SOMMARIO
IN EVIDENZA
INTERNATIONAL ASSOCIATION
OF UNIVERSITY PROFESSORS AND LECTURERS (IAUPL)
ABILITAZIONI
SCIENTIFICHE NAZIONALI – PROPOSTE INNOVATIVE DELL’USPUR SULLA CHIAMATA DEGLI
ABILITATI
RICERCA.
NE PARLA IL MINISTRO GIANNINI IN SENATO
ASN. NE
PARLA IL MINISTRO GIANNINI ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO
DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA
CODICE
DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E DOCENTI UNIVERSITARI
L’OCCUPAZIONE
IN CALO DEI LAUREATI NON DIPENDE DAL DISALLINEAMENTO TRA FORMAZIONE
UNIVERSITARIA E MERCATO DEL LAVORO
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ASN.
NUOVO TERMINE PER LA CONCLUSIONE DEI LAVORI, PER LA TORNATA 2013
ASN.
59.193 CANDIDATI, 998 "GIUDICI", 184 COMMISSIONI PER 14 SETTORI
DISCIPLINARI. SUPERARE LE POLEMICHE SUGLI ESITI
ASN E
CONCORSI LOCALI. LA RESPONSABILITÀ DEI DIPARTIMENTI
ASN.
PROPOSTE DI REVISIONE DELLE PROCEDURE
ASN. I
VINCITORI DI UNA VALUTAZIONE SONO NATURALMENTE PREVEDIBILI
ASN.
PROBABILITÀ DI ABILITAZIONE PER OUTSIDER E INSIDER
ASN.
UNA CONTESTAZIONE ECCELLENTE
ASN.
INFLAZIONE DI ABILITATI IN ARCHEOLOGIA
ASN.
RISOLUZIONE DI PARLAMENTARI PRESENTATA IN COMMISSIONE ISTRUZIONE ALLA CAMERA
RICORSI
AMMINISTRATIVI CONTRO LE DETERMINAZIONI DELLE COMMSSIONI PER L’ASN. SI PARLA DI
500 RICORSI, CIRCA L’1% DELLE DOMANDE
CLASSIFICAZIONI
INTERNAZIONALI
CLASSIFICA DI ATENEI
IN BASE ALL’ECCELLENZA ACCADEMICA
DOCENTI.
FORMAZIONE
ETÀ MEDIA DEI
DOCENTI. SIAMO IN CODA AI 28 PAESI UE
DOTTORATO
RIDUZIONE
DELLE BORSE DI DOTTORATO. NELL’UE SIAMO IN CODA PER N.RO DI DOTTORANDI PER 1000
ABITANTI
UNIBO.
RIENTRANO NEL DOTTORATO DOPO L’ELIMINAZIONE DEL DIVIETO DI LAVORARE
DOTTORATI.
CRITICITÀ DEI CRITERI DI ACCREDITAMENTO
ACCREDITAMENTO
DEI DOTTORATI. INTERVIENE IL MINISTRO
FINANZIAMENTO
FINANZIAMENTI
ALLA RICERCA
ON
LINE. SITI INTERNET. RISORSE EDUCATIVE APERTE
OPEN
EDUCATION: SVILUPPO DI UN MOOC PER SCUOLE E UNIVERSITÀ ITALIANE NELL'AMBITO DEL
PROGRAMMA "TALENT ITALY"
DIFFUSIONE
DEI MOOCS (MASSIVE ONLINE OPEN COURSES)
GLI
ATENEI ITALIANI SUI SOCIAL NETWORK. UNA RICERCA DEL POLITO
PROFESSIONI.
LAUREE. OCCUPAZIONE
ASPETTATIVE
DEI GIOVANI LAUREATI PER L’INSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO
TASSI
DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
COSTO
DEI LAUREATI. CONFRONTI SU DATI OCSE
I
MASTER E LA PREPARAZIONE PROFESSIONALE
RIFORMA
DELLE PROFESSIONI. LA FORMAZIONE CONTINUA
CONTRATTI
DI FORMAZIONE MEDICA SPECIALISTICA. UN DOCUMENTO DEL CUN
LAUREATI.
PERCENTUALI DI OCCUPATI E GUADAGNI
RECLUTAMENTO
UN
DECALOGO DELLA CRUI PER FAVORIRE IL RECLUTAMENTO DI PROFESSORI E RICERCATORI
RECLUTAMENTO.
SOLUZIONE MERITOCRATICA IN QUATTRO PUNTI
IL C.D.
CONCORSO A FOTOGRAFIA
RETRIBUZIONI
DOCENTI UNIVERSITARI.
TAGLI A SCATTI DI ANZIANITA’ E STIPENDI. PERSO IL 75% DEL POTERE D’ACQUISTO IN
30 ANNI
RICERCA.
RICERCATORI. INNOVAZIONE. VALUTAZIONE
DOTAZIONI
E COMPITI DELL’AGENZIA NAZIONALE VALUTAZIONE UNIVERSITÀ E RICERCA (ANVUR)
VALUTAZIONE
DELLA RICERCA. VQR E RAE BRITANNICO
RICERCA.
NECESSITA FINALMENTE UN’ANAGRAFE DELLA RICERCA
RICERCA
E SPERIMENTAZIONE ANIMALE. DECRETO VIOLA DIRETTIVA EUROPEA
VALUTAZIONE
DELLA RICERCA. ACCENTRAMENTO E IMPOSIZIONE DEL SISTEMA DI VALUTAZIONE CONTRO LA
COSTITUZIONE
VALUTAZIONE
DELLA RICERCA. SELEZIONARE LE PERSONE MIGLIORI NON SOLO I “PRODOTTI”
ARTICOLI
SCIENTIFICI PRODOTTI AUTOMATICAMENTE
IL
SISTEMA DELLA RICERCA ITALIANO NEI DATI DEL RAPPORTO ANVUR
UNA
SINTESI DEL RAPPORTO ANVUR 2013 SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA
RICERCA
RICERCA.
5.252 I PROGETTI DI PRESENTATI AL BANDO 'SIR - SCIENTIFIC INDEPENDENCE OF YOUNG
RESEARCHERS'
RICERCA.
MIUR. IN ARRIVO IL BANDO RITA LEVI MONTALCINI
STUDENTI
CORSI A
NUMERO CHIUSO PER LE LAUREE MAGISTRALI DI AREA SANITARIA. POSTI A BANDO
STUDENTI.
ISCRIZIONI IN GENERALE CALO MA IN RIPRESA NEGLI ATENEI DEL NORD
SI
RIDUCONO GLI ISCRITTI AI TEST PER I CORSI A NUMERO CHIUSO
TASSI
DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
IL MAI
NATO FONDO PER IL MERITO NEL MIRINO DELLA CORTE DEI CONTI
TECO
(TEst sulle COmpetenze) . PER MISURARE IL POSSESSO DI COMPETENZE EFFETTIVE DI
CARATTERE GENERALISTA DEI LAUREANDI ITALIANI
INDAGINE
TECO (TEst sulle COmpetenze). I RISULTATI
CONSIGLI
PER GLI STUDENTI FUORI SEDE
TASSE
DI ISCRIZIONE
TEST
PER I CORSI DI MEDICINA. COME BYPASSARLO DALL’ESTERO
VARIE
IL
SISTEMA UNIVERSITARIO ITALIANO NEGLI ULTIMI 15 ANNI
PER
FARE FRONTE ALLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE DEL PAESE
CONSOLIDARE
LA PIANTICELLA DELLA MERITOCRAZIA
CARENZA
DI SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE IN NEUROCHIRURGIA
ATENEI. IT
UNIBO.
“MUMU – MUSEO MULTIVERSO”
UNIMI.
UNISTEM DAY 2014
A
PROPOSITO DELLA PRESUNTA INDIFFERENZA DELL’AMMINISTRAZIONE CENTRALE SUGLI
ATENEI DEL SUD. INTERVIENE L’EX MINISTRO CARROZZA
RISORSE
PER LA PREMIALITÀ AGLI ATENEI. SCHEDA FLC CGIL SUGLI EFFETTI DELLE VALUTAZIONI
ANVUR
UE. ESTERO
UE. ERASMUS+
FRANCIA. LA GRANDEUR:
MEGAUNIVERSITÀ PARIS-SACLAY
SVIZZERA.
145 RICERCATORI RICHIEDONO 219 MILIONI PER GLI "SNSF STARTING GRANTS"
USA. I
COSTI DELLE UNIVERSITÀ. QUINTUPLICATI DAL 1985 AD OGGI PER LAUREARSI NELLE
PRIVATE
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IN EVIDENZA
INTERNATIONAL
ASSOCIATION OF UNIVERSITY PROFESSORS AND LECTURERS (IAUPL)
L'Association Internationale
des Professeurs et Maîtres de Conférences des Universités (le plus souvent
désignée par son sigle anglais, IAUPL) est une Organisation internationale non
gouvernementale, non politique et non confessionnelle, qui regroupe des
Professeurs d’université et des Maîtres de Conférences à un niveau
international. A ce titre, l'IAUPL entretient :
-
des
relations opérationnelles avec l'UNESCO (l'UNESCO est impliqué dans le
follow-up BOLOGNA-BERGEN), qui en auditionne régulièrement les membres,
-
une
collaboration amicale avec les organisations analogues se consacrant à d'autres
aspects du travail et de la vie universitaire.
Depuis 1989, l'IAUPL est un
animateur régulier de la Consultation collective des O.N.G de l'enseignement
supérieur de l'UNESCO, consultation qu'elle a contribué à créer.
Historique, objectifs,
actions, statuts, déclaration des droits, instances de l’IAUPL: http://tinyurl.com/pzybthn
ABILITAZIONI
SCIENTIFICHE NAZIONALI – PROPOSTE INNOVATIVE DELL’USPUR SULLA CHIAMATA DEGLI
ABILITATI
Le abilitazioni scientifiche nazionali, e la conseguente
gestione degli abilitati, comportano un impatto sul sistema universitario
certamente notevole e significativo, ma, a nostro avviso, molto meno
preoccupante di quanto si possa ritenere. Nelle considerazioni che faremo:
- non abbiamo tenuto conto dei casi ancora non risolti di
commissioni i cui lavori hanno dato luogo a rilievi anche di natura legale;
- abbiamo dato per scontato che molti sono stati gli
abilitati interni al sistema universitario, che già lavorano in posizione di
ruolo e che, quindi, hanno sostenuto e sostengono con il loro impegno la
didattica e la ricerca universitaria;
- abbiamo ritenuto che le attese di questi abilitati
meritino considerazione e che, pur nel rispetto di quanto la legge prevede
(comma 4 dell’art. 16 Legge 240/2010), si possa intervenire per coordinare in
maniera unitaria le azioni che gli atenei prenderanno per agevolare le
procedure e ridurre i tempi di chiamata degli idonei.
Questa affollata prima abilitazione ha creato problemi di
una certa consistenza, che devono essere affrontati con lo spirito giusto: in
sostanza occorre prevedere un approccio che gestisca tale situazione in maniera
unitaria, per impedire possibili emergenze di caos, e che tenga conto di quanto
di buono è stato già fatto. Senza una gestione unitaria della situazione il
rischio di demotivare chi già lavora, facendogli perdere lo stimolo a costituire
esempio da imitare, è altissimo soprattutto per il conseguente effetto domino.
Tutto ciò non significa che il possesso dell’abilitazione
debba diventare automaticamente ‘garanzia’ di chiamata, perché ciascun settore
ha le sue priorità e i suoi equilibri locali e nazionali da rispettare, e, in
aggiunta, bisogna assolutamente evitare la saturazione dei settori per gli anni
a venire. Tuttavia, in considerazione soprattutto dei tempi lunghi che hanno
caratterizzato la messa in atto e, quindi, lo svolgimento di questa prima
tornata dell’abilitazione scientifica nazionale, occorre assolutamente che le
procedure relative alla chiamata degli idonei siano attuate in maniera
coordinata per evitare ogni possibile interruzione e i tempi lunghi derivanti
da interpretazioni non corrette della relativa normativa.
La nostra prima osservazione riguarda i decreti
ministeriali che hanno introdotto i punti organico e i conseguenti vincoli che
si sono venuti a creare, i quali, con i loro effetti perversi, hanno poi
portato ad una compressione coercitiva e poco ragionevole delle università.
Infatti, invece di dotare tutti gli Atenei di un numero fisso di punti organico
per limitare ogni velleità espansionistica di Atenei mal governati, si è
preferito introdurre prima i punti organico mobili, con un numero mutevole di
anno in anno, affiancati poi dai
punti organico distribuiti dal Ministero sulla base di
una quota variabile, dal 20% al 50%, dei punti organico che via via si
sarebbero liberati per quiescenza o per qualsiasi altro motivo. A nostro avviso
non ha alcun senso calcolare i punti organico in base a due valori mobili posti
nella stessa frazione e precisamente: a denominatore il costo medio nazionale
del professore di prima fascia, che non può che crescere sempre, anche se ormai
di poco, e a numeratore il fondo di finanziamento ordinario dell’Ateneo, sempre
decrescente negli ultimi 6 anni. Di conseguenza il loro rapporto non può che
ridursi perché il numeratore
decresce e il denominatore cresce. In questa maniera
anche gli Atenei più virtuosi, che non hanno, cioè, restrizioni di budget e non
hanno mai superato il limite dell’80% per la spesa inerente al personale, non
possono chiamare (direttamente o previo concorso) tutti i
loro abilitati perché obbligati a rispettare il vincolo dei punti organico
distribuiti dal Ministero, pur in assenza di impegni aggiuntivi di spesa a
carico del proprio bilancio.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che
il sistema dei punti organico si è risolto in uno strumento normativo che ha
asfissiato le università perché privo di un legame effettivo con la
sostenibilità finanziaria di ateneo prevista dalla legge.
Nel primo dei due ricorsi rivolti al Presidente della
Repubblica contro l’applicazione del criterio dei punti organico, fatto
dall’Università di Cassino, si sostiene che il D.M. 297 del 22 ottobre 2012 è
illegittimo e pertanto deve essere annullato, per i seguenti motivi:
“Violazione del D.lgs. 49/2012 (artt. 3, 4, 5, 6 e 7);
violazione e falsa applicazione del D.L. 95/2012, convertito nella L. n.
135/2012; violazione dell’art. 4 delle preleggi; eccesso di potere per
irragionevolezza, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, illogicità; erroneità
dei presupposti; travisamento; violazione del principio di legittimo
affidamento”.
Nel secondo ricorso, fatto dall’Università del Salento,
si dichiara che “l’introduzione, per atto di normazione regolamentare, di
diversa metodologia di calcolo del contingente, non sia coerente con la delega
attribuita al MIUR dall’art. 66, comma 13 bis del D.L. n.113/2008 e ss.mm.ii.
con la conseguenza che la determinazione ministeriale risulta del tutto
illegittima e arbitraria”.
Le considerazioni svolte portano a concludere che la
gestione coordinata della situazione post abilitazione da noi proposta richieda
assolutamente la sospensione del sistema dei punti organico perché è al di
fuori di ogni realtà, non può influenzare la spesa pubblica ed è sicuramente
discutibile sul piano della legittimità. Altre osservazioni attengono ad una
attenta e oggettiva rivalutazione dell’entità dei vincoli di cui:
§ al comma 4, art. 18 della Legge 240/2010, che attiene
alla chiamata del quinto di docenti esterni alla propria università;
§ alla lettera c) comma 2, art. 4 del D.L. 29 Marzo 2012,
n. 49, che dispone di bandire un posto per ricercatore a tempo determinato per
ciascun posto di professore di I fascia che si chiama.
Questi vincoli, per quanto condivisibili, incidono
significativamente sullo stato della finanza universitaria, compressa dalla
spending review, perché obbligano a un aumento di spesa in questo momento di
grande difficoltà economica per il Paese e in questa fase emergenziale tesa
all’attuazione della prima abilitazione nazionale della storia della nostra università.
In situazioni come questa è facile che si possa scatenare
una guerra fra poveri, che produrrebbe lacerazioni difficilmente sanabili
all’interno dei dipartimenti di ciascun Ateneo, con conseguenze sulla qualità
della didattica, sul comportamento degli studenti, sulla produttività
scientifica, sulla competizione internazionale del Paese. I docenti
universitari sono già stati pesantemente penalizzati dall’impossibilità di
ricostruire la carriera (art. 8 della Legge 240/2010). Che senso avrebbe continuare
a colpire la classe dei docenti universitari con norme vessatorie quanto
inutili ai fini della sostenibilità finanziaria, che è l’unico dato oggettivo
realmente collegato con i conti dello Stato?
La sostenibilità verrebbe infatti certamente mantenuta
con l’eliminazione del regime dei punti organico perché i docenti non
vedrebbero incrementato realmente il loro stipendio con il passaggio di ruolo,
o di fascia, ma riceverebbero soltanto uno scatto stipendiale nominale previsto
dalla fascia superiore, subendo un danno economico significativo e una
penalizzazione unica nel panorama del pubblico impiego.
Nella stragrande maggioranza dei casi gli abilitati
dovranno infatti ricevere un assegno ad personam per mantenere lo stipendio in
godimento all’atto della chiamata: essi vedranno un aumento di stipendio solo
quando detto assegno verrà riassorbito in seguito ai successivi scatti
triennali. In sostanza l’assunzione degli abilitati interni non comporterà,
nella maggioranza dei casi, alcun onere aggiuntivo per i bilanci delle
Università e per i conti dello Stato.
In quest’ottica l’USPUR, per snellire i tempi relativi
alla chiamata degli abilitati, chiede di voler affrontare la relativa
situazione nella maniera di seguito delineata:
1) gestione unitaria della situazione post abilitazione,
con l’eliminazione o la sospensione del sistema dei punti organico, non
rappresentativo della realtà, non influenzante realmente la spesa pubblica e
sicuramente discutibile sul piano della legittimità;
2) oggettiva riconsiderazione dei vincoli posti:
− dal comma 4, art. 18, Legge 240/2010 (riserva del 20%
dei posti disponibili per la chiamata dei docenti esterni all’ateneo);
− dal D.L. 49/2012:
• per l’obbligo di chiamata, nei limiti delle risorse
disponibili, di un ricercatore a tempo determinato di tipo b) per ogni
professore ordinario che si assume [lettera c), comma 2°, art. 4];
• composizione dell’organico dei professori in modo che
la percentuale dei professori di prima fascia sia contenuta entro il 50% dei
professori di 1° e 2° fascia [lettera a), comma 2°, art. 4].
(Fonte: A, Liberatore, segretario
nazionale dell’USPUR 24-03-2014)
RICERCA. NE PARLA IL MINISTRO GIANNINI IN SENATO
Semplificazione, programmazione,
valutazione ed apertura. Questi i principi cui il ministro dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca intende ispirarsi per ridare slancio alla
ricerca che ''può costituire il terzo pilastro per il nostro futuro''. Nel
seguito dell'audizione svolta davanti alla commissione Istruzione del Senato il
ministro Stefania Giannini - che il 27
marzo si era soffermato sul tema della scuola - ha illustrato le priorità del
suo dicastero nel campo della ricerca. Illustrando la situazione della ricerca,
il ministro ha ricordato che negli ultimi 5 anni la quota italiana di spesa in
ricerca e sviluppo rispetto al Pil è inferiore alla media europea e a quella
dei principali paesi industriali, collocandosi al diciannovesimo posto su 23
paesi considerati. Occorre a suo avviso un maggiore coordinamento tra i
soggetti interessati al settore oltre a un'opera di semplificazione a più
livelli: una semplificazione finanziaria, in cui le risorse devono confluire in
un piano finanziario della ricerca unico; una semplificazione gestionale, in
base alla quale razionalizzare i soggetti che operano intorno al mondo della
ricerca e il numero degli enti pubblici di ricerca; una semplificazione
normativa, nella quale regolamentare alcuni processi omogenei nell'emanazione
dei bandi evitando asimmetrie, specie in vista dell'avvio dei nuovi interventi
sui Programmi operativi nazionali (PON) della nuova programmazione europea
2014-2020.
Il ministro ha sottolineato poi che
l'Italia sconta una cronica incapacità di assegnare cifre stabili nei relativi
capitoli di bilancio, a causa di tagli imprevedibili operati attraverso la
legge di stabilità, con il risultato di una perdurante incertezza. Dei fondi
europei messi a disposizione da Horizon 2020, il nostro paese avrà a
disposizione solo 1,7 mld di euro pari a circa la metà delle risorse
disponibili nello scorso ciclo. Quanto alle risorse alternative, il Fondo per
la ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) nel 2013 è stato pressoché unicamente
dedicato al finanziamento di bandi innovativi per i giovani: oltre 48 mln di
euro per il finanziamento di specifici interventi atti a garantire il ricambio
generazionale e l'autonomia scientifica dei giovani ricercatori. Il Fondo può
essere analogamente rifinanziato per il 2014, ma comunque l'orizzonte temporale
è sempre troppo limitato. Il Fondo per l'agevolazione alla ricerca (FAR) poi,
destinato alla ricerca industriale, non è stato più rifinanziato dal 2010. A
proposito dell’ANVUR, la sua attività dovrebbe essere estesa a tutti i soggetti
della ricerca pubblica e incidere, mediante criteri e parametri specifici,
sull'assegnazione di quote crescenti del Fondo ordinario per gli enti di
ricerca (FOE). In particolare, la valutazione deve mirare al raggiungimento di
standard di qualità e di competitività rispetto ai quali il ministero deve
esercitare una compiuta politica d'indirizzo, tenuto anche conto delle priorità
dell'esecutivo e dei principali stakeholders nel settore. (Fonte. ASCA
04-04-2014).
Per leggere il testo integrale delle
dichiarazioni programmatiche, rese dal ministro Giannini l’1 aprile 2014
davanti alla VII Commissione Permanente del Senato, cliccare questo link http://tinyurl.com/ncanwdb .
ASN. NE PARLA IL MINISTRO GIANNINI ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO
DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA
“La complessa vicenda delle
Abilitazioni Scientifiche Nazionali (ASN) reclama chiarezza. La chiedono le
Università in attesa di reclutare, la chiedono i candidati, in attesa di
entrare nei ruoli della docenza, forse la chiedono anche alcuni Commissari,
almeno quelli (la maggior parte spero) che non hanno scambiato il rilascio di
una patente di guida con la messa in moto di una Ferrari. […] Se i meccanismi non
sono sufficientemente agili, agevoli, veloci, il rischio di creare ‘tappi’,
ritardi, elefantiasi procedurali e di disattendere le aspettative diventa
certezza. E allora non resta che restituire i diritti strappati nel presente
[…] e immaginare un meccanismo semplice e che dia garanzia di continuità nel
futuro. In altri termini, non mi sento di garantire un terzo ‘concorsone’
abilitante”. Sono le parole di Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione del
governo Renzi, pronunciate il 10 marzo, all’inaugurazione dell’anno accademico
dell’Università di Padova.
A proposito di ASN riporto il
seguente commento di p. marcati (02-04-14) postato su Roars:
Non credo che le attuali tornate di
abilitazione vadano considerate come una procedura ordinaria, ma come un modo,
certo pieno di difetti, per fare un minimo di ordine nell’ingorgo di persone
bloccate da anni nelle loro progressioni di carriera. Per il futuro sono
necessarie procedure più snelle, ma il problema non mi pare giri intorno al
dilemma se dare più potere alle sedi o più potere a livello nazionale, poiché
porcherie sono state prodotte in modo equo in entrambe i casi. Produrre in modo
elettivo dei research council, a parte il nome inglese, mi sembra il festival
delle mafiette nazionali. Mi pare che il problema italiano sia quello di
smettere di pensare a soluzioni autarchiche e cominciare a internazionalizzare
il sistema decisionale. Ovviamente questo richiede una guerra di liberazione dalle
burocrazie dei verbali e dei formalismi giuridici, poiché non esiste alcuna
procedura formale che risolva questioni di merito. Personalmente credo che una
procedura snella di abilitazione possa essere fatta “on line”. Si crea un panel
europeo chiedendo anche a varie agenzie di altri stati di segnalare dei nomi, i
candidati sottomettono i loro cv ed elencano i DOI delle pubblicazioni. I
commissari nominano uno-due referees, poi, ricevuti i reports, votano in forma
anonima dando un punteggio (es: 0-10) e chi prende più di 8/10 di media è
abilitato. Il resto del meccanismo deve essere locale, magari con il vincolo
che non puoi essere RTD di tipo B dove hai fatto il dottorato.
CODICE
DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E DOCENTI UNIVERSITARI
Le Università italiane sono
impegnate nell’approvazione di un proprio codice di comportamento dei
dipendenti pubblici, un documento destinato a integrare, in ciascun Ateneo, il
Codice di comportamento valido a livello nazionale per tutti i pubblici
dipendenti (approvato con D.P.R. 16-04-2013, n. 62) e a coordinarsi con altri
corpi normativi come ad esempio il codice etico e il codice di disciplina. L’esistenza
di un codice di comportamento normativamente imposto esige una riflessione sul
ruolo delle Università e delle persone che in esse operano.
L’articolo 54 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (che riprende l’articolo 58-bis del D.lgs. 3
febbraio 1993 n. 29) prevede che dall’applicazione del codice di comportamento
dei dipendenti pubblici siano esclusi i magistrati e gli avvocati dello Stato.
Agli organi delle associazioni di categoria di questi dipendenti pubblici è
demandata l’adozione di un codice etico, che è poi sottoposto all’adesione dei
singoli magistrati e avvocati dello Stato.
Non è chiaro perché i professori
universitari siano stati trattati diversamente e a loro non sia stata data
alcuna possibilità di autoregolamentazione. Il codice di comportamento dei
dipendenti pubblici è assimilabile ai codici deontologici degli ordini
professionali, che hanno efficacia normativa e definiscono l’insieme delle
regole di comportamento alle quali ogni professionista deve attenersi nella
pratica professionale. I codici deontologici sono scritti e approvati dalle
singole comunità professionali che li usano come strumenti di autogoverno,
guida delle scelte individuali, controllo delle prestazioni e tutela della
professione. Per essere efficace e per contribuire alla formazione delle
persone e alla qualità dei servizi, un codice di comportamento deve essere non
un’imposizione calata dall’alto ma il risultato condiviso di un dibattito informato
e imparziale di tutti i professionisti interessati.
Ai professori universitari è
riconosciuta autonomia e diritto di autoregolamentazione in quanto
professionisti (per esempio, avvocati, psicologi, ingegneri, medici, ecc.), ma
non in quanto dipendenti pubblici, membri di un’organizzazione come
l’Università che riconosce nella propria autonomia la condizione necessaria e
irrinunciabile per l’esercizio delle libertà individuali e il perseguimento
degli obiettivi istituzionali nell’interesse della comunità locale, della
comunità scientifica e dell’intera società.
Nel corso del tempo abbiamo
assistito a una progressiva giuridicizzazione degli obblighi previsti nel
codice di comportamento. Il codice nazionale è contenuto in un regolamento
approvato con D.P.R. 62/2013 che le singole Università non possono
disattendere, ma al più “integrare e specificare” (art. 54, comma 5, D.lgs.
165/2001 come modificato dalla legge 190/2012). Vero è che per professori e
ricercatori le norme contenute nel codice valgono come “principi di
comportamento in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi
ordinamenti” (art. 2, comma 2, D.P.R. 62/2013). E’ altrettanto vero però che
detti principi sono imposti dal legislatore (al più integrati e specificati a
livello locale). E che alcuni di essi sono incompatibili prima ancora che con
l’ordinamento proprio dei docenti universitari con lo status che la loro
funzione dovrebbe automaticamente comportare.
Ma è il dato di sistema che deve
indurre a riflettere. La giuridicizzazione contenutistica dei comportamenti
ovvero la previsione normativa (ancorché come principi) dei singoli obblighi
dei docenti coincide con un progressivo sfarinamento del ruolo del professore
universitario, che accetta senza colpo ferire di essere assimilato a chi opera
alle dipendenze di un datore di lavoro che persegue i propri interessi, e di
vedersi imposti dal legislatore gli standard di comportamento. Quando è stato
introdotto il codice di comportamento per i dipendenti pubblici nulla si è
detto per invocare la non applicazione dello stesso ai professori universitari.
O per ottenere, almeno, un trattamento identico a quello dei magistrati. L’imposizione
di un codice di comportamento può essere interpretato come ulteriore passaggio
che sta determinando quella che è stata definita svolta autoritaria e che
consiste nell’aziendalizzazione dell’Università e nell’affermarsi di un
pensiero unico che induce il conformismo. (Fonte: R. Cubelli, G. Pascuzzi e S. Zambelli,
testo
integrale del post 24-03-2014)
L’OCCUPAZIONE IN CALO DEI LAUREATI NON DIPENDE DAL DISALLINEAMENTO TRA
FORMAZIONE UNIVERSITARIA E MERCATO DEL LAVORO
Da un decennio circa le
immatricolazioni calano (il tasso di passaggio scuola-università, per l’Italia
è meno del 50%, di 11 punti inferiore a quello medio europeo) e diminuiscono
anche i passaggi dalla laurea triennale a quella magistrale (il 47% nel 2012).
Le ragioni, purtroppo, non sono un mistero: la prima sta nell’immagine pubblica
dell’università, con giornali e televisioni che presentano sistematicamente gli
atenei come luogo di corruzione, organismi feudali e inutili. Il debole
giornalismo italiano dimostra di non riuscire a distinguere gli episodi di
cattiva governance, o addirittura di corruzione, dal funzionamento complessivo
di un sistema che sforna circa 300.000 laureati l’anno. L’effetto di questa
campagna è diffidenza, disaffezione, rinuncia a proseguire gli studi. Non si
deve però dimenticare un altro fattore decisivo: la carenza di fondi per il
diritto allo studio. L’Italia è in fondo alle classifiche europee per il
sostegno all’istruzione universitaria e perfino molti degli aventi diritto non
riescono a ottenere le magre borse stanziate dalle Regioni. In una crisi
prolungata il costo degli studi, per gli studenti e per le famiglie, può essere
proibitivo, soprattutto se cumulato all’incertezza sugli sbocchi lavorativi.
Quindi, non incolpiamo il mismatch (disallineamento tra formazione
universitaria e mercato del lavoro) se le prospettive occupazionali dei
laureati sono difficili: esse dipendono dall’andamento generale dell’economia e
dalle scelte dei governi piuttosto che dagli “errori” nell’orientamento
scolastico. (Fonte: F. Tonello, unipd.it/ilbo 31-03-2014)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ASN. NUOVO TERMINE PER LA CONCLUSIONE DEI LAVORI, PER LA TORNATA 2013
Si segnala il decreto direttoriale recante nuovo
termine per la conclusione dei lavori delle commissioni per l’abilitazione
scientifica nazionale (art. 4, comma 6, del dd n. 161 del 2013) con il quale i
lavori delle commissioni per l’ASN 2013 sono prorogati al 31.5.2014.
ASN. 59.193 CANDIDATI, 998 "GIUDICI", 184 COMMISSIONI PER 14 SETTORI
DISCIPLINARI. SUPERARE LE POLEMICHE SUGLI ESITI
L'abilitazione scientifica nazionale
«si è svolta con modalità di straordinaria trasparenza», soprattutto se
«confrontate con quelle del passato». Chi si è avventurato in questo
appassionato elogio del nuovo sistema di selezione degli aspiranti professori
universitari, nato con la riforma del 2010 nel tentativo di archiviare le tante
storie di "famiglie accademiche" fiorite nelle vecchie «concorsopoli»
locali? Il giudizio è scritto in una petizione del Coordinamento giovani
accademici della Sapienza di Roma, che in calce a questo appello ha raccolto in
poche settimane 2.227 firme. A leggere le polemiche di queste settimane, e la
loro ricca aneddotica su pubblicazioni valutate in pochi secondi ed esclusioni
di talenti "sorpassati" da candidati con curricula esili e
zoppicanti, la richiesta dei «giovani accademici» parrebbe quantomeno
originale, e insensato l'ampio seguito ottenuto subito nelle università. Superare
questa prima impressione, però, non è difficile: basta, prima di tutto,
ricordare che cos'è, e che cosa non è, l'abilitazione nazionale.
L'abilitazione non è un concorso,
nel senso che non assegna posti, ma seleziona chi può aspirare a una cattedra:
per questa ragione, è a numero «aperto», e raccoglie tutti gli studiosi che
vogliono candidarsi. Saranno poi le singole università a mettere a disposizione
i posti e reclutare gli abilitati.
I numeri, appunto, non sono un
fattore secondario: la prima tornata di abilitazione (dati
ufficiali) ha esaminato 59.193 candidature, impegnando 998
"giudici" divisi in 184 commissioni per 14 settori disciplinari. Ipotizzando
con uno slancio di ottimismo un tasso di errori quasi inumano, per esempio
l'1%, si otterrebbero 592 casi controversi: più che sufficienti per alimentare
la polemica basata su aneddoti, e per far legittimamente arrabbiare parecchie
persone coinvolte, ma troppo pochi per bocciare senza appello il sistema. Anche
il lavoro dei TAR, che da sempre tiene per mano l'università italiana in ogni
suo passo, sembra per ora confermare questa impressione: i ricorsi sono
nell'ordine di qualche centinaio, e le prime pronunce hanno riconosciuto la
sospensiva per casi individuali, chiedendo talvolta anche di formare una nuova
commissione, ma senza intaccare i i pilastri del sistema e i parametri di
valutazione. (Fonte: G. Trovati, Ilsole24ore.com 17-03-2014)
ASN E CONCORSI LOCALI. LA RESPONSABILITÀ DEI DIPARTIMENTI
L’Abilitazione scientifica nazionale
stabilisce che l’idoneità a svolgere il ruolo di professore possa essere
conferita solo a chi possiede almeno dei “requisiti minimi” in termini di
produzione scientifica. Tali requisiti sono condizione necessaria e non sufficiente,
e il loro accertamento è integrato da una valutazione discrezionale da parte di
una commissione nazionale, che si forma con un sorteggio. I candidati che hanno
ottenuto l’abilitazione potranno poi partecipare ai concorsi da professore. I
requisiti necessari per l’abilitazione sono pubblici e agli aspiranti
professori basta dare un’occhiata per rendersi conto se il loro profilo
scientifico è competitivo oppure no. Chi non abbia mai svolto attività di
ricerca (esempio estremo e poco rappresentativo ma possibile) difficilmente
sarà in grado di soddisfare i criteri previsti, uguali per tutti, e dovrà
temporaneamente fare un passo indietro. Rispetto al passato è un miglioramento
netto, se consideriamo quanti concorsi sono stati vinti finora da candidati con
un profilo scientifico molto modesto. L’ASN quindi non è un concorso né una
truffa, come vuole far credere la retorica dei “professori abilitati ma senza
cattedra” tanto in voga sui giornali negli ultimi tempi. Però, da sola non
basta. Anzitutto servono finanziamenti per reclutare nuovi ricercatori, senza i
quali il sistema universitario italiano è destinato al collasso. Inoltre, c’è
sempre il rischio che i concorsi locali non si svolgano in modo trasparente.
Ripristinare il rispetto della legge nei concorsi da ricercatore e da
professore associato è un obiettivo fondamentale per il futuro dell’Università,
senz’altro più urgente dell’abolizione dell’ASN. La riforma del sistema di
reclutamento universitario insomma è ancora incompiuta, e allo stato attuale
molte delle critiche rivolte all’ASN sono fondate. Ma niente è peggiore del
ritorno a un passato. Finché i dipartimenti non saranno pienamente responsabili
delle loro scelte – nel senso di pagare con minori finanziamenti e minore
reputazione il reclutamento di persone che non fanno ricerca scientifica – l’ASN
sarà utile. Per ora quindi non ha senso abolirla. Semmai va migliorata e
integrata con un sistema più efficiente di incentivi e regole per lo
svolgimento dei concorsi locali, per la valutazione dell’attività di ricerca
dei dipartimenti universitari e per la distribuzione dei finanziamenti pubblici
alla ricerca. (Fonte: F. Sabatini, FQ
11-03-2014)
ASN. PROPOSTE DI REVISIONE DELLE PROCEDURE
Per quanto concerne l’abilitazione
scientifica nazionale, crediamo che si debba al più presto dare avvio a una
sostanziale revisione delle procedure abilitative prevedendo commissioni molto
più ampie delle attuali i cui membri possano essere selezionati dalle comunità
scientifiche ed eventualmente sorteggiati su liste di eletti. Riteniamo che le
procedure debbano superare la logica del bando annuale per dare invece la
possibilità ai singoli studiosi di veder valutato il proprio profilo
accademico, così da superare la tendenza a interpretare le abilitazioni come
una procedura comparativa. Siamo quindi convinti che gli indicatori di
produzione scientifica debbano essere profondamente rivisti e adeguati ai
diversi ambiti disciplinari, sicuramente superando la logica della “mediana”,
che mina i principi di un’equa valutazione nel tempo, ma anche valorizzando
quegli ambiti di studio trasversali e interdisciplinari fortemente penalizzati
dalle attuali procedure. Riteniamo infine che debba essere superato
l’ingiustificato limite di presentazione delle attuali domande e che si debba
dare quanto prima ai non abilitati della prima tornata la possibilità di
partecipare a un nuovo bando. (Fonte: FlcCgil 03-03-2014)
ASN. I VINCITORI DI UNA VALUTAZIONE SONO NATURALMENTE PREVEDIBILI
La lettura dei giudizi sul sito del
MIUR e i primi ricorsi al TAR del Lazio hanno rinfocolato le polemiche
giornalistiche: l’attenzione si è concentrata su alcuni settori, dove si segnalavano
casi di “vincitori noti in anticipo”. In altre parole, i quotidiani accusavano
le commissioni di aver manipolato i risultati per favorire raccomandati,
fedelissimi dei “baroni” e altri membri della Casta o aspiranti tali. In realtà
potrebbero esserci stati solo alcuni casi di “fuga di notizie” dato che per
molte commissioni la pubblicazione degli esiti si è avuta diversi mesi dopo la
chiusura dei lavori. Ma più sostanzialmente, come ha scritto Francesco
Coniglione, i professori universitari “non sono postelegrafonici” e quindi si
tratta di un’ottica sbagliata: “In un sistema normale che premia il merito
scientifico, il fatto che si sappia in anticipo chi vincerà un certo concorso
deve essere ritenuto la condizione normale e non può essere considerato per
niente una patologia”. Per quale motivo? Perché “prima di arrivare a una
valutazione (come l’ASN), lo studioso ha pubblicato articoli e volumi, ha
frequentato congressi, fa parte di società scientifiche (…) Insomma uno
studioso degno del nome è conosciuto molto prima del momento in cui si
sottopone a valutazione, specie in settori concorsuali molto specialistici e
per le fasce più alte delle qualificazioni”. La valutazione è quindi “il
momento finale in cui viene formalmente riconosciuto un consenso e una stima
già socialmente consolidata nella comunità scientifica. Ecco allora che è del
tutto possibile prevedere i vincitori di tale valutazione: anzi, se così non
fosse, si dovrebbe sospettare che la commissione abbia adoperato criteri del
tutto arbitrari”. (Fonte: F. Tonello, Roars 16-03-2014)
ASN. PROBABILITÀ DI ABILITAZIONE PER OUTSIDER E INSIDER
La procedura di abilitazione
scientifica nazionale 2012 per professore universitario di prima e di seconda
fascia è quasi terminata (al 7 marzo sono stati pubblicati i giudizi di 167
commissioni su 184) e i dati disponibili sul sito dell’Asn consentono già una
prima esplorazione quantitativa degli esiti.
L’abilitazione nazionale è stata
introdotta dalla legge Gelmini e, così come le commissioni che devono gestirla,
ha ricevuto diverse critiche, spesso di segno opposto. Se molti vedono nell’Asn
lo strumento per superare vecchie logiche di reclutamento che poco o nulla
hanno a che fare col merito, c’è anche chi teme che la procedura abbia l’unico
esito di appiattire la valutazione della ricerca su logiche quantitative o
bibliometriche, scoraggiando così le ricerche innovative o potenzialmente
controverse a favore delle impostazioni dominanti nelle rispettive discipline.
Sulla base dei risultati pubblicati
finora, in questa tornata, la produttività scientifica ha svolto un ruolo
fondamentale nel determinare le probabilità di ottenere l’abilitazione. E
tuttavia, per i candidati con un profilo scientifico più debole, conoscere un
membro della commissione sembra aver migliorato significativamente le chance di
successo. Ma quali altri fattori possono aver influenzato le probabilità di
successo dei candidati? È quanto ci proponiamo di evidenziare in questo articolo
e in altri successivi. L’obiettivo è fornire evidenza empirica e indicazioni
costruttive utili a migliorare, in futuro, l’efficienza e l’equità della
procedura di abilitazione. Riteniamo, infatti, che l’Asn possa dare un
contributo positivo al rinnovamento di un sistema di assunzione nell’università
che si è rivelato storicamente inefficiente. In questo
articolo si tratta delle probabilità di abilitazione per outsider e insider.
(Fonte: M. Marzolla, T. Reggiani, M. Rizzolli, F. Sabatini e F. Sarracino, la
voce.info 25-03-2014)
ASN. UNA CONTESTAZIONE ECCELLENTE
Tredici righe e dodici firme. Nobel
ed economisti di fama mondiale che esprimono al ministro dell'Istruzione
Giannini e al premier Renzi il loro sconcerto per i risultati degli esami di
abilitazione scientifica per accedere all'insegnamento accademico di Storia
economica. «Ci lascia perplessi», dicono senza mezzi termini, «la bocciatura di
alcuni candidati con un eccellente curriculum». «Costoro», scrivono i dodici
luminari, «sono ben noti fuori dall'Italia per le loro pubblicazioni, gli
interventi a conferenze e seminari, gli articoli per importanti riviste e la
coIlaborazione a progetti di ricerca internazionali». A nessuno di questi,
stigmatizzano, «è stato attribuito il titolo di professore di prima fascia e
sarebbe un terribile peccato se ciò impedisse loro la completa realizzazione
dei programmi di ricerca: la storia economica ne sarebbe impoverita». Ma non è
finita. Perché i dodici luminari sottolineano un secondo «aspetto inquietante»
dell'esito delle selezioni. Cioè che mentre i tre «colleghi di grande valore»,
come sono definiti, venivano esclusi, a superare l'esame erano «candidati con un
curriculum di ricerca assai limitato in termini di pubblicazioni
internazionali». E questa, conclude la lettera, «non è la direzione verso cui
la storia economica italiana deve andare se vuole garantirsi il posto che le
spetta all'avanguardia della ricerca nel nostro campo». (Fonte: S. Rizzo,
CorSera 26-03-2014)
ASN. INFLAZIONE DI ABILITATI IN ARCHEOLOGIA
Dodici accademici dei Lincei hanno
sottoscritto una lettera, inviata al ministro dell'Istruzione, Stefania
Giannini, per protestare contro gli esiti del concorso di abilitazione per
professori universitari nel settore di Archeologia. Secondo gli accademici, il
numero di abilitati — 69 su 160 candidati per la prima fascia e 241 su 553 per
la seconda — è da considerare «spropositato»: «Se i bilanci delle università
dovessero veramente assorbire anche solo una parte di questi abilitati», come,
a loro dire, potrebbe accadere stando a taluni commi della legge Gelmini,
«saremmo nella paradossale situazione che il nostro Paese verrebbe a disporre
di un numero di professori universitari associati di archeologia oltre otto
volte superiore a quello dei pari grado nelle università dell'intera Europa a
27, un dato che getta discredito non solo sulla categoria degli archeologi, ma
su tutta l'accademia». (Fonte: CorSera 04-04-2014)
ASN. RISOLUZIONE DI PARLAMENTARI PRESENTATA IN COMMISSIONE ISTRUZIONE ALLA
CAMERA
Parlamentari del PD hanno presentato
una risoluzione in Commissione Istruzione e Università della Camera per tentare
di apportare basi stabili e certe all’intera normativa relativa all’ottenimento
dell’abilitazione scientifica nazionale. “ La ministra Giannini – spiega l’on.
Ghizzoni – ha dichiarato la propria disponibilità a semplificare il processo di
abilitazione: un impegno apprezzabile. Nell’attesa di vederlo declinato in
ipotesi di interventi, riteniamo utile indicare alcuni indirizzi di azione
concreta”. Ad esempio, per chiarire l’equivoco abilitazione=concorso, la
procedura andrebbe trasformata da “bando” a “sportello”, così che i curriculum
dei candidati – che ritengono la propria produzione scientifica corrispondente
ai previsti parametri di accesso – siano valutati singolarmente nell’ordine di
presentazione. I criteri e i parametri di valutazione andrebbero poi definiti
con il contributo degli organismi di rappresentanza e valutazione del sistema
universitario – vale a dire il Consiglio universitario nazionale, l’Agenzia
nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e il
Comitato di esperti per la politica della ricerca – e tenendo anche conto del
parere delle maggiori società scientifiche settoriali, in modo da ampliare
l’analisi preventiva della loro significatività e il conseguente consenso su di
essi. “Si tratta di un impegno che può essere assolto con un impegno di medio
periodo – spiegano gli on.li Manuela Ghizzoni e Carlo Galli – mentre
nell’immediato occorrerebbe intervenire per consentire alle commissioni della
seconda tornata di abilitazione di procedere in conformità a norme più chiare e
certe e per prevedere, in considerazione del ritardo accumulato, che essa sia
aperta anche a chi non ha ottenuto l’abilitazione nella prima tornata”. (Fonte:
Atto Camera risoluzione
in commissione 7/00327. Primo firmatario M. Ghizzoni 02-04-2014)
RICORSI AMMINISTRATIVI CONTRO LE DETERMINAZIONI DELLE COMMSSIONI PER L’ASN.
SI PARLA DI 500 RICORSI, CIRCA L’1% DELLE DOMANDE
Iniziano a essere resi noti i
risultati dei primi ricorsi amministrativi contro le determinazioni delle
commissioni per l’ASN. L’abilitazione scientifica nazionale sta ora vivendo la
fase della prova giuridica.
Com’era ragionevole aspettarsi non è
una prova facile e i primi dispositivi del TAR Lazio sono indicativi della
situazione. Al momento c’è stata camera di consiglio per 49 ricorsi per
complessivi 18 settori interessati (ben 11 ricorsi provengono dal settore
08A1); i provvedimenti cautelari sono stati disposti per 15 casi su 49 (di
questi, 5 accoglimenti sono riferibili al settore 06D3); le motivazioni di
accoglimento sono riconducibili a tre tipologie, come di seguito riassunto:
A) Competenza. A.1) Mancanza
commissario del settore e mancata richiesta parere pro veritate
B) Coerenza. B.1) Giudizio non
unanime e non riconoscibile nel collettivo la sintesi dei singoli.
B.2) Richiesto parere pro veritate
ma disatteso. B.3) Accezione di “accettabile” come giudizio negativo. C) Errori
(di tipo quantitativo). C.1) Errata (nel senso di omessa) valutazione di titoli.
C.2) Calcolo indicatori/autotutela MIUR.
Dai dati emerge un preciso e
coerente orientamento del TAR Lazio nel concedere o non il provvedimento
cautelare in funzione dei difetti di giudizio contestati.
Siamo in presenza della punta
dell’iceberg (nel pieno senso dell’espressione, in quanto si parla di circa 500
ricorsi presentati) e quindi è ancora presto per disporre di una precisa
fotografia degli esiti della fase giudiziaria su cui quindi si dovrà ritornare.
Circa 500 ricorsi presentati corrispondono a circa l’uno percento delle
domande. (Fonte: A. Pezzella, Roars 28-03-2014)
CLASSIFICAZIONI INTERNAZIONALI
CLASSIFICA DI ATENEI IN BASE ALL’ECCELLENZA ACCADEMICA
Il World Reputation Rankings di
Times Higher Education, variante "d'opinione" della più nota
classifica sulle migliori università mondiali, riconsegna a USA e Regno Unito
il primato nella qualità accademica: la top 10 è dominata dai supercollege
nordamericani (Harvard, Mit, Stanford, Berkeley, Princeton, Yale, California
Institute of Technology, Ucla) e inglesi (Oxford e Cambridge). Harvard si
conferma al primissimo gradino del podio. Rispetto al suo risultato, preso a
modello con base 100, seguono Mit di Boston (90,4), Stanford University (74,9),
Cambridge (74,3), Oxford (67,8), Berkeley (63,1), Princeton (35,7), Yale
(30,9), California Institute of Technology (29,2), Ucla (28,8).
"Solo" 11esima Tokyo (27,7), nell'edizione dello scorso anno unica
istituzione non nordamericana o britannica tra le prime 10. L'università
italiana resta fuori dalla classifica, in una graduatoria che confina
Humbdolt-Universität di Berlino e Sorbona di Parigi
tra la 71esima e l'80esima posizione. I punteggi esatti dalla 50esima posizione
in giù non sono disponibili, perché – a detta di Reuters – lo scarto è
"troppo ristretto" per essere evidenziato. A differenza del World
University Ranking, l'indice sull'eccellenza accademica redatto con la
consulenza di Thompson Reuters, la graduatoria si basa esclusivamente su
«opinioni soggettive – anche se opinioni di riconosciuti e apprezzati
accademici». I risultati, comunque, restano soggettivi. Nella definizione
fornita dal Times Higher Education, nella tipologia di domande avanzate («Dove
manderesti i tuoi laureati più brillanti?») e, soprattutto, nella distribuzione
geografica di chi ha risposto. Non è un caso che le aree con la maggior
concentrazione di questionari compilati siano quelle più rappresentate nei
quartieri alti della classifica: il 25% dei "responses" arriva dal
Nord America, il 19% dall'Europa occidentale (Regno Unito incluso.); il 13%
dall'Asia. Rispettivamente cinque, quasi quattro e più di due volte tanto i
feedback registrati tra studiosi operativi nell'Europa del Sud, pari al 5% del
totale. (Fonte: A. Magnani, ilsole24ore.com 05-03-2014)
DOCENTI. FORMAZIONE
ETÀ MEDIA DEI DOCENTI. SIAMO IN CODA AI 28 PAESI UE
L’età media alla quale si diventa professori
ordinari nel 2012 ha superato i 59 anni (attestandosi a 59,4). Anche tra gli
associati e i ricercatori, l’età si è innalzata di molto nell’ultimo
trentennio. Nel 1983 in media si otteneva la cattedra a 52,6 anni. Rispetto ad allora,
nel 2012 l’età media dei professori ordinari è cresciuta di 7,8 anni. Questo è
il secondo peggior dato di sempre (il record negativo è stato nel 2008, quando
si arrivò a 59,7 anni). Per i professori associati e i ricercatori, in media,
gli esponenti di entrambe le categorie sono più vecchi di 10 anni rispetto al
1983. Nel 2012 tra i professori universitari di seconda fascia si è raggiunto
il dato più alto di sempre: 53,4 anni di media, contro i 44,3 di trent’anni
prima. L’età media dei ricercatori è passata, invece, dai 35,9 anni del 1983 a
45,9 anni. E questa cifra, che mai era stata così alta, pare addirittura
destinata a crescere. Per effetto della messa a esaurimento, con una lenta
contrazione che ha portato il numero dei ricercatori nelle università italiane
dal picco massimo dei 25.581 del 2008 ai poco più di 24mila di oggi. Qualche
tentativo per invertire la rotta e tamponare l’emergenza dell’invecchiamento
dei nostri professori universitari è stato fatto – come l’abolizione del c.d.
fuori ruolo e i limiti alla concessione del biennio di proroga – ma sembra
essere andato a vuoto. Tanto che i numeri dell’Annuario Scienza Tecnologia e
Società 2014 rivelano che l’Italia ha solo il 12,1 per cento di professori e
ricercatori con meno di 40 anni, mentre la Germania ne ha il 49,2 per cento. In
questa speciale classifica, che ci relega all’ultimo posto tra i 28 Paesi
dell’Unione Europea e restituisce gli esatti contorni di questa emergenza, ci
superano – e non di poco – perfino la Polonia (35,8 per cento) e il Portogallo
(29,5 per cento). (Fonte: universita.it 25-03-2014)
DOTTORATO
RIDUZIONE DELLE BORSE DI DOTTORATO. NELL’UE SIAMO IN CODA PER N.RO DI
DOTTORANDI PER 1000 ABITANTI
A rilevare una drastica riduzione
dei posti di dottorato è l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca
Italiani (Adi) alla luce di quanto previsto dalle «Linee
guida per l'accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato» emanate dal
MIUR il 24 marzo. Il numero delle borse di dottorato dovrà essere congruo
rispetto al numero di posti messi a bando per evitare un elevato numero di
dottorandi senza borsa. II ministero ritiene congruo un numero di borse pari ad
almeno il 75% dei posti disponibili. L'Adi, che chiede il superamento della
figura del dottorando senza borsa, ritiene che la percentuale del 75% vada
raggiunta e superata attraverso la copertura con borsa per tutti i dottorandi
(nel 2011-2012, 13.218) e non attraverso una drastica riduzione dei posti,
«Crediamo, - spiega l'associazione - che in un contesto come quello attuale,
caratterizzato da una grave condizione di sottofinanziamento del Dottorato,
molti atenei potrebbero scegliere di soddisfare il requisito del 75% tagliando
i posti». L'Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di dottorandi ogni
1.000 abitanti: 0,6 contro i 3,8 della Finlandia, 2 della Grecia, 1,4 della
Gran Bretagna, gli 1,1 della Francia. (Fonte: Il Manifesto 28-03-2014)
UNIBO. RIENTRANO NEL DOTTORATO DOPO L’ELIMINAZIONE DEL DIVIETO DI LAVORARRE
Una nuova chance per circa una
dozzina di studenti che hanno rinunciato al dottorato perché lavoravano. Il MIUR
ha, infatti, eliminato, con le “Linee guida sul dottorato”, il divieto di
lavorare per i dottorandi. Il prorettore dell’UNIBO Dario Braga ha annunciato
che saranno richiamati e potranno rientrare nel dottorato, ovviamente senza
borsa. Il divieto era il frutto di un Decreto ministeriale del febbraio 2013,
quando ministro era Profumo, che stabiliva che “l’ammissione al dottorato
comporta un impegno esclusivo e a tempo pieno“, anche per i dottorandi senza
borsa. L’Alma Mater aveva recepito il testo a luglio, rendendolo vincolante per
i dottorati iniziati a gennaio 2014. Sono circa 350-400 studenti ai quali Braga
prevede che verrà esteso il nuovo regolamento. Per essere effettiva la modifica
del regolamento dovrà essere approvata nel Senato Accademico di aprile. (Fonte:
D. Aguiari, radio.rcdc.it 31-03-2014)
DOTTORATI.
CRITICITÀ DEI CRITERI DI ACCREDITAMENTO
Come già osservato sia da Roars sia
da CUN e CRUI, una delle criticità dei criteri ANVUR per l’accreditamento dei
dottorati di ricerca è costituita dal fatto che essi fanno riferimento ai voti
VQR individuali dei membri del collegio. Si tratta di un’informazione che i
singoli non sono tenuti a fornire e, di conseguenza, la proposta di un collegio
dei docenti diventa una specie di scommessa al buio. Un avviso sul sito dell’ANVUR,
comunica però la possibilità di chiedere una pre-valutazione degli indicatori
VQR e l’ANVUR, da novello Minosse, riceverà la confessione, esaminerà le colpe
e, pur senza cingersi la coda, segnalerà le soglie che non vengono superate.
Se da un lato, questa pre-valutazione
aiuterà gli atenei a superare le forche caudine bibliometriche
dell’accreditamento dei dottorati, non si può fare a meno di notare la messa in
pericolo della riservatezza dei voti VQR. Per fare un esempio, immaginiamo che
un dottorato chieda il calcolo degli indicatori per una data composizione del
collegio dei docenti. L’ANVUR comunica il mancato superamento di una o più
soglie bibliometriche per R e X. Per ovviare al problema, è rimosso dal
collegio uno dei membri, e viene chiesto un nuovo calcolo all’ANVUR. Se la
nuova valutazione diventa positiva, vengono, di fatto, rilasciate informazioni
sulla valutazione VQR di un singolo docente. In effetti, da più parti era stato
obiettato che l’utilizzo dei voti VQR era del tutto improprio. Come precisato
dalla stessa agenzia, l’ANVUR sottolinea che i risultati della VQR non possono
e non devono essere utilizzati per valutare i singoli soggetti. I motivi sono
molteplici, e qui ne citiamo alcuni rilevanti: la scelta dell’associazione
prodotti-soggetti valutati, dettata dall’ottimizzazione del risultato di
struttura e non del singolo soggetto, la richiesta di conferire solo tre
prodotti di ricerca pubblicati in sette anni, che costituiscono in molti
settori della scienza un’immagine della produzione complessiva dei singoli
soggetti molto parziale, la non considerazione del contributo individuale al
prodotto nel caso di presenza di coautori, e, infine, l’utilizzo di metodi di
valutazione la cui validità dipende fortemente dalla dimensione del gruppo di
ricerca cui sono applicati. (Fonte: M. Bella, Roars 25-03-2014)
ACCREDITAMENTO DEI DOTTORATI. INTERVIENE IL MINISTRO
Roars ha segnalato il 26-03-14 la
nota del ministro Giannini relativa all’accreditamento dei dottorati. Il
Ministro richiama l’esigenza di una semplificazione dei processi e mette in
guardia dall’uso delle mediane per la valutazione dei collegi di dottorato. Si
veda il testo della nota in questo link.
FINANZIAMENTO
FINANZIAMENTI ALLA RICERCA
L’Italia presenta una spesa in
ricerca e sviluppo pari all’1,25% del PIL, valore nettamente inferiore alla
media europea e alla media dei paesi OCSE (2,37%). Lo scarto è dovuto in larga
parte al settore privato, ma anche la spesa in ricerca e sviluppo nel settore
pubblico è significativamente inferiore alla media OCSE: tra il 2006 e il 2010
a fronte di una media OCSE pari allo 0,7% del PIL, il settore pubblico in
Italia ha investito lo 0,52%, ovvero circa un terzo in meno (si tratta di circa
3 miliardi di euro l’anno). Negli ultimi anni sono stati ridotti drasticamente
i finanziamenti dal MIUR all’università (-20% in termini reali dal 2009, oltre
un miliardo in termini nominali) e il personale strutturato (docenti e
ricercatori) si è ridotto del 15%. Il fondo di finanziamento agli enti di
ricerca vigilati del MIUR è rimasto relativamente costante in termini nominali.
Si sono invece drasticamente ridotte le risorse per finanziare progetti su base
competitiva come i PRIN e i FIRB, prosciugando una fonte importante di risorse
per lo sviluppo di progetti di ampio respiro. L’Italia continua così ad avere
un numero di ricercatori molto inferiore agli altri principali paesi europei,
sia in assoluto sia in rapporto alle forze di lavoro, che riduce anche la
nostra capacità di competere per le risorse comunitarie: l’Italia contribuisce
per il 13,9% al budget comunitario, ma riceve circa il 9,4% dei fondi dei
programmi quadro. Se tuttavia si rapportano le risorse ottenute al numero dei ricercatori,
l’Italia sopravanza Francia, Germania e Spagna. Ovvero parte rilevante del gap
tra contribuzione e fondi è da imputare alla dimensione asfittica del settore e
allo scarso investimento di risorse nazionali. Questo pone problemi anche per
le nostre ambizioni nell’ambito di Horizon 2020, programma che mette a
disposizione della ricerca un ammontare notevole di risorse, cui, per quanto
detto, non ci si può tuttavia illudere di attingere per sostituire gli
investimenti nazionali. (Fonte: Audizione
ANVUR presso Ufficio Presidenza VII Commissione Senato 12-03-2014)
ON LINE. SITI INTERNET. RISORSE EDUCATIVE APERTE
OPEN EDUCATION: SVILUPPO DI UN MOOC PER SCUOLE E UNIVERSITÀ ITALIANE
NELL'AMBITO DEL PROGRAMMA "TALENT ITALY"
In un Avviso (20-02-2014) del
Direttore Generale del MIUR per la presentazione di proposte in risposta a
"sfide" di innovazione sociale nell'ambito del programma "Talent
Italy", all’art. 2 si legge:
Open Education: sviluppo di un MOOC per Scuole e Università italiane.
Negli ultimi anni, i Massive Online
Open Course ("MOOC"), corsi online aperti a un numero potenzialmente
elevatissimo di studenti, stanno diventando sempre più popolari. L'idea di
utilizzare il World Wide Web per tenere corsi online fruibili da migliaia di
studenti di ogni età e provenienza geografica, dopo un'originaria diffusione
negli Stati Uniti d'America, si sta affermando anche in Europa e nel resto del
mondo. Tale diffusione è facilitata dalla maggiore disponibilità della banda
larga e dalla crescente popolarità di dispositivi digitali. I MOOC, infatti,
sembrano un modo attraente per espandere l'esperienza in aula e raggiungere, in
maniera economica ed efficace, autodidatti di ogni tipo: dai lavoratori alle
persone con disabilità, dagli abitanti di aree rurali a quelli di aree in via
di sviluppo.
Sebbene sia difficile stimarne con
precisione l'impatto, una maggiore diffusione di esperienze educative sotto
forma di MOOC risulta di notevole rilevanza sociale, culturale, civile ed
economica. Per ottenere la massima efficacia da tale tipologia di corsi, oltre
ad un elevato livello qualitativo dei contenuti, è fondamentale assicurare un
approccio esperienziale all'apprendimento. Un MOOC deve garantire anche massima
apertura (ad esempio mediante licenze libere Creative Commons) e tutela della
privacy degli studenti. MOOC con contenuti liberi e che rispettano i fruitori
possono diventare un'importante estensione della didattica tradizionale e una
modalità inclusiva di trasmissione della conoscenza.
Per le proposte di MOOC si veda il testo integrale dell’Avviso.
DIFFUSIONE DEI MOOCS (MASSIVE ONLINE OPEN COURSES)
Oggi nel mondo si contano 700 MOOCS
(erano solo 100 nel 2012), per un totale di 1.200 corsi proposti da 345 università.
In Europa il progetto coinvolge soprattutto la Finlandia, dove il sistema è
progettato per essere utilizzato anche da mobile, il Regno Unito, la Germania, l’Irlanda
e la Francia, oltre alla piattaforma sovranazionale OpenupEd, nata con il
sostegno dell'Unione europea. Un fenomeno in rapida espansione che ha visto
crescere in poco meno di un anno gli studenti "a distanza" da 1,5
milioni a 2,8 milioni (dati a marzo 2013): secondo la Babson Survey Research
Group, le iscrizioni ai corsi online sono aumentati del 29% tra il 2010 e il
2013, per arrivare a un totale di oltre 6,7 milioni. Un dato significativo,
soprattutto a fronte del calo d’iscritti nelle università tradizionali. La
maggior parte dei corsi è nell'area umanistica, seguiti da informatica e ingegneria.
Ma l'offerta formativa dei MOOCS non si limita ai corsi universitari: solo per
fare un esempio, si contano 66 Mba di buon livello, elencati nell'annuale
classifica del Financial Times, dei quali oltre la metà in Europa (in
particolare Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi e Svizzera).
Non mancano però ombre in un sistema
formativo che vede un tasso di abbandono altissimo, intorno al 90%, e sul quale
pesa il digital device (ne sono esclusi per esempio tutti quelli che non hanno
la possibilità di un accesso online). (Fonte: E. Della Ratta, IlSole24Ore
17-03-2014)
GLI
ATENEI ITALIANI SUI SOCIAL NETWORK. UNA RICERCA DEL POLITO
Per la prima volta a fotografare la
presenza sul Web dei nostri atenei è la ricerca #socialUniversity, condotta dal
«Centro Nexa su Internet & Società» del Politecnico di Torino. La
mappatura, che si è concentrata sulle buone pratiche e sugli aspetti ancora
migliorabili, ha rilevato che l’80% delle università ha almeno un account
Facebook, il più diffuso dei social network, e il 76% cinguetta su Twitter,
sfruttato soprattutto dai grandi atenei. A guidare la carica delle «social
università» sono i centri del Nord (è presente il 90% degli atenei), mentre nel
Sud la presenza si ferma al 45%. Se per la maggior parte degli istituti l’anno
della svolta digitale è stato il 2011, scorrendo il rapporto si scopre che i
pionieri sono stati il Politecnico di Torino (su Facebook dal 2008) e
l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (su Twitter dal 2009). Un
dettaglio importante è scoprire chi gestisce i canali: bene, dietro la maggior
parte degli account ci sono le strutture che si occupano della comunicazione
esterna degli atenei. Attenzione, spiegano i ricercatori, il fatto che il 7%
dei canali Facebook e il 9% dei profili Twitter sia «appaltato» a uffici che
seguono esclusivamente la comunicazione social, lascia intravvedere la
possibile emersione di figure professionali ad hoc anche all’interno delle
università. Ma cosa combinano le facoltà in Rete? Facebook è usato soprattutto
per interagire con gli studenti, Twitter funziona invece per la diffusione
delle notizie.
Quali sono gli atenei più
trasparenti? La ricerca ha rilevato informazioni quantitative sul seguito dei
canali social non limitandosi a considerare il dato assoluto, ma - attraverso
un incrocio di statistiche - rapportandolo alla popolazione attesa sui social
delle diverse università.
A livello assoluto, le prime dieci
università per numero di follower sono quasi tutte statali, a causa delle
dimensioni, tuttavia nelle classifiche relative alla «popolazione attesa»
primeggiano gli istituti privati di medie dimensioni, le università per
stranieri e i centri di ricerca. Gli atenei più attivi su Twitter sono
l’Università di Scienze gastronomiche, la Scuola superiore di Studi avanzati di
Trieste e la Normale di Pisa. Su Facebook, a guidare il gruppo c’è l’Università
tematica Pegaso.
Se a livello di presenza ci siamo,
per quanto riguarda l’interazione i nostri atenei sono rimandati a settembre.
Su Facebook, infatti, il 43% dei canali non permette agli utenti di lasciare
messaggi in bacheca. Su Twitter invece, l’analisi degli ultimi 200 tweet per
ogni account al 27 ottobre 2013 ha evidenziato come, in media, il 2% siano
messaggini di risposta, e come quasi la metà dei profili (il 44%) non ne abbia
mai pubblicato nessuno. C’è un altro punto per cui l’Italia è indietro rispetto
alle università internazionali: le facoltà straniere in genere usano Twitter
per divulgare i risultati della loro ricerca. Noi ancora non lo facciamo.
Ma attenzione, non di soli Facebook
e Twitter è fatto il Web: la ricerca di Nexa ha anche rilevato che YouTube è il
terzo social network per popolarità tra gli atenei, con il 61% che possiede
almeno un account, utilizzato per condividere principalmente estratti di
conferenze, materiale promozionale e lezioni. Riguardo alle videolezioni, il
19% è presente su iTunes U di Apple, che permette di distribuire materiale
didattico gratuito. (Fonte: G. Bottero, La
Stampa 27-03-2014)
PROFESSIONI. LAUREE. OCCUPAZIONE
ASPETTATIVE DEI GIOVANI LAUREATI PER L’INSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO
"I giovani sfidano il futuro:
Dall'impiego all'impegno", indagine che la società di consulenza Bain
& Company ha realizzato per fotografare le aspettative dei giovani laureati
italiani in procinto di entrare nel mercato del lavoro, alla vigilia
dell'adozione delle concrete misure attuative del Programma UE Youth Guarantee,
che attribuirà al nostro Paese oltre 500 milioni di euro per migliorare le
opportunità di orientamento, di formazione e d’inserimento lavorativo del
segmento più giovane della popolazione.
Il sondaggio è stato condotto on line
su un campione di 1.000 giovani, un terzo dei quali residente in tre Regioni
del Nord (Lombardia, Piemonte e Veneto), oltre la metà di età inferiore a 24
anni e per due terzi iscritto in corsi universitari principalmente di Economia,
Ingegneria e Giurisprudenza. Ai partecipanti all'indagine è stato chiesto di
conoscere le loro priorità, la disponibilità all'impegno e la tipologia delle
rinunce che sono in grado di sopportare per avere successo. I risultati
appaiono tutt'altro che deludenti, ben lontani dallo stereotipo che li aveva
descritti come bamboccioni, indignados o sfigati: si definiscono generatori di
idee ambiziose e pronti a investire seriamente su loro stessi e sulle loro
aspirazioni e ad accettare difficoltà e rischi di fare impresa pur di perseguire
con passione e tenacia la propria strada.
Abbastanza positivo il giudizio nei
confronti del sistema accademico, che a loro avviso li aiuta a creare le basi
per la propria carriera, ma non garantisce una connessione al mondo del lavoro
e della classe dirigente, vista come esempio di coraggio e di eccellenza, che
non promuove però sufficientemente un ambiente meritocratico e la crescita
giovanile. Più negativa la fiducia espressa nei confronti delle istituzioni
pubbliche, accusate di non favorire l'imprenditorialità, e ancor più (88% dei
pareri espressi) nei confronti delle banche e dei finanziatori, rimproverati di
non contribuire a sufficienza alla nascita e allo sviluppo di nuove aziende.
(Fonte: A. Lorenzi, rivistauniversitas 11-03-2014)
TASSI DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
Nel primo Rapporto sullo stato del
sistema universitario e della ricerca redatto da ANVUR, si legge che per cento studenti
entrati nel 2003-04 (sono gli anni del boom delle iscrizioni a seguito dell’introduzione
della riforma nota come “3+2” o come “processo di Bologna”, fortemente voluto
dall’allora ministro Berlinguer) dopo nove anni (nel 2012-13) solo poco più
della metà ha terminato il suo percorso triennale. Il sistema universitario
italiano è, infatti, noto per avere tassi di abbandono troppo elevati,
specialmente quando confrontati a quelli equivalenti di altri paesi europei,
nell’ordine del 40 per cento per il segmento di base. Quando si osserva una
figura analoga per il segmento magistrale i tassi di abbandono si riducono al
20 per cento, ma ovviamente si cumulano ai precedenti. A partire dai dati
sull’anagrafe studenti possiamo quindi ricostruire una “contabilità degli
abbandoni” di questo tipo: dati 100 studenti che s’iscrivono in un corso di
laurea triennale, solo 55 conseguono il titolo. Di questi si iscrive alla
magistrale nel 2012 solo il 47,4 per cento, ovvero 26 studenti. Anche in questo
caso conosciamo i tassi di successo finale a un massimo di otto anni, che è
pari al 57,2 per cento. Arriviamo così a quattordici laureati magistrali per
cento iscritti a un corso di laurea triennale. (Fonte: D. Checchi, lavoce.info
18-03-2014)
COSTO DEI LAUREATI. CONFRONTI SU DATI OCSE
Il dibattito sulle inefficienze e
sui presunti sprechi dell'università italiana, che pur sono presenti, è stato
viziato da analisi poco rigorose, discutibili operazioni di data mining e
pregiudizi. In pochi sono andati a controllare la documentazione Ocse, che
restituisce un quadro ben diverso. Fatto 100 il costo di un laureato italiano
nel 2009 (43.218 dollari), prima quindi che si verificassero i tagli degli
ultimi governi, a parità di potere d’acquisto, un laureato spagnolo costava
182, uno tedesco 207 e uno svedese 239 (Ocse, 2012). Un’efficienza complessiva
del sistema, quella palesata da questi dati, che paghiamo a caro prezzo in termini
di difficoltà a potenziare la qualità dell’offerta didattica e, soprattutto, a
offrire servizi di supporto alla didattica e a sostegno del diritto allo
studio, a tutto detrimento degli studenti più svantaggiati e a più elevato
rischio di abbandono. Va rilevato che il riferimento al presunto peso eccessivo
della spesa universitaria in conto corrente e, in particolare, di quella
relativa al personale docente, non trova riscontro nella documentazione Ocse. Le
prime in Italia hanno un’incidenza sulla spesa totale del 90,8%, inferiore alla
media europea a 21 paesi (91%) e a quella dei paesi Ocse (91,2%). La spesa per
il personale docente ha un’incidenza sulla spesa in conto corrente del 35,9%,
decisamente inferiore alla media europea a 21 paesi (42,7%) e a quella media
dei paesi Ocse (41,6%). Il Regno Unito, spesso segnalato come esempio virtuoso,
presenta un’incidenza rispettivamente del 94,9% e del 43,1%. Non vorrei che la
conclusione dei politici fosse di continuare a ridurre risorse per aumentare
l'efficienza. L'asino di Buridano è una storia molto ignorata nella politica di
questi ultimi anni in Italia e in Europa. (Fonte: F. Ferrante a commento
dell’articolo di D. Checchi, lavoce.info 18-03-2014)
I MASTER E LA PREPARAZIONE PROFESSIONALE
Insieme all’inseguimento della
preparazione professionale con i corsi di laurea, abbiamo assistito all’introduzione
dei master di primo (dopo i tre anni) e di secondo livello (dopo la laurea
magistrale). Tuttavia la loro fisionomia normativa non è stata del tutto
definita in modo univoco: dovrebbero servire all’avviamento al mondo del
lavoro, ma spesso hanno la caratteristica di un ulteriore corso aggiuntivo a
quelli universitari, creando ulteriori specializzazioni spesso sconnesse col
territorio. E ciò deriva dal fatto che coesistono insieme i master regolati
dalle normative nazionali emanate per l’università e i sistemi di alta
formazione, e quelli invece organizzati da soggetti privati di diversa natura e
qualità.
Abbiamo dunque nell’universo
“master” una sorta di polarizzazione tra due realtà: i master universitari e
quelli non-universitari, con inevitabili confusioni e possibilità d’inganno.
Quelli universitari dovrebbero dare la certezza di una qualità certificata e
una serietà nell’organizzazione e nel curriculum che riflette il prestigio e il
livello qualitativo delle singole università e dei loro docenti. Tuttavia essi
non sempre sono connessi in modo organico al mondo lavorativo e a volte (specie
in ambito umanistico) rispondono prevalentemente a esigenze disciplinari
interne al mondo accademico; inoltre – a causa di un’assenza di
riorganizzazione normativa – si sovrappongono in maniera poco chiara a tutti
gli altri titoli che le università rilasciano. Infatti, avendo i master la
duplice funzione di “perfezionamento scientifico” e/o di “qualificazione
professionale”, in parte si sovrappongono ai corsi di dottorato, a quelli di
specializzazione e ai diplomi di perfezionamento di vario tipo che – secondo la
normativa italiana – possono essere rilasciati dalle università italiane. Cosicché
essi più che distinguersi per le finalità o le figure che formano, finiscono
per essere diversi dagli altri titoli solo per le specifiche normative e i
regolamenti che li reggono. Di contro i master non universitari sono, nei casi
virtuosi, espressione diretta del mondo del lavoro, delle professioni o delle
stesse aziende e quindi incanalano i propri studenti verso uno sbocco
occupazionale ben definito e che dà una qualche garanzia di “placement”, visto
che sono gli stessi interessati che programmano questi master, anche in base alle
proprie esigenze occupazionali. Sono ovviamente possibili master universitari
che sono organizzati con la partnership di aziende o gruppi di aziende e che
quindi dovrebbero presentare il vantaggio delle due tipologie prima descritte;
ma questi sono casi fortunati e per lo più gestiti da quelle università
specializzate (come la Bocconi) o direttamente legate al mondo produttivo (come
la LUISS). Ma anche in questo caso persiste la sopra menzionata sovrapposizione
tra questi master e gli altri titoli rilasciati dalle stesse università che li
organizzano. Il master, così com’è stato implementato in Italia, appare
un’occasione sprecata, in quanto finisce il più delle volte per sovrapporsi
senza frutto ai percorsi di laurea, reduplicando una ricerca per la
preparazione professionale che nell’università, per quanto si faccia, è sempre
difficile conseguire. (Fonte: F. Coniglione, Roars 22-03-2014)
RIFORMA DELLE PROFESSIONI. LA FORMAZIONE CONTINUA
Sono oltre un milione, i
professionisti che, dal primo gennaio 2014, si trovano a dover fare i conti con
un nuovo impegno fisso dal nome “formazione continua”. Inserita nella riforma
delle professioni con il DPR 137/2012, la previsione riguarda quasi tutti gli
iscritti a un Albo professionale, con esclusione degli avvocati, il cui
aggiornamento è determinato dalla riforma forense, approvata sempre in
parallelo nel 2012.
A cambiare, per l’esattezza, è il
metodo di riconoscimento dei crediti formativi, con, di conseguenza, ricadute
pesanti anche sul sistema di enti deputati all’erogazione dei punti di
aggiornamento necessari per restare al passo con i colleghi. A questo
proposito, modifiche pesanti hanno subito anche le procedure di accreditamento
degli istituti di formazione, che, per tenere corsi, convegni, conferenze o
moduli di insegnamento passibili di formazione professionale, dovranno ottenere
l’ok dal Consiglio dell’ordine di riferimento, previo parere del ministero
della Giustizia. Si veda il testo
sul regolamento inerente alla formazione nella riforma delle professioni.
(Fonte: leggioggi.it
20-03-2014)
CONTRATTI DI FORMAZIONE MEDICA SPECIALISTICA. UN DOCUMENTO DEL CUN
Il Consiglio Universitario Nazionale
ha approvato una raccomandazione riguardante il finanziamento dei contratti di
formazione medica specialistica e la pubblicazione del bando di indizione del
concorso. Si veda
raccomandazione CUN dell’11 marzo
2014 “finanziamento
contratti formazione medica specialistica e bando di concorso”, in cui, tra
l’altro, si legge: “considerato che la previsione attuale del numero di posti
all’interno delle scuole di specializzazione sia insufficiente a fronte del
numero di laureati e del fabbisogno di personale medico specialista in Italia
nei prossimi anni; che una ulteriore diminuzione del numero di contratti di
specializzazione medica potrà determinare ripercussioni negative sulle
prospettive del sistema sanitario pubblico, precludendo inoltre a molti
studenti che conseguono la laurea magistrale in Medicina e Chirurgia la
possibilità di proseguire l'ordinario percorso di studio verso la
specializzazione medica; si ritiene che
sia ineludibile l’esigenza di provvedere al reperimento delle risorse
aggiuntive necessarie all’incremento del capitolo di spesa relativo ai
contratti di formazione medica specialistica a finanziamento ministeriale; che
sia necessario procedere con urgenza alla pubblicazione del bando del concorso
osservando tempistiche tali da consentire ai candidati un'adeguata
organizzazione della propria preparazione; che sia urgente riattivare la
Commissione Tecnica sulle Scuole di Specializzazione in modo tale da consentire
la prosecuzione dei lavori sulla revisione degli ordinamenti e delle regole di
attivazione e
monitoraggio delle Scuole di
Specializzazione, nonché affrontare le problematiche riguardanti l’accesso dei
laureati “non medici” e dei rapporti
con il Sistema Sanitario Nazionale”.
LAUREATI. PERCENTUALI DI OCCUPATI E GUADAGNI
Ad aiutare le future matricole nella
loro scelta, è intervenuto il consorzio interuniversitario AlmaLaurea, che
anche quest’anno ha presentato il Rapporto sulla condizione occupazionale dei
laureati, frutto di 450mila interviste di ex studenti di 64 Atenei a dodici
mesi dal titolo. Agraria, Medicina e Professioni sanitarie occupano il podio
della classifica in termini occupazionali, mentre il fanalino di coda, con meno
di un occupato su due, è l’ambita e richiestissima facoltà di Giurisprudenza. Al
comando nella classifica di chi guadagna di più, invece, si trova il laureato
di primo livello in Ingegneria, con uno stipendio medio esattamente doppio rispetto
al dottore in Scienze della Formazione. Ecco la classifica con tanto di
percentuali di occupati e guadagno medio:
1. Agraria (95%, 958 euro); 2.
Medicina e Chirurgia (92,5%, 1372 euro); 3. Professioni Sanitarie (91,9%, 1378
euro); 4. Ingegneria, I livello (91,7%, 1435 euro); 5. Ingegneria Edile e
Architettura (82,1%, 896 euro); 6. Lingue e Letterature Straniere (80,4%, 937
euro); 7. Farmacia (78,6%, 1228 euro); 8. Scienze Politiche (77,4%, 1038 euro);
9. Economia (72,3%, 1125 euro); 10. Architettura (72%, 756 euro); 11. Lettere e
Filosofia (66,5%, 915 euro); 12. Scienze della Formazione (52,5%, 714 euro); 13.
Giurisprudenza (41,4%, 822 euro). (Fonte: oltrelostretto.blogsicilia.it
29-03-2014)
RECLUTAMENTO
UN DECALOGO DELLA CRUI PER FAVORIRE IL RECLUTAMENTO DI PROFESSORI E
RICERCATORI
Per il reclutamento ecco i dieci
punti predisposti dalla CRUI:
1) Ripristinare una normale dinamica
di ingresso al sistema universitario mediante l’adozione di un Piano Giovani
Ricercatori capace di inserire almeno 1.500 giovani all’anno per 5 anni. Con
ciò verrebbe arrestata l’emorragia iniziata nel 2009 e si offrirebbe
un’opportunità ai migliori giovani studiosi formati nei dottorati di ricerca e
nei percorsi post-dottorali.
2) Rendere autonomi gli atenei nella
programmazione del personale, nei limiti delle risorse disponibili, per quanto
attiene alla ripartizione delle varie categorie, preservando solo un equilibrio
generazionale in particolare a favore dei giovani (ad esempio, imporre una
soglia minima da riservare ai ricercatori).
3) In coerenza con quanto previsto
al punto 2), eliminare il vincolo imposto dal D.lgs. 49/2012 fra la chiamata di
professori ordinari e la chiamata di ricercatori a tempo determinato di tipo B
che crea un collo di bottiglia per tutti quelli che sono in possesso dell’abilitazione
scientifica nazionale.
4) Rendere più agevole il
finanziamento di cattedre con fondi esterni. Il vincolo di una convenzione di
durata almeno quindicennale (articolo 18, comma 3, legge 240) ha di fatto
bloccato tale forma di supporto alle università, spesso proveniente dal sistema
delle imprese. Occorre ridurre tale durata a 7-8 anni, anche in relazione alle
chiamate per semplice up-grading, e prevedere crediti d’imposta o integrale
deducibilità in favore degli eroganti.
5) Agevolare la stipula di
convenzioni fra università e servizio sanitario per posizioni di professore
universitario, anche a tempo determinato, coperte da personale medico
ospedaliero. In particolare, mantenere a carico del servizio sanitario gli
oneri stipendiali già in atto del personale medico ospedaliero che risulti
vincitore di concorso a professore (articolo 18, legge 240).
6) Incrementare la circolazione dei
docenti e dei ricercatori, sia promuovendo/incentivando il ricorso alla
procedura di cui all’articolo 18 della legge 240 e alle chiamate dirette di cui
all’art. 4 del DM 8 agosto 2013, sia mediante “chiamate temporanee” per un
periodo di 3-5 anni, anche in relazione a progetti ed esigenze specifiche degli
atenei.
7) Annullare le attuali scadenze dei
punti organico attribuiti agli atenei, in particolare, visti i ritardi non
imputabili alla responsabilità degli atenei, quelli relativi al Piano
straordinario per la chiamata di professori associati attualmente fissata per
il 31 ottobre 2014.
8) In relazione agli incentivi
previsti dall’art. 6 del DM 8 agosto 2013, prolungare il termine per le
assunzioni di ricercatori di tipo B, attualmente fissato al 30 aprile 2014, per
concorsi già banditi e in corso di svolgimento, e comunque in caso di ritardi
non imputabili alla responsabilità degli atenei.
9) Riflettere sulla praticabilità
per il futuro delle modalità di svolgimento dei concorsi per le abilitazioni
nazionali che hanno generato profonde difformità tra i vari settori, senza che
a ciò corrispondano reali esigenze di copertura da parte degli atenei.
10) Superare il concetto (non
previsto da alcuna normativa) di punti organico e le relative “scadenze”.
(Fonte: IlBo 21-03-2014)
RECLUTAMENTO. SOLUZIONE MERITOCRATICA IN QUATTRO PUNTI
Benché la legge preveda due tipi di
concorso dopo le abilitazioni (uno in teoria più aperto agli esterni e uno
«chiuso», destinato agli abilitati interni), coloro che sono fuori dalle
università hanno pochissime probabilità di entrarvi. Il motivo è di carattere
finanziario. Si renda pari a 1 il costo massimo di un docente universitario (il
professore ordinario). Se un ricercatore già «interno» e abilitato passa il
concorso chiuso (o quello più aperto agli esterni), costerà al dipartimento
solo 0.2 (se diventa professore associato) o 0.5 (se diventa ordinario). Se
invece il vincitore di una prova aperta è «esterno», costerà al dipartimento
0.7 (se si tratta di un posto di associato) o 1 (se si tratta di un posto di
ordinario). Analoghe considerazioni valgono per abilitati che sono già
professori associati. Visti i magri bilanci delle università, inevitabilmente
si finirà per scegliere ricercatori e associati «interni», che saranno difesi
da invasioni esterne anche per ovvi motivi di colleganza consolidati e malgrado
il fatto che tra i candidati esterni potrebbe esserci qualcuno più meritevole.
Tra l'altro, il dipartimento potrebbe decidere di non chiamare un vincitore
meritevole a lui sgradito, pagando un prezzo trascurabile. Ma l'esterno senza
posto dovrà ritentare la fortuna altrove, con le stesse trascurabili chances di
successo. La soluzione, però, ci sarebbe: semplice e radicale. 1) Abolire in un
solo colpo leggi, decreti ministeriali, decreti dirigenziali, interpretazioni,
abilitazioni, idoneità, valutazioni statistiche e bibliometriche, insomma tutto
quel «corpus» bizantino che regola la materia del reclutamento. 2) Rimodellare
l'agenzia di valutazione - che ha già fornito un positivo contributo alla
valutazione della qualità della ricerca («Vqr»), ma che ha dato indicazioni ben
più controverse sui criteri dei concorsi - sul modello dell'inglese «Quality
Assurance Agency for Higher Education». 3) Dopo la libera assunzione di un
docente da parte dei dipartimenti, sulla base dell'invio di un curriculum e di
un colloquio-seminario, l'agenzia avrà il compito di valutare «ex post» le
scelte dei singoli atenei, con la «chiara indicazione delle responsabilità
soggettive e oggettive delle scelte». 4) Ridistribuire, a livello nazionale, il
budget sulla base di tali valutazioni. In questo modo si renderebbero anche
superflue le attuali procedure di accreditamento delle strutture presso il
ministero! (Fonte: M. Dorato e R. Giuntini, TuttoScienze
La Stampa 12-03-2014).
IL C.D. CONCORSO A FOTOGRAFIA
I concorsi dovrebbero essere aperti
a tutti i giovani qualificati, ma alcuni professori, con il consenso delle
università e del Ministero hanno trovato il modo di riservarli a priori ad
alcuni predestinati. Lo strumento è ben noto, si tratta del cosiddetto
“concorso a fotografia” per il quale nel bando viene disegnato un “profilo” del
futuro vincitore che corrisponde esattamente al profilo scientifico del
predestinato, ad esempio corrisponde al titolo e all’argomento della sua tesi
di dottorato. Questa pratica furbesca, che consente di prescindere dal merito
scientifico dei concorrenti, è talmente ben nota che la legge la proibisce
esplicitamente. La Legge 240 del 2010
stabilisce che un eventuale “profilo” può essere specificato “esclusivamente
tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari”, per fare un
esempio si potrà specificare che il candidato debba essere un esperto di
“Probabilità e Statistica Matematica” ma non necessariamente un esperto di “Processi
di diffusione negli spazi ultrametrici”. I bandi che non rispettano la legge
dovrebbero essere censurati dal Ministero, ma questo non avviene; anzi il
Ministero stesso incoraggia questo tipo di bando consentendo la descrizione del
profilo nel sito ufficiale del Ministero. La violazione della legge potrebbe
essere eliminata attraverso il ricorso di un candidato ai Tribunali
Amministrativi, ma i ricorsi costano e nessuno può garantire che il ricorrente
che ottenga dal tribunale la cancellazione del “profilo” dal bando, risulti poi
vincitore. Complice il Ministero si sta diffondendo quindi una prassi illegale
che può portare solo danni al sistema universitario. (Fonte: A. Figà Talamanca,
Roars 21-03-2014)
Un commento di p.marcati (22-03-14) alla nota di Talamanca:
Certamente la iper specializzazione
di alcuni profili concorsuali presenta non solo aspetti di dubbia legalità’ ma
anche genera profonde ingiustizie. Bisogna però dire che, non il singolo
cattedratico, ma i dipartimenti hanno il diritto di fare scelte di
programmazione scientifica. In particolare nelle discipline sperimentali questo
poi è essenziale se si vogliono rispettare parametri razionali di economia di
scala. Non è pensabile dare un
laboratorio individuale a ogni persona, questo non porterebbe a risultati di
qualità e comporterebbe uno sperpero di denaro, quindi è necessario creare dei
gruppi che possano condividere le stesse attività sperimentali.
Anche in ambiti teorici esiste una
necessità che i gruppi di ricerca abbiano un minimo di massa critica per poter
fare delle attività significative. Un dipartimento di “singleton”, in cui
nessuno è in grado di collaborare con il collega della porta accanto non mi
pare auspicabile. Esiste allora un problema di ragionevole equilibrio nel
fornire indicazioni con un minimo di specializzazione, che evitino al contempo
fotografie individuali.
RETRIBUZIONI
DOCENTI UNIVERSITARI. TAGLI A SCATTI DI ANZIANITA’ E STIPENDI. PERSO IL 75%
DEL POTERE D’ACQUISTO IN 30 ANNI
Docenti universitari contro i tagli
agli stipendi e il blocco delle progressioni di carriera. “Nel quadriennio
2010/2014, a causa del blocco degli scatti stipendiali, – spiega la Cgu-Cisal –
un professore universitario di prima fascia a metà carriera ha perso 18.000
euro l’anno, perdita che si trascinerà per gli anni a venire. Lo stipendio di
un professore universitario è mediamente di circa 40.000 euro inferiore a
quello di un dirigente ministeriale di secondo livello e sensibilmente
inferiore a un dirigente amministrativo della stessa università in cui insegna.
Negli ultimi 30 anni lo stipendio dei docenti universitari ha perso il 75% del
suo originario potere di acquisto”. “Nel pubblico impiego – prosegue la Cgu-Cisal
– la scure dei tagli si è abbattuta quasi esclusivamente su docenti e
ricercatori universitari mentre una categoria come quella dei magistrati non è
stata scalfita grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che ha
dichiarato l’illegittimità di qualsiasi intervento del legislatore”. “I tagli
appaiono ingiusti – aggiunge la Cgu-Cisal – se si considera che con la riforma
Gelmini ai docenti è richiesto un maggiore impegno, condizionando alla
produzione scientifica realizzata i finanziamenti erogati agli atenei. Tutti
riconoscono che l’università è un settore decisivo per la crescita dell’Italia
eppure il nostro è l’unico Paese ad aver tagliato pesantemente le risorse al
sistema universitario”. “Qualora gli scatti dovessero venire nuovamente
bloccati per il 2015 – conclude la Cgu-Cisal – saremo costretti a manifestare
la nostra netta contrarietà con forme di lotta fino a ora appartenute solo ad
altre categorie di lavoratori”. (Fonte: Edscuola Press 31-03-201
RICERCA. RICERCATORI. INNOVAZIONE. VALUTAZIONE
DOTAZIONI E COMPITI DELL’AGENZIA NAZIONALE VALUTAZIONE UNIVERSITÀ E RICERCA
(ANVUR)
L’ANVUR ha una dotazione organica di
personale di 15 funzionari e 3 dirigenti, a fronte della quale ha il compito di
accreditare 4300 corsi universitari, 900 corsi di dottorato e 90 università; di
valutare le politiche di reclutamento degli atenei; di condurre la valutazione
della ricerca, i cui numeri sono stati ricordati sopra; ha inoltre il compito
di valutare l’attività amministrativa di 69 università statali e 14 enti di
ricerca vigilati dal MIUR (compiti prima assegnati alla CIVIT); deve valutare
la qualità delle riviste scientifiche su cui hanno pubblicato autori italiani
nei settori non bibliometrici (circa 20.000); deve selezionale i commissari per
l’abilitazione scientifica nazionale (7.500 candidati nell’ultima tornata);
deve curare i rapporti sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca;
deve valutare le strutture del settore dell’Alta Formazione Artistica e
Musicale (137 strutture) e altro ancora. Anche se l’ANVUR si può avvalere di
esperti esterni, è evidente che le risorse non sono minimamente adeguate ai
compiti. Per un confronto si possono vedere le dotazioni di enti di paesi che
si avvalgono di agenzie di valutazioni nazionali, come la francese AERES, la
britannica QAA e la spagnola ANECA. (Fonte: Audizione ANVUR presso Ufficio
Presidenza VII Commissione Senato 12-03-2014)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. VQR E RAE BRITANNICO
Esistono due versioni ben distinte
su quali sono gli scopi teorici della VQR. La prima è quella fornita dal
coordinatore della VQR in un’intervista rilasciata mentre la procedura muoveva
i primi passi: “Tutte le università dovranno ripartire da zero. E quando la
valutazione sarà conclusa, avremo la distinzione tra “Research Universities” e
“Teaching Universities … Ad alcune si potrà dire: tu fai solo il corso di
laurea triennale. E qualche sede dovrà essere chiusa”. La seconda versione è la Dichiarazione
Ufficiale del Presidente dell’ANVUR alla presentazione dei risultati, secondo la
quale i risultati della VQR possono
servire: a definire azioni di miglioramento da parte degli organi di governo
dell’università; a orientare le famiglie e gli studenti nella scelta
dell’Ateneo cui iscriversi; a orientare la scelta di giovani ricercatori
desiderosi di approfondire la propria formazione e svolgere ricerche nei
migliori dipartimenti; a orientare le industrie e gli enti pubblici nella
domanda di collaborazione a gruppi di ricerca competitivi per qualità e massa
critica. Per valutare in che relazione stanno queste due versioni e come si
collocano rispetto alle finalità e alla metodologia del RAE britannico che, per
molti versi, ispira la VQR italiana, si deve considerare che i RAE sono diversi
dalla VQR per i seguenti motivi: sono evitate le graduatorie; si valuta solo la
produzione dei migliori docenti scelti dalle loro sedi; la valutazione è
affidata a commissioni (una per ognuna di 68 aree), che possono consultare
altri esperti, ma rimangono responsabili della valutazione; le Università che
appartengono a diverse macroregioni (Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e
Galles) non competono tra loro per i fondi associati alla valutazione; è stato
abolito il tetto della retribuzione dei professori in modo da consentire alle
diverse sedi di competere per assumere i docenti più attivi in ricerche di alto
livello. (Fonte: A. Figà Talamanca, Roars 09-03-2014)
RICERCA. NECESSITA FINALMENTE UN’ANAGRAFE DELLA RICERCA
Nella VQR, l’attribuzione dei prodotti ai singoli soggetti è stata fatta
dalle strutture con l’obiettivo di massimizzare il risultato per la struttura,
anche a scapito dell’attribuzione ai singoli dei loro prodotti “migliori”. Per
tale ragione, nelle regole per l’accreditamento dei dottorati, l’ANVUR ha
promesso che, tra tutti i prodotti VQR coautorati dai membri del collegio, saranno
utilizzati solo quelli che hanno ottenuto la valutazione migliore. L’intenzione
è corretta, ma l’ANVUR dovrebbe rendersi conto che il sito docente non è e non
può funzionare come se fosse un’anagrafe della ricerca: i voti VQR non sono
attribuibili ai coautori (o a tutti i coautori di un ateneo) e dunque
l’indicatore A4-1 non è calcolabile nel modo in cui è stato dichiarato. Il
risultato è il peggiore possibile: un set di dati incompleto (i voti VQR che
non sono agganciati a tutti i coautori dell’ateneo ma che presentano un
aggancio casuale), utilizzato per valutare dimensioni molto piccole (i collegi)
per cui qualche decimale può fare la differenza fra l’accreditamento e il non
accreditamento. A quando l’anagrafe? Quella vera. (Fonte: P. Galimberti, Roars
28-03-2014)
RICERCA E SPERIMENTAZIONE ANIMALE. DECRETO VIOLA DIRETTIVA EUROPEA
Il neo Consiglio dei Ministri ha
approvato il Decreto legislativo che recepisce in Italia la Direttiva europea
sulla sperimentazione animale (n. 63-2010-EU) dopo i pareri espressi dalle
Commissioni parlamentari di merito. Anche se l'entrata in vigore delle norme su
sostanze d’abuso e xenotrapianti è rimandata all’1 gennaio 2017 e condizionata
dall’indicazione, entro il 30 giugno 2016, dell’effettiva disponibilità dei
cosiddetti “metodi alternativi” che dovrà essere accertata dall’Istituto
zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (art. 42),
il decreto viola in maniera palese l’art 2 della direttiva europea, che non
consente ai paesi membri di applicare legislazioni più restrittive, viola il
principio delle 3R (Replacement/sostituzione, Reduction/riduzione, Refinement/affinamento),
poiché aumenterà il numero degli animali necessari per la ricerca,
peggiorandone al contempo il benessere, colpisce al cuore la ricerca biomedica
italiana in suoi settori di eccellenza, limita la ricerca di base, da sempre
sorgente principale di scoperte utilizzate dalla medicina per la cura delle
malattie, priva il nostro paese di uno strumento fondamentale per combattere
quadri patologici nuovi e in continua evoluzione. Infine, infliggerà all’Italia
una sicura procedura d’infrazione – che la stessa comunità scientifica
nazionale promuoverà – da parte dell’Unione Europea. (Fonte: M. A. Farina
Coscioni, radicalparty.org/it
10-03-2014)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. ACCENTRAMENTO E IMPOSIZIONE DEL SISTEMA DI
VALUTAZIONE CONTRO LA COSTITUZIONE
Si rileva una contraddizione tra il
carattere nazionale delle politiche della ricerca e la natura ormai
internazionalizzata delle comunità scientifiche. E per quanto riguarda gli
indicatori della ricerca e le loro manipolazioni, più che dalla qualità degli
indicatori numerici e dei ranking, il problema nasce dall'accettazione delle
comunità che se ne lasciano governare, anche quando sarebbero in grado di
metterli in discussione o di elaborarne di migliori. Gli indicatori stimolano
anche la rinascita d’identità nazionali che ormai non hanno più ragione di
esistere. Discutendo di VQR e valutazione della ricerca, dobbiamo domandarci se
davvero esiste un "sistema universitario". In realtà, accentrando e
imponendo il servizio di valutazione è stata tradita la Costituzione. C'è stato
un "esproprio" perché le università da sempre sono state impegnate
sul fronte della loro valutazione. Ma se dobbiamo dare una valutazione
complessiva dello stato dell'università, dobbiamo dire che stiamo vivendo l'equivalente
di una guerra. Basta paragonare l'andamento delle carriere ed anche degli acquisti
di libri con quanto era accaduto a cavallo del secondo conflitto mondiale. In
tutto ciò c'è anche il ruolo dell'ANVUR che verrà ringraziato dagli avvocati perché,
avendo dato un valore legale all'esercizio della valutazione, ha portato
tantissimo lavoro ai loro studi. (Fonte: S. Cassese, Roars
11-03-2014)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. SELEZIONARE LE PERSONE MIGLIORI NON SOLO I “PRODOTTI”
La valutazione sarebbe tutt’altra
cosa se invece di giudicare i “prodotti” giudicasse le “persone” in modo da
accertarne le capacità e le qualità per fare ricerca. Se uno studioso non ha
dentro di sé il “fuoco” che lo spinge alla ricerca, la curiosità dell’indagine,
il piacere di scoprire e la soddisfazione di pubblicare quando crede di avere
prodotto qualcosa di significativo e originale, allora nessun sistema di premi
e punizioni, nessuna bibliometria o valutazione sarà in grado di cavar fuori
altro che carta straccia, buona solo a soddisfare alcuni parametri formali.
Compito del sistema di ricerca
dovrebbe essere quello di selezionare le persone migliori, quelle più di
“talento” (non i prodotti “eccellenti”: questi servono semmai al riconoscimento
a posteriori del merito) e metterle in grado – non sottoponendole a stress
valutativi inutili e creando le condizioni al contorno indispensabili per la creatività
scientifica, in primo luogo alleggerendo quanto più possibile i pesi e i
vincoli burocratici – di far fruttificare la loro intelligenza nei modi e nei
tempi dovuti: la vera ricerca, e non la produzione di carta, ha bisogno di
tempo, di pazienza, di “lentezza”, così come testimonia il caso di grandi
studiosi che per anni o addirittura per decenni hanno pubblicato poco o nulla
prima di creare la grande opera che li ha consegnati alla storia. E se non è
possibile che tutti siano grandi uomini in grado di produrre grandi opere, ciò
non toglie che anche per i piccoli che producono piccole opere (esprimendoci in
un gergo più colto: che fanno avanzare la “scienza normale”) valgono gli stessi
principi e le stesse regole: serenità, riflessione, dibattito e non frenesia
produttiva. Col sistema del “publish or perish” a morire è solo la ricerca e la
scienza autentica. (Fonte: F. Coniglione, Roars
08-03-2014)
ARTICOLI SCIENTIFICI PRODOTTI AUTOMATICAMENTE
Nel 2005 un gruppo di ricercatori
del MIT ha creato un programma (SCIgen) in grado di generare articoli
nell’ambito della Computer Science attraverso la combinazione di stringhe di
parole. Lo scopo era di confezionare articoli da presentare a convegni
nell’ambito di computer science per smascherare la scarsa attendibilità e la
poca cura nella validazione dei contributi scientifici. Lo scopo è riuscito, i
ricercatori hanno dimostrato l’inattendibilità della certificazione fatta dai
convegni della loro disciplina e SCIgen è ora liberamente disponibile e
scaricabile da chiunque a questo link.
In un’altra parte del mondo, la Francia, un ricercatore dello stesso ambito
disciplinare ha elaborato un programma in grado di individuare i paper prodotti
da Scigen. Nel 2012 questo ricercatore (Cyril Labbé) ha segnalato ad IEEE 85
paper generati da SCIgen, la maggior parte attribuiti ad autori cinesi e
presentati a convegni che si sono tenuti in Cina. IEEE ha immediatamente
rimosso gli articoli, dichiarando per il futuro una peer review più attenta. A
fine dicembre 2013 il prode ricercatore francese ha segnalato un’altra batteria
di articoli farlocchi pubblicati da IEEE e Springer. Science ha cercato di
contattare gli autori degli articoli confezionati con il programma SCIgen non
ottenendo risposta, tranne che da un autore, il quale ha sostenuto di non aver
mai scritto l’articolo che gli era stato attribuito. Un richiamo all’etica
anche attraverso sanzioni da parte degli atenei, enti di ricerca ed enti
finanziatori appare quanto mai necessario ed urgente, così come una riflessione
approfondita sul significato ultimo della valutazione che dovrebbe davvero
rappresentare una possibilità di miglioramento, e non il fine ultimo della
scienza. (Fonte: Redazione
Roars 13-03-2014)
IL SISTEMA DELLA RICERCA ITALIANO NEI DATI DEL RAPPORTO ANVUR
Se i dati noti sembrano smentire una
presunta bassa qualità del sistema della ricerca italiano, rimane aperta la
domanda sulla sua efficienza. Una prima misura di efficienza proposta dall’ANVUR
si ottiene dividendo il numero di pubblicazioni per la spesa pubblica in
ricerca e sviluppo. L’Italia si colloca al quarto posto dietro Svizzera, Regno
Unito e Svezia. Sarebbe pertanto più “efficiente” delle altre nazioni, che
includono Francia, Germania, USA e Giappone.
Un’altra misura di efficienza è data
dal rapporto tra numero di citazioni e spesa pubblica in ricerca e sviluppo. In
questo caso l’Italia occupa “solo” l’ottavo posto, ma rimane più “efficiente”
di Germania, USA, Francia e Giappone. Le misure di efficienza più facilmente
comprensibili sono quelle concernenti la produttività individuale dei
ricercatori. Purtroppo, sono anche misure che vanno lette con una certa cautela
perché la definizione del numero di ricercatori è in qualche modo convenzionale
e segue regole che potrebbero differire da nazione a nazione. Tra i problemi da
considerare, c’è la definizione di ricercatore “full-time equivalent”, dato che
i professori universitari dedicano parte del loro tempo alla didattica ed anche
la definizione delle tipologie di soggetti da contare come ricercatori. Tenendo
presenti tutti questi caveat, esaminiamo i dati riportati dall’ANVUR per i
ricercatori del settore pubblico. In quanto a numero di pubblicazioni
pro-capite l’Italia è sesta e – ancora una volta – risulta più produttiva di
Francia, Germania e Giappone. Passando al numero di citazioni, l’Italia diventa
sesta, ma precede pur sempre Germania, USA, Francia e Giappone. (Fonte: G. De
Nicolao, Roars
16-03-2014)
UN SINTESI DEL RAPPORTO ANVUR 2013 SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E
DELLA RICERCA:
- Sul piano universitario sono stati
ridotti alcuni squilibri e, nonostante la riduzione dal 2009 degli stanziamenti
pari a circa un miliardo di euro, il sistema è stato ricondotto alla
sostenibilità economica;
- il rapporto docenti/studenti è
tornato su valori elevati a causa della riduzione del personale docente, che
nel prossimo quinquennio subirà un’ulteriore contrazione di 9.000 unità per
pensionamento;
- dal 1993 al 2012 è stato
registrato un significativo aumento dei laureati, la cui quota, rapportata alla
popolazione in età lavorativa, è salita dal 5,5% al 12,7%, e addirittura dal
7,1% al 22,3% tra i giovani in età tra i 25 e i 34 anni. Nonostante sia diffusa
la percezione di un eccesso di laureati, siamo ancora lontani dalle realtà di
altri Paesi europei, che hanno già soddisfatto gli obiettivi di Europa 2020;
- nonostante alcuni progressi,
permangono problemi cronici, attenuati ma non risolti dalla Riforma e
parzialmente addebitabili alla mancanza in Italia di un’offerta di corsi
universitari a carattere professionale: ritardi nei tassi di laurea (scarse
immatricolazioni oltre i 25 anni di età) e difficoltà a laurearsi nei termini
prescritti (oltre il 40% degli immatricolati a un corso triennale non conclude
gli studi). Una mole di dati sulla dispersione, sulla regolarità degli studi e
sul tempo medio per conseguire il titolo mostra una scarsa efficienza del
sistema, ed evidenzia una frattura tra gli atenei del Nord e quelli del Centro-Sud,
in parte conseguente alle differenze già rilevate nella formazione
pre-universitaria (come mostrano i test Invalsi e Pisa).
Il settore Ricerca&Sviluppo ha
un finanziamento tra i più bassi delle grandi economie industriali,
principalmente addebitabile al settore privato. Le risorse pubbliche investite
ammontano a circa lo 0,52% del Pil (0,18% in meno della media OCSE) e non
compensano il ritardo delle imprese private. Ciò nonostante, le università e
gli enti di ricerca mostrano una qualità delle pubblicazioni scientifiche
paragonabile a quella dei principali Paesi europei, segno di adeguata
produttività e di vitalità da valorizzare. Link per chi vuole leggere le 601
pagine del Rapporto integrale: tinyurl.com/pg3t5rj . (Fonte. M. L. Marino,
rivistauniversitas marzo 2014)
RICERCA.
5.252 I PROGETTI DI PRESENTATI AL BANDO 'SIR - SCIENTIFIC INDEPENDENCE OF YOUNG
RESEARCHERS'
Sono 5.252 i progetti di ricerca
presentati da giovani scienziati under 40 in risposta al Bando 'Sir -
Scientific Independence of young Researchers' che si è chiuso lo scorso 13
marzo. Con uno stanziamento di oltre 47 milioni di euro il bando destinato ai
giovani ricercatori punta a favorire il ricambio generazionale e anche
l'indipendenza scientifica dei partecipanti.
Degli oltre 5.000 progetti
presentati 1.909 riguardano il settore delle Scienze della vita, 1.778 della
Fisica, Chimica, Ingegneria e 1.565 delle Scienze umane. Le proposte pervenute
sono circa il 40% in più rispetto alla media dei bandi destinati ai giovani
degli anni passati. E per la prima volta le donne superano gli uomini: 2.675 progetti
presentati contro 2.577.
L'età media degli studiosi in corsa
per il finanziamento è di poco superiore ai 33,45 anni, ampiamente sotto la
soglia massima dei 40 anni prevista dal bando. Tra uomini e donne la differenza
dell'età media è minima: 33,36 per i primi e 33,55 per le seconde.
Il bando 'Sir' allinea per la prima
volta la procedura di selezione dei progetti a quella dell'Erc, European
Research Council. I risultati si conosceranno entro l'autunno del 2014.
E' previsto il finanziamento di
progetti svolti da gruppi di ricerca indipendenti e di elevata qualità
scientifica sotto il coordinamento di un Principal Investigator (PI) che dovrà
essere anche lui under 40. 'Sir' prevede un importante supporto finanziario per
attrarre i migliori ricercatori e un incentivo anche per l'istituzione
ospitante nel caso in cui il PI non sia già un suo dipendente a tempo
indeterminato. (Fonte: mappamondo
24-03-2014)
RICERCA. MIUR. IN ARRIVO IL BANDO RITA LEVI MONTALCINI
Al via il nuovo bando da 5 milioni
di euro del Programma per il reclutamento di giovani ricercatori 'Rita Levi
Montalcini'. Con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del 24 marzo 2014
del decreto n. 1060/2013, sono banditi 24 posti. Il programma si rivolge a
studiosi di ogni nazionalità, in possesso del titolo di dottore di ricerca
conseguito successivamente al 31 ottobre 2007 ed entro il 31 ottobre 2010, che siano
impegnati all'estero da almeno un triennio presso istituzioni universitarie o
di ricerca. Per concorrere al bando, i ricercatori devono candidarsi entro il
22 aprile 2014, utilizzando l'apposito sito web MIUR-CINECA, indicando, in
ordine di preferenza, tre università statali presso le quali intendono svolgere
l'attività di ricerca. L'elenco dei 24 vincitori stilato dalla commissione di
valutazione sarà approvato dal Ministero dell'Istruzione, che successivamente
prenderà contatto con i vincitori e con le istituzioni indicate dai candidati.
Una volta stipulato il contratto, il Ministero trasferirà all'università
prescelta l'intero importo accordato per l'esecuzione dell'attività di ricerca
e per il trattamento economico del ricercatore. (25-03-2014)
STUDENTI
CORSI A NUMERO CHIUSO PER LE LAUREE MAGISTRALI DI AREA SANITARIA. POSTI A
BANDO
A Medicina 10.556 posti, per
odontoiatria 949 e per veterinaria 774. E questo il "verdetto finale"
del MIUR sui posti a bando per l'anno accademico 2014-2015 per le lauree
magistrali di area sanitaria. I decreti di ripartizione dei bandi - datati 10
marzo per medicina e 7 marzo per odontoiatria e veterinaria - sono pubblicati
sulla Gazzetta Ufficiale n. 76 dell’1 aprile 2014.
Il MIUR per Medicina ha messo a
bando 192 posti in meno di quelli chiesti dalle Regioni e 1.056 in più rispetto
alla richiesta di fabbisogno del ministero della Salute. Vero è che nella cifra
complessiva 573 posti sono riservati agli studenti "non comunitari non
soggiornanti", ma il numero è comunque in linea con il fabbisogno
determinato dai governatori più che con quello "mediano" della Salute
e di molto superiore rispetto alla richiesta della FnomCeO di fermarsi a 7mila
posti. Per odontoiatria i posti a bando sono invece molti di più delle
richieste analoghe di Regioni e Salute: 949 contro gli 844 dentisti indicati
come fabbisogno da governatori e ministero e comunque ben diversi dallo zero
assoluto richiesto sempre dalla FnomCeo. Per veterinaria, infine, i posti a
bando decisi dal MIUR sono 774: 117 in più rispetto alla richiesta di Regioni e
Salute e ben 283 in più rispetto al fabbisogno indicato dalla Federazione dei
veterinari.
STUDENTI. ISCRIZIONI IN GENERALE CALO MA IN RIPRESA NEGLI ATENEI DEL NORD
Negli ultimi quattro anni il saldo
negativo delle iscrizioni è stato di 37.500 studenti. Ma c'è un rapporto interno
al MIUR che prende in esame il 2013-2014 e lo confronta con la stagione
precedente rivelando che alcuni dati - dopo un decennio di discesa - sono in
crescita. In valore assoluto si perdono iscritti al Centro (quasi 4.000) e al
Sud (oltre 6.300), ma nel Nord-Ovest ci sono 438 matricole in più e nel
Nord-Est si finisce praticamente in pari, con una flessione di cinquanta
post-maturi che non hanno agganciato il primo anno accademico. Questa ripresa
degli atenei del Nord in concomitanza con lo sprofondo meridionale era stata
già avvistata in fase d'iscrizione lo scorso novembre (non tutti i
pre-iscritti, poi, hanno confermato). Lo studio inedito del MIUR rivela che c'è
una crescita di matricole al primo anno delle materie umanistiche: sono 49.284
iscritti in tutto, l'1,3 per cento in più. E gli studenti che si affacciano al
primo anno di Lettere e Storia, Filosofia e Giurisprudenza crescono in quattro
macroaree regionali su cinque: più 2,6 per cento nel Nord-est, più 1,6 nel
Nord-Ovest, più 1,8 al Centro e persino più 4,4 per cento nelle Isole. Flette
solo il Sud peninsulare. Nell'area sanitaria, che patisce la politica del
numero chiuso e subisce un tracollo al Sud (-16 per cento), il numero degli
iscritti del Nord-Est è in linea con quello dell'anno scorso (56 studenti in
meno). Negli atenei del Nord-Ovest salgono gli iscritti sia nella macroarea
didattica "scientifica" (+2,1 per cento) e in maniera lieve anche
nella macroarea "sociale". (Fonte: repubblica.it
07-03-2014)
SI RIDUCONO GLI ISCRITTI AI TEST PER I CORSI A NUMERO CHIUSO
I primi numeri forniti dal ministero
sui candidati ai test di ammissione ai corsi di laurea a numero chiuso -
Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura -, che partono l'8 aprile,
certificano un crollo piuttosto netto: quasi 24mila domande in meno rispetto al
2013/2014, un quinto delle 114mila istanze dello scorso anno. Gli studenti
puntano il dito contro l'ex inquilino di viale Trastevere, che ha avallato
l'idea del collega Francesco Profumo di anticipare il test ad aprile. Ma è
ipotizzabile una fuga dai corsi di laurea in Medicina? Per il rettore
dell'università Tor Vergata di Roma, Giuseppe Novelli, «la ex facoltà di
medicina sta perdendo appeal perché i posti per le specializzazioni sono
passati da 5mila a 3mila l’anno». «Uno studente laureato - continua Novelli - è
scoraggiato dalla prospettiva di attendere anni prima di iniziare la
specializzazione». Un calo di vocazioni che ha colpito in maniera ancora più
visibile Veterinaria - meno 25 per cento - e quella di Architettura: meno 32
per cento sul 2013 e meno 42 rispetto al 2012. «Le possibilità lavorative per
gli architetti si sono ridotte e le famiglie faticano a mantenere i figli agli
studi», spiega Renato Masiani, preside alla Sapienza. Per Leopoldo Freyrie,
presidente dell'ordine degli architetti, è la crisi a colpire duro. «Negli
ultimi tre anni il comparto dell'edilizia ha perso il 50 per cento del
fatturato e 650mila operatori hanno perso il lavoro». (Fonte: S. Intravia, La
Repubblica 17-03-2014)
TASSI DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
Nel primo Rapporto sullo stato del
sistema universitario e della ricerca redatto da ANVUR si legge che per cento studenti
entrati nel 2003-04 (sono gli anni del boom delle iscrizioni a seguito dell’introduzione
della riforma nota come “3+2” o come “processo di Bologna”, fortemente voluto
dall’allora ministro Berlinguer) dopo nove anni (nel 2012-13) solo poco più
della metà ha terminato il suo percorso triennale. Il sistema universitario
italiano è, infatti, noto per avere tassi di abbandono troppo elevati,
specialmente quando confrontati a quelli equivalenti di altri paesi europei,
nell’ordine del 40 per cento per il segmento di base. Quando si osserva una
figura analoga per il segmento magistrale i tassi di abbandono si riducono al
20 per cento, ma ovviamente si cumulano ai precedenti. A partire dai dati
sull’anagrafe studenti possiamo quindi ricostruire una “contabilità degli
abbandoni” di questo tipo: dati 100 studenti che si iscrivono in un corso di
laurea triennale, solo 55 conseguono il titolo. Di questi si iscrive alla
magistrale nel 2012 solo il 47,4 per cento, ovverosia 26 studenti. Anche in
questo caso conosciamo i tassi di successo finale a un massimo di otto anni,
che è pari al 57,2 per cento. Arriviamo così a quattordici laureati magistrali
per cento iscritti a un corso di laurea triennale. (Fonte: D. Checchi,
lavoce.info 18-03-2014)
IL MAI NATO FONDO PER IL MERITO NEL MIRINO DELLA CORTE DEI CONTI
Il Fondo per il merito creato nel
2010 dall’ex ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini è l’ennesima
cattedrale nel deserto. A danno degli studenti universitari. E a spese di tutti
i cittadini, tanto per cambiare. Ecco perché. Mentre il finanziamento pubblico
per gli atenei si prosciuga di 300 milioni di euro tra il 2012 e il 2013, e di
altri 200 nel 2014, l’ultimo Governo Berlusconi stanzia un gruzzoletto di 20
milioni di euro per alimentare un nuovo Fondo, istituito con l’articolo 4 della
legge 240/2010, che serve a premiare gli studenti più meritevoli. Un anno più
tardi, nel decreto legge 70 (articolo 9, comma 3) viene messa nero su bianco
una Fondazione ad hoc, promossa dalla collaborazione del Miur con il ministero
dell’Economia, incaricata di gestire il Fondo, di operare in sinergia con altri
Paesi esteri, e aperta prevalentemente agli investimenti privati. Ma nessuna anima
pia si fa avanti. Non solo: la Fondazione non eroga un centesimo della somma
messa a sua disposizione. Intanto però assorbe dal Fondo tre milioni di euro
come contributo di funzionamento. E a distanza di tre anni nessuno dai piani
alti ha ancora avuto il coraggio di eliminarla. Se n’é accorta la Corte dei
Conti, che il 28 gennaio ha bocciato il MIUR e il ministero dell’Economia per
non aver reso operativo il Fondo per il merito e aver lasciato in sospeso la
Fondazione che avrebbe dovuto occuparsene. Ora al successore di Maria Chiara
Carrozza, la deputata di Scelta civica Stefania Giannini, toccherà prendere una
posizione. (Fonte: C. Daina, FQ SCUOLA 12-03-2014)
TECO (TEst sulle COmpetenze) . PER MISURARE IL POSSESSO DI COMPETENZE
EFFETTIVE DI CARATTERE GENERALISTA DEI LAUREANDI ITALIANI
Per misurare quanto i nostri atenei
siano in grado di fornirle ai propri studenti arriva “Teco”,
l’ultimo test dell’ANVUR. Teco è stato pensato dall’ANVUR per valutare gli
studenti delle università italiane non sul piano della padronanza delle mere
nozioni, ma piuttosto rispetto al possesso di alcune competenze generiche.
Perché sono proprio quelle competenze generiche a far la differenza quando ci
si trova a dover affrontare, sul lavoro o in situazioni personali, contesti non
noti, a dover risolvere problemi in tempi rapidi, a dovere comunicare con
efficacia. E, in mancanza di queste abilità, le conoscenze servono a poco. Sono
stati 6mila gli studenti coinvolti nella fase sperimentale del nuovo test dell’ANVUR,
provenienti da 12 atenei diversi: dall’Università di Milano a quella di Firenze,
da quella di Bologna a quella di Messina, passando per le romane La Sapienza e
Tor Vergata, la Federico II di Napoli, l’Università del Piemonte orientale e
quelle di Cagliari, di Padova, del Salento e di Udine. Gli universitari che
hanno ottenuto punteggi migliori sono stati gli studenti di Medicina. A
seguire, gli iscritti a Matematica, Fisica, Statistica e Psicologia. Non
eccellenti, ma pur sempre sopra la media anche i risultati degli iscritti a
Filosofia, Storia, Giurisprudenza, Biologia, Ingegneria. Ultimi, invece, gli
studenti di Scienze della formazione, dato preoccupante se si considera che
saranno i futuri maestri delle generazioni a venire. (Fonte: universita.it
13-03-2014)
INDAGINE TECO (TEst sulle COmpetenze). I RISULTATI
I risultati dell'Indagine TECO (TEst
sulle COmpetenze), condotta dall'ANVUR con la somministrazione di test sulle
competenze generali dei laureandi italiani, fanno emergere una distanza
consistente tra il livello delle effettive competenze trasversali, acquisite
durante il periodo formativo, dei settori umanistico e scientifico. Sono stati
raggiunti ottimi punteggi nella parte letteraria del test o in quella
scientifico-quantitativa, ma mediamente soltanto pochi studenti hanno ottenuto
un buon punteggio in entrambe. Con il test non si è voluto misurare il livello
di cultura generale, ma accertare e certificare le cosiddette generic skills,
essenzialmente basate: sulla capacità di affrontare problemi personali e
collettivi in contesti socio-economici e lavorativi non noti a priori,
utilizzando conoscenze, abilità e competenze acquisite; sul saper leggere e
discutere un testo, esercitando su di esso pensiero critico, capacità di
risolvere problemi nuovi, assumere decisioni coerenti e comunicare oralmente o
per iscritto. L'iniziativa ha rappresentato una novità assoluta nel contesto
universitario nazionale, in quanto per la prima volta la valutazione si è
spostata dal teaching al learning, dall'attività dell'insegnamento a quella
dell'apprendimento degli studenti. Si è allineata alle molteplici esperienze di
misurazione delle performance, già da tempo in uso in campo internazionale,
quali ad esempio il Collegiate Learning Assessment (CLA), e quelle in uso negli
8 Paesi partecipanti al Progetto AHELO (Assessing Higher Education Learning
Outcomes) dell'OCSE. (Fonte: L. Moscarelli, rivistauniversitas marzo 2014)
CONSIGLI PER GLI STUDENTI FUORI SEDE
Nel nostro Paese più di 850mila
universitari hanno scelto di vivere e di studiare in un comune diverso da
quello di origine Tutte le agevolazioni per contenere i costi In Italia sono
più di 850mila gli universitari che vivono e studiano in un comune diverso da
quello di origine. Da Lecce al Politecnico di Milano, da Bolzano all'Alma Mater
di Bologna, dalla Calabria alla Sapienza Roma ... Le mete restano quelle, ma le
spese si gonfiano: tra affitto, tasse, alimentari e trasporti un anno da
matricola può costare alle famiglie fino a picchi di 8.500 euro nelle città del
Nord e Centro Italia e oltre 7mila in quelle del Mezzogiorno. Nel link alcuni
consigli per ammortizzare i costi, dagli sgravi sull'affitto agli
"extra jobs" che garantiscono l'autonomia a una fetta in crescita di
under 25. (Fonte: A. Magnani, risparmioefamiglia@ilsole24ore.com 17-03-2014)
TASSE DI ISCRIZIONE
Il livello medio delle tasse d’iscrizione
nelle università statali era nell’A.A. 2011/2012 pari a 1.018 euro, contro
4.392 nelle non statali. Gli importi per le università statali erano pari in
media a circa 1.350 euro negli atenei del Nord, circa 950 euro in quelli del
Centro, 716 in quelli del Sud e 656 nelle Isole. L’incidenza degli studenti
esonerati dal pagamento della tassa d’iscrizione è di circa il 15% nel
Mezzogiorno contro il 10% al Nord e il 9% al Centro. Il livello medio delle
tasse universitarie in Italia è allineato alla media dei paesi OCSE. I dati
OCSE mostrano come il Paese si caratterizzi per una quota di studenti che
ricevono un sostegno economico relativamente modesto e per un livello delle
tasse universitarie allineato alla media OCSE, basso se confrontato con i
livelli dei paesi anglosassoni, dove maggiori sono tuttavia gli interventi a
sostegno degli studenti, relativamente elevato rispetto ai paesi dell’Europa
continentale e ai paesi del Nord Europa. (Fonte: corrieruniv.it
18-03-2014)
TEST PER I CORSI DI MEDICINA. COME BYPASSARLO DALL’ESTERO
Secondo una sentenza del TAR del
Lazio pubblicata agli inizi di febbraio, lo studente, iscritto alla facoltà di
Medicina dell'Università Cattolica «Nostra Signora del Buon Consiglio» di
Tirana, che lo domanda, ha diritto di essere trasferito dall'ateneo albanese in
uno italiano, benché non abbia mai superato il test di ammissione a Medicina. I
62mila aspiranti medici che il prossimo 8 aprile non riusciranno ad
accaparrarsi uno dei 7.918 posti messi in palio dal MIUR per l'anno accademico
2014/2015 (in 69mila 603 si sono iscritti alle prove concorsuali) per coronare
il loro sogno, aggirando il numero chiuso, avranno un'alternativa: attraversare
i confini con la vicina Albania, sobbarcarsi i 10mila euro di iscrizione l’anno
e i disagi anche economici degli studi all'estero. In realtà, questo succedeva
già. Ma finora uno studente italiano iscritto a Tirana doveva ultimare gli
studi in Albania. Una volta conseguita la laurea, grazie alla convenzione tra
l'ateneo di Roma Tor Vergata e l'Università Cattolica di Tirana, il
riconoscimento del titolo in Italia, al contrario di quanto accade per la
laurea in Medicina ottenuta nelle altre università dei Paesi comunitari, è una
pura formalità. Adesso, però, dopo la sentenza dei giudici amministrativi
laziali basterà rimanere in Albania solo un anno: il tempo di sostenere qualche
esame e di chiedere di tornare in Italia. I giudici del Tar laziale hanno in
generale fissato un principio esplosivo per il sistema fondato sul numero
chiuso: «L'ordinamento interno non prevede, almeno allo stato attuale,
disposizioni tali da precludere agli studenti comunitari il trasferimento ad
anni successivi al primo presso Atenei italiani, seppure a "numero
chiuso" senza necessità di espletare un test preselettivo». Immediato è
stato il ricorso al Consiglio di Stato, nelle cui mani è passata la patata
bollente.
Il TAR Lombardia sede di Brescia
apre un varco nel numero chiuso per gli studenti (italiani) iscritti a
Università straniere che chiedano il trasferimento a sedi nazionali (ordinanza
20 marzo 2014 n. 1066). Un iscritto in un ateneo della Repubblica Slovacca
aveva chiesto all’università di Brescia l'iscrizione attraverso trasferimento,
con accesso a un anno successivo al primo di laurea in Medicina. Brescia
opponeva che il ragazzo non aveva superato le prove d'accesso previste dalla
legge 264/1999. Il provvedimento del TAR, pur non essendo definitivo (è
un'ordinanza in via di urgenza, che sarà riesaminata a ottobre) ordina il
riesame della vicenda secondo principi innovativi. Il giudice, infatti, parte
dal presupposto che mancano disposizioni specifiche sul trasferimento. Richiama
quindi norme del 1933 (articolo 147 Rd 1592) e del1934 (articolo 12 Rd 1269),
che subordinano il trasferimento solo alla prova della conoscenza della lingua
italiana e all'accertamento dell'effettivo valore degli studi già compiuti: in
base a ciò si determina l'ulteriore svolgimento della carriera scolastica e
l'anno di corso cui i richiedenti si possono iscrivere. La legge 264/1999 sul
numero chiuso resta comunque applicabile, nella parte in cui stabilisce limiti:
ad esempio, per alcuni corsi di laurea - fra cui Medicina - ci può essere una
soglia di posti disponibili. Nel caso specifico, lo studente aveva chiesto il
trasferimento per un posto vacante in anni successivi al primo, senza porre in
discussone il "numero chiuso", e l'originalità della pronuncia del TAR
Brescia sta nel ritenere non necessaria la prova di accesso (articolo 4 comma 1
legge 264/1999), in dissenso da quanto ritenuto dal Consiglio di Stato (10
aprile 2012 n. 2063) secondo il quale occorre il test d'ingresso anche per anni
successivi al primo. (Fonti: Corsera,
IlSole24Ore 25-03-2014)
VARIE
IL SISTEMA UNIVERSITARIO ITALIANO NEGLI ULTIMI 15 ANNI
ll sistema universitario italiano
negli ultimi 15 anni ha attraversato due fasi nettamente distinte. La prima
caratterizzata da una rapida espansione dell'offerta formativa, delle risorse
economiche e di quelle umane, accompagnata da squilibri e problemi complessivi
di governante, la seconda, iniziata con la crisi economica, che ha portato a un
significativo ridimensionamento delle risorse e a una razionalircazione
dell'offerta formativa.
La recente riforma dell’università
introdotta con la legge 240/2010 ne ha ripensato la governance e ha introdotto,
con grande ritardo rispetto agli altri paesi europei, meccanismi di valutazione
e accreditamento dei corsi e delle sedi universitarie. L'avvio delle attività
dell'ANVUR ha reso operative la valutazione della ricerca e della didattica. Il
sistema universitario ha reagito complessivamente in maniera positiva,
collaborando, ad esempio, alla Valutazione della Qualità della Ricerca
2004-2010 condotta dall'ANVUR (185.000 prodotti valutati), il più ampio
processo di valutazione della ricerca mai condotto nel nostro Paese, a sua
volta utilizzato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca
(MIUR) per l'allocazione di parte delle risorse.
Negli ultimi anni sono stati ridotti
alcuni squilibri e si è ricondotto il sistema universitario su un sentiero di
sostenibilità economica nonostante il calo delle risorse a disposizione, il cui
ammontare appare nel complesso insoddisfacente nel confronto internazionale.
Data la triplice funzione dell'università, didattica, ricerca e sostegno
diretto al sistema economico e sociale (terza missione), sarebbe necessaria una
riflessione ampia sulle dimensioni ottimali o almeno minime necessarie del
sistema universitario e sulle risorse da investirvi, nel quadro di una
governance rinnovata che richiami tutti gli attori al rispetto dei principi di un’autonomia
responsabile.
Dal 2009 il finanziamento
complessivo del MIUR al sistema universitario si è ridotto di circa 1 miliardo,
(-13% in termini nominali, -20% in termini reali). La riduzione delle risorse è
stata resa sostenibile dalla riduzione del personale, soprattutto dei docenti
ordinari il cui numero in passato era rapidamente cresciuto, e dal blocco delle
progressioni stipendiali. Il rapporto studenti/docenti si è riportato oggi su
valori elevati. Nei prossimi cinque anni usciranno per pensionamento 9.000
docenti, pari al 17% del totale; sarà necessario assicurarne i ricambio onde
salvaguardare l'assolvimento del carico didattico e di governo degli atenei e
il potenziale di ricerca del Paese. Link
per leggere la “Sintesi del rapporto sullo stato del sistema
universitario e della ricerca 2013”
dell’ANVUR. (Fonte: media2.corriere.it marzo 2014)
PER FARE FRONTE ALLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE DEL PAESE
L’Italia è un paese in piena
de-industrializzazione: avevamo un’industria chimica di prima grandezza, non
esiste più; potevamo avere posizioni di primo piano nell’informatica e ci
facciamo ridicolizzare da paesi minori; la siderurgia traballa; l’industria
automobilistica sta emigrando. Resta la media e piccola industria, pur
boccheggiante sotto la ferula della burocrazia. Dove dovrebbero trovare posto i
laureati? Oppure vogliam dire che occorre chiudere i corsi di laurea in
chimica, matematica, fisica, e molti di ingegneria, o riciclarli in corsi di
apprendistato funzionali a mansioni e «responsabilità aziendali a livelli
minimi», come suggerisce P. Celli? Benissimo, questa è la via per ratificare la
de-industrializzazione e ridurci a consumatori di tecnologie altrui. Si vantano
i successi dell’università Luiss, i cui laureati sono tutti presto occupati: ma
è un’università di economia, finanza e management, che non comprende settori
scientifici e solo un frammento delle scienze umane. Forse l’università
italiana dovrebbe plasmarsi tutta sul modello Luiss-Bocconi? L’istruzione è
sempre stata un canale importantissimo di impiego. Ma le politiche dissennate
degli ultimi decenni hanno chiuso l’accesso ai giovani e la legge che prevede
una ripartizione a metà degli accessi tra neo-laureati e precari è
costantemente disattesa. Come stupirsi se chi, legittimamente, s’iscrive alla
facoltà di lettere o a una facoltà scientifica per insegnare si vede preclusa
ogni possibilità? È squallido fare retorica giovanilista mentre manteniamo un
sistema dell’istruzione basato su una drammatica frattura generazionale.
Occorre scegliere tra adattare il
sistema universitario alla crisi industriale del paese, o intervenire su quest’ultima
per dar senso alla formazione di personale altamente qualificato. La prima via
è quella del declino programmato. La seconda è l’unica speranza perché l’Italia
resti un paese dotato di una scienza e una tecnologia avanzate, di una cultura
umanistica degna del nostro patrimonio artistico-culturale. (Fonte: G. Israel,
Roars 19-03-2014)
CONSOLIDARE LA PIANTICELLA DELLA MERITOCRAZIA
Per fare un solo piccolo esempio: in
una recente procedura di abilitazione al ruolo di professore ordinario, una
commissione composta in maggioranza di membri i cui lavori hanno ottenuto meno
di venti citazioni ha abilitato candidati altrettanto poco citati mentre ne ha
"bocciato" uno che di citazioni ne aveva 667. In questo come in altri
casi simili spetta ai membri della comunità accademica manifestare con azioni
concrete il ripudio di comportamenti in contrasto con l'affermarsi della
cultura del merito. La rivoluzione silenziosa non può essere sostenuta solo
dall'ANVUR, richiede comportamenti coerenti da parte della comunità
universitaria. La seconda condizione perché si consolidi la tenera pianticella
della meritocrazia universitaria è che il governo prenda seriamente l'impegno,
più volte assunto ma poco realizzato di premiare il merito. I fondi cosiddetti
"premiali" che vanno alle università migliori sono una parte piccola
del cosiddetto fondo di finanziamento ordinario. Si tratta di cambiare i
criteri con cui questo viene distribuito, basandoli fortemente sui risultati
raggiunti sia sul piano della ricerca sia su quello della didattica. Ciò
richiede una rivoluzione culturale anche nel ministero, nelle comunità locali,
nelle famiglie. Si tratta di riconoscere l'evidenza: non tutte le università
sono uguali. Non tutte sono in grado di sostenere dottorati di ricerca, non tutte
possono produrre buone lauree magistrali. Le finzioni coperte da finanziamenti
a pioggia non aiutano né la ricerca, né gli studenti, né le loro famiglie.
(Fonte: G. Toniolo, IlSole24Ore 19-03-2014)
CARENZA DI SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE IN NEUROCHIRURGIA
In Emilia Romagna, Liguria, Umbria,
Molise, Puglia, Basilicata e Calabria non ci sono scuole di specializzazione
per formare neurochirurghi e il numero dei professori ordinari e associati di
Neurochirurgia nel nostro Paese è inferiore a sessanta, di cui 24 ordinari e 35
associati. Sono i dati emersi nel corso del primo incontro dei docenti di
neurochirurgia sulla formazione specialistica neurochirurgica in Italia. «La
carenza di figure universitarie neurochirurgiche negli Atenei italiani ha
raggiunto un livello straordinariamente basso e ormai è insostenibile»,
denunciano gli esperti, «Occorre affrontare il problema con spirito
costruttivo, nell'interesse esclusivo della futura Sanità pubblica del Paese».
Secondo Francesco Tomasello, presidente del Collegio dei professori di prima
fascia di neurochirurgia, «la formazione in generale, e in questo caso la
formazione specialistica in Neurochirurgia, è una delle principali sfide per la
crescita del Paese». Il presidente del Collegio ha, inoltre, sottolineato che
«occorre offrire maggiori opportunità di formazione pratica chirurgica sul
campo; far seguire i giovani da più docenti, rispetto a quelli attuali, nel
loro percorso. La rete formativa universitaria-ospedaliera, così come è
organizzata ora, non garantisce il conseguimento di questo obiettivo». In
questo, un contribuito importante è quello offerto dalla Società italiana di
neurochirurgia (Sin), che da alcuni mesi sta organizzando, a costo zero, corsi
di aggiornamento per i giovani e corsi di dissezione anatomica. Il presidente
della Sin, Roberto Delfini, ricorda che «abbiamo una carenza assoluta di
laboratori dove praticare la dissezione anatomica e approfondire l’anatomia
chirurgica. Mancano i preparati anatomici sui cui lavorare e il nostro maggior
approvvigionamento viene dall’estero», per questo «i giovani neurochirurghi
troppo spesso sono costretti ad andare in Europa o negli Stati Uniti per
frequentare i corsi sui preparati».
Secondo Andrea Lenzi, presidente del
Consiglio universitario nazionale, occorre «rivedere e aggiornare l’ordinamento
didattico delle scuole di specializzazione per creare in questa maniera un
neurochirurgo adatto alle nuove tecnologie e anche proiettato verso un
apprendimento che non sia solo ed esclusivamente professionalizzante, ma anche
in grado di continuare a tenere, perché lo è attualmente in Italia, al centro
della ricerca scientifica il più alto livello assistenziale».
Secondo Delfini, però, si tratta di
un problema culturale e non legislativo: «Nulla impedisce che in Italia si
possa disporre di preparati anatomici. Bisogna far capire alla gente quanto sia
importante fare la dissezione anatomica sui preparati umani, piuttosto che una
dissezione anatomica su un animale» e ispirarsi all’Australia, dove nel
testamento molte persone scrivono di voler mettere il proprio corpo al servizio
della ricerca. (Fonte: S. Valletta, healthdesk.it 31-03-2014)
ATENEI. IT
UNIBO. “MUMU – MUSEO MULTIVERSO”
“Mumu – Museo multiverso”, è un’idea
partita dall’Università di Bologna, che consente in pochi passaggi di
realizzare delle app per smartphone senza avere necessariamente le competenze
tecniche per farlo. La presentazione è avvenuta nei giorni scorsi a San José,
in California – centro nevralgico della Silicon Valley e capitale mondiale dell’Information
Technology – durante il congresso mondiale ‘International Conference on
Multimedia and Expo’. In particolare, Mumu è nata dalla volontà dell’Istituto
dei beni culturali di agevolare gestori di musei, di beni culturali, dimore
storiche e altre strutture e iniziative del genere, consentendo loro di mettere
i propri contenuti multimediali a disposizione di chi possiede uno smartphone
tramite la realizzazione semplice e veloce di app. “L’obiettivo di Mumu –
dichiara il professor Marco Roccetti dell’Università di Bologna, uno dei
creatori del progetto – è ricollegare tramite le moderne tecnologie Ict
(specialmente quelle delle app) i siti depositari del patrimonio culturale
italiano attraverso legami di senso che, organizzando un flusso ininterrotto di
contenuti culturali, sociali e artistici presenti diffusamente nel tessuto
culturale, forniscano ai fruitori una rete di significati presentati in maniera
innovativa e condivisa”. Si tratta – com’è stato sottolineato durante la
presentazione in California – della prima piattaforma digitale capace di
valorizzare il patrimonio culturale del nostro Paese, rendendolo disponibile a
tutti gli appassionati sotto forma di applicazioni su tutti gli app store
internazionali, a cominciare da Apple e Android. Per testare l’efficacia di
Mumu, sono stati già fatti degli esperimenti pilota, che sembrano essere assai
incoraggianti. (Fonte: universita.it 13-03-2014)
UNIMI. UNISTEM DAY 20014
La ricerca sulle cellule staminali è
una delle maggiori speranze per la cura di alcune temibili malattie. Per
celebrarla il 14 Marzo trentotto atenei europei hanno aperto le porte agli
studenti delle scuole superiori in occasione dell’UniStem Day 2014. L’evento
divulgativo, giunto quest’anno alla sua sesta edizione, è stato promosso dal Centro
Interdipartimentale di Ricerca sulle Cellule Staminali dell’Università degli
Studi di Milano (UniStem). Fondato nel 2006 dalla senatrice a vita Elena
Cattaneo – che ne è l’attuale direttore – con Giulio Cossu, Fulvio Gandolfi e
Ivan Torrente, il centro si occupa non solo di coordinare e promuovere lo
studio delle cellule staminali, ma anche di diffondere la conoscenza in questo
settore sia tra gli addetti ai lavori, e nella comunità scientifica, sia nella
società civile e tra i giovani. Al primo UniStem Day, nel 2009, partecipò la
sola Statale di Milano. Nell’arco di sei anni, la manifestazione ha attirato
sempre più l’attenzione e raccolto un numero sempre più alto di adesioni, tanto
che dall’anno scorso ha perfino varcato i confini nazionali. Rispetto
all’edizione 2013, quest’anno le università italiane coinvolte saranno quattro
in più (l’anno scorso furono trentaquattro) ed è cresciuto pure il numero di
atenei esteri. Oltre ai sette, suddivisi tra Spagna e Regno Unito, che presero
parte alla scorsa edizione, all’UniStem Day 2014 hanno aderito anche
l’Università di Galway (Irlanda) e il Karolinska Institutet (Svezia), per un
totale di nove sedi straniere nelle quali si celebrerà l’evento. Per l’UniStem
Day 2014 gli organizzatori hanno previsto la presenza di circa 20mila studenti
delle scuole superiori, sparsi nelle varie università dedicate a celebrare
l’evento. In ciascuna delle sedi si sono tenuti incontri con esperti del
settore, nel corso dei quali si sono affrontati anche temi di stretta attualità
quali il caso Stamina e la sperimentazione animale, visite ai laboratori di
ricerca, eventi musicali, quiz a premi, attività sportive e molto altro.
(Fonte: universita.it
09-03-2014)
A PROPOSITO DELLA PRESUNTA INDIFFERENZA DELL’AMMINISTRAZIONE CENTRALE SUGLI
ATENEI DEL SUD. INTERVIENE L’EX MINISTRO CARROZZA
“Se questo può aiutare ad alimentare
il dibattito, a cercare razionalmente di proporre una via di uscita da questa
dialettica Nord/Sud, ben vengano articoli e riflessioni. Repetita iuvant, anche
per evitare di continuare a generare inutile sconforto. Quello che vorrei
portare avanti è il messaggio da lanciare per auspicare un diverso
atteggiamento mentale che possa costruire un futuro reale e possibile al Sud,
generando un rilancio fondato su valori positivi che crei uno sviluppo basato
su istruzione, formazione e ricerca. Rilancio che serve a tutto il Paese, ma
che deve tenere conto dei diversi contesti territoriali. Viviamo in un'epoca di
sovrabbondanza di dati, che sono interpretati e piegati per scopi e usi
diversi. Ma i parametri di merito parlano da soli: l'utilizzo del fondo di
funzionamento ordinario, il rapporto fra le spese per il personale e le
entrate, l'indebitamento, la valutazione della ricerca e della qualità del
reclutamento sono valutazioni oggettive dell'operato di chi ha responsabilità
di governo in una istituzione universitaria e di ricerca, e sono convinta che
l'obiettivo delle politiche di finanziamento basate su incentivi devono
stimolare il miglioramento a partire dal contesto. Non possiamo valutare le
ragioni di un declino guardando a un solo fotogramma, nel mio caso i punti
organico disponibili e ottenuti nel 2013, ma al film nel loro complesso.
Valutiamo i fondi che sono stati destinati solo al Sud e i programmi
coerentemente sviluppati, oltre a vedere come sono stati reclutati i
professori, come sono stati amministrati i fondi e attuate le politiche di
gestione della didattica e della ricerca. Una politica progressista, che punta
al miglioramento partendo dal contesto, guarda alle differenze, a quanto si è
raggiunto a partire dalla partenza, in modo da non lasciare indietro nessuno.
Penso quindi che il destino delle università e dei centri di ricerca del Sud
sia nelle mani di chi opera e vive in queste istituzioni, nella scelta delle
politiche, nella scelta della classe dirigente, nel metodo di formare la
leadership. Per costruire un futuro si deve prima di tutto scegliere, prendere
in mano i dati non per accusare, ma per proporre politiche di miglioramento e
politiche di crescita, accettando la difficile sfida di cambiare partendo da
un'analisi dei punti di forza e di debolezza del proprio territorio e delle
proprie istituzioni. Altrimenti c'è il rischio di trincerarsi nella tipica
caccia al capro espiatorio, facile da fare e che soddisfa tutti, ma che alla
fine si rivela inconcludente”. (Fonte: M.C. Carrozza, Il Mattino 28-03-2014)
RISORSE PER LA PREMIALITÀ AGLI ATENEI. SCHEDA FLC CGIL SUGLI EFFETTI DELLE
VALUTAZIONI ANVUR
Sebbene gli importi complessivi
assegnati siano pari a quelli dello scorso anno (910 Ml€), le risorse
effettivamente destinate alla premialità risultano pari a 819 Ml€ quindi
inferiori del 10% rispetto al 2012. La differenza tra i due valori, pari a 91
Ml€, è stata utilizzata per fini perequativi tra gli atenei.
La ripartizione della quota premiale
del 2013 è stata fortemente influenzata dagli esiti della valutazione ANVUR
sulla ricerca, i cui dati sono stati pubblicati nel Rapporto finale del 22
luglio 2013 in quanto il MIUR ha deciso di attribuire la quota premiale per la ricerca,
utilizzando i risultati ANVUR nella misura del 90% e il restante 10% per il
reclutamento. Partendo dai risultati del rapporto finale ANVUR, sono stati
esaminati gli effetti prodotti sull’assegnazione della quota premiale agli
atenei per ciascuno dei tre interventi previsti dalla legge: “Qualità della
domanda formativa”, “risultati dei processi formativi”, “qualità della
ricerca”. I grafici costruiti sulla base delle risorse
assegnate a ciascun ateneo, confrontate con quelle ricevute nel 2012,
evidenziano per ciascun obiettivo le performances conseguite rispetto al 2012.
(Fonte: FLCCGIL 13-03-2014)
UE. ESTERO
UE. ERASMUS+
Erasmus+. Il nuovo programma
dell’Unione europea per l’istruzione, operativo per il periodo 2014-2020,
dispone di un bilancio di 14,7 miliardi di euro per 7 anni, il 40% in più
rispetto al budget dei 7 anni precedenti. Erasmus+ offrirà a circa 4 milioni di
giovani europei l’opportunità di studiare, formarsi, acquisire esperienza
professionale all’estero. E sosterrà i partenariati transnazionali fra
organizzazioni che operano nei settori dell’istruzione, della formazione e della
gioventù per favorire la collaborazione e riavvicinare il mondo dell’istruzione
e del lavoro, con l’obiettivo di far fronte all’attuale fabbisogno di
competenze in Europa.
Obiettivi dell’Ue. Erasmus+ si pone
come uno degli strumenti con cui l’Ue cerca di raggiungere l’obiettivo del 40%
di laureati nella fascia 30-40 anni e
ridurre al 10% gli abbandoni scolastici, come previsto dal programma
Europa 2020. Ancora, “punta a inserire nel mercato del lavoro l’82% dei laureati
entro 3 anni dal conseguimento del titolo e a innalzare al 35% i posti di
lavoro occupati da laureati (oggi sono il 29%)”. Oggi in Europa ci sono 6
milioni di giovani disoccupati e in Italia sono oltre il 40% i giovani senza
lavoro. Nello stesso tempo nel vecchio continente ci sono 2 milioni di posti di
lavoro vacanti mentre un terzo dei datori di lavoro segnala difficoltà
nell’assumere personale con le qualifiche richieste.
Che cosa cambia. L’Erasmus è sempre
stato sinonimo di mobilità individuale, ma sono università, associazioni o enti
a inoltrare la domanda per ottenere un finanziamento in Erasmus+. Nel 2014 il
budget è di 1 miliardo e 800 milioni per promuovere opportunità di mobilità.
Per la prima volta saranno concessi finanziamenti non solo a università e
istituti di formazione, ma anche a partenariati innovativi, indicati come
“alleanze della conoscenza” e “alleanze delle abilità settoriali”. Università,
consorzi, organizzazioni, gruppi, possono presentare un’unica candidatura per i
finanziamenti di progetti. (Fonte: unipd.it/ilbo n07-03-2014)
FRANCIA. LA GRANDEUR: MEGAUNIVERSITÀ PARIS-SACLAY
In Francia venti tra atenei e
istituti di ricerca stanno per creare un nuovo colosso dello studio,
l’Université Paris-Saclay, un progetto da 6,5 miliardi di euro. Si tratta della
scommessa francese per scalare le vette dei ranking mondiali dell’istruzione.
Sempre più paesi si stanno dimostrando ambiziosi e ossessionati da questo punto
di vista. Quella che diventerà la più grande università transalpina potrebbe
entrare ben presto nella prestigiosa top-10. Ormai l’aggettivo “grande” ha
trovato un nuovo sinonimo in “migliore”, dunque non ci si deve stupire più di
tanto se i governi di tutto il mondo puntano a fusioni tra campus e facoltà per
attrarre denaro utile alla ricerca e un numero maggiore di iscritti. In poche
parole, conta moltissimo il prestigio mondiale e i ranking non guardano tanto
agli studenti, piuttosto alla geopolitica e a tutte le conseguenze che ne
derivano. Le classifiche più influenti sono quelle della Shanghai Jiao Tong
University, Times Higher Education e QS Quacquarelli Symonds, una società di
consulenza che ha sede a Londra, nonostante non siano mai state sfruttate con
intenti politici. Altro caso interessante è quello dell’US News and World
Report, le cui pubblicazioni sui college americani sono cominciate nel lontano
1983 e che includerà a breve le strutture arabe del Medio Oriente e del Nord
Africa, un’espansione pensata da qualche tempo. Nel caso di Paris-Saclay il
gigante universitario verrà formato da una business school, dal Politecnico e
da un dipartimento specializzato in materie scientifiche. Anche la Finlandia e
il Portogallo si stanno comportando allo stesso modo: la nazione scandinava è
già riuscita a fondere dieci istituti in quattro atenei, in parte per attrarre studenti
stranieri e in parte per migliorare i ranking. Il governo di Lisbona, invece,
ricorderà il 2013 per la fusione dell’Università della capitale e della
Technical University. (Fonte: S. Ricci,
iljournal.it 13-03-2014)
SVIZZERA. 145 RICERCATORI RICHIEDONO 219 MILIONI PER GLI "SNSF
STARTING GRANTS"
Come conseguenza del voto
sull'iniziativa contro l'immigrazione di massa, i ricercatori svizzeri non
possono candidarsi per i contributi dell'UE destinati alla ricerca. Perciò ora
145 studiosi hanno richiesto 219 milioni di franchi al Fondo nazionale svizzero
per la ricerca scientifica (FNS). Il FNS ha lanciato a questo scopo gli
"SNSF Starting Grants", che dovrebbero sostituire come misura
temporanea i relativi aiuti a livello europeo. Inoltre il FNS ha stabilito i
membri di una commissione che dovrà indirizzare e coordinare queste misure.
Fino allo scorso 25 marzo, 145
ricercatori avevano fatto richiesta di uno di questi "SNSF Starting
Grants", grazie a cui vengono conferiti un massimo di 1,5 milioni di
franchi per progetto lungo una durata che non può eccedere i 5 anni. Questi
aiuti si rivolgono a nuovi ricercatori promettenti di Istituti svizzeri con due
fino a sette anni di esperienza. Le richieste, che saranno vagliate entro fine
2014, ammontano complessivamente a 219 milioni di franchi, soldi inseriti nel
preventivo UE della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e
l'innovazione (SEFRI), che ora non può più far capo al programma di ricerca UE.
Questo modo di procedere deve ancora essere approvato dal Parlamento, precisa
il FNS. Le misure provvisorie dovranno contribuire, secondo il FNS, a garantire
l'alta concorrenzialità e internazionalità della ricerca in Svizzera, fino a
quando non sarà trovata una soluzione politica con l'UE. (Fonte: swissinfo.ch
02-04-2014)
USA. I COSTI DELLE UNIVERSITÀ. QUINTUPLICATI DAL 1985 AD OGGI PER LAUREARSI
NELLE PRIVATE
In USA la selezione è durissima, ci
sono università che ammettono solo il 5-6 per cento degli studenti che
presentano l'application. Per orientarsi meglio, per avere qualche chance in
più, ci si affida a un coach che per una parcella di 10 mila dollari ti aiuterà
a selezionare le accademie giuste in base alle doti di tuo figlio. Spiegandogli
anche come deve presentarsi, quali attività di volontariato e sportive è
opportuno mettere in evidenza. Certo, bisogna presentarsi anche con voti
eccellenti ai test federali di profitto scolastico, i cosiddetti Sat (o, in
alternativa, gli esami fatti con la formula Act). Per addestrarsi a rispondere
presto e bene ai questionari ci si può rivolgere ad appositi tutor. Che a New
York vogliono 240 dollari l'ora in media (ma i migliori ne chiedono anche 400).
Se tuo figlio viene accettato, il legittimo orgoglio paterno o materno va in
frantumi non appena scopri che, nonostante l'economia che ristagna e l'assenza d’inflazione,
la retta da 50 mila dollari l'anno chiesta da molte università, e a suo tempo
bollata come scandalosa della stampa, ormai è un affare, se la trovi: le
università di rango adesso chiedono 65 mila dollari l'anno, ma anche quelle
medie (e a volte mediocri) raramente scendono sotto i 45-50 mila (salvo quelle
pubbliche che, però, spesso sono di livello molto inferiore e impongono vari
vincoli).
Molti atenei continuano a
rappresentare l'eccellenza assoluta nel loro campo, ma il sistema nel suo
complesso ha attraversato un'epoca di moltiplicazione dei costi mostruosa e
incontrollata: dal 1985 a oggi la spesa per laurearsi nelle università private
è cresciuta di cinque volte, mentre nello stesso trentennio il costo
complessivo della vita degli americani è cresciuto solo del 121%. Perfino la
vituperata sanità Usa degli sprechi senza fine ha fatto meglio: più 286 per
cento. L'unica, nell'America delle specializzazioni, è affidarsi ad altri siti
specializzati come Payscale.com che, comparando costi scolastici, risultati
accademici e sviluppo delle carriere, misurano il rapporto costi-benefici delle
varie accademie. Comprese quelle che, come ha calcolato un giornale di Chicago
dividendo la retta annua per le ore effettive d’insegnamento negli otto mesi
dei corsi, finiscono per costare 173 dollari per ogni ora passata
effettivamente in classe. (Fonte: M. Gaggi,
CorSera 28-03-2014)
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