mercoledì 9 aprile 2014

INFO UNIVERSITARIE N. 4 09-04-2014

SOMMARIO

IN EVIDENZA

INTERNATIONAL ASSOCIATION OF UNIVERSITY PROFESSORS AND LECTURERS (IAUPL)
ABILITAZIONI SCIENTIFICHE NAZIONALI – PROPOSTE INNOVATIVE DELL’USPUR SULLA CHIAMATA DEGLI ABILITATI
RICERCA. NE PARLA IL MINISTRO GIANNINI IN SENATO
ASN. NE PARLA IL MINISTRO GIANNINI ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA
CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E DOCENTI UNIVERSITARI
L’OCCUPAZIONE IN CALO DEI LAUREATI NON DIPENDE DAL DISALLINEAMENTO TRA FORMAZIONE UNIVERSITARIA E MERCATO DEL LAVORO

ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

ASN. NUOVO TERMINE PER LA CONCLUSIONE DEI LAVORI, PER LA TORNATA 2013
ASN. 59.193 CANDIDATI, 998 "GIUDICI", 184 COMMISSIONI PER 14 SETTORI DISCIPLINARI. SUPERARE LE POLEMICHE SUGLI ESITI
ASN E CONCORSI LOCALI. LA RESPONSABILITÀ DEI DIPARTIMENTI
ASN. PROPOSTE DI REVISIONE DELLE PROCEDURE
ASN. I VINCITORI DI UNA VALUTAZIONE SONO NATURALMENTE PREVEDIBILI
ASN. PROBABILITÀ DI ABILITAZIONE PER OUTSIDER E INSIDER
ASN. UNA CONTESTAZIONE ECCELLENTE
ASN. INFLAZIONE DI ABILITATI IN ARCHEOLOGIA
ASN. RISOLUZIONE DI PARLAMENTARI PRESENTATA IN COMMISSIONE ISTRUZIONE ALLA CAMERA
RICORSI AMMINISTRATIVI CONTRO LE DETERMINAZIONI DELLE COMMSSIONI PER L’ASN. SI PARLA DI 500 RICORSI, CIRCA L’1% DELLE DOMANDE

CLASSIFICAZIONI INTERNAZIONALI

CLASSIFICA DI ATENEI IN BASE ALL’ECCELLENZA ACCADEMICA

DOCENTI. FORMAZIONE

ETÀ MEDIA DEI DOCENTI. SIAMO IN CODA AI 28 PAESI UE

DOTTORATO

RIDUZIONE DELLE BORSE DI DOTTORATO. NELL’UE SIAMO IN CODA PER N.RO DI DOTTORANDI PER 1000 ABITANTI
UNIBO. RIENTRANO NEL DOTTORATO DOPO L’ELIMINAZIONE DEL DIVIETO DI LAVORARE
DOTTORATI. CRITICITÀ DEI CRITERI DI ACCREDITAMENTO
ACCREDITAMENTO DEI DOTTORATI. INTERVIENE IL MINISTRO

FINANZIAMENTO      

FINANZIAMENTI ALLA RICERCA
ON LINE. SITI INTERNET. RISORSE EDUCATIVE APERTE

OPEN EDUCATION: SVILUPPO DI UN MOOC PER SCUOLE E UNIVERSITÀ ITALIANE NELL'AMBITO DEL PROGRAMMA "TALENT ITALY"
DIFFUSIONE DEI MOOCS (MASSIVE ONLINE OPEN COURSES)
GLI ATENEI ITALIANI SUI SOCIAL NETWORK. UNA RICERCA DEL POLITO

PROFESSIONI. LAUREE. OCCUPAZIONE

ASPETTATIVE DEI GIOVANI LAUREATI PER L’INSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO
TASSI DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
COSTO DEI LAUREATI. CONFRONTI SU DATI OCSE
I MASTER E LA PREPARAZIONE PROFESSIONALE
RIFORMA DELLE PROFESSIONI. LA FORMAZIONE CONTINUA
CONTRATTI DI FORMAZIONE MEDICA SPECIALISTICA. UN DOCUMENTO DEL CUN
LAUREATI. PERCENTUALI DI OCCUPATI E GUADAGNI

RECLUTAMENTO

UN DECALOGO DELLA CRUI PER FAVORIRE IL RECLUTAMENTO DI PROFESSORI E RICERCATORI
RECLUTAMENTO. SOLUZIONE MERITOCRATICA IN QUATTRO PUNTI
IL C.D. CONCORSO A FOTOGRAFIA

RETRIBUZIONI

DOCENTI UNIVERSITARI. TAGLI A SCATTI DI ANZIANITA’ E STIPENDI. PERSO IL 75% DEL POTERE D’ACQUISTO IN 30 ANNI

RICERCA. RICERCATORI. INNOVAZIONE. VALUTAZIONE

DOTAZIONI E COMPITI DELL’AGENZIA NAZIONALE VALUTAZIONE UNIVERSITÀ E RICERCA (ANVUR)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. VQR E RAE BRITANNICO
RICERCA. NECESSITA FINALMENTE UN’ANAGRAFE DELLA RICERCA
RICERCA E SPERIMENTAZIONE ANIMALE. DECRETO VIOLA DIRETTIVA EUROPEA
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. ACCENTRAMENTO E IMPOSIZIONE DEL SISTEMA DI VALUTAZIONE CONTRO LA COSTITUZIONE
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. SELEZIONARE LE PERSONE MIGLIORI NON SOLO I “PRODOTTI”
ARTICOLI SCIENTIFICI PRODOTTI AUTOMATICAMENTE
IL SISTEMA DELLA RICERCA ITALIANO NEI DATI DEL RAPPORTO ANVUR
UNA SINTESI DEL RAPPORTO ANVUR 2013 SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA RICERCA
RICERCA. 5.252 I PROGETTI DI PRESENTATI AL BANDO 'SIR - SCIENTIFIC INDEPENDENCE OF YOUNG RESEARCHERS'
RICERCA. MIUR. IN ARRIVO IL BANDO RITA LEVI MONTALCINI

STUDENTI

CORSI A NUMERO CHIUSO PER LE LAUREE MAGISTRALI DI AREA SANITARIA. POSTI A BANDO
STUDENTI. ISCRIZIONI IN GENERALE CALO MA IN RIPRESA NEGLI ATENEI DEL NORD
SI RIDUCONO GLI ISCRITTI AI TEST PER I CORSI A NUMERO CHIUSO
TASSI DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
IL MAI NATO FONDO PER IL MERITO NEL MIRINO DELLA CORTE DEI CONTI
TECO (TEst sulle COmpetenze) . PER MISURARE IL POSSESSO DI COMPETENZE EFFETTIVE DI CARATTERE GENERALISTA DEI LAUREANDI ITALIANI
INDAGINE TECO (TEst sulle COmpetenze). I RISULTATI
CONSIGLI PER GLI STUDENTI FUORI SEDE
TASSE DI ISCRIZIONE
TEST PER I CORSI DI MEDICINA. COME BYPASSARLO DALL’ESTERO

VARIE

IL SISTEMA UNIVERSITARIO ITALIANO NEGLI ULTIMI 15 ANNI
PER FARE FRONTE ALLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE DEL PAESE
CONSOLIDARE LA PIANTICELLA DELLA MERITOCRAZIA
CARENZA DI SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE IN NEUROCHIRURGIA

ATENEI. IT

UNIBO. “MUMU – MUSEO MULTIVERSO”
UNIMI. UNISTEM DAY 2014
A PROPOSITO DELLA PRESUNTA INDIFFERENZA DELL’AMMINISTRAZIONE CENTRALE SUGLI ATENEI DEL SUD. INTERVIENE L’EX MINISTRO CARROZZA
RISORSE PER LA PREMIALITÀ AGLI ATENEI. SCHEDA FLC CGIL SUGLI EFFETTI DELLE VALUTAZIONI ANVUR

UE. ESTERO

UE. ERASMUS+
FRANCIA. LA GRANDEUR: MEGAUNIVERSITÀ PARIS-SACLAY
SVIZZERA. 145 RICERCATORI RICHIEDONO 219 MILIONI PER GLI "SNSF STARTING GRANTS"

USA. I COSTI DELLE UNIVERSITÀ. QUINTUPLICATI DAL 1985 AD OGGI PER LAUREARSI NELLE PRIVATE

----

IN EVIDENZA

INTERNATIONAL ASSOCIATION OF UNIVERSITY PROFESSORS AND LECTURERS (IAUPL)
L'Association Internationale des Professeurs et Maîtres de Conférences des Universités (le plus souvent désignée par son sigle anglais, IAUPL) est une Organisation internationale non gouvernementale, non politique et non confessionnelle, qui regroupe des Professeurs d’université et des Maîtres de Conférences à un niveau international. A ce titre, l'IAUPL entretient :
-       des relations opérationnelles avec l'UNESCO (l'UNESCO est impliqué dans le follow-up BOLOGNA-BERGEN), qui en auditionne régulièrement les membres,
-       une collaboration amicale avec les organisations analogues se consacrant à d'autres aspects du travail et de la vie universitaire.
Depuis 1989, l'IAUPL est un animateur régulier de la Consultation collective des O.N.G de l'enseignement supérieur de l'UNESCO, consultation qu'elle a contribué à créer.
Historique, objectifs, actions, statuts, déclaration des droits, instances de l’IAUPL: http://tinyurl.com/pzybthn

ABILITAZIONI SCIENTIFICHE NAZIONALI – PROPOSTE INNOVATIVE DELL’USPUR SULLA CHIAMATA DEGLI ABILITATI
Le abilitazioni scientifiche nazionali, e la conseguente gestione degli abilitati, comportano un impatto sul sistema universitario certamente notevole e significativo, ma, a nostro avviso, molto meno preoccupante di quanto si possa ritenere. Nelle considerazioni che faremo:
- non abbiamo tenuto conto dei casi ancora non risolti di commissioni i cui lavori hanno dato luogo a rilievi anche di natura legale;
- abbiamo dato per scontato che molti sono stati gli abilitati interni al sistema universitario, che già lavorano in posizione di ruolo e che, quindi, hanno sostenuto e sostengono con il loro impegno la didattica e la ricerca universitaria;
- abbiamo ritenuto che le attese di questi abilitati meritino considerazione e che, pur nel rispetto di quanto la legge prevede (comma 4 dell’art. 16 Legge 240/2010), si possa intervenire per coordinare in maniera unitaria le azioni che gli atenei prenderanno per agevolare le procedure e ridurre i tempi di chiamata degli idonei.
Questa affollata prima abilitazione ha creato problemi di una certa consistenza, che devono essere affrontati con lo spirito giusto: in sostanza occorre prevedere un approccio che gestisca tale situazione in maniera unitaria, per impedire possibili emergenze di caos, e che tenga conto di quanto di buono è stato già fatto. Senza una gestione unitaria della situazione il rischio di demotivare chi già lavora, facendogli perdere lo stimolo a costituire esempio da imitare, è altissimo soprattutto per il conseguente effetto domino.
Tutto ciò non significa che il possesso dell’abilitazione debba diventare automaticamente ‘garanzia’ di chiamata, perché ciascun settore ha le sue priorità e i suoi equilibri locali e nazionali da rispettare, e, in aggiunta, bisogna assolutamente evitare la saturazione dei settori per gli anni a venire. Tuttavia, in considerazione soprattutto dei tempi lunghi che hanno caratterizzato la messa in atto e, quindi, lo svolgimento di questa prima tornata dell’abilitazione scientifica nazionale, occorre assolutamente che le procedure relative alla chiamata degli idonei siano attuate in maniera coordinata per evitare ogni possibile interruzione e i tempi lunghi derivanti da interpretazioni non corrette della relativa normativa.
La nostra prima osservazione riguarda i decreti ministeriali che hanno introdotto i punti organico e i conseguenti vincoli che si sono venuti a creare, i quali, con i loro effetti perversi, hanno poi portato ad una compressione coercitiva e poco ragionevole delle università. Infatti, invece di dotare tutti gli Atenei di un numero fisso di punti organico per limitare ogni velleità espansionistica di Atenei mal governati, si è preferito introdurre prima i punti organico mobili, con un numero mutevole di anno in anno, affiancati poi dai
punti organico distribuiti dal Ministero sulla base di una quota variabile, dal 20% al 50%, dei punti organico che via via si sarebbero liberati per quiescenza o per qualsiasi altro motivo. A nostro avviso non ha alcun senso calcolare i punti organico in base a due valori mobili posti nella stessa frazione e precisamente: a denominatore il costo medio nazionale del professore di prima fascia, che non può che crescere sempre, anche se ormai di poco, e a numeratore il fondo di finanziamento ordinario dell’Ateneo, sempre decrescente negli ultimi 6 anni. Di conseguenza il loro rapporto non può che ridursi perché il numeratore
decresce e il denominatore cresce. In questa maniera anche gli Atenei più virtuosi, che non hanno, cioè, restrizioni di budget e non hanno mai superato il limite dell’80% per la spesa inerente al personale, non
possono chiamare (direttamente o previo concorso) tutti i loro abilitati perché obbligati a rispettare il vincolo dei punti organico distribuiti dal Ministero, pur in assenza di impegni aggiuntivi di spesa a carico del proprio bilancio.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che il sistema dei punti organico si è risolto in uno strumento normativo che ha asfissiato le università perché privo di un legame effettivo con la sostenibilità finanziaria di ateneo prevista dalla legge.
Nel primo dei due ricorsi rivolti al Presidente della Repubblica contro l’applicazione del criterio dei punti organico, fatto dall’Università di Cassino, si sostiene che il D.M. 297 del 22 ottobre 2012 è illegittimo e pertanto deve essere annullato, per i seguenti motivi:
“Violazione del D.lgs. 49/2012 (artt. 3, 4, 5, 6 e 7); violazione e falsa applicazione del D.L. 95/2012, convertito nella L. n. 135/2012; violazione dell’art. 4 delle preleggi; eccesso di potere per irragionevolezza, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, illogicità; erroneità dei presupposti; travisamento; violazione del principio di legittimo affidamento”.
Nel secondo ricorso, fatto dall’Università del Salento, si dichiara che “l’introduzione, per atto di normazione regolamentare, di diversa metodologia di calcolo del contingente, non sia coerente con la delega attribuita al MIUR dall’art. 66, comma 13 bis del D.L. n.113/2008 e ss.mm.ii. con la conseguenza che la determinazione ministeriale risulta del tutto illegittima e arbitraria”.
Le considerazioni svolte portano a concludere che la gestione coordinata della situazione post abilitazione da noi proposta richieda assolutamente la sospensione del sistema dei punti organico perché è al di fuori di ogni realtà, non può influenzare la spesa pubblica ed è sicuramente discutibile sul piano della legittimità. Altre osservazioni attengono ad una attenta e oggettiva rivalutazione dell’entità dei vincoli di cui:
§ al comma 4, art. 18 della Legge 240/2010, che attiene alla chiamata del quinto di docenti esterni alla propria università;
§ alla lettera c) comma 2, art. 4 del D.L. 29 Marzo 2012, n. 49, che dispone di bandire un posto per ricercatore a tempo determinato per ciascun posto di professore di I fascia che si chiama.
Questi vincoli, per quanto condivisibili, incidono significativamente sullo stato della finanza universitaria, compressa dalla spending review, perché obbligano a un aumento di spesa in questo momento di grande difficoltà economica per il Paese e in questa fase emergenziale tesa all’attuazione della prima abilitazione nazionale della storia della nostra università.
In situazioni come questa è facile che si possa scatenare una guerra fra poveri, che produrrebbe lacerazioni difficilmente sanabili all’interno dei dipartimenti di ciascun Ateneo, con conseguenze sulla qualità della didattica, sul comportamento degli studenti, sulla produttività scientifica, sulla competizione internazionale del Paese. I docenti universitari sono già stati pesantemente penalizzati dall’impossibilità di ricostruire la carriera (art. 8 della Legge 240/2010). Che senso avrebbe continuare a colpire la classe dei docenti universitari con norme vessatorie quanto inutili ai fini della sostenibilità finanziaria, che è l’unico dato oggettivo realmente collegato con i conti dello Stato?
La sostenibilità verrebbe infatti certamente mantenuta con l’eliminazione del regime dei punti organico perché i docenti non vedrebbero incrementato realmente il loro stipendio con il passaggio di ruolo, o di fascia, ma riceverebbero soltanto uno scatto stipendiale nominale previsto dalla fascia superiore, subendo un danno economico significativo e una penalizzazione unica nel panorama del pubblico impiego.
Nella stragrande maggioranza dei casi gli abilitati dovranno infatti ricevere un assegno ad personam per mantenere lo stipendio in godimento all’atto della chiamata: essi vedranno un aumento di stipendio solo quando detto assegno verrà riassorbito in seguito ai successivi scatti triennali. In sostanza l’assunzione degli abilitati interni non comporterà, nella maggioranza dei casi, alcun onere aggiuntivo per i bilanci delle Università e per i conti dello Stato.
In quest’ottica l’USPUR, per snellire i tempi relativi alla chiamata degli abilitati, chiede di voler affrontare la relativa situazione nella maniera di seguito delineata:
1) gestione unitaria della situazione post abilitazione, con l’eliminazione o la sospensione del sistema dei punti organico, non rappresentativo della realtà, non influenzante realmente la spesa pubblica e sicuramente discutibile sul piano della legittimità;
2) oggettiva riconsiderazione dei vincoli posti:
− dal comma 4, art. 18, Legge 240/2010 (riserva del 20% dei posti disponibili per la chiamata dei docenti esterni all’ateneo);
− dal D.L. 49/2012:
• per l’obbligo di chiamata, nei limiti delle risorse disponibili, di un ricercatore a tempo determinato di tipo b) per ogni professore ordinario che si assume [lettera c), comma 2°, art. 4];
• composizione dell’organico dei professori in modo che la percentuale dei professori di prima fascia sia contenuta entro il 50% dei professori di 1° e 2° fascia [lettera a), comma 2°, art. 4].
(Fonte: A, Liberatore, segretario nazionale dell’USPUR 24-03-2014)

RICERCA. NE PARLA IL MINISTRO GIANNINI IN SENATO
Semplificazione, programmazione, valutazione ed apertura. Questi i principi cui il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca intende ispirarsi per ridare slancio alla ricerca che ''può costituire il terzo pilastro per il nostro futuro''. Nel seguito dell'audizione svolta davanti alla commissione Istruzione del Senato il ministro Stefania Giannini  - che il 27 marzo si era soffermato sul tema della scuola - ha illustrato le priorità del suo dicastero nel campo della ricerca. Illustrando la situazione della ricerca, il ministro ha ricordato che negli ultimi 5 anni la quota italiana di spesa in ricerca e sviluppo rispetto al Pil è inferiore alla media europea e a quella dei principali paesi industriali, collocandosi al diciannovesimo posto su 23 paesi considerati. Occorre a suo avviso un maggiore coordinamento tra i soggetti interessati al settore oltre a un'opera di semplificazione a più livelli: una semplificazione finanziaria, in cui le risorse devono confluire in un piano finanziario della ricerca unico; una semplificazione gestionale, in base alla quale razionalizzare i soggetti che operano intorno al mondo della ricerca e il numero degli enti pubblici di ricerca; una semplificazione normativa, nella quale regolamentare alcuni processi omogenei nell'emanazione dei bandi evitando asimmetrie, specie in vista dell'avvio dei nuovi interventi sui Programmi operativi nazionali (PON) della nuova programmazione europea 2014-2020.
Il ministro ha sottolineato poi che l'Italia sconta una cronica incapacità di assegnare cifre stabili nei relativi capitoli di bilancio, a causa di tagli imprevedibili operati attraverso la legge di stabilità, con il risultato di una perdurante incertezza. Dei fondi europei messi a disposizione da Horizon 2020, il nostro paese avrà a disposizione solo 1,7 mld di euro pari a circa la metà delle risorse disponibili nello scorso ciclo. Quanto alle risorse alternative, il Fondo per la ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) nel 2013 è stato pressoché unicamente dedicato al finanziamento di bandi innovativi per i giovani: oltre 48 mln di euro per il finanziamento di specifici interventi atti a garantire il ricambio generazionale e l'autonomia scientifica dei giovani ricercatori. Il Fondo può essere analogamente rifinanziato per il 2014, ma comunque l'orizzonte temporale è sempre troppo limitato. Il Fondo per l'agevolazione alla ricerca (FAR) poi, destinato alla ricerca industriale, non è stato più rifinanziato dal 2010. A proposito dell’ANVUR, la sua attività dovrebbe essere estesa a tutti i soggetti della ricerca pubblica e incidere, mediante criteri e parametri specifici, sull'assegnazione di quote crescenti del Fondo ordinario per gli enti di ricerca (FOE). In particolare, la valutazione deve mirare al raggiungimento di standard di qualità e di competitività rispetto ai quali il ministero deve esercitare una compiuta politica d'indirizzo, tenuto anche conto delle priorità dell'esecutivo e dei principali stakeholders nel settore. (Fonte. ASCA 04-04-2014).
Per leggere il testo integrale delle dichiarazioni programmatiche, rese dal ministro Giannini l’1 aprile 2014 davanti alla VII Commissione Permanente del Senato, cliccare questo link http://tinyurl.com/ncanwdb .

ASN. NE PARLA IL MINISTRO GIANNINI ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA
“La complessa vicenda delle Abilitazioni Scientifiche Nazionali (ASN) reclama chiarezza. La chiedono le Università in attesa di reclutare, la chiedono i candidati, in attesa di entrare nei ruoli della docenza, forse la chiedono anche alcuni Commissari, almeno quelli (la maggior parte spero) che non hanno scambiato il rilascio di una patente di guida con la messa in moto di una Ferrari. […] Se i meccanismi non sono sufficientemente agili, agevoli, veloci, il rischio di creare ‘tappi’, ritardi, elefantiasi procedurali e di disattendere le aspettative diventa certezza. E allora non resta che restituire i diritti strappati nel presente […] e immaginare un meccanismo semplice e che dia garanzia di continuità nel futuro. In altri termini, non mi sento di garantire un terzo ‘concorsone’ abilitante”. Sono le parole di Stefania Giannini, ministro dell’Istruzione del governo Renzi, pronunciate il 10 marzo, all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Padova.
A proposito di ASN riporto il seguente commento di p. marcati (02-04-14) postato su Roars:
Non credo che le attuali tornate di abilitazione vadano considerate come una procedura ordinaria, ma come un modo, certo pieno di difetti, per fare un minimo di ordine nell’ingorgo di persone bloccate da anni nelle loro progressioni di carriera. Per il futuro sono necessarie procedure più snelle, ma il problema non mi pare giri intorno al dilemma se dare più potere alle sedi o più potere a livello nazionale, poiché porcherie sono state prodotte in modo equo in entrambe i casi. Produrre in modo elettivo dei research council, a parte il nome inglese, mi sembra il festival delle mafiette nazionali. Mi pare che il problema italiano sia quello di smettere di pensare a soluzioni autarchiche e cominciare a internazionalizzare il sistema decisionale. Ovviamente questo richiede una guerra di liberazione dalle burocrazie dei verbali e dei formalismi giuridici, poiché non esiste alcuna procedura formale che risolva questioni di merito. Personalmente credo che una procedura snella di abilitazione possa essere fatta “on line”. Si crea un panel europeo chiedendo anche a varie agenzie di altri stati di segnalare dei nomi, i candidati sottomettono i loro cv ed elencano i DOI delle pubblicazioni. I commissari nominano uno-due referees, poi, ricevuti i reports, votano in forma anonima dando un punteggio (es: 0-10) e chi prende più di 8/10 di media è abilitato. Il resto del meccanismo deve essere locale, magari con il vincolo che non puoi essere RTD di tipo B dove hai fatto il dottorato.

CODICE DI COMPORTAMENTO DEI DIPENDENTI PUBBLICI E DOCENTI UNIVERSITARI
Le Università italiane sono impegnate nell’approvazione di un proprio codice di comportamento dei dipendenti pubblici, un documento destinato a integrare, in ciascun Ateneo, il Codice di comportamento valido a livello nazionale per tutti i pubblici dipendenti (approvato con D.P.R. 16-04-2013, n. 62) e a coordinarsi con altri corpi normativi come ad esempio il codice etico e il codice di disciplina. L’esistenza di un codice di comportamento normativamente imposto esige una riflessione sul ruolo delle Università e delle persone che in esse operano.
L’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (che riprende l’articolo 58-bis del D.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29) prevede che dall’applicazione del codice di comportamento dei dipendenti pubblici siano esclusi i magistrati e gli avvocati dello Stato. Agli organi delle associazioni di categoria di questi dipendenti pubblici è demandata l’adozione di un codice etico, che è poi sottoposto all’adesione dei singoli magistrati e avvocati dello Stato.
Non è chiaro perché i professori universitari siano stati trattati diversamente e a loro non sia stata data alcuna possibilità di autoregolamentazione. Il codice di comportamento dei dipendenti pubblici è assimilabile ai codici deontologici degli ordini professionali, che hanno efficacia normativa e definiscono l’insieme delle regole di comportamento alle quali ogni professionista deve attenersi nella pratica professionale. I codici deontologici sono scritti e approvati dalle singole comunità professionali che li usano come strumenti di autogoverno, guida delle scelte individuali, controllo delle prestazioni e tutela della professione. Per essere efficace e per contribuire alla formazione delle persone e alla qualità dei servizi, un codice di comportamento deve essere non un’imposizione calata dall’alto ma il risultato condiviso di un dibattito informato e imparziale di tutti i professionisti interessati.
Ai professori universitari è riconosciuta autonomia e diritto di autoregolamentazione in quanto professionisti (per esempio, avvocati, psicologi, ingegneri, medici, ecc.), ma non in quanto dipendenti pubblici, membri di un’organizzazione come l’Università che riconosce nella propria autonomia la condizione necessaria e irrinunciabile per l’esercizio delle libertà individuali e il perseguimento degli obiettivi istituzionali nell’interesse della comunità locale, della comunità scientifica e dell’intera società.
Nel corso del tempo abbiamo assistito a una progressiva giuridicizzazione degli obblighi previsti nel codice di comportamento. Il codice nazionale è contenuto in un regolamento approvato con D.P.R. 62/2013 che le singole Università non possono disattendere, ma al più “integrare e specificare” (art. 54, comma 5, D.lgs. 165/2001 come modificato dalla legge 190/2012). Vero è che per professori e ricercatori le norme contenute nel codice valgono come “principi di comportamento in quanto compatibili con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti” (art. 2, comma 2, D.P.R. 62/2013). E’ altrettanto vero però che detti principi sono imposti dal legislatore (al più integrati e specificati a livello locale). E che alcuni di essi sono incompatibili prima ancora che con l’ordinamento proprio dei docenti universitari con lo status che la loro funzione dovrebbe automaticamente comportare.
Ma è il dato di sistema che deve indurre a riflettere. La giuridicizzazione contenutistica dei comportamenti ovvero la previsione normativa (ancorché come principi) dei singoli obblighi dei docenti coincide con un progressivo sfarinamento del ruolo del professore universitario, che accetta senza colpo ferire di essere assimilato a chi opera alle dipendenze di un datore di lavoro che persegue i propri interessi, e di vedersi imposti dal legislatore gli standard di comportamento. Quando è stato introdotto il codice di comportamento per i dipendenti pubblici nulla si è detto per invocare la non applicazione dello stesso ai professori universitari. O per ottenere, almeno, un trattamento identico a quello dei magistrati. L’imposizione di un codice di comportamento può essere interpretato come ulteriore passaggio che sta determinando quella che è stata definita svolta autoritaria e che consiste nell’aziendalizzazione dell’Università e nell’affermarsi di un pensiero unico che induce il conformismo. (Fonte: R. Cubelli, G. Pascuzzi e S. Zambelli, testo integrale del post   24-03-2014)

L’OCCUPAZIONE IN CALO DEI LAUREATI NON DIPENDE DAL DISALLINEAMENTO TRA FORMAZIONE UNIVERSITARIA E MERCATO DEL LAVORO
Da un decennio circa le immatricolazioni calano (il tasso di passaggio scuola-università, per l’Italia è meno del 50%, di 11 punti inferiore a quello medio europeo) e diminuiscono anche i passaggi dalla laurea triennale a quella magistrale (il 47% nel 2012). Le ragioni, purtroppo, non sono un mistero: la prima sta nell’immagine pubblica dell’università, con giornali e televisioni che presentano sistematicamente gli atenei come luogo di corruzione, organismi feudali e inutili. Il debole giornalismo italiano dimostra di non riuscire a distinguere gli episodi di cattiva governance, o addirittura di corruzione, dal funzionamento complessivo di un sistema che sforna circa 300.000 laureati l’anno. L’effetto di questa campagna è diffidenza, disaffezione, rinuncia a proseguire gli studi. Non si deve però dimenticare un altro fattore decisivo: la carenza di fondi per il diritto allo studio. L’Italia è in fondo alle classifiche europee per il sostegno all’istruzione universitaria e perfino molti degli aventi diritto non riescono a ottenere le magre borse stanziate dalle Regioni. In una crisi prolungata il costo degli studi, per gli studenti e per le famiglie, può essere proibitivo, soprattutto se cumulato all’incertezza sugli sbocchi lavorativi.
Quindi, non incolpiamo il mismatch (disallineamento tra formazione universitaria e mercato del lavoro) se le prospettive occupazionali dei laureati sono difficili: esse dipendono dall’andamento generale dell’economia e dalle scelte dei governi piuttosto che dagli “errori” nell’orientamento scolastico. (Fonte: F. Tonello, unipd.it/ilbo 31-03-2014)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

ASN. NUOVO TERMINE PER LA CONCLUSIONE DEI LAVORI, PER LA TORNATA 2013
Si segnala il decreto direttoriale recante nuovo termine per la conclusione dei lavori delle commissioni per l’abilitazione scientifica nazionale (art. 4, comma 6, del dd n. 161 del 2013) con il quale i lavori delle commissioni per l’ASN 2013 sono prorogati al 31.5.2014.

ASN. 59.193 CANDIDATI, 998 "GIUDICI", 184 COMMISSIONI PER 14 SETTORI DISCIPLINARI. SUPERARE LE POLEMICHE SUGLI ESITI
L'abilitazione scientifica nazionale «si è svolta con modalità di straordinaria trasparenza», soprattutto se «confrontate con quelle del passato». Chi si è avventurato in questo appassionato elogio del nuovo sistema di selezione degli aspiranti professori universitari, nato con la riforma del 2010 nel tentativo di archiviare le tante storie di "famiglie accademiche" fiorite nelle vecchie «concorsopoli» locali? Il giudizio è scritto in una petizione del Coordinamento giovani accademici della Sapienza di Roma, che in calce a questo appello ha raccolto in poche settimane 2.227 firme. A leggere le polemiche di queste settimane, e la loro ricca aneddotica su pubblicazioni valutate in pochi secondi ed esclusioni di talenti "sorpassati" da candidati con curricula esili e zoppicanti, la richiesta dei «giovani accademici» parrebbe quantomeno originale, e insensato l'ampio seguito ottenuto subito nelle università. Superare questa prima impressione, però, non è difficile: basta, prima di tutto, ricordare che cos'è, e che cosa non è, l'abilitazione nazionale.
L'abilitazione non è un concorso, nel senso che non assegna posti, ma seleziona chi può aspirare a una cattedra: per questa ragione, è a numero «aperto», e raccoglie tutti gli studiosi che vogliono candidarsi. Saranno poi le singole università a mettere a disposizione i posti e reclutare gli abilitati.
I numeri, appunto, non sono un fattore secondario: la prima tornata di abilitazione (dati ufficiali) ha esaminato 59.193 candidature, impegnando 998 "giudici" divisi in 184 commissioni per 14 settori disciplinari. Ipotizzando con uno slancio di ottimismo un tasso di errori quasi inumano, per esempio l'1%, si otterrebbero 592 casi controversi: più che sufficienti per alimentare la polemica basata su aneddoti, e per far legittimamente arrabbiare parecchie persone coinvolte, ma troppo pochi per bocciare senza appello il sistema. Anche il lavoro dei TAR, che da sempre tiene per mano l'università italiana in ogni suo passo, sembra per ora confermare questa impressione: i ricorsi sono nell'ordine di qualche centinaio, e le prime pronunce hanno riconosciuto la sospensiva per casi individuali, chiedendo talvolta anche di formare una nuova commissione, ma senza intaccare i i pilastri del sistema e i parametri di valutazione. (Fonte: G. Trovati, Ilsole24ore.com 17-03-2014)

ASN E CONCORSI LOCALI. LA RESPONSABILITÀ DEI DIPARTIMENTI
L’Abilitazione scientifica nazionale stabilisce che l’idoneità a svolgere il ruolo di professore possa essere conferita solo a chi possiede almeno dei “requisiti minimi” in termini di produzione scientifica. Tali requisiti sono condizione necessaria e non sufficiente, e il loro accertamento è integrato da una valutazione discrezionale da parte di una commissione nazionale, che si forma con un sorteggio. I candidati che hanno ottenuto l’abilitazione potranno poi partecipare ai concorsi da professore. I requisiti necessari per l’abilitazione sono pubblici e agli aspiranti professori basta dare un’occhiata per rendersi conto se il loro profilo scientifico è competitivo oppure no. Chi non abbia mai svolto attività di ricerca (esempio estremo e poco rappresentativo ma possibile) difficilmente sarà in grado di soddisfare i criteri previsti, uguali per tutti, e dovrà temporaneamente fare un passo indietro. Rispetto al passato è un miglioramento netto, se consideriamo quanti concorsi sono stati vinti finora da candidati con un profilo scientifico molto modesto. L’ASN quindi non è un concorso né una truffa, come vuole far credere la retorica dei “professori abilitati ma senza cattedra” tanto in voga sui giornali negli ultimi tempi. Però, da sola non basta. Anzitutto servono finanziamenti per reclutare nuovi ricercatori, senza i quali il sistema universitario italiano è destinato al collasso. Inoltre, c’è sempre il rischio che i concorsi locali non si svolgano in modo trasparente. Ripristinare il rispetto della legge nei concorsi da ricercatore e da professore associato è un obiettivo fondamentale per il futuro dell’Università, senz’altro più urgente dell’abolizione dell’ASN. La riforma del sistema di reclutamento universitario insomma è ancora incompiuta, e allo stato attuale molte delle critiche rivolte all’ASN sono fondate. Ma niente è peggiore del ritorno a un passato. Finché i dipartimenti non saranno pienamente responsabili delle loro scelte – nel senso di pagare con minori finanziamenti e minore reputazione il reclutamento di persone che non fanno ricerca scientifica – l’ASN sarà utile. Per ora quindi non ha senso abolirla. Semmai va migliorata e integrata con un sistema più efficiente di incentivi e regole per lo svolgimento dei concorsi locali, per la valutazione dell’attività di ricerca dei dipartimenti universitari e per la distribuzione dei finanziamenti pubblici alla ricerca. (Fonte: F. Sabatini, FQ 11-03-2014)

ASN. PROPOSTE DI REVISIONE DELLE PROCEDURE
Per quanto concerne l’abilitazione scientifica nazionale, crediamo che si debba al più presto dare avvio a una sostanziale revisione delle procedure abilitative prevedendo commissioni molto più ampie delle attuali i cui membri possano essere selezionati dalle comunità scientifiche ed eventualmente sorteggiati su liste di eletti. Riteniamo che le procedure debbano superare la logica del bando annuale per dare invece la possibilità ai singoli studiosi di veder valutato il proprio profilo accademico, così da superare la tendenza a interpretare le abilitazioni come una procedura comparativa. Siamo quindi convinti che gli indicatori di produzione scientifica debbano essere profondamente rivisti e adeguati ai diversi ambiti disciplinari, sicuramente superando la logica della “mediana”, che mina i principi di un’equa valutazione nel tempo, ma anche valorizzando quegli ambiti di studio trasversali e interdisciplinari fortemente penalizzati dalle attuali procedure. Riteniamo infine che debba essere superato l’ingiustificato limite di presentazione delle attuali domande e che si debba dare quanto prima ai non abilitati della prima tornata la possibilità di partecipare a un nuovo bando. (Fonte: FlcCgil 03-03-2014)

ASN. I VINCITORI DI UNA VALUTAZIONE SONO NATURALMENTE PREVEDIBILI
La lettura dei giudizi sul sito del MIUR e i primi ricorsi al TAR del Lazio hanno rinfocolato le polemiche giornalistiche: l’attenzione si è concentrata su alcuni settori, dove si segnalavano casi di “vincitori noti in anticipo”. In altre parole, i quotidiani accusavano le commissioni di aver manipolato i risultati per favorire raccomandati, fedelissimi dei “baroni” e altri membri della Casta o aspiranti tali. In realtà potrebbero esserci stati solo alcuni casi di “fuga di notizie” dato che per molte commissioni la pubblicazione degli esiti si è avuta diversi mesi dopo la chiusura dei lavori. Ma più sostanzialmente, come ha scritto Francesco Coniglione, i professori universitari “non sono postelegrafonici” e quindi si tratta di un’ottica sbagliata: “In un sistema normale che premia il merito scientifico, il fatto che si sappia in anticipo chi vincerà un certo concorso deve essere ritenuto la condizione normale e non può essere considerato per niente una patologia”. Per quale motivo? Perché “prima di arrivare a una valutazione (come l’ASN), lo studioso ha pubblicato articoli e volumi, ha frequentato congressi, fa parte di società scientifiche (…) Insomma uno studioso degno del nome è conosciuto molto prima del momento in cui si sottopone a valutazione, specie in settori concorsuali molto specialistici e per le fasce più alte delle qualificazioni”. La valutazione è quindi “il momento finale in cui viene formalmente riconosciuto un consenso e una stima già socialmente consolidata nella comunità scientifica. Ecco allora che è del tutto possibile prevedere i vincitori di tale valutazione: anzi, se così non fosse, si dovrebbe sospettare che la commissione abbia adoperato criteri del tutto arbitrari”. (Fonte: F. Tonello, Roars 16-03-2014)

ASN. PROBABILITÀ DI ABILITAZIONE PER OUTSIDER E INSIDER
La procedura di abilitazione scientifica nazionale 2012 per professore universitario di prima e di seconda fascia è quasi terminata (al 7 marzo sono stati pubblicati i giudizi di 167 commissioni su 184) e i dati disponibili sul sito dell’Asn consentono già una prima esplorazione quantitativa degli esiti.
L’abilitazione nazionale è stata introdotta dalla legge Gelmini e, così come le commissioni che devono gestirla, ha ricevuto diverse critiche, spesso di segno opposto. Se molti vedono nell’Asn lo strumento per superare vecchie logiche di reclutamento che poco o nulla hanno a che fare col merito, c’è anche chi teme che la procedura abbia l’unico esito di appiattire la valutazione della ricerca su logiche quantitative o bibliometriche, scoraggiando così le ricerche innovative o potenzialmente controverse a favore delle impostazioni dominanti nelle rispettive discipline.
Sulla base dei risultati pubblicati finora, in questa tornata, la produttività scientifica ha svolto un ruolo fondamentale nel determinare le probabilità di ottenere l’abilitazione. E tuttavia, per i candidati con un profilo scientifico più debole, conoscere un membro della commissione sembra aver migliorato significativamente le chance di successo. Ma quali altri fattori possono aver influenzato le probabilità di successo dei candidati? È quanto ci proponiamo di evidenziare in questo articolo e in altri successivi. L’obiettivo è fornire evidenza empirica e indicazioni costruttive utili a migliorare, in futuro, l’efficienza e l’equità della procedura di abilitazione. Riteniamo, infatti, che l’Asn possa dare un contributo positivo al rinnovamento di un sistema di assunzione nell’università che si è rivelato storicamente inefficiente. In questo articolo si tratta delle probabilità di abilitazione per outsider e insider. (Fonte: M. Marzolla, T. Reggiani, M. Rizzolli, F. Sabatini e F. Sarracino, la voce.info 25-03-2014)

ASN. UNA CONTESTAZIONE ECCELLENTE
Tredici righe e dodici firme. Nobel ed economisti di fama mondiale che esprimono al ministro dell'Istruzione Giannini e al premier Renzi il loro sconcerto per i risultati degli esami di abilitazione scientifica per accedere all'insegnamento accademico di Storia economica. «Ci lascia perplessi», dicono senza mezzi termini, «la bocciatura di alcuni candidati con un eccellente curriculum». «Costoro», scrivono i dodici luminari, «sono ben noti fuori dall'Italia per le loro pubblicazioni, gli interventi a conferenze e seminari, gli articoli per importanti riviste e la coIlaborazione a progetti di ricerca internazionali». A nessuno di questi, stigmatizzano, «è stato attribuito il titolo di professore di prima fascia e sarebbe un terribile peccato se ciò impedisse loro la completa realizzazione dei programmi di ricerca: la storia economica ne sarebbe impoverita». Ma non è finita. Perché i dodici luminari sottolineano un secondo «aspetto inquietante» dell'esito delle selezioni. Cioè che mentre i tre «colleghi di grande valore», come sono definiti, venivano esclusi, a superare l'esame erano «candidati con un curriculum di ricerca assai limitato in termini di pubblicazioni internazionali». E questa, conclude la lettera, «non è la direzione verso cui la storia economica italiana deve andare se vuole garantirsi il posto che le spetta all'avanguardia della ricerca nel nostro campo». (Fonte: S. Rizzo, CorSera 26-03-2014)

ASN. INFLAZIONE DI ABILITATI IN ARCHEOLOGIA
Dodici accademici dei Lincei hanno sottoscritto una lettera, inviata al ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, per protestare contro gli esiti del concorso di abilitazione per professori universitari nel settore di Archeologia. Secondo gli accademici, il numero di abilitati — 69 su 160 candidati per la prima fascia e 241 su 553 per la seconda — è da considerare «spropositato»: «Se i bilanci delle università dovessero veramente assorbire anche solo una parte di questi abilitati», come, a loro dire, potrebbe accadere stando a taluni commi della legge Gelmini, «saremmo nella paradossale situazione che il nostro Paese verrebbe a disporre di un numero di professori universitari associati di archeologia oltre otto volte superiore a quello dei pari grado nelle università dell'intera Europa a 27, un dato che getta discredito non solo sulla categoria degli archeologi, ma su tutta l'accademia». (Fonte: CorSera 04-04-2014)

ASN. RISOLUZIONE DI PARLAMENTARI PRESENTATA IN COMMISSIONE ISTRUZIONE ALLA CAMERA
Parlamentari del PD hanno presentato una risoluzione in Commissione Istruzione e Università della Camera per tentare di apportare basi stabili e certe all’intera normativa relativa all’ottenimento dell’abilitazione scientifica nazionale. “ La ministra Giannini – spiega l’on. Ghizzoni – ha dichiarato la propria disponibilità a semplificare il processo di abilitazione: un impegno apprezzabile. Nell’attesa di vederlo declinato in ipotesi di interventi, riteniamo utile indicare alcuni indirizzi di azione concreta”. Ad esempio, per chiarire l’equivoco abilitazione=concorso, la procedura andrebbe trasformata da “bando” a “sportello”, così che i curriculum dei candidati – che ritengono la propria produzione scientifica corrispondente ai previsti parametri di accesso – siano valutati singolarmente nell’ordine di presentazione. I criteri e i parametri di valutazione andrebbero poi definiti con il contributo degli organismi di rappresentanza e valutazione del sistema universitario – vale a dire il Consiglio universitario nazionale, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca e il Comitato di esperti per la politica della ricerca – e tenendo anche conto del parere delle maggiori società scientifiche settoriali, in modo da ampliare l’analisi preventiva della loro significatività e il conseguente consenso su di essi. “Si tratta di un impegno che può essere assolto con un impegno di medio periodo – spiegano gli on.li Manuela Ghizzoni e Carlo Galli – mentre nell’immediato occorrerebbe intervenire per consentire alle commissioni della seconda tornata di abilitazione di procedere in conformità a norme più chiare e certe e per prevedere, in considerazione del ritardo accumulato, che essa sia aperta anche a chi non ha ottenuto l’abilitazione nella prima tornata”. (Fonte: Atto Camera risoluzione in commissione 7/00327. Primo firmatario M. Ghizzoni 02-04-2014)

RICORSI AMMINISTRATIVI CONTRO LE DETERMINAZIONI DELLE COMMSSIONI PER L’ASN. SI PARLA DI 500 RICORSI, CIRCA L’1% DELLE DOMANDE
Iniziano a essere resi noti i risultati dei primi ricorsi amministrativi contro le determinazioni delle commissioni per l’ASN. L’abilitazione scientifica nazionale sta ora vivendo la fase della prova giuridica.
Com’era ragionevole aspettarsi non è una prova facile e i primi dispositivi del TAR Lazio sono indicativi della situazione. Al momento c’è stata camera di consiglio per 49 ricorsi per complessivi 18 settori interessati (ben 11 ricorsi provengono dal settore 08A1); i provvedimenti cautelari sono stati disposti per 15 casi su 49 (di questi, 5 accoglimenti sono riferibili al settore 06D3); le motivazioni di accoglimento sono riconducibili a tre tipologie, come di seguito riassunto:
A) Competenza. A.1) Mancanza commissario del settore e mancata richiesta parere pro veritate
B) Coerenza. B.1) Giudizio non unanime e non riconoscibile nel collettivo la sintesi dei singoli.
B.2) Richiesto parere pro veritate ma disatteso. B.3) Accezione di “accettabile” come giudizio negativo. C) Errori (di tipo quantitativo). C.1) Errata (nel senso di omessa) valutazione di titoli. C.2) Calcolo indicatori/autotutela MIUR.
Dai dati emerge un preciso e coerente orientamento del TAR Lazio nel concedere o non il provvedimento cautelare in funzione dei difetti di giudizio contestati.
Siamo in presenza della punta dell’iceberg (nel pieno senso dell’espressione, in quanto si parla di circa 500 ricorsi presentati) e quindi è ancora presto per disporre di una precisa fotografia degli esiti della fase giudiziaria su cui quindi si dovrà ritornare. Circa 500 ricorsi presentati corrispondono a circa l’uno percento delle domande. (Fonte: A. Pezzella, Roars 28-03-2014)


CLASSIFICAZIONI INTERNAZIONALI

CLASSIFICA DI ATENEI IN BASE ALL’ECCELLENZA ACCADEMICA
Il World Reputation Rankings di Times Higher Education, variante "d'opinione" della più nota classifica sulle migliori università mondiali, riconsegna a USA e Regno Unito il primato nella qualità accademica: la top 10 è dominata dai supercollege nordamericani (Harvard, Mit, Stanford, Berkeley, Princeton, Yale, California Institute of Technology, Ucla) e inglesi (Oxford e Cambridge). Harvard si conferma al primissimo gradino del podio. Rispetto al suo risultato, preso a modello con base 100, seguono Mit di Boston (90,4), Stanford University (74,9), Cambridge (74,3), Oxford (67,8), Berkeley (63,1), Princeton (35,7), Yale (30,9), California Institute of Technology (29,2), Ucla (28,8). "Solo" 11esima Tokyo (27,7), nell'edizione dello scorso anno unica istituzione non nordamericana o britannica tra le prime 10. L'università italiana resta fuori dalla classifica, in una graduatoria che confina Humbdolt-Universität di Berlino e Sorbona di Parigi tra la 71esima e l'80esima posizione. I punteggi esatti dalla 50esima posizione in giù non sono disponibili, perché – a detta di Reuters – lo scarto è "troppo ristretto" per essere evidenziato. A differenza del World University Ranking, l'indice sull'eccellenza accademica redatto con la consulenza di Thompson Reuters, la graduatoria si basa esclusivamente su «opinioni soggettive – anche se opinioni di riconosciuti e apprezzati accademici». I risultati, comunque, restano soggettivi. Nella definizione fornita dal Times Higher Education, nella tipologia di domande avanzate («Dove manderesti i tuoi laureati più brillanti?») e, soprattutto, nella distribuzione geografica di chi ha risposto. Non è un caso che le aree con la maggior concentrazione di questionari compilati siano quelle più rappresentate nei quartieri alti della classifica: il 25% dei "responses" arriva dal Nord America, il 19% dall'Europa occidentale (Regno Unito incluso.); il 13% dall'Asia. Rispettivamente cinque, quasi quattro e più di due volte tanto i feedback registrati tra studiosi operativi nell'Europa del Sud, pari al 5% del totale. (Fonte: A. Magnani, ilsole24ore.com 05-03-2014)


DOCENTI. FORMAZIONE

ETÀ MEDIA DEI DOCENTI. SIAMO IN CODA AI 28 PAESI UE
L’età media alla quale si diventa professori ordinari nel 2012 ha superato i 59 anni (attestandosi a 59,4). Anche tra gli associati e i ricercatori, l’età si è innalzata di molto nell’ultimo trentennio. Nel 1983 in media si otteneva la cattedra a 52,6 anni. Rispetto ad allora, nel 2012 l’età media dei professori ordinari è cresciuta di 7,8 anni. Questo è il secondo peggior dato di sempre (il record negativo è stato nel 2008, quando si arrivò a 59,7 anni). Per i professori associati e i ricercatori, in media, gli esponenti di entrambe le categorie sono più vecchi di 10 anni rispetto al 1983. Nel 2012 tra i professori universitari di seconda fascia si è raggiunto il dato più alto di sempre: 53,4 anni di media, contro i 44,3 di trent’anni prima. L’età media dei ricercatori è passata, invece, dai 35,9 anni del 1983 a 45,9 anni. E questa cifra, che mai era stata così alta, pare addirittura destinata a crescere. Per effetto della messa a esaurimento, con una lenta contrazione che ha portato il numero dei ricercatori nelle università italiane dal picco massimo dei 25.581 del 2008 ai poco più di 24mila di oggi. Qualche tentativo per invertire la rotta e tamponare l’emergenza dell’invecchiamento dei nostri professori universitari è stato fatto – come l’abolizione del c.d. fuori ruolo e i limiti alla concessione del biennio di proroga – ma sembra essere andato a vuoto. Tanto che i numeri dell’Annuario Scienza Tecnologia e Società 2014 rivelano che l’Italia ha solo il 12,1 per cento di professori e ricercatori con meno di 40 anni, mentre la Germania ne ha il 49,2 per cento. In questa speciale classifica, che ci relega all’ultimo posto tra i 28 Paesi dell’Unione Europea e restituisce gli esatti contorni di questa emergenza, ci superano – e non di poco – perfino la Polonia (35,8 per cento) e il Portogallo (29,5 per cento). (Fonte: universita.it 25-03-2014)


DOTTORATO

RIDUZIONE DELLE BORSE DI DOTTORATO. NELL’UE SIAMO IN CODA PER N.RO DI DOTTORANDI PER 1000 ABITANTI        
A rilevare una drastica riduzione dei posti di dottorato è l'Associazione dottorandi e dottori di ricerca Italiani (Adi) alla luce di quanto previsto dalle «Linee guida per l'accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato» emanate dal MIUR il 24 marzo. Il numero delle borse di dottorato dovrà essere congruo rispetto al numero di posti messi a bando per evitare un elevato numero di dottorandi senza borsa. II ministero ritiene congruo un numero di borse pari ad almeno il 75% dei posti disponibili. L'Adi, che chiede il superamento della figura del dottorando senza borsa, ritiene che la percentuale del 75% vada raggiunta e superata attraverso la copertura con borsa per tutti i dottorandi (nel 2011-2012, 13.218) e non attraverso una drastica riduzione dei posti, «Crediamo, - spiega l'associazione - che in un contesto come quello attuale, caratterizzato da una grave condizione di sottofinanziamento del Dottorato, molti atenei potrebbero scegliere di soddisfare il requisito del 75% tagliando i posti». L'Italia è agli ultimi posti in Europa per numero di dottorandi ogni 1.000 abitanti: 0,6 contro i 3,8 della Finlandia, 2 della Grecia, 1,4 della Gran Bretagna, gli 1,1 della Francia. (Fonte: Il Manifesto 28-03-2014)         

UNIBO. RIENTRANO NEL DOTTORATO DOPO L’ELIMINAZIONE DEL DIVIETO DI LAVORARRE
Una nuova chance per circa una dozzina di studenti che hanno rinunciato al dottorato perché lavoravano. Il MIUR ha, infatti, eliminato, con le “Linee guida sul dottorato”, il divieto di lavorare per i dottorandi. Il prorettore dell’UNIBO Dario Braga ha annunciato che saranno richiamati e potranno rientrare nel dottorato, ovviamente senza borsa. Il divieto era il frutto di un Decreto ministeriale del febbraio 2013, quando ministro era Profumo, che stabiliva che “l’ammissione al dottorato comporta un impegno esclusivo e a tempo pieno“, anche per i dottorandi senza borsa. L’Alma Mater aveva recepito il testo a luglio, rendendolo vincolante per i dottorati iniziati a gennaio 2014. Sono circa 350-400 studenti ai quali Braga prevede che verrà esteso il nuovo regolamento. Per essere effettiva la modifica del regolamento dovrà essere approvata nel Senato Accademico di aprile. (Fonte: D. Aguiari, radio.rcdc.it 31-03-2014)

DOTTORATI. CRITICITÀ DEI CRITERI DI ACCREDITAMENTO
Come già osservato sia da Roars sia da CUN e CRUI, una delle criticità dei criteri ANVUR per l’accreditamento dei dottorati di ricerca è costituita dal fatto che essi fanno riferimento ai voti VQR individuali dei membri del collegio. Si tratta di un’informazione che i singoli non sono tenuti a fornire e, di conseguenza, la proposta di un collegio dei docenti diventa una specie di scommessa al buio. Un avviso sul sito dell’ANVUR, comunica però la possibilità di chiedere una pre-valutazione degli indicatori VQR e l’ANVUR, da novello Minosse, riceverà la confessione, esaminerà le colpe e, pur senza cingersi la coda, segnalerà le soglie che non vengono superate.
Se da un lato, questa pre-valutazione aiuterà gli atenei a superare le forche caudine bibliometriche dell’accreditamento dei dottorati, non si può fare a meno di notare la messa in pericolo della riservatezza dei voti VQR. Per fare un esempio, immaginiamo che un dottorato chieda il calcolo degli indicatori per una data composizione del collegio dei docenti. L’ANVUR comunica il mancato superamento di una o più soglie bibliometriche per R e X. Per ovviare al problema, è rimosso dal collegio uno dei membri, e viene chiesto un nuovo calcolo all’ANVUR. Se la nuova valutazione diventa positiva, vengono, di fatto, rilasciate informazioni sulla valutazione VQR di un singolo docente. In effetti, da più parti era stato obiettato che l’utilizzo dei voti VQR era del tutto improprio. Come precisato dalla stessa agenzia, l’ANVUR sottolinea che i risultati della VQR non possono e non devono essere utilizzati per valutare i singoli soggetti. I motivi sono molteplici, e qui ne citiamo alcuni rilevanti: la scelta dell’associazione prodotti-soggetti valutati, dettata dall’ottimizzazione del risultato di struttura e non del singolo soggetto, la richiesta di conferire solo tre prodotti di ricerca pubblicati in sette anni, che costituiscono in molti settori della scienza un’immagine della produzione complessiva dei singoli soggetti molto parziale, la non considerazione del contributo individuale al prodotto nel caso di presenza di coautori, e, infine, l’utilizzo di metodi di valutazione la cui validità dipende fortemente dalla dimensione del gruppo di ricerca cui sono applicati. (Fonte: M. Bella, Roars 25-03-2014)

ACCREDITAMENTO DEI DOTTORATI. INTERVIENE IL MINISTRO
Roars ha segnalato il 26-03-14 la nota del ministro Giannini relativa all’accreditamento dei dottorati. Il Ministro richiama l’esigenza di una semplificazione dei processi e mette in guardia dall’uso delle mediane per la valutazione dei collegi di dottorato. Si veda il testo della nota in questo link.


FINANZIAMENTO

FINANZIAMENTI ALLA RICERCA
L’Italia presenta una spesa in ricerca e sviluppo pari all’1,25% del PIL, valore nettamente inferiore alla media europea e alla media dei paesi OCSE (2,37%). Lo scarto è dovuto in larga parte al settore privato, ma anche la spesa in ricerca e sviluppo nel settore pubblico è significativamente inferiore alla media OCSE: tra il 2006 e il 2010 a fronte di una media OCSE pari allo 0,7% del PIL, il settore pubblico in Italia ha investito lo 0,52%, ovvero circa un terzo in meno (si tratta di circa 3 miliardi di euro l’anno). Negli ultimi anni sono stati ridotti drasticamente i finanziamenti dal MIUR all’università (-20% in termini reali dal 2009, oltre un miliardo in termini nominali) e il personale strutturato (docenti e ricercatori) si è ridotto del 15%. Il fondo di finanziamento agli enti di ricerca vigilati del MIUR è rimasto relativamente costante in termini nominali. Si sono invece drasticamente ridotte le risorse per finanziare progetti su base competitiva come i PRIN e i FIRB, prosciugando una fonte importante di risorse per lo sviluppo di progetti di ampio respiro. L’Italia continua così ad avere un numero di ricercatori molto inferiore agli altri principali paesi europei, sia in assoluto sia in rapporto alle forze di lavoro, che riduce anche la nostra capacità di competere per le risorse comunitarie: l’Italia contribuisce per il 13,9% al budget comunitario, ma riceve circa il 9,4% dei fondi dei programmi quadro. Se tuttavia si rapportano le risorse ottenute al numero dei ricercatori, l’Italia sopravanza Francia, Germania e Spagna. Ovvero parte rilevante del gap tra contribuzione e fondi è da imputare alla dimensione asfittica del settore e allo scarso investimento di risorse nazionali. Questo pone problemi anche per le nostre ambizioni nell’ambito di Horizon 2020, programma che mette a disposizione della ricerca un ammontare notevole di risorse, cui, per quanto detto, non ci si può tuttavia illudere di attingere per sostituire gli investimenti nazionali.  (Fonte: Audizione ANVUR presso Ufficio Presidenza VII Commissione Senato 12-03-2014)


ON LINE. SITI INTERNET. RISORSE EDUCATIVE APERTE

OPEN EDUCATION: SVILUPPO DI UN MOOC PER SCUOLE E UNIVERSITÀ ITALIANE NELL'AMBITO DEL PROGRAMMA "TALENT ITALY"
In un Avviso (20-02-2014) del Direttore Generale del MIUR per la presentazione di proposte in risposta a "sfide" di innovazione sociale nell'ambito del programma "Talent Italy", all’art. 2 si legge:
Open Education: sviluppo di un MOOC per Scuole e Università italiane.
Negli ultimi anni, i Massive Online Open Course ("MOOC"), corsi online aperti a un numero potenzialmente elevatissimo di studenti, stanno diventando sempre più popolari. L'idea di utilizzare il World Wide Web per tenere corsi online fruibili da migliaia di studenti di ogni età e provenienza geografica, dopo un'originaria diffusione negli Stati Uniti d'America, si sta affermando anche in Europa e nel resto del mondo. Tale diffusione è facilitata dalla maggiore disponibilità della banda larga e dalla crescente popolarità di dispositivi digitali. I MOOC, infatti, sembrano un modo attraente per espandere l'esperienza in aula e raggiungere, in maniera economica ed efficace, autodidatti di ogni tipo: dai lavoratori alle persone con disabilità, dagli abitanti di aree rurali a quelli di aree in via di sviluppo.
Sebbene sia difficile stimarne con precisione l'impatto, una maggiore diffusione di esperienze educative sotto forma di MOOC risulta di notevole rilevanza sociale, culturale, civile ed economica. Per ottenere la massima efficacia da tale tipologia di corsi, oltre ad un elevato livello qualitativo dei contenuti, è fondamentale assicurare un approccio esperienziale all'apprendimento. Un MOOC deve garantire anche massima apertura (ad esempio mediante licenze libere Creative Commons) e tutela della privacy degli studenti. MOOC con contenuti liberi e che rispettano i fruitori possono diventare un'importante estensione della didattica tradizionale e una modalità inclusiva di trasmissione della conoscenza.
Per le proposte di MOOC si veda il testo integrale dell’Avviso.

DIFFUSIONE DEI MOOCS (MASSIVE ONLINE OPEN COURSES)
Oggi nel mondo si contano 700 MOOCS (erano solo 100 nel 2012), per un totale di 1.200 corsi proposti da 345 università. In Europa il progetto coinvolge soprattutto la Finlandia, dove il sistema è progettato per essere utilizzato anche da mobile, il Regno Unito, la Germania, l’Irlanda e la Francia, oltre alla piattaforma sovranazionale OpenupEd, nata con il sostegno dell'Unione europea. Un fenomeno in rapida espansione che ha visto crescere in poco meno di un anno gli studenti "a distanza" da 1,5 milioni a 2,8 milioni (dati a marzo 2013): secondo la Babson Survey Research Group, le iscrizioni ai corsi online sono aumentati del 29% tra il 2010 e il 2013, per arrivare a un totale di oltre 6,7 milioni. Un dato significativo, soprattutto a fronte del calo d’iscritti nelle università tradizionali. La maggior parte dei corsi è nell'area umanistica, seguiti da informatica e ingegneria. Ma l'offerta formativa dei MOOCS non si limita ai corsi universitari: solo per fare un esempio, si contano 66 Mba di buon livello, elencati nell'annuale classifica del Financial Times, dei quali oltre la metà in Europa (in particolare Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi e Svizzera).
Non mancano però ombre in un sistema formativo che vede un tasso di abbandono altissimo, intorno al 90%, e sul quale pesa il digital device (ne sono esclusi per esempio tutti quelli che non hanno la possibilità di un accesso online). (Fonte: E. Della Ratta, IlSole24Ore 17-03-2014)

GLI ATENEI ITALIANI SUI SOCIAL NETWORK. UNA RICERCA DEL POLITO
Per la prima volta a fotografare la presenza sul Web dei nostri atenei è la ricerca #socialUniversity, condotta dal «Centro Nexa su Internet & Società» del Politecnico di Torino. La mappatura, che si è concentrata sulle buone pratiche e sugli aspetti ancora migliorabili, ha rilevato che l’80% delle università ha almeno un account Facebook, il più diffuso dei social network, e il 76% cinguetta su Twitter, sfruttato soprattutto dai grandi atenei. A guidare la carica delle «social università» sono i centri del Nord (è presente il 90% degli atenei), mentre nel Sud la presenza si ferma al 45%. Se per la maggior parte degli istituti l’anno della svolta digitale è stato il 2011, scorrendo il rapporto si scopre che i pionieri sono stati il Politecnico di Torino (su Facebook dal 2008) e l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (su Twitter dal 2009). Un dettaglio importante è scoprire chi gestisce i canali: bene, dietro la maggior parte degli account ci sono le strutture che si occupano della comunicazione esterna degli atenei. Attenzione, spiegano i ricercatori, il fatto che il 7% dei canali Facebook e il 9% dei profili Twitter sia «appaltato» a uffici che seguono esclusivamente la comunicazione social, lascia intravvedere la possibile emersione di figure professionali ad hoc anche all’interno delle università. Ma cosa combinano le facoltà in Rete? Facebook è usato soprattutto per interagire con gli studenti, Twitter funziona invece per la diffusione delle notizie. 
Quali sono gli atenei più trasparenti? La ricerca ha rilevato informazioni quantitative sul seguito dei canali social non limitandosi a considerare il dato assoluto, ma - attraverso un incrocio di statistiche - rapportandolo alla popolazione attesa sui social delle diverse università. 
A livello assoluto, le prime dieci università per numero di follower sono quasi tutte statali, a causa delle dimensioni, tuttavia nelle classifiche relative alla «popolazione attesa» primeggiano gli istituti privati di medie dimensioni, le università per stranieri e i centri di ricerca. Gli atenei più attivi su Twitter sono l’Università di Scienze gastronomiche, la Scuola superiore di Studi avanzati di Trieste e la Normale di Pisa. Su Facebook, a guidare il gruppo c’è l’Università tematica Pegaso. 
Se a livello di presenza ci siamo, per quanto riguarda l’interazione i nostri atenei sono rimandati a settembre. Su Facebook, infatti, il 43% dei canali non permette agli utenti di lasciare messaggi in bacheca. Su Twitter invece, l’analisi degli ultimi 200 tweet per ogni account al 27 ottobre 2013 ha evidenziato come, in media, il 2% siano messaggini di risposta, e come quasi la metà dei profili (il 44%) non ne abbia mai pubblicato nessuno. C’è un altro punto per cui l’Italia è indietro rispetto alle università internazionali: le facoltà straniere in genere usano Twitter per divulgare i risultati della loro ricerca. Noi ancora non lo facciamo. 
Ma attenzione, non di soli Facebook e Twitter è fatto il Web: la ricerca di Nexa ha anche rilevato che YouTube è il terzo social network per popolarità tra gli atenei, con il 61% che possiede almeno un account, utilizzato per condividere principalmente estratti di conferenze, materiale promozionale e lezioni. Riguardo alle videolezioni, il 19% è presente su iTunes U di Apple, che permette di distribuire materiale didattico gratuito.  (Fonte: G. Bottero, La Stampa 27-03-2014)


PROFESSIONI. LAUREE. OCCUPAZIONE

ASPETTATIVE DEI GIOVANI LAUREATI PER L’INSERIMENTO NEL MONDO DEL LAVORO
"I giovani sfidano il futuro: Dall'impiego all'impegno", indagine che la società di consulenza Bain & Company ha realizzato per fotografare le aspettative dei giovani laureati italiani in procinto di entrare nel mercato del lavoro, alla vigilia dell'adozione delle concrete misure attuative del Programma UE Youth Guarantee, che attribuirà al nostro Paese oltre 500 milioni di euro per migliorare le opportunità di orientamento, di formazione e d’inserimento lavorativo del segmento più giovane della popolazione.
Il sondaggio è stato condotto on line su un campione di 1.000 giovani, un terzo dei quali residente in tre Regioni del Nord (Lombardia, Piemonte e Veneto), oltre la metà di età inferiore a 24 anni e per due terzi iscritto in corsi universitari principalmente di Economia, Ingegneria e Giurisprudenza. Ai partecipanti all'indagine è stato chiesto di conoscere le loro priorità, la disponibilità all'impegno e la tipologia delle rinunce che sono in grado di sopportare per avere successo. I risultati appaiono tutt'altro che deludenti, ben lontani dallo stereotipo che li aveva descritti come bamboccioni, indignados o sfigati: si definiscono generatori di idee ambiziose e pronti a investire seriamente su loro stessi e sulle loro aspirazioni e ad accettare difficoltà e rischi di fare impresa pur di perseguire con passione e tenacia la propria strada.
Abbastanza positivo il giudizio nei confronti del sistema accademico, che a loro avviso li aiuta a creare le basi per la propria carriera, ma non garantisce una connessione al mondo del lavoro e della classe dirigente, vista come esempio di coraggio e di eccellenza, che non promuove però sufficientemente un ambiente meritocratico e la crescita giovanile. Più negativa la fiducia espressa nei confronti delle istituzioni pubbliche, accusate di non favorire l'imprenditorialità, e ancor più (88% dei pareri espressi) nei confronti delle banche e dei finanziatori, rimproverati di non contribuire a sufficienza alla nascita e allo sviluppo di nuove aziende. (Fonte: A. Lorenzi, rivistauniversitas 11-03-2014)

TASSI DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
Nel primo Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca redatto da ANVUR, si legge che per cento studenti entrati nel 2003-04 (sono gli anni del boom delle iscrizioni a seguito dell’introduzione della riforma nota come “3+2” o come “processo di Bologna”, fortemente voluto dall’allora ministro Berlinguer) dopo nove anni (nel 2012-13) solo poco più della metà ha terminato il suo percorso triennale. Il sistema universitario italiano è, infatti, noto per avere tassi di abbandono troppo elevati, specialmente quando confrontati a quelli equivalenti di altri paesi europei, nell’ordine del 40 per cento per il segmento di base. Quando si osserva una figura analoga per il segmento magistrale i tassi di abbandono si riducono al 20 per cento, ma ovviamente si cumulano ai precedenti. A partire dai dati sull’anagrafe studenti possiamo quindi ricostruire una “contabilità degli abbandoni” di questo tipo: dati 100 studenti che s’iscrivono in un corso di laurea triennale, solo 55 conseguono il titolo. Di questi si iscrive alla magistrale nel 2012 solo il 47,4 per cento, ovvero 26 studenti. Anche in questo caso conosciamo i tassi di successo finale a un massimo di otto anni, che è pari al 57,2 per cento. Arriviamo così a quattordici laureati magistrali per cento iscritti a un corso di laurea triennale. (Fonte: D. Checchi, lavoce.info 18-03-2014)

COSTO DEI LAUREATI. CONFRONTI SU DATI OCSE
Il dibattito sulle inefficienze e sui presunti sprechi dell'università italiana, che pur sono presenti, è stato viziato da analisi poco rigorose, discutibili operazioni di data mining e pregiudizi. In pochi sono andati a controllare la documentazione Ocse, che restituisce un quadro ben diverso. Fatto 100 il costo di un laureato italiano nel 2009 (43.218 dollari), prima quindi che si verificassero i tagli degli ultimi governi, a parità di potere d’acquisto, un laureato spagnolo costava 182, uno tedesco 207 e uno svedese 239 (Ocse, 2012). Un’efficienza complessiva del sistema, quella palesata da questi dati, che paghiamo a caro prezzo in termini di difficoltà a potenziare la qualità dell’offerta didattica e, soprattutto, a offrire servizi di supporto alla didattica e a sostegno del diritto allo studio, a tutto detrimento degli studenti più svantaggiati e a più elevato rischio di abbandono. Va rilevato che il riferimento al presunto peso eccessivo della spesa universitaria in conto corrente e, in particolare, di quella relativa al personale docente, non trova riscontro nella documentazione Ocse. Le prime in Italia hanno un’incidenza sulla spesa totale del 90,8%, inferiore alla media europea a 21 paesi (91%) e a quella dei paesi Ocse (91,2%). La spesa per il personale docente ha un’incidenza sulla spesa in conto corrente del 35,9%, decisamente inferiore alla media europea a 21 paesi (42,7%) e a quella media dei paesi Ocse (41,6%). Il Regno Unito, spesso segnalato come esempio virtuoso, presenta un’incidenza rispettivamente del 94,9% e del 43,1%. Non vorrei che la conclusione dei politici fosse di continuare a ridurre risorse per aumentare l'efficienza. L'asino di Buridano è una storia molto ignorata nella politica di questi ultimi anni in Italia e in Europa. (Fonte: F. Ferrante a commento dell’articolo di D. Checchi, lavoce.info 18-03-2014)

I MASTER E LA PREPARAZIONE PROFESSIONALE
Insieme all’inseguimento della preparazione professionale con i corsi di laurea, abbiamo assistito all’introduzione dei master di primo (dopo i tre anni) e di secondo livello (dopo la laurea magistrale). Tuttavia la loro fisionomia normativa non è stata del tutto definita in modo univoco: dovrebbero servire all’avviamento al mondo del lavoro, ma spesso hanno la caratteristica di un ulteriore corso aggiuntivo a quelli universitari, creando ulteriori specializzazioni spesso sconnesse col territorio. E ciò deriva dal fatto che coesistono insieme i master regolati dalle normative nazionali emanate per l’università e i sistemi di alta formazione, e quelli invece organizzati da soggetti privati di diversa natura e qualità.
Abbiamo dunque nell’universo “master” una sorta di polarizzazione tra due realtà: i master universitari e quelli non-universitari, con inevitabili confusioni e possibilità d’inganno. Quelli universitari dovrebbero dare la certezza di una qualità certificata e una serietà nell’organizzazione e nel curriculum che riflette il prestigio e il livello qualitativo delle singole università e dei loro docenti. Tuttavia essi non sempre sono connessi in modo organico al mondo lavorativo e a volte (specie in ambito umanistico) rispondono prevalentemente a esigenze disciplinari interne al mondo accademico; inoltre – a causa di un’assenza di riorganizzazione normativa – si sovrappongono in maniera poco chiara a tutti gli altri titoli che le università rilasciano. Infatti, avendo i master la duplice funzione di “perfezionamento scientifico” e/o di “qualificazione professionale”, in parte si sovrappongono ai corsi di dottorato, a quelli di specializzazione e ai diplomi di perfezionamento di vario tipo che – secondo la normativa italiana – possono essere rilasciati dalle università italiane. Cosicché essi più che distinguersi per le finalità o le figure che formano, finiscono per essere diversi dagli altri titoli solo per le specifiche normative e i regolamenti che li reggono. Di contro i master non universitari sono, nei casi virtuosi, espressione diretta del mondo del lavoro, delle professioni o delle stesse aziende e quindi incanalano i propri studenti verso uno sbocco occupazionale ben definito e che dà una qualche garanzia di “placement”, visto che sono gli stessi interessati che programmano questi master, anche in base alle proprie esigenze occupazionali. Sono ovviamente possibili master universitari che sono organizzati con la partnership di aziende o gruppi di aziende e che quindi dovrebbero presentare il vantaggio delle due tipologie prima descritte; ma questi sono casi fortunati e per lo più gestiti da quelle università specializzate (come la Bocconi) o direttamente legate al mondo produttivo (come la LUISS). Ma anche in questo caso persiste la sopra menzionata sovrapposizione tra questi master e gli altri titoli rilasciati dalle stesse università che li organizzano. Il master, così com’è stato implementato in Italia, appare un’occasione sprecata, in quanto finisce il più delle volte per sovrapporsi senza frutto ai percorsi di laurea, reduplicando una ricerca per la preparazione professionale che nell’università, per quanto si faccia, è sempre difficile conseguire. (Fonte: F. Coniglione, Roars 22-03-2014)

RIFORMA DELLE PROFESSIONI. LA FORMAZIONE CONTINUA
Sono oltre un milione, i professionisti che, dal primo gennaio 2014, si trovano a dover fare i conti con un nuovo impegno fisso dal nome “formazione continua”. Inserita nella riforma delle professioni con il DPR 137/2012, la previsione riguarda quasi tutti gli iscritti a un Albo professionale, con esclusione degli avvocati, il cui aggiornamento è determinato dalla riforma forense, approvata sempre in parallelo nel 2012.
A cambiare, per l’esattezza, è il metodo di riconoscimento dei crediti formativi, con, di conseguenza, ricadute pesanti anche sul sistema di enti deputati all’erogazione dei punti di aggiornamento necessari per restare al passo con i colleghi. A questo proposito, modifiche pesanti hanno subito anche le procedure di accreditamento degli istituti di formazione, che, per tenere corsi, convegni, conferenze o moduli di insegnamento passibili di formazione professionale, dovranno ottenere l’ok dal Consiglio dell’ordine di riferimento, previo parere del ministero della Giustizia. Si veda il testo sul regolamento inerente alla formazione nella riforma delle professioni. (Fonte: leggioggi.it 20-03-2014)

CONTRATTI DI FORMAZIONE MEDICA SPECIALISTICA. UN DOCUMENTO DEL CUN
Il Consiglio Universitario Nazionale ha approvato una raccomandazione riguardante il finanziamento dei contratti di formazione medica specialistica e la pubblicazione del bando di indizione del concorso. Si veda
raccomandazione CUN dell’11 marzo 2014 “finanziamento contratti formazione medica specialistica e bando di concorso”, in cui, tra l’altro, si legge: “considerato che  la previsione attuale del numero di posti all’interno delle scuole di specializzazione sia insufficiente a fronte del numero di laureati e del fabbisogno di personale medico specialista in Italia nei prossimi anni; che una ulteriore diminuzione del numero di contratti di specializzazione medica potrà determinare ripercussioni negative sulle prospettive del sistema sanitario pubblico, precludendo inoltre a molti studenti che conseguono la laurea magistrale in Medicina e Chirurgia la possibilità di proseguire l'ordinario percorso di studio verso la specializzazione medica; si ritiene che sia ineludibile l’esigenza di provvedere al reperimento delle risorse aggiuntive necessarie all’incremento del capitolo di spesa relativo ai contratti di formazione medica specialistica a finanziamento ministeriale; che sia necessario procedere con urgenza alla pubblicazione del bando del concorso osservando tempistiche tali da consentire ai candidati un'adeguata organizzazione della propria preparazione; che sia urgente riattivare la Commissione Tecnica sulle Scuole di Specializzazione in modo tale da consentire la prosecuzione dei lavori sulla revisione degli ordinamenti e delle regole di attivazione e
monitoraggio delle Scuole di Specializzazione, nonché affrontare le problematiche riguardanti l’accesso dei
laureati “non medici” e dei rapporti con il Sistema Sanitario Nazionale”.
LAUREATI. PERCENTUALI DI OCCUPATI E GUADAGNI
Ad aiutare le future matricole nella loro scelta, è intervenuto il consorzio interuniversitario AlmaLaurea, che anche quest’anno ha presentato il Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati, frutto di 450mila interviste di ex studenti di 64 Atenei a dodici mesi dal titolo. Agraria, Medicina e Professioni sanitarie occupano il podio della classifica in termini occupazionali, mentre il fanalino di coda, con meno di un occupato su due, è l’ambita e richiestissima facoltà di Giurisprudenza. Al comando nella classifica di chi guadagna di più, invece, si trova il laureato di primo livello in Ingegneria, con uno stipendio medio esattamente doppio rispetto al dottore in Scienze della Formazione. Ecco la classifica con tanto di percentuali di occupati e guadagno medio:
1. Agraria (95%, 958 euro); 2. Medicina e Chirurgia (92,5%, 1372 euro); 3. Professioni Sanitarie (91,9%, 1378 euro); 4. Ingegneria, I livello (91,7%, 1435 euro); 5. Ingegneria Edile e Architettura (82,1%, 896 euro); 6. Lingue e Letterature Straniere (80,4%, 937 euro); 7. Farmacia (78,6%, 1228 euro); 8. Scienze Politiche (77,4%, 1038 euro); 9. Economia (72,3%, 1125 euro); 10. Architettura (72%, 756 euro); 11. Lettere e Filosofia (66,5%, 915 euro); 12. Scienze della Formazione (52,5%, 714 euro); 13. Giurisprudenza (41,4%, 822 euro). (Fonte: oltrelostretto.blogsicilia.it 29-03-2014)


RECLUTAMENTO

UN DECALOGO DELLA CRUI PER FAVORIRE IL RECLUTAMENTO DI PROFESSORI E RICERCATORI
Per il reclutamento ecco i dieci punti predisposti dalla CRUI:
1) Ripristinare una normale dinamica di ingresso al sistema universitario mediante l’adozione di un Piano Giovani Ricercatori capace di inserire almeno 1.500 giovani all’anno per 5 anni. Con ciò verrebbe arrestata l’emorragia iniziata nel 2009 e si offrirebbe un’opportunità ai migliori giovani studiosi formati nei dottorati di ricerca e nei percorsi post-dottorali.
2) Rendere autonomi gli atenei nella programmazione del personale, nei limiti delle risorse disponibili, per quanto attiene alla ripartizione delle varie categorie, preservando solo un equilibrio generazionale in particolare a favore dei giovani (ad esempio, imporre una soglia minima da riservare ai ricercatori).
3) In coerenza con quanto previsto al punto 2), eliminare il vincolo imposto dal D.lgs. 49/2012 fra la chiamata di professori ordinari e la chiamata di ricercatori a tempo determinato di tipo B che crea un collo di bottiglia per tutti quelli che sono in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale.
4) Rendere più agevole il finanziamento di cattedre con fondi esterni. Il vincolo di una convenzione di durata almeno quindicennale (articolo 18, comma 3, legge 240) ha di fatto bloccato tale forma di supporto alle università, spesso proveniente dal sistema delle imprese. Occorre ridurre tale durata a 7-8 anni, anche in relazione alle chiamate per semplice up-grading, e prevedere crediti d’imposta o integrale deducibilità in favore degli eroganti.
5) Agevolare la stipula di convenzioni fra università e servizio sanitario per posizioni di professore universitario, anche a tempo determinato, coperte da personale medico ospedaliero. In particolare, mantenere a carico del servizio sanitario gli oneri stipendiali già in atto del personale medico ospedaliero che risulti vincitore di concorso a professore (articolo 18, legge 240).
6) Incrementare la circolazione dei docenti e dei ricercatori, sia promuovendo/incentivando il ricorso alla procedura di cui all’articolo 18 della legge 240 e alle chiamate dirette di cui all’art. 4 del DM 8 agosto 2013, sia mediante “chiamate temporanee” per un periodo di 3-5 anni, anche in relazione a progetti ed esigenze specifiche degli atenei.
7) Annullare le attuali scadenze dei punti organico attribuiti agli atenei, in particolare, visti i ritardi non imputabili alla responsabilità degli atenei, quelli relativi al Piano straordinario per la chiamata di professori associati attualmente fissata per il 31 ottobre 2014.
8) In relazione agli incentivi previsti dall’art. 6 del DM 8 agosto 2013, prolungare il termine per le assunzioni di ricercatori di tipo B, attualmente fissato al 30 aprile 2014, per concorsi già banditi e in corso di svolgimento, e comunque in caso di ritardi non imputabili alla responsabilità degli atenei.
9) Riflettere sulla praticabilità per il futuro delle modalità di svolgimento dei concorsi per le abilitazioni nazionali che hanno generato profonde difformità tra i vari settori, senza che a ciò corrispondano reali esigenze di copertura da parte degli atenei.
10) Superare il concetto (non previsto da alcuna normativa) di punti organico e le relative “scadenze”.
(Fonte: IlBo 21-03-2014)

RECLUTAMENTO. SOLUZIONE MERITOCRATICA IN QUATTRO PUNTI
Benché la legge preveda due tipi di concorso dopo le abilitazioni (uno in teoria più aperto agli esterni e uno «chiuso», destinato agli abilitati interni), coloro che sono fuori dalle università hanno pochissime probabilità di entrarvi. Il motivo è di carattere finanziario. Si renda pari a 1 il costo massimo di un docente universitario (il professore ordinario). Se un ricercatore già «interno» e abilitato passa il concorso chiuso (o quello più aperto agli esterni), costerà al dipartimento solo 0.2 (se diventa professore associato) o 0.5 (se diventa ordinario). Se invece il vincitore di una prova aperta è «esterno», costerà al dipartimento 0.7 (se si tratta di un posto di associato) o 1 (se si tratta di un posto di ordinario). Analoghe considerazioni valgono per abilitati che sono già professori associati. Visti i magri bilanci delle università, inevitabilmente si finirà per scegliere ricercatori e associati «interni», che saranno difesi da invasioni esterne anche per ovvi motivi di colleganza consolidati e malgrado il fatto che tra i candidati esterni potrebbe esserci qualcuno più meritevole. Tra l'altro, il dipartimento potrebbe decidere di non chiamare un vincitore meritevole a lui sgradito, pagando un prezzo trascurabile. Ma l'esterno senza posto dovrà ritentare la fortuna altrove, con le stesse trascurabili chances di successo. La soluzione, però, ci sarebbe: semplice e radicale. 1) Abolire in un solo colpo leggi, decreti ministeriali, decreti dirigenziali, interpretazioni, abilitazioni, idoneità, valutazioni statistiche e bibliometriche, insomma tutto quel «corpus» bizantino che regola la materia del reclutamento. 2) Rimodellare l'agenzia di valutazione - che ha già fornito un positivo contributo alla valutazione della qualità della ricerca («Vqr»), ma che ha dato indicazioni ben più controverse sui criteri dei concorsi - sul modello dell'inglese «Quality Assurance Agency for Higher Education». 3) Dopo la libera assunzione di un docente da parte dei dipartimenti, sulla base dell'invio di un curriculum e di un colloquio-seminario, l'agenzia avrà il compito di valutare «ex post» le scelte dei singoli atenei, con la «chiara indicazione delle responsabilità soggettive e oggettive delle scelte». 4) Ridistribuire, a livello nazionale, il budget sulla base di tali valutazioni. In questo modo si renderebbero anche superflue le attuali procedure di accreditamento delle strutture presso il ministero! (Fonte: M. Dorato e R. Giuntini, TuttoScienze La Stampa 12-03-2014).

IL C.D. CONCORSO A FOTOGRAFIA
I concorsi dovrebbero essere aperti a tutti i giovani qualificati, ma alcuni professori, con il consenso delle università e del Ministero hanno trovato il modo di riservarli a priori ad alcuni predestinati. Lo strumento è ben noto, si tratta del cosiddetto “concorso a fotografia” per il quale nel bando viene disegnato un “profilo” del futuro vincitore che corrisponde esattamente al profilo scientifico del predestinato, ad esempio corrisponde al titolo e all’argomento della sua tesi di dottorato. Questa pratica furbesca, che consente di prescindere dal merito scientifico dei concorrenti, è talmente ben nota che la legge la proibisce esplicitamente.  La Legge 240 del 2010 stabilisce che un eventuale “profilo” può essere specificato “esclusivamente tramite indicazione di uno o più settori scientifico-disciplinari”, per fare un esempio si potrà specificare che il candidato debba essere un esperto di “Probabilità e Statistica Matematica” ma non necessariamente un esperto di “Processi di diffusione negli spazi ultrametrici”. I bandi che non rispettano la legge dovrebbero essere censurati dal Ministero, ma questo non avviene; anzi il Ministero stesso incoraggia questo tipo di bando consentendo la descrizione del profilo nel sito ufficiale del Ministero. La violazione della legge potrebbe essere eliminata attraverso il ricorso di un candidato ai Tribunali Amministrativi, ma i ricorsi costano e nessuno può garantire che il ricorrente che ottenga dal tribunale la cancellazione del “profilo” dal bando, risulti poi vincitore. Complice il Ministero si sta diffondendo quindi una prassi illegale che può portare solo danni al sistema universitario. (Fonte: A. Figà Talamanca, Roars 21-03-2014)
Un commento di p.marcati (22-03-14) alla nota di Talamanca:
Certamente la iper specializzazione di alcuni profili concorsuali presenta non solo aspetti di dubbia legalità’ ma anche genera profonde ingiustizie. Bisogna però dire che, non il singolo cattedratico, ma i dipartimenti hanno il diritto di fare scelte di programmazione scientifica. In particolare nelle discipline sperimentali questo poi è essenziale se si vogliono rispettare parametri razionali di economia di scala. Non è pensabile  dare un laboratorio individuale a ogni persona, questo non porterebbe a risultati di qualità e comporterebbe uno sperpero di denaro, quindi è necessario creare dei gruppi che possano condividere le stesse attività sperimentali.
Anche in ambiti teorici esiste una necessità che i gruppi di ricerca abbiano un minimo di massa critica per poter fare delle attività significative. Un dipartimento di “singleton”, in cui nessuno è in grado di collaborare con il collega della porta accanto non mi pare auspicabile. Esiste allora un problema di ragionevole equilibrio nel fornire indicazioni con un minimo di specializzazione, che evitino al contempo fotografie individuali.


RETRIBUZIONI

DOCENTI UNIVERSITARI. TAGLI A SCATTI DI ANZIANITA’ E STIPENDI. PERSO IL 75% DEL POTERE D’ACQUISTO IN 30 ANNI
Docenti universitari contro i tagli agli stipendi e il blocco delle progressioni di carriera. “Nel quadriennio 2010/2014, a causa del blocco degli scatti stipendiali, – spiega la Cgu-Cisal – un professore universitario di prima fascia a metà carriera ha perso 18.000 euro l’anno, perdita che si trascinerà per gli anni a venire. Lo stipendio di un professore universitario è mediamente di circa 40.000 euro inferiore a quello di un dirigente ministeriale di secondo livello e sensibilmente inferiore a un dirigente amministrativo della stessa università in cui insegna. Negli ultimi 30 anni lo stipendio dei docenti universitari ha perso il 75% del suo originario potere di acquisto”. “Nel pubblico impiego – prosegue la Cgu-Cisal – la scure dei tagli si è abbattuta quasi esclusivamente su docenti e ricercatori universitari mentre una categoria come quella dei magistrati non è stata scalfita grazie a una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di qualsiasi intervento del legislatore”. “I tagli appaiono ingiusti – aggiunge la Cgu-Cisal – se si considera che con la riforma Gelmini ai docenti è richiesto un maggiore impegno, condizionando alla produzione scientifica realizzata i finanziamenti erogati agli atenei. Tutti riconoscono che l’università è un settore decisivo per la crescita dell’Italia eppure il nostro è l’unico Paese ad aver tagliato pesantemente le risorse al sistema universitario”. “Qualora gli scatti dovessero venire nuovamente bloccati per il 2015 – conclude la Cgu-Cisal – saremo costretti a manifestare la nostra netta contrarietà con forme di lotta fino a ora appartenute solo ad altre categorie di lavoratori”. (Fonte: Edscuola Press 31-03-201


RICERCA. RICERCATORI. INNOVAZIONE. VALUTAZIONE

DOTAZIONI E COMPITI DELL’AGENZIA NAZIONALE VALUTAZIONE UNIVERSITÀ E RICERCA (ANVUR)
L’ANVUR ha una dotazione organica di personale di 15 funzionari e 3 dirigenti, a fronte della quale ha il compito di accreditare 4300 corsi universitari, 900 corsi di dottorato e 90 università; di valutare le politiche di reclutamento degli atenei; di condurre la valutazione della ricerca, i cui numeri sono stati ricordati sopra; ha inoltre il compito di valutare l’attività amministrativa di 69 università statali e 14 enti di ricerca vigilati dal MIUR (compiti prima assegnati alla CIVIT); deve valutare la qualità delle riviste scientifiche su cui hanno pubblicato autori italiani nei settori non bibliometrici (circa 20.000); deve selezionale i commissari per l’abilitazione scientifica nazionale (7.500 candidati nell’ultima tornata); deve curare i rapporti sullo Stato del Sistema Universitario e della Ricerca; deve valutare le strutture del settore dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (137 strutture) e altro ancora. Anche se l’ANVUR si può avvalere di esperti esterni, è evidente che le risorse non sono minimamente adeguate ai compiti. Per un confronto si possono vedere le dotazioni di enti di paesi che si avvalgono di agenzie di valutazioni nazionali, come la francese AERES, la britannica QAA e la spagnola ANECA. (Fonte: Audizione ANVUR presso Ufficio Presidenza VII Commissione Senato 12-03-2014)

VALUTAZIONE DELLA RICERCA. VQR E RAE BRITANNICO
Esistono due versioni ben distinte su quali sono gli scopi teorici della VQR. La prima è quella fornita dal coordinatore della VQR in un’intervista rilasciata mentre la procedura muoveva i primi passi: “Tutte le università dovranno ripartire da zero. E quando la valutazione sarà conclusa, avremo la distinzione tra “Research Universities” e “Teaching Universities … Ad alcune si potrà dire: tu fai solo il corso di laurea triennale. E qualche sede dovrà essere chiusa”.  La seconda versione è la Dichiarazione Ufficiale del Presidente dell’ANVUR alla presentazione dei risultati, secondo la quale i risultati della VQR  possono servire: a definire azioni di miglioramento da parte degli organi di governo dell’università; a orientare le famiglie e gli studenti nella scelta dell’Ateneo cui iscriversi; a orientare la scelta di giovani ricercatori desiderosi di approfondire la propria formazione e svolgere ricerche nei migliori dipartimenti; a orientare le industrie e gli enti pubblici nella domanda di collaborazione a gruppi di ricerca competitivi per qualità e massa critica. Per valutare in che relazione stanno queste due versioni e come si collocano rispetto alle finalità e alla metodologia del RAE britannico che, per molti versi, ispira la VQR italiana, si deve considerare che i RAE sono diversi dalla VQR per i seguenti motivi: sono evitate le graduatorie; si valuta solo la produzione dei migliori docenti scelti dalle loro sedi; la valutazione è affidata a commissioni (una per ognuna di 68 aree), che possono consultare altri esperti, ma rimangono responsabili della valutazione; le Università che appartengono a diverse macroregioni (Inghilterra, Scozia, Irlanda del Nord e Galles) non competono tra loro per i fondi associati alla valutazione; è stato abolito il tetto della retribuzione dei professori in modo da consentire alle diverse sedi di competere per assumere i docenti più attivi in ricerche di alto livello. (Fonte: A. Figà Talamanca, Roars 09-03-2014)

RICERCA. NECESSITA FINALMENTE UN’ANAGRAFE DELLA RICERCA
Nella VQR, l’attribuzione dei  prodotti ai singoli soggetti è stata fatta dalle strutture con l’obiettivo di massimizzare il risultato per la struttura, anche a scapito dell’attribuzione ai singoli dei loro prodotti “migliori”. Per tale ragione, nelle regole per l’accreditamento dei dottorati, l’ANVUR ha promesso che, tra tutti i prodotti VQR coautorati dai membri del collegio, saranno utilizzati solo quelli che hanno ottenuto la valutazione migliore. L’intenzione è corretta, ma l’ANVUR dovrebbe rendersi conto che il sito docente non è e non può funzionare come se fosse un’anagrafe della ricerca: i voti VQR non sono attribuibili ai coautori (o a tutti i coautori di un ateneo) e dunque l’indicatore A4-1 non è calcolabile nel modo in cui è stato dichiarato. Il risultato è il peggiore possibile: un set di dati incompleto (i voti VQR che non sono agganciati a tutti i coautori dell’ateneo ma che presentano un aggancio casuale), utilizzato per valutare dimensioni molto piccole (i collegi) per cui qualche decimale può fare la differenza fra l’accreditamento e il non accreditamento. A quando l’anagrafe? Quella vera. (Fonte: P. Galimberti, Roars 28-03-2014)

RICERCA E SPERIMENTAZIONE ANIMALE. DECRETO VIOLA DIRETTIVA EUROPEA
Il neo Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto legislativo che recepisce in Italia la Direttiva europea sulla sperimentazione animale (n. 63-2010-EU) dopo i pareri espressi dalle Commissioni parlamentari di merito. Anche se l'entrata in vigore delle norme su sostanze d’abuso e xenotrapianti è rimandata all’1 gennaio 2017 e condizionata dall’indicazione, entro il 30 giugno 2016, dell’effettiva disponibilità dei cosiddetti “metodi alternativi” che dovrà essere accertata dall’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna (art. 42), il decreto viola in maniera palese l’art 2 della direttiva europea, che non consente ai paesi membri di applicare legislazioni più restrittive, viola il principio delle 3R (Replacement/sostituzione, Reduction/riduzione, Refinement/affinamento), poiché aumenterà il numero degli animali necessari per la ricerca, peggiorandone al contempo il benessere, colpisce al cuore la ricerca biomedica italiana in suoi settori di eccellenza, limita la ricerca di base, da sempre sorgente principale di scoperte utilizzate dalla medicina per la cura delle malattie, priva il nostro paese di uno strumento fondamentale per combattere quadri patologici nuovi e in continua evoluzione. Infine, infliggerà all’Italia una sicura procedura d’infrazione – che la stessa comunità scientifica nazionale promuoverà – da parte dell’Unione Europea. (Fonte: M. A. Farina Coscioni, radicalparty.org/it 10-03-2014)

VALUTAZIONE DELLA RICERCA. ACCENTRAMENTO E IMPOSIZIONE DEL SISTEMA DI VALUTAZIONE CONTRO LA COSTITUZIONE
Si rileva una contraddizione tra il carattere nazionale delle politiche della ricerca e la natura ormai internazionalizzata delle comunità scientifiche. E per quanto riguarda gli indicatori della ricerca e le loro manipolazioni, più che dalla qualità degli indicatori numerici e dei ranking, il problema nasce dall'accettazione delle comunità che se ne lasciano governare, anche quando sarebbero in grado di metterli in discussione o di elaborarne di migliori. Gli indicatori stimolano anche la rinascita d’identità nazionali che ormai non hanno più ragione di esistere. Discutendo di VQR e valutazione della ricerca, dobbiamo domandarci se davvero esiste un "sistema universitario". In realtà, accentrando e imponendo il servizio di valutazione è stata tradita la Costituzione. C'è stato un "esproprio" perché le università da sempre sono state impegnate sul fronte della loro valutazione. Ma se dobbiamo dare una valutazione complessiva dello stato dell'università, dobbiamo dire che stiamo vivendo l'equivalente di una guerra. Basta paragonare l'andamento delle carriere ed anche degli acquisti di libri con quanto era accaduto a cavallo del secondo conflitto mondiale. In tutto ciò c'è anche il ruolo dell'ANVUR che verrà ringraziato dagli avvocati perché, avendo dato un valore legale all'esercizio della valutazione, ha portato tantissimo lavoro ai loro studi. (Fonte: S. Cassese, Roars 11-03-2014)

VALUTAZIONE DELLA RICERCA. SELEZIONARE LE PERSONE MIGLIORI NON SOLO I “PRODOTTI”
La valutazione sarebbe tutt’altra cosa se invece di giudicare i “prodotti” giudicasse le “persone” in modo da accertarne le capacità e le qualità per fare ricerca. Se uno studioso non ha dentro di sé il “fuoco” che lo spinge alla ricerca, la curiosità dell’indagine, il piacere di scoprire e la soddisfazione di pubblicare quando crede di avere prodotto qualcosa di significativo e originale, allora nessun sistema di premi e punizioni, nessuna bibliometria o valutazione sarà in grado di cavar fuori altro che carta straccia, buona solo a soddisfare alcuni parametri formali.
Compito del sistema di ricerca dovrebbe essere quello di selezionare le persone migliori, quelle più di “talento” (non i prodotti “eccellenti”: questi servono semmai al riconoscimento a posteriori del merito) e metterle in grado – non sottoponendole a stress valutativi inutili e creando le condizioni al contorno indispensabili per la creatività scientifica, in primo luogo alleggerendo quanto più possibile i pesi e i vincoli burocratici – di far fruttificare la loro intelligenza nei modi e nei tempi dovuti: la vera ricerca, e non la produzione di carta, ha bisogno di tempo, di pazienza, di “lentezza”, così come testimonia il caso di grandi studiosi che per anni o addirittura per decenni hanno pubblicato poco o nulla prima di creare la grande opera che li ha consegnati alla storia. E se non è possibile che tutti siano grandi uomini in grado di produrre grandi opere, ciò non toglie che anche per i piccoli che producono piccole opere (esprimendoci in un gergo più colto: che fanno avanzare la “scienza normale”) valgono gli stessi principi e le stesse regole: serenità, riflessione, dibattito e non frenesia produttiva. Col sistema del “publish or perish” a morire è solo la ricerca e la scienza autentica. (Fonte: F. Coniglione, Roars 08-03-2014)

ARTICOLI SCIENTIFICI PRODOTTI AUTOMATICAMENTE
Nel 2005 un gruppo di ricercatori del MIT ha creato un programma (SCIgen) in grado di generare articoli nell’ambito della Computer Science attraverso la combinazione di stringhe di parole. Lo scopo era di confezionare articoli da presentare a convegni nell’ambito di computer science per smascherare la scarsa attendibilità e la poca cura nella validazione dei contributi scientifici. Lo scopo è riuscito, i ricercatori hanno dimostrato l’inattendibilità della certificazione fatta dai convegni della loro disciplina e SCIgen è ora liberamente disponibile e scaricabile da chiunque a questo link. In un’altra parte del mondo, la Francia, un ricercatore dello stesso ambito disciplinare ha elaborato un programma in grado di individuare i paper prodotti da Scigen. Nel 2012 questo ricercatore (Cyril Labbé) ha segnalato ad IEEE 85 paper generati da SCIgen, la maggior parte attribuiti ad autori cinesi e presentati a convegni che si sono tenuti in Cina. IEEE ha immediatamente rimosso gli articoli, dichiarando per il futuro una peer review più attenta. A fine dicembre 2013 il prode ricercatore francese ha segnalato un’altra batteria di articoli farlocchi pubblicati da IEEE e Springer. Science ha cercato di contattare gli autori degli articoli confezionati con il programma SCIgen non ottenendo risposta, tranne che da un autore, il quale ha sostenuto di non aver mai scritto l’articolo che gli era stato attribuito. Un richiamo all’etica anche attraverso sanzioni da parte degli atenei, enti di ricerca ed enti finanziatori appare quanto mai necessario ed urgente, così come una riflessione approfondita sul significato ultimo della valutazione che dovrebbe davvero rappresentare una possibilità di miglioramento, e non il fine ultimo della scienza. (Fonte: Redazione Roars 13-03-2014)

IL SISTEMA DELLA RICERCA ITALIANO NEI DATI DEL RAPPORTO ANVUR
Se i dati noti sembrano smentire una presunta bassa qualità del sistema della ricerca italiano, rimane aperta la domanda sulla sua efficienza. Una prima misura di efficienza proposta dall’ANVUR si ottiene dividendo il numero di pubblicazioni per la spesa pubblica in ricerca e sviluppo. L’Italia si colloca al quarto posto dietro Svizzera, Regno Unito e Svezia. Sarebbe pertanto più “efficiente” delle altre nazioni, che includono Francia, Germania, USA e Giappone.
Un’altra misura di efficienza è data dal rapporto tra numero di citazioni e spesa pubblica in ricerca e sviluppo. In questo caso l’Italia occupa “solo” l’ottavo posto, ma rimane più “efficiente” di Germania, USA, Francia e Giappone. Le misure di efficienza più facilmente comprensibili sono quelle concernenti la produttività individuale dei ricercatori. Purtroppo, sono anche misure che vanno lette con una certa cautela perché la definizione del numero di ricercatori è in qualche modo convenzionale e segue regole che potrebbero differire da nazione a nazione. Tra i problemi da considerare, c’è la definizione di ricercatore “full-time equivalent”, dato che i professori universitari dedicano parte del loro tempo alla didattica ed anche la definizione delle tipologie di soggetti da contare come ricercatori. Tenendo presenti tutti questi caveat, esaminiamo i dati riportati dall’ANVUR per i ricercatori del settore pubblico. In quanto a numero di pubblicazioni pro-capite l’Italia è sesta e – ancora una volta – risulta più produttiva di Francia, Germania e Giappone. Passando al numero di citazioni, l’Italia diventa sesta, ma precede pur sempre Germania, USA, Francia e Giappone. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 16-03-2014)

UN SINTESI DEL RAPPORTO ANVUR 2013 SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA RICERCA:
- Sul piano universitario sono stati ridotti alcuni squilibri e, nonostante la riduzione dal 2009 degli stanziamenti pari a circa un miliardo di euro, il sistema è stato ricondotto alla sostenibilità economica;
- il rapporto docenti/studenti è tornato su valori elevati a causa della riduzione del personale docente, che nel prossimo quinquennio subirà un’ulteriore contrazione di 9.000 unità per pensionamento;
- dal 1993 al 2012 è stato registrato un significativo aumento dei laureati, la cui quota, rapportata alla popolazione in età lavorativa, è salita dal 5,5% al 12,7%, e addirittura dal 7,1% al 22,3% tra i giovani in età tra i 25 e i 34 anni. Nonostante sia diffusa la percezione di un eccesso di laureati, siamo ancora lontani dalle realtà di altri Paesi europei, che hanno già soddisfatto gli obiettivi di Europa 2020;
- nonostante alcuni progressi, permangono problemi cronici, attenuati ma non risolti dalla Riforma e parzialmente addebitabili alla mancanza in Italia di un’offerta di corsi universitari a carattere professionale: ritardi nei tassi di laurea (scarse immatricolazioni oltre i 25 anni di età) e difficoltà a laurearsi nei termini prescritti (oltre il 40% degli immatricolati a un corso triennale non conclude gli studi). Una mole di dati sulla dispersione, sulla regolarità degli studi e sul tempo medio per conseguire il titolo mostra una scarsa efficienza del sistema, ed evidenzia una frattura tra gli atenei del Nord e quelli del Centro-Sud, in parte conseguente alle differenze già rilevate nella formazione pre-universitaria (come mostrano i test Invalsi e Pisa).
Il settore Ricerca&Sviluppo ha un finanziamento tra i più bassi delle grandi economie industriali, principalmente addebitabile al settore privato. Le risorse pubbliche investite ammontano a circa lo 0,52% del Pil (0,18% in meno della media OCSE) e non compensano il ritardo delle imprese private. Ciò nonostante, le università e gli enti di ricerca mostrano una qualità delle pubblicazioni scientifiche paragonabile a quella dei principali Paesi europei, segno di adeguata produttività e di vitalità da valorizzare. Link per chi vuole leggere le 601 pagine del Rapporto integrale: tinyurl.com/pg3t5rj . (Fonte. M. L. Marino, rivistauniversitas marzo 2014)

RICERCA. 5.252 I PROGETTI DI PRESENTATI AL BANDO 'SIR - SCIENTIFIC INDEPENDENCE OF YOUNG RESEARCHERS'
Sono 5.252 i progetti di ricerca presentati da giovani scienziati under 40 in risposta al Bando 'Sir - Scientific Independence of young Researchers' che si è chiuso lo scorso 13 marzo. Con uno stanziamento di oltre 47 milioni di euro il bando destinato ai giovani ricercatori punta a favorire il ricambio generazionale e anche l'indipendenza scientifica dei partecipanti.
Degli oltre 5.000 progetti presentati 1.909 riguardano il settore delle Scienze della vita, 1.778 della Fisica, Chimica, Ingegneria e 1.565 delle Scienze umane. Le proposte pervenute sono circa il 40% in più rispetto alla media dei bandi destinati ai giovani degli anni passati. E per la prima volta le donne superano gli uomini: 2.675 progetti presentati contro 2.577.
L'età media degli studiosi in corsa per il finanziamento è di poco superiore ai 33,45 anni, ampiamente sotto la soglia massima dei 40 anni prevista dal bando. Tra uomini e donne la differenza dell'età media è minima: 33,36 per i primi e 33,55 per le seconde.
Il bando 'Sir' allinea per la prima volta la procedura di selezione dei progetti a quella dell'Erc, European Research Council. I risultati si conosceranno entro l'autunno del 2014.
E' previsto il finanziamento di progetti svolti da gruppi di ricerca indipendenti e di elevata qualità scientifica sotto il coordinamento di un Principal Investigator (PI) che dovrà essere anche lui under 40. 'Sir' prevede un importante supporto finanziario per attrarre i migliori ricercatori e un incentivo anche per l'istituzione ospitante nel caso in cui il PI non sia già un suo dipendente a tempo indeterminato. (Fonte: mappamondo 24-03-2014)

RICERCA. MIUR. IN ARRIVO IL BANDO RITA LEVI MONTALCINI
Al via il nuovo bando da 5 milioni di euro del Programma per il reclutamento di giovani ricercatori 'Rita Levi Montalcini'. Con la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del 24 marzo 2014 del decreto n. 1060/2013, sono banditi 24 posti. Il programma si rivolge a studiosi di ogni nazionalità, in possesso del titolo di dottore di ricerca conseguito successivamente al 31 ottobre 2007 ed entro il 31 ottobre 2010, che siano impegnati all'estero da almeno un triennio presso istituzioni universitarie o di ricerca. Per concorrere al bando, i ricercatori devono candidarsi entro il 22 aprile 2014, utilizzando l'apposito sito web MIUR-CINECA, indicando, in ordine di preferenza, tre università statali presso le quali intendono svolgere l'attività di ricerca. L'elenco dei 24 vincitori stilato dalla commissione di valutazione sarà approvato dal Ministero dell'Istruzione, che successivamente prenderà contatto con i vincitori e con le istituzioni indicate dai candidati. Una volta stipulato il contratto, il Ministero trasferirà all'università prescelta l'intero importo accordato per l'esecuzione dell'attività di ricerca e per il trattamento economico del ricercatore. (25-03-2014)


STUDENTI

CORSI A NUMERO CHIUSO PER LE LAUREE MAGISTRALI DI AREA SANITARIA. POSTI A BANDO
A Medicina 10.556 posti, per odontoiatria 949 e per veterinaria 774. E questo il "verdetto finale" del MIUR sui posti a bando per l'anno accademico 2014-2015 per le lauree magistrali di area sanitaria. I decreti di ripartizione dei bandi - datati 10 marzo per medicina e 7 marzo per odontoiatria e veterinaria - sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 76 dell’1 aprile 2014.
Il MIUR per Medicina ha messo a bando 192 posti in meno di quelli chiesti dalle Regioni e 1.056 in più rispetto alla richiesta di fabbisogno del ministero della Salute. Vero è che nella cifra complessiva 573 posti sono riservati agli studenti "non comunitari non soggiornanti", ma il numero è comunque in linea con il fabbisogno determinato dai governatori più che con quello "mediano" della Salute e di molto superiore rispetto alla richiesta della FnomCeO di fermarsi a 7mila posti. Per odontoiatria i posti a bando sono invece molti di più delle richieste analoghe di Regioni e Salute: 949 contro gli 844 dentisti indicati come fabbisogno da governatori e ministero e comunque ben diversi dallo zero assoluto richiesto sempre dalla FnomCeo. Per veterinaria, infine, i posti a bando decisi dal MIUR sono 774: 117 in più rispetto alla richiesta di Regioni e Salute e ben 283 in più rispetto al fabbisogno indicato dalla Federazione dei veterinari.

STUDENTI. ISCRIZIONI IN GENERALE CALO MA IN RIPRESA NEGLI ATENEI DEL NORD
Negli ultimi quattro anni il saldo negativo delle iscrizioni è stato di 37.500 studenti. Ma c'è un rapporto interno al MIUR che prende in esame il 2013-2014 e lo confronta con la stagione precedente rivelando che alcuni dati - dopo un decennio di discesa - sono in crescita. In valore assoluto si perdono iscritti al Centro (quasi 4.000) e al Sud (oltre 6.300), ma nel Nord-Ovest ci sono 438 matricole in più e nel Nord-Est si finisce praticamente in pari, con una flessione di cinquanta post-maturi che non hanno agganciato il primo anno accademico. Questa ripresa degli atenei del Nord in concomitanza con lo sprofondo meridionale era stata già avvistata in fase d'iscrizione lo scorso novembre (non tutti i pre-iscritti, poi, hanno confermato). Lo studio inedito del MIUR rivela che c'è una crescita di matricole al primo anno delle materie umanistiche: sono 49.284 iscritti in tutto, l'1,3 per cento in più. E gli studenti che si affacciano al primo anno di Lettere e Storia, Filosofia e Giurisprudenza crescono in quattro macroaree regionali su cinque: più 2,6 per cento nel Nord-est, più 1,6 nel Nord-Ovest, più 1,8 al Centro e persino più 4,4 per cento nelle Isole. Flette solo il Sud peninsulare. Nell'area sanitaria, che patisce la politica del numero chiuso e subisce un tracollo al Sud (-16 per cento), il numero degli iscritti del Nord-Est è in linea con quello dell'anno scorso (56 studenti in meno). Negli atenei del Nord-Ovest salgono gli iscritti sia nella macroarea didattica "scientifica" (+2,1 per cento) e in maniera lieve anche nella macroarea "sociale". (Fonte: repubblica.it 07-03-2014)

SI RIDUCONO GLI ISCRITTI AI TEST PER I CORSI A NUMERO CHIUSO
I primi numeri forniti dal ministero sui candidati ai test di ammissione ai corsi di laurea a numero chiuso - Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura -, che partono l'8 aprile, certificano un crollo piuttosto netto: quasi 24mila domande in meno rispetto al 2013/2014, un quinto delle 114mila istanze dello scorso anno. Gli studenti puntano il dito contro l'ex inquilino di viale Trastevere, che ha avallato l'idea del collega Francesco Profumo di anticipare il test ad aprile. Ma è ipotizzabile una fuga dai corsi di laurea in Medicina? Per il rettore dell'università Tor Vergata di Roma, Giuseppe Novelli, «la ex facoltà di medicina sta perdendo appeal perché i posti per le specializzazioni sono passati da 5mila a 3mila l’anno». «Uno studente laureato - continua Novelli - è scoraggiato dalla prospettiva di attendere anni prima di iniziare la specializzazione». Un calo di vocazioni che ha colpito in maniera ancora più visibile Veterinaria - meno 25 per cento - e quella di Architettura: meno 32 per cento sul 2013 e meno 42 rispetto al 2012. «Le possibilità lavorative per gli architetti si sono ridotte e le famiglie faticano a mantenere i figli agli studi», spiega Renato Masiani, preside alla Sapienza. Per Leopoldo Freyrie, presidente dell'ordine degli architetti, è la crisi a colpire duro. «Negli ultimi tre anni il comparto dell'edilizia ha perso il 50 per cento del fatturato e 650mila operatori hanno perso il lavoro». (Fonte: S. Intravia, La Repubblica 17-03-2014)

TASSI DI ABBANDONO NEI CORSI DI LAUREA
Nel primo Rapporto sullo stato del sistema universitario e della ricerca redatto da ANVUR si legge che per cento studenti entrati nel 2003-04 (sono gli anni del boom delle iscrizioni a seguito dell’introduzione della riforma nota come “3+2” o come “processo di Bologna”, fortemente voluto dall’allora ministro Berlinguer) dopo nove anni (nel 2012-13) solo poco più della metà ha terminato il suo percorso triennale. Il sistema universitario italiano è, infatti, noto per avere tassi di abbandono troppo elevati, specialmente quando confrontati a quelli equivalenti di altri paesi europei, nell’ordine del 40 per cento per il segmento di base. Quando si osserva una figura analoga per il segmento magistrale i tassi di abbandono si riducono al 20 per cento, ma ovviamente si cumulano ai precedenti. A partire dai dati sull’anagrafe studenti possiamo quindi ricostruire una “contabilità degli abbandoni” di questo tipo: dati 100 studenti che si iscrivono in un corso di laurea triennale, solo 55 conseguono il titolo. Di questi si iscrive alla magistrale nel 2012 solo il 47,4 per cento, ovverosia 26 studenti. Anche in questo caso conosciamo i tassi di successo finale a un massimo di otto anni, che è pari al 57,2 per cento. Arriviamo così a quattordici laureati magistrali per cento iscritti a un corso di laurea triennale. (Fonte: D. Checchi, lavoce.info 18-03-2014)

IL MAI NATO FONDO PER IL MERITO NEL MIRINO DELLA CORTE DEI CONTI
Il Fondo per il merito creato nel 2010 dall’ex ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini è l’ennesima cattedrale nel deserto. A danno degli studenti universitari. E a spese di tutti i cittadini, tanto per cambiare. Ecco perché. Mentre il finanziamento pubblico per gli atenei si prosciuga di 300 milioni di euro tra il 2012 e il 2013, e di altri 200 nel 2014, l’ultimo Governo Berlusconi stanzia un gruzzoletto di 20 milioni di euro per alimentare un nuovo Fondo, istituito con l’articolo 4 della legge 240/2010, che serve a premiare gli studenti più meritevoli. Un anno più tardi, nel decreto legge 70 (articolo 9, comma 3) viene messa nero su bianco una Fondazione ad hoc, promossa dalla collaborazione del Miur con il ministero dell’Economia, incaricata di gestire il Fondo, di operare in sinergia con altri Paesi esteri, e aperta prevalentemente agli investimenti privati. Ma nessuna anima pia si fa avanti. Non solo: la Fondazione non eroga un centesimo della somma messa a sua disposizione. Intanto però assorbe dal Fondo tre milioni di euro come contributo di funzionamento. E a distanza di tre anni nessuno dai piani alti ha ancora avuto il coraggio di eliminarla. Se n’é accorta la Corte dei Conti, che il 28 gennaio ha bocciato il MIUR e il ministero dell’Economia per non aver reso operativo il Fondo per il merito e aver lasciato in sospeso la Fondazione che avrebbe dovuto occuparsene. Ora al successore di Maria Chiara Carrozza, la deputata di Scelta civica Stefania Giannini, toccherà prendere una posizione. (Fonte: C. Daina, FQ SCUOLA 12-03-2014)

TECO (TEst sulle COmpetenze) . PER MISURARE IL POSSESSO DI COMPETENZE EFFETTIVE DI CARATTERE GENERALISTA DEI LAUREANDI ITALIANI
Per misurare quanto i nostri atenei siano in grado di fornirle ai propri studenti arriva “Teco”, l’ultimo test dell’ANVUR. Teco è stato pensato dall’ANVUR per valutare gli studenti delle università italiane non sul piano della padronanza delle mere nozioni, ma piuttosto rispetto al possesso di alcune competenze generiche. Perché sono proprio quelle competenze generiche a far la differenza quando ci si trova a dover affrontare, sul lavoro o in situazioni personali, contesti non noti, a dover risolvere problemi in tempi rapidi, a dovere comunicare con efficacia. E, in mancanza di queste abilità, le conoscenze servono a poco. Sono stati 6mila gli studenti coinvolti nella fase sperimentale del nuovo test dell’ANVUR, provenienti da 12 atenei diversi: dall’Università di Milano a quella di Firenze, da quella di Bologna a quella di Messina, passando per le romane La Sapienza e Tor Vergata, la Federico II di Napoli, l’Università del Piemonte orientale e quelle di Cagliari, di Padova, del Salento e di Udine. Gli universitari che hanno ottenuto punteggi migliori sono stati gli studenti di Medicina. A seguire, gli iscritti a Matematica, Fisica, Statistica e Psicologia. Non eccellenti, ma pur sempre sopra la media anche i risultati degli iscritti a Filosofia, Storia, Giurisprudenza, Biologia, Ingegneria. Ultimi, invece, gli studenti di Scienze della formazione, dato preoccupante se si considera che saranno i futuri maestri delle generazioni a venire. (Fonte: universita.it 13-03-2014)

INDAGINE TECO (TEst sulle COmpetenze). I RISULTATI
I risultati dell'Indagine TECO (TEst sulle COmpetenze), condotta dall'ANVUR con la somministrazione di test sulle competenze generali dei laureandi italiani, fanno emergere una distanza consistente tra il livello delle effettive competenze trasversali, acquisite durante il periodo formativo, dei settori umanistico e scientifico. Sono stati raggiunti ottimi punteggi nella parte letteraria del test o in quella scientifico-quantitativa, ma mediamente soltanto pochi studenti hanno ottenuto un buon punteggio in entrambe. Con il test non si è voluto misurare il livello di cultura generale, ma accertare e certificare le cosiddette generic skills, essenzialmente basate: sulla capacità di affrontare problemi personali e collettivi in contesti socio-economici e lavorativi non noti a priori, utilizzando conoscenze, abilità e competenze acquisite; sul saper leggere e discutere un testo, esercitando su di esso pensiero critico, capacità di risolvere problemi nuovi, assumere decisioni coerenti e comunicare oralmente o per iscritto. L'iniziativa ha rappresentato una novità assoluta nel contesto universitario nazionale, in quanto per la prima volta la valutazione si è spostata dal teaching al learning, dall'attività dell'insegnamento a quella dell'apprendimento degli studenti. Si è allineata alle molteplici esperienze di misurazione delle performance, già da tempo in uso in campo internazionale, quali ad esempio il Collegiate Learning Assessment (CLA), e quelle in uso negli 8 Paesi partecipanti al Progetto AHELO (Assessing Higher Education Learning Outcomes) dell'OCSE. (Fonte: L. Moscarelli, rivistauniversitas marzo 2014)

CONSIGLI PER GLI STUDENTI FUORI SEDE
Nel nostro Paese più di 850mila universitari hanno scelto di vivere e di studiare in un comune diverso da quello di origine Tutte le agevolazioni per contenere i costi In Italia sono più di 850mila gli universitari che vivono e studiano in un comune diverso da quello di origine. Da Lecce al Politecnico di Milano, da Bolzano all'Alma Mater di Bologna, dalla Calabria alla Sapienza Roma ... Le mete restano quelle, ma le spese si gonfiano: tra affitto, tasse, alimentari e trasporti un anno da matricola può costare alle famiglie fino a picchi di 8.500 euro nelle città del Nord e Centro Italia e oltre 7mila in quelle del Mezzogiorno. Nel link alcuni consigli per ammortizzare i costi, dagli sgravi sull'affitto agli "extra jobs" che garantiscono l'autonomia a una fetta in crescita di under 25. (Fonte: A. Magnani, risparmioefamiglia@ilsole24ore.com 17-03-2014)

TASSE DI ISCRIZIONE
Il livello medio delle tasse d’iscrizione nelle università statali era nell’A.A. 2011/2012 pari a 1.018 euro, contro 4.392 nelle non statali. Gli importi per le università statali erano pari in media a circa 1.350 euro negli atenei del Nord, circa 950 euro in quelli del Centro, 716 in quelli del Sud e 656 nelle Isole. L’incidenza degli studenti esonerati dal pagamento della tassa d’iscrizione è di circa il 15% nel Mezzogiorno contro il 10% al Nord e il 9% al Centro. Il livello medio delle tasse universitarie in Italia è allineato alla media dei paesi OCSE. I dati OCSE mostrano come il Paese si caratterizzi per una quota di studenti che ricevono un sostegno economico relativamente modesto e per un livello delle tasse universitarie allineato alla media OCSE, basso se confrontato con i livelli dei paesi anglosassoni, dove maggiori sono tuttavia gli interventi a sostegno degli studenti, relativamente elevato rispetto ai paesi dell’Europa continentale e ai paesi del Nord Europa. (Fonte: corrieruniv.it 18-03-2014)

TEST PER I CORSI DI MEDICINA. COME BYPASSARLO DALL’ESTERO
Secondo una sentenza del TAR del Lazio pubblicata agli inizi di febbraio, lo studente, iscritto alla facoltà di Medicina dell'Università Cattolica «Nostra Signora del Buon Consiglio» di Tirana, che lo domanda, ha diritto di essere trasferito dall'ateneo albanese in uno italiano, benché non abbia mai superato il test di ammissione a Medicina. I 62mila aspiranti medici che il prossimo 8 aprile non riusciranno ad accaparrarsi uno dei 7.918 posti messi in palio dal MIUR per l'anno accademico 2014/2015 (in 69mila 603 si sono iscritti alle prove concorsuali) per coronare il loro sogno, aggirando il numero chiuso, avranno un'alternativa: attraversare i confini con la vicina Albania, sobbarcarsi i 10mila euro di iscrizione l’anno e i disagi anche economici degli studi all'estero. In realtà, questo succedeva già. Ma finora uno studente italiano iscritto a Tirana doveva ultimare gli studi in Albania. Una volta conseguita la laurea, grazie alla convenzione tra l'ateneo di Roma Tor Vergata e l'Università Cattolica di Tirana, il riconoscimento del titolo in Italia, al contrario di quanto accade per la laurea in Medicina ottenuta nelle altre università dei Paesi comunitari, è una pura formalità. Adesso, però, dopo la sentenza dei giudici amministrativi laziali basterà rimanere in Albania solo un anno: il tempo di sostenere qualche esame e di chiedere di tornare in Italia. I giudici del Tar laziale hanno in generale fissato un principio esplosivo per il sistema fondato sul numero chiuso: «L'ordinamento interno non prevede, almeno allo stato attuale, disposizioni tali da precludere agli studenti comunitari il trasferimento ad anni successivi al primo presso Atenei italiani, seppure a "numero chiuso" senza necessità di espletare un test preselettivo». Immediato è stato il ricorso al Consiglio di Stato, nelle cui mani è passata la patata bollente.
Il TAR Lombardia sede di Brescia apre un varco nel numero chiuso per gli studenti (italiani) iscritti a Università straniere che chiedano il trasferimento a sedi nazionali (ordinanza 20 marzo 2014 n. 1066). Un iscritto in un ateneo della Repubblica Slovacca aveva chiesto all’università di Brescia l'iscrizione attraverso trasferimento, con accesso a un anno successivo al primo di laurea in Medicina. Brescia opponeva che il ragazzo non aveva superato le prove d'accesso previste dalla legge 264/1999. Il provvedimento del TAR, pur non essendo definitivo (è un'ordinanza in via di urgenza, che sarà riesaminata a ottobre) ordina il riesame della vicenda secondo principi innovativi. Il giudice, infatti, parte dal presupposto che mancano disposizioni specifiche sul trasferimento. Richiama quindi norme del 1933 (articolo 147 Rd 1592) e del1934 (articolo 12 Rd 1269), che subordinano il trasferimento solo alla prova della conoscenza della lingua italiana e all'accertamento dell'effettivo valore degli studi già compiuti: in base a ciò si determina l'ulteriore svolgimento della carriera scolastica e l'anno di corso cui i richiedenti si possono iscrivere. La legge 264/1999 sul numero chiuso resta comunque applicabile, nella parte in cui stabilisce limiti: ad esempio, per alcuni corsi di laurea - fra cui Medicina - ci può essere una soglia di posti disponibili. Nel caso specifico, lo studente aveva chiesto il trasferimento per un posto vacante in anni successivi al primo, senza porre in discussone il "numero chiuso", e l'originalità della pronuncia del TAR Brescia sta nel ritenere non necessaria la prova di accesso (articolo 4 comma 1 legge 264/1999), in dissenso da quanto ritenuto dal Consiglio di Stato (10 aprile 2012 n. 2063) secondo il quale occorre il test d'ingresso anche per anni successivi al primo. (Fonti: Corsera, IlSole24Ore 25-03-2014)


VARIE

IL SISTEMA UNIVERSITARIO ITALIANO NEGLI ULTIMI 15 ANNI
ll sistema universitario italiano negli ultimi 15 anni ha attraversato due fasi nettamente distinte. La prima caratterizzata da una rapida espansione dell'offerta formativa, delle risorse economiche e di quelle umane, accompagnata da squilibri e problemi complessivi di governante, la seconda, iniziata con la crisi economica, che ha portato a un significativo ridimensionamento delle risorse e a una razionalircazione dell'offerta formativa.
La recente riforma dell’università introdotta con la legge 240/2010 ne ha ripensato la governance e ha introdotto, con grande ritardo rispetto agli altri paesi europei, meccanismi di valutazione e accreditamento dei corsi e delle sedi universitarie. L'avvio delle attività dell'ANVUR ha reso operative la valutazione della ricerca e della didattica. Il sistema universitario ha reagito complessivamente in maniera positiva, collaborando, ad esempio, alla Valutazione della Qualità della Ricerca 2004-2010 condotta dall'ANVUR (185.000 prodotti valutati), il più ampio processo di valutazione della ricerca mai condotto nel nostro Paese, a sua volta utilizzato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR) per l'allocazione di parte delle risorse.
Negli ultimi anni sono stati ridotti alcuni squilibri e si è ricondotto il sistema universitario su un sentiero di sostenibilità economica nonostante il calo delle risorse a disposizione, il cui ammontare appare nel complesso insoddisfacente nel confronto internazionale. Data la triplice funzione dell'università, didattica, ricerca e sostegno diretto al sistema economico e sociale (terza missione), sarebbe necessaria una riflessione ampia sulle dimensioni ottimali o almeno minime necessarie del sistema universitario e sulle risorse da investirvi, nel quadro di una governance rinnovata che richiami tutti gli attori al rispetto dei principi di un’autonomia responsabile.
Dal 2009 il finanziamento complessivo del MIUR al sistema universitario si è ridotto di circa 1 miliardo, (-13% in termini nominali, -20% in termini reali). La riduzione delle risorse è stata resa sostenibile dalla riduzione del personale, soprattutto dei docenti ordinari il cui numero in passato era rapidamente cresciuto, e dal blocco delle progressioni stipendiali. Il rapporto studenti/docenti si è riportato oggi su valori elevati. Nei prossimi cinque anni usciranno per pensionamento 9.000 docenti, pari al 17% del totale; sarà necessario assicurarne i ricambio onde salvaguardare l'assolvimento del carico didattico e di governo degli atenei e il potenziale di ricerca del Paese. Link per leggere la “Sintesi del rapporto sullo stato del sistema
universitario e della ricerca 2013” dell’ANVUR. (Fonte: media2.corriere.it marzo 2014)

PER FARE FRONTE ALLA DEINDUSTRIALIZZAZIONE DEL PAESE
L’Italia è un paese in piena de-industrializzazione: avevamo un’industria chimica di prima grandezza, non esiste più; potevamo avere posizioni di primo piano nell’informatica e ci facciamo ridicolizzare da paesi minori; la siderurgia traballa; l’industria automobilistica sta emigrando. Resta la media e piccola industria, pur boccheggiante sotto la ferula della burocrazia. Dove dovrebbero trovare posto i laureati? Oppure vogliam dire che occorre chiudere i corsi di laurea in chimica, matematica, fisica, e molti di ingegneria, o riciclarli in corsi di apprendistato funzionali a mansioni e «responsabilità aziendali a livelli minimi», come suggerisce P. Celli? Benissimo, questa è la via per ratificare la de-industrializzazione e ridurci a consumatori di tecnologie altrui. Si vantano i successi dell’università Luiss, i cui laureati sono tutti presto occupati: ma è un’università di economia, finanza e management, che non comprende settori scientifici e solo un frammento delle scienze umane. Forse l’università italiana dovrebbe plasmarsi tutta sul modello Luiss-Bocconi? L’istruzione è sempre stata un canale importantissimo di impiego. Ma le politiche dissennate degli ultimi decenni hanno chiuso l’accesso ai giovani e la legge che prevede una ripartizione a metà degli accessi tra neo-laureati e precari è costantemente disattesa. Come stupirsi se chi, legittimamente, s’iscrive alla facoltà di lettere o a una facoltà scientifica per insegnare si vede preclusa ogni possibilità? È squallido fare retorica giovanilista mentre manteniamo un sistema dell’istruzione basato su una drammatica frattura generazionale.
Occorre scegliere tra adattare il sistema universitario alla crisi industriale del paese, o intervenire su quest’ultima per dar senso alla formazione di personale altamente qualificato. La prima via è quella del declino programmato. La seconda è l’unica speranza perché l’Italia resti un paese dotato di una scienza e una tecnologia avanzate, di una cultura umanistica degna del nostro patrimonio artistico-culturale. (Fonte: G. Israel, Roars 19-03-2014)

CONSOLIDARE LA PIANTICELLA DELLA MERITOCRAZIA
Per fare un solo piccolo esempio: in una recente procedura di abilitazione al ruolo di professore ordinario, una commissione composta in maggioranza di membri i cui lavori hanno ottenuto meno di venti citazioni ha abilitato candidati altrettanto poco citati mentre ne ha "bocciato" uno che di citazioni ne aveva 667. In questo come in altri casi simili spetta ai membri della comunità accademica manifestare con azioni concrete il ripudio di comportamenti in contrasto con l'affermarsi della cultura del merito. La rivoluzione silenziosa non può essere sostenuta solo dall'ANVUR, richiede comportamenti coerenti da parte della comunità universitaria. La seconda condizione perché si consolidi la tenera pianticella della meritocrazia universitaria è che il governo prenda seriamente l'impegno, più volte assunto ma poco realizzato di premiare il merito. I fondi cosiddetti "premiali" che vanno alle università migliori sono una parte piccola del cosiddetto fondo di finanziamento ordinario. Si tratta di cambiare i criteri con cui questo viene distribuito, basandoli fortemente sui risultati raggiunti sia sul piano della ricerca sia su quello della didattica. Ciò richiede una rivoluzione culturale anche nel ministero, nelle comunità locali, nelle famiglie. Si tratta di riconoscere l'evidenza: non tutte le università sono uguali. Non tutte sono in grado di sostenere dottorati di ricerca, non tutte possono produrre buone lauree magistrali. Le finzioni coperte da finanziamenti a pioggia non aiutano né la ricerca, né gli studenti, né le loro famiglie. (Fonte: G. Toniolo, IlSole24Ore 19-03-2014)

CARENZA DI SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE IN NEUROCHIRURGIA
In Emilia Romagna, Liguria, Umbria, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria non ci sono scuole di specializzazione per formare neurochirurghi e il numero dei professori ordinari e associati di Neurochirurgia nel nostro Paese è inferiore a sessanta, di cui 24 ordinari e 35 associati. Sono i dati emersi nel corso del primo incontro dei docenti di neurochirurgia sulla formazione specialistica neurochirurgica in Italia. «La carenza di figure universitarie neurochirurgiche negli Atenei italiani ha raggiunto un livello straordinariamente basso e ormai è insostenibile», denunciano gli esperti, «Occorre affrontare il problema con spirito costruttivo, nell'interesse esclusivo della futura Sanità pubblica del Paese». Secondo Francesco Tomasello, presidente del Collegio dei professori di prima fascia di neurochirurgia, «la formazione in generale, e in questo caso la formazione specialistica in Neurochirurgia, è una delle principali sfide per la crescita del Paese». Il presidente del Collegio ha, inoltre, sottolineato che «occorre offrire maggiori opportunità di formazione pratica chirurgica sul campo; far seguire i giovani da più docenti, rispetto a quelli attuali, nel loro percorso. La rete formativa universitaria-ospedaliera, così come è organizzata ora, non garantisce il conseguimento di questo obiettivo». In questo, un contribuito importante è quello offerto dalla Società italiana di neurochirurgia (Sin), che da alcuni mesi sta organizzando, a costo zero, corsi di aggiornamento per i giovani e corsi di dissezione anatomica. Il presidente della Sin, Roberto Delfini, ricorda che «abbiamo una carenza assoluta di laboratori dove praticare la dissezione anatomica e approfondire l’anatomia chirurgica. Mancano i preparati anatomici sui cui lavorare e il nostro maggior approvvigionamento viene dall’estero», per questo «i giovani neurochirurghi troppo spesso sono costretti ad andare in Europa o negli Stati Uniti per frequentare i corsi sui preparati».
Secondo Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale, occorre «rivedere e aggiornare l’ordinamento didattico delle scuole di specializzazione per creare in questa maniera un neurochirurgo adatto alle nuove tecnologie e anche proiettato verso un apprendimento che non sia solo ed esclusivamente professionalizzante, ma anche in grado di continuare a tenere, perché lo è attualmente in Italia, al centro della ricerca scientifica il più alto livello assistenziale».
Secondo Delfini, però, si tratta di un problema culturale e non legislativo: «Nulla impedisce che in Italia si possa disporre di preparati anatomici. Bisogna far capire alla gente quanto sia importante fare la dissezione anatomica sui preparati umani, piuttosto che una dissezione anatomica su un animale» e ispirarsi all’Australia, dove nel testamento molte persone scrivono di voler mettere il proprio corpo al servizio della ricerca. (Fonte: S. Valletta, healthdesk.it 31-03-2014)


ATENEI. IT

UNIBO. “MUMU – MUSEO MULTIVERSO”
“Mumu – Museo multiverso”, è un’idea partita dall’Università di Bologna, che consente in pochi passaggi di realizzare delle app per smartphone senza avere necessariamente le competenze tecniche per farlo. La presentazione è avvenuta nei giorni scorsi a San José, in California – centro nevralgico della Silicon Valley e capitale mondiale dell’Information Technology – durante il congresso mondiale ‘International Conference on Multimedia and Expo’. In particolare, Mumu è nata dalla volontà dell’Istituto dei beni culturali di agevolare gestori di musei, di beni culturali, dimore storiche e altre strutture e iniziative del genere, consentendo loro di mettere i propri contenuti multimediali a disposizione di chi possiede uno smartphone tramite la realizzazione semplice e veloce di app. “L’obiettivo di Mumu – dichiara il professor Marco Roccetti dell’Università di Bologna, uno dei creatori del progetto – è ricollegare tramite le moderne tecnologie Ict (specialmente quelle delle app) i siti depositari del patrimonio culturale italiano attraverso legami di senso che, organizzando un flusso ininterrotto di contenuti culturali, sociali e artistici presenti diffusamente nel tessuto culturale, forniscano ai fruitori una rete di significati presentati in maniera innovativa e condivisa”. Si tratta – com’è stato sottolineato durante la presentazione in California – della prima piattaforma digitale capace di valorizzare il patrimonio culturale del nostro Paese, rendendolo disponibile a tutti gli appassionati sotto forma di applicazioni su tutti gli app store internazionali, a cominciare da Apple e Android. Per testare l’efficacia di Mumu, sono stati già fatti degli esperimenti pilota, che sembrano essere assai incoraggianti. (Fonte: universita.it 13-03-2014)

UNIMI. UNISTEM DAY 20014
La ricerca sulle cellule staminali è una delle maggiori speranze per la cura di alcune temibili malattie. Per celebrarla il 14 Marzo trentotto atenei europei hanno aperto le porte agli studenti delle scuole superiori in occasione dell’UniStem Day 2014. L’evento divulgativo, giunto quest’anno alla sua sesta edizione, è stato promosso dal Centro Interdipartimentale di Ricerca sulle Cellule Staminali dell’Università degli Studi di Milano (UniStem). Fondato nel 2006 dalla senatrice a vita Elena Cattaneo – che ne è l’attuale direttore – con Giulio Cossu, Fulvio Gandolfi e Ivan Torrente, il centro si occupa non solo di coordinare e promuovere lo studio delle cellule staminali, ma anche di diffondere la conoscenza in questo settore sia tra gli addetti ai lavori, e nella comunità scientifica, sia nella società civile e tra i giovani. Al primo UniStem Day, nel 2009, partecipò la sola Statale di Milano. Nell’arco di sei anni, la manifestazione ha attirato sempre più l’attenzione e raccolto un numero sempre più alto di adesioni, tanto che dall’anno scorso ha perfino varcato i confini nazionali. Rispetto all’edizione 2013, quest’anno le università italiane coinvolte saranno quattro in più (l’anno scorso furono trentaquattro) ed è cresciuto pure il numero di atenei esteri. Oltre ai sette, suddivisi tra Spagna e Regno Unito, che presero parte alla scorsa edizione, all’UniStem Day 2014 hanno aderito anche l’Università di Galway (Irlanda) e il Karolinska Institutet (Svezia), per un totale di nove sedi straniere nelle quali si celebrerà l’evento. Per l’UniStem Day 2014 gli organizzatori hanno previsto la presenza di circa 20mila studenti delle scuole superiori, sparsi nelle varie università dedicate a celebrare l’evento. In ciascuna delle sedi si sono tenuti incontri con esperti del settore, nel corso dei quali si sono affrontati anche temi di stretta attualità quali il caso Stamina e la sperimentazione animale, visite ai laboratori di ricerca, eventi musicali, quiz a premi, attività sportive e molto altro. (Fonte: universita.it 09-03-2014)

A PROPOSITO DELLA PRESUNTA INDIFFERENZA DELL’AMMINISTRAZIONE CENTRALE SUGLI ATENEI DEL SUD. INTERVIENE L’EX MINISTRO CARROZZA
“Se questo può aiutare ad alimentare il dibattito, a cercare razionalmente di proporre una via di uscita da questa dialettica Nord/Sud, ben vengano articoli e riflessioni. Repetita iuvant, anche per evitare di continuare a generare inutile sconforto. Quello che vorrei portare avanti è il messaggio da lanciare per auspicare un diverso atteggiamento mentale che possa costruire un futuro reale e possibile al Sud, generando un rilancio fondato su valori positivi che crei uno sviluppo basato su istruzione, formazione e ricerca. Rilancio che serve a tutto il Paese, ma che deve tenere conto dei diversi contesti territoriali. Viviamo in un'epoca di sovrabbondanza di dati, che sono interpretati e piegati per scopi e usi diversi. Ma i parametri di merito parlano da soli: l'utilizzo del fondo di funzionamento ordinario, il rapporto fra le spese per il personale e le entrate, l'indebitamento, la valutazione della ricerca e della qualità del reclutamento sono valutazioni oggettive dell'operato di chi ha responsabilità di governo in una istituzione universitaria e di ricerca, e sono convinta che l'obiettivo delle politiche di finanziamento basate su incentivi devono stimolare il miglioramento a partire dal contesto. Non possiamo valutare le ragioni di un declino guardando a un solo fotogramma, nel mio caso i punti organico disponibili e ottenuti nel 2013, ma al film nel loro complesso. Valutiamo i fondi che sono stati destinati solo al Sud e i programmi coerentemente sviluppati, oltre a vedere come sono stati reclutati i professori, come sono stati amministrati i fondi e attuate le politiche di gestione della didattica e della ricerca. Una politica progressista, che punta al miglioramento partendo dal contesto, guarda alle differenze, a quanto si è raggiunto a partire dalla partenza, in modo da non lasciare indietro nessuno. Penso quindi che il destino delle università e dei centri di ricerca del Sud sia nelle mani di chi opera e vive in queste istituzioni, nella scelta delle politiche, nella scelta della classe dirigente, nel metodo di formare la leadership. Per costruire un futuro si deve prima di tutto scegliere, prendere in mano i dati non per accusare, ma per proporre politiche di miglioramento e politiche di crescita, accettando la difficile sfida di cambiare partendo da un'analisi dei punti di forza e di debolezza del proprio territorio e delle proprie istituzioni. Altrimenti c'è il rischio di trincerarsi nella tipica caccia al capro espiatorio, facile da fare e che soddisfa tutti, ma che alla fine si rivela inconcludente”. (Fonte: M.C. Carrozza, Il Mattino 28-03-2014)

RISORSE PER LA PREMIALITÀ AGLI ATENEI. SCHEDA FLC CGIL SUGLI EFFETTI DELLE VALUTAZIONI ANVUR
Sebbene gli importi complessivi assegnati siano pari a quelli dello scorso anno (910 Ml€), le risorse effettivamente destinate alla premialità risultano pari a 819 Ml€ quindi inferiori del 10% rispetto al 2012. La differenza tra i due valori, pari a 91 Ml€, è stata utilizzata per fini perequativi tra gli atenei.
La ripartizione della quota premiale del 2013 è stata fortemente influenzata dagli esiti della valutazione ANVUR sulla ricerca, i cui dati sono stati pubblicati nel Rapporto finale del 22 luglio 2013 in quanto il MIUR ha deciso di attribuire la quota premiale per la ricerca, utilizzando i risultati ANVUR nella misura del 90% e il restante 10% per il reclutamento. Partendo dai risultati del rapporto finale ANVUR, sono stati esaminati gli effetti prodotti sull’assegnazione della quota premiale agli atenei per ciascuno dei tre interventi previsti dalla legge: “Qualità della domanda formativa”, “risultati dei processi formativi”, “qualità della ricerca”. I grafici costruiti sulla base delle risorse assegnate a ciascun ateneo, confrontate con quelle ricevute nel 2012, evidenziano per ciascun obiettivo le performances conseguite rispetto al 2012. (Fonte: FLCCGIL 13-03-2014)


UE. ESTERO

UE. ERASMUS+
Erasmus+. Il nuovo programma dell’Unione europea per l’istruzione, operativo per il periodo 2014-2020, dispone di un bilancio di 14,7 miliardi di euro per 7 anni, il 40% in più rispetto al budget dei 7 anni precedenti. Erasmus+ offrirà a circa 4 milioni di giovani europei l’opportunità di studiare, formarsi, acquisire esperienza professionale all’estero. E sosterrà i partenariati transnazionali fra organizzazioni che operano nei settori dell’istruzione, della formazione e della gioventù per favorire la collaborazione e riavvicinare il mondo dell’istruzione e del lavoro, con l’obiettivo di far fronte all’attuale fabbisogno di competenze in Europa.
Obiettivi dell’Ue. Erasmus+ si pone come uno degli strumenti con cui l’Ue cerca di raggiungere l’obiettivo del 40% di laureati nella fascia 30-40 anni e  ridurre al 10% gli abbandoni scolastici, come previsto dal programma Europa 2020. Ancora, “punta a inserire nel mercato del lavoro l’82% dei laureati entro 3 anni dal conseguimento del titolo e a innalzare al 35% i posti di lavoro occupati da laureati (oggi sono il 29%)”. Oggi in Europa ci sono 6 milioni di giovani disoccupati e in Italia sono oltre il 40% i giovani senza lavoro. Nello stesso tempo nel vecchio continente ci sono 2 milioni di posti di lavoro vacanti mentre un terzo dei datori di lavoro segnala difficoltà nell’assumere personale con le qualifiche richieste.
Che cosa cambia. L’Erasmus è sempre stato sinonimo di mobilità individuale, ma sono università, associazioni o enti a inoltrare la domanda per ottenere un finanziamento in Erasmus+. Nel 2014 il budget è di 1 miliardo e 800 milioni per promuovere opportunità di mobilità. Per la prima volta saranno concessi finanziamenti non solo a università e istituti di formazione, ma anche a partenariati innovativi, indicati come “alleanze della conoscenza” e “alleanze delle abilità settoriali”. Università, consorzi, organizzazioni, gruppi, possono presentare un’unica candidatura per i finanziamenti di progetti. (Fonte: unipd.it/ilbo n07-03-2014)

FRANCIA. LA GRANDEUR: MEGAUNIVERSITÀ PARIS-SACLAY
In Francia venti tra atenei e istituti di ricerca stanno per creare un nuovo colosso dello studio, l’Université Paris-Saclay, un progetto da 6,5 miliardi di euro. Si tratta della scommessa francese per scalare le vette dei ranking mondiali dell’istruzione. Sempre più paesi si stanno dimostrando ambiziosi e ossessionati da questo punto di vista. Quella che diventerà la più grande università transalpina potrebbe entrare ben presto nella prestigiosa top-10. Ormai l’aggettivo “grande” ha trovato un nuovo sinonimo in “migliore”, dunque non ci si deve stupire più di tanto se i governi di tutto il mondo puntano a fusioni tra campus e facoltà per attrarre denaro utile alla ricerca e un numero maggiore di iscritti. In poche parole, conta moltissimo il prestigio mondiale e i ranking non guardano tanto agli studenti, piuttosto alla geopolitica e a tutte le conseguenze che ne derivano. Le classifiche più influenti sono quelle della Shanghai Jiao Tong University, Times Higher Education e QS Quacquarelli Symonds, una società di consulenza che ha sede a Londra, nonostante non siano mai state sfruttate con intenti politici. Altro caso interessante è quello dell’US News and World Report, le cui pubblicazioni sui college americani sono cominciate nel lontano 1983 e che includerà a breve le strutture arabe del Medio Oriente e del Nord Africa, un’espansione pensata da qualche tempo. Nel caso di Paris-Saclay il gigante universitario verrà formato da una business school, dal Politecnico e da un dipartimento specializzato in materie scientifiche. Anche la Finlandia e il Portogallo si stanno comportando allo stesso modo: la nazione scandinava è già riuscita a fondere dieci istituti in quattro atenei, in parte per attrarre studenti stranieri e in parte per migliorare i ranking. Il governo di Lisbona, invece, ricorderà il 2013 per la fusione dell’Università della capitale e della Technical University. (Fonte: S. Ricci, iljournal.it 13-03-2014)

SVIZZERA. 145 RICERCATORI RICHIEDONO 219 MILIONI PER GLI "SNSF STARTING GRANTS"
Come conseguenza del voto sull'iniziativa contro l'immigrazione di massa, i ricercatori svizzeri non possono candidarsi per i contributi dell'UE destinati alla ricerca. Perciò ora 145 studiosi hanno richiesto 219 milioni di franchi al Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS). Il FNS ha lanciato a questo scopo gli "SNSF Starting Grants", che dovrebbero sostituire come misura temporanea i relativi aiuti a livello europeo. Inoltre il FNS ha stabilito i membri di una commissione che dovrà indirizzare e coordinare queste misure.
Fino allo scorso 25 marzo, 145 ricercatori avevano fatto richiesta di uno di questi "SNSF Starting Grants", grazie a cui vengono conferiti un massimo di 1,5 milioni di franchi per progetto lungo una durata che non può eccedere i 5 anni. Questi aiuti si rivolgono a nuovi ricercatori promettenti di Istituti svizzeri con due fino a sette anni di esperienza. Le richieste, che saranno vagliate entro fine 2014, ammontano complessivamente a 219 milioni di franchi, soldi inseriti nel preventivo UE della Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l'innovazione (SEFRI), che ora non può più far capo al programma di ricerca UE. Questo modo di procedere deve ancora essere approvato dal Parlamento, precisa il FNS. Le misure provvisorie dovranno contribuire, secondo il FNS, a garantire l'alta concorrenzialità e internazionalità della ricerca in Svizzera, fino a quando non sarà trovata una soluzione politica con l'UE. (Fonte: swissinfo.ch 02-04-2014)

USA. I COSTI DELLE UNIVERSITÀ. QUINTUPLICATI DAL 1985 AD OGGI PER LAUREARSI NELLE PRIVATE
In USA la selezione è durissima, ci sono università che ammettono solo il 5-6 per cento degli studenti che presentano l'application. Per orientarsi meglio, per avere qualche chance in più, ci si affida a un coach che per una parcella di 10 mila dollari ti aiuterà a selezionare le accademie giuste in base alle doti di tuo figlio. Spiegandogli anche come deve presentarsi, quali attività di volontariato e sportive è opportuno mettere in evidenza. Certo, bisogna presentarsi anche con voti eccellenti ai test federali di profitto scolastico, i cosiddetti Sat (o, in alternativa, gli esami fatti con la formula Act). Per addestrarsi a rispondere presto e bene ai questionari ci si può rivolgere ad appositi tutor. Che a New York vogliono 240 dollari l'ora in media (ma i migliori ne chiedono anche 400). Se tuo figlio viene accettato, il legittimo orgoglio paterno o materno va in frantumi non appena scopri che, nonostante l'economia che ristagna e l'assenza d’inflazione, la retta da 50 mila dollari l'anno chiesta da molte università, e a suo tempo bollata come scandalosa della stampa, ormai è un affare, se la trovi: le università di rango adesso chiedono 65 mila dollari l'anno, ma anche quelle medie (e a volte mediocri) raramente scendono sotto i 45-50 mila (salvo quelle pubbliche che, però, spesso sono di livello molto inferiore e impongono vari vincoli).
Molti atenei continuano a rappresentare l'eccellenza assoluta nel loro campo, ma il sistema nel suo complesso ha attraversato un'epoca di moltiplicazione dei costi mostruosa e incontrollata: dal 1985 a oggi la spesa per laurearsi nelle università private è cresciuta di cinque volte, mentre nello stesso trentennio il costo complessivo della vita degli americani è cresciuto solo del 121%. Perfino la vituperata sanità Usa degli sprechi senza fine ha fatto meglio: più 286 per cento. L'unica, nell'America delle specializzazioni, è affidarsi ad altri siti specializzati come Payscale.com che, comparando costi scolastici, risultati accademici e sviluppo delle carriere, misurano il rapporto costi-benefici delle varie accademie. Comprese quelle che, come ha calcolato un giornale di Chicago dividendo la retta annua per le ore effettive d’insegnamento negli otto mesi dei corsi, finiscono per costare 173 dollari per ogni ora passata effettivamente in classe. (Fonte: M. Gaggi, CorSera 28-03-2014)





Nessun commento:

Posta un commento