il seguito sul Tweet:

Un sistema di valutazione da rifare. Fermiamo la VQR 2015/2019 http://www.flcgil.it/universita/un-sistema-di-valutazione-da-rifare-fermiamo-la-vqr-2015-2019.flc





SISTEMA UNIVERSITARIO



SISTEMI UNIVERSITARI E SVILUPPO SOCIOECONOMICO

Il ruolo dei sistemi universitari nelle società contemporanee è più che mai determinante. Le università sono considerate istituzioni capaci di favorire la crescita economica, migliorare la produttività, ridurre l’ineguaglianza sociale e favorire l’innovazione nei territori in cui operano. I dati Ocse (Education at a Glance) mostrano che in media, tra il 2010 e il 2016, i paesi hanno ridotto del 4,5 per cento i fondi destinati all’educazione terziaria, mentre in Europa la riduzione media è addirittura dell’11 per cento (Paesi Ue 23). In un recente studio sono state stimate le relazioni tra i risultati e le determinanti dei sistemi universitari di 29 paesi europei, dal 2000 al 2014. L’analisi si basa su un quadro teorico ed empirico in cui abbiamo associato diversi indicatori di misura alle performance dei sistemi universitari e ai relativi fattori determinanti. I risultati, stimati attraverso un approccio statistico (metodologia Structural Equation Modelling), hanno permesso di formulare alcune osservazioni sui fattori associati alle performance dei sistemi universitari.

In primo luogo, le stime rivelano che i risultati associati all’insegnamento, misurati in termini di tasso di conseguimento della laurea (graduation rate), influenzano in modo trascurabile le performance in ricerca e terza missione. In altre parole, i sistemi universitari con le migliori percentuali di laureati non sono necessariamente quelli con le migliori prestazioni in ricerca e in trasferimento tecnologico. Il risultato mette in luce la necessità di operare attraverso politiche mirate, orientate a migliorare le performance di una specifica attività universitaria.

La seconda osservazione che emerge dallo studio si riferisce all’effetto delle risorse finanziarie. Benché il livello di finanziamenti pubblici alle università sia un elemento rilevante, le stime mostrano effetti quantitativamente limitati. Elevati finanziamenti pubblici favoriscono in modo significativo l’accesso ai sistemi universitari (in termini di numero di studenti), ma non garantiscono necessariamente il raggiungimento di performance eccellenti, soprattutto nell’ambito della qualità della ricerca. I sistemi universitari hanno dunque la necessità di sviluppare competenze e strumenti per poter tradurre efficacemente le risorse in risultati.

In questo contesto, lo sviluppo socioeconomico del paese emerge come principale determinante. I sistemi universitari che ottengono i migliori risultati sono associati a un elevato sviluppo socioeconomico, non solo in termini di Pil pro capite, ma anche in termini d’innovazione e mercato del lavoro. (F: T. Agasisti e A. Bertoletti, lavoce.info 09.01.20)



UNIVERSITÀ. COME SI SONO EVOLUTE

Tra statali e privati, l’Italia annovera 98 atenei universitari sparsi su tutto il territorio nazionale. In ogni regione italiana è presente almeno un’università, ma ve ne sono alcune – come la Lombardia e il Lazio – che ne contano più di dieci ciascuna. Dei 67 atenei statali, 8 hanno sede in Lombardia, 7 in Toscana e 6 in Lazio e Campania. Dei 31 istituti privati, invece, quasi due terzi sono concentrati nel Lazio (13) e in Lombardia (7).

Alcuni atenei presentano delle peculiarità che li differenziano da quelli “classici”: tra le 67 università pubbliche si annoverano infatti tre scuole di formazione dottorale (il Gran Sasso Science Institute, la SISSA di Trieste e l’IMT di Lucca), altre tre scuole superiori universitarie (la Normale e il Sant’Anna a Pisa e lo IUSS a Pavia) e due università per stranieri (a Siena e Perugia). Tra i 31 atenei privati, invece, si contano una sola università per stranieri (a Reggio Calabria) e ben undici università telematiche, di cui più della metà (6) hanno la propria sede centrale nel Lazio.

Scienze mediche (codice 06) è l’area che conta più accademici sia nelle università statali che in quelle private, con 8119 docenti nelle prime e 747 nelle seconde (al 31 dicembre 2018). Nelle università pubbliche il secondo posto spetta a ingegneria industriale e dell’informazione (area 09) con 5359 docenti, mentre la medaglia di bronzo va a scienze biologiche (area 05) con 4552 accademici. A chiudere la classifica delle università statali è il ramo delle scienze della Terra (04) con 1023 tra professori e ricercatori, preceduto da quello delle scienze politiche e sociali (14) con 1465 docenti nelle università statali.

L’assunzione di ricercatori a tempo determinato a partire dal 2005 non è bastata a impedire il sovvertimento della struttura piramidale che contraddistingueva la gerarchia accademica: se nel 2000 i ricercatori totali erano più degli associati, che a loro volta erano più degli ordinari, al 31 dicembre 2018 sono gli associati (19.676) ad essere più numerosi dei ricercatori (18.836). Questi ultimi nel loro complesso sono cresciuti di oltre 6 mila unità dal 2000 al 2012, per poi diminuire e tornare, per via dei tagli che hanno colpito il mondo della ricerca accademica, agli stessi livelli del 2000.

Negli atenei statali le donne rappresentavano il 29% del corpo accademico al 31 dicembre del 2000, mentre 18 anni dopo tale quota è salita al 38,1%. Questa crescita ha riguardato tutte le posizioni accademiche: sempre restando nelle università statali, le ordinarie sono cresciute dal 13,4% al 24%, le associate dal 27,9% al 38,5% e le ricercatrici a tempo indeterminato dal 41,9% al 49,4%.

Evoluzione delle cariche accademiche nelle università statali (2000-2018):

https://app.flourish.studio/visualisation/994323/edit

(F: N. Berti, A. Vernetti, flourish.studio 25.11.19)



DOMANDE DI AMMISSIONE PER L’UNIVERSITÀ

Resta stabile il numero delle domande con 79.294 rispetto alle 79.450 domande dello scorso anno, con appena 156 domande in meno. Si rilevano comunque variazioni significative fra metà delle Università in crescita e l’altra metà in calo.

In aumento Campobasso con +31%, Catanzaro +21%, Chieti +16%, Genova +14%, Salerno +12% e Foggia +11%. A seguire Messina con 8,3%, Perugia 7,4%, Milano Humanitas +6,9%, Pavia +6,6%, Torino +6,2% e Pisa con +6,1%. Quindi con il +4,3 % Siena, poi Milano S. Raffaele + 3,2%, Sassari +3,1%, Verona + 2,5%, Parma +2,4%, Bologna +2,1%, Milano +1,4%, Palermo + 1,3%,Udine + 0,9%, Napoli Federico II +0,7% e infine Modena a Novara con +0,2%.

Al contrario si nota un rilevante calo delle domande per Napoli Vanvitelli con il -28% dalle 2.610 dello scorso anno agli attuali 1.874, 736 in meno. Analogo calo percentuale con -27% per Roma Campus da 536 dello scorso anno alle attuali 392. Seguono con valori percentuali inferiori Catania con -12% e Ancona -11%. Quindi Varese con -8,8%, L’Aquila con -8,1%, Roma Tor Vergata -6,9%, Milano Bicocca -5,6% e Ferrara con - 4,5%. Sotto -3% si trovano Roma Sapienza con -2,9%, Roma Cattolica e Bari con -2,8%, Padova -2,6%, Firenze -2,5%, Trieste -2,2%, Brescia – 1,8% e Cagliari con-1,7%. (F: Report Mastrillo dicembre 19)



D.M. SULLA PROGRAMMAZIONE TRIENNALE DELLE UNIVERSITÀ. NUOVA REDAZIONE   

Il MIUR ha ritirato la precedente versione del Decreto “Linee generali d'indirizzo della programmazione delle università 2019-2021 e indicatori per la valutazione periodica dei risultati“ e ha provveduto a pubblicarne una nuova in data 20 novembre 2019. Roars segnala il testo ai lettori: https://tinyurl.com/yx2ssaa7 (06.12.19)





STUDENTI



PER SUPERARE IL NUMERO CHIUSO A MEDICINA UN DIVERSO TIPO DI SELEZIONE CHE DURA UN ANNO

La questione è al vaglio della VII Commissione e prevede diversi step. Primo fra tutti l’orientamento: va potenziato già a partire dal terzo anno delle superiori. I ragazzi, infatti, potranno usufruire di corsi online con tanto di prova di autovalutazione per avere la piena consapevolezza delle loro capacità. «I corsi online saranno pubblici e gratuiti – spiega Manuel Tuzi, deputato e relatore della riforma in Commissione. Dopo un corso di 100 ore e l’ottenimento dell’attestato di partecipazione attraverso dei moduli di autovalutazione, lo studente accede al primo anno di medicina: un anno di lezioni teoriche, per evitare il sovraffollamento dei laboratori che non potrebbero reggere un elevato numero di studenti, tutte di area medica che terminerà con un test di accesso al secondo anno». La selezione quindi arriva al secondo anno. Il primo anno sarà comune per medicina, odontoiatria, chimica e tecnologie farmaceutiche, farmacia, biologia e biotecnologia. Lo scorso anno gli studenti immatricolati a questi corsi di laurea erano, complessivamente 52mila, quest’anno quasi 55mila. Poi, alla fine del primo anno, avviene la selezione attraverso il raggiungimento di un numero minimo di crediti agli esami e tramite un test cosiddetto “a soglia” per il quale chi ha ottenuto un voto minimo entra sicuramente in una delle facoltà. Il primo classificato ovviamente accede alla facoltà indicata come prima scelta e poi si va a scalare nelle altre. (F: L. Loiacono, Il Messaggero 24.11.19)



ACCESSO A MEDICINA, MODELLO FRANCESE: CHE COS'È E COME FUNZIONA QUESTO ROBUSTO CATENACCIO

Se il test d’ingresso di Medicina - così come lo conosciamo - fosse abolito, e si optasse per il sistema alla francese, non vorrebbe dire che è arrivata la pacchia. Significherebbe invece che il proprio posto in facoltà dovrà essere difeso comunque sul campo di battaglia. In Francia infatti i ragazzi non hanno una vita più semplice: sono previsti 2 concorsi, uno al primo semestre e 1 al secondo semestre, veri e propri test composti di quiz a risposta multipla, corretti con sistemi informatici per evitare favoritismi e irregolarità. La differenza con i test di ingresso italiani è che queste prove in itinere si basano sulle materie studiate durante l’anno. E se va male? Se si cade sulla prova del primo semestre, le università francesi possono reindirizzare al massimo il 15% degli studenti verso altre facoltà. Ma se si è matricole, si può continuare sperando di passare il secondo test, alla fine del secondo semestre. Se invece si è ripetenti, si deve accettare il reindirizzamento e spostarsi di facoltà. Una volta effettuato il passaggio, in entrambi i casi non si potrà riprovare a iscriversi nelle facoltà di area sanitaria e medica. Ma l’odissea non è finita qui! Anche se si riesce a superare il secondo esame di sbarramento, accedono al secondo anno solo coloro che rientrano tra i posti disponibili. Tutti gli esclusi possono scegliere di essere reindirizzati verso altre facoltà o ripetere il primo anno. Ma se saranno di nuovo bocciati, non potranno più reiscriversi. L'Association Nationale des étudiants en médecine de France (ANEMF) sottolinea l'esigenza di rivedere il numerus clausus a Medicina perché non offre equità di accesso al sistema. Infatti, circa l'80% degli studenti vedono sfumare il loro sogno alla fine del primo anno di studi, e sono poi male indirizzati verso corsi di studi alternativi (F: C. Ardizzone, skuola.net 16.10.19)



CAPIRE BENE CHE COSA VORREBBE DIRE COPIARE IL SISTEMA FRANCESE PER ACCEDERE AI CDL SANITARI TIPO PACES

Come una minestra riscaldata torna in questi giorni la proposta di copiare la Francia per gli accessi al corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Proprio quando, ironia della sorte, numerosi protagonisti del mondo della Sanità francese iniziano a mettere in discussione il sistema di selezione e formazione dei futuri medici in patria. In Francia, il giovane studente, aspirante medico, deve affrontare un anno accademico denominato PACES (Première Année Commune des Etudes de Santé) che è comune a 4 corsi di laurea - Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Ostetricia -, seguendo, nel corso dei due semestri, corsi di scienze di base (biologia, fisica, chimica), di scienze mediche (anatomia, istologia, fisica, chimica), di scienze umane e sociali. Al termine del secondo semestre viene svolta la selezione nazionale per l'ingresso nel percorso specifico scelto, che rimane a numero programmato. In media, soltanto il 20% degli studenti che hanno manifestato l'intenzione di dedicarsi agli studi medici riesce ad ottenere l'accesso al secondo anno e dunque ad iniziare il percorso di studi verso la carriera prescelta. Il restante 80% si ritrova ‘malheuresement’ ad aver sprecato tempo ed energie! Qualcuno lo ha definito un bagno di sangue! Una sorta di esame di ammissione prolungato ed estenuante che invece di durare poche ore come in Italia, dura un intero anno.

Nel 2014 in Francia su 58.000 studenti frequentanti il PACES, solo 7.492 sono stati ammessi al secondo anno nel percorso di medicina. Anche l'accesso alle altre 3 facoltà del PACES è limitato dal numero chiuso (nel 2013 i posti riservati per odontoiatria sono stati 1.200, per ostetricia 1.017 e per farmacia 3.095). Giova ricordare che in Italia quest’anno si sono presentati al test di ammissione circa 67.000 studenti per circa 9.770 ammissioni, al netto delle iscrizioni in Università straniere. (F: quotidianosanita.it 01.10.19)



MATRICOLE DIMEZZATE IN 10 ANNI A GIURISPRUDENZA

Secondo l’indagine condotta da Anvur, in un decennio gli iscritti alla facoltà di Giurisprudenza sono quasi dimezzati. L’analisi prende in considerazione il lasso temporale dal 2006 al 2018: gli immatricolati sono passati da 29.000 a 18.000, quindi il 38% in meno. Non solo è calato il numero degli immatricolati, ma anche degli iscritti totali, ciò significa che molti studenti abbandonano il percorso prima della laurea. Sempre tra il 2006 e il 2018 il numero totale degli studenti di Giurisprudenza è sceso di ben 53.000 unità. Le cause sono svariate, in primis la mole di studio e la lunghezza del percorso. A questo si aggiunge anche che, dopo la laurea, per entrare nel mondo del lavoro bisogna aspettare molto tempo: sia per la carriera di avvocato sia di magistrato sia di notaio, sono necessari molti mesi di tirocinio prima di tentare l’esame di abilitazione, il tutto a titolo gratuito o con rimborsi spesa spesso irrisori. (F: Money 19.12.19)



LA SCELTA DELL’UNIVERSITÀ NEI GIOVANI

I giovani di oggi hanno più dubbi su cosa fare dopo la scuola, a partire dalla scelta di iscriversi o non all'università: gli studenti che non intendono iscriversi all'università calano del 5,5% (dall'81,4% del 2018 al 79,9% del 2019). Ma su quali valutazioni si basa la scelta dell'università cui iscriversi? I principali motivi di scelta sono legati agli interessi personali e, in secondo luogo, a una prospettiva occupazionale. Solo il 44% sembra interessato al prestigio dell'università da frequentare. Seguono, nell'ordine, il costo degli studi che preoccupa îl 39%, la vicinanza a casa (22%) e la possibilità di frequentare gli amici (13%). (F: ItaliaOggi 16.01.20)





VARIE



IN ITALIA IL MAGGIOR NUMERO DI NEET SECONDO IL RAPPORTO UNICEF

In Italia la presenza di giovani etichettabili come 'Neet' (Not in education, employment or training), vale a dire che non studiano, non lavorano e non seguono nessun percorso di formazione, vede al primo posto la Sicilia, con un'incidenza del 38,6% della popolazione. A seguire la Calabria (36,2%) e la Campania (35,9%). E' uno dei dati più significativi contenuti nella ricerca di Unicef Italia 'Il silenzio dei Neet. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio', realizzata sugli ultimi dati Istat del 2018, e lanciata nell'ambito del progetto 'Neet Equity', selezionato dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile. La fotografia dei giovani Neet italiani evidenzia una composizione particolare quanto intuibile sotto il profilo dell'età: nel 47% dei casi tra i 25 e i 29 anni, nel 38% tra i 20 e i 24 e il restante 15% nella forchetta 15-19 anni. Interessante inoltre il fatto che la maggior parte di questa tipologia di giovani ha anche conseguito un diploma di scuola secondaria superiore (49%), a fronte di un 40% con un livello di istruzione più basso e addirittura di un 11% di laureati. Nel complesso i Neet - ricorda Unicef Italia nel suo rapporto - nella fascia di età 15-29 anni sono pari a 2.116.000, rappresentando il 23,4% dei giovani della stessa età presenti sul territorio. Nel Nord Italia sono il 15,5%, nel Centro il 19,5% e nel Sud il 34%. Nel confronto con l'Europa, che presenta una media del 12,9%, l'Italia si posiziona al primo posto, seguita dalla Grecia (19,5%), Bulgaria (18,1%), Romania (17%) e Croazia (15,6%). Invece le nazioni con il tasso di neet più contenuto sono i Paesi Bassi (5,7%), la Svezia (7%) e Malta (7,4%). (F: RAINEWS24

10-10-19)



UNO SCORCIO PESSIMISTICO DELL’ARENA ACCADEMICA DOVE SI MUOVONO I GIOVANI

Nell’arena accademica, sempre più plasmata a immagine e somiglianza dei moderni gladiatori, i ricercatori più giovani sono i soggetti più indifesi. Le strette gerarchie di gestione della moderna caserma universitaria tendono a isolare i diversi livelli, interponendo steccati tra docenti e ricercatori di diverso grado e tra studiosi di aree diverse, confinati in compartimenti (dipartimenti) secondo una razionalità d’ispirazione spartana. I giovani sono soggetti alla crescente, ossessiva pressione della produttività: insegnare, pubblicare, vincere borse di studio e bandi di gara per ottenere finanziamenti.

I giovani studiosi hanno poco tempo per socializzare e non hanno modo di sviluppare forme di solidarietà. In perenne lotta per la loro sopravvivenza accademica, all’interno e all’esterno del proprio guscio, sono scoraggiati a intraprendere qualunque iniziativa collegiale, anzi sono spinti a boicottarla appena intravvedono all’orizzonte questo pericolo. Tutto ciò favorisce il controllo da parte dei manager accademici, da un lato, e incoraggia i comportamenti aggressivi, dall’altro. E, nei casi meno nobili, la competizione non si risolve nel migliorare se stessi e i risultati del proprio lavoro, ma ci si dà da fare affinché siano i propri rivali a fallire. (F: R. Rosso, FQ 03.12.19)



L’ART. 71 DELLA LEGGE DI BILANCIO RIPRISTINA L’OBBLIGO PER TUTTA LA PA, IVI INCLUSE UNIVERSITÀ ED ENTI DI RICERCA, AD APPROVVIGIONARSI CON CONSIP

La Legge di bilancio dell’anno scorso aveva consentito agli Enti Pubblici di Ricerca di procedere a nuove assunzioni per mitigare il crescente problema del precariato. Ora che è cambiato il governo, con l’art. 29 vengono imposti stravaganti indicatori per il controllo della spesa per il personale. Un’altra perla è l’art. 72 comma 23 che obbliga tutta la pubblica amministrazione italiana, incluse le università, ma escluse le regioni, al riuso dei sistemi e degli strumenti ICT (Information and Communication Technology). E così i poveri professori e ricercatori italiani saranno obbligati, per legge di bilancio, a telefonare con i vecchi Nokia 3310, a usare Windows95 e a recuperare il glorioso Commodore64. Il capolavoro è il comma 3 dell’art. 71. Con il decreto-legge scuola attualmente in fase di conversione, le università erano state finalmente affrancate dall’obbligo di uso dei bizzarri strumenti del CONSIP, una specie di Amazon di Stato, macchinosa e inusabile, dove si trovano spesso attrezzature di qualità inferiore e a prezzi superiori rispetto a quelle disponibili sul libero mercato. Ma ecco che l’art. 71 ripristina l’obbligo per tutta la PA, ivi incluse università ed enti di ricerca, ad approvvigionarsi con CONSIP. Sembra di essere su Scherzi a Parte. La comunità accademica tutta si chiede accoratamente dove sia il Ministro. Basterebbe poco: un fermo veto agli articoli 28, 29, 71 e 72 ed egli verrebbe acclamato Salvatore della Patria. Ministro, se ci sei batti un colpo! (F: Roars 08.12.19)



NATURE’S 10 HIGHLIGHTS INDIVIDUALS WHO HAD A ROLE IN SOME OF THE YEAR’S MOST SIGNIFICANT MOMENTS IN SCIENCE

Ricardo Galvão: Science defender

As chaos spiked in the Amazon, the physicist became a national hero by challenging Brazil’s government.

Victoria Kaspi: Sky sleuth

An astrophysicist chased mysterious fast radio bursts with an innovative radio telescope.

Nenad Sestan: Brain rebooter

A neuroscientist revived disembodied pig brains and challenged definitions of life and death.

Sandra Díaz: Biodiversity guardian

An ecologist and her colleagues assess Earth’s ecosystems and call for drastic action.

Jean-Jacques Muyembe Tamfum: Ebola fighter

The co-discoverer of Ebola faces his tenth battle with the virus in the DRC — his toughest yet.

Yohannes Haile-Selassie: Origin seeker

A palaeontologist shook up the human family tree with the discovery of a remarkably preserved 3.8-million-year-old skull.

Wendy Rogers: Transplant ethicist

An academic revealed ethical failures in China’s studies on organ transplants.

Hongkui Deng: CRISPR translator

A Chinese scientist shows that CRISPR gene editing can be used safely in adults with HIV.

John Martinis: Quantum builder

A physicist led Google’s first demonstration of a quantum computer that could outperform conventional machines.

Greta Thunberg: Climate catalyst

A Swedish teenager brought climate science to the fore as she channelled her generation’s rage.

(F: Nature Briefing dic. 19)





UNIVERSITÀ IN ITALIA



CA’ FOSCARI VENEZIA. OTTIENE LA “CATTEDRA UNESCO” SU ACQUA, PATRIMONIO E SVILUPPO SOSTENIBILE

L'Unesco ha assegnato all'Università Ca' Foscari Venezia la “Cattedra Unesco” su Acqua, patrimonio e sviluppo sostenibile. L'ateneo entra così nella lista delle quasi 800 Unesco Chairs (30 in Italia) che dal 1992 hanno coinvolto una rete di oltre 700 istituzioni di 116 Paesi del mondo, promuovendo collaborazione e scambio di conoscenza su temi cruciali in campo educativo, scientifico e culturale. La cattedra premia l'attività dei geografi cafoscarini coordinati da Vallerani ed Eriberto Eulisse, direttore della Rete mondiale Unesco dei Musei dell'acqua, sviluppata con il supporto del Programma idrologico internazionale (Unesco-Ihp) e del Centro internazionale civiltà dell'acqua onlus. A collaborare con la nuova cattedra Unesco saranno scienziati e istituti di ricerca riconosciuti dall'Unesco in diverse parti del mondo. Al centro delle attività innovative di formazione e ricerca interdisciplinare promosse dalla nuova cattedra cafoscarina saranno i patrimoni dell'acqua, sia naturali che culturali, sia tangibili che intangibili, allo scopo di approfondire e promuovere i loro legami inscindibili con gli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile. (F: Red.ne Scuola IlSole24Ore 21.01.20)



UNIBO. NEL RANKING GREENMETRIC ANCORA PRIMA IN ITALIA PER SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE (E DODICESIMA AL MONDO)

Per il terzo anno consecutivo, l'università di Bologna è il primo ateneo in Italia per attenzione alla sostenibilità ambientale. A certificarlo è la nuova edizione del ranking GreenMetric, la classifica che valuta le politiche e le azioni green messe in campo dalle università di tutto il mondo. Nell’edizione 2019 del ranking, l'Alma Mater conquista ancora una volta la prima posizione in classifica tra gli atenei italiani, confermando gli esiti del 2017 e del 2018. Ma ancora più rilevante è il posizionamento a livello mondiale. Nella classifica generale, infatti, l’università di Bologna continua la sua ascesa fino a raggiungere il 12° posto (a pari merito con Dublin City University e University of Sussex). Negli ultimi quattro anni l’Alma Mater ha scalato 59 posizioni, passando dal 71° posto del 2016 al 29° nel 2017 e al 15° nel 2018, fino ai tre gradini saliti nel 2019 che l’hanno portata alla posizione numero 12. Gli atenei che partecipano alla rilevazione aumentano ogni anno: in questa nuova edizione della classifica sono passati da 719 a 780. Tra questi le università italiane sono 29, due in più rispetto al 2018. (F: magazine.unibo 04.12.19)



UNIBOCCONI. L'ANNO ACCADEMICO 2019-2020 TROVA LA BOCCONI IN PIENA ESPANSIONE

L'anno accademico 2019-2020 trova la Bocconi in piena espansione. Ai 14.952 studenti di 99 nazionalità che frequentano i corsi di laurea e post-laurea si devono aggiungere i 12.144 manager di 75 paesi che hanno seguito i corsi di SDA Bocconi School of Management, la scuola di formazione post-esperienza. Il 60% dei corsi è in inglese e questi sono seguiti, in media, dal 38% di studenti internazionali. A un anno dal conseguimento del titolo il 95,2% dei laureati è occupato. E di questi il 27,5% lo è all'estero. Il corpo docente è rappresentato da 365 professori (il 31,5% donne e il 19,2% stranieri), la cui eccellenza anche nel campo della ricerca è riconosciuta dal tasso di successo nell'ottenimento dei finanziamenti competitivi dell'European Research Council (con 35 grant ospitati l'Università è la prima in Italia). Nel ranking di QS la Bocconi è quarta in Europa e sedicesima al mondo in Social Sciences and Management. SDA Bocconi School of Management ha poi ricevuto per altri cinque anni l'Accreditamento EQUIS entrando così nel gruppo ristretto di business school nel mondo ad avere ottenuto per 5 volte di seguito l'accreditamento pieno e confermando, unica in Italia, la sua appartenenza al ristretto gruppo di Business School a livello mondiale (a oggi solo 90 su più di 10.000 scuole) a essere in possesso dell'ambito triplo accreditamento AACSB-EQUIS-AMBA. (F: R. Reggio, stream24.ilsole24ore 25.11.19)



POLIMI. LA SCHOOL OF MANAGEMENT DEL POLITECNICO AL TERZO POSTO TRA LE UNIVERSITÀ "TECNICHE"

Financial Time European Ranking 2019. La School of Management del Politecnico di Milano compare al 45° posto nella classifica generale, ma si posiziona al 3° posto tra le università "tecniche". L'offerta della scuola va dai tradizionali Mba full time ed Executive Emba al Master of Science in Ingegneria gestionale, a programmi ad hoc per le imprese e per il mercato Open di manager e professionisti, con un'impronta tecnologica nei contenuti e nella forma: sempre più corsi sono fruibili in distance learning. La School of Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e dal Mip, la business school dell’ateneo. «Da anni abbiamo puntato sull’internazionalizzazione dei corsi e sulle competenze legate alla trasformazione digitale, che sarà la principale sfida per le nostre aziende, perché un buon manager dovrà essere un esperto nella gestione dell’innovazione», commentano Alessandro Perego e Andrea Sianesi, direttore del Dipartimento e dean di Mip. (F: Forbes 09.12.19)





UE. ESTERO



EUROPE. INEQUALITY OF OPPORTUNITY FOR TERTIARY EDUCATION 

A report provides comparable estimates of inequality of opportunity for tertiary education for about 30 countries in Europe. It exploits the two point-in-time observations available for most of the countries and analyzes the relationship between many institutional dimensions and inequality of opportunity in tertiary education. Although inequality of opportunity in tertiary education varies a lot across countries, parental education and occupation seem to be the most relevant circumstances for almost all of them. We also find evidence of positive correlation between inequality of opportunity for tertiary education and different features of the educational system.

Each country shows the combination of inequality of opportunity for tertiary education (EIOp) and inequality of opportunity for income (IOP). There is a clear direct and positive relation between the two dimensions, with a correlation coefficient of 0.634. Countries with higher inequality of opportunity for tertiary education are also characterized by higher inequality of opportunity for income. In particular, we can identify three clusters. The first is composed by countries with high level of both types of inequality, mostly Eastem-European countries, but it includes also Italy, Portugal and Luxembourg. The second cluster encompasses countries with average levels of both ElOp and income IOP, and it is made up of Mediterranean and Eastern countries. The third cluster is made of countries with low level of both ElOp and income 10p, a cluster encompassing only Northern-European countries. We argue that providing a fair system for tertiary education attainment also equalizes opportunities for income. Of course, there are other channels that operate and affect inequality of opportunity for income, but granting equity at the educational stage would increase the probability of facing more equality of opportunity in later stages of life. (F: F. Palmisano, F. Biagi, V. Peragine; Publications Office of the EU 19.12.19)



EU. PER I GIOVANI EUROPEI SEMPRE PIÙ ERASMUS. ITALIA PRIMA NEI PROGETTI JEAN MONNET

Dal 1987 ad oggi, più di 500 mila studenti italiani hanno viaggiato in Europa con il Programma Erasmus. Nel 2019/2020, sono 262 gli istituti di istruzione superiore italiani coinvolti nella mobilità Erasmus+: Atenei, Istituti dell’alta formazione artistica musicale, Scuole Superiori per Mediatori Linguistici, Istituti Tecnici Superiori e le organizzazioni a guida di consorzi. Nel 2018 quasi 27.000 i giovani europei che hanno scelto l’Italia per un’esperienza Erasmus. Tra le principali motivazioni emergono gli aspetti linguistici e culturali, oltre all’offerta formativa dei nostri Atenei, ponendo l’Italia per il secondo anno consecutivo al quarto posto in Europa (dopo Spagna, Germania e Francia) per numero di studenti ospitati per attività di studio. Per il settore dell’Istruzione superiore italiano sono previsti nel 2020 circa 120 milioni di euro per realizzare attività di mobilità degli studenti e dello staff in Europa e in altri Paesi extraeuropei, oltre alla costruzione di partenariati strategici per l’innovazione.

Nell'ambito del programma Erasmus+, le azioni Jean Monnet puntano a promuovere in tutto il mondo l'eccellenza degli studi universitari sull'Unione europea. I progetti approvati in questi anni hanno esplorato nuove prospettive e metodologie per promuovere gli affari europei, oltre che concentrarsi su attività di informazione e comunicazione. L’Italia con 600 progetti approvati è di gran lunga il Paese primo in classifica davanti a Spagna, Inghilterra e Francia. Dal 1990 al 2018 sono stati coinvolti circa 300mila studenti ogni anno, 9000 professori universitari, 1000 università e 100 Paesi. (F: corriereuniv.it 27.11.19)



FRANCIA. COME ACCEDERE DIVERSAMENTE AI CORSI DI LAUREA IN MEDICINA

Il Ministro dell’Istruzione francese immagina la creazione di una licenza sanitaria (licence santè) in un percorso di studi strutturato su tre passaggi: licence, master, doctorat anche detto LMD, così come sta già avvenendo per altri percorsi di studio. La licence (durata 3 anni) permette l'accesso al mondo del lavoro, il master (durata 2 anni) prepara la strada verso un percorso professionale più qualificato e di alto livello o orientato alla ricerca e il doctorat (3 anni) è una ulteriore specializzazione che permette di essere più competitivi anche sul piano internazionale.

L'associazione nazionale francese degli studenti di medicina (Association Nationale des étudiants en médecine de France ANEMF) sottolinea l'esigenza di rivedere il numerus clausus (ma non specifica come) perché non offre equità di accesso al sistema. Infatti, mentre circa l'80% degli studenti del PACES vedono sfumare il loro sogno alla fine del primo anno di studi, e sono poi male indirizzati verso corsi di studi alternativi (tanto che una importante quota cambia radicalmente orientamento), chi ha risorse economiche si iscrive all'estero per poi rientrare nella Facoltà di medicina dalla "porta di servizio".

Un esempio è l'università di Medicina in Romania " Cluj Iuliu Hatieganu" dove si svolge regolarmente un corso di studi che prevede anche la lingua francese, con titolo facilmente acquisito e legalmente riconosciuto nell'Hexagone a seguito della direttiva comunitaria 2005/36/CE. Analogamente a quanto sta accadendo tra Italia ed Albania con la creazione dell'Università Cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio. In questo modo non solo si alimentano le disparità sociali ma saltano anche gli obiettivi di programmazione della demografia medica su cui il numero chiuso consente di lavorare. (F: quotidianosanita.it 01.10.19)



UK. A PROMISE TO REDUCE OR ELIMINATE HIGHER EDUCATION FEES IS POLITICALLY ATTRACTIVE AT ELECTION TIME, BUT CUTTING FEES WILL NOT IMPROVE ACCESS

Only a weak relationship between fee levels and participation rates in the core age group for tertiary study exists. Other factors are much more important in encouraging enrolments. Among the 24 countries whose data are shown in Figure 1, all but two of those whose participation rate is below 30 per cent have low or no fees. Seven of the 24 have zero fees; of those seven, only two (Greece and Slovenia) have relatively high participation rates.

That should be no surprise. It has long been known that there is little relationship between young people’s participation rates in higher education and the level of fees – especially when students can easily access income-contingent loans. Relevant evidence includes:

When fees in English universities trebled in 2012, enrolments of young full-time students held up

A study of the relationship between fee levels and participation rates in New Zealand higher education showed that as fees rose, so did the participation rate. This may sound counter-intuitive, but it is still true.

We also know that factors other than cost are the main influences on participation rates:

Research in New Zealand shows that performance at school dwarfs all other influences on the decision to participate in higher education. Once we control for school performance, other factors play a part: people whose parents have higher qualifications are more likely to enter tertiary education; those who grow up in more deprived neighbourhoods are less likely to enrol (even once other factors are taken into account); and people who use mental health services are less likely to advance to higher levels of education. But family finances turn out not to matter.

Those findings are echoed in Canada where research has found that participation in post-secondary education is more influenced by cultural factors and the level of parents’ education than it is by finances. (F. R. Smith, THE 28.11.19)



CINA. UNA DELLE PIÙ PRESTIGIOSE UNIVERSITÀ COSTRETTA A SOSTITUIRE NELLA SUA CARTA COSTITUTIVA IL RIFERIMENTO ALLA «LIBERTÀ DI PENSIERO»

L’università Fudan di Shanghai, una delle più prestigiose della Cina, è stata costretta a sostituire nella sua carta costitutiva il riferimento alla «libertà di pensiero». Il ministero dell’Educazione ha annunciato le modifiche, scatenando una protesta pubblica senza precedenti di studenti e professori. Se prima nell’atto costitutivo della Fudan si leggeva che «la filosofia educativa dell’università è l’indipendenza accademica e la libertà di pensiero come celebrato nell’inno dell’ateneo», ora invece si trova scritto: «L’università promuove lo spirito di ‘unità, servizio e sacrificio’, la pratica sincera di dedizione patriottica, l’indipendenza accademica e la ricerca dell’eccellenza». È solo l’ultimo episodio della campagna condotta dal Partito comunista guidato da Xi Jinping contro la libertà di espressione e a favore della fedeltà assoluta al regime. Una laureata della Fudan ha scritto su internet un messaggio condiviso migliaia di volte, prima di essere rimosso dalla censura: «Noi studenti abbiamo lavorato duramente e abbiamo scelto la Fudan attratti dalla sua libertà e dal suo spirito. Sono sempre stata orgogliosa della mia università, ogni singolo giorno. Oggi sono davvero triste, perché la nostra costituzione è stata castrata». (F: L. Grotti, Tempi 20.12.19)



CHINA OVERTAKES UK FOR OFT-CITED RESEARCHERS

Researchers who do their work at institutions in China now make up the second-largest group in the Web of Science’ s list of most-cited scientists. For the first time, the number of China-based researchers has leapfrogged the number who work in the United Kingdom. But neither group comes close to first place: almost half of the most-cited researchers on the list work at institutions in the United States, while Germany and Australia round out the top five. (F: Nature Briefing

25.11.19)





LIBRI - RAPPORTI - SAGGI



BENEDETTO SCHIASSI. LA SCIENZA MEDICA DIALOGA CON L’ASSOLUTO

Autore: Leonardo Arrighi. Edizioni ETS, Pisa, 2019.

Questo volume riporta alla luce l’esistenza del chirurgo bolognese Benedetto Schiassi (1869-1954), approfondendone le dinamiche professionali ed umane, offrendo riflessioni che spaziano dalla scienza medica, alla filosofia e alla storia. «Padre mondiale della psicosomatica», ideatore e autore di interventi innovativi, tra cui la deviazione chirurgica del sangue portale, la vagotomia selettiva, la broncotomia attraverso il mediastino, la splenocleisi, la colecistendesi e la ricostruzione dello stomaco, Schiassi – candidato al Premio Nobel nel 1948 – si impone come alfiere della chirurgia, vissuta come pratica volta alla rifunzionalizzazione di organi e apparati. Amante della letteratura, dell’arte e della filosofia, il chirurgo italiano riemerge per la multiformità della sua visione scientifica ed umanistica. E' stato un pioniere degli studi anestesiologici (non va dimenticato che il 27 dicembre 1899 ha eseguito la prima anestesia spinale in Italia), della ricerca sul cancro, sostenendo – quando non era certo una realtà assodata – l’importanza della diagnosi precoce: attraverso lo stretto rapporto tra Benedetto e l’ENPAS (Ente Nazionale per l’Assistenza dei Dipendenti Statali) è sorto a Bologna il 28 gennaio 1952 il Centro di accertamento diagnostico per i tumori, primo in Italia e all’avanguardia a livello internazionale. Scomodo per i suoi contemporanei e dimenticato dai posteri, Schiassi può ora, attraverso questo volume, rivendicare a buon diritto il suo posto nella storia della medicina. (F: B. Baroni, ETS 20.12.19)



IL '68 E L'ISTRUZIONE. Prodromi e ricadute dei movimenti degli studenti

A cura di Benadusi Luciano, Campione Vittorio, Moscati Roberto. Edizione: Guerini e Associati, 2019, pg. 160. Permalink: http://digital.casalini.it/9788862507455

Il cinquantenario del ’68 ha suscitato un ampio dibattito che ha impegnato protagonisti e studiosi con contributi di taglio diverso. Per lo più si è parlato del movimento degli studenti con riferimento alla nascita e al suo sviluppo, agli ideali di cui si è fatto portatore, agli effetti a breve o lungo periodo sulla cultura, la politica e i comportamenti sociali. L’approccio generalista, certo giustificato essendosi il movimento battuto per un cambiamento radicale dell’intera società fin dall’inizio, e maggiormente in seguito, ha travalicato con il pensiero e con l’azione il suo luogo di origine, mettendo in ombra il tema dell’università, per non parlare di quello della scuola, rimasto marginale fin dal suo insorgere.

In questo volume ci siamo proposti di colmare quello che ci è parso un limite nel dibattito intercorso, mettendo a tema proprio il sistema di istruzione e interrogandoci su cosa ha significato per esso il ’68 e quali effetti vi ha dispiegato. È questo uno dei due tratti caratterizzanti del nostro lavoro. L’altro è l’aver adottato un approccio in certo senso «continuistico» tra il prima, il durante e il dopo. Il ’68, almeno per quanto attiene al campo dell’istruzione, è stato sì un momento di rottura con il passato, un breaking point, ma ha avuto le sue pre-condizioni e i suoi prodromi nel periodo precedente, e molte ricadute sul periodo successivo. (F: presentazione degli Autori).

NASCITA E SVILUPPO DELL'INGEGNERIA ALL'UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Curatori: Ezio Mesini, Domenico Mirri, Paolo Macini. Editore: Bononia University Press 2019. Pg. 944.

Obiettivo di questo volume, al quale hanno contribuito una molteplicità di docenti, è quello di presentare la Facoltà di Ingegneria di Bologna nella sua evoluzione temporale. Il testo si apre con una sintetica cronologia della Facoltà, cui segue una ampia e dettagliata illustrazione di molti suoi insegnamenti nella loro evoluzione storica, in relazione anche allo sviluppo nel tempo della scienza e della tecnica e alle modalità di presentazione che caratterizzano ciascuno di essi. Vengono inoltre descritte le caratteristiche distintive dei docenti che si sono succeduti nel tempo nelle diverse discipline e il loro impegno anche nella società civile. Seguono sia le recensioni di volumi scritti da docenti della Facoltà, sia la presentazione dei molteplici Corsi di studio, mettendo in evidenza le modificazioni che hanno subito nel tempo, e in particolare nel passaggio della Laurea quinquennale al sistema 3+2. Conclude il volume una sintesi della legislazione universitaria in questo dopoguerra, anche in relazione al rapporto con le associazioni universitarie e l'elenco delle conferenze sulla storia della scienza e della tecnica organizzate dalla Facoltà in questi ultimi tre lustri. (F: Presentazione dell’editore)


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