martedì 6 settembre 2016

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N.RO 4



IN EVIDENZA



U-MULTIRANK. LE UNIVERSITÀ ITALIANE SONO TRA LE MIGLIORI AL MONDO NEL SETTORE DELLA RICERCA

A sancire l’ottima performance degli atenei nostrani è la classifica appena pubblicata dalla piattaforma europea U-Multirank, strumento voluto e finanziato dall’Unione Europea per mettere a confronto le istituzioni accademiche di tutto il mondo e fornire ai futuri studenti universitari tutte le coordinate per scegliere l’università più in linea con le proprie aspirazioni. Il sistema utilizzato da U-Multirank è molto complesso: gli Atenei sono analizzati su un massimo di 30 indicatori su 5 aree (insegnamento e apprendimento, coinvolgimento dei territori, trasferimento delle conoscenze, internazionalizzazione e ricerca); per ciascuno è fornita una valutazione basata su una scala semplificata che utilizza le prime 5 lettere dell’alfabeto per assegnare un giudizio sullo specifico aspetto analizzato (così che A corrisponde a “molto buono”, mentre E significa “debole”).

In totale, per l’edizione 2016 della classifica, sono state censite oltre 1.300 università (di cui 44 italiane) provenienti da più di 90 Paesi in tutto il mondo.

Per quanto riguarda gli Atenei italiani, in particolare nel settore della ricerca, dominato dai soliti big americani, inglesi e del sud est asiatico, le università italiane si distinguono con alti livelli di performance: l’IMT di Lucca e il Politecnico di Bari ottengono ben 5 “A” (basti pensare che il MIT di Boston domina la classifica con 6 “A”), e ben 3 “A” sono assegnate anche a Bocconi, Politecnico di Milano e Università di Trento. In generale, poi, questi stessi atenei ottengono valutazioni di alto livello anche incrociando gli altri indicatori a disposizione in U-Multirank.

Altre 10 le classifiche “ready made” diffuse da U-Multirank per il 2016: se nella classifica per le università con il maggior numero di citazioni nelle pubblicazioni scientifiche e in quella per il volume complessivo di pubblicazioni non compare nessun ateneo italiano, i nostri atenei si fanno valere nel ranking dedicato all’indicatore di pubblicazioni interdisciplinari, dove troviamo la telematica UniMarconi e l’Università di Camerino nel top 25; l’università telematica, inoltre, compare anche nella classifica delle migliori 25 per pubblicazioni realizzate con un co-autore straniero e per le collaborazioni con un “partner” residente in un raggio di 50 chilometri. Per l’educazione a esterni, di nuovo la Bocconi, l’Università per Stranieri di Siena e la Seconda Università di Napoli occupano parte del top 25. Si veda anche http://www.umultirank.org/cms/wp-content/uploads/2016/04/UMR-Top-25-Performers-Lists_2016.pdf  (Fonte: http://tinyurl.com/zfrl354   05-04-16)



APRIRE UNA STAGIONE DI CONFRONTO GIUDIZIARIO SUI TEMI DELL’UNIVERSITÀ?

Si parla di rilanciare l’idea di aprire una stagione di confronto giudiziario sui temi dell’università. In realtà la stagione è già aperta da tempo, con esiti contrastanti. I contenziosi sugli statuti si sono fermati, nella maggior parte dei casi, alle decisioni cautelari con acquiescenza delle università ai tentativi (andati a buon fine) ministeriali di imporre una lettura centralistica (in questo senso gentiliana) dell’autonomia come mero decentramento; in altri casi, invece, si è pervenuti alle decisioni di merito con affermazioni (ancora una volta gentiliane) del primato del ministero sull’autonomia delle università. La fase del controllo dell’esercizio delle funzioni abilitative (a prescindere dalla rilevanza di errori di singole commissioni) ha esplicitato le incongruenze della commistione tra sistemi di misurazione e sistemi di valutazione. Si è anche esplicitata una grave carenza nell’elaborazione delle norme, sfociata nell’annullamento del Regolamento per la parte che individua la maggioranza abilitativa dei 4/5 dei commissari. Siamo ancora in attesa di sapere quale rimedio intenda adottare il Ministero per rendere giustizia a tutti coloro che sono stati dichiarati inabilitati in forza di una norma illegittima. Il Regolamento che verrà non sembra che potrà risolvere il grave problema della commistione fra misurazione (con metri improbabili) e valutazione. Sembra, se abbiamo capito bene dalle notizie che circolano, che si verrà ad istituire un ‘filtro’ all’accesso alle abilitazioni di incerta legittimità. La via giudiziaria non è stata pensata per le correzioni di sistema, ma per la correzione delle singole deviazioni. Il problema drammatico è costituito dall’accumulo di tante singole deviazioni da costituire un sistema deviato. Quest’ultima considerazione, tuttavia, non impedisce di immaginare che un sistema di ricorsi diffusi alla giustizia non sia, alla fine, l’unica possibile (per quanto virulenta) reazione di difesa immunitaria. Se i singoli presìdi di tutela dell’integrità del sistema universitario non sono in grado di reagire, sarà necessario adottare terapie di intervento esterno. (G. Vecchio, http://tinyurl.com/jjbo8ue 12-04-16)



MEDICINA: ABOLIRE IL TEST D’INGRESSO E ADOTTARE  IL “SISTEMA FRANCESE” (OGGI RITENUTO SENZA FONDAMENTO LEGALE IN FRANCIA)?

In merito alle voci che si rincorrono circa l’abolizione del test d’ingresso al corso di laurea in  Medicina e Chirurgia per adottare il “sistema francese” di selezione, voglio esprimere la piena contrarietà dei Giovani Medici CISL. (Il c.d. sistema francese è oggi considerato senza fondamento legale in Francia stessa dal Cneser, Conseil national de l'enseignement supérieur et de la recherche. PSM). I motivi sono già noti a chi si occupa della questione: il problema non verrebbe risolto ma semplicemente rimandato di un anno; a quel punto gli aspiranti camici bianchi saranno comunque selezionati e alcuni di loro verranno esclusi. Inoltre questa “riforma” comporterebbe un notevole sforzo economico per organizzare questo primo anno di corso senza test di accesso che vedrebbe un grandissimo numero di iscritti. Riteniamo semmai doveroso spendere energie e risorse per evitare contenziosi e ricorsi garantendo la regolarità del test di accesso in tutte le sedi. Il test, sebbene per alcuni possa rappresentare un ostacolo invalicabile, è necessario per garantire una formazione di qualità e un futuro lavorativo ai giovani medici. (Fonte: M. Petrini, www.quotidianosanita.it 29-04-16)



ELENA CATTANEO: PERCHÈ UN’AGENZIA NAZIONALE PER LA RICERCA

Un’Agenzia nazionale per la ricerca, oltre a rimuovere frammentazioni e unificare obiettivi, sarebbe anche garanzia di valutazione. Quella stessa Agenzia di cui si discute da anni in Italia, da quando la propose il Gruppo 2003, e sulla cui necessità la comunità scientifica del Paese è pressoché unanime. Nulla di eversivo, si tratta di mutuare un modello che riecheggi ad esempio l'Anep spagnola, l'Anr francese o l'Epsrc per ingegneria e fisica e il Bbsrc per biologia e biotecnologia attive in Inghilterra. Un ente che onori e dia seguito al mandato di investimento in ricerca che arriva da Parlamento e governo e che si strutturi in modo da stabilire, rafforzare, riformare (per migliorare) continuativamente regole e procedure. Un ente che stabilisca date certe di avvio e chiusura dei bandi, che uniformi i criteri di valutazione dei progetti e di assegnazione dei finanziamenti, che prevenga i rischi di condizionamento politico o da parte di "gruppi di influenza" sulla distribuzione delle risorse. Un ente, cioè, che abolisca personalismi e centri di potere, impedisca agli scienziati che stanno in commissioni che selezionano progetti di finanziare se stessi o i loro affiliati, che annulli la convinzione di molti giovani che se "non sei amico di" non avrai il finanziamento, "se denunci" sarai escluso, se taci “spartirai la torta". È incomprensibile che un ministero definisca l'ipotesi di un’Agenzia che contrasti tutto ciò «un nuovo carrozzone incapace di risolvere i problemi». Insieme all'Italia, in Europa sono solo la Polonia e il Montenegro e pochi altri che insistono a finanziare la ricerca senza un'agenzia dedicata. Il ministero non sembra cogliere, infatti, che si tratterebbe di creare un ente terzo e indipendente dalla politica e da cordate scientifiche o imprenditoriali che instaurano soffocanti dinastie di controllo dei flussi di denaro, rallentano l'innovazione e ostacolano l'eccellenza. Ci vuole un ente che stabilisca date certe dei bandi, che uniformi i criteri di valutazione, e che abolisca personalismi e centri di potere. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 29-04-16)



PIANO NAZIONALE DELLA RICERCA. COME SARANNO DISTRIBUITE LE RISORSE E DA DOVE PROVENGONO

La distribuzione del totale delle risorse - pari a 2 miliardi 428,6 milioni - sarà fatta nel modo seguente: il 42% andrà al capitolo capitale umano, il 14% alle infrastrutture di ricerca, il 20% alla cooperazione pubblico-privato e alla ricerca industriale, il 18% alla ricerca nel Mezzogiorno, il 5% all’internazionalizzazione e, infine, l’1% alla `quality spending´. Il Piano nazionale della ricerca (PNR) prevede il reclutamento di seimila giovani in più nel sistema, fra dottorati e ricercatori, nel quinquennio del Piano. La responsabile del dicastero di viale Trastevere ha precisato che «2.700 di questi giovani saranno presi già nel primo triennio» e che «entro l’estate di quest’anno usciranno i bandi per la creazione di queste nuove posizioni, per le quali la prima assegnazione delle risorse finanziarie avverrà in autunno». Per le infrastrutture, i bandi usciranno dopo l’estate perché è necessario un raccordo con le Regioni e dunque serve un passaggio con la Conferenza in tempi rapidi, per poter elargire i primi fondi tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017. (Fonte: www.corriere.it/scuola/universita 02-05-16)

Un commento al PNR: In sostanza dei 2 miliardi e 428 milioni, 1,9 miliardi di euro sono a carico del bilancio del MIUR e del PON ricerca e i 500 milioni di euro arrivano dal FSC 2014-2020. Quindi in sostanza erano già stati stanziati. In effetti, il PNR non fa che reindirizzare risorse già previste nell’ambito della programmazione e della distribuzione dei fondi europei e nazionali: ma per arrivare ai 2,438 miliardi del PNR 2016-2017-2018, è stato «dirottato» mezzo miliardo in più dal Fondo sviluppo e coesione (FSC) che va a finanziare sostanzialmente programmi di attrazione dei ricercatori. (Fonte 02-05-16):



UNA «NO TAX AREA» PER LE UNIVERSITÀ

La no tax area (proposta allo studio del governo) dovrebbe riguardare un limite di reddito al di sotto del quale gli studenti (e le loro famiglie) non dovranno pagare tasse e rette per frequentare i corsi. A patto, però, di superare un numero minimo di esami e non finire nella lista degli «inattivi», termine burocratico per fannulloni. È questo il progetto sul tavolo del governo, accennato due giorni fa dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che si è detto «pronto a intervenire sulle tasse universitarie». Il tetto massimo al di sotto di quale soglia non si pagherebbero le tasse? Al momento si ragiona su una soglia compresa fra i 13 mila e i 15 mila euro come valore Isee, l’indicatore che misura la ricchezza di tutto il nucleo familiare dello studente, tenendo conto non solo del reddito ma anche delle case e degli investimenti, compresi i soldi in banca. La decisione finale, però, non è stata ancora presa. Tutto dipende da quante risorse il governo vuole investire nella partita per compensare le minori tasse che, con questo meccanismo, ogni ateneo incasserebbe. Un’università con molti studenti sotto un Isee di 15 mila euro, infatti, potrebbe non riuscire a far quadrare i conti. Per questo sarebbe necessario un trasferimento aggiuntivo da parte dello Stato, un tot per ogni studente esente iscritto. Il bonus, in ogni caso, sarebbe legato al profitto: per gli studenti dal secondo anno in poi sarebbe necessario aver superato nell’anno precedente un numero minimo di esami, o aver incassato un minimo di crediti formativi, la formula che valuta il peso di ogni singolo corso. Probabilmente due esami o una decina di crediti formativi, ma su questo punto il lavoro è davvero all’inizio. Per le matricole, cioè i nuovi iscritti, le tasse resterebbero sospese fino alla fine del primo anno di corso. Per poi verificare il rispetto del parametro prima del passaggio al secondo anno. (Fonte: www.corriere.it/economia 05-05-16)



FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO) 2016. DECRETO DI RIPARTO. AUMENTA LA QUOTA PREMIALE

Nel decreto di riparto del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) 2016, inviato ieri ai rettori della CRUI e al CUN per i pareri di rito, il MIUR stanzia 6,921 miliardi - praticamente le stesse risorse del 2015 – e vi inserisce delle novità. Trovano subito spazio alcune delle attese misure previste dal PNR, il Piano nazionale della ricerca, varato dal Cip e nei giorni scorsi (2,5 miliardi in 3 anni): il provvedimento, infatti, prevede che almeno il 60% dei 135 milioni destinati a finanziare le borse post lauream sia riservato al lancio dei «dottorati innovativi» previsti dal PNR per favorire il dialogo tra mondo accademico e produttivo. Ma il decreto sul FFO 2016 fa crescere anche la quota di fondi che sono distribuiti in base ai risultati e alle performance dei singoli atenei che sale a 3 miliardi (erano 2,6 nel 2015) sui 6,9 totali. In particolare aumenta il peso del costo standard – il "prezzo giusto" per ogni ateneo calcolato attraverso il numero degli studenti in corso e quello delle cattedre presenti - che quest'anno passa dal 25 al 30% (1,4 miliardi) dei 4,58 miliardi di quota base distribuita in base alla spesa storica. Ma cresce anche la cosiddetta quota premiale distribuita in base ai risultati nella ricerca e nella didattica che passa da 1,385 miliardi del 2015 a 1,6 miliardi di quest'anno. Anche se in quest'ultima cifra rientrano anche i fondi destinati ai cosiddetti interventi "perequativi" necessari per non penalizzare troppo alcuni atenei: la bozza di decreto prevede, infatti, che ogni università non perda più del 2,5% della quota che le era stata assegnata nel 2015 (era il 2% nel 2015).

Rispetto al 2015, aumentano gli stanziamenti - da 122,9 milioni a oltre 135 - per i dottorati e le borse post lauream. In particolare, il 60% del budget dovrà essere utilizzato dagli atenei nel rispetto delle priorità del PNR. Così come, sempre in linea con il PNR, il 10% dei 59 milioni del Fondo Giovani dovrà servire ad incentivare la mobilità internazionale dei dottorandi. Sono confermati i 5 milioni per il bando Montalcini, destinato al rientro di studiosi dall'estero. Viene poi rinnovato un significativo cofinanziamento (10 milioni di euro) per chiamate dirette, nuovi ricercatori di tipo B e incentivi alla mobilità dei docenti.

Quest'anno nel Dm di riparto non compaiono però i criteri con cui dividere la torta della quota premiale: sarà un successivo decreto a farlo anche in base al nuovo round di valutazione della qualità della ricerca che l'Anvur sta per completare nelle prossime settimane. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 07-05-16; il quotidianodellapa.it 08-05-16)



NOVITÀ NELLA PROGRAMMAZIONE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO 2016-2018

Il ministro Giannini, oltre al decreto sul FFO, ha anche deciso di aiutare gli atenei nella pianificazione indicando subito alcune novità di peso in un altro decreto - inviato ai rettori insieme a quello del FFO - che riguarda la programmazione del sistema universitario 2016-2018. La nuova Programmazione triennale del sistema universitario - con le linee di indirizzo per il triennio 2016-2018 - che contiene tre importanti novità.

La prima. Dal 2017 il 20% della quota premiale del Fondo per le università sarà ripartito in base a indicatori scelti dagli stessi atenei tra quelli forniti dal Miur, in modo che ciascuno di essi possa scommettere sulle proprie strategie di sviluppo. Per favorire l'autonomia degli atenei dal 2017 si interviene proprio sui criteri con cui si mettono a punto le "pagelle" che decidono la distribuzione - spesso contestata - dell'ambita quota premiale. Per rimettere un po' in gioco il sistema e non premiare sempre gli atenei più forti nella ricerca ci sarà un nuovo meccanismo che distribuirà il 20% della quota premiale consentendo a ogni università di scegliere autonomamente 2 indicatori su cui essere valutati scelti da un paniere indicato dal Miur. Di ciascun indicatore saranno considerati sia il valore nell'anno di riferimento (peso 3/5) sia il miglioramento rispetto all'anno precedente (peso 2/5).

La seconda. Nel decreto sulla Programmazione triennale si rafforzano e si semplificano le possibilità di reclutamento dei vincitori di programmi ERC, che potranno essere chiamati dalle università sia come ricercatori che come professori universitari. La terza. Il decreto sulla programmazione prevede anche maggiore flessibilità sull'offerta formativa per un numero limitato di corsi (al massimo il 10%), dando la possibilità di rendere i corsi più innovativi e vicini al mondo del lavoro. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 07-05-16; il quotidianodellapa.it 08-05-16)





ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE



ASN. PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO

Il Consiglio di Stato ha espresso il parere 141 del 27 gennaio 2016 sullo «Schema di decreto ministeriale: “Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale e per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione dei Commissari, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, lettere a), b) e c) della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e successive modifiche, e degli articoli 4 e 6, commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica….2015, n….”». Il testo dello schema di Decreto Ministeriale non è noto (versioni già in circolazione da qualche mese potrebbero non essere affidabili). Al di là delle innovazioni procedurali introdotte dal DPR in corso di pubblicazione, l’elemento più rilevante della nuova disciplina in corso di emanazione è costituito dalle indicazioni relative al contenuto della valutazione abilitativa ed ai criteri di attribuzione della stessa. Il passaggio più problematico individuato dal parere 141/2016 è certamente costituito dalle considerazioni sulla possibilità di inserire ‘soglie’ di accesso alle valutazioni. Tale possibilità è prevista dall’art. 4, c. 2 dello schema di DPR in corso di pubblicazione e sarà attuata con un ‘successivo’ (ovviamente ulteriore e diverso rispetto a quello oggetto di parere) decreto ministeriale. La Relazione sottolinea che la valutazione sulla continuità della produzione scientifica e sulla rilevanza della stessa all’interno del settore concorsuale, prima elencate tra i parametri di valutazione, sono state più correttamente inserite tra i criteri di valutazione. (Fonte: G. Vecchio, http://www.roars.it/online/dopo-il-consiglio-di-stato-lasn-che-verra/ 19-03-16)





CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI



UNIVERSITÀ. LE MIGLIORI DEL MONDO SECONDO IL THE

Il settimanale britannico Times Higher Education ha reso nota l’annuale classifica dei 200 atenei migliori al mondo per reputazione e prestigio. Il periodico, specializzato nel campo universitario e dell’istruzione superiore, tanto da esser considerata la pubblicazione di riferimento nel Regno Unito, ha declassato entrambe le famose università inglesi di Cambridge e Oxford di una posizione, giungendo così rispettivamente al quarto e quinto posto. La retrocessione di Oxbridge, Oxford e Cambridge, è stato il cambiamento rilevante nella top ten dei migliori atenei, che vede in prima posizione ormai da anni la statunitense Harvard University, seguita dal Massachusetts Istitute of Technology e da Stanford University. Secondo la classifica, otto dei migliori dieci atenei del mondo sono statunitensi, mentre sono solo tre le italiane presenti, ovvero la Scuola Normale Superiore di Pisa, in 112esima posizione, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, 130esima, e infine l’Università di Trento 198esima. La metodologia adottata per stilare la graduatoria comprende molteplici parametri, tra i quali la qualità dell’insegnamento, il collegamento con le imprese, il prestigio internazionale, le citazioni, i titoli prodotti e la ricerca. Il Times Higher Education pubblica anche una classifica simile comprendendo le 200 migliori università europee, in questo caso la Scuola Normale Superiore di Pisa e la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa si trovano rispettivamente alla 50esima e alla 90esima posizione. La terza università italiana citata anche nella classifica mondiale, l’Università di Trento, è qui al 110° posto. In generale nel ranking europeo delle migliori 200, sono 19 le università italiane presenti. (Fonte: www.t-mag.it 05-05-16)



I MIGLIORI ATENEI DEL MONDO IN 42 DISCIPLINE. DUE MILANESI NELLA TOP TEN. UNIBO È LA PIÙ RAPPRESENTATA, CLASSIFICANDOSI IN 33 DISCIPLINE SU 42

La sesta edizione dei QS World university rankings per materie (topuniversities.com) analizza il valore della formazione agli studenti in 42 discipline. Per realizzare la classifica sono stati interpellati 76.798 accademici e 44.426 datori di lavoro. Hanno espresso la loro opinione su quali siano i migliori atenei nelle 42 discipline e sono stati analizzati 28,5 milioni di working paper di ricerca e più di 113 milioni di citazioni tratte dal database Scopus/Elsevier sugli articoli di pubblicazioni riguardanti la ricerca.

Harvard e il MIT dominano a livello internazionale, primeggiando in 24 discipline e ottenendo il primo posto in dodici discipline ciascuna.

In totale sono stati classificati 34 Atenei italiani. Il risultato più alto raggiunto dall'Italia è milanese. Il Politecnico di Milano con Arte & Design e la Bocconi con Studi in Business & Management sono nel top ten. Ma la Bocconi è anche 17esima per Economia e 28esima per Contabilità & Finanza, mentre il Politecnico di Milano si posiziona anche al 14esimo posto per Ingegneria civile, al 15esimo posto per Architettura e al 18esimo per Ingegneria meccanica. Inoltre, ottiene altri due piazzamenti tra i top 50 in Ingegneria elettronica (43esimo) e Scienza computazionale (48esimo) oltre ad altri sette piazzamenti nel ranking. L'università degli studi di Milano si piazza al 47° posto per i suoi corsi di Medicina Veterinaria, ma nella classifica figurano anche l'università Vita-Salute San Raffaele e Milano-Bicocca. Ottengono piazzamenti tra le prime 50 al mondo anche il Politecnico di Torino e l'European University Institute di Fiesole. La Sapienza di Roma si classifica in 31 delle 42 discipline, ottenendo il miglior risultato in Archeologia (15esima al mondo) e in Fisica e Astronomia (32esimo). L’Alma Mater Sudiorum – Università di Bologna è la più rappresentata, classificandosi in 33 discipline su 42. Il suo miglior risultato è il 36° posto in Archeologia seguito dal 48° posto in Medicina Veterinaria. Tra le altre università italiane che ottengono piazzamenti tra le prime 50 al mondo ci sono anche il Politecnico di Torino, 37° per Ingegneria Civile, 40° per Ingegneria Elettronica e 50° per Architettura, l'European University Institute é 44° per Scienze Politiche & Studi Internazionali. (Fonte: La Repubblica 22-03-16)



RAPPORTO CENSIS 2015-2016 SUGLI ATENEI ITALIANI

Cinque i criteri su cui si è basata la valutazione: servizi, borse di studio e contributi, strutture, web, internazionalizzazione. Catania si posiziona decima su undici università nella classifica dei mega atenei (oltre i quaranta mila iscritti), mantenendo la stessa postazione dell’anno scorso. Tre passi in avanti invece per Palermo che balza dall’ottavo posto al quinto ed è l’unica siciliana tra le prime sei classificate. Al primo posto Bologna, seguita da Padova e Firenze. Nella classifica dei grandi atenei invece (tra i ventimila e i quarantamila iscritti), guadagna due punti anche Messina, ma rimane undicesima su quindici. Al primo posto Perugia, seguita da Pavia, mentre il terzo posto rimane in zona Sud con l’ateneo calabrese. (Fonte: www.blogtaormina.it 29-03-16)



UNIBOCCONI. L’ATENEO DI VIA SARFATTI NELLE TOP 10 EUROPEE IN TUTTE LE CLASSIFICHE IN CUI È PRESENTE

Il QS World University Rankings by Subject 2016 vede la Bocconi collocarsi al 10° posto nel mondo e al 6° in Europa nell’area di business e management, al 17° posto al mondo e al 5° in Europa nella classifica per economia ed econometria e al 27° posto al mondo, e al 7° in Europa, in quella per finanza e accounting. Il ranking elaborato da QS, il network internazionale dedicato alla formazione e alle professioni, comprende 42 classifiche divise per singole materie. Complessivamente sono state valutate circa 4.225 università di cui 945 sono poi entrate nelle classifiche. Il ranking viene costruito sulla base di quattro parametri: la reputazione accademica basata sull’opinione dei professori, la reputazione tra le aziende (basata sull’opinione dei recruiter), le citazioni per paper e l’H-Index, che quantifica la prolificità e l'impatto delle pubblicazioni scientifiche. (Fonte: www.viasarfatti25.unibocconi.it 22-03-16)



LE DIECI UNIVERSITÀ PIÙ PRESTIGIOSE IN EUROPA PER UNA CARRIERA NELLA FINANZA

1 – London School of Economics and Political Science

2 – Oxford

3 – Università di Cambridge

4 – London Business School

5 – Università di Manchester

6 – Insead

7 – Università Commerciale Luigi Bocconi

8 – Hec Paris School of Management

9 – Copenhagen Business School

10 - Università di Warwick.

(Fonte: www.panorama.it  22-04-16)





DOCENTI



COME STA CAMBIANDO IL PERSONALE DOCENTE NELLE UNIVERSITÀ

In un articolo di cui si riportano passi significativi E. Pavolini e G. Viesti riflettono sulle politiche di reclutamento con dati di rilievo.

L’apporto dei ricercatori a tempo determinato appare rilevante: il 6,6 per cento del totale al 2015. È difficile, però, comprendere quale sia e, soprattutto, quale sarà il loro percorso di carriera. La tabella presenta dati relativi alla situazione nel 2015 di coloro che erano ricercatori a tempo determinato sette anni prima (nel 2008). Nell’arco di questo periodo oltre la metà è uscita dal sistema (perché trasferitasi all’estero o in un altro settore del mercato del lavoro): l’università italiana investe una discreta mole di risorse in (giovani) studiosi, che dopo alcuni anni la lasciano. Meno della metà è rimasta all’interno: alcuni nella stessa posizione, altri con progressione di carriera.



Tabella – Collocazione lavorativa a sette anni di distanza (2015) dei ricercatori a tempo determinato presenti negli atenei italiani nel 2008 (valori percentuali)

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Fonte: “Università in declino” (2016): elaborazioni su banca dati Miur sull’organico dei ricercatori a tempo determinato.



Nello stesso periodo 2000-2015, il numero di studenti per docente si è lievemente ridotto, pur restando molto superiore agli altri principali paesi europei: anche in questo caso, vi è stato un miglioramento nei primi anni e un peggioramento successivo. L’andamento numerico nasconde un preoccupante fenomeno di invecchiamento del corpo docente, molto accentuato nel caso italiano rispetto ad altri paesi occidentali.
Nel 2014 l’età media dei docenti era pari a poco più di 52 anni e uno su quattro aveva almeno 60 anni. È il risultato di due fenomeni: i) il sostanziale blocco di nuove assunzioni degli ultimi anni, che ha allungato molto i tempi di entrata (per cui si è alzata l’età media di coloro che diventano docenti); ii) la circostanza per la quale il reclutamento dei docenti ha seguito in passato un andamento “a scatti”. Vi sono stati decenni in cui le porte delle università si sono aperte più facilmente, mentre in altri lo hanno fatto assai meno; i sessantenni di oggi hanno beneficiato della prima grande apertura in senso più universalistico dell’università italiana negli anni Settanta fino alla prima parte degli anni Ottanta.
Se si guarda ai professori associati e ordinari (ancor più se solo a questi ultimi), il processo di invecchiamento si delinea chiaramente. L’intera distribuzione per fasce di età si sposta come un’onda verso le classi più mature, con picchi molto elevati proprio fra coloro che hanno raggiunto i 65 anni. Nel 2014 vi erano circa 4.400 docenti con meno di 40 anni per circa 13mila docenti sessantenni.

Nel corso di pochi anni una generazione di sessantenni andrà in pensione; in un contesto di scarso ricambio e, soprattutto, di scarsa progressione di carriera più che di nuove assunzioni, ciò potrebbe significare un ulteriore ridimensionamento del corpo docente. Le tendenze in corso potranno portare nel prossimo decennio a un’ulteriore diminuzione del personale docente; a un aumento dei lavoratori con contratti instabili; a un allargamento delle differenze territoriali con una chiara linea di distinzione fra Nord e Centro-Sud. Occorre dunque riflettere attentamente sulle politiche di reclutamento da mettere in cantiere nei prossimi anni. (Fonte: E. Pavolini e G. Viesti, lavoce.info 15-04-16)



IL PROCESSO DI CONTRAZIONE DEL CORPO DOCENTE E I SUOI EFFETTI SULLE VARIE AREE SCIENTIFICHE

I dati meritoriamente raccolti e ordinati da Andrea Zannini, un valente docente di Storia moderna dell'Università di Udine, e pubblicati sul sito Roars (Return on academie research) riguardano gli effetti che ha avuto sulle varie aree scientifiche il processo di contrazione del corpo docente accademico che si è verificato negli ultimi sette-otto anni. In complesso, nel periodo tra il 2008 e il 2015, tale contrazione è stata del 12 per cento (la maggiore, io credo, verificatasi nel pubblico impiego: da 62 mila a 54 mila persone circa) a causa di tre fattori soprattutto: il taglio generale dei fondi a tutto il sistema universitario, le nuove assunzioni limitate a una percentuale ridottissima rispetto al numero dei pensionamenti, il nuovo sistema di scorrimento delle carriere.

Le discipline storiche sono state quelle più duramente colpite, seguite a ruota da quelle filosofiche. In neppure un decennio esse hanno visto i loro addetti diminuire rispettivamente del 27,8 e del 22,1 per cento (con punte di oltre il 32 per cento nel caso di «Storia moderna», «Storia della filosofia», «Storia delle religioni» e «Storia del cristianesimo», mentre «Storia medievale» è a meno 29,4 per cento e «Storia contemporanea» a meno 25,1). Ma messi assai male appaiono anche il settore geografico, con una decurtazione di oltre il 20 per cento e il raggruppamento letterario - artistico con un calo del 19,2 per cento. Anche tra le discipline in senso lato umanistiche vi sono però figli e figliastri. Di fronte alle discipline demo-etno-antropologiche, ad esempio, che perdono oltre il 25 per cento degli addetti si segnalano le materie pedagogiche che invece fanno segnare quasi tutte ottime performance con il record ottenuto da «Pedagogia sperimentale» con un bel più 25 per cento di aumento. Il raggruppamento disciplinare (comprendente più discipline) in assoluto più baciato dalla fortuna risulta comunque quello d'Ingegneria, che addirittura cresce del 2,1 per cento. Vengono subito dopo quelli delle materie economiche, sociologiche e giuridiche, tutti con diminuzioni poco significative. Non quello di Medicina — e forse qualcuno si stupirà — la cui consistenza esatta è peraltro difficile da calcolare per la commistione/sovrapposizione con il Servizio Sanitario Nazionale. Come si vede la divisione tra i sommersi e i salvati non è propriamente tra settori umanistici e settori scientifici. Prova ne sia che le discipline matematiche e informatiche, quelle fisiche, quelle biologiche e quelle geologiche, fanno tutte segnare decrementi tra il 12 e il 20,5 per cento. Ciò che fa la differenza è altro. É il potere che ogni raggruppamento disciplinare (cioè i suoi docenti) è in grado di procacciarsi e di esprimere in relazione a tre parametri soprattutto: l'accesso a finanziamenti privati (che è quasi nullo per le scienze di base e per le discipline umanistiche mentre è massimo per le scienze applicate: vedi Ingegneria et similia), la contiguità-intrinsichezza con il potere politico-amministrativo (è il caso delle discipline pedagogiche divenute ormai una sorta di altra faccia del ministero dell'Istruzione), e infine la presenza negli organi di autogoverno dei singoli atenei. Qui soprattutto sta il punto forse più importante, dal momento che sono tali organi di autogoverno (Rettore, Consiglio d'amministrazione) quelli che in pratica gestiscono le risorse e la loro distribuzione tra i diversi raggruppamenti disciplinari, decidendo così delle nuove assunzioni da parte di ogni singola sede universitaria. (Fonte: E. Galli della Loggia, CorSera 20-03-26)



IL FALLIMENTO DEL SISTEMA DEL “TENURE TRACK” ALL’ITALIANA

Nella Legge Gelmini c’è la complessa progettazione di posizioni “tenure track” per l’accesso ai ruoli di professore associato. Si tratta di un sistema basato però sull’ipotesi che il sistema universitario non subisse una contrazione dei finanziamenti ed anzi le università potessero usufruire pienamente dei massicci pensionamenti previsti a partire dai primi anni del secolo. Nella situazione che si è invece determinata, il sistema del “tenure track” all’italiana, ha fallito miseramente. Nei fatti l’inseguimento del sogno dei professori (il sogno è quello di un’università dove contano solo “Maestri” con al seguito un codazzo, altrimenti detto “scuola”), in regime di diminuzione dei finanziamenti è servito solo a bloccare per molti anni il reclutamento dei docenti, oltre che, naturalmente, a mantenere i giovani, in una posizione di dipendenza dai “Maestri”. (Fonte: A. Figà Talamanca, Roars 24-04-16)

Un commento di G. Pastore in coda all’articolo: Rispetto all’analisi dell’articolo, va però osservato che non è solo la L. 240 ad andare nella direzione delle scuole/codazzi. Anche parte dell’operato dell’Anvur dà un buon sostegno in questa direzione: nel momento in cui si chiedono requisiti “oggettivi” legati al numero di pubblicazioni/citazioni a prescindere dal valore effettivo delle singole persone, non si può che incentivare la costituzione di “codazzi” che, aggregandosi al maestro più produttivo, brillano di luce riflessa in modo molto maggiore e più facile dei “cani sciolti”, indipendentemente da criteri di merito individuale.



DOCUMENTO FIRMATO DA CIRCA 500 DOCENTI DELLA FEDERICO II SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO

Il 6 aprile Redazione Roars ha pubblicato un documento dei docenti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II di cui si riportano alcuni passi significativi.

“I docenti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II riunitisi in assemblea il 18 marzo 2016, preoccupati per il definanziamento del sistema universitario (2 miliardi di € dal 2008 al 2015), il blocco degli scatti stipendiali, la redistribuzione dei finanziamenti mediante l’attuale procedura VQR, i tagli al diritto allo studio, il processo di burocratizzazione del sistema didattico e il mancato rispetto della cadenza di legge per l’abilitazione nazionale a fronte di iniziative estemporanee ed insufficienti, concordano su quanto segue:

La docenza universitaria, come altre categorie del pubblico impiego, ha accettato, senza riluttanza, di contribuire al risanamento dei conti pubblici rinunciando, tramite il blocco degli stipendi, agli aumenti salariali che sarebbero conseguiti agli scatti maturati nel relativo periodo. Ritengono tuttavia umiliante e intollerabile il fatto che per tutte le altre categorie la rimozione di questo blocco sia avvenuta con modalità e tempistiche diverse e marcatamente più eque, mentre i ricercatori e i professori universitari sono stati gli unici pesantemente discriminati. A fronte di questo trattamento iniquo ha chiesto di sapere perché il lavoro svolto in questi anni non meritasse il medesimo riconoscimento ricevuto dalle altre categorie.

La verità insita nel silenzio in cui è caduta la richiesta è la scarsissima considerazione che i diversi governi che si sono succeduti attribuisce al sistema universitario nazionale, considerato un mero costo anziché una preziosa risorsa per il futuro del Paese.

La valutazione è parte integrante del loro lavoro e quindi i docenti della Federico II l’accettano di buon grado, anzi, la pretendono, ma questo processo di valutazione (VQR) non é accettabile in quanto: non premiale bensì punitivo; non trasparente; affetto da errori scientifici che, come studiosi, i docenti non possono avallare; viziato dall’inversione temporale tra produzione scientifica e formulazione dei criteri e utilizzato per lo scopo non dichiarato ma evidente di determinare una compressione selettiva degli Atenei. In conclusione tutti ci perdono, ma qualcuno molto più degli altri”. (Fonte: Documento dell’assemblea dei docenti e ricercatori della università Federico II, 18-03-16)



MOVIMENTO PER LA DIGNITÀ DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA

Il “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria” è un movimento che è nato spontaneamente in tutto il Paese e che si è esteso in questi mesi utilizzando soprattutto la rete e la posta elettronica. Uno dei suoi ispiratori è il docente torinese Carlo Ferraro. La motivazione più importante che ha portato alla mobilitazione è stato il mancato riconoscimento dell’anzianità maturata nel quadriennio 2011-2014, e la decisione del Governo di sbloccare gli scatti di anzianità solo dal 2016. Ciò che il movimento richiede è già stato concesso a tutte le categorie dei lavoratori dello Stato. Non ci sono ragioni razionali perché questo non sia riconosciuto anche a noi, che ci vediamo come unici discriminati in senso negativo. Per effetto del blocco degli scatti stipendiali per 5 anni noi abbiamo già pagato alla causa comune una somma importante che ci era dovuta. E non ne chiediamo la restituzione. Perché siamo persone responsabili ed abbiamo dato il nostro contributo per concorrere a risolvere le difficoltà del Paese. Ma non è accettabile che, durante questi 5 anni di blocco in cui abbiamo regolarmente lavorato, in pratica per il Governo ed il Ministero, è come se noi non fossimo esistiti. Non è possibile che 5 anni di carriera vengano cancellati di colpo. Ciò che sta accadendo, per noi si traduce in un danno ingentissimo a livello individuale, che è stato stimato fino a 27 mila euro per i ricercatori, 38 mila per gli associati, 54 mila per gli ordinari ogni 10 anni di prosecuzione di questo stato di cose. Danno tanto più grave nei giovani universitari, perché il mancato riconoscimento ai fini giuridici di 5 anni di attività lavorativa effettivamente svolta prefigura un danno importante che si riverbera su pensione e liquidazione. (Fonte: Lettera del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria di Parma a Roars 22-05-16)



NUOVE LINEE DI ROTTAMAZIONE SUGGERITE AL PRESIDENTE DEL CDM DA UNA LETTERA DI G. CAPANO PUBBLICATA DA HTTP://WWW.ROARS.IT/ONLINE/CATTEDRE-NATTA-RENZI-NON-SCARTARE-DI-LATO/ 

“Vedere che le cattedre Natta, insieme  alle altre norme per la ‘eccellenza’ da Lei annunciate, vengono presentate come la soluzione ai problemi strutturali della scienza e dell’università italiana davvero irrita, o intristisce, a seconda dei punti di vista. Il sistema universitario italiano è stato oggetto negli ultimi anni di un taglio di risorse del 20% (è il comparto della PA che ha subito i decrementi maggiori) e il finanziamento alla ricerca di base negli ultimi tre anni è stato nullo. Il problema non è tanto o solo nella perdita di eccellenza, il problema drammatico sta nella perdita progressiva di qualità media del sistema. Una situazione sistemicamente difficile e preoccupante: quali problemi risolveranno le disposizioni da lei tanto enfatizzate? Le cattedre Natta, ad esempio, creano un ulteriore canale di accesso/promozione. Se si pensa che le università non stiano facendo bene il loro mestiere nell’impegnare le scarse risorse a disposizione in un reclutamento virtuoso, lo si dica chiaramente e si provveda di conseguenza. Questo inventarsi procedure “parallele” ha una serie di effetti negativi, che Lei dovrebbe tenere in considerazione, tra cui merita ricordare: un’ulteriore delegittimazione del sistema universitario; la creazione di disparità inaccettabili tra individui con professionalità comparabili (ci sono migliaia di eccellenti nel sistema universitario italiano che, stando al suo annuncio, verranno retribuiti meno dei titolari delle cattedre Natta); la marginalità dei possibili effetti sistemici ovvero il rafforzamento di alcune sedi universitarie come prodotto di scelte personali (e non politiche o istituzionali), visto che i vincitori verranno lasciati liberi di andare dove vogliono. Non sarebbe più consistente con i Suoi obbiettivi stabilire, come ci si aspetterebbe da un governo responsabile, quali aree scientifiche rafforzare, dove rafforzarle, spiegando pubblicamente il perché di queste scelte? Se il sistema universitario funziona male, aggiustiamolo, correggiamolo, riformiamolo, e finanziamolo, ma non scartiamo di lato, come sta facendo Lei. Mi permetterei solo di suggerirLe un ulteriore sforzo nella sua strategia di rottamazione: potrebbe cominciare a rottamare  i modi di pensare e di fare le politiche che vanno per la maggiore in questo paese. Potrebbe rottamare l’idea che esistano soluzioni semplici a problemi complessi. Potrebbe rottamare  la tendenza, tutta italiana, a disegnare politiche pubbliche senza badare all’evidenza empirica (magari cominciando a chiedere a chi le ha suggerito le cattedre Natta un bel  rapporto prospettico dei pro e dei contro), mentre invece esse vengono solitamente orientate dalla ricerca della notizia, dell’annuncio, del novismo, e del consenso di breve periodo”.

Alla lettera, qui sopra riprodotta nei passi ritenuti più significativi (testo integrale nel link nel titolo), si aggiungono due commenti di segno opposto:

liannelli (4 aprile 2016): Vogliamo aggiungere che con lo stesso budget delle cattedre Natta si potevano soddisfare le legittime aspirazioni di un numero di abilitati pari a circa tre volte quello dei 500? Scrivo circa perché la cosa non esclude di reclutare cmq giovani ‘eccellenze’ non strutturate.

Abcd (4 aprile 2016): Non ho capito, che c’è di male a provare ad attirare alcune persone eccellenti, che mai verrebbero in Italia portando finanziamenti europei, se dovessero sottostare al grigiore anti-meritocratico e quasi sovietico tipico del settore pubblico italiano?



QUANTO LAVORANO I DOCENTI ITALIANI

Quanto lavorano i docenti italiani? Ordinari, associati, ricercatori: ruoli, mansioni e responsabilità diverse sono oggi stati fotografati dall’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), che ha compilato una banca dati completa relativa ai carichi di lavoro dei docenti, per il 2014-15. I professori universitari insegnano in media 120 ore l’anno; un quarto dei professori associati o ordinari sta in cattedra oltre 140 ore, un altro quarto meno di 90, si legge nei dati dell’Agenzia. I ricercatori a tempo determinato, che sulla base della legge 240 hanno obblighi didattici, insegnano in media meno di quelli a tempo indeterminato, per i quali invece questo obbligo non esiste. In generale, negli atenei del Nord si insegnano 6-7 ore in meno rispetto al Centro-Sud. La media di ore di lezione più alta è degli insegnanti dell’area Ingegneria industriale (130,6 ore), quella più bassa Scienze politiche e sociali (107,3 ore). I dati sono stati elaborati al netto dell’area medica che presenta alcune particolarità (69,4 ore di insegnamento in media l’anno). (Fonte: A. De Gregorio, CorSera 19-03-16)



SEGNALAZIONE DI UN ASPETTO CRITICO DEL RECENTE DM N. 963 DEL 28/12/2015 SUI PROGRAMMI DI RICERCA DI ALTA QUALIFICAZIONE PER LE CHIAMATE DIRETTE

In qualità di Coordinatori e Responsabili di Unità di progetti FIR “Futuro in Ricerca” vorremmo segnalare un aspetto critico del recente DM n. 963 del 28/12/2015. Il DM fornisce un elenco di progetti, sia finanziati dal MIUR che dall’Unione Europea, i cui vincitori possono beneficiare di una chiamata diretta come RTDb ai sensi della Legge  240/2010 (cd. legge Gelmini). Il DM rappresenta una revisione del precedente DM 01/07/2011, pubblicato nella GU n. 256 dello 03/11/2011 ed abrogato dal DM 963/2015. I progetti “Futuro in Ricerca”, finanziati dal MIUR nell’ambito del FIRB (Fondo Italiano per la Ricerca di Base), erano elencati nel DM 01/07/2011, ma sono stati esclusi dal recente DM 963/2015. Tale situazione crea una forte penalizzazione a nostro danno, escludendo i nostri progetti da criteri di premialità che erano invece precedentemente riconosciuti. In data 18/02/2016 abbiamo inviato una formale richiesta di spiegazioni al ministro Giannini, chiedendo una revisione del DM, ma alla nostra richiesta non è mai seguito alcun riscontro. E’ importante segnalare che l’attuale DM 963/2015 non ha tenuto conto del parere espresso dal CUN nell’adunanza dello 01/07/2015, e che lo stesso CUN ha inviato al ministro Giannini una formale richiesta di chiarimento in data 02/03/2016. Ci auguriamo che il DM 963/2015 venga corretto, garantendo nuovamente anche ai noi vincitori FIR la possibilità di beneficiare di una chiamata diretta. (Fonte: Lettera a Redazione Roars di Coordinatori e Responsabili di Unità di progetti FIR 29-03-16)



L’EQUIPARAZIONE AGLI UNIVERSITARI RICHIESTA DAI DOCENTI AFAM

I docenti dell’Alta formazione artistica e musicale chiedono l’eliminazione della disparità di trattamento coi docenti statali di pari livello universitario. E a tale scopo lanciano una diffida, indirizzata alle massime autorità politiche (dal presidente della Repubblica a quello del senato e camera fino al presidente del Consiglio, dell’istruzione, della p.a. e così via, sindacati compresi) per l’eliminazione appunto della disparità di trattamento tra docenti statali di pari livello universitario e affinché “facciano cessare, con la massima urgenza, la disparità di trattamento e di dignità̀ tra i professori dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM) e i professori delle Università̀, disparità ad avviso degli scriventi illogica, ingiusta, illegittima e incostituzionale”.

Con la petizione, che ha raggiunto oltre 4.000 adesioni, i docenti Afam  chiedono “di operare fattivamente affinché i professori delle Istituzioni di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), già equiparati, di fatto, al personale docente delle Università, siano definitivamente equiparati anche sotto il profilo del trattamento giuridico ed economico ai professori universitari. Il personale docente di entrambe le predette Istituzioni fa, infatti, parte, con eguale dignità, del sistema accademico statale italiano riconducibile all’art. 33, ultimo comma della Costituzione, svolge identiche funzioni e rilascia pari titoli del massimo livello ottenibile in Italia, egualmente spendibili ai fini dei pubblici concorsi, ivi compresi i titoli di conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento per il personale docente scolastico. (Fonte: www.tecnicadellascuola.it 23-03-16)



REGIME PUBBLICISTICO VS. STATUS UNIVERSITARIO

In Commissione Cultura del Senato si sta esaminando il DDL 2299 (Conversione in legge del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, recante disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca). Abbiamo dato conto dell’Ordine del Giorno G/2299/8/7 proposto dai senatori Conte e Ferrara, in cui accanto alla richiesta di differenziare le figure di docenza impegnate in corsi di base (preaccademici) rispetto all’alta formazione si parlava di «allineare gradualmente le carriere e i salari a quelli dei docenti universitari, assimilandone lo stato giuridico».

Nella seduta del 4 maggio la sottosegretaria D’Onghia ha espresso parere favorevole all’ODG «purchè venga riformulato il secondo impegno al Governo citando esclusivamente il passaggio al regime di diritto pubblico».

Ed ecco quindi l’ODG riformulato e approvato dalla sottosegretaria:

Il Senato, in sede di esame del disegno di legge n. 2299, recante «Conversione in legge del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, recante disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca»,

visti i contenuti della legge n. 508 del 1999 in merito al reclutamento del personale;

in considerazione del fatto che a distanza di 17 anni non sono stati adottati i provvedimenti attuativi previsti dalla suddetta legge;

avendo riscontrato la volontà di procedere ad un riordino di questo importante settore della formazione terziaria;

impegna il Governo:

a procedere alle fasi attuative previste della legge in premessa anche in relazione alla tipologia di reclutamento;

al passaggio al regime di diritto pubblico;

a valutare la possibilità di differenziare le figure di docenza impegnate in corsi di base (preaccademici) rispetto all’alta formazione nei settori musicale e coreutico.

(Fonte: www.docenticonservatorio.org 06-05-16)



LA PROFESSORESSA CHE HA DENUNCIATO IL POZZO DEI VELENI

Albina Colella ha 65 anni ed è una docente universitaria di geologia. È l'unica esponente della comunità scientifica ad aver denunciato con le sue analisi il pozzo dei veleni, il Costa Molina 2 di Montemurro (PZ), poi sequestrato. Nonostante le diffide Eni a non procurare allarme, ha denunciato come più forte non poteva. Lei sola. "Il silenzio della comunità scientifica è presto spiegato: l'università per sopravvivere ottiene dalla Regione circa dieci milioni di euro l'anno. E quei soldi la Regione li preleva dalle royalties del petrolio. In più l'Eni e le altre compagnie finanziano vari progetti di ricerca. E ancora: questa è un’università di passaggio. Si viene a Potenza per scappare subito. Io invece avevo già fatto il mio a Catania, avevo accettato l'incarico qui per dirigere il centro di geodinamica e far fare un salto di qualità. Ora la Procura mi sembra che l'abbia valorizzato". L'ateneo per sopravvivere ottiene dalla Regione circa dieci milioni di euro l'anno. E quei soldi la Regione li preleva dalle royalties. (Fonte: FQ 03-04-16)





DOTTORATO



PROGETTO PHD ITALENTS

Il duplice obiettivo finale del progetto PhD ITalents (progetto gestito dalla Fondazione della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane su incarico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in partenariato con Confindustria) è quello, da un lato, di inserire i Dottori di ricerca all’interno del personale lavorativo delle imprese valorizzando quindi la figura del Dottore di ricerca, che ricordiamo è l’ultimo livello in termini di formazione e alta qualificazione scientifica in ambito accademico. Dall’altro lato di potenziare con altissimo valore aggiunto le operazioni e le attività lavorative ed economiche del mondo dell’impresa italiano. Nella premessa al bando si legge quanto riportato di seguito: L’Unione Europea, fin dal documento “Innovation Union 2010”, ha esplicitamente riconosciuto la necessità di un alto livello di Doctoral Education and Training per lo sviluppo europeo. Tale prospettiva si orienta verso un’effettiva occupabilità dei Dottori di Ricerca e un’effettiva mobilità dei ricercatori in quella che è definita la “knowledge based economy”.

Secondo una analisi approfondita del progetto effettuata dall’ADI, l’Associazione Dottorandi e dottori di ricerca Italiani, PhD ITalents è un’iniziativa il cui finanziamento totale è di 16.236.000 euro, di cui 11 milioni stanziati dal Miur attraverso il Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca e il resto da privati. Dal finanziamento totale del progetto è possibile calcolare il numero minimo e massimo delle posizioni co-finanziabili. Ricordiamo due dati fondamentali:

Il progetto finanzia un minimo di 30.000 euro di costi lordi aziendali, che corrispondono all’incirca al RAL aumentato del 40%, ovvero comprensivo di INPS e TFR.

Il co-finanziamento da parte della Fondazione CRUI ammonta all’80% per il primo anno, al 60% per il secondo e al 50% per il terzo.

Il co-finanziamento minimo è dunque pari a 57 000 euro su tre anni. Se ipotizziamo che tutte le offerte chiedano un rimborso pari al minimo, è sufficiente dividere il budget complessivo del progetto per 57.000 per ottenere il massimo numero di posizioni co-finanziabili, che corrisponde a 285. Ipotizzando, invece, che tutte le offerte chiedano un rimborso pari al massimo, il numero di posizioni co-finanziabili scende invece a 244. Abbiamo dunque un numero di posizioni compreso tra 244 e 285, largamente inferiore alle 730 rese pubbliche alla data di presentazione del bando “Dottori di Ricerca”. (Fonte: ADI e Roars 03-05-16)



MOZIONE PER GARANTIRE I 3 ANNI DI CORSO A TUTTI I DOTTORANDI ACCOLTA DAL MIUR

Il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, in occasione dell’adunanza tenutasi gli il 2 e 3 marzo scorsi, ha approvato la mozione proposta dall’ADI con cui è stato chiesto al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di intervenire al fine di garantire una durata effettiva del dottorato, non inferiore ai tre anni. Nonostante il dottorato per legge non possa avere una durata inferiore a tre anni, molte volte, in alcuni atenei italiani accade il contrario, e, ad esempio, i dottorandi del XXIX ciclo non solo hanno iniziato il dottorato in ritardo rispetto ai termini previsti dalla nuova normativa, ma sono stati anche costretti a consegnare la tesi con 3\4 mesi d’anticipo rispetto alla durata dei tre anni. Nella lettera è stato chiesto inoltre che il MIUR conceda una proroga ai termini di chiusura del XXIX ciclo di dottorato in accordo con l’effettiva data di avvio della stessa e che garantisca in tutti i casi possibili (tfa, maternità, problemi di salute) una durata effettiva del corso di dottorato non inferiore a tre anni per ciascuno dei singoli dottorandi. Grazie alla mozione accolta dal Miur tutti i dottorandi avranno la certezza di svolgere l’effettivo lavoro di ricerca per tre anni e nessun ateneo o collegio di dottorato potrà ridurne la durata. A comunicare la decisione è stato il Miur attraverso una nota diramata a tutti gli atenei italiani.



ISTITUTO IMT ALTI STUDI LUCCA. PRIMO POSTO IN ITALIA TRA LE SCUOLE DI DOTTORATO

L’Istituto IMT Alti Studi Lucca è una scuola di dottorato e un istituto di ricerca integrato nel sistema universitario pubblico italiano. Arrivano ottime notizie per la Scuola IMT Alti Studi Lucca dai risultati pubblicati da U-Multirank, ranking ufficiale della Commissione Europea e che analizza le performance universitarie sulla base di una trentina di indicatori relativi a cinque aree (insegnamento e apprendimento, coinvolgimento dei territori, trasferimento delle conoscenze, internazionalizzazione e ricerca). La Scuola di Eccellenza lucchese migliora ulteriormente gli ottimi risultati ottenuti nel report precedente, con alcune piacevoli sorprese. La Scuola IMT si piazza prima assoluta in Italia, davanti all’Università Bocconi di Milano e al Politecnico di Bari, tra le 44 scuole di dottorato. Eccellente anche il risultato ottenuto nel campo dell’internazionalizzazione, dove la Scuola IMT si aggiudica ancora un primo posto, sempre davanti all’Università Bocconi e al Politecnico di Milano. Risultato particolarmente importante questo, che sottolinea la grande attrattività che la Scuola esercita nei confronti degli studenti stranieri. Infine, un prestigiosissimo terzo posto, e questa volta su scala mondiale, tra le università nate dopo il 1980. (Fonte: www.lagazzettadilucca.it  05-04-16)





E-LEARNING



EDUOPEN: LA PRIMA PIATTAFORMA DI CORSI ONLINE GRATUITI REALIZZATA DA ATENEI PUBBLICI

Nasce EduOpen, la prima piattaforma di corsi gratuiti online o Mooc (Massive open online courses) frutto della collaborazione di Miur, Cineca e di 14 atenei pubblici. Un’innovazione senza precedenti, con l’obiettivo di offrire opportunità didattiche accessibili a chiunque: dai pensionati ai professionisti, passando per insegnanti e studenti. Facile il funzionamento di EduOpen: basta collegarsi al sito, una piattaforma open source, e scegliere di seguire l’insegnamento prescelto (9 quelli attualmente attivati e altri 29 in rampa di lancio). I corsi Mooc (Massive open online courses) sono tenuti dai docenti universitari e prodotti direttamente dalle università. Presto, poi, saranno disponibili corsi in inglese su tematiche nelle quali le università italiane vantano unicità e livelli di eccellenza internazionali. Nato un anno fa da otto atenei fondatori, il network è in costante crescita e attualmente riunisce i seguenti: Università Aldo Moro di Bari, Politecnico di Bari, Libera Università di Bolzano, Università di Catania, Università di Ferrara, Università di Foggia, Università di Genova, Università Politecnica delle Marche, Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Milano-Bicocca, Università di Parma, Università di Perugia, Università del Salento, Università Ca’ Foscari Venezia. Aperto di nome e di fatto, il network si prepara ad accogliere altri atenei nei prossimi mesi. Fatto da sottolineare: l’iniziativa non dipende da grandi organizzazioni estere e non ha fini di lucro.

Il catalogo propone 68 corsi. Nove corsi sono già fruibili. Riguardano discipline molto diverse tra loro. I corsi sono disponibili in modalità aperta e gratuita. Per chi intende farsi rilasciare attestati e certificazioni finali è previsto il pagamento di una piccola somma. I crediti formativi universitari saranno scambiabili tra gli atenei. Per scoprire i corsi attualmente disponili vedere il sito EduOpen.

 (Fonte: www.corriereuniv.it  22-04-16)



EUA: L’IMPATTO DELLE TECNOLOGIE DIGITALI SULL’ISTRUZIONE SUPERIORE

Qual è l'impatto delle tecnologie digitali sull'istruzione superiore? "Bricks and clicks for Europe: building a successful digital campus" è il tema a cui è stata dedicata la conferenza annuale dell'EUA - European University Association. Ospitata dalla National University of Ireland a Galway il 7 e 8 aprile 2016, la conferenza è stata una preziosa occasione di confronto per i 300 partecipanti, che hanno discusso di collaborazione tra istituzioni, di digitalizzazione delle università e di come questa possa migliorare le perfomance degli atenei. Come ha sintetizzato Lesley Wilson, segretario generale dell'EUA, dall'incontro è emerso che molti atenei usano già sistemi didattici misti, e talvolta solo online. Questo dimostra non solo il forte impatto della digitalizzazione sulla didattica e sulla ricerca, ma anche l'importanza del dibattito sull'open access e sull'open science. (Fonte: I. Ceccarini, www.rivistauniversitas.it 19-04-16)



CORSI ON LINE. ENTUSIASMI AL RIBASSO

I corsi online (MOOC, Massive Open Online Courses, in italiano: Corsi aperti online su larga scala) hanno avuto il loro massimo successo a partire dal 2011 quando anche la principali università americane hanno deciso di sperimentare le lezioni a distanza - non sempre interi corsi di laurea -, ma già dal 1989 c’erano università come quella di Phoenix che avevano introdotto interi corsi di laurea online. Ma i Mooc non sono stati uno tsunami come aveva previsto quattro anni fa perfino il presidente di Harvard, John Hennessy. E’ lui stesso a rivedere al ribasso il suo entusiasmo verso i corsi online aperti a tutti che avrebbero dovuto rendere accessibili a milioni di studenti ovunque le lezioni dei più grandi e importanti professori universitari di tutto il mondo. Non che non siano serviti a nulla, anzi, sono stati rivoluzionari per il modo di studiare. «Soprattutto per i laureati che già lavorano in un settore specifico le lezioni online si possono considerare un vero e proprio successo», ha detto Hennessy a metà aprile aprendo il quarto «Learning summit» organizzato da Harvard, Stanford, Berkeley e Mit, ospitato quest’anno a Stanford o e intitolato «Inventare il futuro degli studi universitari». Ma non hanno avuto l’effetto tsunami che doveva spazzare via la vita del campus e il ruolo delle Università con il rapporto diretto con i prof e gli altri studenti, i tutor e le biblioteche. (Fonte: G. Fregonara, CorSera / Università scuola  30-04-16)



CLOUD GRATIS PER STUDENTI E PROFESSORI CON MICROSOFT EDUCATOR GRANT

Microsoft Educator Grant rientra fra gli impegni di Microsoft a supporto della formazione. Il nuovo programma nasce con l’obiettivo di dare ai professori e agli studenti degli atenei l’opportunità di sfruttare tutti i vantaggi di Microsoft Azure, la piattaforma di servizi cloud avanzata utilizzate anche da grandi corporation. In sostanza, studenti e professori che inseriscono Azure nel programma di studi, potranno usufruire per un anno dei servizi cloud di Microsoft Azure gratuitamente, all’interno di specifici corsi universitari per cui sia fatta richiesta. Nello specifico, i docenti responsabili avranno a disposizione gratuitamente un account del valore di 250 dollari al mese per 12 mesi, mentre gli studenti che partecipano al corso riceveranno un account del valore di 100 dollari al mese per 6 mesi. L’utilizzo sarà reso disponibile (esclusivamente per finalità didattiche) all’interno delle facoltà universitarie riconosciute, che dovranno fare una o più richieste sulla base del numero dei singoli corsi per i quali intendono ricevere i pass. Docenti e studenti potranno dunque sfruttare le potenzialità di Microsoft Azure per ottimizzare le lezioni e lavorare in collaborazione potendo realizzare, implementare e gestire applicazioni in modo sicuro e flessibile. Le aule delle università potranno insomma diventare veri e propri laboratori digitali per sviluppare le competenze più utili ad approcciare il mondo del lavoro. (Fonte: A. Frollà, www.corrierecomunicazioni.it 31-03-16)



UNIVERSITÀ TELEMATICHE. UN SOSTEGNO DI TROPPO

A 13 anni dalla loro nascita (sono state istituite nel 2003), le università telematiche in Italia sono diventate undici. Nel 2014-15 hanno immatricolato circa 5.500 studenti (il 2 per cento di tutti gli immatricolati), raggiungendo i 63.625 iscritti (4 per cento del totale), con una crescita di circa il 60 per cento negli ultimi 5 anni. Nello stesso periodo le università tradizionali invece hanno visto ridursi i propri iscritti del 7,4 per cento. Infatti, mentre il numero degli immatricolati agli atenei tradizionali è diminuito ininterrottamente dal 2006, le università telematiche dopo una riduzione nel 2012 e 2013 (rispetto al picco raggiunto nel 2011) hanno ripreso a guadagnare studenti (si vedano grafici sottostanti).

Gli iscritti alle università telematiche sono studenti con risultati scolastici non particolarmente brillanti: nel 2016, il 31 per cento degli immatricolati ha un voto di diploma inferiore a 69, rispetto al 22 per cento nelle altre università (dati Miur). È consistente anche la quota di studenti “maturi”: nel 2016 il 18 per cento degli immatricolati alle telematiche aveva più di 40 anni, rispetto allo 0,7 per cento nelle altre università. Le regole più elastiche, introdotte dal decreto 168, sui requisiti di accreditamento rappresentano un indubbio vantaggio a favore delle università telematiche e private rispetto a quelle tradizionali e si falsa così la competizione tra diversi tipi di atenei, sussidiando in via indiretta le prime, che fronteggiano un costo per il personale docente di molto inferiore a quello sostenuto dalle tradizionali. Un secondo notevole vantaggio è quello di rilasciare un titolo di studio con il medesimo valore legale delle altre. Non vi sono ragioni che possano giustificare questo tipo di sostegno: una concorrenza su un piano di parità potrebbe spingere le università telematiche a offrire un servizio migliore con effetti positivi sulle competenze acquisite dagli studenti. (Fonte: M. De Paola e T. Jappelli, lavoce.info 26-04-16)





FINANZIAMENTI. RETRIBUZIONI



IL PRESIDENTE DEL CDM PARLA DEI FINANZIAMENTI AL SISTEMA UNIVERSITÀ-RICERCA

“Sull'università abbiamo portato a 56 milioni le risorse per borse di studio nella Legge di stabilità. Abbiamo rivisto i criteri di accesso alle borse di studio. Abbiamo sbloccato gli stipendi per docenti universitari dopo anni. Abbiamo permesso nuove assunzioni negli atenei e fatto finalmente le nuove classi di concorso. Ma quando ci sono i problemi non vanno aggirati, piuttosto affrontati direttamente. Per questo sulla ricerca non basta spendere di più, dobbiamo spendere meglio. I dati Eurostat che vengono citati per sottolineare il divario con Germania e Francia nella spesa in ricerca tra il 2003 e il 2013 includono sia il settore privato sia il settore pubblico. Se guardiamo, invece, alla sola università, l'Italia ha speso da un minimo dello 0,32% del Pil a un massimo dello 0,37%, la Germania dallo 0,39% allo 0,51%, la Francia dallo 0,38% allo 0,47%. Un gap significativo, ma relativamente più contenuto rispetto alla spesa totale. Un divario che in ogni caso il governo è determinato a colmare, partendo proprio dal nuovo Programma nazionale per la ricerca (Pnr) 2015-2020, su cui abbiamo mobilitato circa 500 milioni di risorse aggiuntive, portando le risorse totali a 2 miliardi e 429 milioni soltanto nel primo triennio”. (Fonte: M. Renzi, http://www.repubblica.it/scienze/2016/03/26/news/renzi_ricercatori-136316684/ 26-03-16)



POCHI FONDI PER LE STARTUP DELLA MEDICINA NONOSTANTE LA QUALITÀ DELLA RICERCA

Il numero di citazioni di ricerche italiane secondo PubMed è superiore a quello di Germania e Francia, ma rispetto all'estero c'è un forte gap nell'entità dei venture capital disponibili per le società innovative. Sembra però che l'Italia cominci a recuperare il terreno perduto. Si muovono i grandi gruppi farmaceutici. Il rapporto Assobiomedica 2015 rileva 291 startup attive in Italia nel campo dei dispositivi medici, di cui il 26% si occupa di diagnostica in vitro, il 21% di bio-medicale strumentale e il 20% di software e servizi (il settore maggiormente in crescita, grazie al programma Horizon 2020). Diversi incubatori offrono una sede, training e consulenze alle startup biomediche. «Per la ricerca non sono necessarie altre strutture: occorre investire», spiega Silvano Spinelli, presidente di BiovelociTA, acceleratore nato lo scorso ottobre. «Il gap esiste perché le star-tup non riescono a raccogliere i fondi "seed" per passare dal laboratorio alla valutazione preclinica, che oscillano tra i 500.000 e il milione di euro. Nel 2015 in Italia sono stati raccolti nel settore 55 milioni di dollari di venture capital. Un'inezia, paragonati ai due miliardi e mezzo della Gran Bretagna». (Fonte: M. Passaretto, IlSole24Ore 29-03-16)



PIÙ SOSTEGNO ECONOMICO E REGOLE PIÙ SEMPLICI PER L’UNIVERSITÀ

«Dobbiamo dimostrare quello che di buono fa l’università per il nostro Paese - spiega Gaetano Manfredi, presidente della Crui -. E dobbiamo far capire al governo e alla società quanto potrebbe fare di più: se solo ci fossero più sostegno e regole più semplici». Qualche numero: l’Italia investe 109 euro per abitante in università, quando in Francia se ne spendono 303 e in Germania 304. Il fondo ordinario per le università è calato del 9,9% negli ultimi 7 anni, mentre negli altri Paesi Ue cresceva. Tra i 34 Paesi Ocse, il nostro è al 26° posto per la quota di reddito nazionale destinato a ricerca e sviluppo. E il diritto allo studio viene garantito solo a una piccola quota di studenti, complici le nuove soglie Isee: quest’anno sono idonei poco meno di 107 mila studenti (a fronte dei 135 mila dell’anno scorso), e non è detto che tutti avranno un contributo. Eppure, ogni euro investito per gli studenti aumenta la produttività del Paese: «I nostri dati confermano che i laureati trovano lavoro più facilmente dei diplomati e guadagnano di più», dice il presidente di AlmaLaurea, Ivano Dionigi. Allora, è la solita questione di soldi? «È il momento di chiarire che non si può prescindere dal capitale umano - chiarisce Manfredi -. L’università ha sempre attirato pochi investimenti e con la crisi, a torto, non è stata considerata un’emergenza: dobbiamo aumentare le iscrizioni, creare nuove lauree professionalizzanti, migliorare la valutazione. Altrimenti rischiamo di restare indietro». (Fonte: V. Santarpia, CorSera 21-03-16)



PENSIONI. RINNOVO DEL BLOCCO DELLE RIVALUTAZIONI FINO AL 2018

C'è una nuova mazzata in arrivo per i pensionati: il rinnovo del blocco delle rivalutazioni fino al 2018. A lanciare l'allarme è il quotidiano Libero, affermando che tra le pieghe del Def approvato ieri, e in particolare nel programma nazionale delle riforme che lo accompagna "a pagina 8 fa capolino la fregatura previdenziale". Si tratterebbe invero della proroga di quanto già previsto dai governi precedenti. Scrive il Tesoro, infatti, si legge sul quotidiano milanese: "E' prevista in via temporanea, una proroga delle disposizioni decise per il triennio 2014-2016 in materia di revisione del meccanismo di indicizzazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo, con un risparmio di spesa che ammonta a circa 355 milioni nel 2017 e circa 750 milioni nel 2018".

Ciò significa, in sostanza, spiega Libero, che "non adeguando (per l’ennesima volta), le pensioni superiori ai 1.500 euro al mese al costo della vita (inflazione che non c'è)", il governo risparmierà nei prossimi 2 anni oltre 1 miliardo. (Fonte: M. Crisafi, www.studiocataldi.it  09-04-16)



“DEFINANZIAMENTO” DELLE UNIVERSITÀ: CHI LO HA SUBITO DAVVERO?

Questo documento, incentrato sul cosiddetto “definanziamento” delle Università, si articola nei seguenti punti:

1) Premesse.

2) Quando iniziano e quando terminano i tagli (il “definanziamento”) all’FFO delle Università?

3) Quale era la situazione ante 2011 riguardo alla spesa degli Atenei per gli scatti stipendiali?

4) Come incide a partire dal 2011 il blocco delle classi e degli scatti?

5) Come incide a partire dal 2011 il blocco del turnover?

6) La ricerca ha subito tagli?

7) Qual è la situazione del diritto allo studio?

E, in coerenza con quanto discusso nei punti precedenti:

8) Conclusioni e obiettivi del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria: piano pluriennale di richieste.

(Fonte: Documento a cura di Carlo Ferraro. Il documento è stato elaborato nell’ambito del “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria”. Link per leggerlo:






LAUREE - DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE



LE NUOVE «SCUOLE UNIVERSITARIE PROFESSIONALI» (SUP)

Il triennio delle future lauree professionalizzanti, che saranno erogate dalle «Scuole universitarie professionali» (SUP), consisterà in un anno di teoria, un anno di laboratorio e un anno on the job. Le SUP saranno create dagli stessi atenei, ma nella loro governance entreranno come partner il mondo produttivo, quello dei servizi e la Pa. «L'obiettivo è formare figure veramente necessarie alle imprese e al mondo delle professioni, questo progetto ha successo solo se garantiamo l’occupabilità», avverte Gaetano Manfredi Magnifico della Federico II di Napoli e presidente della Conferenza dei rettori italiani. Parte, infatti, dalla Crui questo progetto che punta a completare dopo oltre 3 anni la riforma universitaria del 3+2 che ha visto, di fatto, un mezzo flop per le lauree triennali: «Le lauree professionalizzanti erano parte di quel disegno di riforma che ora va completato». Il progetto è ora al centro di un tavolo istituito dal MIUR appena partito. L'idea è quella di cominciare con una serie di sperimentazioni - già dall'anno accademico 2017-2018 - senza bisogno di intervenire con riforme normative radicali. I settori più interessati dall'avvio delle lauree professionalizzanti sono quelli delle materie tecnico-scientifiche - da ingegneria, a biologia fino alle biotech e alle nuove professioni legate alla cosiddetta «manifattura 4.0» - dell'agro-alimentare ma anche dei beni culturali e del turismo. Questo nuovo percorso di formazione terziaria risolverebbe - come spiega la bozza di documento dei rettori - anche un altro problema aperto: quello delle libere professioni per le quali la normativa Ue richiede la laurea triennale (la Crui cita periti e geometri). Per i rettori il modello a cui si devono ispirare queste Scuole universitarie professionali - che non superano ma operano parallelamente agli Istituti tecnici superiori (gli Its) - sono un po' gli Istituti universitari di tecnologia francesi (incardinati negli atenei ma dotati di forte autonomia) e un po' le nostre lauree per le professioni sanitarie. Con l'obiettivo ambizioso di riuscire a replicare nel medio lungo periodo i risultati conquistati in Germania dalle Fachhochschulen (le università delle scienze applicate). (Fonte: M. Bortoloni, www.scuola24.ilsole24ore.com  22-04-16)



ABILITAZIONE PROFESSIONALE GIÀ CON LA LAUREA. VIA LIBERA DI MIUR E MINISTERO SALUTE

Laurea e abilitazione nello stesso giorno: durante l’incontro sulla delega del lavoro in Sanità derivata dall’articolo 22 del patto della Salute, i rappresentanti del Miur hanno condiviso la proposta della Cgil, Cisl e Uil medici secondo la quale il laureando in Medicina potrà ottenere nello stesso giorno l’abilitazione alla professione e contemporaneamente la laurea. L’incontro si è tenuto al Ministero della Salute, presente il ministro Beatrice Lorenzin. «Si tratta di una notizia positiva per i futuri giovani medici - ha spiegato il segretario della Cgil Medici Massimo Cozza - che in questo modo non saranno più costretti ad aspettare anche diversi mesi per poter conseguire l’abilitazione e per poter partecipare ai test per le scuole di specializzazione e alle scuole di medicina generale che richiedono il titolo». Soddisfatta l’associazione Coordinamento mondo medico, che raccoglie le associazioni di aspiranti medici e specializzandi. La novità potrebbe essere introdotta nella prossima legge delega.

L’abilitazione consente ai giovani medici di svolgere servizio sull’ambulanza del 118, di effettuare guardie mediche, guardie turistiche, sostituzione del medico di base, oltre che di iscriversi alle scuole di specializzazione. Ma poiché gli esami per entrare nelle specializzazioni si tengono una sola volta l’anno (e non sempre nello stesso periodo: quest’anno dovrebbe essere a luglio), il rischio è che passi anche un anno e mezzo prima di riuscire a cominciare la seconda parte dell’abilitazione professionale, indispensabile per esercitare la professione in diversi ambiti. Con questa novità, invece, i tempi si potrebbero accorciare. (Fonte: V. Santarpia, www.corriere.it  16-04-16)



NECESSITA UN PERCORSO FORMATIVO PROFESSIONALIZZANTE

Alla richiesta di competenze tecniche sempre più specializzate, fa da sponda un innalzamento del livello formativo, che però in Italia non trova un adeguato riscontro. Basti pensare che secondo l'indagine sulle previsioni di assunzione delle imprese italiane realizzata da Unioncamere-Exclesior, tra 2011 e 2015, la quota di laureati richiesti per profili tecnici è passata dal 42 al 50%. Molti di questi cosiddetti introvabili. La ragione? Una delle colpe (ma non solo) è imputata alla mancanza di un canale formativo adeguato, anche perché a più di 15 anni dalla sua introduzione, la laurea triennale continua ad essere identificata solo come il primo tassello del percorso quinquennale, venendo meno all'obiettivo iniziale di creare un percorso universitario professionalizzante. Basti pensare che la quota di laureati in ingegneria che al completamento della triennale decide di proseguire gli studi è salita dall'80,8% del 2004 all'87,5% del 2014. Secondo i periti industriali, ma anche per il mondo accademico (Crui, Cun) e delle istituzioni (Miur) che sul punto si sono confrontati in occasione del convegno «Università a misura di professione» organizzato dal Cnpi lo scorso 17 marzo, la risposta è semplice: costituire un percorso di laurea professionalizzante cucita, appunto, a misura di quel tecnico di I livello tanto richiesto dal mercato. Un percorso che, sempre secondo i dati contenuti nel rapporto, potrebbe avere diverse conseguenze positive. Innanzitutto innalzare la quota di laureati, soprattutto tra i giovani. In Italia, infatti, solo il 22% dei giovani compresi tra i 30 e 34 anni ha conseguito un titolo di studio universitario, contro una media europea del 39%. Tale ritardo è da attribuire all'assenza di un canale terziario professionalizzate: solo 1 giovane su 100 ha conseguito questo tipo di titolo, rispetto al 9% della media europea. (Fonte: ItaliaOggi 25-03-16)



RILANCIARE LE LAUREE PROFESSIONALIZZANTI

L'Università deve essa stessa creare nuovo lavoro, addirittura fino al punto di far nascere nuove imprese? È tra i suoi doveri provarci, a patto che se ne creino le condizioni: rivestono, infatti, importanza sempre maggiore le lauree professionalizzanti (a lungo trascurate), il Jobplacement, gli spin-off, in definitiva la «quarta missione» (che si aggiunge alla didattica, alla ricerca, all'animazione culturale del territorio): ossia avviare al lavoro i giovani formati nelle aule e nei laboratori. Per questa stessa ragione è necessario rilanciare anche il tema, strettamente correlato, della formazione professionale. Fiumi di denaro pubblico sono stati malamente sprecati nell'indotto, spesso clientelare, di una formazione poco utile e poco spendibile. Ma sono proprio le Università, gli interlocutori più idonei e più attrezzati per sviluppare, a livello regionale e nazionale, quelle politiche attive di formazione professionale in grado di offrire concrete e reali possibilità occupazionali. (Fonte: L. D’Alessandro, Il Mattino 10-03-16)



PREMINENZA FEMMINILE TRA I LAUREATI E ANCOR DI PIÙ TRA I LAUREATI CON 110 E LODE

Ogni 100 uomini che si laureano ci sono ben 144 donne che fanno altrettanto (mentre il rapporto tra gli immatricolati è di 123 donne ogni 100 uomini) e ciò corrisponde a un numero di donne laureate che ogni anno supera quello degli uomini laureati di oltre 50 mila: un’enormità. Nell'ultimo anno di cui si dispongono dei risultati, si contano 176 mila laureate contro 122 mila laureati. Ma questo è solo il primo aspetto della differenza tra i sessi decretata dall'università. Ce n'è un secondo, non meno rilevante. Su poco meno di 300 mila laureati annui, 62 mila lo fanno col massimo dei voti: 110 e lode (quasi un laureato su quattro si congeda dall'università con la lode, e viene da domandarsi se per caso è un popolo di geni). Ma le donne laureate con 110 e lode sono oltre 40 mila, gli uomini laureati con lo stesso voto meno di 22 mila, cosicché se il divario tra donne e uomini fra i laureati vale 144 a 100, quello donne-uomini tra quanti ottengono 110 e lode s'impenna fino a raggiungere la vetta di 186 a 100. (Fonte: R. Volpi, Il Foglio 07-04-16)



LIVELLO SALARIALE PER LAUREA TRIENNALE E MAGISTRALE: VARIAZIONI DELL’1%

Sono passati molti anni dalla riforma universitaria del ‘3+2′, eppure non si riesce ancora a capire se separare il quinquennio della laurea in laurea breve e magistrale sia effettivamente servito a qualcosa. Soprattutto per quanto riguarda l’aspetto più importante di questa divisione: l’accesso al mercato del lavoro. Stando ai dati registrati da AlmaLaurea, parrebbe proprio di no: non solo gli studenti con una specialistica non riescono a trovare comunque un lavoro adeguato all’impegno e alle competenze, ma addirittura il livello salariale (nel caso ci riuscissero) è praticamente identico a quello degli studenti con un titolo di studio triennale: la variazione del +1%, infatti, non giustifica neanche lontanamente tutte le spese affrontate per il biennio di specializzazione, ed il tempo investito nel conseguimento di questa laurea. In altre parole, la conclusione è che la laurea triennale verrà sempre meno considerata come la Serie B dei titoli di studio. (Fonte: www.casertace.net 25-03-16)



UN GRUPPO DI LAVORO SU PROFESSIONI E PROFESSIONALITÀ È STATO COSTITUITO DALL’ANVUR

Per promuovere la discussione, lo studio e la valutazione della professionalità nell’Università, l’ANVUR ha costituito un Gruppo di Lavoro, coordinato dal prof. Maurizio Carta (Università di Palermo, Architettura) e composto dai professori Guido Alpa (La Sapienza, Giurisprudenza); Bartolomeo Biolatti (Università di Torino, Veterinaria ed Agraria); Carlo Caltagirone (Università di Roma Tor Vergata, Medicina); Edoardo Cosenza (Università di Napoli Federico II, Ingegneria); Fiorella Giusberti (Università di Bologna, Psicologia) e Alberto Quagli (Università di Genova, Economia). Il responsabile per il l’ANVUR è il prof. Paolo Miccoli. Per valorizzare il contenuto professionale di vaste aree dell’Università il gruppo di lavoro dovrà affiancare alla valutazione della ricerca e della didattica, anche una specifica valutazione della presenza e della qualità della professionalità nell’Università, prendendo in considerazione non solo la capacità e il livello professionale di docenti e ricercatori, ma anche l’esperienza dei tirocini professionalizzanti. (Fonte: www.roars.it che fa riferimento al sito Io Studio News e a una pagina dell’Università di Palermo, 28-03-16)



SOVRAISTRUZIONE E DISOCCUPAZIONE. UN'ANALISI DEL CENTRO STUDI DATAGIOVANI

L’analisi svolta dal centro studi Datagiovani per il Sole 24 Ore ha riguardato i lavoratori laureati tra i 25 e i 34 anni e i ragazzi diplomati tra i 20 e i 24 anni, nel periodo immediatamente successivi al titolo conseguito, per un complessivo di 1,6 milioni di giovani. I numeri mostrano che 100mila diplomati e 300mila laureati rientrano tra gli overeducated, con un titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto per l’attività lavorativa effettivamente svolta. Sono quindi il 17% dei diplomati e il 28% dei laureati. Dati disomogenei rispetto al diploma – al Sud la percentuale è del 13,5%, al Centro del 19% – più omogenei quelli riguardanti la laurea.

Se per quanto riguarda le caratteristiche di sovraistruzione per i diplomati i dati sono abbastanza in linea con quanto si registrava nel 2008, la situazione è molto più complessa per quanto riguarda i laureati. Se negli indirizzi di tipo medico solo l’8% dei giovani occupati è overeducated, si sale al 13,5% nel caso di ingegneria e architettura, per arrivare al 43,6% nelle discipline umanistiche, l’ambito che ha risentito di più degli effetti della crisi con un aumento rispetto al 2008 di ben 12 punti percentuali. Pesante anche la crescita dell’overeducation nelle scienze naturali – biologia, fisica, chimica – passata dal 17% del 2008 all’attuale 26%.

La crisi ha giocato un ruolo decisivo nel complesso rapporto tra giovani e mondo del lavoro, e questo è evidente se analizziamo il livello di disoccupazione giovanile. Il tasso di disoccupazione è salito per i diplomati dal 17,9% del 2008 al 36,4% del 2015 e per i laureati dal 9,4% al 17,2%. Per chi, invece, è riuscito a trovare un posto di lavoro, si è trovato di fronte molto spesso al fenomeno dell’“iperqualificazione” che, dal 2008, è aumento del 3-4%.

(Fonte: L. Todisco, www.europinione.it 29-03-16)



LA FORMAZIONE SUPERIORE RAPPRESENTA IL MIGLIOR INVESTIMENTO A LUNGO TERMINE

La Banca d’Italia e l’OCSE sostengono, in maniera documentata, che la formazione superiore rappresenta il miglior investimento a lungo termine, perché garantisce un ritorno economico di gran lunga superiore a quanto investito, sia per il singolo individuo sia per lo Stato, per i maggiori introiti che derivano dalla tassazione sul reddito. È quanto recentemente dichiarato dallo stesso governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco e, anni prima e in tempi non sospetti, da Carlo Azeglio Ciampi. L’Ocse, analizzando paese per paese i benefici derivanti dall’investimento in formazione superiore, conclude anzi che l’Italia è uno dei paesi in cui sia l’individuo che il contribuente trarrebbero i maggiori benefici a lungo termine. Non è certamente un caso che i paesi più accorti abbiano tagliato le spese in altri settori, aumentando invece in maniera consistente l’impegno in formazione superiore e ricerca. A maggior ragione appare davvero incomprensibile che i governi che si sono succeduti non ne abbiano tratte le dovute conseguenze. Investire di più in formazione superiore, puntare sulla crescita del numero dei laureati, sviluppare processi di valutazione a garanzia della qualità della formazione in linea con i paesi più avanzati, sono priorità assolute, scelte obbligate per la crescita del paese. (Fonte: A. Stella, IlBo 07-03-16)



PARERE POSITIVO DEL CNF ALLO SCHEMA DI DECRETO DEL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SUI CORSI DI FORMAZIONE OBBLIGATORI PER L'ACCESSO ALLA PROFESSIONE DI AVVOCATO

Sta per diventare realtà l'accesso a numero chiuso alla professione di avvocato. Il Consiglio Nazionale Forense, seppur con vari correttivi, ha rilasciato parere sostanzialmente positivo allo schema di decreto del ministero della giustizia sull'obbligatorietà dei corsi di formazione per gli aspiranti avvocati. Corsi, il cui accesso, appunto, sarà a numero chiuso, "secondo criteri di valorizzazione del merito, con riferimento agli studi universitari" nonché con la previsione di verifiche intermedie sulla base di prove scritte, orali o informatiche (es. test a risposta multipla), e finale consistente in una vera e propria simulazione dell'esame di Stato. (Fonte: M. Crisafi, www.StudioCataldi.it  06-04-16)



ORMAI PRONTA LA RIFORMA DELLE PROFESSIONI SANITARIE

Nel Def approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri e, nello specifico, all'interno del Programma nazionale riforme, "viene confermato ancora una volta l'impegno del Governo per il varo, entro il 2016, della legge sulla responsabilità professionale". Ad affermarlo è lo stesso relatore del ddl sulle professioni sanitarie. Ratio del provvedimento, nelle intenzioni dell'esecutivo, è quella di ricreare un nuovo equilibrio nel rapporto tra medico e paziente, pervenendo alla risoluzione di due problematiche: la mole del contenzioso medico legale (che ha causato anche un notevole aumento del costo delle assicurazioni per professionisti e strutture) e il fenomeno della medicina difensiva che ha causato un uso inappropriato delle risorse destinate alla sanità. Sul fronte della responsabilità penale, il testo prevede l'inserimento dell'art. 590-ter nel codice penale, in base al quale l'esercente la professione sanitaria che provoca la morte o la lesione personale del paziente a causa della sua imperizia risponde dei reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose soltanto in caso di colpa grave. Tale colpa però viene esclusa quando il medico agisce nel rispetto delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle raccomandazioni previste dalle linee guida. (Fonte: M. Crisafi, www.studiocataldi.it  14-04-16)



LAUREATI ITALIANI SUPERIORI ALLA MEDIA MA CON DUE PUNTI DEBOLI

È pericoloso generalizzare, ma sono d'accordo: i laureati italiani sono superiori alla media europea e americana. Presentano, tuttavia, due punti deboli: scarsa iniziativa e poca abitudine al lavoro di gruppo. La colpa? Nostra. Docenti, genitori e datori di lavoro devono convincerli dì valere. Non umiliarli con procedure barocche, incarichi inadeguati e stipendi ridicoli. (Fonte: A. Maccari, CorSera 15-04-16)



LE SPECIALIZZAZIONI FORENSI BOCCIATE DAL TAR LAZIO

Le specializzazioni forensi ieri sono state bocciate dal Tar Lazio (con le sentenze nn. 4424/2016, 4426/2016, 4428/2016) in accoglimento parziale dei ricorsi presentati dall'Oua, dall'Anf e da alcuni Consigli dell'Ordine. Questione centrale nelle decisioni del giudice amministrativo, sulla quale si erano concentrate da subito le polemiche, è la previsione delle 18 materie di specializzazione, nei confronti delle quali il Tar va giù con mano pesante sottolineando come "né dalla mera lettura dell'elenco, né dalla relazione illustrativa del Ministero – è dato cogliere - quale sia il principio logico che ha presieduto alla scelta". Ed infatti, si osserva in sentenza, "non risulta rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell'ordinamento, né infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari, più numerosi di quelli individuati dal decreto". Un elenco incompleto peraltro già rilevato dal Consiglio di Stato che si era pronunciato in sede consultiva sullo schema di regolamento, con rilievi ai quali il ministero si è adeguato solo parzialmente, senza "un unitario filo logico di selezione". La ferma censura di altri elementi importanti obbliga ora il ministero a procedere con una riscrittura del regolamento, salvo l'ipotesi di eventuali ricorsi, scoraggiati però dal richiamo del Tar alle originarie osservazioni formulate nello stesso senso da parte del Consiglio di Stato. (Fonte: M. Crisafi, www.studiocataldi.it  15-04-16)



1700 IL NUMERO DI POSTI NELLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE MEDICA PERDUTI NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI

I posti per specializzarsi nei vari ambiti della Medicina erano 5.000 nel 2010, su 6.700 laureati in Medicina nello stesso anno. Nel 2013 i posti sono stati ridotti a 4.500. Quest'anno sono previsti, a oggi, 3.300 contratti di specializzazione a fronte di circa 7000 laureati - ha dichiarato Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale - Siamo in controtendenza rispetto al resto dell'Europa e del mondo che richiede specializzazione e cultura per la scienza. Rischiamo di laureare ottimi professionisti ma perdere tutti i potenziali scienziati e innovatori".  Per poter arrivare ad aumentare di nuovo il numero di posti nelle scuole di specializzazione servirebbero dunque il doppio circa delle risorse stanziate, poco più di 75 milioni di euro. (Fonte: www.uninews24.it  11-02-16)



L’INTRINSECA RICCHEZZA DEI CORSI DI GIURISPRUDENZA

Dei nostri laureati in giurisprudenza solo una percentuale modesta (fra il 15% e il 20%) si indirizza verso le classiche professioni forensi (avvocatura, magistratura, notariato). La maggior parte lavora nelle amministrazioni pubbliche, nelle imprese, in enti non lucrativi. Ben lungi dall’essere uno ‘spreco’ di impegno personale e di risorse pubbliche, si tratta di un’intrinseca ricchezza dei corsi di giurisprudenza, capaci di fornire le basi per una molteplicità di sbocchi, di impegni, di visioni. Per questo motivo sono frutto di un drammatico provincialismo taluni confronti con le pur importantissime e vivacissime ‘law schools’ statunitensi la cui vocazione da ben più di un secolo è quella, quasi esclusiva, di preparare avvocati. E rende miope l’idea di una facoltà di giurisprudenza italiana “professionalizzante”, tagliata sulle esigenze – pur meritevoli della massima attenzione – delle professioni forensi, le quali peraltro trovano specifici momenti formativi post-laurea.

Una facoltà per la formazione del cittadino. Questo compito, che è di tutta la scuola (dall’infanzia a quella superiore), diventa moltiplicato e specifico nelle facoltà di giurisprudenza. Conoscere il diritto, le sue gerarchie, la sua storia e le idee ad esso sottese, i principi fondativi e gli strumenti di tutela rende lo studente e il laureato più consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri. Capace di intervenire con cognizione di causa, con razionalità, con rispetto verso gli altri. Penso che soprattutto in società laiche e pluraliste i valori che il diritto esprime debbano essere costantemente riaffermati. Si tratta, oltretutto, di valori il cui riconoscimento è costato sacrifici durati secoli, e la cui violazione ha portato a pagine orripilanti che mai vorremmo si ripetessero. Il “saper essere” del giurista è una conoscenza che le facoltà di giurisprudenza non devono mai perdere di vista e devono sforzarsi di trasmettere.

La dimensione culturale nella formazione del giurista. Il diritto è anche cultura. I giuristi da sempre sono parte integrante dei movimenti culturali del nostro (e non solo) Paese. Al tempo stesso la cultura – filosofica, religiosa, letteraria, artistica, scientifica, delle scienze sociali – influenza il modo di pensare dei giuristi. L’università è stata e sarà anche nel futuro per moltissimi studenti la principale occasione di incontro con questa dimensione, che per le nostre millenarie tradizioni è assolutamente irrinunciabile. Se c’è un primato che questo Paese deve tenere ben saldo è il legame fra la storia dei fenomeni istituzionali e giuridici e tutti gli altri fenomeni politici, economici, sociali e la ricchezza della vita e produzione intellettuale. (Fonte: V. Zeno Zencovich, Roars 19-04-16)



GLI STEREOTIPI RIDUTTIVI NON INTACCANO LA FIDUCIA NEGLI STUDI UNIVERSITARI PER ACQUISIRE COMPETENZE E QUALITÀ INTELLETTUALI

Le proteste provenienti da gruppi sempre più agguerriti di docenti nei confronti del Governo, del Ministero, dell’Anvur, e anche della Crui sono state amplificate dai media, che non hanno però quasi mai indagato le ragioni del dissapore accademico. Minore attenzione è stata invece riservata a quanto le stesse comunità universitarie vanno intraprendendo col dedicare agli studenti le migliori energie, perfezionando i servizi didattici, ovviando alle tante disfunzioni organizzative, nell’intento di recuperare prestigio nell’ambito territoriale, di conquistare con pratiche virtuose consensi in grado di attirare nuovi iscritti per arrestare l’emorragia delle immatricolazioni.

Operazioni di marketing, rafforzamento dei sistemi di comunicazione interni ed esterni, eventi ad hoc, stanno caratterizzando la vita delle università italiane nell’anno accademico in corso. Le associazioni di alumni, che si sono diffuse in vari atenei italiani come pure in istituzioni collaterali, quali alcuni collegi di merito ed enti promotori di percorsi di studio post-universitari costituiscono una modalità tesa a valorizzare gli studi superiori e il conseguimento del titolo ai fini non solo occupazionali ma anche di identità sociale. Al di là di stereotipi riduttivi, l’aver studiato ed essersi laureati in un prestigioso ateneo riteniamo non sia l’unico salvacondotto per una migliore sistemazione professionale, assicurata piuttosto dall’aver acquisito negli studi universitari competenze e qualità intellettuali, prerogativa, questa, non esclusiva di poche istituzioni italiane o internazionali. (Fonte: P. G. Palla, Universitas n. 139, marzo 2016)



LAUREATI DI CITTADINANZA ESTERA: IL 3,4% NEL 2015 CONTRO IL 2,9% NEL 2010

Dal XVIII Rapporto AlmaLaurea emerge che negli ultimi cinque anni è cresciuta la presenza nelle aule universitarie di giovani laureati provenienti da altri paesi: la quota di laureati di cittadinanza estera è il 3,4% nel 2015 contro il 2,9% nel 2010. In particolare, sono il 3,1% tra i triennali, il 3% tra i magistrali a ciclo unico e il 4,3% tra i magistrali biennali. Rispetto ad altri paesi, tuttavia, l'Italia costituisce un centro di attrazione relativamente debole e presenta un"incidenza di studenti stranieri nettamente inferiore a quella rilevata per il complesso dei Paesi OCSE (il 4% contro il 9%). Il 55% dei laureati esteri del 2015 proviene da un paese europeo, il 22% dall’Asia e dall'Oceania, il 14% dall'Africa e il 9% dalle Americhe. Tra gli Stati più rappresentati Albania (15%), Romania (10%) e Cina (9%). Gli studenti stranieri scelgono tendenzialmente specifici ambiti disciplinari (linguistico, economico-statistico, medicina e odontoiatria, politico-sociale, chimico-farmaceutico, ingegneria e architettura) e conseguono il titolo soprattutto negli atenei settentrionali (4,7%). (Fonte: Il Giornale d’Italia 29-04-16)





RECLUTAMENTO



RECLUTAMENTO. BLOCCO SPEREQUATO DEL TURNOVER

Il turnover degli enti pubblici fissato al tetto del 20% (un nuovo ingresso ogni 5 pensionamenti) è già deprimente per suo conto, perché presuppone la logica che gli impiegati pubblici sono troppi e sostanzialmente inutili, quindi da potare nel tempo per ricondurli a cifre ragionevoli. Il che può essere vero in certi settori, ma non in tutti; in certi atenei e in certi corsi di studio, ma non in tutti; mentre per tutti il ministero richiede gli stessi numeri, ad esempio, di docenti per corso di laurea, altrimenti il corso non si può attivare. Un vero paradosso, frutto di obiettivi da sterminio di massa: non puoi sostituire i pensionati, e se non hai i numeri – ovvio – devi chiudere il corso, dato che non puoi certo utilizzare personale eventualmente in esubero in altri corsi di diversa natura. Tanto i laureati sono già troppi (falso!) e troppi sono i corsi di laurea (altrettanto falso: magari sono mal distribuiti, ma non si distribuiscono meglio uccidendone alcuni a caso, cioè solo in relazione all’anzianità dei loro docenti!). Il quadro di assedio si completa constatando che questo blocco del turnover è sperequato – come tutto – fra aree geografiche d’Italia: il recupero effettivo dei pensionamenti risulta del 15% al nord e del 9% al sud. Altro che il 20%, che già ci sembrava poco in teoria … Adesso chi ci governa si vanta di concedere all’università 860 (!) nuovi ricercatori. Fatti conti sommari, ne toccherà in media uno per dipartimento: nel corso di laurea più ‘attrattivo’ del mio dipartimento (1800 domande ai test di accesso per 300 posti), già quasi al limite con i requisiti di docenza, avremo 4 pensionamenti nell’arco di un biennio. Anche se il ministero per un improvviso e incredibile atto di generosità raddoppiasse il numero dei nuovi ricercatori, e per assurdo tutti i posti disponibili nel dipartimento fossero destinati a questo corso di laurea, tra due anni dovremmo chiuderlo comunque. (Fonte: S. Di Nuovo, http://www.roars.it/online/author/santo-di-nuovo/ 01-04-16)



RIFORMARE IL PRERUOLO NELLE UNIVERSITÀ

Una riforma del reclutamento che abbassi sensibilmente l'età media di ingresso in ruolo ed elimini la giungla di contratti precari prevedendo, dopo il dottorato, un'unica figura di ricercatore con tenure track. A tale figura si potrebbe affiancare un contratto di post doc con diritti e tutele, di natura subordinata, non propedeutica alla tenure, che non abbia funzioni didattiche e il cui abuso sia scoraggiato da un costo maggiore. (Fonte: FlcCgil 28-04-16)



RIFORMA DEL PRE-RUOLO. UN PERCORSO UNICO PER I RICERCATORI

Sta ripartendo al Senato il Ddl Pagliari indicato in passato dalla maggioranza come il veicolo per la riforma della figura dei ricercatori a tempo determinato. L’obiettivo della riforma dei ricercatori a tempo determinato è lo stesso uscito dall’incontro organizzato dal Pd a Udine oltre cinque mesi fa: quello di creare un percorso unico per i ricercatori nell’accesso alla docenza per renderlo più semplice e veloce. Nel mirino la riforma Gelmini (la legge 240/2010) che ha frammentato le figure pre-ruolo (ricercatori di tipo a e di tipo b) alzando, di fatto, l’età media dei ricercatori e dei docenti - in Italia oggi ci sono solo 6 professori ordinari sotto i 40 anni - e creando più precarietà. Da Udine è arrivata la richiesta di dire addio a questa biforcazione: «L’idea alla base di questa riforma - spiega Puglisi responsabile Scuola del Pd e relatrice del Ddl in commissione Istruzione - è quella di prevedere un percorso di tre anni da post doc dopo il dottorato per accedere poi al tenure track che apre la porta alla docenza: in tutto cinque anni». Oggi invece accade che un ricercatore riesca ad accumulare fino a 4 anni di assegni di ricerca, cui se ne aggiungono 5 (3+2) da ricercatore di tipo a e poi altri 3 come ricercatore di tipo b. Un percorso troppo lungo per arrivare alla docenza che la riforma vuole accorciare. Puglisi indica anche la strada di un decreto del Governo: «Stiamo discutendo con il ministero qual è il percorso migliore per introdurre questa riforma che vogliamo fare entro l’estate». (Fonte: M. Bortoloni, IlSole24Ore 31-03-16)



PIANO STRAORDINARIO RTDB 2016 E CRITERI ALLOCATIVI

Il ministro Stefania Giannini ha emanato il 18 febbraio scorso un decreto con il quale provvede alla ripartizione fra le sedi universitarie dei 47 milioni (per l’anno 2016; 50,5 milioni a decorrere dal 2017) messi a disposizione dal comma 247 della Legge di Stabilità per il 2016, per il reclutamento di nuovi ricercatori universitari. E’ stato sottolineato da più parti come tale stanziamento, che determinerà l’assunzione di 861 nuovi ricercatori (a tempo determinato), non sia assolutamente in grado di bilanciare la fortissima riduzione del personale docente nelle università italiane avvenuta negli ultimi anni. Come documentato, tra gli altri, dal Rapporto della Fondazione Res “Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud” (Donzelli Editore), infatti, il personale docente si è ridotto di ben 7809 unità fra il 2008 e il 2015 (anche tenendo conto dell’immissione di nuovi ricercatori con contratto a tempo determinato), e tenderà a ridursi ulteriormente nel prossimo quinquennio. Il comma 248 della legge di Stabilità, così come proposto dal Governo e non emendato dal Parlamento, innova ancora una volta questi criteri, e stabilisce che in questo caso “l’assegnazione alle singole università è effettuata (…) tenendo conto dei risultati della valutazione della qualità della ricerca (VQR)”. Vediamo ora come il Ministro Giannini ha applicato questa norma. Il decreto stabilisce in primo luogo che a ciascun ateneo spettano risorse pari a due ricercatori, allocandone così 132. Il Ministro “tiene conto” poi della VQR assegnando tutti gli altri ricercatori (729) in base ad essa (in particolare per il 75% in base all’indicatore Irfs1 e per il 25% in base all’indicatore Iras3). In primo luogo il primo criterio (2 per sede) premia oltremisura gli atenei di dimensione più piccola. Ad esempio si ha un incremento di personale pari al 7,9% per l’Università per Stranieri di Perugia e del 6,2% per la Sant’Anna di Pisa (due università di un certo interesse perché di esse sono state Rettrici il Ministro in carica e il precedente), a fronte di un incremento medio pari all’1,8%. La seconda allocazione, come tutte quelle effettuate sulla base dei dati che si riferiscono alla VQR 2004-10, ha un forte effetto fra circoscrizioni e fra sedi. Come ben noto a tutti, tali dati penalizzano particolarmente le università del Centro-Sud. Gli atenei del Nord, infatti, ottengono un numero di nuovi ricercatori pari al 14,8% della riduzione di personale registrata fra il 2010 e il 2015; percentuale che scende intorno al 9,5% al Centro-Sud (e intorno al 6% per i grandi atenei di quell’area). Bologna, la sede cui sono allocati più ricercatori, recupera il 13,5% della riduzione 2010-15 (50 su 371); Roma-Sapienza, seconda nell’assegnazione, recupera solo il 6,1% (47 su 766). (Fonte: G. Viesti, Roars 01-03-16)



“RACCOMANDAZIONI” ISTITUZIONALIZZATE E PUBBLICHE NEI CONCORSI UNIVERSITARI

La maggiore differenza tra l’Italia e almeno alcuni dei paesi considerati “virtuosi” è l’assunzione diretta di responsabilità da parte di chi è coinvolto nelle selezioni dei professori. Ad esempio, è pratica comune che i candidati per una posizione indichino uno o più nomi di prestigiosi studiosi, i quali sono chiamati a dare le loro impressioni sul candidato, elencandone pregi e possibili difetti. La scelta di chi scrive la recommendation letter è molto delicata, implicando un delicato equilibrio tra prestigio dello scrivente e conoscenza approfondita del candidato. Non è raro il caso che chi scrive la lettera raccomanda, più o meno esplicitamente, di non selezionare il candidato, allo scopo di non compromettere la sua reputazione. Le raccomandazioni sono quindi istituzionalizzate, e chi ne firma una è moralmente responsabile di eventuali divergenze tra qualità dichiarate e dimostrate da un candidato. Scrivere lettere che risultano ingiustificate impedirà non solo il riconoscimento di future raccomandazioni, ma comprometterà anche il rapporto di fiducia tra il ricercatore e l’istituzione. Vale la pena rovinarsi un rapporto fiduciario per, forse, contribuire ad una posizione ingiustificata?

Anche le commissioni possono essere responsabilizzate, invece di permettere loro di nascondersi dietro il ruolo fintamente tecnico (ma sostanzialmente impossibile) di individuazione del meglio in assoluto. Dovendo giustificare le motivazioni delle loro scelte, pubblicizzando i giudizi espressi sui candidati e permettendo un facile confronto tra questi ed i risultati conseguiti nel corso della carriera, possono scoraggiare almeno i comportamenti più indecorosi. Ovviamente, ogni commissione che arriva al punto di farsi sanzionare dal TAR deve aver interdetta la possibilità di ripetere lo stesso errore, almeno per un periodo congruo di tempo. Al fondo, è una questione dignità e reputazione: di fronte a persone prive di ogni scrupolo non c’è altra difesa che la pubblicità dei suoi atti. Chi sa che le sue scelte saranno rese pubbliche, e potrebbe essere chiamato a giustificarle in futuro, avrà maggior coraggio nell’opporsi a pressioni improprie. (Fonte: M. Valente, Roars 01-05-16)

Un commento di G. Pastore alla fine dell’articolo: Le proposte dell’articolo sono sensate ma possono anche essere rese più forti:

    1. interdire per sempre la partecipazione a commissioni il cui operato sia stato valutato negativamente dalla giustizia amministrativa;

    2. istituzionalizzare l’utilizzo di lettere di presentazione (raccomandazione in Italia ha un suono sinistro quando si parla di concorsi) che restino nella documentazione del concorso e possano essere consultate (quelle di tutti) con accesso agli atti da parte dei candidati. Questo darebbe trasparenza ad una pratica attualmente sommersa e potenzialmente torbida, pur nel rispetto del diritto alla privacy.





RICERCA. RICERCATORI



È NECESSARIA UN'AGENZIA PER LA RICERCA

Negli ultimi 20 anni Germania, Svizzera e Svezia hanno beneficiato di una crescita più rapida perché hanno investito significativamente in innovazione e ricerca di base. É evidente che le economie meno innovative stentano a riprendersi dalla crisi. Ma in Italia non si tratta solo di un problema di spesa: i ricercatori nelle università svizzere, tedesche, inglesi hanno a disposizione un sistema di bandi a scadenze regolari, senza trappole burocratiche e amministrative, e un sistema di valutazione dei progetti qualificato e credibile. Non è pertanto necessario «reinventare la ruota», basterebbe fare riferimento alle esperienze di governance di altri Paesi. Riteniamo che queste riflessioni debbano essere prese in seria e concreta considerazione dal governo, per avviare un confronto urgente con la Comunità scientifica italiana. I cardini istituzionali di qualsiasi intervento in questo senso sono: 1. una seria ricognizione di tutte le fonti di finanziamento distribuite nei vari ministeri; 2. la costituzione di un'Agenzia per la ricerca scientifica che, presso la presidenza del Consiglio, raccolga tutti i fondi disponibili e supporti i progetti di ricerca secondo bandi aperti o tematici, facendo pervenire i finanziamenti ai ricercatori più meritevoli con regolarità e senza pastoie burocratiche. (Fonte: F. Zilibotti, CorSera 22-04-16)



MINISTRO GIANNINI: SUPERARE L’ATTUALE TRATTAMENTO GIURIDICO PER I RICERCATORI

“Sino ad ora – ha detto il ministro dell’università Stefania Giannini intervenendo ieri agli Stati Generali della ricerca sanitaria organizzati dal Ministero della Salute – i ricercatori sono stati trattati come normali dipendenti pubblici, ma questo non funziona. È un aspetto che affrontiamo con una delega specifica alla legge Madia, che renderà la figura del ricercatore libera di giocare con le stesse regole che hanno i ricercatori di altri Paesi. Questo permetterà al nostro sistema di aprirsi”.

Per Giannini l’obiettivo del governo “è modificare in profondità il sistema, rendendolo capace di attrarre investimenti ma soprattutto talenti. Per questo dobbiamo costruire un ecosistema eccellente”. Il ministro sostiene di volere “superare l’attuale trattamento giuridico per i ricercatori, come se fossero dipendenti pubblici qualsiasi. In questo senso la burocrazia è spesso un ostacolo e il decreto Madia è utile proprio per semplificare la Pubblica amministrazione e per rendere la figura del ricercatore negli enti finalmente libera di giocare con le stesse regole degli omologhi degli altri Paese. In questo modo il nostro sistema sarà più competitivo”. La proposta punta proprio alla realizzazione di un ruolo unico dei ricercatori, mettendo l’accento su libertà di ricerca, autonomia professionale, titolarità di progetti e finanziamenti. C’è anche “un percorso legislativo per riconoscere la figura del ricercatore industriale – ha annunciato la vicepresidente di Confindustria, Diana Bracco – Si tratta di un profilo di ricercatore che potrà avere un percorso con accesso alternato al settore pubblico e privato, e ciò aumenterebbe la possibilità di trasferimento tecnologico”. E’ un annuncio importante: i ricercatori – al convegno si è parlato solo degli enti di ricerca, ma potrebbe valere anche per l’università – saranno trattati da «imprenditori» che gestiranno i «capitali» dei progetti individuali europei. Lo Stato non metterà un euro in più. Cosa che avviene già oggi, solo che non esiste ancora lo status giuridico. Dopo la nuova riforma, i ricercatori porteranno in dote il “peculium” e gli atenei se li contenderanno su un mercato ristretto. Mancheranno sempre di più i fondi destinati alle loro esigenze di base e quelli superstiti saranno distribuiti dalla Valutazione della Qualità della Ricerca agli atenei “eccellenti”. Per tutte le altre esigenze – i corsi, le lauree ecc – ci saranno i precari cui si prospetta un “ruolo unico”. E il sogno di entrare a far parte della “global class” degli imprenditori della ricerca contesi dal mondo universitario. (Fonte: Il Manifesto 28-04-16)



PROGETTO "FARE RICERCA IN ITALIA"

Nel piano nazionale per la ricerca (PNR) presentato nei giorni scorsi è stato inserito un progetto - "Fare ricerca in Italia" - che ha l'obiettivo di attrarre nel nostro Paese un numero crescente di ricercatori italiani e stranieri di eccellenza per rafforzare il sistema della ricerca nazionale.

Alla luce dei dati che evidenziano i risultati dei ricercatori italiani nelle competizioni bandite dal Consiglio Europeo della Ricerca (European Research Council - Erc) è necessario intervenire - si spiega - sia per potenziare i ricercatori italiani che sottopongono i loro progetti all'Erc, sia per assicurare che un numero crescente dei vincitori nei bandi dell'Erc vengano (o rimangano) a svolgere la loro ricerca nelle università o negli enti di ricerca italiani.

Accanto alla semplificazione delle procedure per la realizzazione dei progetti in Italia, si prevede un finanziamento aggiuntivo fino a un massimo di 600 mila euro a favore dei ricercatori vincitori di bandi Erc di qualunque tipologia che scelgono come sede l'Italia. Ai vincitori di grant Erc che sono chiamati nei ruoli nelle università e negli enti di ricerca italiani si garantisce inoltre la copertura totale della loro retribuzione. Saranno inoltre avviate ulteriori facilitazioni riguardanti sia le retribuzioni e gli aspetti fiscali del loro inquadramento sia le modalità di didattica. Il finanziamento previsto per il triennio è di 246 milioni di euro. (Fonte: ANSA 04-05-16)



POSSIBILITÀ DI RENDICONTARE GLI ASSEGNI DI RICERCA AI FINI DEI FONDI HORIZON 2020: LE UNIVERSITÀ SONO D’ACCORDO, L’UNIONE EUROPEA NO

Dallo scorso ottobre la Commissione europea ha stabilito - in un documento intitolato “Annotated model grant agreement” - che gli assegni di ricerca, come anche le collaborazioni continuative e i contratti a progetto, non sono costi ammissibili per le rendicontazioni. Peccato che questi siano i più frequenti inquadramenti con cui sono contrattualizzati e pagati i ricercatori che portano avanti i progetti in questione. Secondo l’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani la posizione dell’Unione europea dà «un input ben preciso: riformare la figura del pre ruolo». Ma in Italia ci sono, come sempre, visioni contrapposte: se per l’Unione europea i contratti parasubordinati non vanno bene, secondo il Convegno dei direttori generali delle università italiane e per l’agenzia per la promozione della ricerca europea queste tipologie di contratti, per la legge italiana, non hanno nessuna controindicazione e potranno essere rendicontate benissimo ai fini dei fondi Horizon, perché sono assimilabili a quelli subordinati. Eppure il ministro Poletti è stato chiaro in più occasioni nel dire il contrario: l’assegno di ricerca è un contratto di lavoro parasubordinato. (Fonte: www.linkiesta.it 22-03-16)



L'APPELLO AL GOVERNO DEI VINCITORI DEI FINANZIAMENTI EUROPEI EMIGRATI ALL'ESTERO

Una lettera aperta al direttore de La Repubblica, così alcuni dei ricercatori più brillanti del nostro Paese sono voluti scendere in campo nel dibattito che proprio il conferimento dei Grant Erc (European Research Council) ad alcuni di loro ha aperto da diverse settimane. Un’analisi di quelle che sono le attuali difficoltà del sistema Italia per quanto riguarda la ricerca scientifica, il ruolo degli studiosi nelle università e gli investimenti pubblici in materia; poi sette proposte concrete per provare ad invertire la rotta. Sette proposte provenienti direttamente da coloro che hanno sperimentato le chiusure e le storture del sistema italiano e hanno scelto, o sono stati costretti a scegliere, di aprirsi la strada all’estero. Riportiamo di seguito la lettera redatta da Giulio Biroli, Roberta d’Alessandro e Francesco Berto pubblicata su Repubblica e controfirmata da altri 12 colleghi vincitori di Grant Erc: si legge qui http://tinyurl.com/z7vxvfn (24-03-16)



HUMAN TECHNOPOLE. NE PARLA IL MINISTRO MARTINA

Human Technopole sarà un incubatore di laboratori nei settori della genomica, della nutrizione, del cibo e dell'analisi delle grandi masse di dati per lo sviluppo di una strategia di medicina di precisione al servizio dei cittadini. Questo progetto, accanto all'insediamento della nuova cittadella universitaria della Statale di Milano, sarà l'anima dell'intera area Expo riorganizzata, che dovrà vedere protagonisti operatori pubblici e privati grazie all'unità d'intenti consolidata tra Governo, Regione e Comune. Un ecosistema capace di attrarre investimenti in genetica, alimentazione e big data che già oggi ha mosso grande interesse tra aziende e realtà internazionali pronte a collaborare operativamente, facendo così dell'area il grande hub italiano della ricerca riconoscibile in tutto il mondo. Com’è noto, la redazione del progetto è stata affidata alla regia scientifica dell'Istituto Italiano di Tecnologia, ente pubblico di diritto privato. L'elaborazione della proposta è avvenuta nel corso di quattro mesi di intenso lavoro, coinvolgendo gli scienziati di lit, quelli di diverse istituzioni, fra cui i delegati delle università milanesi, le principali realtà cliniche della zona (Ircss) e diversi soggetti nazionali di massima rilevanza scientifica. La proposta, consegnata nel febbraio scorso, rappresenta un piano di lungo termine che prevede la realizzazione di una infrastruttura (large scare facility) recuperando edifici esistenti in cui potranno operare circa 1.500 ricercatori e tecnici, tra cui un centinaio di Principal investigator. Vogliamo misurarci con i migliori standard internazionali di riferimento e proprio per questo tutti, dal direttore scientifico ai responsabili dei diversi centri dello Human Technopole, verranno reclutati esclusivamente mediante bandi internazionali. Sempre per questa ragione da qualche settimana il ministero dell'Università e della Ricerca, nel suo ruolo di coordinatore degli attori coinvolti, ha inviato la proposta progettuale a un panel di valutatori internazionali indipendenti che daranno un giudizio sul piano di lavoro, comprensivo di tutte le prescrizioni utili per la finalizzazione del programma. La valutazione si concluderà entro la seconda metà di aprile e solo al termine di questa fase il governo definirà il livello d'investimento pluriennale da garantire e le modalità operative della gestione del progetto esecutivo, attraverso provvedimenti che saranno naturalmente vagliati dal Parlamento. (Fonte: M. Martina, CorSera 29-03-16)



HUMAN TECHNOPOLE. IL GRUPPO 2003 CHIEDE CHE IL PROGETTO SI ATTUI SU RIGOROSE BASI DI MERITO E TRASPARENZA

E’ stato salutato con grande interesse il progetto del Governo di creare un polo di ricerca biomedica di alto livello nell'area Expo, l'Human Technopole, con la prospettiva di un finanziamento di 1,5 miliardi di euro in dieci anni. Un'iniziativa ex-novo come questa avrebbe dovuto comportare l'apertura di procedure accessibili a tutti i soggetti potenzialmente interessati, nonché la scelta dei progetti migliori e più consoni alle finalità del piano da parte di una Commissione Internazionale di alto profilo scientifico. Invece, nel caso dell'Human Technopole, sono già stati nominati i Coordinatori dei sette centri di ricerca in cui l'Ht si articolerà, senza una selezione pubblica e senza che sia stata neppure creata una Commissione di Garanti. Il Gruppo 2003, costituito dagli scienziati italiani più citati a livello internazionale e operanti in Italia (www.gruppo2003.org ) ritiene che il progetto Ht vada perseguito, ma che debba essere realizzato, in sintonia con le considerazioni della senatrice Cattaneo, su rigorose basi di merito e trasparenza. Conforta apprendere che, quantomeno, i Direttori dei sette Centri saranno selezionati da una Commissione qualificata, attraverso criteri che riflettono la prassi adottata nei Paesi ad elevato livello di ricerca scientifica. (Fonte: CorSera 04-04-16)



OGNI ANNO CIRCA 3000 RICERCATORI ITALIANI CON TITOLO ACCADEMICO DI DOTTORE DI RICERCA SE NE VANNO ALL’ESTERO

La cosiddetta fuga dei cervelli è una realtà concreta in Italia. Secondo il Country report Ue, ogni anno circa 3mila ricercatori italiani che hanno conseguito il titolo accademico di dottore di ricerca se ne vanno all’estero, mentre il Paese non è in grado di importare a sua volta ricercatori da fuori. Questo comporta un saldo negativo:  -13,2%. In altre parole, se il 16,2% dei ricercatori italiani se ne va, solo il 3% di studiosi stranieri arriva in Italia. Non accade così nel resto d’Europa, che vede percentuali in pareggio o addirittura positive. Questa situazione significa per l’Italia perdita di capitale umano e impoverimento economico. Si stima che in un decennio, dal 2010 al 2020, il nostro paese perderà 30mila ricercatori e 5 miliardi di euro, che invece contribuiranno alla crescita di altri Stati. Negli anni scorsi c’è stato chi ha messo in dubbio il fenomeno della fuga dei cervelli, perché pare non esista una banca dati con i riferimenti degli italiani che svolgono ricerche all’estero. Ma per Carolina Brandi, ricercatrice dell’Irpps-Cnr, l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, il problema c’è e si deve al fatto che l’Italia produce più dottori di ricerca di quelli che può accogliere (in inglese si chiama overeducation). Di conseguenza, o si trova il modo di orientare il mercato del lavoro all’innovazione per assorbire i numeri in eccesso, oppure si cerca di ridurre i posti per i dottorati.

I ricercatori italiani all’estero non pensano di ritornare in patria. In Italia, infatti, le condizioni di lavoro sono meno favorevoli: guadagni più bassi, pochissime possibilità di carriera, tante ingiustizie e scarse soddisfazioni. Insomma, lo status della ricerca in Italia è quanto mai preoccupante e addolora sia chi è costretto ad andarsene, magari dopo aver studiato e fatto grandi sacrifici, sia chi sceglie di rimanere in un paese sempre più povero di eccellenza e merito. Il rapporto controverso che gli italiani hanno con il paese che ha dato loro l’istruzione, a confronto con quello che si respira altrove, è stigmatizzato dalle parole di Carolina Brandi: «Mentre i non molti ricercatori stranieri che vengono a lavorare in Italia tornano quasi sempre in patria dopo qualche tempo, gli scienziati italiani che vanno all’estero in grande maggioranza non tornano più». (Fonte: www.venetoeconomia.it 28-03-16)



IL MINISTERO DELLA SALUTE APRE UNA SURVEY PER FARE UNA MAPPATURA DEI RICERCATORI DEL SSN 

Il Ministero apre una consultazione pubblica riguardo alle differenti professioni sanitarie impegnate nella ricerca in Italia. Lo rende noto il Ministero della Salute in una nota. A tutti i ricercatori del SSN “viene chiesto di contribuire al lavoro di mappatura del personale di ricerca segnalando, ciascuno per il proprio profilo, se trovano corrispondenti le informazioni relative alla singola figura professionale, ovvero commentando le eventuali difformità e proponendo modifiche o integrazioni”.
“Avvertendo l’esigenza di approfondire la conoscenza di questi professionisti – prosegue la nota - , delle loro storie, background ed esperienze professionali, la Direzione Generale della Ricerca e Innovazione in Sanità del Ministero della Salute ha già avviato un lavoro di mappatura del personale impegnato ed impiegato nella ricerca”. La survey resterà attiva fino al 31 Maggio 2016.

(Fonte: www.quotidianosanita.it  26-04-16)


STATI GENERALI DELLA RICERCA SANITARIA

''Dobbiamo creare un sistema in cui sia più facile fare Ricerca in Italia, più facile brevettare ed avere una retribuzione adeguata alle proprie scoperte scientifiche, potendo contare anche su un team adeguato di supporto per la costruzione del percorso dei ricercatori stessi''. Lo ha affermato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, annunciando ''una proposta per il personale della Ricerca'' formulata all'evento “Stati generali della Ricerca” che si è tenuto il 27 e 28 aprile nella capitale.

Come riportato dall'Ansa, Lorenzin ha rilevato come sia ''normale che i ricercatori abbiano occasioni di scambio all'estero, ma ciò che non è normale è che non tornino e che l'Italia non riesca ad attrarre ricercatori stranieri''. Dunque, ''dobbiamo aumentare la nostra capacità di accoglienza con norme che agevolino sempre di più la Ricerca''.

Altro obiettivo è ''mettere in rete'': ''Per questo - ha detto Lorenzin - abbiamo creato una piattaforma per mettere in collegamento tutti i nostri ricercatori, anche quelli che sono all'estero. Per la formazione di ciascuno di loro abbiamo speso 400mila euro. Creare una community è importante, si tratta di un nostro grande patrimonio".  (Fonte: www.intelligonews.it 26-04-16)



APPLICARE ALCUNE FACILITAZIONI DI IIT AL RESTO DEL SISTEMA DELLA RICERCA ITALIANA

Se le risorse per la ricerca non ci sono (es. tutta la ricerca pubblica Italiana finanziata con 30 milioni l’anno per i prossimi tre anni con i progetti PRIN, e dopo si vedrà), appare discutibile che all’improvviso possa spuntare un coniglio dal cilindro come lo Human Technopole. In realtà, la creazione top-down, con decisione “politica”, di un’infrastruttura di ricerca, come dovrebbe essere HT, così come di un istituto di eccellenza, come avvenne nel caso dell’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) dieci anni or sono, non è qualcosa di errato. IIT è una fondazione di diritto privato, che non è soggetta ai “lacci e lacciuoli” ai quali sono costretti gli enti Pubblici di Ricerca e le Università pubbliche, come l’obbligo al ricorso del MEPA, l’assoggettamento alla VQR, ed ha la possibilità di reclutare i ricercatori con procedure simili alle selezioni pubbliche presenti nel resto del mondo. La soluzione dovrebbe essere applicare alcune facilitazioni di IIT al resto del sistema della ricerca italiana. È assurdo che la maggior parte dei ricercatori italiani di università e enti di ricerca abbia problemi ad acquistare il toner della stampante, il rotolo di carta per asciugarsi le mani o peggio i guanti di lattice per operare in laboratorio in sicurezza. Senza un finanziamento minimo che garantisca il “metabolismo basale” per fare ricerca non è possibile lavorare. Senza fondi da distribuire su base progettuale, non si permette a chi ha delle idee di poterle mettere alla prova, svilupparle e produrre cultura e innovazione. A volte idee davvero geniali possono nascere con finanziamenti apparentemente irrisori, ma non con “nulla”. Questa situazione è devastante, perché i ricercatori costano comunque (stipendi) anche se non li si mette in condizione di lavorare. Non finanziare adeguatamente la ricerca significa risparmiare spiccioli per perdere tanti soldi. (Fonte: M. Bella, FQ 04-04-16)



RACCOMANDAZIONE DEL CUN A PROPOSITO DEI RICERCATORI A TEMPO DETERMINATO TIPO B

Il Consiglio Universitario Nazionale raccomanda (Prot. n. 5893 dell’8/3/2016) che la possibilità di proroga fino al 31 dicembre 2016 dei contratti di ricercatore a tempo determinato di tipologia b) sia garantita a tutti coloro che non hanno a oggi conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale; che la possibilità di partecipare ai bandi per i suddetti contratti sia estesa a tutti gli studiosi in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale nel relativo settore concorsuale. (Fonte: Redazione Roars 09-04-16)



ENTI DI RICERCA LIBERATI DAI VINCOLI DELLA PA  

Assumere un ricercatore al Cnr, all'Agenzia spaziale all'Istat o all'Enea sarà più facile: non bisognerà più aspettare che si liberi una casella nella pianta organica, ma un ente di ricerca potrà farlo se ha le risorse a disposizione (entro però l'80% del proprio bilancio). È questa una delle misure più importanti contenute nella bozza di decreto legislativo che attua la riforma della Pa e atteso in Consiglio dei Ministri nelle prossime settimane. Come detto, tra le misure c'è quella che dovrebbe liberare le mani agli enti di ricerca nelle assunzioni di giovani ricercatori e tecnologi. Questi potranno assumere personale a tempo determinato e indeterminato «entro il limite complessivo dell'80% del proprio bilancio, incluse le risorse accertate provenienti dal turn over». Almeno il 50% dei fondi per il personale dovrà essere riservato ai contratti per ricercatori e tecnologi. In più il numero di ricercatori di prima fascia (i dirigenti) non potrà essere superiore al 30% del numero complessivo dei ricercatori di seconda fascia. (Fonte: IlSole24Ore 10-04-16)



SI CHIAMA “MARCONI” IL NUOVO SUPERCOMPUTER (ITALIANO) DEL CINECA PER LA RICERCA

È iniziata a metà aprile l’installazione del nuovo supercomputer italiano per la ricerca, un sistema co-disegnato dal Cineca sulla piattaforma NeXtScale di Lenovo. Il nuovo supercomputer sarà equipaggiato con la famiglia di processori Intel Xeon di prossima generazione, per garantire alla comunità scientifica un sistema con elevata potenza di calcolo, tecnologicamente all’avanguardia e in grado di contenere l’assorbimento di energia elettrica. “Con questo piano il Cineca riconferma la propria missione istituzionale di infrastruttura digitale di eccellenza per il calcolo e i Big Data a disposizione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica”, ha dichiarato Emilio Ferrari, presidente del Cineca. Il nuovo sistema, nome logico “MARCONI”, sarà progressivamente completato in poco più di 12 mesi, tra aprile 2016 e luglio 2017, secondo un piano di aggiornamenti successivi. (Fonte: D. Bertolino, it.ubergizmo.com  14-04-16)   



ANVUR. TUTTI I CONTI

La Determinazione e relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)

2013-2014 è stata depositata Il 5 aprile scorso dalla Corte dei conti.

Il board dell’Agenzia è composto da un consiglio direttivo di sette membri che, al suo interno, elegge il presidente, il quale resta in carica per un quinquennio, non rinnovabile, con un compenso annuo di 210 mila euro, mentre gli altri componenti del consiglio devono “accontentarsi” di 178.500 euro. Complessivamente, dunque, il consiglio direttivo ha un costo di 1.281.000 euro per annualità.

Il direttore generale dell’Agenzia viene nominato dal consiglio direttivo, su proposta del presidente, previa selezione tra soggetti di comprovata esperienza nel campo della direzione e gestione di apparati e risorse e con documentate conoscenze nel campo della valutazione delle attività del sistema delle università e della ricerca. Nel 2013 e 2014, ha percepito un compenso annuo lordo di euro 171.418 (di cui 51.152 a titolo di indennità di posizione euro e 28.500 per indennità variabile). Alla data del 31 dicembre 2014, l’Anvur poteva contare su un organico di 15 dipendenti a tempo indeterminato, di cui 2 dirigenti di II fascia e 6 funzionari valutatori. Nel 2013, i contratti di collaborazione sono stati 37, per un costo di euro 357.085; nel 2014, invece, sono risultati 106, per una spesa complessiva di euro 415.439. Inoltre, presso l’Agenzia operano a titolo gratuito diversi gruppi di lavoro, costituiti prevalentemente da docenti universitari. Nel 2013, sono stati 280, mentre nel 2014 meno della metà. Dal 2014, l’Anvur dispone di una propria sede, precedentemente era ospitata in locali appartenenti al Miur. Nel biennio in esame, l’Anvur ha fatto registrare entrate, provenienti esclusivamente da contributi statali, per euro 7.911.766 nel 2013 e per 6.493.900 nel 2014. Quanto ai risultati finanziari ed economico-patrimoniali dell’Agenzia, la Relazione della Corte dei conti evidenzia che nel 2013 il conto economico si è chiuso con un aumento dell’avanzo, il quale è passato da euro 2.249.152 nel 2012 ad euro 4.330.293, mentre nel 2014 si è ridotto ad euro 1.839.662. Il patrimonio netto nel 2013 è stato di euro 8.222.776 (euro 3.892.483, nel 2012) e nel 2014 si è attestato ad euro 10.062.438. Il saldo finanziario nel 2013 ha fatto registrare un avanzo di euro 4.340.039 (nel 2012, euro 2.226.181) e nel 2014 si riduce ad euro 1.637.959. L’avanzo di amministrazione nel 2013 ha presentato un considerevole aumento, attestandosi ad euro 8.223.370 (euro 3.869.511, nel 2012), mentre nel 2014 è stato di euro 9.878.084. (Fonte:






RICERCA. VALUTAZIONE DELLA RICERCA



PROTESTA CONTRO LA VALUTAZIONE DELLA RICERCA (VQR). LE UNIVERSITÀ PIÙ DISOBBEDIENTI ALL’ANVUR

Non è una fotografia dettagliata della prima protesta (StopVQR) contro la valutazione della ricerca (VQR) e il blocco degli stipendi dei docenti, ma dai dati diffusi dall’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca universitaria (ANVUR) emerge una realtà interessante. Nonostante le minacce ventilate, il timore di danneggiare il proprio dipartimento nella distribuzione delle risorse realizzata in base alla valutazione del triennio accademico 2011-2014, i caricamenti forzosi dei “prodotti della ricerca”, sono diversi gli atenei – anche di peso – dove la protesta si è mantenuta al di sopra della soglia psicologica del 10 per cento: Napoli Parthenope (73,7%), Reggio Calabria (82,7%), Catania (85,8%), L’Aquila (86,3%), Urbino, Roma Sapienza (86,4%), Brescia (87,1%), Basilicata (87,8%), Pavia (87,9%), Roma Tre (88%), Sannio (89,1%), Genova (89,1%), Siena (89,4%), Cagliari (89,9%), Salerno (90,3%), Messina (90,5%). Poco sotto Milano Bocconi (91%). Nello stesso giorno della pubblicazione dei dati Anvur un Gruppo di coordinamento sulle “3 missioni” dell’università (Insegnamento, Ricerca, Democrazia delle opportunità), promosso da alcuni docenti di Tor Vergata, ha rilanciato una petizione in cui si chiedono le dimissioni dei componenti dei Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV), cioè i gruppi di esperti responsabili della valutazione dei prodotti della ricerca inviati da ciascun ricercatore. “La nostra non è una protesta contro la valutazione in quanto tale, ma contro questa valutazione, perché è una delle cause principali della riconfigurazione in atto delle missioni dell’università, che si cerca di nascondere dentro il cavallo di Troia della neutralità e oggettività di algoritmi incomprensibili. Un coordinamento sorto nella speranza che iniziative analoghe possano nascere in altre università italiane e che si arrivi a “fare rete”. StopVQR non è l’impegno di una stagione. È un’idea di università”. (Fonte: R. Ciccarelli, Il Manifesto 19-03-16)



COME OPERA ANVUR. UNA CRITICA SERRATA

Anvur opera così. Cala dall’alto, senza alcuna possibilità di interlocuzione con le associazioni scientifiche e tantomeno con singoli docenti, un elenco di riviste sulle quali i ricercatori italiani devono pubblicare: devono nel senso che l’assenza di loro pubblicazioni in quelle riviste comporta una decurtazione di finanziamenti per l’Istituzione nella quale lavorano. La si potrebbe definire Scienza di Stato. Anvur non valuta tutto ciò che, oltre la ricerca, fanno i professori universitari: didattica, impegni istituzionali, partecipazione a convegni, per una quantità di ore lavoro che, in molti casi, supera di gran lunga le otto ore giornaliere, compresi i fine settimana. I componenti dell’Anvur, poi, non sono eletti ma nominati dal Ministero, con procedure alquanto opache. Anvur, infine, ha un costo di funzionamento stimabile intorno a decine di milioni di euro annui: non è poco.

La selezione delle riviste è fatta sulla base del cosiddetto fattore di impatto (impact factor), un indicatore che cattura la numerosità di lettori di una data rivista. L’impact  factor non è mai stato utilizzato, in nessun Paese al mondo, per valutare la qualità della ricerca scientifica: si tratta di un indicatore formulato per orientare le scelte di acquisto di riviste da parte delle biblioteche.

L’Agenzia valuta le pubblicazioni in relazione alla sede che le ha ospitate, indipendentemente dal loro contenuto, così che un articolo che nulla aggiunge alle nostre conoscenze, se, per puro caso, è stato pubblicato su riviste di “eccellenza” (ovvero certificate tali dall’Agenzia) riceve una valutazione molto positiva, così come, per contro, un articolo estremamente innovativo pubblicato su riviste che l’Anvur non considera buone riceve una valutazione bassa. È del tutto evidente che questo dispositivo genera attitudini conformiste, dal momento che per pubblicare su riviste considerate prestigiose (e definite di classe A) occorre uniformarsi alla loro linea editoriale, e talvolta – come spesso documentato – anche mettere in atto comportamenti eticamente discutibili.

Vi è di più. L’Anvur ha, a più riprese, riformulato le sue valutazioni; il che costituisce un segnale piuttosto eloquente della natura sperimentale degli esercizi di valutazione che compie, e della sua approssimazione. D’altra parte, l’Agenzia ha scelto curiosamente di non fare riferimento a esperienze consolidate da decenni (come quella britannica), ma di proporre nuove metodologie, con esiti a dir poco confusionari. Può essere sufficiente considerare che gli esiti della Vqr in corso non saranno confrontabili con quella precedente, generando il risultato surreale per il quale non sarà possibile capire se la produttività dei ricercatori italiani, nell’ultimo decennio, è aumentata, diminuita o rimasta costante. (Fonte: G. Forges Davanzati, www.quotidianodipuglia.it  12-04-16)



IL TEMPO GIUSTO PER LA VALUTAZIONE

La valutazione è qualcosa di troppo serio per poter essere seriale, di troppo delicato per poter essere affidato a criteri automatici o semiautomatici, di troppo importante per potere essere portato a termine in fretta, quanto prima, prima del tempo che ci vuole: «Benché sia il misconoscibile per eccellenza, il tempo è ciò che rivela la miscomprensione e la misvalutazione: è col favore del tempo che lo scarto tra vera e falsa verità, tra verità vivente e verità morta aumenta poco a poco; ed è nel corso del tempo che chi veniva scandalosamente sopravvalutato o ridicolmente gonfiato verrà ributtato nell’immenso dimenticatoio del divenire; chi era misconosciuto sarà riconosciuto. La valutazione della qualità della ricerca non può essere la base della distribuzione, anche parziale, di risorse finanziarie, per la semplice ragione che richiede il tempo che richiede, non un secondo di meno: il tempo di volta in volta giusto, per definizione non preventivabile. Il problema della valutazione non è quello di essere fatta entro, ma, semmai, quello di essere fatta non prima di. Il resto non è valutazione della qualità, semmai valutazione «senza qualità». Si abbia — se non altro — il buon gusto, il pudore, la decenza di ricorrere a un altro vocabolario. (Fonte: E. Mauro, Palaver 5 n.s., 2016, n. 1)



LA NUOVA VERSIONE DEL SISTEMA AVA (AUTOVALUTAZIONE, VALUTAZIONE PERIODICA, ACCREDITAMENTO)

L’ 8 aprile a Perugia ANVUR ha presentato la nuova versione di AVA. Il tentativo sembra quello di tenere conto delle critiche rivolte ad AVA in questi anni: giudizi appiattiti verso il basso (quasi tutti i CdS e le sedi valutate dalle CEV sono finite in fascia C), eccessiva rigidità della metodologia di valutazione, deriva burocratica, lessico “burocratese” e distante dall’oggetto che voleva cogliere, scarsa attenzione ai CdS delle aree non professionalizzanti. La nuova linea, all’insegna della parola d’ordine semplificazione, propone, apparentemente, meno adempimenti e meno scadenze, meno indicatori e più autovalutazione da parte degli Atenei in base a indicatori uniformi forniti da ANVUR. I cosiddetti “Indicatori sentinella” (o “spia”), confrontabili: carriere studenti, attrattività, internazionalizzazione, occupabilità, ore di didattica erogate dai docenti di ruolo, indicatore Poggi VQR per valutare la qualità dei docenti. Tutti concordi nella lamentazione sulla mancanza tra questi indicatori, e più in generale tra i dati ad oggi disponibili, di quelli relativi alle opinioni degli studenti. Il sistema unico nazionale con domande uguali per tutti gli Atenei (tra le quali, lo ricordiamo, erano scomparse quelle relative alla valutazione delle strutture) era stato imposto da AVA proprio con questa funzione, arrivare a dati confrontabili, condivisibili, anche in chiave FFO premiale. A detta del prof. Benedetto si tratterebbe solamente di un problema tecnico, con l’accenno a una gara europea da indire per metterli online. Un problema tecnico di lunga durata, comunque. E qualcuno, come il prof. Castagnaro, ricorda che si tratta anche di un obbligo di legge, previsto nello stesso “Regolamento concernente la struttura ed il funzionamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca” (Decreto del Presidente della Repubblica 1 febbraio 2010, n. 76). (Fonte: Redazione Roars 19-04-16)





SISTEMA UNIVERSITARIO



LA MISSIONE DELL’UNIVERSITÀ

L'università ha nei confronti del Paese una missione impegnativa: tenere viva l'intelligenza, coltivare talenti, diffondere cultura e civismo anche presso chi all'università non va, attrarre stranieri (sia studenti che docenti), consolidando la posizione internazionale del Paese. A queste funzioni bisogna aggiungere quella cruciale: creare idee, innovazioni, soluzioni, elaborazioni intellettuali avanzate, che si traducano, certo, in progresso industriale, tecnologico, sanitario, economico, ma anche in orizzonti culturali aggiornati e moderni. Sono evidenti a tutti, questi obiettivi? Gli italiani capiscono che una buona università fa bene anche a chi non la frequenta? Non dovrebbe toccare alla politica far capire al colto e all'inclita questi semplici fatti? Eppure, il tema nel suo complesso non riscalda affatto il cuore dei politici, che tutt'al più sembrano interessati a crearsi piccoli atenei personali. Bisogna vedere chi sono gli stakeholder dell'università, cioè le categorie che hanno interesse a che essa viva, prosperi e si espanda. I primi sono ovviamente i giovani: pieni di speranza, di talento e di energia, hanno bisogno di sentirsi accolti, seguiti, se occorre premiati, e di sapere che il loro contributo intellettuale è necessario e desiderato. In secondo luogo il personale universitario. Maltrattato con carriere tortuose e stipendi tutt'altro che brillanti (bloccati dal 2010), mortificato dalla convivenza coatta di persone di qualità e faccendieri, inceppato nelle carriere da concorsi assurdi e intermittenti, disorientato tra sprechi e ristrettezze, ostinato nel tenere contatti internazionali malgrado la miseria, esso ospita pur sempre talenti di alto livello, che riescono ad assicurare una produzione scientifica tra le prime del mondo. In terzo luogo le famiglie, che negli studi dei figli investono denaro e speranze, creando Pil in abbondanza. (FQ 26-03-16)



CHE COSA DEVE PRODURRE L’UNIVERSITÀ?

Che cosa deve produrre l’università? Sapere e capacità. Più ne produce, meglio è. Questo perché una popolazione forte di sapere e capacità sarà più felice, più reciprocamente rispettosa, e anche più ricca. La civiltà e la prosperità dei popoli più civili e più prosperi è direttamente proporzionale al loro tasso di istruzione. Quindi il modo più lungimirante di governare l’università è investirci molti soldi, pretendendo indietro molto sapere e formazione di alto livello. Non è pretendere che si atrofizzi su bilanci striminziti, e concentri ogni suo sforzo nel non andare in perdita. Non è pensare solo a quanto denaro entra e quanto denaro esce, ma a quanto sapere esce. L’università deve essere in grave perdita (economica), per poter rendere al meglio in sapere e capacità. È questo il suo pareggio di bilancio. Altrimenti è inutile (v. Martin Wolf, Running a university is not like selling baked beans). Invece l’università italiana viene governata da vent’anni come se la sola cosa fondamentale fossero i suoi conti economici. Di questa tendenza fa parte l’accento che la governance mette sul fund raising. Fra i parametri in base a cui si valutano e si premiano i professori universitari, acquisisce sempre più importanza la capacità di organizzare progetti di ricerca finanziati da entità esterne. Così i docenti universitari vengono costretti ad accantonare i problemi scientifici e l’attenzione didattica, per concentrarsi su modi di ottenere soldi dall’esterno. (Fonte: E. Lombardi Vallauri, Il Mulino 30-03-16)



DIVERGENZA DEL SISTEMA PER EFFETTO DELLE POLITICHE UNIVERSITARIE DEL FINANZIAMENTO

Il sistema universitario è stato governato in modo da produrre un’assoluta e totale divergenza. Perché? Perché le politiche universitarie del finanziamento delle università sono state basate su una serie di indicatori che incorporano una scelta di polarizzazione del sistema, che ha creato degli effetti allocativi fortissimi, per cui una piccola parte del sistema, corrispondente al Nord centrale, è stata relativamente difesa; una grande parte del sistema, il Nord periferico, il Centro e il Sud continentale è stata colpita fortemente e un’altra parte del sistema - le isole - è stata massacrata. Quindi, il Principe ha deciso che c’erano università migliori, premiate,  e università peggiori. Come ha deciso il Principe? La mia personale opinione è che ha deciso tramite una delle peggiori politiche pubbliche degli ultimi anni. L’allocazione del fondo premiale per l’università è stata - a mio avviso - una delle peggiori politiche pubbliche degli ultimi anni. Gli indicatori sono stati definiti tutti dopo aver avuto i dati, sono cambiati tutti gli anni, ne sono stati usati ventidue in sette anni. Tutti gli indicatori sono relativi a valori assoluti e mai a indicatori di miglioramento. Quasi tutti gli indicatori hanno rapporti più con le condizioni di contesto in cui sono collocate le università che col comportamento delle università. La VQR, la Valutazione della Qualità della Ricerca gestita dall’ANVUR, è stata utilizzata anche in questo modo e siamo arrivati al paradosso che lo stesso indicatore della VQR, cioè l’IRAS3 [qualità del reclutamento] ha prodotto due classifiche completamente diverse in base agli stessi dati. Dunque, la politica ha prodotto la divergenza sulla base di scelte d-i-s-c-r-e-z-i-o-n-a-l-i del “Principe”, mascherate da indicatori tecnici. (Fonte: G. Viesti, forum organizzato dal Mattino di Napoli il16 marzo 2016)

ATTRATIVITA' UNIV TA MEZZOGG 98-13 21-03-16



I 10 PUNTI DEI RETTORI PER INAUGURARE UNA NUOVA PRIMAVERA DELL’UNIVERSITÀ

Il 21 Marzo è diventato una data simbolica per l’Università italiana. La CRUI ha chiamato a raccolta gli atenei per lanciare un allarme sul rischio di perdita di competitività internazionale. Sono 10 i punti che gli 80 atenei aderenti alla Conferenza dei Rettori hanno messo in evidenza per inaugurare una Nuova Primavera:

• L’istruzione universitaria crea individui più liberi e più forti. La laurea aumenta la possibilità di trovare occupazione e consente di guadagnare di più. Fatto 100 lo stipendio di un diplomato, quello di un laureato è pari a 143. Un tasso di disoccupazione pari al 30% per i diplomati, scende al 17,7% per il laureati.

• La presenza di un’università genera territori più ricchi. Attraverso trasferimenti di tecnologia, contaminazione di conoscenza, divulgazione, sanità e servizi per i cittadini, posti di lavoro diretti e indiretti, consumi dei residenti temporanei, miglior qualità della vita culturale. 1 euro investito nell’università frutta almeno 1 euro al territorio.

• Grazie all’università il Paese è più innovativo e competitivo. Nonostante crisi e sottofinanziamento l’Italia si colloca all’8° posto tra i Paesi OCSE e davanti alla Cina per quantità assoluta e qualità della produzione scientifica.

• L’Italia ha il numero di laureati più basso d’Europa (e non solo). UK 42%; OCSE 33%; UE21 32%; Francia 32%; G20 28%; Germania 27%; Italia 17%.

• L’Italia non investe nell’università. Investimento in euro per abitante: Singapore 573 , Corea del Sud 628, Giappone 331, Francia 303 e Germania 304. Italia 109.

• L’Italia ha applicato l’austerity all’università. Fondi pubblici nel 2009: 7.485 mln. Nel 2016: 6.556 (-9.9%). Fondi pubblici 2010-2013: Francia + 3,6% Germania +20%

• L’università è in declino. Meno studenti, meno docenti, meno dottori di ricerca. 130.000 studenti in meno su 1.700.000 negli ultimi 5 anni. 10.000 docenti e ricercatori in meno su 60.500 dal 2008 al 2015. 5000 dottori di ricerca in meno negli ultimi 5 anni.

• Il diritto allo studio non è più garantito. Italia 0%-9% degli studenti usufruisce degli strumenti di supporto allo studio. In Germania il 10%-30% degli studenti. In Francia fra il 40% e l’80%. Inoltre in Italia il numero degli aventi diritto supera la disponibilità delle risorse.

• Personale tecnico-amministrativo e docenti non sono incentivati. Il contratto di lavoro del personale tecnico-amministrativo è fermo al 2009, gli stipendi dei docenti al 2010. Le retribuzioni sono fra le più basse d’Europa.

• Norme bizantine impediscono all’Università di essere competitiva.




I DATI DEL DECLINO DELL’UNIVERSITÀ

I dati sull’istruzione universitaria in Italia riferiti dalla CRUI raccontano un declino progressivo e drammatico. Il nostro è, tra i Paesi a maggiore sviluppo, uno tra quelli con il più basso numero di laureati sul totale della forza lavoro: 19%, contro il 35% della Francia o il 39% del Regno Unito. L’Italia destina al sistema universitario lo 0,4% del Pil, contro lo 0,73% della Spagna o lo 0,99% della Francia. Fa impressione, in particolare, la radicale diversità delle politiche sull’università con cui in Europa si è affrontata la crisi economica: tra il 2010 e il 2013 in Italia gli investimenti pubblici sono calati del 9,9%; in Francia e in Germania, nello stesso periodo, sono aumentati del 3,6% e del 20%. La spesa per studente pro capite, a prezzi costanti e a parità di potere d’acquisto, in Italia è diminuita dell’11%, mentre in Germania è cresciuta del 12,6% e in Francia del 16,1%.

Un deficit di investimenti per le generazioni future che non ha mancato di produrre effetti pesanti sul numero degli immatricolati negli atenei italiani, calati del 13% tra il 2007 e il 2013 (ma al Sud il dato negativo è del 21%). Il tasso medio di passaggio all’università per studente superiore è calato dallo 0,56 allo 0,52: su 100 studenti che nel 2005 frequentavano l’università in ciascun Paese Ocse, ora in Italia ne rimangono 97, mentre sono aumentati a 114 in Spagna e 119 in Germania.

Tra i fattori che gravano sull’accesso all’istruzione universitaria, fondamentale è la mancanza di sostegno finanziario agli iscritti. Non solo l’università italiana è costretta a una tassazione studentesca elevata rispetto alla media europea, ma il numero di borse di studio per i nostri studenti è del tutto inadeguato. Nel 2012 le borse assegnate sono state 120mila, contro le 305mila in Spagna e le 620mila in Francia. L’Italia investe in ricerca e sviluppo meno dell’1,5% del Pil contro il 2% della media europea. Eppure il nostro Paese riesce comunque a classificarsi ai vertici per la sua produzione scientifica (siamo ottavi tra le nazioni Ocse). Ma i fondi ministeriali sono in discesa, e ciò si ripercuote anche sui posti di dottorato di ricerca bandito: dal 2007 il calo è stato del 22%, e l’Italia è tra gli Stati Ocse con il più basso numero di dottorandi ogni 1000 abitanti (0,6, contro i 2,6 della Germania). Il sottofinanziamento falcidia anche il personale delle università: dal 2007 al 2014 sono stati oltre 15mila i docenti e tecnici-amministrativi persi dagli atenei italiani. Un crollo del 13% dovuto ai limiti di legge al turn cover e alla diminuzione delle risorse, molto superiore al calo medio dell’ organico sopportato da tutte le altre amministrazioni pubbliche (il 5%).

(Fonte: Ilbo 21-03-16)



NON RASSEGNARSI AL DECLINO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA

L’Italia si colloca all’8° posto tra i paesi Ocse per quantità e qualità della produzione scientifica ed ai primi posti per produttività individuale dei ricercatori. D’altro canto, invece, l’Italia ha il numero di laureati più basso d’Europa (e non solo): Uk 42%; Ocse 33%; Ue 32%; Francia 32%; G20 28%; Germania 27%; Italia 17%. Oggi abbiamo meno studenti, meno docenti, meno dottori di ricerca: 130.000 studenti, 10.000 docenti e ricercatori, 5000 dottori di ricerca in meno negli ultimi anni. E questo perché, in primo luogo, l’Italia non investe nell’università: Singapore spende 573 euro per abitante, Corea del Sud 628, Giappone 331, Francia 303, Germania 304. Italia 109. Anzi, in questi anni di crisi, l’Italia ha applicato l’austerity all’università: i fondi pubblici sono diminuiti (-9.9%) mentre contemporaneamente sono aumentati in Francia (+3,6%) e Germania (+20%). Ecco perché la Sapienza invita la più grande comunità universitaria italiana a una discussione allargata e plurale, impegnata ad avanzare proposte per rilanciare il ruolo della ricerca e della formazione: con il suo passato di cultura e tradizione, l’Italia non può e non deve rassegnarsi a un pericoloso declino. Solo investendo su formazione, cultura, innovazione e puntando decisamente sui giovani il Paese uscirà dalla crisi. (Fonte: E. Gaudio, roma.corriere.it  16-03-16)



ESIGENZE SECONDO LA FLC CGIL PER CREARE UN SISTEMA UNIVERSITARIO ALL’ALTEZZA DELLE NECESSITÀ DEL PAESE

Se veramente si vuole creare un sistema universitario all’altezza delle necessità scientifiche, culturali e produttive del Paese, debbano essere richiamate con forza innanzitutto queste esigenze:

-       Costruire un diritto allo studio che rispetti in pieno il mandato costituzionale;

-       Assegnare agli atenei risorse sufficienti a garantire a tutti gli studiosi validi, strutturati e non, opportunità di carriera e condizioni di lavoro degne dell’importanza che la ricerca e l’insegnamento universitario hanno per questo Paese;

-       La ripresa di un piano ordinario di finanziamento della ricerca di base per sostenere le capacità di ricerca del nostro sistema;

-       Estendere le tutele di disoccupazione a tutti i precari della ricerca;

-       Riconoscere giuridicamente ai docenti il servizio prestato negli anni 2011-2015;

-       Garantire la ripresa della normale dinamica contrattuale per il personale tecnico amministrativo e bibliotecario e per i lettori/cel dando avvio al percorso di rinnovo, economico e giuridico, dei contratti. (Fonte: www.flcgil.it 17-03-16)



DISATTENZIONE PER LA MODERNIZZAZIONE DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE

La Commissione Europea ha indetto una Consultazione pubblica sulla modernizzazione della formazione superiore (Public consultation on a renewed Modernisation Agenda for Higher Education in the European Union), aperta il 27 novembre 2015 e ormai chiusa il 29 febbraio 2016, ma ancora visibile all’URL: http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/more_info/consultations/new-modernisation-agenda_en.htm.

Quale è stato il contributo italiano alla consultazione? Nullo, o quasi. Né risulta che da parte del MIUR sia stata data alcuna informazione, indicazione o sollecitazione a parteciparvi; nessuna informazione è stata data al CUN, nessuna alla CRUI o direttamente agli Atenei. Il vuoto più assoluto. Come è possibile tanta disattenzione? Eppure da diversi anni il tema della modernizzazione della didattica è affrontato molto decisamente dalla Commissione Europea, che lo ha posto tra le priorità della propria agenda, nella convinzione che proprio dalla qualità della formazione superiore dipenderà la crescita, lo sviluppo e la competitività dell’Unione. Per rendersene conto è sufficiente leggere alcuni documenti recenti della Commissione, come ad esempio: Opening up education: innovative teaching and learning for all through new technologies and open educational resource.

I temi della qualità della didattica, della sua modernizzazione e della formazione alla docenza sono pressoché ignorati dal legislatore italiano, che pare avere ampiamente sottovalutato gli effetti negativi che derivano da un impianto normativo molto sbilanciato, che penalizza e talora perfino ostacola lo svilupparsi di una didattica di qualità; in particolare:

-       La didattica è del tutto irrilevante ai fini dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), perché quest’ultima è concepita come esclusivamente scientifica; di conseguenza i professori associati e i ricercatori di ruolo sono indotti a concentrarsi sul miglioramento dei propri indicatori e parametri per conseguire l’abilitazione e a trascurare la didattica; a maggior ragione lo sono i Ricercatori a Tempo Determinato (RTD), preoccupati dal fatto che, se non conseguono l’ASN, sono destinati ad essere espulsi dal sistema universitario;

-       i pesanti adempimenti burocratici, imposti centralmente, lungi dal toccare il tema della modernizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento e privi come sono di ricadute premiali, non incentivano e non valorizzano le iniziative di miglioramento della didattica e lo sviluppo di “best practice” in campo didattico;

-       non vi è alcun richiamo alla necessità di armonizzare la formazione superiore nell’ambito del Processo di Bologna e in particolare non si trova traccia di un’impostazione didattica centrata sull’apprendimento dello studente anziché sull’insegnamento del docente, come richiesto dai più moderni paradigmi didattici.

-       Altri provvedimenti successivi continuano a privilegiare la ricerca rispetto alla didattica; è il caso del Decreto che ripartisce il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) tra gli atenei per il 2015, che attribuisce l’85% della quota premiale alla qualità della ricerca, il 15% alla mobilità studentesca e alla regolarità degli studi e 0% alla qualità della didattica.

(Fonte: A. Stella, www.roars.it 30-03-16)



A GOVERNMENT-SUPPORTED, BUT MARKET-ORIENTED, HIGHER EDUCATION SYSTEM IS OPEN TO ABUSE

The question is partly whether it makes sense to view higher education as a business. The government recognises problems. But it underestimates them. In its origins and still today, a university is a special institution: a community of teachers and scholars. Its purpose is to generate and impart understanding, from generation to generation. The university is a glory of our civilisation. It is neither a business nor a training school. Of all this, the discussion document shows little inkling. Abusing a label may not matter so much; not recognising the role of universities does.

An immediate concern, however, is whether the conditions for a competitive market exist. Special institutions have long provided higher education, for good reasons. By definition, students cannot understand what they are buying: that is what makes them students. The value of what they obtain is likely to become evident over many years. They rely on reputation. They must believe, therefore, that the institution cares about its reputation. That is why the longevity of these institutions is so vital. (Fonte: M. Wolf, next.ft.com 18-02-16)



TESI DELL’ADI (ASSOCIAZIONE DOTTORANDI E DOTTORI DI RICERCA ITALIANI) SUL PERCHÈ L’UNIVERSITÀ ITALIANA È POCO ATTRATTIVA

Secondo l’ADI vi è la necessità di interventi sistematici, le cui ragioni sono riassumibili nelle seguenti tesi. La prima tesi è che l’Università italiana è scarsamente attrattiva perché si basa sul precariato della ricerca. La seconda tesi è che l’università è poco attrattiva perché finanziata poco e male. La terza tesi è che non esiste l’università senza i suoi studenti.

L’Università italiana è scarsamente attrattiva perché si basa sul precariato della ricerca. Oltre il 50% del personale universitario fa ricerca senza una posizione di ruolo, incastrato in un meccanismo di reclutamento che, dopo il dottorato, prevede una giungla di contratti parasubordinati (borse e assegni di ricerca) e a tempo determinato (ricercatori a t.d. di tipo “a” e “b”). Al netto dei periodi di lavoro gratuito, la “gavetta” in Italia dura almeno 12 anni mentre,  stando ai tassi di reclutamento attuali, solo l’8% degli attuali 14.400 assegnisti di ricerca avrà la possibilità di concorrere per una posizione di ruolo (V Indagine annuale ADI), avendo superato da lungo tempo i 40 anni. Concordiamo con i vincitori dei fondi ERC quando scrivono “Allo scopo di attrarre ricercatori dall’estero e non far scappare molti dei migliori ricercatori italiani, è necessario presentare loro un piano chiaro per lo sviluppo della propria carriera.” Riteniamo che il primo passo per raggiungere questo obiettivo sia lo sblocco del turn-over in vigore dal 2008, un sostanziale innalzamento dei tassi di reclutamento – le misure contenute nell’ultima legge di stabilità sono largamente insufficienti – e una riforma del pre-ruolo che semplifichi le figure contrattuali e aumenti le tutele.

L’università è poco attrattiva perché finanziata poco e male. A partire dal 2009, il sistema accademico nazionale ha accumulato tagli per circa 800 milioni di euro che si sono abbattuti in modo differente sui diversi territori, colpendo soprattutto il Mezzogiorno. Un grande numero di università deve così ridimensionarsi e i primi a farne le spese sono studenti e ricercatori precari. E’ indispensabile dunque aumentare il finanziamento all’università italiana e ripensarne la distribuzione, distinguendo nettamente quota ordinaria e quota premiale con il fine di aumentare il livello medio di tutto il sistema .

La situazione del Diritto allo Studio nel nostro paese è drammatica e gli interventi messi in campo dal Governo risultano insufficienti, come nel caso del recente decreto di aggiornamento delle soglie Isee e Ispe, che non ha reintegrato totalmente la platea degli esclusi dalla borsa di studio. Solo il 10 % degli studenti è beneficiario di borsa di studio contro il 19% della Spagna e il 27 % della Francia. Il sistema per come è strutturato inoltre produce delle profonde sperequazioni tra le regioni che passano da un 100% di coperture delle borse (Toscana) al 32% della Sicilia. (Fonte:




LA PREVISIONE DELL’”OSPEDALE UNIVERSITARIO”

Ha scritto tempo fa il professor Livrea: “Le Aziende Ospedaliere Universitarie sono la sede del triennio clinico del corso di laurea in medicina e chirurgia (oltre ai Policlinici universitari) e dopo 16 anni di applicazione della 517/99 è drammaticamente evidente la disomogeneità con cui si sono realizzate e la loro organizzazione mutuata dai modelli ospedalieri, dimostrando di non essere riusciti a rispondere adeguatamente (ed è un eufemismo n.p.) all’esigenza primaria per cui erano nate.  Sarebbe necessaria una rivisitazione della legge 517/99 con la previsione dell’”Ospedale Universitario” nel quale tutte le attività, tutta l’azione amministrativa, nonché i criteri di valutazione complessivi sono fondati sulla inscindibilità tra clinica, ricerca e didattica che non è una prerogativa della sola medicina universitaria ma di tutta la medicina.

Oggi le Aziende Ospedaliere Universitarie sono di fatto l’assemblaggio di due componenti: quella universitaria che non vuole essere assimilata a quella ospedaliera e quella ospedaliera per la quale non è primaria la sussistenza e la qualità della formazione degli studenti. Le amministrazioni delle Aziende hanno teso a trasformare il lavoro universitario in lavoro ospedaliero mentre sarebbe necessario cooptare il lavoro ospedaliero alla finalità formativa e di ricerca scientifica dell’università (per esempio creare la posizione occupazionale del docente aggiunto)”. Naturalmente questi sono solo fugaci cenni di un problema complesso che deve essere adeguatamente approfondito. (Fonte: B. Ravera, www.quotidianosanita.it  29-04-16)





STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO



PER LE BORSE DI STUDIO 2015 ARRIVA IL FONDO INTEGRATIVO STATALE

La Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’intesa sul riparto tra le Regioni del Fondo integrativo statale per le borse di studio per l’anno 2015. Rispetto al fondo 2014, quello del 2015 arriva con un ritardo di quattro mesi piuttosto che di nove. Ciononostante il risultato non è positivo essendo dicembre la data naturale perché la liquidazione del finanziamento produca i suoi effetti nell’anno. Viene ripartito secondo le regole fissate da un decreto del Presidente del Consiglio del 2001 che all’articolo 16 prevede che il 50% del fondo sia attribuito in proporzione alla spesa destinata alla concessione delle borse di studio. Una quota pari al 35% è ripartita in base al numero di idonei nelle graduatorie per la concessione delle borse di studio nell’anno accademico in corso. Il rimanente 15% viene erogato in proporzione al numero di posti alloggio, in gestione diretta o indiretta, degli organismi regionali di gestione effettivamente disponibili. (Fonte: www.iostudionews.it  14-04-16)



LA DISCESA: -20% GLI IMMATRICOLATI, -17% I DOCENTI, -18% IL PERSONALE TA E -22,5% IL FFO

Dal periodo di massima espansione dell'università (2004-2008) al 2014-2015 tutte le "voci" del sistema riportano il segno meno. Così troviamo: -20% di immatricolati (da 326.000 a 260.000), -17% di docenti (da 63000 a 52.000), -18% di personale amministrativo (da 72.000 a 59000) e -18% ancora di corsi di studio (da 5.634 a 4.628). E naturalmente il Fondo di finanziamento ordinario (FFO) scende del 22,5%. In particolare, a partire dal 2009 questo risulta composto da una quota base (ridotta dai 6,7 miliardi ai 4,9 del 2015) e da una quota premiale che tende sempre di più a crescere (dai 524 milioni del 2009 a 1 miliardo e 385 milioni del 2015). Il problema è che quest'ultima - denuncia una ricerca della Fondazione Res (istituto di Ricerca e società in Sicilia) coordinata e curata da Gianfranco Viesti, docente di economia all'Università di Bari - è determinata da un sistema di 22 indicatori che cambiano ogni anno. «Un sistema barocco», scrive Viesti. Per far fronte al quale a poco servono gli "aggiustamenti" in corso d'opera. A pagare le conseguenze sono soprattutto le università del Sud: mentre al Nord il taglio del FFO è del 4,3% al Centro e al Sud è del 12% con picchi nelle isole (a Messina è stato del 22,7%). Il crollo del Sud lo si vede poi anche nella garanzia del diritto allo studio. Rispetto al Centro Nord dove il 90% degli studenti idonei riceve la borsa di studio, nelle isole è il 38% e nel Mezzogiorno continentale il 61%.(Fonte: D. Coccoli, Left 19-03-16)



I FUTURI STUDENTI UNIVERSITARI SI CONCENTRANO PIÙ SUL TEST CHE SULL'ESAME DI STATO

I 2.500 studenti di V superiore del campione di un'indagine di Skuola.net, in collaborazione con UnidTest, sono convinti che per l'università la maturità conta poco. Ben 1 maturando su 4 che sogna un futuro da medico o odontoiatra è concentrato più sul test che sull'esame di Stato. Addirittura 1 su 3 in caso di aspiranti medici veterinari. «Un fenomeno che potremmo definire di 'americanizzazione' della scuola italiana», spiega Gianluca Di Muro di UnidTest. Tuttavia, il 53% degli studenti non riceve alcun aiuto dai docenti nella preparazione dell'ammissione all'università. Così, la metà ha già iniziato a studiare e, di questi, 1 su 3 già in IV superiore. Il più delle volte affidandosi a libri specializzati, lo strumento più diffuso tra gli aspiranti medici, architetti e professionisti della sanità. Puntano alle sempre più diffuse simulazioni online soprattutto i futuri ingegneri. Mentre i corsi li seguono in pochi: appena il 17% di chi si prepara al test di medicina, il 10% di chi si giocherà il suo futuro con le prove degli altri corsi, solo il 2% di chi sogna di diventare medico veterinario. Quasi l'80% degli intervistati, poi, conta di provare due o più test. Delle 271.119 matricole ben 8 su 10 provengono dal liceo. Con i diplomati del classico che prediligono l'area giuridica e letteraria; quelli dello scientifico le aree ingegneria, economico-statistica, geo-biologica e medica; il 34,5% degli studenti con maturità linguistica prosegue gli studi nella stessa area; insegnamento e politico-sociale per i diplomi di scienze umane. Il 20,3% degli immatricolati proviene dagli istituti tecnici e il 3,7% dai professionali. Aumenta il passaggio dalla scuola all'università: dopo diversi anni di fase negativa più della metà dei diplomati si è iscritta quest'anno a un corso di laurea subito dopo l'esame di Stato. (Fonte: E. Micucci, ItaliaOggi 22-03-16)



AMMISSIONE GIURISPRUDENZIALE IN SOPRANNUMERO A MEDICINA. SUMMUM IUS, SUMMA INIURIA.

A Salerno abbiamo una Facoltà di Medicina di recente istituzione che nei suoi primi anni di vita, favorita probabilmente dal relativamente basso numero di iscritti, è riuscita a realizzare un insegnamento tutoriale con buoni risultati, validati dallo studio Anvur e dal fatto che i suoi laureati si sono piazzati molto bene nei concorsi di ammissione alle Scuole di Specializzazione in tutta Italia. 

Poi è intervenuto lo tsunami rappresentato dalla sentenza del Tar che ha ammesso negli ultimi anni centinaia (per il 2016 soltanto a Salerno 330) di studenti in soprannumero, mettendo in crisi la loro formazione. Per le lezioni frontali si è riusciti a reperire con difficoltà altre aule, ma per i laboratori e per il triennio clinico sarà un grosso problema. Avevano ragione gli antichi romani: Summum ius, Summa iniuria. Tra parentesi, mi sono sempre chiesto perché i Rettori delle Università colpite da questo sciagurato tsunami non abbiano a loro volta fatto ricorso al Tar. (Fonte: B. Ravera, www.quotidianosanita.it  29-04-16)



IL SUCCESSO DI ERASMUS

Il successo dell’Erasmus (trasformato in ErasmusPlus nel 2014) è dovuto alla sua forte valenza educativa e sociale. Infatti, la sua finalità non è solo quella di favorire lo studio, l’occupazione e le prospettive reddituali dei giovani e di permettere attraverso un’accresciuta mobilità la creazione di un mercato unico europeo del lavoro, ma anche quella di instillare nelle nuove generazioni un’identità europea e una maggiore apertura alla diversità sociale e culturale. L’evidenza esistente, anche se scarsa, mostra quindi risultati incoraggianti che fanno ritenere che investire nella mobilità degli studenti possa rappresentare una buona strategia per accrescere l’occupabilità dei laureati, rimettere in moto su scala europea l’ascensore sociale e rafforzare il senso della cittadinanza europea tra le giovani generazioni. L’Italia è tra i paesi europei con il maggior numero di studenti in uscita ed in entrata: quarto posto (dopo Spagna, Germania e Francia) per numero di studenti in partenza (anno 2013-14) e quinto posto (dopo Spagna, Germania, Francia e Regno Unito) per numero di studenti in arrivo. In ogni caso il sistema universitario italiano utilizza ancora poco questo strumento poiché nell’anno accademico 2012-13 gli studenti universitari italiani in Erasmus costituivano il 7% dei laureati italiani nel medesimo anno. (Fonte: M. De Paola e D. Infante, lavoce.info 29-03-16)



BORSE DI STUDIO. VINCITORI SENZA BORSA E INTERVENTO DELLE REGIONI

Sono migliaia gli studenti che non usufruiscono dei sussidi economici pur avendone diritto, perché il numero degli idonei è superiore alle risorse disponibili (e le ultime vicende della revisione dei criteri Isee hanno infiammato il dibattito). Dal 2009 in poi è emerso uno squilibrio tra gli idonei alla borsa di studio e gli effettivi borsisti, creando l'originale quanto ingiusta figura del "vincitore senza borsa" con i requisiti per accedere al sostegno economico ma escluso per mancanza di fondi (si parla di un universitario su 4 tra gli aventi diritto, per un totale di circa 40mila studenti esclusi tra il 2009 e il 2014, senza che il problema sia stato risolto negli ultimi anni). Certo, sarebbe sbagliato generalizzare. Esistono infatti differenze anche sostanziali tra le regioni nella percentuale di copertura delle borse di studio, con eccellenze tra Emilia Romagna, Toscana e Basilicata e record negativi per Calabria e Campania (come mostrato dal Rapporto sulla condizione studentesca 2015 del Consiglio nazionale degli studenti). Ci sono inoltre atenei che lanciano specifiche iniziative in materia di sussidi economici per garantire il diritto allo studio. Una di queste, ad esempio, è l'Università Niccolò Cusano di Roma, che i suoi "Click Days", negli ultimi tre anni accademici, ha messo a disposizione 800 borse di studio. (Fonte: roma.repubblica.it 29-03-16)



DIRITTO ALLO STUDIO. LA REGIONE EMILIA-ROMAGNA CON LA BASILICATA E LA VALLE D'AOSTA GARANTISCE CON CONTINUITÀ I BENEFICI A TUTTI GLI STUDENTI IDONEI

"Siamo tra le poche Regioni, ", spiega l’assessore regionale all’Università. Più di venti milioni, ogni anno, sino al 2018 per il diritto allo studio. Sono le risorse che la Regione ha stanziato per gli studenti universitari: mense, alloggi, borse di studio. Tra le novità, l'intenzione della Giunta di allargare il numero dei destinatari diversificando gli aiuti necessari ai giovani iscritti negli Atenei emiliano-romagnoli. E poi borse di studio per chi va all'estero a completare il corso di laurea o a fare la tesi. E un sostegno economico ai dottori di ricerca senza borsa di studio. Per raggiungere la più ampia copertura delle borse di studio, la Regione - si legge in una nota - nel prossimo triennio intende riadeguare gli importi degli interventi e aggiornare le soglie economiche di accesso ai nuovi valori ministeriali (nuove soglie Isee a 23mila euro e Ispe a 50mila). La borsa di studio potrà essere composta in quota in denaro e in quota in servizi gratuiti come l'alloggio e la mensa. Nell'anno accademico 2014-2015 la borsa di studio è stata assegnata a 19.265 studenti, con un incremento di oltre il 4% di idonei rispetto all'anno precedente. I posti letto attualmente disponibili sul territorio regionale sono 3.504. Sono 76 i punti ristorativi attivi in regione, di cui 12 mense, che nel 2015 hanno erogato oltre due milioni di pasti. (Fonte: I. Venturi, Repubblica.it Bologna 14-04-16)



SONDAGGIO SU OLTRE 10 MILA LAUREATI E STUDENTI. I GIOVANI CRITICANO L'UNIVERSITÀ E CHIEDONO PIÙ RAPPORTI COL LAVORO

Un sondaggio su oltre 10 mila laureati e studenti realizzato dal Premio Sanpellegrino Campus è stato presentato il 6 aprile presso lo Iulm di Milano al convegno «Giovani e Lavoro: quale sistema tra università e aziende per favorire l'occupazione giovanile e far vincere il Made in Italy». Tra le maggiori difficoltà per l'accesso al mondo del lavoro i giovani segnalano la mancanza di esperienza. È un cane che si morde la coda: le aziende cercano persone con un bagaglio minimo, ma il mondo del lavoro e l'università non aiutano sempre i giovani a crearlo. È l'opinione di oltre un giovane su quattro (26%), mentre altri segnalano l'over education: a volte i laureati sono troppo qualificati per le posizioni in azienda (13,5%). Secondo gli intervistati, l'università italiana non accompagna al mondo del lavoro e propone troppa teoria e poca pratica. La pensa così quasi un giovane su due (46,5%). Per circa sei giovani su dieci manca un ponte di collegamento tra aziende, laureati e studenti e una forte azione di training interno alle imprese per accompagnare i giovani, mentre l'università non permette di fare molta pratica, ciò che impedisce di essere immediatamente operativi sul mercato. Per avvicinare i giovani al mondo del lavoro a muoversi di più dovrebbero essere le università (22,5%) e lo Stato (20%), ma anche le aziende (14%) e le agenzie del lavoro (11%). (Fonte: La Stampa 04-04-16)



DIRITTO ALLO STUDIO. STUDENTI E SINDACATI LANCIANO UNA LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE

I tagli della riforma Gelmini hanno intaccato considerevolmente il Fondo nazionale per le borse di studio, mentre aumentavano le tasse universitarie e le Regioni – a cui spetta l’erogazione delle borse di studio – si muovono a macchia di leopardo. Alcune, più virtuose, come l’Emilia Romagna, riescono a garantire totalmente il diritto allo studio, altre, soprattutto al Sud e nelle isole non ce la fanno. Nell’anno accademico 2014-2015 in 40mila sono stati dichiarati idonei a ricevere la borsa ma non l’hanno ricevuta. Cosa prevede la legge di iniziativa popolare? Sono 17 articoli molto dettagliati che vanno dalla garanzia del diritto all’assistenza sanitaria gratuita per tutti gli studenti ai trasporti e poi ai requisiti per ottenere le borse di studio, comprendendo anche la definizione dei Lep (livelli essenziali di prestazione). “La soglia Isee viene innalzata per la borsa di studio a 23.000 euro, mentre la soglia Isee per la borsa servizi viene fissata a 28.000 euro”, si legge. Mentre “contestualmente chiediamo l’abolizione dell’Ispe, che con l’introduzione del nuovo calcolo si è rivelato il principale fattore di esclusione dai benefici di Diritto allo studio”. (Fonte: www.left.it  11-04-16)



STUDENTI FUORISEDE. I COSTI IN UN’INDAGINE FEDERCONSUMATORI

Una Indagine Federconsumatori sui fuorisede 2016 ha stimato un costo medio annuo che supera gli 8mila euro per uno studente che rientra nella seconda fascia di reddito. I fuorisede in Italia sono 600mila e le loro famiglie si trovano a dover sostenere spese ingenti per consentire ai figli di conseguire la laurea in un’università lontano da casa. L’Indagine Federconsumatori sui fuorisede 2016 ha preso in considerazione il costo della vita per uno studente inserito nella fascia di reddito ISEE che arriva fino a 10mila euro annui, calcolando non solo l’importo delle tasse universitarie, ma anche le uscite relative all’affitto e alle utenze, ai trasporti (sia locali sia le spese per i periodici rientri a casa), ai libri e all’altro materiale didattico. Per coloro che scelgono una stanza doppia, l’Indagine Federconsumatori sui fuorisede 2016 segnala un esborso annuo medio di 8mila euro, che sale a 9.339,48 euro (facendo segnare un aumento dello 0,45 per cento rispetto al 2014) se lo studente prende in affitto una stanza singola. Ciò significa che le famiglie debbono farsi carico di una spesa mensile che mediamente oscilla tra i 667 e i 778 euro, un impegno non da poco per nuclei il cui reddito non è particolarmente elevato. Per gli studenti che rientrano nella terza fascia (con ISEE tra i 10mila e i 20mila euro), invece, la spesa annua ammonta a 8.298,89 euro, se optano per la stanza doppia, e 9.638,37 euro (+0,26 per cento rispetto al 2014), se scelgono la singola. L’Indagine Federconsumatori sui fuorisede 2016 rivela che per quanti studiano lontano da casa c’è un surplus di spesa rispetto a chi vive ancora con i genitori che mediamente può arrivare anche a 7.859 euro annui. Chi non si sposta dalla propria residenza, infatti, all’anno spende in media 1.480,15 euro se in seconda fascia e 1.779,04 euro se in terza. (Fonte: www.universita.it  07-04-16)



UNIVERSITÀ NON STATALI. LIMITE MASSIMO DI DETRAIBILITÀ DELLE TASSE E CONTRIBUTI DI ISCRIZIONE

Il decreto del Miur 288 del 29 aprile scorso stabilisce il limite massimo di detraibilità delle tasse e contributi di iscrizione alle università non statali. I limiti di spesa sono stati individuati in base all'area disciplinare di afferenza dei corsi (medica, sanitaria, scientifico - tecnologica e umanistico sociale) e sede territoriale in regioni del Nord, Centro e Sud. Ad esempio per i corsi universitari di istruzione dell'area medica, nonché per i corsi di dottorato, di specializzazione e ai master universitari di primo e secondo livello di qualsiasi area, l'importo massimo su cui determinare la detrazione, nei limiti dell'onere effettivamente sostenuto dallo studente, è pari a 3.700 euro per le università con sede in Regioni del Nord, 2.900 euro per il Centro e 1.800 euro per il Sud e le isole.

Il limite d'importo detraibile indicato dal decreto deve essere incrementato, ai fini di stabilire la detrazione d'imposta, dell'importo relativo alla tassa regionale per il diritto allo studio (articolo 3 della legge 549/1995). Sarà poi un decreto ministeriale da pubblicare nel sito del Miur ad aggiornare gli importi entro il 31 dicembre di ogni anno. (Fonte: M. Magrini, IlSole24Ore 03-05-16)



PER GLI ITALIANI CHE PARTECIPANO A ERASMUS CONSENTITO IL VOTO A DISTANZA

Fino allo scorso 17 aprile i circa 25mila studenti universitari italiani Erasmus, ai quali vanno aggiunti gli studenti impegnati in altri programmi di mobilità, i ricercatori universitari e tutti i lavoratori impegnati all'estero per periodi di durata compresa tra alcuni mesi e un anno, erano costretti a tornare in Italia per votare.

D'ora in poi gli studenti Erasmus, ma anche i ricercatori e tutti i lavoratori italiani per il periodo in cui si troveranno per studio o lavoro in uno dei Paesi membri dell'Ue, non saranno più costretti a tornare in Italia per votare alle elezioni politiche, regionali e alle consultazioni referendarie - come già avviene per le elezioni europee, per le quali sono in vigore norme speciali. Basterà rivolgersi online al proprio comune di residenza per ricevere il materiale indispensabile a votare per corrispondenza. (Fonte: ANSA 26-04-16)





VARIE



GLI SVILUPPI DELLE CONOSCENZE SCIENTIFICHE E TECNOLOGICHE E IL LORO RUOLO FONDAMENTALE SU NATURA E ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE DEL SISTEMA ECONOMICO

Il confronto tra le maggiori economie europee (Francia, Germania, Regno Unito, Italia) parla chiaro e sottolinea come la dinamica dei servizi – che dovrebbe essere sempre più trainante nei paesi a più elevato sviluppo industriale – risulti smorzata laddove (come ad esempio in Italia) il settore manifatturiero è più concentrato in settori a medio-bassa e bassa intensità tecnologica. Un risultato insomma che dovrebbe seriamente far riflettere quanti credono che l’aumento della “produzione immateriale” (sic simpliciter) sia un fattore autonomo della crescita del reddito e dell’occupazione e, più in generale, che il settore manifatturiero sia andato ad occupare una posizione di retrovia nelle dinamiche dello sviluppo economico. La realtà è ben più complessa e chiama in causa il ruolo che gli sviluppi delle conoscenze scientifiche e tecnologiche hanno esercitato e continuano ad esercitare sulla natura e sull’organizzazione della produzione di tutto il sistema economico, condizionandone alla radice le possibilità di espansione così come quelle di un declino. Una prospettiva che una volta di più (semmai ce ne fosse ancora bisogno) sottolinea come politiche industriali orientate allo sviluppo di settori ad alta intensità di conoscenza debbano tornare ad occupare un posto di primo piano nell’agenda degli interventi per il rilancio dell’economia. (Fonte: D. Palma, Greenreport.it 05-02-16)



UN PAESE UNDEREDUCATED CHE SOFFRE DI OVEREDUCATION E DI SKILL MISMATCH

Ultimi assoluti dopo la Turchia con il 24% dei laureati nella fascia di età 25-34 anni contro la media del 41% dei Paesi Ocse, eppure non riusciamo a impiegare tutti i nostri laureati secondo le competenze e in coerenza con il titolo di studio conseguito. Quindi un Paese undereducated che soffre di overeducation e di skill mismatch. Le cause dello scollamento tra istruzione e professione dei giovani in Italia? Molteplici. In testa senza dubbio la recessione 2007-2013 che ha colpito molte coorti di laureati; a seguire gli inadeguati investimenti in formazione e ricerca; il blocco del turnover nel pubblico; la poca o nulla attenzione nei confronti del capitale umano giovanile; il mancato riconoscimento del merito che fatica a trovare diritto di cittadinanza nel Paese. Per questo è sempre più urgente e necessaria l'alleanza strutturale tra tre attori: le università, chiamate a parametrare corsi sulla domanda più che sull'offerta e a rivedere radicalmente il 3+2, spingendo sulle lauree brevi professionalizzanti parallele e non subordinate a percorsi di laurea specialistica; le imprese, chiamate a valorizzare i laureati e a investire in ricerca e internazionalizzazione; la politica, chiamata a privilegiare la formazione, incentivare le carriere sulla base del merito e non dell'anzianità, creare opportunità occupazionali. Parliamo di lavoro: un diritto iscritto nella dignità umana prima di essere scritto sulla carta costituzionale. (Fonte: I. Dionigi, www.ilsole24ore.com 21-03-16)



OVEREDUCATION

C’è un esercito di gente che non sta facendo il lavoro che dovrebbe fare rispetto a ciò su cui ha investito. Uno scenario fallimentare sia sotto il profilo individuale che sotto quello dell’efficienza, quindi per l’aspetto meramente economico. Se ci si aggiunge il folle incrocio con la sottocupazione forzosa (un giovane laureato ben preparato impiegato in un ruolo per il quale è sovraeducato ma magari costretto al part-time) si capisce come forse un modo per combattere la disoccupazione potrebbe essere quello di spingere da una parte verso un orientamento più approfondito, che porti sempre di più le università nei licei e negli istituti superiori, promuovendo nello stesso tempo una diversificazione più chiara nel mercato del lavoro. Nella quale, banalmente, un laureato possa permettersi di lasciar cadere un’opportunità che non ritiene all’altezza, sicuro di poter presto incappare in un’altra proposta. Fantascienza pura. C’è da chiederselo anche approfondendo ai dati: se per i diplomi non ci sono grandi discrepanze, per le lauree la situazione è complessa. Nel comparto medico, per esempio, solo l’8% dei giovani occupati è sovraeducato, in quello ingegneristico o per l’architettura si sale di poco, al 13,5%. Ma nelle discipline umanistiche la percentuale è mostruosa, tocca il 43,6%, 12 punti in più rispetto al 2008. Attenzione: non è la solita storia di scienze della comunicazione o di lettere perché anche le scienze naturali, dalla biologia alla fisica passando per la chimica, toccano un preoccupante 26% di overeducated. Il fenomeno si sta facendo trasversale, il che lascia in fondo pensare che le responsabilità siano da dividere: c’è poca strategia nella scelta del proprio corso di studi ma d’altronde, quale sia il pezzo di carta che si ha in mano, il panorama rimane comunque deprimente. (Fonte: S. Cosimi, www.wired.it 21-05-16)



SFATARE LA NARRAZIONE OSTILE SUL MONDO ACCADEMICO E DELLA RICERCA

Imperversa da oltre mezzo secolo una narrazione tutta italica che prende di mira il mondo accademico e quello della ricerca in generale, ne enfatizza le colpe, ne ignora i meriti, ne ridicolizza le competenze. I fatti desunti da dati statistici oggettivi forniscono invece un quadro diverso: i nostri ricercatori sono troppi? È vero il contrario: per ogni diecimila abitanti l’Italia ne ha venticinque (intesi come persone che fanno ricerca in enti pubblici o privati), circa la metà della media europea, con punte come la Gran Bretagna che ne ha settanta. Forse non sono produttivi? Tutt’altro. Il ricercatore Italiano è tra i più produttivi del mondo con 0,7 pubblicazioni in media l’anno, contro lo 0,5 di Canada e Gran Bretagna e lo 0,4 di Francia e Stati Uniti. Forse si tratta di pubblicazioni di scarso interesse? Neanche per sogno, quello italiano è il ricercatore più citato al mondo: sei citazioni all’anno; a ruota cinque per la Gran Bretagna, circa quattro per Stati Uniti, Germania e Francia. E i dati sulla competitività? Il nostro ricercatore è in grado di attrarre finanziamenti dall’Europa circa una volta e mezzo più grandi della media. Un dato, quest’ultimo, meno allegro di quanto si possa pensare. Il nostro Paese infatti partecipa al finanziamento della ricerca della Comunità europea in modo massiccio e purtroppo, nonostante la nostra eccellenza, perde nel bilancio di erogazioni e rientri oltre trecento milioni l’anno. E si stima che per il 2020 potrebbe arrivare a perderne più del doppio. Che fare? Aumentare subito e di molto il numero di ricercatori dotandoli di finanziamenti nazionali che li mettano in condizioni di parità con quelli degli altri Paesi. In sostanza l’Italia deve urgentemente congedarsi dal suo modestissimo investimento in ricerca e sviluppo, fermo all’1% del suo Pil, raggiungere la media europea del 2% e tendere all’obiettivo del 3% come dagli impegni di Barcellona. Chi fa scienza la faccia sul serio dunque e si faccia sentire da tutti. Questo appello è soprattutto rivolto a coloro che sono radicati in posizioni permanenti nella ricerca e che devono fare da maestri ai più giovani anche oltre la loro disciplina. (Fonte: P. Contucci, Il Mulino Marzo 21, 2016)



COLLABORAZIONI TRA IMPRESE E UNIVERSITÀ

Le collaborazioni tra imprese e università, e più in generale con il sistema della ricerca, sono oramai pervasive in tutte le agende politiche che si occupano di sviluppo locale, scienza, tecnologia e innovazione. I collegamenti tra le due istituzioni possono generare vantaggi per entrambi i lati della collaborazione; tali interazioni sono ad esempio una chiave di successo in numerosi distretti industriali italiani. I dati sviluppati dalla Bocconi includono tutti i brevetti registrati in Italia nel periodo 1978-2007. Elemento peculiare è la possibilità di identificare gli inventori accademici, ossia gli inventori che lavorano nelle università e nei centri di ricerca. L’analisi si basa sulla comparazione tra coppie reali di inventori (i casi in cui su un brevetto hanno collaborato due o più inventori) e coppie virtuali (i casi di coppie che avrebbero potuto formarsi sulla base di caratteristiche simili ma non si sono realizzate nella realtà). La maggior parte delle collaborazioni avvenute, pari al 74 per cento, hanno luogo all’interno dell’industria (tra imprese), il 3 per cento coinvolgono solamente il mondo della ricerca (tra università o centri di ricerca), mentre il 23 per cento sono collaborazioni tra università e industria. I risultati mostrano che le collaborazioni tra imprese e università sono intrinsecamente più “difficili” rispetto alle collaborazioni all’interno dell’industria e della ricerca. Questo può dipendere da una serie di ragioni, quali la presenza di differenti meccanismi di incentivi, norme, pratiche e culture che agiscono come barriere per comportamenti collaborativi tra i due contesti. I risultati mostrano poi che, anche dopo che le collaborazioni sono state stabilite, la “produttività” (misurata in termini di numero di brevetti generati dalla stessa collaborazione nel tempo) è minore nel caso delle relazioni tra università e impresa. Tuttavia, “pesando” i brevetti per la loro qualità (misurata con le citazioni), i risultati cambiano in modo significativo. In questo caso, sono le collaborazioni tra impresa e università a generare brevetti con maggiore valore scientifico e grado di applicabilità (cioè, usati come base da altri inventori per sviluppare nuove applicazioni innovative). (Fonte: R. Crescenzi, A. Filippetti e S. Iammarino, lavoce.info 01-04-16)



COSTITUZIONE DI UNA NUOVA ALLEANZA DI ALTE PROFESSIONALITÀ DEL MONDO PUBBLICO E PRIVATO CONTRO ATTACCO A DIRITTI PENSIONE ACQUISITI

Giorgio Ambrogioni, presidente della Cida, la confederazione sindacale che rappresenta unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità, annuncia a Labitalia la costituzione di una nuova alleanza della quale fanno parte esperti di associazioni complessivamente rappresentative di circa 500mila alte professionalità del mondo pubblico e privato quali dirigenti, magistrati, diplomatici, medici e docenti universitari. "L'alleanza - spiega Ambrogioni - ha un obiettivo 'alto': quello di dare una voce quanto più possibile unitaria e credibile a una parte significativa della classe dirigente". In un momento in cui si mettono in discussione "diritti acquisiti" in materia previdenziale, dunque, Cida ha promosso la costituzione di un tavolo di lavoro intercategoriale, coordinato dall’attuario Antonietta Mundo. "Le alte professionalità con la loro alleanza intendono contrastare qualsiasi misura che metta in discussione i diritti acquisiti, conquistati al termine di un lungo impegno lavorativo e di carriere frutto di percorsi meritocratici", spiega una nota. Cida e le alte professionalità stigmatizzano soprattutto "le ripetute esternazioni del presidente dell’Inps che stanno influenzando il dibattito pubblico, e che sono agevolmente contestabili per la mancanza di basi tecniche e che sembrano avere un solo obiettivo di tipo punitivo". "L’ultima proposta di Boeri consiste nel finanziare la flessibilità tassando con un contributo di solidarietà le pensioni più elevate, che in passato, avrebbero avuto dalla normativa vigente delle 'concessioni eccessive' in termini di durata: in realtà, queste pensioni sono frutto di lunghi anni di lavoro e assolutamente correlate a contributi elevati, professionalità, responsabilità e merito dimostrati sul campo”. Pretendere di finanziare la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro (da considerarsi peraltro auspicabile) con un nuovo contributo di solidarietà, così come propone Boeri, risulterebbe assurdo, oltre che profondamente iniquo. Assurdo perché le risorse ricavate sarebbero del tutto marginali rispetto ai costi, e iniquo perché, come ha già per altro ricordato il ministro Poletti, sulle pensioni superiori a 90.000 euro lordi annui già gravano contributi di solidarietà che vanno dal 6% al 18%", dice la Cida. (Fonte: Libero 07-04-16)



I MUSEI STATALI SONO OGGETTO DI INTERVENTI CHE NE PROMUOVONO LA PROFITTABILITÀ SENZA TROPPI SCRUPOLI CONSERVATIVI

La nuova legislazione, distinguendo i compiti di tutela da quelli di gestione e "valorizzazione", ora dati ai neo direttori-manager, organi monocratici selezionati con modalità concorsuali discutibili, al di fuori (tranne uno) del personale in servizio, e ingaggiati con l'incarico di "promuovere" i beni a ogni costo, lascia sguarnito il patrimonio museale della vigilanza necessaria a scongiurare l'uso improprio degli spazi e delle opere e la loro mercificazione per fare cassa.

La nuova legislazione rompe un assetto organizzativo che, se non è riuscito a evitare casi di incuria e sciatteria nella gestione, ha consentito di approfondire la conoscenza del patrimonio culturale e assicurarne l’integrità, nonostante la "procurata" carenza di personale e di risorse per la manutenzione dei beni custoditi. Sono evidenti dunque i pericoli di un depauperamento della dimensione tecnico-scientifica nell'amministrazione dei beni culturali dello Stato e di una corrispondente dilatazione della sfera politica ed economica che privilegia più un approccio aziendalistico che non la congiunta "tutela e sviluppo del patrimonio storico e artistico” prevista dall'articolo 9 della Costituzione. (Fonte: A. Monti, FQ 04-04-16)



NUOVO COMPARTO DI CONTRATTAZIONE “ISTRUZIONE E RICERCA”

È stato firmato all’ARAN l’ipotesi di accordo quadro con il quale sono definiti i nuovi comparti di contrattazione e le relative aree dirigenziali che, come prescritto dalla legge n. 150/2009 (la cosiddetta “Brunetta”), sono stati ridotti da 11 a 4. Gli Enti Pubblici di Ricerca e l’ASI (l’Agenzia Spaziale italiana) fanno ora parte del nuovo comparto “Istruzione e ricerca”, in cui confluiscono anche gli oramai ex comparti della Scuola, dell’Università e dell’AFAM (le istituzioni di Alta Formazione Artistica, Musicale e coreutica). Restano ovviamente esclusi dal nuovo comparto i docenti e i ricercatori universitari che non sono contrattualizzati. (Fonte: www.anpri.it 07-04-16)



ISIS UCCIDE INTELLETTUALI IN E PROFESSORI IN BANGLADESH

Rezaul Karim Siddique insegnava inglese all’Università di Rajshahi. Un uomo pacifico, un intellettuale dedito alla musica e fondatore di due associazioni culturali. Due uomini lo hanno colpito con un machete per strada. L’attentato è stato rivendicato dal network Amaaq dell’Isis che ha accusato il docente di aver fatto «proselitismo ateo».

Non è la prima volta che gli intellettuali laici vengono presi di mira dai jihadisti. Il 6 aprile un blogger di 28 anni studente in legge, Nazimuddin Samad, è stato ucciso con le stesse modalità a Dacca per aver lanciato su Facebook una campagna contro la radicalizzazione dell’Islam. E nel 2015 altri quattro blogger avevano perso la vita per mano dei militanti islamici: i loro nomi erano in una lista di «atei» che circolava negli ambienti del fondamentalismo islamico. L’Università di Rajshahi ha già subito molti lutti: negli ultimi anni almeno tre professori hanno perso la vita in attentati. Il Bangladesh è un Paese a maggioranza musulmana, laico sulla carta ma alle prese con una preoccupante regressione integralista e fondamentalista. (Fonte: www.corriere.it  23-04-16)





ATENEI. IT



UNIBO NEL TOP 200 MONDIALE IN 32 DISCIPILINE

I risultati del QS University Ranking by Subject 2016, la rilevazione targata Quacquarelli Symonds, premiano l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, che si piazza tra i primi 200 atenei al mondo con trentadue ambiti scientifico-disciplinari, quattro discipline di eccellenza in più rispetto allo scorso anno. E' quanto emerge dai risultati della classifica su oltre 4.000 atenei di tutto il mondo in base alle performance di 42 diversi ambiti scientifico-disciplinari. L'Alma Mater conferma così la sua caratteristica di studium generale, in grado di mantenere un alto livello di competitività internazionale nella gran parte degli ambiti disciplinari in cui è attivo. Con diverse punte di eccellenza, come archeologia e medicina veterinaria per i quali l'Ateneo bolognese si piazza tra i primi 50 al mondo, oppure ingegneria civile, dove si registra il passaggio dalla posizione 101-150 alla posizione 51-100. (Fonte: www.bolognatoday.it 26-03-16)



A BOLOGNA FESTIVAL DELLA SCIENZA MEDICA, DEDICATO AL TEMA “LE ETÀ DELLA VITA”

Dopo il grande successo della scorsa edizione con 40.000 presenze, torna a Bologna dal 19 al 22 maggio il Festival della Scienza Medica, dedicato al tema “Le età della vita”. L’iniziativa, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna e da Genus Bononiae. Musei nella Città, si propone quest’anno di riflettere sulla nuova condizione umana al tempo della longevità: quante persone siamo nel corso della nostra, sperabilmente, lunga vita? Quante diverse età attraversiamo? E, se ci ammaliamo, come cambia il rapporto con la malattia nel tempo, dall’esperienza prenatale a quella della senescenza? Moltissime saranno le declinazioni e gli approfondimenti e grande attenzione sarà riservata ai temi della medicina di prevenzione, degli screening e delle implicazioni della medicina genomica, e al ruolo che la corretta alimentazione e gli stili di vita possono avere nell’assicurare quel benessere della persona che è l’obiettivo perseguito per i suoi componenti da ogni sistema sociale avanzato. Hanno già confermato la propria partecipazione quattro Premi Nobel. (Fonte: http://www.bolognamedicina.it/  28-04-16)



UNICA DEVE RINUNCIARE ENTRO IL 2018 AL 25% DEI FONDI

L'università di Cagliari risulta "condannata" da una serie di regole (di indicatori) che determinano il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo). In base a questi parametri l'ateneo deve rinunciare entro il 2018 al 25% dei fondi. Il caso di Cagliari è un esempio evidente di quanto sta accadendo più o meno silenziosamente in molte università italiane, soprattutto del Sud, alle prese con la riduzione di risorse. In particolare, per Cagliari, è il cosiddetto "costo standard di formazione dello studente" il principale responsabile dei tagli. Se questo calcolo può essere considerato positivo perché introduce un metodo più obiettivo per valutare il reale fabbisogno di un ateneo, senza i finanziamenti a pioggia di un tempo, tuttavia, infatti, in certi aspetti risulta un po' incongruente. Lo è l'indicatore che considera solo gli studenti in corso, e non i fuori corso - come se questi non gravassero sulle spese -, così come quello della "attrattività" da altre regioni. Stefania Giannini nell'incontro del 10 marzo ha dato rassicurazioni su una futura valutazione che tenga conto dei «problemi legati al territorio, all'insularità e alla densità di popolazione». (Fonte: D. Coccoli, Left 19-03-16)



UNIPD ECCELLE PER LE SCIENZE NATURALI

A stabilirlo è la sesta edizione di Qs World University Ranking, classifica internazionale: l’Università di Padova eccelle per le Scienze Naturali, dove spicca tra le migliori posizioni al mondo. Secondo quanto riportato, Padova si piazza al quinto posto in Italia: davanti a Pd il Politecnico di Milano, l’Alma Mater di Bologna, la Sapienza di Roma e l’Università di Milano. Dietro Pd Torino, Firenze, Trento e, a molta distanza, Verona. Allargando l’arena, il Bo si colloca al 309° posto nel mondo. Ai primi cinque dominano le bandierine a stelle e strisce: primo fra tutti i MIT (Massachusetts Institute of Technology), poi Harvard e Stanford. Reggono bene Cambridge, al terzo posto nel mondo, e Oxford, che arriva al sesto. Il risultato più alto raggiunto dall’Italia è il decimo posto guadagnato dal Politecnico di Milano (per Arte & Design) e dall’Università Commerciale Luigi Bocconi (per Studi in Business & Management). Padova scivola un po’ più in là tra le posizioni, ma lo scarto in termini di punteggio si riduce a poche unità: ottiene un’ottima valutazione soprattutto nelle Scienze naturali, che comprendono essenzialmente Medicina, Fisica, Ingegneria, Chimica ed Economia. Rispetto al giudizio complessivo, qui il Bo recupera posizioni, arrivando 153esimo su scala mondiale. (Fonte: s.q., mattinopadova.gelocal.it 23-03-16)



UNIPV DOVRÀ RIMBORSARE 1.700.000 EURO A TUTTI GLI ISCRITTI NEL 2010

L'Ateneo di Pavia dovrà rimborsare 1.700.000 euro a tutti gli iscritti nel 2010. A stabilirlo il Consiglio di Stato con la sentenza del 17 marzo scorso. Ciò che ha fatto scattare il ricorso dell’UDU è stata l'errata interpretazione del limite del 20% fissato dal Dpr 306/1997, attuativo della legge 537/1993 (Interventi correttivi di finanza pubblica). Tale cifra corrisponde alla percentuale massima di contribuzione studentesca che possono pretendere le università a fronte del finanziamento ordinario dello Stato. Tale limite, ad avviso dell'Università di Pavia, non doveva essere inteso come perentorio, bensì come meramente indicativo rendendo così possibile uno sforamento delle quote. Tesi non condivisa, però, né in primo grado dal Tar Lombardia, né tanto meno dal Consiglio di Stato e che ha portato alla quantificazione di 1.700.000 di rimborsi dovuti agli studenti. (Fonte: B. Migliorini, ItaliaOggi 19-03-16)



UNIVR TRA LE ECCELLENZE PER MEDICINA

L’Università di Verona si colloca tra le eccellenze mondiali in ambito medico. A confermarlo, per il secondo anno consecutivo, è la classifica ’QS World University Ranking by Subject’, pubblicata oggi dopo aver valutato 4.226 università, delle quali solo 2.691 hanno ottenuto un posizionamento in classifica. Per il 2016, come per l’edizione precedente, «Medicina» si posiziona nel gruppo 201-250, tra le 22 università italiane presenti in questo ambito disciplinare, a pari merito con l’università di Roma Tor Vergata, l’ateneo Vita-Salute San Raffaele e l’università Milano Bicocca. (22-03-16)



UN ACCORDO TRA L’ALMA MATER E L’ARABIA SAUDITA

G. Meotti su “Il Foglio” (19-04-16) registra e commenta la notizia di un accordo tra l’Alma Mater e l’Arabia Saudita. E si meraviglia che nella più antica università d'Europa nessuno abbia avuto la premura di sollevare un problema di fronte a questo grande accordo quinquennale che l'Alma Mater Studiorum ha appena siglato con l'Arabia Saudita. Non solo – rimarca - ma alcuni dei protagonisti di questo patto accademico compaiono nell'appello contro i docenti israeliani. E prosegue: Bastava leggere il rapporto di Freedom House sugli atenei sauditi per capire che forse serviva un po' di cautela in più visto che in ballo non c'è il greggio, ma la nostra cultura: "La libertà accademica è limitata, informatori monitorano le aule per il rispetto delle norme, come il divieto di insegnare filosofia e religioni diverse dall'islam". Forse i docenti bolognesi avrebbero dovuto sfogliare i libri usati nelle scuole saudite, dove gli ebrei sono chiamati "scimmie" e i cristiani "maiali". Sapevano i  protagonisti del patto che in Arabia Saudita non si può indossare una tunica, mostrare la croce, aprire una chiesa, che i cristiani sono perseguitati e che per arrivare alla Mecca per loro vige un apartheid autostradale? Mentre l'università stringeva patti con Riad, il Gran Mufti saudita stabiliva che "le donne che guidano sono prede del demonio". L’articolista conclude: Che ne pensano le laicissime femministe dell'Università di Bologna la dotta e la rossa? (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 19-04-16)



FRENATO IL TRASFERIMENTO DELLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE DELL'ATENEO MILANESE

L'idea del trasferimento delle facoltà scientifiche (tranne Medicina) della Statale su un'area di circa 250mila metri quadrati all'interno dell'ex sito espositivo di Expo, tra Rho e Milano, è nata un anno fa. Ma il progetto di trasferimento delle facoltà scientifiche dell'Università Statale di Milano nelle aree del dopo-Expo si è bloccato. Dopo i primi incontri con i vertici di Arexpo, la società proprietaria dei terreni, e dopo qualche valutazione dei progetti preliminari, il rettore dell'Ateneo, Gianluca Vago, avanza qualche dubbio: costi alti (350 milioni), esiti incerti e nessun vero finanziatore che al momento si sia spinto oltre le semplici dichiarazioni. E quindi la Statale prosegue con la ristrutturazione dei propri locali, con i primi 40 milioni disponibili. Al momento l'obiettivo è di mantenere tutto nel quartiere di Città Studi, a Milano. Mettere a posto gli edifici di Città Studi ha un costo indicativo di 200 milioni. Al momento sono ripartite le progettazioni per le nuove strutture di Geologia, con un costo previsto di circa 13 milioni, mentre la facoltà di Informatica è già in fase di costruzione, per un costo previsto di 28 milioni. Il resto procederà per gradi, perché l'impegno finanziario è pesante anche per la ristrutturazione. Ma al momento la pratica del dopo-Expo è stata riposta in un cassetto. (Fonte: S. Monaci, IlSole24Ore 22-04-16)



NELL'ATENEO ABRUZZESE SI VA VERSO L'ANNULLAMENTO DI 411 LAUREE CONSEGUITE NELLA FACOLTÀ DI SCIENZE SOCIALI

Prima un master taroccato in una scuola privata (che dal 1994 figurava nella black list del ministero), poi appena due mesi, per diventare dottore in Servizi sociali all'università D'Annunzio di Chieti, dall'iscrizione al giorno della laurea, nel quale, per raffinata comodità, si affrontavano e si superavano anche la bellezza di otto esami. Si trattava della gestione disinvolta della riconversione creditizia avviata dalla legge Berlinguer e poi ampliata dal ministro Moratti. Titoli ed esperienze formative potevano garantire crediti accademici e accelerare il percorso verso la tesi: era il percorso privilegiato che, tra 2003 e 2007, ha garantito a diversi studenti che sognavano di diventare operatori sociali, una sorta di alta velocità abruzzese nel magico mondo delle lauree precoci. Lo hanno scoperto adesso, a distanza di nove anni, sulla scia di una lettera anonima che ha scoperchiato il vaso di Pandora: l'indagine interna è chiusa e porterà tra breve all'annullamento di 250 lauree facili. Secondo le ultime notizie sarebbero 411 e non 250, come inizialmente quantificato, i titoli da annullare. (Fonte: A. Taffi, Il Messaggero 22-04-16; Rete8.it 10-05-16)





UE. ESTERO



RICERCA. SUL SISTEMA DI FINANZIAMENTO IN EUROPA

Il successo di un progetto di ricerca è considerato come un indicatore obiettivo di qualità accademica in tutto il sistema universitario europeo. Premiando solo l’1,3% delle domande viene modellata una realtà assurda: quasi il 99% degli accademici nella UE fallisce, e solo l’1,3% soddisfa questo criterio. Ora, sappiamo che i “perdenti” (98,7%) devono ancora competere per dimostrare che sono abbastanza buoni; ma quando un collo di bottiglia di selezione è troppo stretto, lo sforzo e le risorse investite per superarlo, sono in effetti semplicemente sprecate. Si riporta di seguito la conclusione dell’articolo di Jan Blommaert su questo argomento (Rationalizing the unreasonable: there are no good academics in the EU) tratta da Roars 20-04-16:

To sum up: If the number of grants to be awarded is established before the peer-review process, this kind of “competitive” benchmark funding is not competitive at all, and a benchmark for nothing at all – least of all for academic quality. If, however, results in this weird game are maintained as serious and consequential criteria for assessing academic quality, then the conclusion is that there are no good academics in Europe – 99% of them will fail to get ratified as good enough. And these 99% will have to spend significant amounts of taxpayers’ money to eventually prove – what?

The entire thing really, seriously, begins to look and feel like buying lottery tickets or betting on horses: one spends money hoping to win some – and at moments of lucidity, one is aware of the fact that the net outcome will be loss, not gain. In the meantime, beautiful arias are sung about the extreme importance of research and innovation by the EU, by its member states, and by its universities. The question, of course, is how such a great cause is served by the present system of benchmark external funding acquisition. The money spent on it, I would say, would be better spent on … research and innovation proper.



UE. UN BANDO DA 218 MILIONI E 500 MILA EURO PER RIPORTARE I PROPRI RICERCATORI, SE NON A CASA, ALL'INTERNO DEI CONFINI EUROPEI

L’UE, tramite lo strumento del programma quadro Horizon 2020, ha aperto ieri la call «Marie Sklodowska-Curie - Individual Fellowships». Un bando da 218 milioni e 500 mila euro per riportare i propri ricercatori, se non a casa, all'interno dei confini europei promuovendo la mobilità a livello comunitario. Il bando in questione rientra tra le actions del programma Marie Sklodowska-Curie, facente capo al pilastro fondamentale «Excellent Science», dedicato a sostenere la formazione e la mobilità dei ricercatori. I fondi stanziati per la call, cui i ricercatori interessati potranno tentare di accedere inviando le proprie domande di partecipazione fino al 14 Settembre 2016, saranno a loro volta suddivisi tra cinque tipologie di percorso lavorativo. Infatti i vincitori del bando non saranno scelti in base a semplici limiti tematici, dato che il programma Marie Sklodowska-Curie si rivolge a tutti i settori e livelli di ricerca, ma anche in funzione del proprio livello di esperienza e stato di carriera. L’entità delle singole borse di studio dovrebbe essere sufficiente per coprire almeno due anni di stipendio (fino a 4.650 euro al mese), un’indennità di mobilità (600 euro), assegni familiari (fino a 500 euro), i costi di ricerca e le spese generali per l’istituzione ospitante (altri 1.450 euro circa in totale). I candidati verranno valutati sulla base della qualità delle ricerche effettuate in passato, le future prospettive di carriera e il sostegno offerto dall'organizzazione ospitante. (Fonte: R. Nicchi, www.scuola24.ilsole24ore.com  12-04-16)



ERC, ADVANCED GRANTS: PREMIATI 277 RICERCATORI, 26 SONO ITALIANI

Sono in tutto 277 i ricercatori "senior" di 29 nazionalità che beneficeranno degli Advanced Grants assegnati dall'European Research Council per un totale di 647 milioni di euro. E di questi 26 sono italiani, preceduti per numero solo da britannici e tedeschi (47 in entrambi i casi) e seguiti da francesi (25) e olandesi (20). Dei nostri, però, alcuni svolgeranno i loro progetti presso strutture collocate in altri Paesi (21 in tutto), visto che l'Italia figura come Paese ospitante solo in 19 casi (con strutture come Cnr, Sapienza di Roma, Politecnico di Milano, Bocconi, Fondazione Telethon, per citarne solo alcuni) mentre ad esempio il Regno Unito ospita 69 progetti, la Germania 43 e la Francia 30. Insomma l'Italia si conferma poco ospitale per i ricercatori che però, grazie al loro valore, trovano altrove strutture disposte ad accoglierli. Gli Advanced Grants sono premi prestigiosi, che puntano a offrire alle migliori menti - di qualsiasi età e nazionalità purché già di alto livello e che svolgano la loro ricerca in Europa - i mezzi (2,5 milioni di euro per ogni premio) necessari a coltivare le idee più innovative, in grado di ampliare le frontiere della ricerca e potenzialmente in grado di avere un impatto sulla scienza e la società. Nel nuovo Piano nazionale della ricerca quasi 250 milioni sarebbero destinati proprio ad attrarre i ricercatori migliori con incentivi su misura. In particolare sono previsti fondi in più (fino a 600mila euro) a chi vincitore di una borsa Erc sceglierà l’Italia come base per le sue ricerche. (Fonte: www.askanews.it  14-04-16)



EU. REFUGEES WELCOME MAP

Il 29 febbraio 2016 l'EUA (European University Association) ha lanciato la Refugees Welcome Map: una dimostrazione pratica e interattiva di come il mondo che gravita intorno all'istruzione superiore si stia muovendo per dare un sostegno concreto a rifugiati studenti, docenti e personale accademico. La Welcome Map contiene informazioni pratiche: dove trovare un riparo, attività culturali che facilitano l'integrazione, atenei che hanno attivato corsi per imparare la lingua del paese ospite, informazioni per accedere all'università e ai differenti percorsi, prospettive occupazionali, etc. L'accesso all'istruzione superiore è una chiave importante per aiutare chi ha dovuto abbandonare il proprio percorso formativo, per dare un senso alla sua esistenza e una speranza per il futuro. Senza contare che una persona qualificata ha maggiori probabilità di trovare un lavoro dignitoso ed è più disposta alla mobilità. (Fonte: I. Ceccarini, rivistauniversitas 03-03-16)



DANIMARCA. 190 MILIONI DI EURO IN MENO AGLI ENTI PER L’ISTRUZIONE, CON UN TAGLIO DELL’8,5% PER LE BORSE DI RICERCA

Le difficoltà economiche non sono una novità per l’università danese, che dal 2010 continua a subire un calo delle sovvenzioni per studente. Nonostante ciò, il sistema continua a garantire la gratuità dell’istruzione superiore, non solo agli studenti nazionali, ma anche a tutti i comunitari. E se la ricerca è riuscita a mantenere standard elevati nonostante la continua riduzione dei fondi statali, è grazie anche e soprattutto ai finanziamenti esterni. Ma una manovra tanto drastica come quella annunciata dal governo nei giorni scorsi rischia di portare a un mutamento davvero salomonico nel sistema universitario danese. L’università di Copenaghen è l’istituzione più duramente colpita dai tagli decisi dal governo a gennaio: da sola, infatti, deve trovare in questi giorni il modo per ridurre i propri costi di circa 40 milioni e 200.000 euro. La prima manovra, comunicata dal rettore nei primi giorni di febbraio, si è rivelata necessariamente severa: l’ateneo ha deciso di eliminare più di 500 posti di lavoro, equamente distribuiti – in costi – fra staff amministrativo e docente, con la precisazione che una posizione da eliminare su quattro sia di ricercatore. Si tratta di un taglio del 7,5% dello staff, che colpisce in maniera particolarmente dura l’area più consistente, quella della scienza e della medicina (più di 330 posti), ma anche inevitabilmente l’area delle scienze umane (90 posti), sulla quale si era già abbattuta la scure a inizio anno accademico, dimezzando il numero dei posti disponibili per i nuovi dottorandi. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 24-03-16)



FRANCIA. FORMAZIONE CONTINUA ALL'UNIVERSITA

La formation continue constitue un besoin pour l'ensemble de la société, et les universités sont tout à fait en mesure d'y répondre. Or, il s'agit d'un domaine dans lequel elles sont encore peu présentes. Les universités doivent apparaitre comme des acteurs crédibles, pour ne pas dire indispensables, de la formation tout au long de la vie. Il faut qu'elles sachent faire valoir leur expertise et leur richesse. En matière de recherche, la seule chose qui vient à l'esprit, ce sont les transferts de technologie. Mais la valeur ajoutée de la recherche, c'est aussi le savoír-faire de nos enseignants-chercheurs, qui se diffuse par la formation continue. Ne s'agit-il pas, simplement,

de trouver de nouvelles resources pour les universités, sous-financées pour la plupart ? Ce peut étre une source de revenus, certes. Mais là n'est pas la priorité: ce serait se tromper de combat. Il s'agit d'abord d'un investissement. Quels changements cela implique-t-il ? Avec les investissements d'avenir [programmes gouvemementaux lancés en 2010 pour créer des ensembles pluridisciplinaires d'enseignement supérieur et de recherche de rang mondial], dont les Initiatives d'excellence (Idex) font partie, les universités ont enclenché une dynamique de valorisation de leur expertise. Pour les enseignants-chercheurs, la formation continue peut être un nouveau facteur de motivation, car c'est une activité très gratifiante : on a un public motivé, on traite de problématiques réelles, on a moins de copies. Le problème est que nos équipes sont déjà surchargées ! C'est pourquoi nous devrons recruter. Nous estimons à environ 7000 postes les besoins d'ici à 2020. (Fonte: F. Germinet, Le Monde 31-03-16)



FRANCIA. SENZA FONDAMENTO LEGALE LA SELEZIONE DEGLI STUDENTI TRA IL PRIMO E IL SECONDO ANNO DI UNIVERSITÀ

In Italia è ricorrente da un paio di anni la proposta di istituire la selezione degli studenti (specialmente per gli studi di medicina) non più all’ingresso nel corso ma tra il primo e il secondo anno. Vale la pena di leggere nell’articolo che segue, su Le Monde, quanta contrarietà suscita questo sistema in Francia al punto da essere autorevolmente definito “sans fondement légal”. 

Le Conseil national de l'enseignement supérieur et de la recherche (Cneser), dont l'avis est consultatif, a montré un véritable embarras sur le projet de décret sur la sélection en master dont il était saisi, lundi 18 avril. Le texte, qui vise à «régulariser» la sélection entre la première et la deuxième année de master (dites M1 et M2), a reçu seulement 19 votes favorables contre 27 contre, et ... 29 abstentions. Malgré ce résultat, il sera mis en oeuvre «afin de sécuriser la prochaine rentrée universitaire», a annoncé le ministère de l'éducation nationale dans un communiqué : 42% des formations de master, dont la liste est annexée au décret, sont officiellement autorisées à continuer à sélectionner, ce qu'elles faisaient jusque-là sans fondement légal. Le débat, polémique, a longtemps été mis sous le Lapis. Mercredi 10 février, le Conseil d'Etat avait cependant mis le gouvernement au pied du mur en rappelant qu'en vertu de l'article L. 612-6 du code de l'éducation «aucune sélection ne peut être mise en place» en première ou en deuxième année de master si la formation en question ne figure pas sur «une liste limitative établie par décret».

Cette jurisprudence donnait raison à l'avocat Florent Verdier, initiateur de plusieurs dizaines de recours devant les tribunaux administratifs. Et obligeait le gouvernement, pressé par les présidents d'université, à se positionner sur un sujet évité par les pouvoirs publics... depuis la création du diplôme de master en 1999 et l'adoption en 2002 du système universitaire en trois cycles : licence (bac + 3), master (bac + 5) et doctorat (bac + 8) (LMD), dans le cadre du «processus de Bologne» d'harmonisation européenne qui permet des équivalences et des reconnaissances mutuelles dans 41 pays.

Pour autant, dit aujourd'hui M' Verdier, «rien n'est réglé» car la sélection dont il est question est entachée selon lui de nombreuses failles. La plus essentielle : «Sélectionner entre le M1 et le M2 va à l'encontre du principe du cycle inscrit dans l'article 612-1 du code de l'éducation», que l'avocat avait déjà invoqué pour faire annuler des refus d'inscription en deuxième année de master. C'est donc la question de l'unicité du master en quatre semestres - et de l'accès en master après la licence - qui sera au centre de la concertation de quatre mois que le gouvernement a lancée parallèlement «afin d'aboutir à une situation pérenne». (Fonte: A. De Tricornot, Le Monde 20-04-16)



UK. I LAUREATI INGLESI SONO I PIÙ INDEBITATI DI TUTTO IL MONDO ANGLOFONO

Secondo una recente ricerca della Fondazione Sutton, associazione che si occupa di educazione e in particolare di accesso allo studio per i giovani svantaggiati, i laureati inglesi siano i più indebitati di tutto il mondo anglofono. Con differenze anche importanti. Secondo i dati dello scorso anno, in media un laureato inglese si affaccia alla vita adulta con un debito medio di 44mila sterline (circa 55mila euro), mentre in altri paesi, dagli Stati Uniti all’Australia, la somma oscilla tra le 15mila e le 29mila sterline. I secondi più a rischio nella classifica sono gli allievi americani, che possono arrivare ad un massimo di 32mila sterline da restituire, qualora abbiano seguito università private, decisamente più costose. Ma le 44mila sterline dei colleghi inglesi sono un traguardo che non viene raggiunto. Molto meglio stanno gli australiani, che chiudono il ciclo universitario con un debito che ammonta nei casi peggiori a 20mila sterline o i neozelandesi, che tutt’al più finiscono in rosso per una somma pari a 50mila dollari del loro conio, cioè circa 23mila sterline. (Fonte: C. Belloni, CorSera Università 0906-16



USA. CHE COSA PENSANO TRUMP E CLINTON SUI TEMI SCIENTIFICI

La politica USA ha un rapporto complesso con la ricerca scientifica. Da un lato gli USA dominano il panorama scientifico mondiale. Dall’altro la politica degli Stati Uniti, che possono vantare uno scienziato come Benjamin Franklin tra i padri fondatori, è spesso ai ferri corti con il rigore scientifico, a destra soprattutto, ma anche a sinistra. In effetti, una vena antiscientifica scorre trasversale in entrambi i partiti. Su varie tematiche, ma specialmente Ogm, vaccini e cambiamento climatico, la politica e la comunità scientifica si scontrano. Ma anche su esplorazione spaziale, medicine alternative, politica energetica.

Vediamo come si qualificano, su questi e altri temi, i principali pretendenti alla Casa Bianca.

Donald Trump. Le sue sparate antiscientifiche sono a tutto campo. Il riscaldamento globale per Trump sarebbe stato “inventato dai cinesi” per mettere in difficoltà le aziende americane (salvo poi ritrattare-ma-anche-no, nel suo classico stile): non è altro che una “tassa molto costosa”, e alla fine abbiamo, a suo dire, problemi assai peggiori. La Nasa? Be’, “fantastica” dice Trump, ma anche qui ci sono cose ben più importanti, come i buchi nelle strade. Le energie rinnovabili? Finora il massimo sull’argomento è “le turbine eoliche uccidono un sacco di uccelli”. Trump taglierebbe fondi per la Environmental Protection Agency, l’agenzia federale per la protezione ambientale, ritenendola una “barzelletta”. Trump sostiene che i vaccini causino l’autismo, dando eco a una delle più clamorose frodi scientifiche degli ultimi decenni. Non è chiaro cosa pensi degli organismi geneticamente modificati, ma si è esposto con una battuta su Monsanto, che gli ha guadagnato il cauto interesse di alcuni attivisti anti-Ogm (Trump è un azionista di Whole Foods, la principale catena di vendita di cibo biologico in Usa).

Hillary Clinton. Rispetto ai candidati repubblicani, i democratici suonano tutt’altra musica. Hillary Clinton, in testa nella corsa per la candidatura democratica, si era distinta per ragionevolezza già nel 2007, dichiarando che avrebbe protetto la scienza dalla politica. Si informa su quanto le sta a cuore: nel 2010, rivedendo le bozze di un discorso, aveva scovato un errore sul ruolo della vitamina A, che era sfuggito a vari esperti. Clinton inserisce nel suo programma due obiettivi concreti e specifici: un piano per arrivare a una cura per l’Alzheimer entro il 2025, e investimenti ulteriori per la ricerca e prevenzione contro hiv. È una sostenitrice degli Ogm: e no, nonostante le insinuazioni che questo ha provocato, non ha forti legami con Monsanto. Clinton però ha una forte simpatia verso le cosiddette medicine alternative, che molto spesso medicine non sono, in particolare verso la cosiddetta (e pseudoscientifica) medicina funzionale. (Fonte: www.wired.it  20-04-16)



USA. 130 RICERCATORI ITALIANI AL FERMILAB DI CHICAGO

Al FermiLab di Chicago gli americani hanno il più grande impianto mondiale per la ricerca sui neutrini, particelle essenziali per la comprensione dell’universo, ma in collaborazione con Europa e Giappone e con attrezzature e scienziati che vengono in gran parte dall’Europa, soprattutto dall’Italia, racconta Carlo Rubbia mentre aspettiamo che Matteo Renzi, nel suo tour americano attraverso la «globalizzazione che funziona», arrivi qui a Batavia, un’ora d’auto da Chicago, per visitare il maggiore centro Usa di ricerca astrofisica: un luogo dove si parla soprattutto italiano. «E non solo perché qui ci sono 130 ricercatori del vostro Paese sui 1800 di questa struttura» dice Nigel Lockyer, direttore di questo centro che porta il nome del fisico italiano Enrico Fermi: «Molti dei nostri impianti sono di fabbricazione italiana e la tecnologia di base usata nel viaggio dei neutrini alla scoperta delle origini dell’universo è stata creata da Carlo Rubbia: quella dell’argon liquido». Per questo c’è anche il premio Nobel italiano e «padre nobile» del Cern di Ginevra ad accogliere Renzi nella cattedrale Usa dell’astrofisica: «Un tempo — dice — eravamo in competizione con gli americani, ma da parecchi anni, ormai, collaboriamo. Le macchine per esplorare le origini dell’universo sono sofisticatissime e molto costose. Inutile costruirne due: ci dividiamo il lavoro». (Fonte: M. Gaggi, CorSera 31-03-16)



USA. L'AFFLUSSO DI STUDENTI STRANIERI COMPENSA AMPIAMENTE L'USCITA DI AMERICANI

Gli atenei Usa continuano ad attirare moltissimi studenti dall'estero, ma da un po' di tempo cresce anche il numero dei giovani americani che vanno a prendere la laurea in Scozia o a Oslo. Per adesso i college Usa non si preoccupano e continuano, imperterriti, ad aumentare le rette proprio perché l'afflusso di studenti stranieri compensa ampiamente l'emorragia di americani: in 40 anni, dal 1975 al 2015, gli stranieri nelle accademie Usa sono passati da 154 mila (1,5%) a quasi un milione (4,8%). In testa le università di New York (Nyu ha oltre 13 mila stranieri, Columbia 11.500) e della West Coast  (South California 12.300, University of California Los Angeles 10.200). Il fenomeno più curioso, tuttavia, non riguarda i corsi universitari di base ma i master, vera specialità americana. Anzi un master in particolare; quello in business administration che è un'invenzione a stelle e strisce. L'Mba è nato ad Harvard nel 1908. Da allora le business school si sono moltiplicate. Oggi ce ne sono ben 200: un affare cresciuto tumultuosamente. Ma da tempo questo titolo post graduate sta perdendo appeal: negli ultimi 5 anni le domande degli studenti americani si sono ridotte di un terzo. Nessun allarme per queste accademie, solo un po' più di marketing oltreoceano. Il fascino dell'Mba resta altissimo tra gli studenti stranieri, ormai in maggioranza in queste scuole: le loro application sono il 58% del totale. (Fonte: M. Gaggi, CorSera 14-04-16)



UNIVERSITÀ CINESI RECLUTANO CERVELLI ITALIANI

La Cina sta conducendo una vera e propria campagna acquisti in Italia. Lo scouting promosso dalla provincia cinese di Jiangsu, e destinato a reclutare docenti e ricercatori italiani, si basa sull'offerta avanzata dalla "Nanjing University of the Arts" e dallo "Jiangsu college of Information Technology": compenso dai 50mila ai 100mila dollari annui, più altri 100mila dollari, per i costi dell'alloggio. (Fonte: La Discussione 31-03-16)





LIBRI. RAPPORTI



RISCHIO E PREVISIONE. COSA PUÒ DIRCI LA SCIENZA SULLA CRISI

Autore: Francesco Sylos Labini. Editore Sagittari Laterza, 2016, XIV-248 pg.

Economisti e politici hanno bisogno di adottare una mentalità scientifica. Ecco come la scienza può aiutarci a capire la crisi economica e può fornirci soluzioni originali. Ogni giorno ci viene ripetuto che esistono delle leggi di mercato, la domanda e l’offerta, che non possono che condizionare le nostre vite. Queste norme appaiono come ‘naturali’ quanto la legge di gravità, e gli economisti, utilizzando equazioni e modelli matematici, sono percepiti come gli scienziati destinati a comprenderle e a interpretarle. Ma veramente possiamo fidarci delle previsioni dell’economia come di quelle della fisica? Ancora di più: l’economia è davvero una scienza? Il sistema economico è ancora descritto come costantemente caratterizzato dalla ricerca di una condizione di equilibrio stabile. A questa prospettiva, che rispecchia i limiti e le idee della fisica dell’Ottocento, l’autore contrappone le intuizioni offerte dalla fisica moderna prendendo in considerazione i recenti sviluppi sullo studio dei sistemi caotici e complessi. (Fonte: presentazione dell’editore)



LA LOTTA ALL’ABBANDONO PRECOCE DEI PERCORSI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE: STRATEGIE, POLITICHE E MISURE

A cura di Simona Baggiani, Unità italiana di Eurydice, 2014, 170 pg.

Nel quaderno (i quaderni di eurydice n. 31), pubblicato e curato da Eurydice Italia, sono analizzate la situazione attuale e le strategie di prevenzione e intervento adottate e da adottare per contrastare e ridurre il problema, partendo da dati statistici di fonte Eurostat e Ocse, rintracciabili anche nel rapporto Istat 2016. In Italia, per quanto riguarda il tasso di abbandono precoce, si sono registrati miglioramenti. La percentuale dei giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandonano la scuola troppo presto, non conseguendo né diplomi di secondo grado né attestati di formazione professionale, è scesa dal 19,2% nel 2009 al 15% nel 2014. Un risultato incoraggiante che ha permesso all’Italia di raggiungere il suo obiettivo nazionale fissato al 16%, pur rimanendo ancora distante dall’obiettivo europeo del 10% entro il 2020.

In molti Paesi europei gli studenti nati all’estero che abbandonano precocemente i percorsi di istruzione e formazione costituiscono la maggioranza di chi lascia: l’unica eccezione a questa tendenza è rappresentata dal Regno Unito. I tassi sono alti in Grecia, Spagna e in Italia, dove la percentuale di abbandono degli stranieri è più del doppio rispetto a quello degli italiani: il 34,4% degli studenti che non consegue diplomi di secondaria superiore o di formazione professionale è nato all’estero, mentre tra gli studenti nativi la percentuale scende al 14,8%. I dati sono entrambi superiori alla media europea che è rispettivamente del 22,7% e 11%. E non è tutto, perché l’Italia risulta anche tra i Paesi con le maggiori disparità tra tassi di abbandono maschili e femminili, con una percentuale del 20,2% per i maschi e del 13,7% per le femmine. Si tratta di un dato negativo rispetto alla media europea del 13,6% per i maschi, 10,2% per le femmine (situazioni analoghe a Cipro, Estonia, Spagna, Lettonia, Portogallo e Islanda) con una propensione all’abbandono scolastico da parte degli studenti di sesso maschile che è più evidente nelle aree disagiate. (Fonte: F. Boc., IlBo 12-04-16; https://webgate.ec.europa.eu/fpfis/mwikis/eurydice )



PASSING ON THE RIGHT: CONSERVATIVE PROFESSORS IN THE PROGRESSIVE UNIVERSITY

Autori: Jon Fields e Joshua Dunn. Ed. Oxford University Press, 2016, 256 pg.

Si tratta di una ricerca rigorosa che dà conto dell’ostracismo, della discriminazione, delle ataviche inclinazioni democratiche e delle altrettanto ataviche antipatie per i conservatori, ma esibisce il raro pregio dell’equilibrio. E’ una ricerca condotta con un metodo scientifico esplicito e verificabile, non un pamphlet da dare in pasto a Fox News. Rispetto ad altre indagini simili sul “bias” democratico nell’accademia, lo studio dei due politologi si concentra sul racconto dei conservatori che abitano nelle facoltà di economia, scienze politiche, sociologia, storia, filosofia e lettere. La scelta di non indagare gli accademici che si occupano di scienze naturali e discipline matematiche deriva dalla convinzione che negli ambiti dove il metodo d’indagine è più stringente, le inclinazioni ideologiche tendano a essere meno influenti. Fields e Dunn hanno intervistato di persona 153 professori in 84 università, la maggior parte dei quali ha scelto l’anonimato, ammettendo nel campione soltanto quelli che si identificano come conservatori. Si tratta dello studio quantitativamente più vasto su una specie in via d’estinzione. Attraverso le testimonianze, i ricercatori hanno certamente trovato il “bias” ideologico di cui si è detto, ma hanno anche trovato altro. Innanzitutto, l’ostracismo non è definitivo. “Un terzo dei professori intervistati – scrivono Fields e Dunn – dicono di aver nascosto le loro convinzioni politiche prima di avere ottenuto il posto da ordinari. Certo, essere ‘in the closet’ non è facile (un professore particolarmente preoccupato ci ha detto: “E’ perfino pericoloso pensare qualcosa di conservatore quando sono nel campus, perché mi potrebbe sfuggire dalla bocca”), ma è una difficoltà temporanea, visto che tutti quelli che abbiamo ascoltato hanno dichiarato di essere usciti o di voler uscire allo scoperto dopo aver ottenuto il posto. Una volta diventati ordinari, i conservatori sono liberi di esprimere le loro opinioni politiche e di pubblicare ricerche che riflettono i loro interessi e le loro prospettive. L’originalità di “Passing on the Right” sta nel suggerire che un diverso atteggiamento nei confronti dei professori conservatori farebbe un buon servizio alla reale vocazione progressista e liberal dell’accademia, e non sarebbe soltanto un ribilanciare le squadre per pagare il solito, formale tributo all’idolo dorato delle pari opportunità. (Fonte: M. Ferraresi, Il Foglio 19-04-16)

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