giovedì 19 giugno 2014

INFO UNIVERSITARIE n. 6 22-06-2014

IN EVIDENZA

ABOLIRE I CONCORSI PER I DOCENTI UNIVERSITARI?
L’abolizione dei concorsi richiederebbe di far uscire il personale docente universitario dalla Pubblica Amministrazione, assoggettando il suo rapporto di lavoro alla normativa di diritto privato. Si tratta di una scelta gravida di conseguenze, che i discorsi di questi giorni lasciano, in parte intenzionalmente, nell’ombra. Si succedono in questi giorni le dichiarazioni con cui sia il ministro Giannini sia, sulle sue orme, il presidente del CUN, Andrea Lenzi, e Dario Braga, invocano l’abolizione dei concorsi per i docenti universitari, a favore di una valutazione ex post dell’operato dei reclutati. I policy maker prevedono un’abilitazione semplificata e chiamate libere da pastoie concorsuali. Semplificare l’ASN andrebbe benissimo. Il punto è cosa s’intenda con “semplificata”: la concessione a pioggia del titolo? Di che titolo? Una normale patente, non certo per guidare una Ferrari, Giannini dixit. Siccome, dunque, i concorsi non funzionano, concediamo libertà di chiamata su bacini di abilitati a pioggia, affidandoci alla foglia di fico della “valutazione ex post”. Allo stato attuale, una valutazione negativa ex post colpirebbe l’Ateneo e solo in modo limitato il singolo. Come dire, paga Pantalone: se si assume un soggetto poi valutato negativamente, non sarà lui a subire conseguenze, ma l’ateneo, il dipartimento e così via. Siamo davvero sicuri che sanzioni irrogate alle strutture costituiscano un freno sufficiente a impedire il reclutamento di soggetti di scarsa qualità?
Come afferma una costante giurisprudenza costituzionale, le amministrazioni pubbliche per la provvista del proprio personale devono, infatti, in via ordinaria, ricorrere al pubblico concorso, in base a quanto chiedono gli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. Sempre secondo la giurisprudenza costituzionale, il concorso pubblico consiste non in una generica selezione, ma in una selezione che rispetti determinate condizioni. Innanzi tutto, la natura comparativa della procedura e la sua idoneità ad accertare il possesso delle competenze necessarie a esercitare le funzioni corrispondenti allo specifico ruolo che si va a ricoprire. Della fuoriuscita dei docenti dal personale pubblico non contrattualizzato si è a lungo parlato nel passato. Una tesi che assomiglia a un fiume carsico che appare e scompare. È questa tesi che è riproposta, dietro il velo della popolare “abolizione dei concorsi” o si pensa ad altre soluzioni, compatibili con il quadro costituzionale e con la giurisprudenza costituzionale? Oppure si vuole fare uscire tout court le università dal novero delle pubbliche amministrazioni? Tutto questo prefigura un sistema che in Italia mai è stato sperimentato e le cui prime sperimentazioni in altri ambiti (la dirigenza pubblica) hanno dato esiti nefasti. Forse sarebbe bene riflettere prima di prendere decisioni affrettate. (Fonte: Redazione Roars 19-05-2014)
Un commento di teo: La legge Gelmini, nella parte in cui consente concorsi riservati ex art. 24 a favore dei RTI e dei PA è, a mio giudizio, già incostituzionale, perché il concorso ex art. 97 Cost. è quello aperto. L’abolizione totale dei concorsi per il reclutamento dei professori universitari sarebbe di palese incostituzionalità, salvo che, com’è stato già notato, le università non cessassero di essere pubbliche amministrazioni, trasformandosi in fondazioni realmente autonome anche sul piano finanziario. Insomma, tutte libere università e nessuna università statale. Tutto può succedere, ma mi pare improbabile.

ASN. SEMPLIFICAZIONI IN VISTA
Il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, sta lavorando con le forze della maggioranza per introdurre procedure più snelle già dalla terza tornata dell’Abilitazione, prevista per la fine di quest’anno. Il sistema dei concorsi universitari è stato modificato dalla legge 240 del 2010, la Riforma dell’Università, che ha introdotto l’Abilitazione nazionale come titolo necessario per l’accesso all’insegnamento negli atenei. La nuova procedura è stata sperimentata per la prima volta nel 2012. Le prime due tornate hanno evidenziato i limiti dell’Abilitazione: tempi contingentati e regole complicate che hanno richiesto diverse proroghe e prodotto, alla fine, un numero particolarmente rilevante di ricorsi. I lavori si sono prolungati a scapito di quei meritevoli che aspettavano da tempo di poter fare il loro ingresso nella docenza universitaria. Per questo si cambia. Abilitazione a ‘sportello’ (le commissioni sono in seduta ‘permanente’ e si aprono periodicamente le domande da parte dei candidati), allungamento della validità della stessa, revisione dei parametri di valutazione e della composizione delle commissioni, maggiore differenziazione nelle modalità di valutazione tra settori bibliometrici e non bibliometrici: sono alcuni degli aspetti su cui il Ministro sta lavorando, tenendo conto delle riflessioni emerse nel corso dei lavori delle competenti Commissioni parlamentari e su cui aprirà presto il confronto nel Governo e nella maggioranza, con l’obiettivo di un intervento in tempi molto stretti, entro la metà di giugno. (Fonte: Comunicato Stampa del MIUR 30-05-2014)

UNIVERSITÀ FRENATA DALLA BUROCRAZIA
La burocrazia rallenta anche l'università. Dal tempo di attesa necessario per attivare un co.co.co, lungo spesso quanto il contratto stesso, agli adempimenti burocratici, fino a 32, per acquistare qualsiasi strumentazione da laboratorio. In tempo di semplificazioni anche il mondo accademico non ne è esente e come dimostra un'analisi del Consiglio universitario nazionale, sono molti gli ostacoli che bloccano il funzionamento del sistema, sui quali l'organo guidato da Andrea Lenzi propone alcune soluzioni. Uno degli esempi più lampanti è la lentezza con cui sono approvati i contratti di ricerca che, per legge, devono essere sottoposti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei conti. Una procedura che si traduce in un tempo di attesa per l'attivazione del contratto che può avere la stessa durata del contratto stesso. In questo senso il CUN chiede al ministro dell'università Stefania Giannini una modifica della norma prevedendo «l'esclusione dei contratti stipulati da università ed enti di ricerca su fondi di ricerca». C'è, poi, il tema degli adempimenti da compilare per acquistare per esempio beni e servizi che, dice il CUN, negli anni hanno visto crescere i passaggi obbligatori: per acquisti di piccolo importo possono rendersi necessari sino a 32 adempimenti. Per questa ragione l'organo consultivo del MIUR chiede di riformulare il provvedimento di riferimento, precisando la non obbligatorietà del ricorso a determinate procedure per le università limitatamente agli acquisti che gravano sui fondi di ricerca. (Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 14-05-2014)

DOCUMENTO CUN: SEMPLIFICA UNIVERSITÀ. AUTOVALUTAZIONE, ACCREDITAMENTO INIZIALE E PERIODICO, VALUTAZIONE PERIODICA (AVA)
In un documento approvato dal Consiglio Universitario Nazionale nell’adunanza del 28-05-14 si propongono le semplificazioni possibili su AVA. Con questo documento, il CUN prosegue il proprio impegno volto a individuare le procedure e gli adempimenti che, per complessità, per oneri regolatori, amministrativi e informativi correlati, più ostacolano il funzionamento e il potenziamento del sistema universitario, proponendo misure di semplificazione atte a liberare le risorse necessarie a un’incentivazione della qualità e dell’efficienza affidata alla valorizzazione delle attività di didattica e ricerca. Il documento si legge in questo link. (28-05-2014)

UNA RETE MULTI-DISCIPLINARE DEI MUSEI UNIVERSITARI SUL WEB
Il patrimonio museale delle università rende conto di un enorme potenziale culturale e relazionale: una dirompente capacità di coinvolgimento del territorio e dei pubblici, non solo accademici, spesso ancora scarsamente sfruttata da parte degli atenei italiani. Sulla scorta delle migliori esperienze internazionali, la promozione del patrimonio universitario potrebbe indubbiamente beneficiare di un collegamento fra i musei che fanno capo ai diversi atenei italiani, nonché di un censimento nazionale. A tal fine, la valorizzazione e comunicazione del settore può oggi avvalersi dell’apporto creativo e low cost delle tecnologie digitali, in grado di estendere la fruizione del patrimonio museale e degli altri luoghi della cultura universitaria a un più ampio pubblico e, in particolare, ai giovani. Questo spirito anima, dal 2013, una promettente iniziativa interuniversitaria, volta a promuovere la creazione di una rete multidisciplinare dei musei universitari sul web. Il progetto, coordinato dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e ad oggi in progress, punta a rilanciare a livello internazionale la fruizione del patrimonio accademico, avvalendosi del finanziamento del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e della collaborazione con il  network internazionale dell’Umac, University Museums and Collections International Commettee dell’ICOM - International Council of Museums. Di fatto, l’investimento sul web appare decisivo al fine di rilanciare su scala internazionale la visibilità e l’accesso agli sconfinati giacimenti universitari, favorendo a un tempo la messa in rete delle strutture museali e la loro collaborazione con le istituzioni urbane e locali. (Fonte: Universitas 131, maggio 2014)

ATENEI CHE PRODUCONO PIÙ MILIONARI. INDAGINE WEALTHINSIGHT
Nella vita e nel business, la laurea è solo l'inizio. Ma se il curriculum dice Harvard, Stanford o Oxford, qualche pronostico in più si può fare. La società di ricerca WealthInsight ha redatto in tandem con il magazine Spear's la classifica delle 500 università che «producono più milionari» al mondo. L'indagine, svolta sulle orme accademiche di 70mila Paperoni in 200 paesi, ha confermato i vertici già fissati anno per anno dai più noti ranking di Times Higher Education e derivati.
Top 10 tutta nordamericana e britannica con le solite Harvard e Stanford in cima, Italia in leggera controtendenza con la doppia presenza della Sapienza di Roma (90esima) e soprattutto Bocconi: 24esima, meglio di colossi come London School of Economics e Imperial College. E tra i corsi di laurea? Si sgonfia il vecchio dominio di economia, legge e finanza: i "millionaires" del 2014 hanno studiato soprattutto ingegneria. Sempre secondo WealthInsight una laurea in informatica, e a maggior ragione in ingegneria informatica, potrebbe ritagliarsi una fetta ancora più consistente tra i background dei milionari in classifica: «Negli anni che verranno – hanno spiegato gli autori dell'indagine - più gli imprenditori tech faranno crescere l'industria e più ci potremmo aspettare di vederla crescere nella lista». (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 19-05-2014)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

ASN. I NUMERI
I partecipanti all’abilitazione scientifica nazionale sono stati 59.193 e si sono presentati a due selezioni: una per essere abilitati a diventare associati (docenti di seconda fascia) e un'altra per essere abilitati a diventare ordinari (docenti di prima fascia). Alle selezioni per l’abilitazione ad associato hanno partecipato 41.123 candidati e 16.571 sono stati promossi. Alle selezionei per ordinari hanno presentato la domanda 18.073 candidati e 7.363 sono stati promossi. Tutte queste selezioni si sono svolte per titoli, ovvero le commissioni - 184, elette per sorteggio - hanno valutato i candidati basandosi solo sulle pubblicazioni. Complessivamente i promossi sono risultati 23.934, su 59.193 partecipanti, mentre il costo complessivo del concorso si aggira su 126 milioni di euro. Allo stato attuale i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, presentati contro le modalità di realizzazione di questo concorso, sono un migliaio, mentre le istanze di riesame, inoltrate al ministero, si aggirano su settemila. (Fonte: http://tinyurl.com/oyc2o4f maggio 2014)

ASN. TROPPO TARDI PER CHI ASPETTAVA DA 20 ANNI
Quando il legislatore ha reintrodotto una forma di pre-selezione centralizzata, l’Abilitazione Scientifica Nazionale, l’impatto sul sistema è stato immediatamente e complessivamente positivo. L’ASN (che non è un concorso, ma un’abilitazione a numero aperto, differenza che un certo giornalismo fa fatica a comprendere) ha certo molti difetti, e alcuni giudizi sui candidati sono stati ingiusti e formulati in termini inutilmente offensivi, ma è l’unico strumento che abbia finalmente concesso la possibilità di scremare con criteri coerenti e verificabili la massa degli aspiranti alla carriera accademica. Peccato che questa (potenziale) svolta sia arrivata tardi per quelle migliaia di giovani studiosi che attendevano da vent’anni. Che hanno percorso l’annosa trafila delle posizioni precarie, dalle borse biennali (e poi annuali, semestrali) agli assegni di ricerca ai co.co.co. Che sono stati professori a contratto, sostenendo l’impalcatura della didattica per tempi bizzarramente lunghi, a volte pagati poco a volte nulla. Che hanno prodotto ricerche buone e talvolta ottime. E che nel frattempo si sono sentiti dire che era sempre troppo presto. Un’affermazione non strana in una (ex?) gerontocrazia. L’età media degli strutturati universitari di ogni grado (maggio 2014) è 51 anni: alla metà degli anni Ottanta, l’età media di un ricercatore era di 36 anni, un associato saliva in cattedra a 44 e un ordinario a 52 (fonte: CRUI e Rapporto CUN 2014). Oggi questa generazione sempre troppo giovane scopre improvvisamente di essere diventata troppo vecchia. (Fonte: M. Mondini, ItaliaUniversità 22-05-2014)

ASN E TAR
Non c’è dubbio che il TAR stia sopperendo, sotto il profilo della ragionevolezza, all’atteggiamento seguito da quasi tutte le commissioni; il fatto che praticamente tutti i ricorrenti che avevano avuto almeno due giudizi favorevoli (o, anche in mancanza di questi, giudizi singoli sostanzialmente contraddittori rispetto alla sintesi collegiale, o addirittura giudizi di sintesi intrinsecamente contraddittori, con espressioni elogiative elargite ai candidati a fronte della loro non abilitazione) abbiano visto accolto il loro ricorso, mi pare risponda all’interpretazione della procedura ASN come volta all’accertamento del possesso di determinati requisiti minimi da parte dei candidati (la famosa “patente di guida” di cui tanto si è parlato). Il TAR, cioè, sembra implicitamente ritenere inammissibile che una commissione possa nettamente dividersi al suo interno circa il possesso o meno da parte di un candidato di tali requisiti minimi. Il tutto si configura come una “correzione” del tasso di abilitazioni incredibilmente basso dell’ASN 2012 (di poco superiore al 40%, laddove, ad esempio, nella procedura di qualification francese del 2012 il tasso medio di abilitati è stato del 61,2% per la seconda fascia e del 67,3% per la prima – dati reperibili qui). Certo è che l’aspettativa nei confronti di una qualche “ope legis” volta ad assumere tutti gli “interni” abilitati per chiamata diretta che si avverte in questi giorni nei corridoi degli atenei, basata in gran parte sulle dichiarazioni a più riprese rilasciate al Ministro, sembra cozzare con questo tentativo di riportare l’abilitazione nell’alveo di ciò che dovrebbe essere – un prerequisito per partecipare a concorsi.  (Fonte: F.  Proietti, 25-05-2014)


AVA (AUTOVALUTAZIONE, VALUTAZIONE PERIODICA, ACCREDITAMENTO) SECONDO ROARS

AVA NON VALUTA IL VERO OBIETTIVO DELLA FORMAZIONE
L’operazione AVA, con annessi e connessi, valuta il mezzo e non il fine. Essa ha generato un complesso impianto burocratico per la valutazione di documenti, strutture organizzative, aule, locali, strumenti. Non si valuta invece il vero obiettivo dell’attività formativa universitaria: ovvero cosa fanno o faranno nella vita i laureati. Quest’aspetto è sì presente nella complessa architettura dei requisiti QA dell’AVA, ma si basa su dati incerti, non rappresentativi e poco utilizzabili.
Per una valutazione seria, semplice e oggettiva dell’attività didattica degli Atenei, a costo praticamente zero, basterebbe fare una cosa semplice: andare a vedere cosa fanno i laureati di ogni Ateneo, se lavorano o non lavorano, se sono rimasti in Italia o se sono emigrati all’estero per disperazione, quanto guadagnano o, meglio, quanto dichiarano. Per fare tutto questo basterebbe aggregare, per Ateneo e per classe di laurea, le dichiarazioni dei redditi dei laureati per esempio degli ultimi 10 anni. Ovviamente i confronti devono essere fatti per classe di laurea: i medici con i medici, i giuristi con i giuristi, gli ingegneri con gli ingegneri, un po’ come si è fatto con la VQR per la ricerca. I dati necessari sono già in possesso del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e, per di più, sono già informatizzati, senza bisogno del CINECA. Basterebbero dieci righe di codice per dotare il Paese del più formidabile e completo sistema di valutazione della formazione universitaria al mondo, senza bisogno di ANVUR, AVA, SUA, AQ, AP, CEV. Forse non ci sarebbe bisogno nemmeno del MIUR che, tra l’altro, è, di fatto, diventato negli ultimi anni poco più di una succursale del MEF. (Fonte: N. Casagli, Roars 22-05-2014)

AVA. ESERCIZIO SOLIPSISTICO E AUTOMATICO DI NUMEROLOGIA
A proposito di AVA, in una comunicazione apparsa il 12 maggio scorso nel sito della ormai mitica Agenzia Nazionale di Valutazione di Università e Ricerca viene comunicato quanto segue:
Pubblichiamo oggi nella sezione AVA/documenti la tabella con i valori del fattore correttivo Kr per ciascun ateneo. Come descritto nel DM 1059/2013 Allegato B, il fattore Kr corregge in senso moltiplicativo l’indicatore relativo alla quantità massima di didattica assistita (DID). Ai fini del calcolo le università sono state divise in grandi, medie e piccole secondo il numero di prodotti attesi. All’interno di ciascun gruppo sono stati calcolati i quartili della distribuzione dell’indice di miglioramento, calcolato in base alla differenza percentuale tra l’indicatore finale VQR ed il peso dell’Università sul proprio gruppo in termini di prodotti attesi. Alle università appartenenti al primo quartile della distribuzione, per ciascun gruppo, viene attribuito il valore massimo del fattore correttivo Kr (Kr = 1,2), per quelle nel secondo quartile il valore Kr = 1,1 , mentre per le altre università Kr=1. Quindi il Fattore Kr non riduce mai il valore del DID.
L’ANVUR ci ricorda così che il fattore Kr serve per correggere l’indicatore DID della didattica assistita che comprende tutte le forme di didattica diverse dallo studio individuale erogabile. Il DID di un ateneo, per chi non lo sapesse, è definito dalla seguente formula: DID = (120 x Nprof + 90 x Npdf +60 x Nric) x (1 +0.30).
E’ triste e a dir poco preoccupante che un’attività importante e delicata come la valutazione della ricerca e della didattica sia ridotta ad un mero esercizio solipsistico e automatico di numerologia, fatto di definizioni, indici, fattori, formule, algoritmi, correttivi, regolette, dividendi e moltiplicandi. (Fonte: P. Dimitri, Roars 23-05-2014)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

TOP 100 MONDIALE DELLE UNIVERSITÀ
I risultati sono stati pubblicati dal Times Higher Education, il settimanale più influente nel Regno Unito in materia di educazione, e sono frutto di un sondaggio annuale tra i maggiori accademici mondiali coordinato dall’agenzia giornalistica Thomson Reuters. A chi si stesse chiedendo da dove provenga l’autorità del sondaggio, il The Times Higher Education World University Rankings 2013-2014 dà una risposta esauriente: i voti arrivano esclusivamente dagli accademici più illustri: oltre 10mila tra docenti e ricercatori per una mappatura di 133 paesi. Una classifica che conferma la ben nota centralità delle istituzioni anglosassoni in Europa, con Oxford al primo posto (subito dietro ad Harvard in quella mondiale) e Cambridge in seconda posizione. Ma che punta il dito anche su alcuni casi sorprendenti, come i risultati della Svizzera, unico paese europeo insieme all’Inghilterra ad avere ben tre atenei nelle prime quaranta posizioni, dove paesi leader quali Germania e Francia non sono neppure menzionati. La Germania compare solo al 55° posto con l’Università Ludvig-Maximillians di Monaco, mentre per la Francia si deve attendere la posizione 65. (Fonte: www.wired.it 16-05-2014)

U- MULTIRANK
Un nuovo sistema Ue di classificazione delle università che non si limita a stilare una classifica del ’top' ma esamina ogni ateneo secondo determinati indicatori. Si tratta di U-Multirank, uno strumento, consultabile tramite il sito web lanciato oggi a Bruxelles e finanziato dall'Unione Europea con 2 milioni fino al 2015. Sono 869, molti dei quali mai considerati finora, gli atenei classificati, in oltre 70 paesi, fra i quali 31 italiani. Oltre 300 università presenti nel sistema non sono mai state classificate prima e questo significa "avere uno sguardo più completo sul livello dei nostri atenei e quindi poter agire a livello pratico per colmare le lacune", ha detto il Commissario europeo per l'Istruzione Androulla Vassiliou. "La forza del progetto sta nei dati, ottenuti anche tramite questionari a oltre 60.000 studenti che hanno potuto per la prima volta dare un voto alla propria esperienza di apprendimento". Il sistema esamina per il momento facoltà di economia, ingegneria e fisica, entro il 2015 saranno aggiunte anche psicologia, informatica e medicina. (Fonte: www.affaritaliani.it 15-05-2014)


DOCENTI. FORMAZIONE. CORSI DI STUDIO

DOCENTI UNIVERSITARI. PERCHÉ SOLO PER LORO PERMANE IL BLOCCO DEGLI SCATTI STIPENDIALI?
Più di cinquemila docenti universitari di tutta Italia (ma il numero continua a salire di giorno in giorno) hanno firmato un documento, nel quale chiedono la cessazione del blocco degli scatti stipendiali già per il 2014 nonché il riconoscimento, ai fini giuridici, del triennio 2011-2013.
"Non si può pensare di ridare fiducia a un Paese - si legge ancora nella nota congiunta - senza valorizzare la formazione delle giovani generazioni e la ricerca scientifica. L'Università vive un profondo disagio per i tagli subiti negli ultimi anni; se con finanziamenti irrisori si sono avuti risultati notevoli e servizi ben superiori alle risorse impiegate, è stato anche grazie ai nostri sacrifici".
Ma ora i docenti universitari sono decisi a non accettare più il protrarsi del blocco degli scatti di stipendio, fermi da anni. Il Governo Berlusconi, infatti, con il decreto legge n. 78/2010, aveva introdotto come provvedimento d'urgenza, dovuto alla crisi, il blocco degli scatti biennali per il personale docente dell'università. Concluso il triennio, però, il blocco è stato riproposto da parte del governo Letta anche per il 2014, mentre altre categorie professionali hanno ottenuto l'esenzione dal blocco stipendiale: gli avvocati e i procuratori dello Stato, le forze di polizia, la magistratura, il personale della scuola media superiore. Per i prof universitari, invece, il disco rimane rigorosamente rosso. (Fonte: www.tecnicadellascuola.it 09-06-2014)

SCHEDA UNICA ANNUALE (SUA) DEI CORSI DI STUDIO (CDS)
Sono oltre 50 quadri, divisi in due sezioni e in ogni quadro si può spesso caricare un commento o un file esplicativo per un totale di oltre un centinaio di documenti ed allegati che mettono a dura prova i compilatori, i futuri lettori e pure i frastornati futuri valutatori. La SUA-CDS è la summa di quello che fa il CdS: con un dettaglio, una ripetizione di dati che esemplifica un delirio burocratico. L’ANVUR impone a cadenza annuale non solo la SUA-CdS ma anche un ulteriore documento: il Riesame del CdS in cui molte informazioni, non si sa a quali fini, sono duplicate per la gioia di chi è costretto a scrivere due volte le stesse elucubrazioni. Prima dell’arrivo degli anvuriani erano previsti due soli documenti da riempire per il MIUR: il RAD (Regolamento didattico d’Ateneo) con gli ordinamenti dei CdS proposti, già con molte informazioni pletoriche ed inutili, e l’Offerta Formativa (OFF.F) con l’esplicitazione degli insegnamenti previsti dagli ordinamenti presentati nel RAD.  E’ ovvio che i due documenti fossero troppo banali, di una semplicità quasi sconvolgente, per cui è stato fatale complicarli il più possibile e tutto al fine dell’Assicurazione Qualità, come se la qualità si misurasse dalla complicazione della documentazione e non dalla qualità della stessa. (Fonte: P. Biondi, Roars 13-05-2014)

PENSIONAMENTO E PRODUTTIVITÀ DEI PROFESSORI
Sei professori clinici emeriti, appartenenti a quattro diverse università (Napoli, Germania, Londra, Polonia) hanno messo a punto uno studio sul ruolo dei docenti, una volta raggiunta l'età della pensione. Alcuni docenti quando vanno in pensione sono nominati emeriti, un ruolo che in qualche caso è solo onorifico, ma consente di proseguire nella ricerca e nell'insegnamento. Lo studio dei sei docenti, presentato a Napoli, ha riguardato 99 dipartimenti di medicina di 99 università, situati in 20 paesi. In Germania, tutti i docenti in pensione possono tenere delle lezioni su argomenti a loro scelta mentre il 41,2 per cento degli emeriti può continuare a fare ricerca. Terence Kealy ha spiegato che «ogni professore pensionato è un testimone, uno storico vivente». Negli Usa si applica il sogno di tutti i professori emeriti o in pensione del mondo. I docenti non vanno in pensione per l'età, ma per carenza di produttività o per cattiva salute. Gli emeriti possono continuare a fare ricerca a tutti i livelli. All'università della Virginia lavorano part time come professori. Alla Carnegie Mellon university partecipano alle riunioni, guidano progetti. In Francia gli emeriti possono partecipare ad attività di ricerca. «Essere vecchi non significa non aver più nulla da dare. Abbiamo tante cose da dire ai giovani e loro molto da dare a noi», sostiene Linne Segal nel suo libro «Fuori tempo: piaceri e pericoli dell'invecchiamento». (Fonte: C. Spatafora, Il Giornale 15-06-2014)


DOTTORATO

DOTTORANDI SU 1000 ABITANTI. LINEE GUIDA PER ACCREDITARE I DOTTORATI
In tutto il territorio nazionale si contano 0,6 dottorandi ogni 1.000 abitanti, contro i 3,7 della Finlandia, i 3,1 dell’Austria e i 2,6 della Germania. Un risultato inferiore a questo, in Europa, lo conseguono solo Spagna (0,5) e Malta (0,2). In più, considerato il trend di reclutamento dei ricercatori – a tempo determinato –, il 96,6% degli attuali 15.300 assegnisti rischia, negli anni immediatamente successivi al dottorato, di essere espulso dal sistema accademico. Ben l’86,4% non continuerà a fare ricerca dopo uno o più anni di assegno, solo il 10,2% uscirà dal mondo della ricerca dopo un contratto da ricercatore a tempo determinato di tipo A, mentre appena il 3,4% riuscirà a essere integrato.
Lo scorso aprile il MIUR ha licenziato il decreto sulle linee guida per l'accreditamento dei dottorati. Tra le novità principali, figura la possibilità – non prevista in passato – di svolgere il dottorato anche in azienda. Segue poi, la possibilità per quei ricercatori sprovvisti di una borsa di studio, di poter svolgere un'attività lavorativa extra, a patto, però, che non vada a incidere sull'impegno universitario. Il decreto contempla, infine, un vincolo riguardante le borse di studio. Il numero di quest'ultime, infatti, deve essere pari al 75% dei posti disponibili per la ricerca negli atenei italiani e il 10% dei finanziamenti assegnati a ogni borsa deve essere utilizzato dal dottorando esclusivamente per svolgere la ricerca. ( Fonte: C. Mozzetti, Il Messaggero 30-05-2014)

DOTTORI DI RICERCA. VALUTAZIONE E RIPARTIZIONE DEI PUNTEGGI DEI TITOLI PRESENTABILI
Un vero e proprio danno è stato inferto ai Dottori di Ricerca: riguarda la valutazione e la ripartizione dei punteggi dei titoli presentabili. Fino all'ultimo aggiornamento delle graduatorie di istituto, il titolo di dottore di ricerca valeva 12 (seppure pochissimi) punti ed in più era possibile aggiungere fino 10 punti ottenibili con master e corsi di perfezionamento. Due cose, giustamente, separate e distinte. Ora, con le nuove tabelle, si possono aggiungere un massimo di 22 punti, tra cui i 12 (sulla carta) del dottorato. Così facendo, però, un non-dottore di ricerca può conseguire, tramite master, corsi, certificazioni informatiche e linguistiche (che prima non valevano ed era meglio: i corsi di laurea attuali dovrebbero già garantire queste competenze informatiche e linguistiche) almeno già 16 dei 22 punti raggiungibili negli altri titoli, riducendo la spendibilità del dottorato al massimo a 6 punti. Sotto un altro punto di vista, un dottore di ricerca che fa valere 12 punti del proprio titolo (derivato da una dura e lunga selezione iniziale e in itinere, e soprattutto non a numero aperto, quindi non confrontabile minimamente agli "altri titolini") può conseguire altri corsi e certificazioni per un numero di punti inferiore a un non-dottore di ricerca. Ecco la grande penalizzazione servita. S’inneggia tanto alla qualità ed alla meritocrazia nella scuola e poi si fanno provvedimenti in direzione opposta. (Fonte: G. Ferdinando, www.tecnicadellascuola.it 05-06-2014)


PROFESSIONI. LAUREE. OCCUPAZIONE

MEDICINA. DIFFERENZE CON LA FRANCIA ANCHE DOPO LA LAUREA
Il nodo reale non è nell'accesso; l'accesso a una facoltà rappresenta comunque un imbuto. Il vero problema è che non esiste programmazione. In Francia, l'accesso è regolato da un difficilissimo esame che avviene dopo un anno di Scuola universitaria. Da noi potrebbe avvenire dopo difficilissimi quiz o dopo un anno secondo le nuove direttive. La differenza sta nel «dopo». In Francia chi entra a Medicina sa che studiando e frequentando, e non perdendosi, può guadagnare la laurea, e poi ha diritto a una specializzazione, perché il numero degli iscritti corrisponde a quello totale degli specializzandi. E ovvio che il più meritevole decide dove andare, ma anche l'ultimo ha diritto al suo posto di specializzazione. E non è fínita qui. Dopo la specializzazione, al giovane viene assicurato un posto o in ospedale o all'università, perché il suo percorso era stato programmato. In Italia tutto questo non avviene. Viviamo in un paese strano, in cui si dà importanza alle modalità di accesso alla facoltà di Medicina e Chirurgia, ma non ci si preoccupa di quello che sarà dopo 6 anni un laureato. La scelta della specializzazione è ancora più selettiva, e sono in pochi a raggiungere l'obiettivo preposto, e quei pochi che accedono alla specializzazione, non hanno futuro... I giovani che hanno frequentato per 6 anni sale operatorie o sale riunioni, che hanno studiato e hanno cercato di formarsi guadagnando 1900 euro al mese, da un glomo all'altro si ritrovano soli e abbandonati al loro destino. Sono anni che non si bandiscono concorsi soprattutto al Centro-Sud. Sono anni che vedo questi giovani perdersi nelle guardie notturne in Case di Cura periferiche o in Pronto soccorso dove - se gli va bene - guadagnano qualcosa per vivere. E la loro formazione viene tarpata nel periodo più critico. Tra l'altro mi sembra anche contraddittorio l'atteggiamento dello Stato: investe pagando i giovani in formazione, e, poi non si preoccupa del loro futuro perdendo anche, economicamente, i soldi investiti nella specializzazione. (Fonte: F. Corcione, Il Mattino 06-06-2014)

DIMINUISCONO I LAUREATI IN ITALIA
Dagli ultimi dati Eurostat 2013 emerge che l'Italia è maglia nera d'Europa per numero di laureati.
La percentuale di italiani tra i 30 e i 34 anni che hanno completato gli studi universitari (22,4%) è, secondo Eurostat, la più bassa di tutti i 28 paesi Ue. Male anche per gli abbandoni a livello di scuola secondaria, dove l'Italia è quintultima. A fronte di una media Ue del 37% di giovani adulti che hanno portato a termine il percorso universitario, l'Italia con il 22,4% è letteralmente l'ultima della classe, sorpassata anche da Romania (22,8%), Croazia (25,9%) e Malta (26%). I Paesi con il più alto numero di laureati sono invece Irlanda (52,6%), Lussemburgo (52,5%) e Lituania (51,3%). Nel 2002, l'Italia era al 13,1% e, pur essendo quindi migliorata, è avanzata molto meno degli altri Paesi, passando dalla quintultima posizione europea all'ultima 11 anni dopo. E al 23° posto su 28 è anche la posizione italiana per numero di ragazzi tra i 18 e 24 anni che hanno abbandonato studi e formazione dopo la scuola media, ben il 17%. A fronte di una media Ue dell'11,9%, peggio di noi solo Spagna (23,5%, record negativo), Malta (20,9%), Portogallo (19,2%) e Romania (17,3%). I paesi virtuosi con il minor numero di ragazzi che hanno precocemente smesso di studiare sono Croazia (3,7%), Slovenia (3,9%) e Repubblica ceca (5,4%). (Fonte: Il Giornale di Brescia 14-05-2014)

LAUREE. DATI DI ALMALAUREA
Aumenta - secondo AlmaLaurea - la quota di giovani che terminano gli studi nei tempi previsti; diminuisce la quota di laureati che terminano gli studi con un numero alto di anni fuori corso; cresce la frequenza alle lezioni; si estende l’esperienza di stage e tirocini durante gli studi e si mantiene costante la tendenza ad avvantaggiarsi delle opportunità di studio all’estero. Sullo stesso argomento, aumentano anche i giovani laureati provenienti da altri Paesi: sono oltre 7.000 (contro i 2.000 del 2005) e provenienti soprattutto da Albania (16% del totale), Romania, Cina, Camerun, Grecia, Germania, Ucraina, Moldavia, Polonia, Francia, Russia. Specifiche anche le aree di studio cui si iscrivono gli stranieri: in prima fila medicina, odontoiatria e ingegneria. Nonostante questo, l’Italia rappresenta un polo attrattivo debole per gli stranieri con una media di circa la metà inferiore rispetto a quella dell’area Ocse.
L’età media alla laurea è oggi pari a 25,5 anni per i laureati di primo livello, 26,8 per i magistrali a ciclo unico e a 27,8 per i magistrali biennali. Su 100 laureati, terminano gli studi in corso 41 laureati triennali, 34 laureati a ciclo unico e 52 magistrali. Sono solo 13 su 100 gli studenti che terminano gli studi fuori corso di 4 anni o più (il dato più basso mai registrato). (Fonte: www.unipd.it/ilbo 30-05-2014)


RECLUTAMENTO

RECLUTAMENTO. NON ABOLIRE I CONCORSI
Abolire i concorsi locali per la selezione dei docenti universitari? No, o perlomeno non necessariamente. Ma basare le assunzioni su merito e trasparenza sì. I sei rettori riuniti in Bicocca per il convegno «Autonomia e responsabilità sociale dell’università» hanno commentato così la proposta lanciata dal ministro all’Istruzione Stefania Giannini, che l’8 maggio a margine di un incontro a Fiesole ha annunciato di voler «abolire i concorsi locali e basare le assunzioni sulla chiamata diretta». Le università possono cioè chiamare i docenti che desiderano, con l’avvertenza che «se qualcuno decide di assumere al posto di uno scienziato capace un candidato meno bravo ma raccomandato, l’ateneo sarà duramente penalizzato sotto il profilo economico». Stefano Paleari, presidente della Crui: «Il concorso non dev’essere abolito. Semmai è l’abilitazione nazionale che deve funzionare “a sportello” invece che a cadenza pluriennale». Stessa opinione per Stefano Paleari, rettore dell’università di Bergamo e presidente della Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane): «Il concorso inteso come procedura di selezione non deve essere abolito a prescindere, condivido però il senso della proposta del ministro che mira a regole più semplici per l’abilitazione dei docenti, a procedure basate sul merito e sulla trasparenza e a un sistema di abilitazione nazionale che funzioni “a sportello”, cioè che sia sempre aperto invece che a cadenza pluriennale. Il mio suggerimento è: decidiamo a quale modello vogliamo fare riferimento e prendiamo esempio". (Fonte: Corsera Scuola 10-05-2014)

NIENTE RECLUTAMNENTO, NIENTE ALLIEVI SUCCESSORI
Se il numero dei docenti nell’Università italiana sta crollando, se l’orientamento politico è verso una loro ulteriore riduzione, ciò significa che moltissimi non hanno avuto e non avranno nessun successore. La macchina dell’ASN, sempre che non sia affossata da qualche giudice, servirà quasi interamente per doverose promozioni, non per nuove immissioni in ruolo. Molti dei professori rimasti, sfiniti da adempimenti burocratici, cercano solo di andare in pensione il prima possibile, e quando incontrano uno studente brillante non hanno di meglio da consigliare che darsela a gambe, mirando ad altro lavoro o altra nazione. Certo, in alcuni casi (quelli che chiamerei dei «professori per caso») qualcuno potrebbe chiosare: fortuna che non ci sono successori! Ma il più delle volte ciò significa tradizioni di studio e di ricerca interrotte o indebolite, innovazioni spente sul loro nascere, lacune macroscopiche nei curricula di studio. E, andando avanti, chiusure di corsi di laurea, diminuzione netta del numero degli studenti e dei laureati. (Fonte: G. Salmeri, Roars 20-05-2014)

RECLUTAMENTO. NESSUN MIGLIORAMENTO CON LA LEGGE 240 
Io finora non sono riuscito a capire cosa ha migliorato la legge 240 rispetto a quello che c’era prima. Adesso ricercatori a tempo indeterminato e precari devono competere per lo stesso posto.
Ma si è mai sentita una cosa più assurda? Dove mai succede in Europa? Se il problema era quello della verifica prima dell’immissione definitiva in ruolo, si sarebbe potuto rendere l’istituto della conferma dopo il primo triennio un qualcosa di autentico e serio, invece della sostanziale farsa che di fatto era. Se il problema era quello di portare da tre a due i ruoli a tempo indeterminato, sarebbe stato infinitamente più sensato mettere ad esaurimento il ruolo intermedio (PA), anziché quello di accesso. Ora ci troviamo nella situazione che è del tutto impensabile – o estremamente raro – che un giovane o meno giovane precario abilitato trovi chi è disposto a chiamarlo direttamente come associato. (Fonte: E. Martelli 20-05-2014)


RICERCA. RICERCATORI

ANAGRAFE DELLA RICERCA. ANPREPS NON PROCEDE
Allo scopo di basare le discussioni sulla valutazione della qualità della ricerca su fondamenta robuste, e, se non proprio oggettive, almeno largamente condivise, è fortemente auspicabile implementare nel più rapido tempo possibile e nel modo migliore in termini di efficacia ed efficienza, l’anagrafe della produzione scientifica secondo linee definite in termini puramente tecnico-organizzativi, prive di qualsiasi risvolto valutativo diretto. Tale anagrafe deve solo assicurare di contenere tutte le informazioni possibili sulla produzione scientifica dei ricercatori registrati senza alcun risvolto valutativo. Ad esempio, dovrà indicare l’articolo sulla rivista XYZ, non la classe di qualità della rivista. Chi ne sentisse la necessità potrebbe poi interrogare l’anagrafe su tutti gli articoli della rivista contenuti nell’anagrafe, o i nomi dei ricercatori che vi hanno pubblicato. L’anagrafe è la fonte dei dati, selezionati esclusivamente sul fatto di essere reclamati da un ricercatore come prodotto del suo lavoro. Le valutazioni, diverse in funzione di scopi diversi, saranno costruite come elaborazione di questi dati. Non è qui il caso di entrare nei dettagli tecnici e dei costi necessari  per l’implementazione di una anagrafe della ricerca, ma vale la pena ricordare che esistono, in ambito internazionale, una serie di standard rispetto agli identificativi univoci (almeno di persone e pubblicazioni). Inoltre in ambito nazionale è stata realizzata una consultazione pubblica su iniziativa del CUN e in collaborazione con l’Anvur volta a identificare i criteri di scientificità delle pubblicazioni, e da questa consultazione sono seguite le linee guida elaborate dal CUN che dovrebbero fornire la base per Anpreps. Purtroppo, il processo per giungere, in modo condiviso nella professione, alla realizzazione dell’Anagrafe nazionale nominativa dei professori e dei ricercatori e delle pubblicazioni scientifiche, prevista dalla normativa sin dal gennaio 2009, sembra essersi arenato, anche se tutti i soggetti potenzialmente coinvolti nella sua realizzazione continuano a sostenerne la necessità. (Fonte: P. Pini e M. Valente, Roars 16-06-2014)

L’ORDINAMENTO DELLE ATTIVITÀ DI RICERCA SCIENTIFICA PUBBLICA IN ITALIA.
Il MIUR e alcuni altri ministeri (agricoltura e ambiente in particolare) dispongono di Enti Pubblici di Ricerca (ed es. CNR, INGV, CRA, ISPRA, ecc) per svolgere le attività di ricerca, trasferimento tecnologico e consulenza. Il CNR è organizzato in sette Dipartimenti e ciascuno di questi consta di vari Istituti in cui le ricerche sono organizzate per ampie tematiche disciplinari. Infine, ciascun Istituto è “organizzato” in Commesse, vagamente assimilabili a gruppi di lavoro, ciascuna delle quali raggruppa i progetti di ricerca che fanno capo ai singoli ricercatori. Finora la ripartizione dei costi è stata la seguente: il CNR, attraverso i finanziamenti istituzionali, pagava per il costo dell’amministrazione centrale e (in parte) di quella periferica, le spese di personale, spese relative al mantenimento della Rete (affitti, manutenzioni, guardiania ecc) e bandiva concorsi per il (modesto) finanziamento di alcune attività di ricerca legate ad accordi internazionali. Inoltre, fino al 2013, le diverse commesse ricevevano un piccolo contributo finanziario, che in genere veniva utilizzato per alcune spese routinarie di carattere comune legate, spesso, alla gestione delle reti di computer e dei laboratori, ma che, in piccola misura, permettevano di fornire qualche risorsa a quei ricercatori che non disponessero di progetti finanziati dall’esterno. L’unica fonte di finanziamento alle attività di ricerca di base, applicata e al trasferimento tecnologico era quindi rappresentata dai progetti che i ricercatori e tecnologi erano in grado di procurarsi all’esterno del CNR. Mancando in Italia una Fondazione Nazionale della Ricerca (invece posseduta da tutti gli altri Paesi “normali”) le fonti di finanziamento sono delle più disparate, variegate ed anche improbabili, tali da far assomigliare la ricerca italiana al vestito d’Arlecchino. (Fonte: S. Focardi, Roars 14- 05-2014)

L’IMPATTO DELLE SCIENZE FISICHE SULL’ECONOMIA ITALIANA
La fisica genera ricchezza: nel 2011 in Italia ha permesso di creare un milione e mezzo di posti di lavoro, pari al 6% del totale, e 118 miliardi di euro di Pil, pari al 7,4% del Prodotto interno lordo nazionale. E’ quanto emerge dall’analisi condotta da Società Italiana di Fisica (Sif), Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), Istituto di Ricerca Metrologica (Inrim) e Centro Fermi. Lo studio è stato commissionato alla società di revisione Deloitte per quantificare il contributo all’economia da parte dei tanti campi della fisica, da quelli che si occupano delle particelle elementari e delle proprietà della materia, a quelli impegnati nella ricerca sull’universo. Per il presidente dell’Infn, Fernado Ferroni, “il primo risultato interessante di questo studio è che la ricerca di base e applicata rappresentano un volano importante per l’economia di un Paese”. Positivo anche il giudizio del presidente del Cnr, Luigi Nicolais, per il quale il rapporto “ha il pregio di sdoganare con dati quantitativi quello che i ricercatori sostengono da tempo: per crescere c’è bisogno di investire in tutti i campi della ricerca, senza differenza alcuna fra ricerca di base e applicata”. Ne emerge che i settori basati sulla fisica sono i maggiori contribuenti per l’economia italiana: offrono occupazione a 1,5 milioni di persone e rappresentano il 7,4% del Pil nazionale. “L’analisi – ha aggiunto – descrive l’impatto delle scienze fisiche sull’economia italiana, consegnandoci un altro messaggio importante: il Paese per competere a livello internazionale deve disporre di ricerca e conoscenze sempre più raffinate e avanzate”. (Fonte: Redazione Roars 27-05-2014)

RENDERE PUBBLICI GLI ESITI INDIVIDUALI DELLA VQR?
Roars ha segnalato ai lettori il documento con cui il rettore dell’Università di Perugia chiede ai docenti del proprio ateneo di rendere pubblici gli esiti individuali della VQR.
Due commenti seguono.
1. Più che altro bisognerebbe cominciare a sottolineare che l’uso dei risultati individuali della VQR per scopi selettivi oltre che illegittimo è persino desueto: siamo nel 2014 inoltrato e la VQR si riferisce alla produzione scientifica fino al 2010. Nei quattro anni successivi uno nel frattempo potrebbe anche aver pubblicato saggi importantissimi, aver fatto scoperte decisive o aver vinto un nobel! (L. Roscioni).
2. Il vero problema è che Atenei medio-piccoli, gestiti in modo a dir poco “allegro” negli anni passati, faticano ad entrare nella logica dell’autovalutazione con criteri seri, se non altro per una questione di costi. I dati VQR individuali, così, diventano una sorta di bacchetta magica, perché hanno almeno un pregio agli occhi di chi, in quattro e quattr’otto, deve “inventarsi” una valutazione interna: esistono. La soluzione a tutto ciò ci sarebbe: basta che nella prossima tornata VQR, se (come nella precedente, del resto) a essere valutate saranno le strutture e non i singoli, i dati individuali non vengano resi noti in forma disaggregata a nessuno, né agli atenei né ai singoli ricercatori. Infatti, se da qualche parte i dati disaggregati a livello individuale esistono, sarà troppo forte, nonostante le rassicurazioni di ANVUR e MIUR, la tentazione di usarli, soprattutto in certi contesti; e questo non aiuta di certo la formazione di una vera cultura della valutazione a livello di singolo ateneo. (F. Proietti) (Fonte: Roars 05-06-2014)


STUDENTI

TOGLIERE IL TEST D'INGRESSO A MEDICINA?
Togliere il test d'ingresso a Medicina, e introdurre un sistema alla francese, come intende fare Giannini, significa a cascata ripensare tutto il meccanismo attuale di accesso ai corsi a numero programmato. Il contestatissimo test di accesso a Medicina è definito da molte parti un male necessario. Un sistema, forse sbagliato, senz'altro correggibile, per selezionare il numero di medici (non automaticamente i migliori e più motivati) necessario ai fabbisogni del sistema sanitario nazionale. Lasciando stare le varie pecche di questo sistema di programmazione nazionale, è indubbio che una selezione è ritenuta necessaria. L'attuale test ha mostrato un'infinità di limiti ed è dunque giusto pensare a un suo superamento. L'alternativa proposta dal ministro guarda al modello adottato dai cugini d'oltralpe. Cosa deve affrontare un giovane francese appena diplomato che vuole affrontare gli studi di Medicina? Il primo anno è a iscrizione libera. Si chiama infatti Pa-ces, Première année commune aux études de santé, ed è comune agli studi di Medicina, Farmacia, Odontoiatria e Ostetricia. Non c'è dunque test d'accesso ma un concorso a numero chiuso nel corso del primo anno che è suddiviso in due parti: la prima parte è prevista alla fine del primo semestre, verso dicembre-gennaio, e la seconda parte alla fine del secondo semestre, verso maggio. Ovviamente questo concorso riguarda le materie che sono state studiate durante l'anno: chimica, biologia, embriologia, istologia, anatomia, farmacologia, scienze umane e sociali. E’ possibile ripetere il primo anno solo una volta e quindi preparare il concorso solo due volte. In media il 15-20% degli studenti lo supera e passa al secondo anno. Insomma, è un sistema che spegne le proteste per l'iniquità percepita della selezione al primo anno, ma che sposta a un anno dopo una selezione ben più dura. E per le famiglie sono drammi certo non meno forti che nel nostro sistema.
Il dramma è anche per gli atenei che si troverebbero da un anno all'altro a dover garantire tutti i servizi e la formazione richiesta al primo anno a un numero enorme di matricole. Se ora a Medicina all’UNIBO i nuovi iscritti sono i 440 fortunati che passano il test, dal 2015 a iscriversi sarebbero tutti, o quasi, quelli che ogni anno provano a superare il test. Ad aprile si sono presentati in 2.835 (su 2.909 iscritti). (Fonte: M. Amaduzzi, Corriere di Bologna 22-05-2014)

APRIRE IL PRIMO ANNO DI MEDICINA A TUTTI I DIPLOMATI. SCARSE AULE E DOCENTI PER 70 MILA - 100 MILA STUDENTI
II fatto è che non sarà facile adottare, in pratica, questa soluzione, che è semplice solo in teoria.
Se il primo anno di Medicina sarà aperto a tutti quelli che hanno conseguito un diploma di maturità, il numero di matricole si moltiplicherà in modo imprevedibile. Nel 2014 per 10.500 posti disponibili si sono presentati più di 64.000 candidati. Dovremmo prevedere quindi che lo stesso numero di diplomati del 2015 s’iscriverà al primo anno, ma a questi si aggiungeranno decine di migliaia di altri studenti che non sono riusciti a passare quest'anno o negli anni precedenti e che vorrebbero usufruire delle nuove norme per entrare a Medicina. Insomma gli immatricolati a Medicina per il 2015 dovrebbero essere tra i settantamila e i centomila. Dove si troveranno le aule e i laboratori per ospitare tanti studenti? Dove si troveranno i docenti? Si dovrebbe modificare l'ordinamento didattico di Medicina in modo da rendere il primo anno compatibile con il proseguimento degli studi in altre discipline, con convalida, almeno parziale, degli esami sostenuti. Bisognerà anche vincere le resistenze dei docenti di altre facoltà per indurli ad accogliere, senza troppi «debiti», gli studenti che hanno compiuto il primo anno a Medicina. Alla fine, la soluzione giusta dovrebbe essere quella di riservare il primo anno di Medicina alle materie scientifiche di base (matematica, fisica, chimica, biologia), che dovrebbero essere impartite dai rispettivi dipartimenti a tutti gli studenti il cui curriculum le richieda, indipendentemente dal corso di laurea di iscrizione. Stiamo parlando però di cambiamenti che incontrerebbero molte resistenze e necessitano comunque tempi lunghi. L'apparato ministeriale, l'agenzia per la valutazione, e, specialmente, il mondo accademico non sembrano pronti ad affrontare problemi di questo tipo e di questa portata, meno che mai in così poco tempo. (Fonte: A. Figà Talamanca, Unità 22-05-2014)


VARIE

UNIVERSITÀ. ALLENTARE LA MORSA DELLA BUROCRAZIA
In queste ultime settimane si sono moltiplicate le voci che chiedono di allentare la morsa di una burocrazia tanto soffocante quanto inutile per migliorare la qualità e l’efficienza delle nostre università. A chiedere un intervento di radicale semplificazione degli adempimenti inutili che soffocano l’università, è ormai un coro unanime (CUN, CRUI, la Conferenza delle Facoltà e Scuole di Medicina e Chirurgia, quaranta accademici dei Lincei, un’interrogazione parlamentare, i Presidenti di corsi di studi di Padova, Siena, Pavia, Parma, …). Il Presidente del Consiglio tace. Il Ministro Giannini si unisce alla protesta. Nulla accade. Che altro serve perché il governo si decida a intervenire concretamente per semplificare la burocrazia che rischia di uccidere l’università, completando il lavoro avviato con il micidiale taglio delle risorse realizzato in questi anni? Il Ministro Giannini non può limitarsi, come pure ha fatto, a unire la sua voce ai lamenti dei colleghi rettori e professori. Deve ricordarsi che ha il potere e dunque la responsabilità di fare. E di fare presto. Perché davvero non ne possiamo più. (Fonte: S. Semplici, Roars 09-06-2014)

PROBLEMI PER IL FUTURO DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA
In una lettera, i cui primi sottoscrittori includono quaranta accademici dei Lincei, si esprime grande preoccupazione per il futuro dell’università e della ricerca in Italia. I principali problemi posti all’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità di governo sono: “la costante e sempre mutata pressione legislativa“, “il disordine nel governo e nell’organizzazione del sistema“, “i lunghi periodi d’intervallo tra una tornata di concorsi e l’altra”, “i ripetuti mutamenti della disciplina dei sistemi concorsuali”, “un groviglio tra autoritarismo centrale, ora anche grazie ai nuovi sistemi di valutazione, e di un potere sempre più accentrato nei singoli Atenei”. La lettera e le firme in questo link. (31-05-2014)

“SE PENSI CHE L’ISTRUZIONE SIA COSTOSA, PROVA L’IGNORANZA”
Negli ultimi anni assistiamo quasi quotidianamente a una potente pervasiva offensiva che non si può definire solo contro-culturale, quanto piuttosto anti-culturale. Portata avanti, in effetti, da persone di cultura medio-bassa, forse bassissima ma certamente con una visione economica e politica di certo refrattaria a ogni confronto con la realtà e con la complicità e l’avallo dei maggiori organi d’informazione. Ma nei momenti in cui si hanno dei dubbi circa l’importanza della cultura diffusa in un paese, bisogna ricordarsi sempre di una famosa massima di un ex-presidente dell’Università di Harvard, Derek Bok: “Se pensi che l’istruzione sia costosa, prova l’ignoranza”. Grazie alle politiche dissennate dei vari governi che si sono susseguiti negli ultimi dieci anni, compreso l’attuale che ha appena approvato un taglio all’università di 15 milioni di euro (nella prima bozza si era prospettato un taglio di 30 milioni), possiamo facilmente trovare una risposta alla domanda: senza cultura e senza formazione, dove si va a finire? Bisogna banalmente riscoprire che in un paese in cui il ceto dominante consciamente desidera che i figli degli altri non studino, si va a finire piuttosto male. (Fonte: F. Sylos labini, Roars 14-05-2014)

IL COORDINAMENTO DELIBERANTE SU DIDATTICA E RICERCA SOTTOMESSO ALL’ARBITRARIETÀ DI UN ORGANO DI DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA
La cancellazione dell’Organo deliberante di Facoltà ha sottomesso il coordinamento della didattica e della ricerca alla bizzarra arbitrarietà di organi di democrazia rappresentativa. Questi, lungi dal dedicarsi alla funzione di tutela della libertà didattica e di ricerca dei professori universitari, preferiscono marcare le differenze dai colleghi che rappresentano, rivendicando un ruolo di dirigenza scolastica che pensavamo limitato alle scuole medie inferiori e superiori.
Contemporaneamente la cancellazione del ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato, scoraggia i giovani più brillanti dall’intraprendere la carriera universitaria, affidata ora al precariato del ruolo di ricercatore a tempo determinato e alle alchimie dell’abilitazione nazionale.
Sarebbe auspicabile che la legge Gelmini fosse cancellata e condannata alla “damnatio memoriae” corredata delle pene aggiuntive di “abolitio nominis “ e “rescissio actorum”.
Se proprio non si può arrivare a tanto, che almeno si ripristini l’organo deliberante della facoltà e il ruolo dei ricercatori a tempo indeterminato, magari conservando i meccanismi di valutazione, sempre condivisibili, affidandoli possibilmente a procedure meno barocche di quelle fin qui seguite.
(Fonte: N. Perotti, 20-05-2014)

IERI E OGGI DI UN PROFESSORE UNIVERSITARIO
Oggi entro in aula e chiedo agli studenti: “Chi siete? Cosa vi devo insegnare?“ Mi rispondono con codici e acronimi, ordinamenti e regolamenti. Per ogni aula mi devo procurare le chiavi, le attrezzature didattiche, il computer portatile (sperando che il videoproiettore funzioni) e i pennarelli per la lavagna (sperando di trovare almeno la cimosa). I custodi non ci sono più: sorveglianza e pulizie le fanno le cooperative del CONSIP: giovani, spesso laureati, spesso sottopagati con contratto precario che cambiano continuamente e seguono gli appalti. L’assistenza ai docenti ce la facciamo da soli. Sono gli effetti, tra l’altro, della legge finanziaria per l’anno 2001 (legge 23 dicembre 2000 n. 388 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”) che ha istituito il programma per la razionalizzazione degli acquisti della Pubblica Amministrazione, con “l’obiettivo di razionalizzare la spesa di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni, migliorando la qualità degli acquisti e riducendo i costi grazie all’aggregazione della domanda, e di semplificare e rendere più rapide e trasparenti le procedure degli acquisti pubblici”. Nel frattempo la spesa pubblica italiana, al netto degli interessi sul debito, è aumentata di oltre il 69%. Venti anni fa facevo ricerca e pubblicavo in modo normale. Gran parte del mio tempo era impiegato nello studio e nella scrittura di articoli scientifici. Avevo il tempo di leggere le pubblicazioni scientifiche dei colleghi e i colleghi avevano il tempo di leggere le mie. Per ogni pubblicazione si consegnavano gli estratti alla biblioteca, dove erano disponibili per gli studenti e per tutti. Oggi passo gran parte del mio tempo a cercare di comprendere e a compilare bizzarri moduli e formulari, a partecipare a commissioni di valutazione e a gruppi di lavoro, a scrivere relazioni che giustificano le mie normali attività di insegnante e di ricercatore.  Segue una lunga serie di situazioni che marcano le tante altre differenze tra oggi e vent’anni addietro, e per concludere un forum da leggere qui.

MAGISTRATI. IN PENSIONE A 70 ANNI COME I PROFESSORI UNIVERSITARI?
Il governo progetta di inserire nella riforma della Pubblica Amministrazione una misura che abbassa l’età pensionabile dei magistrati. Il provvedimento è ancora al vaglio dell’esecutivo ma se dovesse passare andrebbe a eliminare il regime ‘speciale’ di cui usufruiscono i giudici che gli permette di restare al lavoro fino al compimento del settantacinquesimo anno di età, contro i 66 anni e 3 mesi degli altri pubblici dipendenti.
L’ipotesi che si sta prendendo in considerazione è di uniformare l’età pensionabile dei giudici a quella di docenti universitari e medici che sono le altre due categorie per cui l’età pensionabile è posticipata al settantesimo anno di età. Il Csm, però, si è espresso ben presto su quella che per il momento è soltanto un’idea e in maniera piuttosto negativa. Riccardo Fuzio, consigliere al plenum del Csm, ha, infatti, spiegato che un tale provvedimento “ha profili di preoccupazione, perché si va a operare una modifica del sistema che avrebbe un impatto sulla funzionalità degli uffici giudiziari, specie quelli della giustizia civile“. Secondo Fuzio la norma “produrrebbe un vuoto nell’organico di oltre 400 magistrati, visto che circa 380 hanno superato i 70 anni e 66 ne hanno 69” e “sarebbe necessaria una norma transitoria per consentire di compensare le uscite“. (Fonte: R. Sacco, www.theblazonedpress.it 05-06-2014)


ATENEI. IT

VALORIZZAZIONE DEI MUSEI UNIVERSITARI
Secondo i recenti dati diffusi dall’Istat, nel 2011 le università risultano titolari di 109 musei aperti al pubblico, pari al 2,4% del sistema museale italiano. I musei universitari hanno attratto un totale di 562.600 visitatori (ovvero lo 0,5% dell’utenza museale del nostro Paese), dei quali 228.573 paganti. Le università detengono, inoltre, una rete di ben 1.974 biblioteche, in aggiunta ai numerosi archivi storici diffusi sul territorio. In questo scenario, e in quello di una generale riscoperta sociale della memoria, i musei universitari si offrono come un importante contesto narrativo della storia del sapere e delle istituzioni accademiche. Simili strutture rappresentano a tutt’oggi una dorsale in larga parte sommersa della cultura scientifica (e non solo) del Paese, fornendo prova di poter sostenere in modo innovativo l’esercizio della terza missione dell’Università, tradizionalmente la più sacrificata, ovvero la sua azione civilizzante e la sua infiltrazione culturale sulla società e sul territorio. Negli ultimi anni, il patrimonio storico e museale delle università è stato al centro di numerosi progetti di valorizzazione in Italia e nel mondo. A livello internazionale, si segnalano soprattutto l’attività dell’Universeum (European Academic Heritage Network), associazione fondata nel 2000 per promuovere, in tutte le sue espressioni, il patrimonio culturale degli atenei europei; e, con riferimento ai musei, il network internazionale dell’University Museums and Collections International Commitee (Umac). (Fonte: Universitas 131, maggio 2014)

UNIBO. IL MUSEO EUROPEO DEGLI STUDENTI
Il Museo Europeo degli Studenti (MeuS) racconta l’evoluzione della cultura studentesca lungo nove secoli di storia, operando all’interno del più antico ateneo al mondo: l’Università di Bologna che, non a caso, nasce nel 1088 come associazione di studenti (universitas scholarium).
Inaugurato nel 2009 e ospitato a Palazzo Poggi a Bologna (via Zamboni 33), il percorso museale si articola in cinque sezioni tematiche: identità studentesca; vita quotidiana e disciplina sportiva; ingresso delle donne nelle università; partecipazione politica e goliardia; tradizioni studentesche.
Reperiti per lo più da fondi archivistici e donazioni, i 300 reperti esposti nel Museo danno vita a una ricca collezione di oggettistica, abbigliamento, grafica e documenti. Un simile patrimonio, insieme centinaia di altri reperti non esposti, è raccolto e catalogato dal Centro di documentazione sulla vita studentesca dell’Ateneo bolognese. Il Museo si avvale di schermi interattivi per approfondimenti tematici, di un’audioguida e di un jukebox per visionare i filmati storici, rappresentando un unicum in Europa, frutto di una ricostruzione storiografica incentrata sulla figura dello studente. Attualmente diretto dal prof. Gian Paolo Brizzi, il Museo è parte della più ampia struttura organizzativa Centro Servizi Archivio Storico. (Fonte: Universitas 131, maggio 2014)

UNIBO. NUOVO REGOLAMENTO PER LA PROPOSTA DI RICONOSCIMENTO DEL TITOLO DI PROFESSORE EMERITO
Il regolamento è consultabile on line a questo link . (18-06-2014)

UNIFE. LAUREA A DOPPIO TITOLO PER 13 CORSI DI LAUREA
A Ferrara è possibile internazionalizzare il proprio curriculum da studenti grazie ai numerosi Corsi di Laurea a Doppio Titolo attivati con Università europee ed extra europee. Accanto ad Erasmus e ai programmi di mobilità verso Paesi non europei, Unife ha aggiunto un’opportunità grazie alle Lauree a Doppio Titolo, percorsi didattici internazionali che consentono di ottenere due titoli di laurea: quello dell’Università di Ferrara e quello dell’Università partner straniera.
Una “doppia laurea” che consentirà ai ragazzi che sceglieranno questo percorso, di lavorare o continuare gli studi in un altro Paese senza difficoltà, valore aggiunto in questi tempi di forte mobilità dei laureati in cerca di opportunità lavorative al di fuori dei confini nazionali. Come funzionano esattamente questi corsi? Prevedono, nel corso del regolare periodo di studi, un periodo di circa un anno di mobilità obbligatorio in un Ateneo straniero, durante il quale lo studente frequenta regolarmente le lezioni e sostiene i relativi esami. Ciò consente di ottenere anche la seconda laurea valida nel Paese ospitante. Tutti gli studenti ammessi ottengono un finanziamento che copre parzialmente i costi di mobilità.
Ecco i 13 Corsi di Laurea a Doppio titolo che Unife offre ai propri studenti: Laurea Magistrale in Lingue e letterature straniere: Università di Valladolid (E), Università di Cordova (E), Università di Regensburg (D), Pontificia Universidad Catolica di Curitiba (Brasile); Laurea Magistrale in Scienze geologiche, georisorse e territorio: Università di Cadice (E); Laurea a ciclo unico in Giurisprudenza: Università di Granada (E); Laurea in Infermieristica e Laurea in Ostetricia: Università ULADECH (Perù); Laurea Magistrale in Matematica: Università di Orleans (F); Laurea Magistrale in Fisica: Università Parigi Sud (F); Laurea Magistrale in Economia, Mercati e Management, Laurea a ciclo unico in Architettura e Laurea in Design del prodotto industriale: Pontificia Universidad Catolica di Curitiba (Brasile). Tutti gli studenti interessati possono rispondere ai bandi attualmente pubblicati e ricevere ulteriori informazioni consultando il sito www.unife.it nella sezione della mobilità internazionale. (Fonte:  www.controcampus.it 18-06-2014)

L’UNIVERSITÀ DI TRIESTE È IL PRIMO ATENEO ITALIANO CLASSIFICATO NELL’U-MULTIRANK
L’Università di Trieste è il primo ateneo italiano nell’U-Multirank, la classifica europea delle università di tutto il mondo. L'Università di Trieste nella classifica “Ricerca” di U-Multirank, si piazza così nella 140ma posizione mondiale, ma è 77ma in Europa, mentre è ben la prima fra le università italiane. L’ateneo triestino è seguito, fra le italiane, dalle Università di Padova e di Pavia. L'ateneo triestino si distingue, in questa speciale classifica, particolarmente per l'elevato numero di citazioni sulle pubblicazioni scientifiche, dove acquisisce il massimo punteggio cioè la lettera A (che ha il significato di “molto buono”) così come, nel trasferimento di conoscenza, nelle pubblicazioni scientifiche congiunte con i partner industriali, nelle pubblicazioni internazionali con università straniere e nelle pubblicazioni con i partner regionali. Fra i settori disciplinari considerati, brilla in particolare la fisica dell'ateneo triestino e ciò specie per il cospicuo numero di citazioni nelle pubblicazioni scientifiche e per le posizioni di ricerca per laureati, inoltre, nel trasferimento tecnologico, per l’ammontare dei finanziamenti esterni, per le pubblicazioni con l'industria e per gli spin-off creati. (Fonte: http://tinyurl.com/m9e7ad7 maggio 2014)

MIUR E ATENEI. INIZIATIVE PER EXPO 2015
Nell'ottica del Protocollo d'Intesa, sottoscritto a ottobre 2013 tra MIUR ed EXPO 2015 S.p.A., in accordo con il Padiglione Italia "La Filiera della Conoscenza a EXPO Milano 2015", il MIUR si è impegnato a incentivare il coinvolgimento delle Università e degli Enti di Ricerca in tutte le loro articolazioni per: - favorirne il coordinamento tra loro e con gli Enti locali; - promuovere e realizzare sussidi e strumenti didattici specifici in collaborazione con Università e Enti di Ricerca; - favorire la divulgazione scientifica sui temi dell'alimentazione tra il mondo della scuola e quello dell'Università e della Ricerca; - promuovere conoscenza e condivisione delle iniziative nel settore della ricerca e dell'innovazione anche attraverso il Portale Research Italy. Tra i progetti delle università italiane più interessanti si evidenzia il Laboratorio UCSC ExpoLAB, attivato presso l'Università Cattolica Sacro Cuore di Milano per offrire un approccio pluri e interdisciplinare alle tematiche in argomento. Inoltre, tutte le università milanesi partecipano al Comitato Scientifico Internazionale del Comune di Milano per EXPO 2015, che chiama a raccolta i progetti di tutti gli Atenei. Altri progetti interessanti sono: - il Progetto EXBO presso l'Università di Bologna; - il Progetto Unimol Corviale EXPO 2015 dell'Università del Molise; - Roma 1-SapiExpo network, che coinvolge il comparto universitario in una serie di eventi tematici; - Feeding Knowledge, programma per la cooperazione e l'innovazione sulla Food Security, sviluppato in collaborazione con l'Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari (IAMB/CIHEAM) e il Politecnico di Milano. (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas 19-05-2014)

GLI STUDENTI STRANIERI CRESCONO DEL 42% NEGLI ATENEI LOMBARDI
Sono sempre di più gli studenti stranieri iscritti nelle 12 università lombarde. I numeri, che emergono dai risultati dell'«Osservatorio internazionalizzazione degli atenei di Milano e della Lombardia» di Assolombarda parlano chiaro: in un quinquennio, i dodici atenei lombardi hanno formato circa 17mila studenti stranieri facendo registrare un tasso di crescita del 42% (il 3% nell'anno accademico 2012-13). La maggior parte di loro, circa l'80%, ha cittadinanza in un paese extraeuropeo. (Fonte: IlSole24Ore 20-05-2014)

AI RICERCATORI DELLA SAPIENZA E DELLA STATALE DI MILANO UN MILIONE DI DOLLARI
Google premia l'Università Sapienza di Roma e la Statale di Milano con 1 milione di dollari per un progetto nel settore informatico. Si tratta del Google Focused Research Award, assegnato per la prima volta a un gruppo di ricerca italiano. Il progetto premiato, intitolato "Web Algorithmics for Large-scale Data Analysis", vede la collaborazione di due gruppi di ricercatori: Aris Anagnostopoulos, Flavio Chierichetti, Stefano Leonardi e Alessandro Panconesi, della Sapienza, e Paolo Boldi e Sebastiano Vigna, della Statale. Il premio di un milione di dollari permetterà agli studiosi di usufruire delle infrastrutture del colosso statunitense di Mountain View, oltre che del suo consolidato know-how, e di portare avanti, per almeno due anni, la propria ricerca sull'algoritmica per l'industria di Internet. «Lo sviluppo e l'adozione di un nuovo algoritmo - ha spiegato Leonardi - ha il potere di rivoluzionare il settore industriale del Web di cui beneficeranno tutti i paesi e le imprese che investiranno in formazione, ricerca e sviluppo delle tecnologie informatiche per Internet». (Fonte: Il Messaggero 12-06-2014)


UE. ESTERO

INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE. UN’INDAGINE
L'indagine Internationalization of Higher Education: Growing expectations, fundamental values, condotta nel 2013 dall'International Association of Universities - con il sostegno di European Association for International Education (EAIE), Commissione europea, British Council e Association of International Educators in the United States (NAFSA) - su più di 3.000 istituzioni nel mondo ha analizzato i principali rischi istituzionali e sociali dell'internazionalizzazione, identificandoli in sintesi nella riduzione dei potenziali fruitori ai soli studenti più abbienti e nella crescente globalizzazione dell'istruzione superiore.
L'intento dell'analisi è di dare agli stakeholder una maggiore conoscenza istituzionale, regionale e globale sull'internazionalizzazione, sugli ostacoli all'avanzamento del processo, sulle attività cui dare priorità all'interno di strategie e strutture di supporto.
Al questionario - inviato ai dirigenti delle istituzioni e ai responsabili delle relazioni internazionali degli atenei di tutto il mondo - hanno risposto 1.336 istituzioni in 131 paesi. Più di metà delle università hanno dichiarato di aver già avviato politiche per l'internazionalizzazione, mentre sono in fieri per un ulteriore 25%. Secondo l'indagine, il maggior beneficio è quello di aumentare la consapevolezza internazionale degli studenti, risultato in linea con i due precedenti ranking globali dell'IAU del 2005 e del 2009. Il principale motore interno del processo sono i dirigenti delle istituzioni, mentre quello esterno è determinato dalle politiche governative, sia nazionali sia locali.
Per quanto concerne gli ostacoli, la mancanza di finanziamenti è avvertita come la sfida più significativa: più del 50% degli atenei dichiara che la propria dotazione proviene dal budget generale dell'istituzione. (Fonte: rivistauniversitas maggio 2014)

SPAGNA. IL SISTEMA DI RECLUTAMENTO DEI DOCENTI UNIVERSITARI
In più di un’occasione il Ministro Giannini ha dichiarato di volersi ispirare al modello spagnolo per riformare il sistema del reclutamento universitario. Ma come funziona davvero in Spagna il reclutamento? Il modello di Accreditamento Nazionale spagnolo è in vigore dal 5 ottobre 2007 (Real Decreto 1312/2007) e sostituisce un precedente sistema di abilitazione che si basava su un’offerta di posti a concorso delimitata preventivamente. La finalità del modello di accreditamento attuale è quella di valutare merito e competenze per una successiva selezione efficiente, obiettiva e trasparente del corpo docente. Il professorato spagnolo prevede due figure a tempo indeterminato, il professore “Catedrático” (I fascia) e il professore “Titular” (II fascia). Sono poi previste diverse altre figure a tempo determinato che svolgono attività didattica istituzionale, come quella del professore “Asociado”, sostanzialmente analogo ai nostri ricercatori a tempo determinato (sebbene con maggiori possibilità di rinnovo), per il cui reclutamento non è prevista alcuna procedura nazionale.
Le commissioni di accreditamento vengono designate dal “Consejo de Universidades” (Consiglio delle Università), formato dai rettori delle università spagnole. Le commissioni sono tenute a esaminare e giudicare la documentazione presentata dai candidati ed emettere le conseguenti risoluzioni. Sono previste almeno una commissione per ciascuna fascia (cattedratici e titolari) e per ognuna delle cinque grandi aree: Arte e Scienze Umane, Scienze, Scienze della Salute, Scienze Sociali e Giuridiche, Ingegneria e Architettura. Ogni commissione, composta da almeno 7 membri di riconosciuto prestigio scientifico e accademico appartenenti alle università spagnole, ai centri pubblici di ricerca, o da esperti di prestigio internazionale, viene proposta dalla “Agencia Nacional de Evaluación de la Calidad y Acreditación” (Agenzia Nazionale di Valutazione della Qualità e Accreditamento – ANECA), con una rosa di almeno 5 candidature per ogni membro, al Consiglio delle Università. La commissione ha un carattere permanente e si riunisce su convocazione del presidente almeno una volta al mese. I criteri per la designazione dei commissari prevedono sia un adeguato curriculum scientifico e accademico del candidato, sia una esperienza pregressa nel campo della valutazione accademica, scientifica e tecnologica. Questo meccanismo, sostanzialmente analogo a quanto avviene in Italia, comporta un notevole grado di localismo universitario, con la tendenza a fare carriera nello stesso ateneo facilitata dalla minore quota del budget necessario. (Fonte: P. Francalacci,  Roars 17-05-2014)  

FRANCIA. UNA PETIZIONE, IN PARTICOLRE CONTRO IL RAGGRUPPAMENTO DELLE UNIVERSITÀ
Une pétition lancée il y a un mois, «Le changement à l’Université et dans la Recherche, c’est maintenant?», très critique à l’égard de la politique menée par le gouvernement, est désormais signée par plus de 11.000 personnes, soit 11 % de la communauté universitaire. Les pétitionnaires regrettent que la loi LRU dite de «l’autonomie», mise en œuvre sous le quinquennat de Nicolas Sarkozy, ait été reprise par François Hollande «sans qu’il y ait eu pratiquement de changement». Les mêmes réseaux - souvent proches de la gauche du Parti socialiste - qui s’étaient mobilisés sous Sarkozy contre la réforme du statut d’enseignant-chercheur ou celle de la LRU ont repris langue. À l’époque, leur tête de turc était Valérie Pécresse. C’est désormais au tour de Geneviève Fioraso. Ils s’inquiètent des difficultés financières, comme celles de l’université de Saint-Quentin-en-Yvelines, en quasi-faillite, mise récemment sous tutelle. Et énumèrent le «bricolage» symbolisé par la «réduction des semaines de cours, diminution des heures de travaux dirigés, suppression d’enseignements. (…) Contrairement à ce qui est affirmé aujourd’hui, on ne pourra certainement pas échapper à l’augmentation des droits d’inscription.» L’irritation des universitaires se cristallise autour des regroupements d’universités et de grandes écoles initiés sous la droite par Valérie Pécresse. Avec plus de 80 universités et 200 écoles, cette dernière jugeait le paysage universitaire trop éclaté. L’un des enjeux était de rendre davantage visibles nos universités sur un plan international. Et plus efficientes, en éliminant les doublons dans les formations et en fusionnant des services. Dès lors se jouent des luttes de pouvoir, de prédominance d’institutions les unes par rapport aux autres. Avec en ligne de mire la distribution des moyens financiers publics. (Fonte: http://tinyurl.com/nzfca6u maggio 2014)

FRANCIA. IL SISTEMA DI FORMAZIONE DEI MEDICI
Come funziona nel dettaglio il sistema francese per la formazione universitaria dei medici? Per diventare un docteur en médecine (medico specialista) gli studi, che comprendono anche l'equivalente della specializzazione italiana, durano tra i 9 e gli 11 anni. L’iscrizione a un corso di laurea richiede il conseguimento del baccalauréat, il diploma attribuito agli studenti a 18 anni, al termine degli studi superiori. L’iscrizione va effettuata a marzo, qualche mese prima del conseguimento del diploma. La differenza fondamentale rispetto al meccanismo italiano è che non esiste uno sbarramento per l’accesso al primo anno; inoltre i primi due semestri di studi non sono riservati ai soli aspiranti medici, ma sono validi per altri tre indirizzi: odontoiatria, farmacia e ostetricia. Dunque l’iscrizione è libera, e gli studenti iniziano il corso comune alle quattro discipline, ma la selezione arriva comunque molto presto. Già al primo anno, gli iscritti sono chiamati a una prova che si articola in due momenti al termine dei due semestri (in dicembre-gennaio e in maggio). Altra differenza capitale con l’Italia: l’esame non riguarda una pluralità di materie non tutte direttamente collegate agli studi, ma tocca esclusivamente le discipline studiate nel corso dell’anno. Qualora, al termine del primo anno, lo studente non passi gli esami, ha la possibilità di ripetere l’annualità, ma una volta sola; in caso di insuccesso, può cambiare indirizzo di studi all’interno delle professioni sanitarie.
Superato lo sbarramento, lo studente prosegue negli studi medici. Alla fine del secondo anno (durante il quale è obbligatorio uno stage infermieristico di un mese) lo studente consegue un primo diploma in formazione generale. Il secondo ciclo dura quattro anni: il primo approfondisce gli studi iniziali arricchendoli con nuove discipline, mentre gli altri tre costituiscono l’externat, a carattere teorico-pratico. Gli studenti devono compiere quattro tirocini all’anno in altrettanti reparti sotto la responsabilità di un medico esperto; contemporaneamente seguono le lezioni. L’externat, anche se in misura ridotta, è retribuito: i futuri medici percepiscono uno stipendio di circa 200 euro mensili più un’indennità per le guardie. Al termine del secondo ciclo (dopo sei anni complessivi) gli studenti devono sostenere un esame nazionale, l’ECN. Dal punteggio ottenuto in questa selezione dipende la maggiore o minore possibilità di scelta tra gli ospedali in cui svolgere il periodo successivo. Si deve inoltre decidere la specialità medica da seguire tra le undici esistenti.
L’ultimo ciclo dura tre, quattro o cinque anni a seconda della specialità scelta, e si chiama internat. Lo studente, che lavora sempre sotto la responsabilità di un superiore, è ora autorizzato a prescrivere farmaci. Riceve uno stipendio intorno ai 1.500 – 2.000 euro più le guardie. Sono previsti tirocini della durata di sei mesi ciascuno; il periodo di specializzazione si conclude con la discussione di una tesi nella disciplina prescelta. Concluso con successo il ciclo, lo studente è medico specialista. (Fonte: M. Periti, IlBo http://tinyurl.com/np545r9 23-05-2014)

SPAGNA. REGNO UNITO. GERMANIA. SVIZZERA. BELGIO. L’AMMISSIONE AGLI STUDI DI MEDICINA
In Spagna  l'accesso alle facoltà universitarie è subordinato a una combinazione di requisiti: la votazione riportata al diploma di bachiller e - sulla base del Real Decreto 1892/2008, entrato in vigore dall'a.a. 2009.10 - il superamento di uno specifico esame denominato Pau (Prueba de Acceso a la Universidad) nei singoli atenei, destinato a valutare la maturità degli allievi, nonché le conoscenze e competenze acquisite durante gli studi secondari. L'esame è articolato in due fasi: quella generale obbligatoria, che pone l'accento su quattro materie di base (uso e comprensione del linguaggio, conoscenza di una lingua straniera, commento scritto di un testo informativo o divulgativo); quella specifica volontaria su una delle materie del bachillerato, che può migliorare la votazione finale per l'ammissione universitaria. Le prove di accesso sono organizzate congiuntamente dall'amministrazione educativa e dalle università pubbliche mentre il coordinamento è gestito dalla Conferencia Sectorial de Educación y la Conferencia General de Politica Universitaria.
Più simili a quelle statunitensi le strategie messe in atto nel Regno.Unito, dove le scuole mediche fissano annualmente i propri criteri di selezione, frutto della combinazione di requisiti scolastici pregressi, di conoscenze scientifiche di base e di qualità personali (ad esempio lettere di presentazione, interviste, etc.). In generale, i candidati in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore Gcse (General Cerificate of SecondaryEducation) possono inoltrare la domanda di ammissione a 4 Scuole mediche di loro scelta attraverso l'U-cas (Universities and Colleges Admission Service). Saranno poi sottoposti a specifici test: Clinicat Aptitude Test (Ukcat), utilizzato nella procedura selettiva di 26 facoltà mediche, destinata ad accertare il possesso delle capacità mentali, attitudinali e comportamentali, ritenute imprescindibili per l'esercizio della professione medica; Biomedial Admission Test (Bmat) - sulla falsariga dell'analogo test statunitense - esame più selettivo espressamente richiesto per l'ammissione a corsi di 1° ciclo nell'Università di Cambridge, nell'Imperial College di Londra, nell'Università di Oxford e nell'University College London Medical School; Graduate Medical School Admission Test (Gamsat), richiesto per l'ammissione a corsi di 2° ciclo presso la St George's University of London, l'University of Nottingham, l'University of Wales e la Keele University. Solo i candidati che avranno superato il test previsto saranno convocati alla prova finale (l'interview), condotta da una commissione esaminatrice specializzata per accertare, oltre al possesso delle conoscenze teoriche (soprattutto chimica, fisica, biologia), eventuali esperienze professionali o di volontariato pregresse, la capacità di lavorare in gruppo e le motivazioni personali, che indirizzano i candidati alla professione medica.
Più articolata per tipologia di ammissibili risulta la strategia adottata in Germania, che è gestita da un organismo federale, l'Ufficio centrale per l'attribuzione dei posti nell'ambito dell'insegnamento superiore (Zentralstelle für die vergabe von Studien dienplätzen - Zvs). Possono candidarsi i possessori dell'Abitur (Zeugnis der allgemeinen Hochschulreife), ma quote di posti sono riservate per il 2% agli studenti diversamente abili o con difficoltà socio-economiche (Hartefälle), per il 20% ai Talentuosi, che al diploma conclusivo degli studi secondari hanno riportato la media più alta della loro classe e per il 20% agli idonei degli anni precedenti in lista d'attesa da più tempo.
Dopo l'abolizione del 1997, è stato reintrodotto il test Essai für Medizinische Studiengänge non obbligatorio, ma utile per migliorare il punteggio complessivo e la possibilità di essere positivamente selezionati nel corso dell'intervista conclusiva.
Modalità diverse per etnia riguardano invece la Svizzera ove la componente di lingua tedesca prevede - sul modello tedesco - il superamento di un test attitudinale. Per la parte di lingua francese e in Belgio l'accesso avviene senza particolari restrizioni, ma la selezione - analogamente al modello francese - è rinviata all'anno successivo e si basa sui risultati conseguiti nel primo anno di studi.
In generale, l’ammissione agli studi medici in Europa non è impresa facile, essendo ovunque le strategie di immatricolazione, pur se diversificate, strettamente correlate alla corretta pianificazione dei fabbisogni. Un compito complesso da regolare: se una carenza può mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi sanitari, un eccesso di offerta potrebbe creare disoccupazione di personale altamente e specificamente formato e maggiorazioni nei costi della sanità pubblica.
Si tratta di una giusta tendenza alla programmazione che anche in Italia dovrebbe essere considerata prima di modificare il sistema di accesso agli studi medici.
(Fonte. L. Moscarelli, Universitas 132 18-06-2014)

SVIZZERA. L’UE NON SBLOCCA ORIZZONTE 2020
I ricercatori elvetici non potranno partecipare al programma europeo “Orizzonte 2020” nel 2014. Lo ha comunicato il capo del Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca Johann Schneider-Ammann a SRF1. Le trattative riguardanti il programma tra Svizzera ed Unione europea non sono ancora riprese. La partecipazione rossocrociata era stata bloccata dall’UE in seguito all’accettazione dell’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” del 9 febbraio. Dopo l'offerta di accogliere lavoratori croati in quantità contingentate, si era sperato che le negoziazioni sarebbero ricominciate, ha detto il consigliere federale. “Sembra però piuttosto difficile. Al momento vi è un'interruzione. Le trattative sono sospese”. Schneider-Ammann intende ora proporre al Consiglio federale una soluzione transitoria per l'anno 2014. Si tratterebbe di fare in modo che i “nostri ricercatori possano partecipare ai progetti congiunti dell'Ue anche ora, nel 2014”. Il finanziamento dei ricercatori svizzeri non verrebbe però garantito da Bruxelles ma dalla Svizzera. ATS/Gila

TURCHIA. IN QUATTRO ANNI AUMENTATI DI 2 MILIONI GLI STUDENTI. MANCANO 45 MILA PROFESSORI
Il Consiglio nazionale per l'istruzione superiore della Turchia (Yüksekögretim Kurulu Baskanligi - YÖK)  ha presentato un rapporto dal titolo "Growth, Quality and Internationalisation: a road map for higher education in Turkey", che presenta le sfide future del sistema universitario turco, a partire dalla necessità di colmare la carenza di docenti. Negli ultimi anni, infatti, le università turche hanno visto aumentare in modo rapido il numero degli studenti iscritti nelle facoltà: dai 3 milioni e mezzo del 2010, si è passati ai quasi cinque milioni del 2013 e agli attuali 5 milioni e mezzo. L'aumento del numero di studenti, frutto anche della precedente espansione demografica del paese, piazza la Turchia al sesto posto dopo Cina, Iran, Bangladesh, India e Brasile. Alla crescita del numero di studenti non è seguita, però, la crescita del numero di docenti. La carenza di 45 mila docenti è stata calcolata dagli autori del rapporto comparando i dati nazionali con gli ultimi dati OECD (Education at a Glance 2013 - Indicatore D2) che prevedevano, nei paesi membri, la media di un docente ogni 16 studenti. Considerando che ad aprile 2014 il numero di docenti universitari negli Atenei della Turchia era di poco superiore a 141.000, il rapporto considera necessario inserire 9.000 docenti all'anno per i prossimi cinque anni, e pone tale elemento come primo impegno del Governo, responsabile in prima istanza dell'intero settore. (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 29-05-2014)

LE UNIVERSITÀ DI TUTTO IL MONDO SI CONTENDONO 3,5 MILIONI DI STUDENTI STRANIERI
Gli studenti che vengono da fuori sono una miniera d’oro: capitale umano da coltivare per dare una spinta all’economia, testimonial dell’eccellenza dell’istruzione di un Paese. A contenderseli, le università di tutto il mondo. Ad accaparrarseli, finora, quattro player principali: USA, Regno Unito, Australia e Canada, dove si immatricolano più del 60% dei tre milioni e mezzo di studenti che, per completare la formazione, scelgono un Paese diverso dal proprio. Eccellenze didattiche, lingua d’insegnamento, qualità della vita: quali che siano le ragioni della scelta, l’Italia sembra esclusa dal banchetto della globalizzazione. Con uno smilzo drappello di 77mila studenti stranieri nelle aule, registra negli ultimi anni addirittura un calo nel numero di matricole con passaporto non italiano. Gli altri Paesi, invece, corrono: il Regno Unito (quasi 428mila stranieri) è cresciuto del 62% tra il 2002 e il 2010; l’Australia (257.637 studenti da fuori) del 42%. Francia e Germania veleggiano tra i 210 e i 270mila «ospiti».
Il Canada ha registrato, tra 2002 e 2009, un boom di immatricolazioni pari al 67%, passando da 52.650 nuovi studenti nel 2002, a 88mila nel 2009: vengono da Cina (18mila studenti all’anno), India (11.500), Corea (10.500), Arabia Saudita (quasi 7mila), Francia (5.650), Stati Uniti (4.600). Ma anche Messico (2.930), Germania 2.450) e Brasile (1.807).
Gli Stati Uniti continuano a essere la meta d’elezione - 740mila studenti nel 2012 - ma ora il Paese dell’acero vuole ridurre le distanze. E attraverso la «International Education Strategy» punta ad attrarre i cugini confinanti (con rette più basse di quelle delle università americane) e gli studenti dei mercati «più interessanti»: tali, secondo una commissione appositamente istituita, sono Brasile, Cina, India, Messico, Vietnam, Medio Oriente e Nord Africa. (Fonte: A. De Gregorio, www.corriere.it/scuola/universita 04-06-2014)

USA E CANADA. INCENTIVI PER ATTRARRE STUDENTI INTERNAZIONALI
In tutto il mondo le università cercano di attrarre studenti internazionali adottando strategie diverse, rispondenti anche alle diverse politiche governative. Gli Stati Uniti restano la scelta principale per gli studenti internazionali, nonostante le politiche per l'immigrazione siano diventate più rigorose dopo gli attacchi dell'11 settembre. Chi ha un visto di studio F-1 può lavorare solo con il programma di occupazione temporanea Optional Practical Training: dopo aver completato un anno accademico, si può usufruire di formazione pratica in un settore attinente alla propria area di studio per un periodo massimo di 12 mesi. Tale periodo può estendersi a 17 mesi per gli studenti di scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Se hanno i requisiti necessari, possono cambiare il visto da F-1 a H-1B, un visto di lavoro temporaneo che consente di lavorare negli USA fino a 6 anni. Lo studente, tuttavia, deve avere un'offerta di lavoro e un datore che faccia richiesta all'Immigration and Naturalization Service.
Il Canada cerca persone altamente qualificate per promuovere la crescita economica e la competitività globale. Gli studenti internazionali, già integrati nella società canadese, hanno maggiori probabilità di contribuire alla crescita del paese: pertanto, le università sono incoraggiate a raddoppiare le iscrizioni di studenti internazionali (da 240.000 nel 2011 a 450.000 entro il 2022). A tale scopo, Citizenship and Immigration Canada intende adottare nuove politiche d'immigrazione per rendere più semplice studiare, lavorare e divenire residenti permanenti nel paese.
Gli studenti internazionali, ad esempio, possono lavorare dentro e fuori dai campus, senza un permesso di lavoro, per un massimo di 20 ore a settimana. Possono fare domanda per un Post-Graduation Work Permit, un permesso di lavoro aperto di 3 anni per lavorare in qualsiasi settore. Gli studenti graduate possono optare, durante il programma di studi specialistici o il dottorato o a completamento della loro laurea, per il Provincial Nominee Programme al fine di ottenere la residenza permanente. Alla presenza di studenti internazionali corrispondono entrate significative. Secondo un'indagine del Dipartimento di Affari esteri e Commercio internazionale, nel 2010 gli studenti internazionali hanno speso 7,7 miliardi di dollari canadesi (7 miliardi di dollari statunitensi) in tasse, alloggio e spese varie (rispetto ai 6,5 del 2008). (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas maggio 2014)


LIBRI

SENZA SAPERE. IL COSTO DELL'IGNORANZA IN ITALIA
Autore. Giovanni Solimine. Collana Saggi Tascabil.  Editori Laterza, maggio 2014.
Nel saggio sono affrontati i temi legati alla problematica della storica arretratezza culturale italiana, che si può far risalire alla nascita stessa dello stato unitario, nel lontano 1861. Da 153 anni l'Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per il livello culturale dei suoi abitanti. Se nel primo censimento della popolazione il tasso di analfabetismo assoluto era del 74%, oggi, secondo i dati della ricerca OCSE - PIAAC del 2013, il 70% degli italiani è analfabeta funzionale. E se il fattore decisivo dell'arretramento economico e tecnologico dell'Italia, che è cominciato molto prima dell'attuale crisi, non fosse dovuto solo alla finanza allegra e ai banchieri gangster, ma dipendesse anche dal primato degli italiani nell'ignoranza? Solimine ricorda un ammonimento di Pasquale Villari del 1866: "Bisogna che l'Italia cominci a persuadersi che v'è nel seno della Nazione un nemico più potente dell'Austria, ed è la nostra colossale ignoranza", ebbene, con cognizioni di causa possiamo dire che gli italiani non si sono ancora persuasi di ciò". Partendo da tali dati Solimine compie una doppia ricognizione, da una parte individua quali siano i motivi che spiegano tale disastrosa situazione e quali le conseguenze che, nella società della conoscenza e del lifelong learning, il nostro paese paghi per il suo ritardo; dall'altra cerca di affrontare il problema di cosa sia oggi la conoscenza, di quali siano i mutamenti che la rivoluzione digitale ha comportato in tale ambito, di come si configurino oggi la comunicazione, il saper leggere e scrivere, le competenze digitali. Il testo utilizza un linguaggio e una chiarezza espositiva che consentono all'autore di esaminare problematiche complesse in modo comprensibile, semplice ma senza alcuna banalizzazione del contenuto. Si tratta di un ottimo testo per cominciare a riflettere sulla politica educativa del nostro paese e sulle nuove esigenze che gli attuali sviluppi delle tecnologie e dei linguaggi pongono alla formazione. (Fonte: http://gianfrancomarini.blogspot.it  maggio 2014)


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