martedì 6 settembre 2016

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N.RO 5



IN EVIDENZA

DIECI BUGIE SULL’UNIVERSITÀ
Erano quasi tutti di Napoli Federico II i docenti che si sono autotassati per acquistare uno spazio sul Mattino e sul Corriere del Mezzogiorno, per informare e coinvolgere l’opinione pubblica, denunciando le 10 Bugie sull’Università più eclatanti:
1.    In Italia ci sono troppe università-FALSO: abbiamo meno università, in rapporto alla popolazione, di Spagna, UK, Germania, Francia. Inoltre, dal 2007 al 2015 c’è stata una riduzione di matricole del 12.3% (al Sud è stata del 20.7%) ed abbiamo una bassissima percentuale di laureati: tra la popolazione di 30-34 anni, solo il 23.9%, contro il 37.9% della media europea.
2.    La ricerca italiana non è competitiva-FALSO: i lavori scientifici degli studiosi italiani, rapportati agli investimenti in ricerca, sono più citati di quelli dei colleghi di Francia, Germania e Stati Uniti: i docenti universitari italiani con pochi mezzi per la ricerca riescono a mantenere una produzione scientifica di prestigio internazionale.
3.    Laurearsi in Italia non serve-FALSO: nel 2014, nonostante il protrarsi della crisi, il tasso di disoccupazione tra i laureati è stato del 17.7%, tra i diplomati del 30.0% mentre tra quelli con sola licenza media del 48.1%.
4.    L’Italia spende adeguatamente per la ricercaFALSO: investe solo l’1.2% del PIL contro 2.8% di Germania, 2.2% di Francia, 1.7% di Gran Bretagna (la media europea è circa del 2%).
5.    L’Italia investe adeguatamente in istruzione universitaria-FALSO: nel periodo 2008-2014 si è avuta una riduzione del 21% dei finanziamenti all’Università Pubblica; in altri paesi c’è stato un significativo incremento (Francia +3.9%, Germania +23.0%).
6.    In Italia le tasse universitarie sono basse-FALSO. A parità di potere d’acquisto, le tasse italiane sono tra le più alte d’Europa: 1,6 volte le tasse svizzere e 1,9 volte quelle austriache. E’ da sottolineare che nei paesi scandinavi, in Germania, ed in alcuni paesi dell’Est-europeo, gli studenti universitari non pagano le tasse.
7.    L’Italia garantisce il diritto allo studio-FALSO: nell’anno accademico 2014/15 il 25.1% degli studenti, che avrebbe avuto DIRITTO a una borsa di studio, NON LA HA RICEVUTA. Questa percentuale sale al Sud al 47.6%, con punte del 61.5% nelle isole. Nel 2015, il 23.3% delle matricole residenti nel Sud si è iscritto in Università del Centro-Nord determinando un nuovo fenomeno di emigrazione.
8.    Il governo riconosce la dignità ed il ruolo della docenza universitariaFALSO: tra le categorie del pubblico impiego solo i docenti universitari hanno visto prolungato il blocco degli stipendi per il 2015 e non hanno avuto il riconoscimento giuridico dell’anzianità maturata nel quinquennio 2011-2015 durante il quale hanno continuato ad insegnare, pubblicare articoli scientifici, tenere esami, seguire i tesisti, ovvero a lavorare, senza che ciò abbia prodotto i dovuti effetti giuridici.
9.    Il governo ha stanziato 2,5 miliardi di nuove risorse per la ricercaFALSO: il governo si fa vanto di risorse già previste in bilancio dal 2014 che, oltre a essere state ridotte, in parte derivano proprio dal risparmio dovuto al mancato riconoscimento dell’anzianità maturata dai docenti nel quinquennio 2011-2015. Per contro, il governo prevede uno stanziamento di 1,5 miliardi in 10 anni per la realizzazione dello Human-Technopole nell’ex area Expo, affidato all’Istituto Italiano di Tecnologia (ITT), fondazione di diritto privato.
10.  La Valutazione della Qualità degli Atenei ha l’obiettivo di premiare gli Atenei meritevoliFALSO: l’attuale sistema non prevede risorse aggiuntive per i “meritevoli”; viene solo ridistribuita tra gli Atenei una quota dello scarso e decrescente finanziamento ordinario sulla base di criteri che vengono cambiati continuamente (in 6 anni 22 diversi criteri!) e stabiliti a posteriori. (Fonte: https://dignitadocentiunina.wordpress.com/ 26-05-16)

SULL'UNIVERSITÀ ITALIANA SONO STATE SGANCIATE TRE BOMBE A EFFETTO RITARDATO NEGLI ULTIMI DUE DECENNI
R. Simone prende spunto da un commento al libro di Federico Bertoni (“Universitaly. La cultura in scatola”) per allargare il discorso al processo di trasformazione dell’università. Le tre bombe del titolo sono, secondo Simone, la riforma Berlinguer del 2000 che introdusse la struttura didattica denominata 3+2, il cocciuto proposito del ministro Giulio Tremonti (professore anche lui, sebbene solo come secondo lavoro) di ridurre gli organici e prosciugare i finanziamenti, e, ciliegina sulla torta, la riforma del 2010 che porta il nome dell'ex ministro Maria Stella Gelmini. La prima riforma destrutturò l'organizzazione didattica col pretesto di renderla europea; il piano Tremonti la impoverì restringendo il ricambio di personale e i finanziamenti; la terza bloccò per anni il reclutamento, produsse un terremoto strutturale del tutto insensato. Rilasciandosi negli anni, gli effetti combinati delle tre bombe hanno prodotto la situazione attuale. Non solo sono cambiate le condizioni materiali; è cambiata anche, in silenzio, l'etologia dell'università, a cominciare dalla terminologia. I programmi di studio si chiamano offerta formativa; le parti sociali portano nei consigli di amministrazione la domanda del mondo del lavoro; il progresso degli studenti si calcola in crediti e debiti; quel che esce dalla testa dei docenti (pubblicazioni, brevetti, progetti, ecc.) si chiama prodotti della ricerca; ogni docente (selezionato attraverso l'inenarrabile Abilitazione Scientifica Nazionale, Asn) è sottoposto a cervellotiche Valutazioni della Qualità della Ricerca (Vqr) che gli assegnano un voto che si porta appresso per la vita; le università elaborano periodici piani strategici; i risultati dei ragazzi vengono confrontati con benchmark; i dipartimenti compilano periodicamente la Scheda Unica della Ricerca (Sua); i posti di docenza si calcolano a punti organico (1 per gli ordinari, 0,70 per gli associati, ecc.); negli atenei si creano Presidi di Qualità; le strutture che si progettano (dottorati, corsi, master...) devono avere l'accreditamento passando per l'Ava (Auto-valutazione, Valutazione, Accreditamento). Giuro che i termini e le sigle strampalate, che ricordano le pianificazioni quinquennali sovietiche e cinesi, sono autentici e quasi tutti fantasiosi parti dell'Anvur, il dispotico organo di valutazione ("di diretta nomina politica"), indifferente alle incessanti critiche che suscita. Sono cambiate le egemonie: al ministero, dove una volta i guai li facevano i pedagogisti, ora sono arrivati gli economisti che hanno un master negli Usa. La mestizia si aggrava se si pensa che a ognuna di quelle sigle e denominazioni corrispondano caterve di riunioni, documenti, circolari, moduli elettronici, discussioni, difese corporative... Insomma una montagna di tempo perso, che aumenta il carico burocratico della vita universitaria e ne distorce gli scopi. A ciò si aggiungono alcuni tormentoni ossessivi: l'internazionalizzazione, l'attrattiva, la digitalizzazione, l’e-learning... Tra questi, istanze serie si mischiano inesorabilmente con le tante bufale alla moda e le seduzioni di quel temibile complesso che io chiamo blocco educativo-computazionale, formato da aziende e agenzie multinazionali che hanno scoperto l'education (si dice così!) e intendono farci affari giganteschi.
(Fonte: R. Simone, Il Fatto Quotidiano 06-06-16)

I 100 ATENEI PIÙ INNOVATIVI D’EUROPA
Le università più innovative d’Europa non sembrano avere molto in comune. Alcune sono scuole cattoliche, altre laiche, alcune sono statali e altre private. Una ha 920 anni. Un’altra è stata un’istituzione indipendente per meno di un decennio. Sono sparse in tutto il continente, alcune in grandi città, altre in zone rurali.  Unico punto in comune: quasi tutte enfatizzano la ricerca pratica e la scienza applicata, al contrario degli studiosi puri. Politecnici e college dominano la prima classifica Reuters delle 100 università più innovative d’Europa, un elenco che identifica gli atenei che stanno facendo il massimo per far progredire la scienza, inventare nuove tecnologie e contribuire a guidare l’economia globale. L’università più innovativa d’Europa è la KU Leuven, una scuola di lingua olandese con sede nella regione delle Fiandre (Belgio). Alcune delle università top sulla lista sono state create quando le istituzioni più grandi hanno staccato i loro dipartimenti tecnici. L’Imperial College di Londra (al secondo posto) era precedentemente L’Imperial College of Science, Technology and Medicine, parte della University of London. Sono cinque gli atenei italiani che compaiono nella lista: il Politecnico di Milano, 42°, seguito dall’università degli Studi del capoluogo lombardo, 52°, dalla Sapienza di Roma al 72° posto e da quella di Bologna al 79°. Chiude la classifica del Belpaese l’ateneo di Padova, alla 98° posizione. Le università tedesche – tecniche e non – rappresentano 24 delle 100 università più innovative in Europa, più di qualsiasi altro Paese. Il Regno Unito occupa il secondo posto con 17 istituzioni sulla lista, tra cui i due più antichi atenei di lingua inglese del mondo: l’università di Cambridge, terza, e quella di Oxford, ottava. Su base regionale, l’Europa occidentale domina la lista, con 60 università nella top 100. Il Nord Europa arriva subito dopo, con 24; Il Sud Europa ne ha 15. L’Europa orientale ha solo un ateneo nella lista, la Jagiellonian University (Polonia), 92° in classifica. E solo cinque università sulla lista si trovano in Paesi che non sono membri dell’Unione europea – quattro in Svizzera e una in Norvegia (Università di Oslo, 41°). Le assenze di rilievo nel top 100 includono le università di Russia e Turchia, due dei Paesi più popolosi d’Europa; o qualsiasi ateneo nelle piccole ma ricche Svezia e Finlandia. (Fonte: Roiters. http://www.dailyhealthindustry.it 14-06-16)

LA PROGRESSIVA CONTRAZIONE DELLA DIMENSIONE DELLA FORMAZIONE SUPERIORE
Secondo i dati pubblicati da EUROSTAT lo scorso 20 aprile 2015 l’Italia è precipitata all’ultimo posto in Europa per cittadini dotati di formazione superiore, nella fascia di età 30-34 anni; vi sono paesi che si collocano ormai ben sopra al 50%, come Lituania (53,3%), Lussemburgo (52,7%), Cipro (52,5%) e Irlanda (52,2%) mentre, dalla parte opposta della scala, si collocano Italia (23,9%), Romania (25%), Malta (26,6%), Slovacchia (26,9%) e Repubblica Ceca (28,2%). L’Italia, con il suo deprimente 23,9% è proprio la peggiore, la peggiore di tutti. L’obiettivo dell’Unione Europea è che tutti i suoi paesi raggiungano il 40% entro il 2020; molti paesi lo raggiungeranno, alcuni lo hanno già raggiunto, altri hanno già superato il 50% e qualche paese si propone perfino di superare il 60%. L’Italia invece ha ridimensionato il proprio obiettivo al 26%; è vero che anche altri paesi si pongono target inferiori al 40% ma, in ogni caso, tutti a livelli più elevati del 26% stabilito dall’Italia. Ma la posizione dell’Italia merita un ulteriore approfondimento. Nel 2012 l’Italia stava al 22,3%. Ad un’analisi superficiale si potrebbe pensare che abbiamo fatto progressi in questi ultimi anni, che siamo cresciuti, che siamo sulla buona strada e che, anche se forse non si raggiungerà proprio il 26%, vi arriveremo vicini. Ebbene, le cose non stanno proprio così. Infatti, gli studenti immatricolati, dopo aver raggiunto un numero massimo di 338.500 nel 2003/04, sono poi rapidamente scesi a circa 280.000 nel 2011/12, per scendere ancora a 265.500 nel 2014/15, con una perdita annua di 73.000 studenti, pari al 21,6%. Il timido aumento riscontrato nelle immatricolazioni 20015/16, pari al 2,2%, non modifica la sostanza delle considerazioni svolte.
Corrispondentemente anche il numero degli iscritti è sceso da 1.824.000 del 2005/06 a 1.751.000 del 2011/12. Tutto questo fa capire che la lieve crescita dei laureati in fascia di età i 30-34 anni non è altro che l’effetto dell’onda lunga della crescita delle immatricolazioni nei primi anni del secolo e i dati lasciano anzi prevedere che non avremo nessuna crescita dei laureati, ma addirittura una diminuzione, che continuerà a lasciare l’Italia assai distante da quel 40% che l’Unione Europea si è posto come obiettivo per il 2020. (Fonte: A. Stella, IlBo 02-05-16)

CORSI PROFESSIONALIZZANTI ALTERNATIVI ALLE LAUREE
Si sono diffusi nel Paese la nascita e l'affermarsi di canali alternativi all’università, corsi che vengono avvertiti come un passaggio più semplice verso un'occupazione. E fa niente che non rilascino una laurea e che siano «diplomifici» a volte sospetti. Truccatori, osteopati, informatici, montatori e tecnici tv. Spesso sono anche il sintomo della proliferazione di lavori agganciati all'evoluzione economica e tecnologica, come il web design. Così le università si sono trovate spiazzate e per correre ai ripari inseriscono corsi professionalizzanti nel percorso di laurea. È un modo per dare senso alle sempre più numerose sedi distaccate delle 90 università italiane che più di qualcuno considera troppe, anche se in verità sono in linea con le medie europee: «Il punto non è il numero delle sedi. Sono i doppioni che non vanno. Non hanno senso 90 sedi se sono tutte generaliste» dice il rettore dell’UniBo Francesco Ubertini. Che senso ha, infatti, insegnare giurisprudenza ovunque se tra l'altro è la facoltà che ha subito il maggior tracollo di immatricolazioni: -45,6% dal 2004 a oggi? L'Italia è il Paese con più avvocati al mondo. Colpa anche della mancanza di orientamento e della formula dei tirocini in azienda durante gli studi. Una svolta che subisce le resistenze culturali delle accademie. «Perché lasciare ai privati e a realtà extrauniversitarie i corsi professionalizzanti che potremmo fa noi?». La domanda del rettore Ubertini se la sta facendo il governo che in vista della prossima legge di Stabilità studia forme di incentivi per università e aziende che stringeranno accordi tra loro. Le prime ricaveranno punti di merito utili nella competizione tra atenei, le seconde sconti contributivi se faciliteranno stage e assunzioni tra gli studenti. (Fonte: La Stampa 12-06-16)

“FINCHE’ LA VOCE RICERCA E LA VOCE WELFARE SARANNO CONSIDERATI COME VOCI DI SPESA E NON COME VOCI D’INVESTIMENTO, DI PASSI IN AVANTI SE NE FARANNO MOLTO POCHI”
Questa dichiarazione è stata resa all’agenzia Dire da Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, presente al convegno “Universita’ 2020”, l’incontro nazionale organizzato dall’AIDU - Associazione Italiana Docenti Universitari, la più grande associazione di docenti cattolici del Paese.
L’università «attende un cambio di prospettiva» ha evidenziato monsignor Galantino. «La situazione dell'università - ha osservato il presule - è la situazione di qualsiasi realtà che in questo momento attende: attende dei segnali, attende un'attenzione maggiore come tutta quanta la ricerca, perché penso che finché la voce ricerca e la voce welfare saranno considerati come voci di spesa e non come voci d'investimento, di passi in avanti se ne faranno molto pochi». L'università quindi «è una delle realtà in attesa di segnali forti da parte di chi governa: segnali positivi ce ne sono, e bisogna anche riconoscerli, però se si dice che questo basta è pericoloso».
Al convegno, svoltosi nell’aula Volpi dell’Università di “Roma Tre”, oltre a Galantino e a circa un centinaio di professori, anche il rettore del terzo ateneo capitolino Mario Panizza, rappresentanti della Chiesa e delle istituzioni, esperti e ricercatori che hanno illustrato studi recenti sulla condizione degli studenti italiani, ai quali e’ stata dedicata parte dell’incontro. I riferimenti alla crisi e alla necessità di investire in istruzione e ricerca sono venuti da più parti. (Fonte: www.dire.it 27-05-16)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

NUOVE REGOLE PER L’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
Due le principali novità nelle nuove regole per l’Abilitazione Scientifica Nazionale, il titolo necessario per poter insegnare all’Università, che ha avuto il via libera in Consiglio dei Ministri. Viene introdotta la cosiddetta procedura a “sportello”: gli aspiranti professori potranno presentare la loro candidatura in qualsiasi momento dell’anno e non più solo entrano periodi limitati fissati dal Miur. Sono state anche riviste le modalità di sorteggio delle commissioni per garantire una maggiore rappresentatività dei settori disciplinari. Il DPR approvato oggi in via definitiva è stato vagliato dal Consiglio di Stato e dalle Commissioni parlamentari.
Si riporta una tabella con la sintesi delle modifiche apportate.
Un commento di Redazione Roars (09-06-16): Il nuovo regolamento si spinge oltre il precedente nel prevedere che i cosiddetti indicatori possano costituire una soglia imprescindibile per il conseguimento dell’abilitazione: Sarà interessante vedere quali e quanti problemi – forieri di contenzioso – potranno derivare dai possibili errori nel calcolo degli indicatori. Tutto ciò premesso, è interessante osservare che, stando al sito dell’ANVUR, «la procedura di revisione annuale per il riconoscimento delle riviste scientifiche e di classe A ai fini della Abilitazione Scientifica Nazionale, prevista inizialmente per il mese di Giugno 2016, è posticipata al prossimo autunno». Ora, non sfuggirà ai lettori che, salvo un’inaspettata rinuncia ai ranking di riviste, senza liste di riviste in fascia A non è possibile: 1. valutare la severità dei valori soglia e, a maggior ragione, valutare i percentili (se i valori soglia, saranno comunque agganciati a nozioni statistiche). 2. far partire la selezione dei commissari. In un quadro del genere, perdurerebbe il blocco del reclutamento universitario, rendendo necessario prorogare ulteriormente gli RTDb.

ABILITAZIONI A MAGGIORANZA SEMPLICE. SENTENZA DEL TAR LAZIO
In una recente sentenza il TAR Lazio afferma che in presenza di un’abilitazione scientifica nazionale conferita a maggioranza semplice (3 commissari su 5) non possa prevalere la mancata abilitazione conferita a minoranza (2 su 5). Il TAR ritiene che la decisione del Consiglio di Stato relativa alla maggioranza per il conseguimento dell’Abilitazione, in quanto volta ad annullare una disposizione regolamentare, abbia efficacia erga omnes, e pertanto dichiara abilitato, senza ulteriori approfondimenti del caso né rinvii, un candidato che aveva proposto ricorso. Il ricorrente, avendo conseguito il voto positivo della maggioranza dei commissari, deve considerarsi abilitato, essendo questo l’effetto discendente direttamente dalla norma regolamentare annullata “in parte qua”, una volta eliminato “ex tunc” ogni riferimento alla maggioranza dei quattro quinti.

ASN. SENTENZA TAR: CON 3 SÌ SU 5, ABILITAZIONE DIRETTA "ERGA OMNES"?
I rischi per il MIUR sono più che evidenti, scrive R. Tomei su il foglietto.it: nell’estendere il principio generale a tutti quelli che sono stati “condannati” all’inidoneità nonostante avessero ottenuto il giudizio positivo di 3 commissari su 5 (anziché di 4 su 5, come illegittimamente preteso dal Miur), lo stesso ministero e le università potrebbero trovarsi a dover fare i conti con un folto gruppo di non abilitati, pronti a ricorrere per ottenere “l’abilitazione diretta”, senza passare di nuovo per le relative commissioni esaminatrici, essendo - scrive il Tar - "Il giudizio finale abilitativo ... già insito in quello in concreto deliberato dalla Commissione secondo il quorum deliberativo da considerare, oggi ma anche per allora, legittimo e sufficiente". (Fonte: R.Tomei, http://tinyurl.com/hbfdbhf 26-05-16


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

UK. LE 10 BUSINESS SCHOOL PIÙ SELETTIVE
Business e management sono due fra i corsi universitari più ambiti, perché rappresentano la porta di accesso a ricche carriere nel mondo della finanza e del business. Prendendo in considerazione i risultati della guida annuale “The complete university ranking” delle 127 università britanniche, Business Insider pubblica l’elenco delle 17 più selettive, sulla base dei punteggi di ammissione (Ucas). Oxford e Cambridge non fanno parte dell’elenco, perché offrono corsi avanzati. Di seguito, i nomi che si piazzano ai primi dieci posti.
10 – Università di Edimburgo, 9 – Durham University. 8 – Università di Exeter. 7 – Università di Bath. 6 – Università di Strathclyde. 5 – London School of Economics. 4 – University College London. 3 – King’s College London. 2 – Università di Warwick. 1 – Università di St. Andrews
Non solo St. Andrews è la business school più selettiva del Regno Unito (punteggio minimo: 555), ma è anche considerata la migliore. (Fonte: panorama.it 10-05-16)

SDA BOCCONI. EXECUTIVE EDUCATION 2016 DEL FT LA CONFERMA NELLA TOP 10
Il ranking Executive Education 2016 pubblicato oggi dal Financial Times evidenzia nella classifica relativa ai soli corsi su misura (customized programs) l'SDA Bocconi posizionarsi al 6° posto al mondo, e 5° in Europa; tale ranking è basato per circa il 70% sul feedback delle imprese clienti. Il ranking, rimarca una nota dell'Università milanese, valuta la qualità dei corsi a catalogo e su misura attraverso vari parametri e la posizione nella classifica finale è calcolata attraverso la media dei punteggi nelle due distinte classifiche. Nella classifica per i corsi a catalogo (open programs) SDA Bocconi si colloca 39a al mondo, e 20a in Europa, e nella classifica generale del ranking ottiene il 18° posto nel mondo, e il 10° in Europa. (Fonte: www.finanzaonline.com 23-05-16)

CLASSIFICA CENSIS. PER IL GRUPPO SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA FORMAZIONE AI PRIMI TRE POSTI GLI ATENEI DI BOLOGNA, ROMA TOR VERGATA E URBINO CARLO BO 
Come lo scorso anno ritornano in cima Bologna e Roma, mentre scende di posto Siena. Ancora una volta bisogna scendere nella classifica per trovare le Università siciliane. Al 23° posto troviamo Catania, salita di due posti rispetto allo scorso anno, mentre Palermo e Messina sono alla fine della classifica, precisamente al 36° e 37° posto, prime solo alla 38esima, l’Aquila. Per quanto riguarda Palermo e Messina il loro posto rimane quasi invariato rispetto alla classifica del 2015/2016. (Fonte: http://catania.liveuniversity.it/2016/06/14/classifica-censis-i-migliori-atenei-del-gruppo-scienze-della-formazione-per-il-20162017/ )

gruppo letterario


DOCENTI

LE POLITICHE GOVERNATIVE DAL 2007 E LE MANCATE RISPOSTE DEL MIUR SULLA DISCRIMINAZIONE NEI SOLI CONFRONTI DEI DOCENTI
Fra i danni determinati dalle politiche governative al sistema universitario nel suo complesso dal 2007 ad oggi si segnala, in particolare:
-       la preoccupante riduzione, dal 2007, del 20% dei finanziamenti per le Università a fronte di un incremento del finanziamento in altri Paesi Europei (Francia + 3.9%, Germania +23%);
-       la riduzione degli stanziamenti per diritto allo studio che ha visto nell’anno accademico 2014/15 il 25,1% degli studenti non ricevere la borsa di studio, cui pure avevano diritto, con punte del 47,6% al sud ed, in particolare, del 61,5% nelle isole;
-        la discriminazione operata nei confronti dei soli Docenti Universitari che hanno visto, essi soli, prolungato il blocco degli stipendi nel 2015, ed annullato il riconoscimento giuridico dell’anzianità maturata nel quinquennio 2011-2015.
Sarebbe opportuno che, finalmente, il Ministro spiegasse:
-       perché si è consolidata un’incomprensibile discriminazione nei soli confronti della docenza universitaria, a differenza di tutti gli altri dipendenti pubblici non contrattualizzati, per i quali il blocco o non è mai esistito o è stato applicato per il solo quadriennio 2011-2014 e comunque con il relativo riconoscimento giuridico;
-       perché questa penalizzazione è particolarmente violenta nei confronti dei più giovani tra i docenti, ed è pertanto inversamente proporzionale al reddito percepito;
-       perché anche la sollecitazione al Ministro del Presidente della Repubblica, in considerazione di un’esplicita richiesta a lui indirizzata, non abbia ancora avuto pubblica risposta;
-       quali siano le considerazioni che abbiano costretto lo Stato a violare in modo così palese i principi primi di equità e di uguaglianza.
(Fonte: Mozione del Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie dell’Informazione dell’Università di Napoli Federico II pubblicata da Roars, 18-05-16)

LE VERTENZE NELLA PIATTAFORMA PROPOSTA DAL “MOVIMENTO PER LA DIGNITÀ DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA
La piattaforma proposta dal “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria”, i cui documenti segnalavano a fine aprile 23.500 aderenti, afferenti a 82 diverse sedi universitarie, prevede, in termini di vertenze a breve termine, i seguenti punti:
1) subito per la Docenza il riconoscimento pieno del periodo 2011-2015, che la riallinei a tutto il pubblico impiego dal 1° gennaio 2015, ripristinando la dignità offesa;
2) subito la riapertura della contrattazione per il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario;
3) nella prossima legge di stabilità di fine 2016 il finanziamento di:
A. 6.000 posti da Professore Associato; infatti, non è logico mantenere nel limbo di un ruolo ad esaurimento 17000 Ricercatori a tempo indeterminato […] ma occorre dare a chi è nel vecchio ruolo la possibilità di assumere le funzioni dei nuovi ruoli previsti;
B. 3.000 posti da Professore Ordinario (abbiamo 20.000 Professori Associati a cui occorre dare le
possibilità di progredire);
C. 3.000 nuovi posti da Ricercatore di tipo B (l’Università ha bisogno di nuove leve aggiuntive).
4) nella legge di stabilità del 2017 un piano di assunzioni identico a quello del 2016 (quindi ulteriori 6.000 + 3.000 + 3.000 nuovi posti)
5) sempre nella legge di stabilità del 2017 uno stanziamento di 400 milioni di euro da destinare
prevalentemente alla ricerca di base.” (Fonte: www.umanitanova.org 29-05-16)

CORTE COSTITUZIONALE. ABOLITO IL TRATTENIMENTO IN SERVIZIO DEI PROFESSORI UNIVERSITARI OLTRE I LIMITI DI ETÀ PER LA PENSIONE
Salva la legge Madia sui pensionamenti. E’ questo l’esito della sentenza n. 133 del 10 giugno 2016, con la quale la Corte Costituzionale, dichiarando non fondati o manifestamente infondati una serie di ricorsi, ha bloccato il tentativo dei professori universitari e degli avvocati dello Stato di continuare a restare in servizio oltre l’età pensionabile. La Consulta dunque “promuove” il decreto legge Madia (convertito nella legge n. 114 del 2014), che dice no al trattenimento in servizio oltre i limiti di età per la pensione nella Pubblica amministrazione.
La Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato infondate le questioni di incostituzionalità sollevate a proposito di alcuni casi relativi a docenti universitari e avvocati dello Stato. Il provvedimento, tra l’altro, dice la Corte, «favorisce il ricambio generazionale». La legge Madia abolisce il trattenimento in servizio che permetteva di restare al lavoro anche dopo il compimento dell’età richiesta per andare in pensione. Per la generalità del pubblico impiego lo stop alla possibilità di rimandare la pensione è scattato il 31 ottobre 2014, mentre una deroga è stata concessa ai magistrati per i quali, pur con alcuni paletti, la scadenza è fissata alla fine del 2016. (Fonte: LAPRESSE 10-06-16; A. Spera, Il Foglietto della ricerca 16-06-16)

COSTITUITA L'ASSOCIAZIONE NAZIONALE PROFESSORI e RICERCATORI UNIVERSITARI PENSIONATI (ANPRUP)
Si è costituita l'Associazione nazionale professori e ricercatori universitari pensionati (ANPRUP). La sottoscrizione dell'atto costitutivo a norma dell'art. 36 del Codice civile  è stata completata  alle h. 16,00  del 13 maggio 2016 dai 30 soci fondatori.  Il consiglio direttivo pro tempore risulta così costituito:  Prof. Giovani Deriu-Padova (presidente),  Francesco Favotto-Padova (tesoriere),  Luigi  Frati - Roma Sapienza; Pier Francesco Ghetti-Venezia Ca' Foscari; Paolo Stefano Marcato - Bologna; Mauro Marchionni - Firenze; Nicolò Rizzuto - Verona; Salvatore  Franco - Napoli Federioco II; Enzo Siviero - IUAV Venezia (segretario);  Anna Spalla - Pavia. L’Associazione non persegue scopi di lucro e si propone, mediante scambi coordinati di informazioni e studio dei problemi comuni, di formulare proposte e di intraprendere specifiche iniziative atte a veicolare nell’ambito delle università delle istituzioni e della società civile il contributo ritraibile dalle esperienze pregresse e dalla maturità intellettuale acquisite nel corso della vita accademica e professionale; si impegna altresì a tutelare a tutti i livelli i diritti, gli interessi e la dignità dei professori e ricercatori universitari in quiescenza, promuovendo iniziative di carattere culturale, assistenziale, previdenziale e legale in favore dei propri associati. La strutturazione e' ancora in corso e prevede a regìme una sezione per ogni sede universitaria del territorio nazionale. (Fonte:


DOTTORATO

IL DOTTORATO VALE AI FINI DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA
Il dottorato di ricerca universitario in materie specifiche sulla libera professione vale ai fini della formazione professionale continua, sebbene non sia contemplato dalla Tabella ex art. 15 “Riconoscimento dei crediti alle attività formative particolari” del Regolamento per la formazione professionale continua degli iscritti negli Albi tenuti dagli Ordini dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
A riconoscere la valenza del dottorato ai fini dell’attribuzione di crediti formativi è il Pronto Ordini n. 112/2016, pubblicato ieri sul sito istituzionale del CNDCEC. Per il Consiglio, infatti, il dottorato può essere compreso tra gli eventi formativi non accreditati, organizzati da Università, Autorità indipendenti o altre Istituzioni pubbliche aventi ad oggetto materie professionali, di cui sia attestata la partecipazione dal soggetto organizzatore, previsti dalla lettera p) della menzionata Tabella. Si ricorda che per tali attività viene attribuito 1 credito formativo per ogni ora di svolgimento, con un limite massimo annuale di 10 crediti. (Fonte: fiscopiu.it 25-05-16)


E-LEARNING

UNIVERSITÀ TELEMATICHE. UN’OPPORTUNITÀ SOPRATTUTTO PER CHI GIÀ LAVORA
Le università telematiche sono 11 (un primato solo italiano) e contano ormai circa 60mila iscritti, con una media di 5mila iscritti l’anno. Hanno ormai in media dieci anni di vita e hanno retto alla crisi che invece ha colpito gli atenei tradizionali. Secondo i dati dell’Anvur, il 72% degli iscritti arriva da un’università statale: questa percentuale conferma che l’e-learning proposto da questi atenei è un’opportunità per chi già lavora o ha poco tempo per seguire lezioni frontali, oppure per chi in passato ha abbandonato gli studi ed intende riprenderli. I corsi più quotati sono: scienze economico-statistiche e giuridiche (insieme fanno più di un terzo di tutti gli iscritti, circa 24mila), seguono le scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (11mila iscritti), scienze politiche e sociali (7,6mila), ingegneria industriale e dell’informazione (6mila) e ingegneria civile e architettura (4,6mila). (Fonte: http://tinyurl.com/hk8c3cr 11-05-16)


FINANZIAMENTI. RETRIBUZIONI

FINANZIAMENTO DELLE UNIVERSITÀ. PROBLEMI CON IL NUOVO SISTEMA
Il finanziamento ordinario delle università dipende da una quota base e una cosiddetta “premiale”. Nel 2015 la quota premiale è stata pari al 21,6 per cento del finanziamento ordinario e sarà incrementata annualmente fino a raggiungere il 30 per cento; la quota base è stata calcolata in parte sul finanziamento storico e su basi perequative e in parte in relazione al costo standard. A regime, il finanziamento ordinario delle università sarà dunque la somma di due quote: 30 per cento di quota premiale e 70 per cento di quota per costo standard.
Il nuovo sistema di finanziamento pone un problema di divari tra atenei, che nel nostro paese assume un carattere anche regionale. In base alle stime fornite nel rapporto Anvur 2016, le riduzioni e gli incrementi di finanziamento oscillano tra il -25 e il +27 per cento e le università in perdita sono prevalentemente meridionali. Non si può ignorare che il ridimensionamento di molti atenei meridionali (anche se in parte giustificato dai peggiori risultati nella ricerca e dalla diminuzione degli iscritti) si intreccia con la più ampia questione del divario Nord-Sud.
Inoltre, l’applicazione del nuovo modello di finanziamento richiede una decisa inversione di tendenza nell’ammontare complessivo dei finanziamenti concessi alle università. A regime, non sembra esservi congruità tra finanziamenti attuali e teorici (definiti dal costo standard). Secondo le stime fornite da Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) nella relazione presentata a fine maggio, se nel 2015 si fosse applicata integralmente la formula del costo standard, sarebbe stato necessario un finanziamento di 6,5 miliardi di euro per coprire il costo della didattica attualmente erogata. Considerando che vi è un limite alla contribuzione studentesca (la legge stabilisce che le entrate contributive non possano superare il 20 per cento del finanziamento ordinario), sarebbero necessari 5,2 miliardi di euro per coprire la quota base. Per assicurare una quota premiale del 30 per cento del finanziamento totale sono quindi necessari circa 7,5 miliardi di euro. Il divario rispetto ai 6,3 miliardi di euro del 2015 è di circa 1,2 miliardi di euro. (Fonte: M. De Paola e T. Jappelli, lavoce.info 10-06-16)

QUANDO INIZIANO E QUANDO TERMINANO I TAGLI (IL “DEFINANZIAMENTO”) ALL’FFO DELLE UNIVERSITÀ
L’FFO sale da 6.90 miliardi di euro attribuiti nel 2006 al massimo di 7,35 miliardi nel 2008, per poi scendere poco e lentamente nel 2009 (7.27 miliardi) e nel 2010 (7.16 miliardi): ancora nettamente al disopra dell’FFO 2006. Nessun dramma quindi: alla fine del periodo 2006-2010 per l’anno 2010 rimane un incremento dell’FFO di 260 milioni rispetto al 2006. Nel 2011 l’FFO scende bruscamente a 6.83 miliardi di euro, 330 milioni in meno rispetto al 2010 e 70 in meno rispetto al 2006, e poi, con vicissitudini varie, scende fino a 6.40 miliardi nel 2015. In questo 2016 risalirà un poco, a circa 6,52 miliardi, in virtù dei fondi stanziati nella legge di stabilità 2016 per i 1000 nuovi posti per ricercatori di tipo B, per i 500 professori “Giulio Natta”, qualche posizione da Ordinario e 25 milioni senza finalità specifica. In conclusione, fra la fine del 2010 (ultimo anno abbastanza “tranquillo”) e quest’anno 2016 l’FFO è sceso da 7.16 miliardi a 6,52 miliardi: dal 2011 a quest’anno i tagli assumono l’entità davvero rilevante di 640 milioni di euro. In tale periodo sono compresi gli anni in cui si bloccano le classi e gli scatti stipendiali dei Docenti e si attua il blocco del turnover, già iniziato nel 2009 e che proseguirà oltre il 2016. (Fonte: C. Ferraro, http://tinyurl.com/hmumtml 09-05-16)

NOVITÀ SUL 20% DEL FONDO PREMIALE DELL’FFO
Una delle principali novità annunciate dal comunicato MIUR su FFO 2016 e programmazione universitaria per il prossimo triennio è la seguente. Il 20% dell’FFO premiale ce lo giocheremo “a scommesse”: «a partire dal 2017 il 20% della quota premiale dell’FFO verrà ripartita sulla base di indicatori individuati dalle stesse università, da scegliere in un paniere proposto dal Ministero che include indicatori per la ricerca, la didattica e l’internazionalizzazione. A ciascun ateneo sarà richiesto, entro la fine del 2016, di identificare i propri indicatori. Gli atenei saranno poi misurati sia sui risultati acquisiti in ciascun ambito strategico, sia sui miglioramenti ottenuti con cadenza annuale». (Fonte: Redazione Roars 09-05-16)

UNA "MORATORIA" SUI CRITERI DI RIPARTO DELL’FFO
In costanza di risorse sembra dunque naturale suggerire al Ministro di valutare per il 2016 una "moratoria" sui criteri di riparto dell’FFO. Lasciare cioè la quota premiale alla percentuale del 20% già raggiunta nel 2015, che è la soglia fissata dalla legge per il 2016, e iniziare subito una riflessione sulle formule di calcolo del costo standard per ridurre gli effetti distorsivi evidenziati dalla prima applicazione nel 2015. Queste formule fanno riferimento a classi di studenti in corso di dimensioni ottimali, fissate in modo uguale per tutte le università, senza tener conto né della densità di popolazione dei diversi territori, né delle eventuali carenze infrastrutturali, né della forte diminuzione delle immatricolazioni, soprattutto al Sud e nelle isole, né infine della presenza nei singoli atenei di percentuali maggiori di studenti in ritardo. La componente perequativa, commisurata per legge ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali, è attualmente davvero minuscola: in Sicilia pesa solo per il 5,9% del costo standard totale, in Sardegna addirittura per il 3%.
Una moratoria non è una soluzione, ma permetterebbe di migliorare l'efficacia di uno strumento innovativo importante come il costo standard senza correre il rischio di costringere alla chiusura molti corsi di laurea a carattere specialistico, soprattutto nelle aree interne e marginali del Paese, comprese quelle decentrate del Nord, in assenza di una riflessione politica approfondita e condivisa sui costi culturali, sociali ed economici di una simile scelta. (Fonte: M. Ghizzoni, Unità 19-05-16)

CROWDFUNDING
Il crowdfunding nasce con l’obiettivo di raccogliere finanziamenti da parte di una folla - crowd - disposta ad investire anche piccole somme in un progetto, un’idea di business, una causa sociale.
In Italia ad oggi non abbiamo una cultura orientata al crowdfunding della ricerca scientifica, la scienza rimane spesso chiusa nella sua torre d’avorio e fatica a comunicare con il territorio, sia esso concepito come insieme di imprese che come insieme di individui.
E’ ancora difficile in Italia implementare efficacemente il trasferimento tecnologico e le relazioni università impresa, vuoi per le caratteristiche tipiche del tessuto imprenditoriale, costituito prevalentemente da micro e piccole imprese, vuoi per una scarsa valutazione dell’orientamento imprenditoriale dei ricercatori operanti nelle nostre università. La reputazione degli scienziati è spesso svincolata dalla capacità di produrre qualcosa di “utile”, e più ancorata alla capacità di pubblicare su riviste di alto valore scientifico. Di conseguenza la terza missione dell’università viene spesso sacrificata. D’altro canto, i finanziamenti pubblici alla ricerca in Italia rasentano il limite inferiore, e sebbene  gli atenei spingano verso la partecipazione a bandi europei e cercare quindi altrove i contributi finanziari per portare avanti i progetti, anche di eccellenza, dei nostri ricercatori, la probabilità di accedervi rimane molto bassa, e la competizione molto alta. Appare dunque interessante esplorare nuove forme di fundraising, e cercare di capire come queste possano inserirsi, con un’ottica di complementarietà, in una sapiente strategia di pianificazione di un portafoglio eterogeneo di possibili fonti di finanziamento. Il crowdfunding è tra queste forme nuove e alternative. (Fonte: S. Sedita. IlBo 20-05-16)

FINANZIAMENTI GOVERNATIVI ALLA RICERCA PUBBLICA. CONFONTO CNR - MP
La fotografia ad oggi mostra che la ricerca pubblica italiana, a dispetto del suo cronico sotto-finanziamento (riconosciuto dallo stesso premier), conserva il suo prestigio e continua ad occupare nel mondo un posto di tutto rilievo considerando qualunque indice (produttività scientifica, capacità di attrarre fondi esterni, ovvero stanziamenti diversi da quelli pubblici). Ad esempio, il CNR riceve un finanziamento governativo di poco superiore ai 580 milioni di euro (che, fatti salvi i fondi vincolati in gran parte esterni all’ente servono, sostanzialmente, per la copertura degli stipendi), mentre un omologo ente tedesco, il Max Planck (MP), con un numero di ricercatori paragonabile (circa 5600 il Max Planck, circa 4200 il Cnr) riceve un finanziamento pubblico tre volte superiore. Malgrado ciò, la capacità di attrarre fondi è confrontabile (430 milioni del MP a fronte di 320 del CNR, cioè esattamente pari al rapporto del numero di ricercatori). Un dato ancor più significativo, se si considera il contesto industriale più solido e disposto ad investire in ricerca in cui opera il Max Planck. (Fonte: V. Mocella, http://tinyurl.com/h6szrx3 20-05-16)


LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE

LAUREA ABILITANTE PER I MEDICI DAL 2018
Una rivoluzione che potrebbe tagliare, non poco, il corso di studi per diventare medico: i tecnici del MIUR stanno valutando la laurea abilitante che, ogni anno, potrebbe ridurre la carriera universitaria degli aspiranti camici bianchi dai 6 ai 12 mesi. E ora si punta ad accelerare i tempi e arrivare così con la riforma in vigore già a partire dal 2018. Un primo tavolo tecnico, convocato dal MIUR, ha fatto incontrare le proposte del Consiglio nazionale universitario e dalla Federazione degli ordini dei medici e degli odontoiatri. Sostanzialmente in linea con le richieste avanzate anche dai sindacati e dalle associazioni del settore al ministero della salute, che puntano dritto a far rientrare nel corso di laurea il tirocinio formativo e il relativo esame abilitante. Con cui poi si accede alla specializzazione o alla scuola di medicina generale. (Fonte: Il Messaggero 10-05-16)

CUN. RACCOMANDAZIONE SULLA FORMAZIONE SPECIALISTICA IN AREA SANITARIA
Il CUN, vista la bozza del disegno di legge delega in materia di gestione e sviluppo delle risorse umane, ex art. 22 del Patto per la salute, ove si prevede di ridurre la presenza dello specializzando nelle sedi atte alla sua formazione, a favore di una cosiddetta attività nelle strutture del SSR, svolta senza una garanzia di coordinamento da parte del Consiglio della Scuola di specializzazione;
al fine di salvaguardare la qualità della formazione anche per í futuri medici specialisti, mantenendo gli attuali standard, chiede con forza che il sistema della formazione medica specialistica non sia ancora una volta sottoposto a modifiche che ne comportino un ennesimo profondo ripensamento, quando ancora ci si sta confrontando con la prima fase dell'applicazione della recentissima riforma e questa ancora deve mostrare tutte le sue potenzialità di miglioramento e razionalizzazione; e che il Ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca si adoperi affinché siano evitate differenze nel percorso formativo di scuole di una medesima tipologia a seconda della sede di frequenza, tali da comportare inadeguatezza del percorso formativo stesso, rischiando di non garantire la conformità con i processi di formazione europea e generando incertezze negli stessi specializzandi. (Fonte: CUN Adunanza del 05-04-16)

I LAUREATI PIÙ RICHIESTI NEI PROSSIMNI CINQUE ANNI
Quali saranno le lauree, in concreto, più richieste nel 2020? Secondo “Il Sole 24 Ore” sono 2,5 milioni i lavoratori stimati che risponderanno al fabbisogno lavorativo italiano nel 2020 e su 100 nuovi ingressi sarà richiesto il 41% di lavoratori “molto qualificati” invece i “non qualificati” costituiranno il 27% del fabbisogno complessivo. Al vertice della classifica  si pongono i laureati in economia e statistica. Saranno, infatti, in 35.000 ad essere richiesti dal mercato del lavoro nel 2020, seguiti da medici (31mila), ingegneri (24mila), insegnanti (quasi 19mila unità) e giuristi (quasi 15 mila unità). A livello territoriale, invece, sarà il Nord-Est ad offrire più opportunità: oltre 244mila assunzioni stimate per i laureati e 273mila per i diplomati. Il mercato lavorativo italiano punterà  nel futuro, infatti, su personale sempre più qualificato ossia laureato e diplomato.
Secondo Unioncamere troverà lavoro nei prossimi 5 anni poco più di 2,5 milioni di persone in imprese private ed enti pubblici. Inoltre, coerentemente alla richiesta di figure ad alta specializzazione, entreranno in attività 787mila laureati (il 31% del totale) e 837mila diplomati (33%). (Fonte: I. Martorana, http://tinyurl.com/h4qohjo 16-05-16)

LAUREATI IN MEDICINA. UN RAPPORTO DELL’OIS
Secondo l’Osservatorio internazionale della salute (OIS) l’85,1% di coloro che completano il percorso universitario nelle facoltà di medicina, trovano lavoro entro i 28 anni. Per quanto riguarda il profilo sociale, l’inchiesta presenta alcune considerazioni da tener presente. Innanzitutto, il rapporto svela che solo il 4,7% dei neo-laureati decide di trasferirsi all’estero per cercare un impiego, preferendo restare entro i confini nazionali. Inoltre, il 37.7% dichiara di aver svolto attività di volontariato, considerandole esperienze che possano completare la propria formazione professionale. Come si legge dal documento ufficiale, le nuove generazioni di medici risultano essere molto più dinamiche rispetto alle precedenti, prediligendo il lavoro in ospedale per dedizione e spirito di servizio anziché per un discorso di tipo economico. L’87,5% di questi ragazzi, oltretutto, è molto attento alla tutela personale, in quanto possiede una copertura assicurativa. (Fonte: OIS,  www.thegraduateschronicle.it 05-05-16)

BANDITO IL CONCORSO PER L'ACCESSO DEI MEDICI ALLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE
Il Ministero dell'Università ha finalmente pubblicato il tanto atteso bando del concorso per l'accesso dei medici alle scuole di specializzazione. Il via alla prima prova, comune a tutte le tipologie di scuole, è fissata per il 19 luglio. La procedura di iscrizione on line al concorso era attiva da martedì 24 maggio 2016 e si è chiusa inderogabilmente alle ore 15.00 di martedì 7 giugno 2016. Quanto ai contratti, in totale verranno finanziate 6718 borse di studio: di cui 6133 con fondi statali e 521 con contratti regionali. La prova d'esame consiste in una prova scritta che prevede la soluzione di 110 quesiti a risposta multipla, ciascuno dei quali con quattro possibili risposte. La prova è divisa nelle seguenti parti: la prima, comune a tutte le tipologie di scuole (70 quesiti), e la seconda specifica di Area (30 quesiti) e specifica di scuola (10 quesiti).
Nell'ambito dei posti disponibili per l'ammissione alle Scuole di specializzazione sono definite graduatorie nazionali per ciascuna tipologia di Scuola in cui sono ammessi anche i candidati comunitari e non comunitari, secondo l'ordine decrescente del punteggio conseguito dato dalla somma del punteggio dei titoli e della prova. Per quanto riguarda il trattamento economico la parte fissa annua lorda viene determinata in euro 22.700,00 per ciascun anno di formazione specialistica. La parte variabile annua lorda, calcolata in modo che non ecceda il 15% di quella fissa, è determinata in euro 2.300,00 per ciascuno dei primi due anni di formazione specialistica, mentre per ciascuno dei successivi anni di formazione specialistica la stessa è determinata in euro 3.300,00 annui lordi. (Fonte: quotidianosanita.it)

IL RAPPORTO TRA UNIVERSITÀ E LAVORO
Rettore, ci spieghi in che modo l'offerta formativa della Sapienza sta rispondendo ai cambiamenti nel mondo del lavoro. "Innanzitutto, stiamo aumentando l'offerta a livello internazionale e introducendo concorsi tenuti completamente in inglese per spingere i nostri all'estero e dall'estero attrarre. Poi, abbiamo istituito nuove lauree, direttamente ispirate dal mondo del lavoro. Un corso in inglese su fashion-moda, per esempio, pieno di storia, geografia, cultura del Paese, peculiarità artistiche. Si parte a settembre. Oggi un manager solo economico e giuridico è superato, dobbiamo formarli con competenze umanistiche, psicologiche, filosofiche. Più contaminati e adeguati al capitale umano che devono gestire". Quali le novità nell'area medica? "È stata la prima ad adeguarsi e oggi offre i risultati migliori. Due i pilastri: il numero programmato, non chiuso. Programmato in maniera democratica. Consente di studiare e non solo di iscriversi. E poi tutte le lauree di area medica sono professionalizzanti: clinici, tecnici di laboratorio, infermieri. Una novità è stata la riforma delle scuole di specializzazione, prima ancora l'esame unico nazionale. E 60 crediti assegnati per la pratica medica provano a chiudere quella distanza tra sapere e saper fare che è un limite dei nostri laureati. Presto arriveremo all'Esame di Stato consegnato insieme alla laurea e i nostri universitari non butteranno via un anno". (Fonte: C. Zunino, intervista a E. Gaudio
rettore della Sapienza di Roma, www.repubblica.it 23-05-16)

LAUREATI CHE TROVANO LAVORO ENTRO 3 ANNI. LIEVE AUMENTO
Nel 2015, secondo i dati Eurostat, ha trovato lavoro entro i 3 anni il 57,5 per cento dei laureati italiani contro mediamente l’81,8 per cento nella UE a 28. Nel 2014 erano stati il 52,8 per cento e quindi nel giro di un anno si è assistito ad un lieve ma significativo miglioramento. Tuttavia continua ad essere una percentuale ancora piuttosto preoccupante. Risente fortemente della Grande Crisi che ha imperversato a partire dal 2008, in Italia con effetti più penetranti rispetto ad altri paesi europei. Infatti, peggio di noi stanno solo i neolaureati della martoriata Grecia con appena il 49,9 per cento. All’altro capo, in Germania, la percentuale dei laureati sotto i 35 anni che trova lavoro entro i tre anni dal conseguimento del titolo è quasi da piena occupazione con il 93,3 per cento. Quanto nel nostro Paese abbia infierito la crisi economica anche sulle prospettive di lavoro a breve – medio termine dei neolaureati emerge da un altro confronto: nel 2008, prima di sprofondare nella più lunga e severa congiuntura negativa degli ultimi sessanta anni, questo dato in Italia era pari al 70,5 per cento. (Fonte: www.siciliainformazioni.com 24-05-16)

A CONFRONTO GLI ATENEI FREQUENTATI CON GLI STIPENDI POI OTTENUTI
Lo "University Report 2016" di JobPricing ha messo a confronto gli atenei frequentati con gli stipendi poi ottenuti. Skuola.net lo ha spulciato per bene per leggere il tuo futuro e rivelarti quando guadagnerai dopo gli studi. Partiamo proprio dalla posizione geografica della tua università, perché alla fine è lei a fare davvero la differenza. Se ne stai frequentando una al Nord dello Stivale, la tua Ral attesa (retribuzione annua lorda) è di 41.154 euro, contro i 40.271 di chi studia al Centro e i 36.505 di chi invece sostiene i suoi esami al Sud. La speranza di ottenere guadagni molto alti nella prima fase della tua carriera, quella che va dai 25 ai 34 anni di età, è alle stelle se frequenti l'Università commerciale Luigi Bocconi, al primo posto di questa classifica di JobPricing con una Ral di 34.637 euro. Ti va comunque di lusso anche se stai frequentando il Politecnico di Milano, al secondo posto con 32.936 euro, l'Università Cattolica del Sacro Cuore, terza con una prospettiva di guadagno di 32.048 euro l'anno e la LUISS Libera università internazionale degli studi sociali Guido Carli, al quarto posto con una Ral 31.184 euro. Alla maggior parte delle università analizzate è stato comunque associato un valore iniziale di carriera tra i 30.500 e i 29.000 euro, mentre fanalino di coda sono le università di Messina e Cagliari, con una Ral media inferiore a 27.500 euro. Bocconi e LUISS sembrano essere anche le università che più delle altre favoriscono l'incremento di stipendio tra il primo e ultimo step di carriera. In particolare, chi si laurea alla LUISS, tra i 25 e i 34 anni ha una speranza di guadagno di 31.184 euro l'anno, tra i 35 e i 44 anni di 44.478 euro e di 62.637 tra i 45 e i 54 anni di età. Chi invece ha completato i suoi studi alla Bocconi, tra i 25 e 34 anni di età ha uno stipendio atteso di 34.637 euro l'anno, tra i 35 e i 44 anni di 46.371 e tra i 45 e i 54 anni di 68.569. Al terzo posto c'è di nuovo l'Università Cattolica del Sacro Cuore che promette ai suoi studenti di guadagnare 32.048 euro l'anno tra i 25 e i 34 anni, 43.728 euro tra i 35 e i 44 anni e 61.877 euro nella loro ultima fase di carriera. Un bello stacco con chi invece si laurea all'Università degli Studi di Roma Tre, ultima nella classifica relativa agli incrementi di stipendio per fase di carriera. Chi esce da questo ateneo con una laurea in mano ha la speranza di guadagnare 29.921 euro l'anno tra i 25 e i 34 anni, 39.127 tra i 35 e 44 anni e 44.420 euro l'anno tra i 45 e i 54 anni, meno di quanto un laureato alla Bocconi guadagnerà nella sua seconda fase di carriera. (Fonte: Serena R., www.skuola.net 25-05-16)

QUALI SONO LE MIGLIORI LAUREE SULLA BASE DEL RAPPORTO CON IL MONDO DEL LAVORO
l’ultima classifica redatta sulla base dell’ultimo rapporto AlmaLaurea aiuta a scegliere università e corso di laurea sulla base del rapporto di questa con il mondo del lavoro. La classifica delle università e facoltà è redatta in base a stipendi medi dei laureati.
Ecco le migliori lauree:
    Ingegneria: 1.705 euro;
    Settore Scientifico: 1.614 euro;
    Chimico-farmaceutico: 1.562 euro;
    Medico (professioni sanitarie): 1.552 euro;
    Geo-biologico: 1.326 euro;
    Politico-sociale: 1.320 euro;
    Agrario e veterinaria: 1.300 euro;
    Architettura: 1.256 euro;
    Giuridico: 1.209 euro;
    Linguistico: 1.203 euro;
    Letterario: 1.117 euro;
    Insegnamento: 1.093 euro;
    Educazione Fisica: 1.059 euro;
    Psicologico: 980 euro.
(Fonte: http://tinyurl.com/jhur4nb 30-05-16)

500 POSTI DA FUNZIONARIO PER LAUREATI. PRESSO MINISTERO BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
I bandi per la copertura tinyurl.com/h4qm2fd (24-05-16)


RICERCA. RICERCATORI

BASSA INTENSITÀ TECNOLOGICA DELLA NOSTRA STRUTTURA PRODUTTIVA E “CERVELLI IN FUGA” NONOSTANTE L’OTTIMA QUALITÀ DELLA RICERCA
Le conferme che l’attività di ricerca svolta in Italia sia di ottima qualità ci provengono da più fronti, a partire dai dati sulla produttività scientifica, espressa come rapporto tra numero di pubblicazioni ed ammontare delle spese in ricerca, per arrivare al riconoscimento delle “eccellenze” nazionali premiate con l’assegnazione dei prestigiosi fondi ERC (European Research Council), che anche quest’anno si sono collocate ai primi posti insieme ai maggiori paesi dell’Unione Europea. Ma c’è un’altra faccia della medaglia, non meno nota, che contrasta profondamente con i brillanti risultati degli scienziati italiani e che sta alzando i toni dell’allarme sulle non ottimistiche prospettive di sviluppo della ricerca nel nostro paese. Quest’altra faccia si chiama “fuga” dalla ricerca e ci mostra un paese che – paradossalmente – sta rinunciando a qualcosa che sa fare bene e che per giunta risulta oggi più che mai essenziale per la crescita di un’economia avanzata. Un fenomeno in netto peggioramento e che gli stessi dati sui fondi ERC confermano impietosamente, indicando che tra i titolari italiani del finanziamento in questione c’è una quota crescente di ricercatori che li spende all’estero. E non basta. Perché a dispetto di qualche commento, che vorrebbe ridimensionare l’entità del problema sostenendo che le dinamiche di un mondo globalizzato – quale è quello in cui viviamo –  prevedono inevitabilmente che via sia una fisiologica circolazione dei saperi, le quote ERC spese oltreconfine dall’Italia sono tra le più alte dei  paesi europei. Né i fondi spesi in Italia sono tali da compensare l’emorragia delle uscite, poiché il nostro paese si rivela tra i meno attrattivi. Questi dati – che attestano l’approfondirsi di un deficit del paese nella capacità di produrre nuove conoscenze – sono d’altra parte consonanti con tutta un’altra serie di risultati (negativi) che l’Italia sta inanellando oramai da tempo sul fronte dell’alta formazione: dalla caduta della spesa pubblica destinata all’università (in controtendenza rispetto agli stessi andamenti della spesa pubblica complessiva al netto degli interessi sul debito, che tra il 2014 e il suo minimo nel 2011 aumenta del 10,7%), alla precarizzazione del corpo docente (solo il 48,3% è rappresentato da docenti e ricercatori strutturati), a una riduzione delle posizioni di dottorato, che dal 2008 sono scese del 19% con un picco del 38% nel Meridione, per finire con un crollo delle iscrizioni all’università, che ci porta ad essere fanalino di coda per numero di laureati tra i maggiori paesi industrializzati.
La conclusione dell’articolista (D. Palma) è che nella “fuga” dalla ricerca, sopra ricordata, ha un ruolo chiave, ma trascurato dagli analisti, la bassa intensità tecnologica della nostra struttura produttiva. La specializzazione in settori a bassa intensità tecnologica condiziona la domanda di forza lavoro con alta formazione, innescando a sua volta una pressione al ribasso sulla spesa pubblica in ricerca che innesca un circuito vizioso che spinge alla contrazione di quella privata. In assenza di un coordinamento tra politiche della ricerca e politiche industriali il PIL italiano continuerà a crescere agli insoddisfacenti ritmi degli ultimi anni. (Fonte: D. Palma, http://tinyurl.com/j69aab2 27-05-16)

RICERCA. PER L’ITALIA RISULTATI MOLTO BUONI STANTE LE RISORSE INVESTITE
Sul piano prettamente quantitativo (numero di ricercatori e risorse investite) troviamo in testa i grandi Paesi: Stati Uniti, Cina, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia, Russia e Sud Corea. L’Italia è lontana dalla posizione che dovrebbe occupare stante la popolazione e il Pil. Il nostro Paese è, infatti, agli ultimi posti nel numero di ricercatori per numero di occupati e nella spesa unitaria. Paesi più piccoli, come Israele e quelli scandinavi, occupano le prime posizioni. Questo è il primo gap del nostro Paese: ha pochi ricercatori e investe poco. Sul piano qualitativo le cose cambiano. I ricercatori italiani hanno una produttività molto elevata. Per numero di articoli e considerato l’impatto citazionale ci collochiamo al 4° posto dopo Svizzera, Olanda e Hong Kong. Subito dietro di noi c'è il Regno Unito. Tre grandi Paesi come Russia, Cina e Giappone si collocano agli ultimi posti. Gli altri grandi sono a metà. Se uniamo qualità e quantità, misurando la quantità complessiva di ottimi lavori (H-index di Paese), il combinato disposto del “pochi ma buoni” italiano ci fa risalire al 7° posto dopo gli altri Paesi del G7. In altri termini siamo agli ultimi posti per la sola quantità mentre con la qualità media dei nostri ricercatori torniamo complessivamente a difenderci. Questo spiega perché, ad esempio, intercettiamo una percentuale di fondi Horizon del circa 8% contro una contribuzione superiore al 13%. Ma dobbiamo anche dire che lo facciamo con una percentuale di ricercatori molto inferiore all'8 per cento. (Fonte: S. Paleari e L. Parisi, www.scuola24.ilsole24ore.com 20-05-16)

VIVACITÀ DEL SISTEMA RICERCA IN ITALIA A DISPETTO DEL CRONICO SOTTO-FINANZIAMENTO
La ricerca pubblica italiana, a dispetto del suo cronico sotto-finanziamento (riconosciuto dallo stesso premier), conserva il suo prestigio e continua ad occupare nel mondo un posto di tutto rilievo considerando qualunque indice (produttività scientifica, capacità di attrarre fondi esterni, ovvero stanziamenti diversi da quelli pubblici). Ad esempio, il Cnr riceve un finanziamento governativo di poco superiore ai 580 milioni di euro (che, fatti salvi i fondi vincolati in gran parte esterni all’ente servono, sostanzialmente, per la copertura degli stipendi), mentre un omologo ente tedesco, il Max Planck, con un numero di ricercatori paragonabile (circa 5600 il Max Planck, circa 4200 il Cnr) riceve un finanziamento pubblico tre volte superiore. Malgrado ciò, la capacità di attrarre fondi è confrontabile (430 milioni del MP a fronte di 320 del Cnr, cioè esattamente pari al rapporto del numero di ricercatori). Un dato ancor più significativo, se si considera il contesto industriale più solido e disposto ad investire in ricerca in cui opera il Max Planck. Il confronto fra i due Enti e mostrano la vivacità del sistema ricerca in Italia, a dispetto del cronico sotto-finanziamento. Tuttavia, il sistema è fragile. La ricerca richiede continuo impulso, freschezza. Mancano condizioni strutturali, infrastrutturali e finanziarie per lo sviluppo delle ricerche, per il reclutamento dei giovani ed anche per il riconoscimento professionale dei ricercatori. Esiste un significativo divario rispetto agli altri paesi sviluppati che va colmato, portando l’Italia ad un livello di finanziamento stabile confrontabile con quello degli altri paesi occidentali. (Fonte: http://tinyurl.com/h7lysyz 14-05-16)

INQUADRAMENTO DEI RICERCATORI FIR. UNA RICHIESTA AL PRESIDENTE DEL CDM
Il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), in qualità di organo consultivo  e  propositivo del  MIUR,  aveva  segnalato già  nel  2011  l’opportunità  di  adottare  criteri  di equipollenza  tra  titolarità  di  progetti  nazionali/e europei  e  posizioni  accademiche,  proponendo  il  nostro inquadramento come  RTDb  (https://www.cun.it/uploads/3965/par_2011_04_20.pdf ).  Nel  Parere 2 del 09/05/2011, tuttavia, l’ANVUR (Agenzia Nazionale di  Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) proponeva l’inquadramento dei ricercatori FIR come RTDa (http://www.anvur.org/attachments/article/449/parere02_11.pdf ).  Quest’ultima  posizione  è  stata  poi adottata ufficialmente dal MIUR (DM 276 dello 01/07 /2011, art. 3) senza tuttavia fornire una motivazione che spiegasse perché fosse prevalso il parere dell’ANVUR rispetto a quello del CUN. Va sottolineato che per i progetti  del  programma “Rita Levi Montalcini” (RLM),  sempre finanziati  dal  MIUR,  è invece previsto l’inquadramento dei ricercatori come RTDb, agevolandone così l’inserimento nel mondo della ricerca con una chiara penalizzazione per i programmi FIR.
Sulla base di quanto esposto, i Coordinatori e Responsabili di Unità di progetti “Futuro in Ricerca” (FIR), in una lettera al Presidente del CdM Renzi chiedono l’adozione di misure urgenti per sanare queste incongruenze, ad  esempio  prevedendo  forme  di  premialità nel nuovo PNR e  nell’accesso alle “Cattedre Natta” per Coordinatori e Responsabili di Unità di progetti competitivi nazionali, tra i quali i FIR. (Fonte: http://tinyurl.com/j5cza3x 26-05-16)

“MANCA TRASPARENZA NEI FINANZIAMENTI ALLA RICERCA”. SERVE UNA AGENZIA PER LA RICERCA CHE SIA TERZA E COMPETENTE E CHE AGISCA IN MODO INDIPENDENTE DALLA COMUNITÀ SCIENTIFICA E DALLA POLITICA
La senatrice Elena Cattaneo lo afferma in un documento di studio, relativo al progetto Human Technopole, per il Parlamento che è scaricabile con il resoconto della seduta del Senato del 4 maggio 2016. Stralcio quanto segue dal documento sulle denunce presentate dalla senatrice sulla mancanza di trasparenza nei finanziamenti alla ricerca:
“Lo affermavo nel 2006 intervenendo al primo Congresso mondiale per la libertà della ricerca scientifica. E in tutta la mia storia di ricercatrice, accademica e cittadina non ho mai potuto fare a meno di denunciare pubblicamente – coniugando i pensieri alle azioni – le distorsioni del metodo scientifico, prescindendo da sempre dal colore e dall’appartenenza politica dei policy makers di volta in volta responsabili dello specifico settore. L’ho fatto nel 2001, con il Ministro Moratti, denunciando la commissione staminali istituita presso l’Istituto Superiore di Sanità per l’erogazione di fondi pubblici sul tema specifico, molti dei cui membri sottomettevano i propri progetti a sé stessi. La denuncia arrivò anni dopo in Parlamento e l’allora sottosegretario affermò che “la procedura adottata dalla commissione staminali non era trasparente”. L’ho fatto nel 2007, con il Ministro Turco, denunciando una distribuzione di fondi pubblici tramite “phone calls”, le chiamate agli amici. Avvisato il Ministro, la denuncia si rese pubblica settimane dopo sui quotidiani, in tempo per bloccarne la firma e riportare quel cospicuo fondo entro i canali di un bando pubblico. E l’ho fatto ancora nel 2009 quando denunciai il governo Berlusconi e il Ministero della Salute per un bando pubblico che impediva di concorrere con progetti che includessero ricerche anche con cellule staminali embrionali, questo nonostante quella ricerca fosse legale e scientificamente pertinente rispetto al tema deciso dal Governo. Da Senatrice a vita ho denunciato il caso di un professore universitario che aveva manipolato i dati di alcuni studi sugli Ogm. Oggi ho scelto di denunciare ancora il tentativo di “corrompere” il metodo della scienza e l’etica pubblica che si sta attuando nell’area dell’ex Expo ... Al Paese serve un’Agenzia per la ricerca (realtà acquisita da tutti i paesi con tradizioni scientifiche importanti) che garantisca regole, controlli, procedure e valutazioni per ogni assegnazione e verifica dell’impiego dei fondi pubblici che sia terza e competente e che agisca in modo indipendente dalla comunità scientifica e dalla politica”. (Fonte: E. Cattaneo, http://tinyurl.com/j5m2wmt 10-05-16)

ATTRARRE RICERCATORI STRANIERI. L’ITALIA MIGLIORA
Una ricerca pubblicata sulla rivista britannica Nature ha analizzato quali sono oggi i paesi europei più bravi e capaci nel richiamare e trattenere scienziati da altre nazioni. Esaminando i dati dell’Unione Europea tra il 2007 e il 2014 riguardanti la mobilità e legati ai fondi messi a disposizione dal Settimo Programma Quadro, è emerso che il punteggio più alto era conquistato dalla Svizzera e dalla Gran Bretagna. Nel gruppo di coda della classifica si colloca l’Italia; una posizione segnalata come un caso perché — si fa notare — nei sette anni del piano ha contemporaneamente perso scienziati e non è stata in grado di attrarne in modo significativo. L’analisi dimostra che il livello di fondi dedicati alla ricerca in un Paese è tanto importante quanto l’abilità del governo a creare meccanismi di richiamo (ad esempio, salari competitivi), oppure, per evitare la fuga, varare provvedimenti per assicurare un futuro alla loro ricerca. Se le difficoltà nella Penisola esistono è anche vero che negli ultimi anni si sono manifestate realtà e iniziative in grado di funzionare da attrattori. Lo dimostra il campione di alcuni centri ricerca uscito da una ricognizione nelle varie Regioni tra il Nord e il Sud. Con dei record significativi, come l’Istituto Italiano di tecnologia (Iit) dove quasi la metà dei sui 1.100 ricercatori arriva da una cinquantina di nazioni. Pure altri centri possono vantare percentuali ragguardevoli (in media da un quarto ad un terzo del numero complessivo). Proprio le cifre e la produttività scientifica di questi gruppi rivelano che, nonostante tutto, c’è qualcosa che cambia e che esiste una spinta a modificare la situazione in meglio ben governata da coloro che sono alla guida dei centri considerati. (Fonte: G. Caprara, CorSera 10-05-16)

RICERCA. LA SITUAZIONE DEI FINANZIAMENTI
Due miliardi e mezzo in tre anni: questo lo stanziamento contenuto nel Piano nazionale per la ricerca, presentato nei giorni scorsi dal ministero per l’Istruzione, l’università e la ricerca. Sono fondi sufficienti? Dipende. Soprattutto da quanto il settore privato riuscirà davvero a essere coinvolto e a incidere sul totale. Intanto, il quadro di partenza, lo stesso contenuto nel rapporto. Ovvero i dati sulle pubblicazioni scientifiche e sulle citazioni, vera e propria unità di misura del valore della produzione scientifica, raccolti da Scimago Journal & Country Rank. Numeri che collocano la ricerca del Belpaese nel top 10 mondiale secondo entrambi gli indicatori. Più di 93mila gli articoli a firma italiana usciti nel 2014, più di 60mila le citazioni, numeri che ci collocano rispettivamente all’ottavo e al sesto posto della classifica. Per quanto riguarda la percentuale di Pil investita in ricerca dai governi, l’Italia si piazza al quarto posto, ma c’è poco da stare allegri. Nel 2013 Roma ha speso lo 0,33% del prodotto interno lordo per sostenere i ricercatori, la Cina appena lo 0,09%. Ma il Pil italiano non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello di Pechino. Ancora più preoccupante, siamo agli ultimi posti per quanto riguarda la percentuale destinata alla ricerca di base. Quella cioè che non ha dirette applicazioni pratiche, ma che è essenziale per espandere la conoscenza scientifica. E, di conseguenza, anche la tecnologia. Il risultato? Le 3.360 domande di brevetto presentate in Italia nel 2013. Anche in questo caso, siamo agli ultimi posti: guidano la classifica gli Stati Uniti con oltre 57mila, praticamente 19 volte tanto quelle italiane. Nel 2013 appena il 45,19% dei finanziamenti alla ricerca è arrivato dalle aziende, il risultato peggiore tra i Paesi della top ten. In Giappone e Cina la quota è del 75%, in Germania del 65, negli Usa del 60. Dall’altra parte il 41% dei fondi è statale, la seconda percentuale più alta dopo quella spagnola. (Fonte: wired.it http://tinyurl.com/h2p8zda 10-05-16)

IL CEPR IN OLTRE DUE ANNI MAI CONVOCATO AL MIUR
Il Comitato degli Esperti per le Politiche della Ricerca (CEPR) “svolge, su mandato del Ministro, attività di consulenza e di studio su problemi riguardanti la politica, lo stato, la programmazione, la valutazione della ricerca, nazionale e internazionale”. Il CEPR ha da poco perso per dimissioni uno dei suoi componenti, Filippomaria Pontani, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Alla base delle dimissioni il fatto che il ministro Giannini “non abbia ritenuto di convocare o incontrare il comitato in oltre due anni”. Dalla lettera di Pontani apprendiamo che il CEPR non è stato consultato in relazione al Piano Nazionale per la Ricerca da poco approvato, e neanche in relazione alla questione IIT-Human Technopole, “un tema sul quale - scrive Pontani - la senatrice Cattaneo ha detto tutto ciò che c’era da dire”. Fonte: http://tinyurl.com/hvzzmk5 14-05-16)

RICERCA. PER GLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA SEGNALI ALLARMANTI
Come primo segnale il 26 febbraio scorso, un decreto del ministro Giannini sul reclutamento di 215 giovani ricercatori negli enti di ricerca privilegiando quelli con meno di cinque anni dal dottorato. Il proposito potrebbe essere positivo se fosse stato preceduto da una politica di investimento. Nello stato attuale, con gli enti di ricerca che non effettuano un reale reclutamento da ben oltre cinque anni, soprattutto per mancanza di risorse economiche governative, questa appare una misura ingiustamente punitiva per tutti i giovani che operano nella ricerca da oltre cinque anni cui non è stata offerta nessuna reale prospettiva negli ultimi anni.
Il secondo segnale, il 26 marzo successivo è l’annuncio del premier di reclutamenti “per chiamata diretta”, che il Cnr sarebbe in procinto di fare, con fondi propri, ai vincitori di Erc da reclutare in ruoli apicali. Sorvolando sul fatto che il Cnr è un ente autonomo, la cui autonomia discende da un principio fondante (l’articolo 33 della carta costituzionale) e che, ad oggi, non ha deliberato su decisioni preannunciate sulle colonne di un quotidiano, quale sarebbe la logica di una tale operazione?  Nelle attuali condizioni di fragilità, se il sistema non ritrova condizioni stabili ed affidabili di efficienza, alcuni isolati vincitori di Erc non  potrebbero fare molto, i fondi straordinari stanziati per loro non garantirebbero lo sviluppo delle loro ricerche né la valorizzazione dei giovani colleghi che ne rappresentano il futuro.
In una terza linea, le bozze del decreto attuativo della “delega per la riforma delle amministrazioni pubbliche” prevedono una riforma della figura professionale dei ricercatori e tecnologi degli Enti e nuove modalità di assunzione, la principale delle quali è il cosiddetto “tenure track. Tale modalità è  simile a quanto avviene già nelle Università, in cui i giovani ricercatori saranno reclutati con contratti a tempo determinato, di 3 anni rinnovabili una sola volta per poi passare direttamente al ruolo di Primo Ricercatore – equivalente del Professore associato universitario. Ancora una volta, tali riforme che potrebbero fungere da stimolo per un rilancio della Ricerca in Italia, se sprovviste di un reale investimento economico, rischiano di rivelarsi sterili se non contro-produttive nei confronti di chi opera già negli enti di ricerca.
Occorre che entrino nella nostra prassi il superamento delle modalità a chiamata, la selezione di buoni progetti mediante bandi pubblici e valutazione di “peer” come nel resto del mondo, la trasparenza, la certezza della regolarità degli interventi (finanziamenti, assunzioni, carriere).
(Fonte: V. Mocella, http://tinyurl.com/h6szrx3 20-05-16)

CRUI. IL PRESIDENTE SCRIVE A RENZI E GIANNINI SUL PROGETTO HUMAN TECHNOPOLE
Il Presidente della CRUI scrive a Renzi e Giannini a proposito del progetto Human Technopole e del ruolo assegnato a IIT. «Riteniamo inopportuno attribuire governo e direzione di un tal progetto ad un unico soggetto, di natura privata e individuato senza alcuna valutazione comparativa. Se tale indirizzo è stato assunto temendo l’eccessiva complessità e farraginosità in cui operano la ricerca e le università pubbliche, allora il progetto HT diventi la leva per cambiare le regole, per tutti e subito, in modo da potersi confrontare e misurare sullo spessore e sul valore delle idee e dei progetti. Anche proposte gestionali che prevedano una collaborazione pubblico-privata possono essere nuovi strumenti di coinvolgimento e responsabilizzazione del sistema pubblico della ricerca, quel sistema che già oggi permette all’Italia di essere nelle prime posizioni al mondo per produttività di ricerca scientifica.» (Fonte 28-05-16)

FUGA DEI CERVELLI E “ATTRATTIVITÀ” DI RICERCATORI STRANIERI
E. Vigna ha chiesto al rettore R. Rizzuto di UniPd: Sono in molti a pensare che uno dei punti di rottura dell'intero sistema di studi in Italia sia costituito, e ben provato, dalla "fuga dei cervelli". «Che cosa vuoi dire questa espressione? Chi offre loro di più? Ma questo è normale. Dov'è, invece, che siamo deboli? Nel fatto che, da una parte il numero degli italiani che vanno all'estero è superiore al valore fisiologico, dall'altra non attraiamo nessuno. Ma ormai ci troviamo in un mercato della scienza, e della competizione nella scienza. Un indicatore fondamentale è dato dal numero dei vincitori del progetto più competitivo della Comunità europea, quello individuale, che si vince con un progetto individuale e che corrisponde a un milione e mezzo di euro di finanziamento: l'Ere. Bene, il primo livello, che è poi quello in cui si investe sui giovani più promettenti, si chiama "Starting". Se si osserva quanti lo prendono, si vede che la Germania ne conta più di 70, che il Regno Unito sta poco sotto, mentre l’Italia non arriva a una ventina, dopo Francia e Spagna». Pessimo piazzamento. «Poi però analizzi il dato. E ti accorgi che le cose sono diverse da come appaiono. Gli italiani di passaporto che lo vincono, infatti, sono molti di più: altri 23 assegnatari, infatti, lavorano all'estero. Se fai il confronto con le altre nazionalità, scopri che gli inglesi di passaporto sono meno degli italiani. Eppure le loro università attraggono più talenti di noi: così, nella classifica, sono in alto in quanto grandi "attrattori". La Francia non attira altrettanto, ma si tiene stretta i "suoi". I tedeschi, in testa, conservano i propri ricercatori e ne attraggono qualcuno in più. Il nostro problema, insomma, va messo nel contesto: noi "perdiamo" anche perché non siamo attrattivi verso gli stranieri. Così finiamo in una situazione di debolezza nei confronti dei grandi generatori di scienza». (Fonte: E. Vigna, CorSera 10-06-16)

INTERVENTI SEMPLICI PER MIGLIORARE LA RICERCA
Nelle more che aumentino gli scarsi finanziamenti, per migliorare la ricerca in Italia sarebbero utili anche interventi semplici, a bassissimo costo. Seguono tre esempi. 1. Migliorare le strategie di finanziamento: il governo ondeggia fra proclami di nuovi investimenti (2,5 miliardi di euro, di cui 1/4 alla ricerca sanitaria; ottima scelta!) e strane operazioni, impensabili in altri paesi, come quella di creare nelle aree di Expo-Milano un polo di ricerca investendo 1,5 miliardi di Euro in 10 anni, da attribuire ad un ente privato, l’Istituto italiano di Tecnologia, senza un bando competitivo. Oppure, bypassare la legge nazionale per l’assegnazione del ruolo di professore universitario, investendo 38 milioni di euro nel 2016 e a 75 a partire dal 2017 per 500 cattedre da retribuire con stipendi maggiori rispetto a quelli dei “professori normali”. Sono chiamate cattedre “del merito”; ma perché quelle tradizionali cosa sono, del demerito? 2. Centralizzare valutazione e finanziamento dei progetti, togliendo dalle mani delle solite consorterie politiche e scientifico-accademiche il potere di elargire finanziamenti in maniera “controllata”.  3. Verificare gli esiti scientifici dei finanziamenti erogati. (Fonte: V. Trischitta, http://tinyurl.com/jj6gtse 12-06-16)

DIFFICOLTÀ NEL RIPRODURRE RISULTATI DI ALTRI RICERCATORI
Nature ha fatto diventare un rombo quello che prima era un sussurro. Su 1.576 scienziati intervistati, più del 70 per cento dice di avere difficoltà nel riprodurre risultati di altri ricercatori. Uno scienziato su due (52%) ritiene che la riproducibilità degli esperimenti stia attraversando una «crisi significativa», il 38% una crisi parziale, solo il 7% afferma che non c'è crisi, il 3% non sa rispondere. Il campione di Nature comprende 703 biologi, 106 chimici, 95 scienziati della Terra e dell'ambiente, 203 medici, 236 fisici e ingegneri, 233 ricercatori di altre discipline.
La mancata riproduzione del risultato di un esperimento può dipendere da un errore in buona fede. In questo caso, ben venga. La scienza procede così. Ma la frode non è da escludere. Nel libro “Cattivi scienziati” Enrico Bucci, estrapolando dati statistici, arriva a una conclusione inquietante: il 15 per cento delle pubblicazioni scientifiche nasconderebbe una frode più o meno grave. I ricercatori nel mondo oggi sono dieci milioni: i disonesti sarebbero qualcosa come 1.260.000. (Fonte: P. Bianucci, Il Foglio 06-06-16)

I CONSORZI UNIVERSITARI DI RICERCA TEMATICA SENZA FONDI
I CIRT (Consorzi interuniversitari di ricerca tematica) sono nati per favorire la collaborazione tra atenei, enti di ricerca e aziende raccogliendo ottimi risultati. Nonostante questo, il MIUR ha azzerato gli stanziamenti ad essi destinati già nel 2013 e nel 2015, e al momento non ci sono tracce di finanziamento nella bozza di Fondo di Finanziamento Ordinario 2016. Una situazione che si traduce inevitabilmente in una discontinuità nelle attività di ricerca e nella difficoltà di elaborazione di nuovi progetti. Ad aprile, le senatrici Di Giorgi, Ferrara, Idem e Puglisi avevano presentato un'interrogazione per segnalare il problema, sottolineando che «i Cirt si contraddistinguono per un'alta efficienza gestionale e per bassi costi di struttura». Il Programma Nazionale della Ricerca (PNR) approvato dal Governo evidenzia le linee di sviluppo della ricerca italiana nei prossimi anni: se si vuole investire nella ricerca, in linea con la strategia Horizon 2020, non bisogna solo ridurre gli sprechi ma anche sostenere gli attori – come i Cirt – che aumentano la capacità complessiva del sistema di sviluppare ricerca e promuovere la formazione di giovani ricercatori. A tal fine, i Cirt hanno chiesto l'istituzione di un "tavolo tecnico" di confronto che riunisca i rappresentanti di Miur, Crui e Cirt per restituire a questi ultimi i finanziamenti di cui hanno bisogno in un quadro di programmazione triennale. (Fonte: I. Ceccarini, rivistauniversitas 25-05-16)


RICERCA. VALUTAZIONE DELLA RICERCA

LA RICERCA UNIVERSITARIA (“ECCELLENZA MONDIALE CHE SOLO PER MERITI INDIVIDUALI RESISTE AI TAGLI”) NELL’ULTIMO “RAPPORTO BIENNALE SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA RICERCA” ELABORATO DALL’ANVUR
Nonostante anni di tagli alle risorse e al personale che hanno messo in ginocchio le università del nostro Paese (meno fondi, meno docenti) la ricerca italiana è ancora viva. Le pubblicazioni continuano a crescere e a rappresentare una fetta consistente della produzione mondiale, mantenendosi sopra la media europea. I dati sono contenuti nell’ultimo “Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca” elaborato dall’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione. Tanti numeri, tante ombre e qualche luce: ad esempio lo stop all’emorragia di immatricolati che si era osservata a partire da metà anni duemila; una parziale inversione di tendenza rispetto alla stagione dei tagli selvaggi (in particolare dell’era Gelmini), o i buoni risultati raggiunti a livello internazionale nella produzione scientifica. Il quadro generale, però, resta negativo. Soprattutto sul piano economico: “Il sistema, già sottofinanziato nel confronto internazionale, dal 2008 ha subito una forte contrazione dei finanziamenti”, spiega il dossier. Né la situazione sembra destinata a cambiare in futuro: “Anche per il 2016 il finanziamento statale delle università si assesta su valori di poco superiori a quelli del 2015”, passando da 7,25 miliardi di euro a 7,34 miliardi, “valori simili a quelli del 2013 e 2014, ma lontani dal massimo raggiunto nel 2009 di 8,44 miliardi”. Ciononostante, la ricerca continua a tenere il passo. Nel periodo 2011-2014, la quota italiana sul totale delle pubblicazioni mondiali si attesta complessivamente al 3,5%, non troppo distante da Francia (4,2) e Germania (5,8), i principali competitor europei, e meglio della Spagna (2,9). Nell’ultimo quinquennio sono diminuite le risorse e pure il personale umano a disposizione delle università: a seguito dei provvedimenti di blocco del turnover, il numero complessivo di docenti di ruolo a disposizione degli atenei (tra ordinari, associati e ricercatori) è passato dalle 62.753 unità del 2008 alle attuali 54.977, con un calo netto del 12%. “Nemmeno il piano straordinario 2016 che prevede il reclutamento di 861 nuovi ricercatori di tipo B riuscirà a modificare questa configurazione”, avverte l’Anvur. (Fonte: L. Vendemiale, Il Fatto Quotidiano 27-05-16)

VALUTAZIONE DELLA RICERCA
Nelle aree scientifiche la valutazione è solida e fondata sulle migliori esperienze internazionali. In quelle umanistiche non esistono modelli sperimentati e l'esperienza italiana è oggetto di studio anche all'estero. So anch'io che ci sono dei limiti, che per esempio per le monografie il ministero è obbligato a utilizzare un codice commerciale come l'Isbn, ma stiamo facendo passi avanti importanti. Aggiungo che è normale che nella fase iniziale siano stati fatti anche errori, ma l'Anvur ha sempre lavorato in modo critico, ed è sempre stata pronta a porvi rimedio, insieme agli atenei e alla comunità accademica, oltre che naturalmente al ministero. Come si spiega, allora, che alla richiesta di invio dei «prodotti di ricerca» per la valutazione in molti dipartimenti è stata annunciata una "rivolta"? Con tutto il rispetto per questa protesta, va detto che anche il nuovo ciclo della valutazione ha avuto una partecipazione altissima, al 94%, e fra chi non ha inviato nulla ci sono anche i docenti inattivi, che non avevano nulla da inviare. È vero che in quel 94% vi sono anche colleghi che, se la Vqr fosse intesa a valutare i singoli, cosa che non è, avrebbero rifiutato. Ma quale altra Pubblica amministrazione mostra tassi di adesione così alti a criteri di merito? È un fatto enorme. (Fonte: G. Trovati, intervista a presidente Anvur Graziosi, IlSole24Ore 09-05-16)

POSSIBILI ILLEGITTIMITÀ DEI PRELIEVI COATTI DEI PRODOTTI DELLA RICERCA AI FINI DELLA VQR
La strategia dell’astensione dalla VQR può essere considerata un successo sotto vari profili: ha unificato circa un terzo del corpo docente Italiano che con spirito critico cerca di ottenere il riconoscimento giuridico di cinque (!) anni di lavoro effettuato e la restituzione di una piccola fetta di quella torta che gli e’ stata sottratta, senza nuocere agli studenti ed alle loro famiglie (che ne sostengono i costi della loro educazione). Inoltre questa iniziativa ha avuto anche il grande merito di far parlare un po’ di più della tragica situazione in cui vertono l’Università e la ricerca in Italia. Bisogna però accettare che questa mossa, strategicamente geniale, non ha sortito tutti gli effetti desiderati, la VQR e’ andata avanti, la maggior parte delle Istituzioni ha fatto un “prelievo” coatto dei cosiddetti prodotti della ricerca. In proposito su Roars si rileva che il prof. F. Strata (ricercatore all’UNIPR) ha notificato al prof. C. Ferraro di aver inviato al protocollo del suo Ateneo ed al Rettore una lettera diffidandoli dal fare un uso non autorizzato dei suoi “prodotti della ricerca”. La lettera, stilata con la collaborazione di un avvocato ed avvallata anche da altri giuristi, era corredata di numeri di legge e articoli che evidenziavano le possibili illegalità di un prelievo coatto. (Fonte: Redazione Roars 08-05-16)

LA MANCATA COSTITUZIONE DELL’ANPREPS È UNO DEI PIU’ GRAVI OSTACOLI ALLA REALIZZAZIONE DI UNA SERIA VALUTAZIONE DELLA RICERCA
L’Anagrafe Nazionale delle Ricerche esiste da circa 35 anni, in quanto istituita dall’Art. 63, comma 3 del D.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, emanato in attuazione dell’art. 9 della L. 21 febbraio 1980 n. 28, al fine di “evitare ogni superflua duplicazione e sovrapposizione di strutture e finanziamenti pubblici in materia di ricerca”, Sono obbligati all’iscrizione tutti i soggetti, pubblici e privati, che vogliono accedere ai finanziamenti pubblici in materia di ricerca. L’indirizzo del sito e’ http://www.anagrafenazionalericerche.it. La legge 1/2009 non ha niente a che vedere con l’ANR, ma indica la necessità di costituire l’ANPRePS (Anagrafe nominativa dei professori e dei ricercatori e delle pubblicazioni scientifiche). La mancata costituzione dell’ANPRePS e’ uno dei più gravi ostacoli frapposti alla realizzazione di una seria valutazione della ricerca in Italia. A fronte di reiterate richieste del CUN e dell’ANVUR, nessuno ha mai saputo spiegare perché in più di sette anni non si e’ potuto non dico realizzare l’ANPRePS, ma almeno emanare il Decreto, previsto dalla Legge 1/2009, che e’ condizione preliminare per la sua realizzazione. (Fonte: P. Rossi, Roars 13-05-16)

LO SCOPO DELLA VQR SECONDO REDAZIONE ROARS E GIUSEPPE DE NICOLAO
Nel 2010 Francesco Giavazzi lodava la riforma Gelmini perché «riconosce che i corsi devono essere ridotti, le università snellite, alcune chiuse». Giavazzi è stato accontentato: i dati OCSE del 2015 mostrano che, come percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, l’Italia ormai è ultima. Siamo stati superati dal Cile e dalla Turchia. Qual è la risposta di Renzi? La risposta di Renzi non è quella di garantire i diritti sul territorio nazionale, ma quella di promettere l’uomo “quasi immortale”, dando soldi a IIT, una fondazione di diritto privato; nascondere dietro un velo di opacità i soldi dei cittadini, mettendoli a disposizione di qualcuno che ne può disporre senza troppi controlli. In tutto ciò si inserisce il gioco della valutazione. Qual è lo scopo della VQR? È stato spiegato nel 2012 da un membro del Consiglio Direttivo dell’ANVUR: «quando la valutazione sarà conclusa, avremo la distinzione tra researching university e teaching university» la serie A e la serie B. Soltanto che la serie A sarà concentrata in una parte del paese e la serie B sarà quasi tutta nel Centro-Sud. «E qualche sede dovrà essere chiusa» si aggiungeva. Ma questo è proprio quello che chiedeva Giavazzi. Ecco lo scopo: la VQR serve a realizzare il progetto che voleva Giavazzi. (Fonte: http://tinyurl.com/jtl865b 15-05-16)

MOZIONE M5S SU UNIVERSITÀ E RICERCA
Tra gli altri impegni approvati oggi dall'Aula della Camera ricordiamo quello che prevede di riformare il sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR) anche attraverso l'introduzione di un sistema di premialità che attribuisca risorse nuove ed aggiuntive rispetto a quelle destinate al funzionamento ordinario. Abbiamo anche suggerito all'esecutivo di avviare nuovi strumenti che consentano anche a privati cittadini di effettuare donazioni destinate ai fondi statali per la ricerca di base. Infine, abbiamo impegnato il governo a valorizzare i sistemi universitari e di ricerca italiani e di garantirne l'efficienza, di regolare il turnover dei docenti universitari e di valutare la rispondenza dei livelli occupazionali alle esigenze dei singoli enti. In ambito europeo, l'Italia continua a essere la cenerentola in materia di stanziamenti verso la ricerca. Per invertire questa tendenza ci sarebbe bisogno di uno sforzo notevole e, in tal senso, non riteniamo sufficiente il recente piano da 2,5 miliardi per la ricerca varato da Renzi dal momento che, analizzando i conti, si evince che si tratta di risorse già in bilancio. (Fonte: mozione M5S su università e ricerca, M5S Camera News 18-05-16)

LE ANOMALIE DELL’ANVUR
In Italia la valutazione è entrata con la legge Gelmini: è stata creata l’agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca. Questa agenzia è stata variamente chiamata: qualcuno dice “un mostro istituzionale”. Io, in maniera meno polemica, dico: è un’agenzia mal disegnata, perché si è presa un’idea britannica e l’abbiamo messa dentro una struttura napoleonica, che è il nostro ministero, che è il nostro sistema di controllo delle università. Per cui noi abbiamo, a questo punto, un controllo ministeriale molto centralizzato e l’agenzia che diventa lo strumento principale del controllo centralizzato da parte del ministero.
L’agenzia ha delle anomalie perché gestisce tutte le attività di valutazione mentre, per esempio in Inghilterra, dove ci sono agenzie che fanno valutazione, le competenze sono separate, perché non ci può essere una sola testa che decide su tutto. L’agenzia ANVUR fa la valutazione della ricerca, la valutazione della didattica, fa la valutazione della performance delle attività amministrative delle università. Di fatto, avendo tutte le competenze su tutti gli aspetti di interesse di azione dell’università, la creazione dell’agenzia ha creato un sistema completamente sbilanciato, un cui l’elite che viene cooptata dentro l’agenzia ha il potere pieno nella definizione delle politiche, anche se questo non è detto in modo esplicito. (Fonte: A. Baccini, Roars 20-05-16)

VQR. CHE COSA HA PRODOTTO IN NEGATIVO E QUALI SONO OBIETTIVI IN POSITIVO
Secondo S. Semplici su Roars questa VQR  (Valutazione Qualità Ricerca) ha prodotto in questi anni:
1.   una politica di progressiva riduzione delle già scarse risorse, coperta dalla parola d’ordine del merito;
2.   la mortificazione dell’impegno della didattica come pilastro irrinunciabile della missione dell’università;
3.   la ricerca dell’eccellenza contrapposta al dovere dell’equità;
4.   l’erosione del diritto allo studio e l’esasperazione di insostenibili squilibri tra le diverse aree del paese;
5.  la competizione con ogni mezzo, contrapposta alla solidarietà e alla collaborazione che dovrebbero caratterizzare la vita dei nostri atenei.
Quali sono dunque gli obiettivi in positivo?
1) Riportare il finanziamento dell’università e della ricerca a livelli comparabili con quelli dei paesi più avanzati; 2) a didattica e ricerca deve essere riconosciuta la stessa dignità; 3) l’obiettivo dell’eccellenza senza equità non è compatibile con la Costituzione; 4) la presenza in tutte le aree del paese di strutture di formazione e di ricerca di livello internazionale; 5) l’esasperazione della competizione fra atenei, gruppi di ricerca e persone deve essere superata. (Fonte: Intervento di Stefano Semplici  nel corso dell’incontro “#STOPVQR il futuro passa per una migliore valutazione della ricerca”, organizzato da M5S presso la Sala Tatarella del Palazzo dei Gruppi della Camera dei Deputati 28-05-16)


SISTEMA UNIVERSITARIO

ANALISI E PROPOSTE DEL CUN PER LA “MANUTENZIONE” DELLA L. 240/2010, C.D. “RIFORMA GELMINI”
Il Consiglio Universitario Nazionale ritiene sia giunto il tempo di una riflessione e di un’analisi volte a evidenziare i problemi emersi nel corso dell’applicazione della legge di riforma (l. 30 dicembre 2010 n.240) e a suggerire possibili soluzioni che rendano più facilmente raggiungibili alcuni degli obiettivi che il legislatore si era a suo tempo prefissato o, quando ciò risulti necessario, indichino la probabile o manifesta impraticabilità di alcuni dei meccanismi indicati dalla norma.
L’intento del presente documento è quello di intervenire con alcune modifiche mirate sulla l. n. 240/2010, pur restando all’interno del suo impianto complessivo.
Tutte le indicazioni e le proposte formulate sono l’esito di un confronto lungo e partecipato, che si era già in parte sedimentato in una serie di documenti di cui sono largamente ripresi, e portati a sintesi, gli spunti qualificanti posti qui all’attenzione delle sedi istituzionali, delle comunità accademiche e scientifiche, come avvio di un percorso aperto alle riflessioni e al contributo di quanti siano interessati. Questo documento si articola in tre parti, che riflettono i tre Titoli della l. n. 240/2010:
I – Organizzazione del sistema universitario;
II – Norme e delega legislativa in materia di qualità ed efficienza del sistema universitario;
III – Norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina concernente il reclutamento.
Il seguente link consente di aprire il pdf per la lettura del documento del CUN (Adunanza del 19-04-16):

RIFORMA UNIVERSITARIA. PIÙ AUTONOMIA AGLI ATENEI, POTENZIAMENTO DEL DIRITTO ALLO STUDIO E REVISIONE DEL PERCORSO DI ACCESSO ALLA DOCENZA
«È una riforma molto complicata, dobbiamo coinvolgere gli operatori e far sì che atenei e ricerca escano fuori dal perimetro della Pa. I decreti della riforma Madia interverranno sugli enti di ricerca e la riforma dell’università si farà entro il 2016 ma non sarà calata dall’alto». A tornare a parlare di una riforma dell’università (e della ricerca) è stato mercoledì scorso il premier Matteo Renzi rispondendo a una domanda durante l’ormai consueto appuntamento su Facebook «Matteo risponde». Poche parole che però fanno capire che un intervento ci sarà entro l’anno. Ma su quali capitoli? La responsabile scuola università e ricerca del Pd Francesca Puglisi ne ricorda alcuni - più autonomia agli atenei, potenziamento del diritto allo studio e revisione del percorso di accesso alla docenza - e annuncia: «Dopo quello di Udine, a giugno organizzeremo a Roma un nuovo incontro con la comunità di ricercatori e docenti delle università per parlarne insieme».
La senatrice del Pd ricorda in particolare che il primo intervento per l’università - che lo accomuna alla ricerca e al riordino degli enti previsto come attuazione della riforma Madia - punterà a togliere i vincoli tipici della Pa agli atenei garantendogli «più autonomia e anche più responsabilità». Il secondo intervento «urgente» per il mondo universitario è quello del potenziamento e della rivisitazione dei meccanismi che oggi provano, con molte difficoltà, ad assicurare il diritto allo studio: «Vogliamo garantire le stesse opportunità a Bergamo e a Palermo assicurando una borsa a tutti quelli che risultano idonei», avverte Puglisi. Che segnala come l’altro capitolo della riforma universitaria riguarda l’accesso alla docenza e la revisione delle figure pre-ruolo dei ricercatori che oggi si contraddistinguono per una proliferazione di contratti che hanno favorito «solo la precarietà». Da qui l’idea - già al centro dell’incontro di Udine dello scorso autunno - di creare un percorso unico che preveda dopo un post doc (3 anni) al massimo altri cinque anni (3+2) con un «tenure track» che apra la porta alla docenza. «Di questi e altri aspetti ne parleremo in un incontro che vogliamo organizzare a Roma a giugno, dopo le elezioni amministrative, aperto a tutti i protagonisti del mondo della ricerca e dell’università». (Fonte: M. Bortoloni, www.sanita24.ilsole24ore.com 20-05-16) 

RAPPORTO BIENNALE SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA RICERCA, PRESENTATO il 24/05 DALL'ANVUR
Il sistema universitario italiano è basato sulle università statali (61 atenei), che accolgono nove iscritti su dieci. Negli ultimi due anni il calo delle immatricolazioni si è arrestato e negli ultimi dodici mesi si è registrata "una decisa inversione di tendenza, con un incremento dell'1,6% del numero di immatricolati". Nel triennio 2012-2015 gli atenei del Sud hanno perso il 17% degli studenti rispetto al 2007-2010 con una punta di -26 nelle Isole. Gli studenti d'università non italiani sono passati dal 2% del Duemila al 9% di oggi. Per quanto riguarda la scelta disciplinare, crescono le lauree di Ingegneria, cala l'area giuridica. Oltre l'83% degli studenti è concentrato in 41 atenei medio-grandi (almeno 15.000 studenti). Nelle lauree triennali solo il 58% arriva in fondo al percorso. I tassi di accesso all'istruzione terziaria successiva sono più bassi delle medie internazionali (42% contro 63 della media Ue, 67 della media Ocse).
Anche per il 2016, fatta eccezione per il diritto allo studio, il finanziamento statale delle università si assesta su valori di poco superiori a quelli del 2015. Le entrate delle statali, dopo essere cresciute del 25% tra il 2000 e il 2008, si sono ridotte del 18% nel periodo successivo. La spesa per il personale negli atenei è diminuita di un quinto rispetto al 2008.
L'importo medio delle tasse pagate per l'iscrizione a un ateneo statale ammonta a 1.071 euro: 700 euro in media al Sud, quasi 1.400 euro al Nord.
Si è registrato un crollo dei docenti in cattedra: erano 62.753 nel 2008, sono diventati 50.369 nel 2015. Negli ultimi ventisette anni il processo di innalzamento dell'età dei docenti è stato continuo: dal 1988 al 2015 l'età media è aumentata di quasi 7 anni, arrivando a sfiorare i 53. I professori associati insegnano per 111,6 ore l'anno, gli ordinari per 110,3 ore, i ricercatori a tempo indeterminato per 77,4 ore, i ricercatori a tempo determinato 67,8 ore.
La quota del Prodotto interno lordo dedicata alla spesa in "Ricerca e sviluppo" è rimasta stabile nell'ultimo quadriennio (2011-2014), su valori decisamente inferiori alla media Ue: con l'1,27% sul Pil l'Italia è al 18° posto insieme alla Spagna tra i principali paesi Ocse (media 2,35%). I finanziamenti dedicati ai Progetti di ricerca di interesse nazionale delle università (Prin) hanno toccato il picco nel 2009, poi sono diminuiti. Negli ultimi anni i Prin sono stati banditi nel 2012 e alla fine del 2015. Anche le risorse destinate al Fondo per gli investimenti della ricerca di base (Firb) si sono attestate "ai livelli minimi". Il Fondo per i giovani Sir non è stato finanziato negli ultimi tre anni. "Rispetto al 2007-2012, il sistema della ricerca nazionale mostra comunque una maggiore capacità di partecipazione e un più alto tasso di successo nei progetti collaborativi di Horizon 2020".
Nel periodo 2011-2014 la quota italiana sul totale delle pubblicazioni scientifiche mondiali si attesta complessivamente al 3,5%. La produzione scientifica nazionale cresce a un tasso medio annuo del 4%, in lieve rallentamento. La produttività scientifica dei ricercatori italiani (pubblici e privati) è in media la più alta: 0,61 è, infatti, il rapporto tra pubblicazioni e ricercatori.
L'offerta formativa generale è caratterizzata da pochi corsi di studio in lingua inglese (245) e solo 310 corsi (il 7% del totale) utilizzano parzialmente la lingua inglese. (Fonte:  http://tinyurl.com/h8ql5g6 25-05-16))

NOVITÀ SULL’UNIVERSITÀ IN UN DECRETO SCUOLA IN VIA DI APPROVAZIONE DEFINITIVA
Nell’ambito del decreto scuola in arrivo un pacchetto di disposizioni a parte è quello sulla formazione superiore e sulla ricerca. In particolare, sono individuate le risorse per la stabilizzazione della Scuola sperimentale di dottorato internazionale Gran Sasso Science Institute (3 milioni annui dal 2016) e viene diminuito il limite minimo dei crediti formativi universitari da riconoscere, a conclusione dei percorsi realizzati dagli Its (Istituti tecnici superiori), agli studenti che intendono iscriversi a un corso universitario.
Vi sono poi novità pure sul fronte degli ordinamenti professionali, delle prestazioni sociali, degli acquisti culturali: per i periti industriali, si innalza il titolo di studio richiesto per l'accesso alla libera professione (dal diploma di istituto tecnico al diploma di laurea); si estende ai giovani immigrati con permesso di soggiorno che compiono 18 anni nel 2016 il bonus da 500 euro per acquisti culturali; viene introdotta transitoriamente una nuova modalità di calcolo dell'Isee relativo ai nuclei familiari al cui interno sono presenti dei disabili certificati. (Fonte: http://tinyurl.com/ja2nu2d 25-05-16)

UNIVERSITÀ. È URGENTE SEMPLIFICARE TAGLIANDO PROCEDURE GRAVOSE E NORME SOFFOCANTI
La scienza è libera e libero ne è l'insegnamento (articolo 33, primo comma della Costituzione), sia come diritto individuale, sia in quanto attività organizzata di scienziati e studenti. Proprio perché libera - e solo se libera - l'università è capace di assolvere il compito di conoscenza di cui hanno bisogno tutti: individui, imprese ed enti pubblici. Certo, le università sono pubbliche amministrazioni - nessuna norma di legge può negare questa sostanza -, ma sicuramente di una specie tutta particolare. Per garantire tutti la libertà di scienza nega anzitutto l'assoggettamento a qualsiasi indirizzo politico: del Governo, delle Regioni o dell'Unione europea. È pertanto fondata in una norma costituzionale la richiesta delle università pubbliche di essere liberate da procedure amministrative eccessivamente gravose con leggi, regolamenti o  anche solo con linee guida capaci di sopprimere norme "obsolete o soffocanti". Le università possono innovare se stesse, aprendo alla trasformazione delle altre pubbliche amministrazioni. Le università come esempi di sperimentazione di una nuova buona amministrazione, per diffusione delle tecnologie e analisi dei flussi negli approvvigionamenti o nei servizi, che a propria volta inducono a nuove forme di gestione, ma soprattutto alla partecipazione dei lavoratori e degli studenti a una più adeguata e differenziata programmazione della ricerca, della didattica o dell'attività di terza missione. È necessario introdurre contratti tipici o norme per l'università che tengano conto dei vincoli europei: così per l'assegnista europeo con orario di lavoro consacrato al progetto, pur nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo; così per il ricercatore con un vincolo didattico percentualmente ridotto al finanziamento europeo; così ancora per le responsabilità giuridiche (civili, penali e amministrative) che debbono essere unicamente per violazione di regole sulla ricerca universitaria che siano uniche e certe, senza più distinzione tra ordinamento nazionale e internazionale.
 (Fonte: R. Cavallo Perin, IlSole24Ore 23-05-16)

 LE (EX) FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA E LE (EX) FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE. QUADRI FORMATIVI DA RIVEDERE
Le (ex) Facoltà di Giurisprudenza si orientano all’esasperazione della tecnicità forense (più che giuridica) e perdono progressivamente il respiro culturale generale che, in passato, le ha fatte sede elettiva di formazione per le scienze sociali.
Le (ex) Facoltà di Scienze politiche esplodono in una serie di percorsi sezionali e perdono l’ispirazione originaria di luoghi di formazione alla scienza delle decisioni e delle scelte che non può accantonare nessuna delle conoscenze settoriali (diritto, storia, economia, filosofia) dalle quali deve saper trarre le competenze necessarie, dal metodo della comparazione interna a ciascuna area disciplinare, dall’irrinunciabile contaminazione fra le varie aree, dal superamento di ogni provincialismo.
Se una larga percentuale dei laureati in Giurisprudenza sceglie professioni non forensi (per le quali oltre al diritto sarebbero necessarie ben altre conoscenze) e se i laureati nei Corsi che provengono dall’(ex) Facoltà di Scienze politiche sono poi costretti a misurarsi con professioni nelle quali il diritto è essenziale (dal Commissario di Pubblica Sicurezza al Funzionario amministrativo; dall’Assistente Sociale al Diplomatico convenzionale o non convenzionale), forse sarebbe necessario rivedere tutto il quadro formativo di primo, secondo e (necessariamente) di terzo livello, in modo da affrontare con strumenti adeguati la domanda di professionalità come possesso delle conoscenze di base e delle necessarie capacità per trasformarle in competenze. (Fonte: G. Vecchio, http://tinyurl.com/jnxgwqf 26-05-16)

CUN. PARERE SU «SCHEMA DI DECRETO RECANTE LE LINEE GENERALI D’INDIRIZZO DELLA PROGRAMMAZIONE DELLE UNIVERSITÀ PER IL TRIENNIO 2016-2018 E GLI INDICATORI PER LA VALUTAZIONE PERIODICA DEI RISULTATI»


STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO

SETTIMA INDAGINE EUROSTUDENT. UNA SINTESI
La Settima Indagine Eurostudent ha analizzato le condizioni di vita e di studio degli studenti universitari italiani iscritti a corsi di primo ciclo, di secondo ciclo o a ciclo unico (laurea, laurea magistrale, laurea magistrale a ciclo unico) nell’anno accademico 2011-2012. L’Indagine è stata promossa e co-finanziata dal Miur, ed è stata realizzata dalla Fondazione Rui con la collaborazione dell’Università per Stranieri di Perugia. L’Indagine italiana è stata condotta nell’ambito del progetto di analisi comparata “Eurostudent V 2012-2015 – Social and economic conditions of student life in Europe”.
L’Indagine ha rilevato una riduzione della presenza di studenti provenienti da famiglie di condizione socio-economica non privilegiata (genitori con livello di istruzione medio-basso e/o con occupazioni da “colletti blu”). Poiché la composizione della popolazione studentesca non è strutturalmente cambiata in conseguenza di tale riduzione, questo risultato appare una conferma del fatto che gli effetti più pesanti della crisi si sono avuti nel corso degli studi secondari, oppure prima dell’accesso all’università. In alcuni casi, il mancato accesso può essere stato la conseguenza di un vincolo, ossia il frutto dell’impossibilità di sostenere i costi degli studi. In altri casi, invece, esso può essere stato la conseguenza di un’analisi razionale del value for money, vale a dire di una valutazione negativa dell’investimento in formazione per migliorare la posizione sociale, trovare un buon lavoro e raggiungere rapidamente il livello di reddito desiderato.
Il lavoro studentesco è diminuito di circa un terzo, dal 39% della precedente edizione all’attuale 26%. La riduzione è frutto principalmente dell’impatto negativo della crisi economica sull’occupazione giovanile. L’Indagine mostra come il lavoro studentesco sia motivato solo in parte dal bisogno economico. In molti casi, lavorare soddisfa l’aspirazione all’autonomia degli studenti, riducendo la dipendenza (non solo economica) dalla famiglia di origine.
La crescita dell’area d’intervento del sistema del Dsu, che si è registrata nel decennio precedente, si è arrestata nell’ultimo triennio. Le dimensioni del Dsu non sono cambiate ma l’Indagine segnala rilevanti cambiamenti nella diffusione delle tipologie di aiuti erogati: gli studenti che hanno avuto la borsa di studio sono diminuiti, mentre sono aumentati gli studenti che hanno ottenuto l’esonero totale o parziale dalle tasse. In questi anni gli aiuti economici indiretti hanno sostituito quelli diretti, limitando le conseguenze negative di una consistente riduzione del finanziamento delle borse di studio. Inoltre, l’aumento del numero di studenti con esonero totale, accompagnato dalla riduzione del numero di borse erogate, ha determinato la crescita del numero di “idonei non beneficiari”. L’Indagine segnala inoltre che è cresciuto il divario territoriale del Dsu. La capacità di intervento è più estesa nell’Italia settentrionale, soprattutto nel Nord-est  dove più del 40% degli studenti hanno avuto accesso agli aiuti economici. La capacità è meno estesa  nel Mezzogiorno, soprattutto nelle Isole dove meno del 30% degli studenti hanno avuto accesso agli aiuti economici.
Un certo numero di studenti ha rinviato l’accesso all’università con l’obiettivo di esplorare il mercato del lavoro, alla ricerca di un collocamento più o meno duraturo, o con l’obiettivo di acquisire risorse per finanziare i propri studi, integrando il supporto delle famiglie di origine. L’Indagine comparata Eurostudent segnala che l’accesso differito all’università (delayed access) è un fenomeno in crescita nella maggior parte dei paesi europei.
Scegliere sedi di studio raggiungibili con il pendolarismo ha contribuito a mantenere relativamente alti i tassi di accesso all’università post-riforma ma ha anche accresciuto il localismo – almeno in parte forzato – delle scelte degli studenti.
Nei venti anni monitorati dall’Indagine Eurostudent, l’impegno degli studenti è cresciuto con regolarità: il monte ore settimanale per attività di studio è aumentato di circa il 38% rispetto ai primi anni ’90, ed è ora di 44 ore/settimana. A queste si aggiungono, per gli studenti che lavorano, altre 4,3 ore/settimana. L’Indagine segnala che esiste una relazione fra il crescere dell’impegno di tempo nello studio e la riduzione – per effetto della crisi economica – del numero di studenti che lavorano. La riduzione del lavoro ha reso disponibile una quota di tempo che molti studenti hanno reinvestito nello studio più che nel tempo libero.
Tutte le indagini Eurostudent possono essere scaricate dal sito www.eurostudent.it.
(Fonte: G. Finocchietti, riv. Universitas e Roars 14-06-16)

UN POSSIBILE PERCORSO DI ORIENTAMENTO PER L’ACCESSO ALL’UNIVERSITÀ
Scopo di un percorso di orientamento universitario è fornire agli studenti strumenti per poter scegliere in modo informato e consapevole il percorso universitario più adatto alle loro abilità, attitudini e vocazioni, in modo da ridurre gli abbandoni, accorciare il tempo necessario per conseguire la laurea e favorire un proficuo proseguimento negli studi e ingresso nel mondo del lavoro. Per ottenere questo risultato è indispensabile costruire un percorso coordinato fra la Scuola secondaria e l’Università, organizzato da docenti della Scuola assieme a docenti universitari, e che coinvolga gli studenti in prima persona. Un percorso di orientamento efficace può essere costruito combinando tre azioni principali:
-    Orientamento dentro la Scuola secondaria: a partire dal quarto anno, offrire un sistema integrato Scuola-Università di orientamento, coordinato a livello nazionale e implementato a livello locale, basato sia su trasmissione di informazioni (via web o di persona) sia su esperienze dirette degli studenti (laboratori per il riconoscimento delle abilità e lo sviluppo delle vocazioni, stage in Università e nel mondo produttivo).
-    Ingresso all’Università: offrire un sistema di verifica delle conoscenze in ingresso, coordinato a livello nazionale per gruppi affini di corsi di studio, che comunica con le procedure d’ingresso ai corsi a numero programmato, e che fornisce ulteriori informazioni per l’orientamento.
 -   Orientamento dentro l’Università: offrire un anno propedeutico agli studenti neo-immatricolati con preparazione più debole, organizzato per gruppi affini di corsi di studio, con lo scopo di ridurre gli abbandoni, favorire il conseguimento del titolo di studio in tempi brevi, e fungere da ulteriore orientamento sul campo. (Fonte: CUN. Proposta in materia di «Orientamento integrato fra Scuola e Università», Adunanza del 5 Aprile 2016)

SPOSTAMENTI E STANZIALITÀ DELLE MATRICOLE
Una mappatura analitica degli spostamenti regione-regione degli immatricolati 2015/2016 negli atenei italiani è stata tracciata da Il Sole 24 Ore, che ha elaborato i dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur. Diversi i fattori in gioco: se gli studenti del Nord possono contare su un elevato numero di atenei a disposizione e su un’amplissima offerta didattica, al Sud (in particolare nelle regioni più piccole) molti giovani decidono, dopo il diploma, per il trasferimento, vissuto spesso come fonte di maggiori opzioni formative e precondizione per una più agevole transizione verso il mondo del lavoro. Guardando ai dati generali (riferiti dunque al corrente anno accademico), rileviamo che l’“indice di stanzialità” nazionale (la percentuale di residenti che scelgono un ateneo della propria regione) è in media elevato: oltre il 71 per cento. Quasi tre studenti su quattro, per gli studi universitari, rimangono nel proprio territorio. Ma, come si vedrà, il dato generale offusca differenze profonde. L’analisi delle cifre porta a dividere l’Italia in tre aree distinte. Anzitutto il gruppo delle regioni-calamita, in cui il tasso di stanzialità è tra l’84 e il 90%: Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna, Campania. Qui troviamo due casi particolari rispetto al nucleo forte del Centro-Nord: la Sardegna, la cui insularità ha probabilmente un peso rilevante nella permanenza dei suoi immatricolati; e la Campania, unica regione peninsulare del Sud ad avere un altissimo tasso di fedeltà degli studenti residenti.
Queste sette regioni si caratterizzano per essere i bacini collettori di quasi tutti i propri abitanti; ma al loro interno, un sottogruppo di cinque (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio) riesce anche ad attirare una quota importante di iscritti provenienti da altre regioni. (Fonte: M. Periti, IlBo 24-.05-16)

FEDERCONSUMATORI TROVA LE UNIVERSITÀ PIÙ CONVENIENTI IN BASE AI COSTI
La Federconsumatori ha stilato un “listino prezzi” degli atenei per far fronte a chi vuole proseguire i propri studi, e pare proprio che la più economica sia l’Università di Bologna con un costo complessivo di 159,64 € per chi ha il reddito più basso, seguita da Bari. Per giungere a quella più cara invece, non bisogna andare lontano: si tratta di Parma con un costo di ben 794,59 €.
Per quanto riguarda le Università siciliane, sono al secondo posto tra le più convenienti per media regionale con un costo di 463,50 € per chi ha il reddito più basso, precedute dalla Toscana con una media di 387,50 €. In particolare gli studenti dell’Università di Catania pagano una retta minima di 478 € fino ad arrivare alla massima di circa 1758 €, senza distinzioni tra facoltà scientifiche e umanistiche. Diversamente a Palermo, dove gli studenti delle facoltà scientifiche sembrano essere penalizzati con tasse più alte a partire dalla seconda fascia, fino ad arrivare ad una differenza di circa 180€ nell’ultima fascia reddituale.
Lo studio è stato effettuato dividendo le università italiane in tre macroaree (Nord, Centro e Sud), per poi essere esaminate per ciascuna di esse le tre regioni con maggior numero di studenti, ossia Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. Infine, per ogni regione, sono state considerate due università in ordine di grandezza e le fasce reddituali secondo il nuovo Isee.
Da questa suddivisione è emerso, inoltre, che siano proprio le università di centro Italia ad applicare tasse più basse, con uno scarto del – 7, 94% per la prima fascia di reddito rispetto agli atenei del Sud e, addirittura, del – 23,50% rispetto a quelli del Nord. Infatti, gli importi medi della zona settentrionale risultano più alti del 16,79% rispetto al meridione e del 15,47% rispetto alla media nazionale. (Fonte: http://tinyurl.com/ha5egqb 30-05-16)

STUDENTI. RENDERE GRATUITI I CORSI TRIENNALI
Il XVIII Rapporto AlmaLaurea sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati evidenzia un paradosso: solo il 24% della popolazione italiana tra i 25 e i 34 anni è laureato, contro una media europea del 41%. Numero che costringe l'Italia a indossare la "maglia nera" dell'ultimo posto dei giovani con in tasca una laurea. Ma il presidente del consorzio interuniversitario Ivano Dionigi rivela che «i nostri ragazzi sono molto apprezzati all'estero. Al 51% degli studenti che partecipa al programma Erasmus+ viene proposto di restare a lavorare li, a fronte di una media europea del 30%. E questo non avviene solo grazie alle università, ma anche alla scuola secondaria che a mio avviso forma gli studenti più colti d'Europa». Si registra una leggera ripresa, ma il calo delle iscrizioni è stato così costante che dal 2003 al 2015 gli atenei hanno perso il 20% delle matricole: «È avvenuto nonostante si sappia che la laurea favorisce l'inserimento nel mondo del lavoro e garantisce retribuzioni maggiori, anche se non adeguate al titolo», spiega Dionigi, che propone: «Investire nel diritto allo studio è fondamentale. Chi, se non l'università, deve supplire laddove famiglia e associazioni non arrivano? Quello degli atenei è un ruolo sociale importante in particolare sui fronti dell'orientamento in entrata e in uscita e dell'internazionalizzazione. Per incentivare le iscrizioni ai corsi di laurea triennali e contribuire concretamente ad aumentare il numero di laureati, è necessario un investimento da parte del Governo per renderli gratuiti. Se la media delle tasse universitarie è di 1.500 euro, parliamo di un investimento sul futuro di un miliardo e 200 milioni in tre anni». (Fonte: La Repubblica 09-05-16)

STUDENTI. 139.170 BENEFICIARI A FRONTE DI 188.612 COSIDDETTI IDONEI PER LE BORSE DI STUDIO NEL 2014-15
Nell'anno accademico 2014-2015 uno studente su quattro avente diritto al premio economico non ha ricevuto nulla. In numeri, parliamo di 139.170 beneficiari a fronte di 188.612 cosiddetti idonei, che poi sono coloro che hanno maturato il diritto a ricevere l'assegno che aiuta a sostenere le spese per laurearsi. Quasi cinquantamila studenti in regola, quindi, sono fuori, solo perché i bilanci regionali non possono contemplare il pagamento delle borse di studio. Ma non basta. Perché quello che emerge dai dati è che, con il passare del tempo, la percentuale di coloro che godono effettivamente del fondo si abbassa di anno in anno. Di poco, ma è scesa: dal 74,25% del 2013-14 al 73,89% del 2014-15. Della questione si è interessata anche la Fondazione Agnelli: nei sette anni, 2007-2014 i beneficiari sono passati da 151 mila a 139 mila e le previsioni per il 2015-2016 parlano di un'ulteriore perdita di quattromila universitari. Nel 2014 nove regioni su venti avevano bonificato la borsa di studio a tutti gli studenti idonei. Solo due erano del Sud: Abruzzo e Basilicata. In Toscana una singola borsa di studio annuale vale 3.707 euro lordi, in Emilia Romagna 3.650, in Sardegna 1.200 euro. Per restituire un diritto agli studenti fuori graduatoria serve un finanziamento forte e la revisione dei metodi di assegnazione. Per gli studenti, bisognerebbe toglierli alle inadempienti regioni e darli direttamente al ministero dell'Istruzione. (Fonte: Giornale.it 12-05-16)

DIRITTO ALLO STUDIO. DARE ALLO STATO CENTRALE LA GESTIONE DEL DIRITTO ALLO STUDIO CHE LA COSTITUZIONE ASSEGNA ALLE REGIONI
Al sottosegretario all'Istruzione Davide Faraone non sfuggono le difficoltà e i paradossi del sistema universitario italiano. Contro il crollo delle immatricolazioni serve diritto allo studio? «Sì. E' una priorità, da affrontare con politiche nazionali, più centralizzate. È il meccanismo a produrre effetti paradossali e circoli viziosi, non solo la carenza di risorse. Oggi vengono favoriti quegli atenei che si trovano in territori dove l'ente Regione è più virtuoso e finanzia tutto il diritto allo studio, come Toscana o Emilia Romagna. In Sicilia, dove neanche c'è una legge, ci sono solo i fondi statali e non bastano. Così solo il 20% degli idonei meritevoli riceve la borsa di studio e la Regione non ha mai messo un euro. Ciò alimenta non solo la disaffezione ma anche l'impossibilità per alcuni di accedere all'università. O si spingono le famiglie meridionali a mandare i ragazzi a fuori, al Centro, al Nord, dove le borse di studio si prendono e i servizi funzionano. La situazione per il Sud e le Isole è tragica. A perderci è tutto il Paese». Il governo sta a guardare? «Affatto, da mesi ci lavoriamo. Io sono per dare allo Stato centrale la gestione del diritto allo studio che la Costituzione assegna alle Regioni. Con la nuova riforma costituzionale "le regioni promuovono" ma non hanno più competenza esclusiva. Si tratta di coordinare le risorse attuali, nazionali e regionali, come anche europee, per evitare che chi è idoneo, per reddito e merito, non benefici della borsa di studio».
L'impoverimento progressivo delle famiglie non ha avuto compensazioni per tutelare la crescita culturale dei figli: borse di studio, alloggi, mensa, trasporti e servizi allo studente. Dall'inizio della crisi molti Paesi europei hanno potenziato le risorse destinate agli studenti bravi ma privi di mezzi, l'Italia no. Da noi i borsisti sono scesi del 9%, in Spagna sono aumentati del 55%, in Francia del 36%, in Germania del 32%. In Italia solo il 12% beneficia della borsa. In Francia è il 25,6%. E pensare che tra chi riceve la borsa c'è un tasso di abbandono (altissimo in Italia: 45%) del 13% in meno di chi non la riceve. Così il mito della meritocrazia si va a far friggere? «Qualunque politica legata al merito non può essere immaginata senza una base che dà a tutti le stesse opportunità» dice Francesco Ubertini, rettore dell'Università di Bologna. I principali colpevoli del naufragio del diritto allo studio costituzionalmente garantito sono le Regioni a cui è affidato dalla Carta. Ma la causa è anche un meccanismo folle che produce paradossi su paradossi. Dei 510 milioni di euro stanziati, 233 milioni vengono dalla tassa regionale pagata al momento dell'iscrizione dagli stessi studenti. È già la prima stortura. «Il 42% in media delle risorse per il diritto allo studio proviene dalle tasche degli studenti. Non è un controsenso?» chiede Alberto Campailla, leader del coordinamento universitario Link. (Fonte: La Stampa 12-06-16)

STUDENTI. ESENZIONE IRPEF PER LE BORSE DI STUDIO ERASMUS+
L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato ieri 18 maggio la Circolare n. 20/E/2016 che fornisce chiarimenti generali sulle principali novità previste dalla Legge di Stabilità 2016 (Legge n. 208/2015). Tra i chiarimenti forniti, viene precisato, ad esempio, che sono esenti da Irpef le borse di studio per la mobilità internazionale del programma Erasmus+. La Legge di stabilità 2016 ha previsto, infatti, l’esenzione dall’Irpef per le borse di studio relative alla mobilità internazionale erogate per gli studenti delle università e delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica che partecipano al programma Erasmus+ per il periodo 2014-2020 e ha previsto anche l’esenzione dall’Irap per i soggetti che le erogano. (Fonte: www.fiscoetasse.com 19-05-16)

I GIOVANI MERIDIONALI LASCIANO L'UNIVERSITÀ O SCAPPANO AL NORD
Fra il 2003 e il 2015 il calo delle immatricolazioni all'università nelle regioni del Sud è stato del 30% (al Centro del 22% e al Nord del 3%). Si potrebbe pensare che questo sia semplicemente il riflesso dell'impressionante declino demografico che, al pari del Mezzogiorno stesso, rappresenta l'altro profondo problema secolare dell'Italia. AlmaLaurea ci ricorda che negli ultimi trent'anni il numero dei diciannovenni che vivono nel nostro Paese si è quasi dimezzato. Ma il restringersi della popolazione giovane non basta a spiegare tutto. La fuga dall'istruzione universitaria - la cui scarsa diffusione è la terza grande questione secolare d'Italia - è ben visibile anche quando si elimina dal calcolo il declino delle nascite. Nel 2004 si iscriveva all’università il 67% dei giovani diplomati del Sud (il 76% di quelli del Centro e l'81% di quelli del Nord). Otto anni dopo la quota di diciottenni o diciannovenni che sceglie di continuare gli studi è scesa in tutta Italia, ma nel Mezzogiorno è ormai appena a poco più della metà. E da allora ha proseguito il declino. Potrebbe non essere gravissimo, se almeno questa residua metà dei giovani che ancora nascono e crescono al Sud e comunque scelgono di costruire la loro istruzione, restasse nella loro terra. Non lo fanno. Già sono meno di prima, già studiano meno di prima. Ma fra i pochi che lo fanno, un numero crescente sceglie di andarsene. Fra i laureati del ciclo triennale, ormai un quinto va a studiare al Centro, al Nord o all'estero; fra quelli del diploma quinquennale, un quinto si sposta subito e il 14% lo fa dopo il passaggio di boa dei primi tre anni di università. L'unica certezza è che sta accadendo qualcosa di gravissimo, frutto di una situazione con ogni evidenza insostenibile in una parte del Paese nella quale il reddito per abitante è ormai sceso a poco più di metà di quello presente al Nord. (Fonte: Corsera Sette 20-05-16)

STUDENTI ERASMUS. SOLO IL 7,4% SCEGLIE IL NOSTRO PAESE
Un mercato in crescita quello dell'Erasmus che vale un miliardo e mezzo di euro. Il bilancio di 27 anni di Erasmus parla di 3,3 milioni di studenti partecipanti e di 3,2 miliardi di euro investiti dall'Ue. Gli appena 3.244 pionieri partiti da Paesi che nel 1987 sperimentarono la prima edizione del programma, progettato per gli universitari che vogliono compiere un periodo di studio in uno dei Paesi dell'Unione, nel 2014 sono diventati 272.497, di 28 nazioni e sei Paesi extra Ue. E Bruxelles punta a coinvolgere almeno il 20% di tutti gli universitari entro il 2020. La classifica delle nazioni più gettonate vede al primo posto la Spagna con 39.277 arrivi l'anno (14,4% del totale) seguita da Germania con 30.964 (11,3%), Francia con 29.621 (10,8%), Regno Unito con 27.401 e con appena 20.204 (7,4%) l'Italia.
La Spagna è anche il Paese in grado di mandare più universitari all'estero (37.235), l'Italia è quarta (26.331), seguita a distanza dal Regno Unito dal quale partono appena 15.610 studenti (quasi la metà di quelli che entrano). L'età media degli studenti Erasmus è di poco superiore ai 23 anni, il 60,2 per cento sono donne. Per quali ragioni non scelgono l'Italia? «C'è il limite della lingua di studio - dice il rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone - infatti, da quando abbiamo più corsi in inglese gli studenti internazionali sono raddoppiati, fra Erasmus, scambi e doppie lauree erano 795 dieci anni fa, sono 1.589 oggi. Incide anche il costo della vita, qui più alto che in
Spagna, e la difficoltà nel trovare alloggi. In Germania le università hanno un sistema di residenze strutturato che qui non c'è. (Fonte: F. Cavadini, CorSera 23-05-16)

ESODO DEI GIOVANI DAL SUD. OCCORRE RIEQUILIBRARE LA SPESA PER FERMARE IL DIVARIO FORMATIVO NORD-SUD
Sostiene l'economista Adriano Giannola che è un errore fermare i giovani del Mezzogiorno, cervelli o non cervelli, che vogliono trasferirsi altrove. «È assurdo pensare di poter negare loro la possibilità di cercare lavoro laddove esistono le condizioni», dice. Ma poi aggiunge: «Certo, se si riuscisse a garantire loro almeno l'opportunità di frequentare università competitive con quelle del Nord perché dotate degli stessi parametri di finanziamento e di spesa, se non altro si riuscirebbe a formarli qui: e già sarebbe un enorme risultato». La sfida resta dunque il sistema della formazione?
«Non è l'unica, sicuramente. Ma è quella che si potrebbe vincere se esistesse un pizzico di maggiore consapevolezza da parte delle forze parlamentari sulla possibilità di cambiare le cose senza grossi sforzi. Ormai abbiamo capito, e non da oggi, che è stato commesso un grosso errore nell'impoverire gli atenei del Sud: assegnare ad essi solo il 40 per cento delle risorse e destinare il restante 60% alle università del Nord vuol dire scavare un solco che ben difficilmente potrà essere
colmato». È necessaria una scelta politica che ha un obiettivo tanto evidente quanto concreto: riequilibrare la spesa e impedire che il divario formativo tra Nord e Sud aumenti ancora».
(Fonte: N. Santonastaso, Il Mattino 23-05-16)

AFAM (ALTA FORMAZIONE ARTISTICA, MUSICALE E COREUTICA). TRIPLICATA LA PRESENZA DI STUDENTI STRANIERI
Il Rapporto biennale curato da Daniele Checchi rivela che negli ultimi quindici anni il sistema Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica) ha raddoppiato gli studenti e l'11,8 per cento degli iscritti sono giovani stranieri, aliquota ben al di sopra delle medie delle università italiane. Si sale addirittura al 16 per cento nei corsi accademici, quelli parificati agli universitari. Sono 140 le realtà sul territorio nazionale. Ci sono le 43 Accademie di belle arti, i 77 Istituti superiori di studi musicali, trentasette dei quali al Nord, quindi gli Istituti superiori per le industrie artistiche, l'Accademia nazionale di danza e l'Accademia nazionale di arte drammatica. I 6.441 corsi di studio (dati aggiornati al 2015) sono frequentati da 86.872 studenti. Sono 48 mila nel comparto musicale e più della metà ha doppia frequentazione: accademia e scuola secondaria. La tradizione dell'ampia disciplina è secolare, la presenza di studenti stranieri è ormai traccia profonda. L'Accademia di Belle arti dal 1999 al 2015 ne ha triplicata la presenza. Il 67 per cento degli studenti forestieri che raggiungono l'Italia la sceglie come destinazione. Negli scorsi anni, tra l'altro, l'accesso dei cinesi era diventato addirittura un problema: erano 1.968 su 3.757 stranieri nel 2012, 2.885 su un totale di 4.581 nel 2013. Troppi, le aule e i teatri scoppiavano. Diverse accademie hanno deciso, allora, di introdurre un esame di italiano come test d'accesso e gli ingressi dei cinesi si sono notevolmente ridotti. (Fonte: Avvenire 26-05-16)    

STUDENTI. LIEVI MIGLIORAMENTI NELLE IMMATRICOLAZIONI E NEI TASSI DI ABBANDONO
Nel 2015-16 le immatricolazioni hanno ripreso a crescere, ma i tassi di ingresso sono ancora inferiori alla media europea. Il ritardo più grave è tuttavia nel numero dei laureati: l’Italia si posiziona al terzultimo posto dei paesi Ue-27. La causa principale è da individuarsi nella bassa quota di studenti che riescono a completare gli studi. Negli ultimi anni si è riscontrato un lieve miglioramento, dovuto soprattutto alla riduzione delle immatricolazioni da parte degli studenti più “deboli” piuttosto che a un più efficace funzionamento del sistema universitario. Nel 2015-16 il rapporto tra immatricolati con età pari o inferiore a 20 anni e popolazione di età compresa tra i 18 e i 20 anni è cresciuto del 2,4 per cento. Per il secondo anno si è registrata una leggera crescita rispetto a quello precedente, dopo circa dieci anni di andamento negativo. È troppo presto per dire se si tratta di un’inversione di tendenza duratura. L’alto rischio di abbandono e l’eccessiva durata del percorso di studi, punti critici del sistema universitario italiano, oltre a incidere negativamente sui laureati, possono aver scoraggiato le immatricolazioni. Riguardo a questi indicatori il rapporto Anvur mostra qualche lieve miglioramento. Mentre nel 2003-04 circa il 19 per cento degli immatricolati alle lauree triennali terminava regolarmente gli studi, per gli immatricolati nel 2011-12 la percentuale è salita a circa il 27. Un’evoluzione positiva si evidenzia anche relativamente alla quota di immatricolati che non prosegue al secondo anno: nello stesso periodo si è ridotta dal 27 per cento a circa il 25 per cento. I tassi di abbandono, però, sono ancora a livelli allarmanti, circa il 33 per cento dopo sei anni dall’immatricolazione per gli immatricolati nel 2008-09. (Fonte: M. De Paola, lavoce.info 01-06-16)
Un commento di Max in calce all’articolo: Sulla durata ancora eccessiva degli studi dopo il 3+2 potrebbe contribuire la possibilità degli studenti, nel sistema italiano, di dare numerose (troppe) volte lo stesso esame sino a quando non lo passano o ottengono il voto desiderato. Mettiamo 6 appelli all'anno, un esame del primo anno può essere provato teoricamente 18 volte nel corso di tre anni (laurea triennale)! 


VARIE

LA COMPETENZA MATEMATICA SECONDO L’OCSE
Il Consiglio Scientifico dell’Unione Matematica Italiana ha approvato un documento di riflessioni sui risultati degli studenti italiani nella parte matematica dei test OCSE-PISA. A leggere i documenti su cui si basano i test PISA, distillati ormai da circa vent’anni di esperienza e da successivi raffinamenti, appare evidente che l’idea di competenza matematica di cui l’OCSE si fa portatrice è alquanto sbilanciata sulla capacità di utilizzare la matematica nelle situazioni di realtà, o più precisamente in testi che simulano situazioni reali, piuttosto che su quella di astrazione e controllo di architetture logico-formali. Si può essere più o meno d’accordo su questa visione dell’obiettivo prioritario dell’insegnamento della matematica: sta di fatto che è la principale capacità ad essere rilevata da questi test, e dunque su questa si basano soprattutto le varie classifiche. Ne segue che un paese, come l’Italia, che, piaccia o no, nella sua tradizione culturale ha da sempre privilegiato la seconda visione, risulta penalizzato. (Fonte: per leggere il documento dell’UMI http://tinyurl.com/j7ks23k 14-05-16)

E’ NECESSARIO CHE LA SCIENZA ENTRI NELLA POLITICA E NELL’INFORMAZIONE
Perché la chimica viene associata a veleni e non a farmaci salvavita? Perché si ostacolano le ricerche sugli Ogm sapendo che possono darci varietà vegetali più resistenti e sfamare più gente? Perché si è più preoccupati dalle (ipotetiche) conseguenze negative delle scoperte scientifiche che dalla certezza che la Terra non sarà in grado di sfamare la popolazione del 2050? Già oggi stiamo usando le risorse dei nostri nipoti. Avremmo bisogno di una terra e mezzo, e se continuiamo così ne serviranno due anche se riuscissimo ad azzerare gli sprechi. Eppure è più facile credere a una opinione non scientifica che a una supportata da esperimenti, da anni di lavoro di ricerca e da risultati vagliati dalla comunità internazionale. Come arrestare questa deriva oscurantista e irrazionale? Abbiamo bisogno che la scienza entri nella politica e nella informazione. Abbiamo bisogno che chi conosce la ricerca scientifica perché l’ha fatta sul campo (e non per sentito dire) sieda nei luoghi delle decisioni politiche e partecipi alla costruzione delle notizie e alla comunicazione. Molte delle difficoltà della ricerca in questo Paese, a partire dal sotto-finanziamento cronico per finire ai meccanismi bizzarri di reclutamento di ricercatori universitari, sono figlie di una cultura socio-politica poco attrezzata per comprendere le reali necessità della ricerca e dei ricercatori. Abbiamo bisogno di più politici e amministratori pubblici con background scientifici e di maggiore “co-working” tra umanisti e scienziati sociali e politici e chimici, fisici, biologi, matematici, informatici ecc. E serve una nuova leva di comunicatori scientifici. (Fonte: D. Braga, http://tinyurl.com/hnt4rgf 13-05-16)

FFO: -22%. DOCENTI: -17%. PERSONALE TA: -18%. IMMATRICOLATI: -20%
Dal 2008 al 2013, nonostante la crisi economica, Francia e Germania hanno aumentato la spesa pubblica per l’università, mentre noi abbiamo tagliato FFO (-22%), docenti (-17%) e personale tecnico-amministrativo (-18%). Il risultato? La nostra spesa pubblica per l’università è ormai un terzo della Svezia e meno della metà di quello che spendono Germania e Francia. Anche gli immatricolati sono calati del 20%, ma ciò nonostante spendiamo per il diritto allo studio meno di un sesto di quello che spendono Francia e Germania. Un arretramento generale che però diventa una frana nelle regioni del centro sud. (Fonte: http://tinyurl.com/zd43euh 15-05-16)

SEMINARIO DI STUDI «CONOSCENZA, TRASCENDENZA E VERITÀ. DIALOGI DE RATIONIBUS SCIENTIAE ET CARITATIS»
Il seminario di studi «Conoscenza, trascendenza e verità. Dialogi de rationibus scientiae et caritatis» si è svolto a Roma alla Pontificia Università Lateranense. L'incontro è stato organizzato in preparazione al Giubileo delle università e dei Centri e delle Istituzioni dell'Alta formazione artistica e coreutica, che si svolgerà dal 7 all'11 settembre prossimo a Roma sul tema «Conoscenza e misericordia». «Noi docenti — ha spiegato Paolo Colombo che insegna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano — abbiamo una grande responsabilità etica verso gli studenti, e quindi diventa fondamentale capire quali valori vogliamo trasmettere attraverso il nostro insegnamento». E mettendo in evidenza una visione spesso sbagliata della generazione giovanile, rappresentata come distratta e disinteressata a tutto, il docente ha sottolineato. «Non è vero che i giovani non hanno più in cosa credere — ha spiegato Colombo —: io trovo che loro possiedano un bagaglio di conoscenze amplissimo confrontato al nostro, sanno probabilmente molte più cose di quanto immaginiamo, però tocca a noi aiutarli a tirarle fuori, a dare a questo bagaglio un ordine e una forma. Con loro non servono lezioni che sono in realtà noiosi monologhi, ma costruttivi dialoghi, solo così potremo aiutarli davvero». Fondamentale per le università sono anche lo sviluppo sempre maggiore della ricerca. «Il nostro scopo — ha spiegato Massimo Inguscio presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) — è quello di migliorare la vita delle persone. Non si fanno studi su cose astratte ma sulla quotidianità dell'uomo». E una delle basi più importanti, è una sempre più stretta collaborazione tra il Cnr e gli atenei, per favorire anche una multidisciplinarità tra le materie. (Fonte: M. Tomarro, Avvenire 27-05-16)

Variazione personale pubb amministr 2007-12 Roars 17-05-16


ATENEI. IT

UNIBO. PIANO STRATEGICO PER I PROSSIMI SEI ANNI. UN QUESTIONARIO PER TUTTI GLI ISCRITTI
Il rettore dell’UNIBO Francesco Ubertini ha voluto coinvolgere gli studenti nel piano strategico che presenterà quest’estate e che segnerà i prossimi sei anni dell’Ateneo. Come? Con un questionario online che tutti gli 83 mila studenti sono chiamati a riempire, con risposte chiuse e anche alcune aperte che verranno poi studiate e analizzate da un laboratorio di semantica di Modena con tecniche di intelligenza artificiale, per dire la loro sull’identità dell’Ateneo e su quello che si aspettano dall’esperienza universitaria: «L’idea - spiega Ubertini, che è stato eletto l’anno scorso ed è intenzionato a ripetere l’iniziativa in futuro a scadenze regolari - è quella di chiederci chi siamo e che cosa vogliamo essere come università che ha una storia così lunga. Io ho naturalmente una mia visione delle cose da fare, ma accetto consigli e soprattutto voglio fare una proposta che sia condivisa perché credo che anche gli studenti debbano dire la loro». (Fonte: www.corriere.it/scuola/universita/ 16-05-16)

UNIBO. PROSPETTATA L'INTEGRAZIONE DELL'AREA MEDICA NEI CAMPUS UNIVERSITARI DELLA ROMAGNA
Per dimensioni di docenti e studenti l’insediamento romagnolo dell’Alma Mater, nato 27 anni fa con i campus di Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini raggiunge oggi le dimensioni di un ateneo medio grande: quasi 20.000 studenti, oltre 700 tra docenti e ricercatori e 450 tecnici amministrativi, più di 130.000 mq di aule, laboratori e servizi, 4 centri interdipartimentali di ricerca industriale (CIRI).
Le prospettive di consolidamento e di sviluppo dell’esperienza Multicampus sono state oggetto dell’incontro che si è tenuto tra il Rettore dell’Alma Mater Francesco Ubertini, e i sindaci delle città romagnole. Tra gli argomenti trattati durante l’incontro c’è stato lo sviluppo e l’integrazione dell’area medica nell’area vasta romagnola con l’obiettivo di estendere la rete formativa, la ricerca traslazionale e clinica e di valorizzare le eccellenze delle strutture ospedaliere che insistono sui vari territori della Romagna. Promuovere una ricerca e una formazione di qualità costituisce un investimento che alimenta le conoscenze scientifiche, ma anche quelle operative con una ricaduta immediata a beneficio della salute dei cittadini e della qualità del sistema sanitario del territorio. Il tutto anche nell’ottica della programmazione comunitaria 2020 la quale considera la salute un potenziale driver di sviluppo sociale e anche economico per il suo elevato tasso di innovazione. (Fonte: UNIBO Magazine 12-05-16)

UNIBO LAUNCH PAD PREMIA LE IDEE DI IMPRESA
Torna Unibo Launch Pad, il primo (e unico) programma italiano di accelerazione imprenditoriale interamente dedicato al mondo dei giovani ricercatori, e da quest’anno alla Silicon Valley si aggiunge anche Londra tra le mete internazionali destinate alle migliori idee di impresa.
Nato dalla collaborazione tra Università di Bologna, Istituto Italiano Imprenditorialità, aziende e fondazioni dell’Emilia Romagna, Unibo Launch Pad è un progetto pensato per costruire un percorso di formazione all’imprenditorialità accademica di natura laboratoriale. Il percorso prevede momenti di aula, affiancamento da parte di mentori, incontri sistematici con imprenditori e, per i team più promettenti, una fase finale in California, nella Silicon Valley. Inoltre, novità di quest’anno, l'acceleratore londinese iStarter premierà uno dei team selezionati ospitandolo per un periodo di alcune settimane nella City britannica, all'interno del loro programma di accelerazione e ricerca di capitali. (Fonte: http://tinyurl.com/hhunnot 16-05-16)

UNIPI. LA SITUAZIONE DELL’ATENEO PISANO SECONDO IL CANDIDATO RETTORE DONATO AQUARO
La situazione attuale dell’Ateneo sembra ingessata. La spinta propulsiva dei singoli risulta frenata da un centralismo esasperato che complica le procedure, rallenta le attività di ricerca e di didattica e crea grande frustrazione fra coloro che hanno spirito di iniziativa e creatività. Perché si è determinata questa situazione? “Ci sono cause dovute a decisioni locali e cause dipendenti da politiche nazionali. L’applicazione della legge Gelmini a Pisa è stata effettuata in una maniera tale da diminuire l’autonomia dei dipartimenti e la loro rappresentatività. Si sono complicate le procedure a causa di una soffocante centralizzazione. L’amministrazione con i suoi vertici si è chiusa nel palazzo e ha trattato i dipartimenti come strutture periferiche su cui versare incombenze continue e mal programmate. Per quanto riguarda le politiche nazionali, perdura da anni il disinteresse del Governo verso l’Università. I docenti Universitari sono gli unici per i quali il blocco degli scatti è stato prorogato anche per il 2015 e non viene riconosciuta l’anzianità maturata anche ai soli fini giuridici. Per il personale tecnico amministrativo il blocco contrattuale che dura da un quinquennio, ha creato situazioni di estremo disagio. La diminuzione costante del Fondo di Finanziamento Ordinario ed il blocco del turn over hanno creato politiche restrittive negli investimenti di infrastrutture, nella ricerca e nella didattica”. Solo colpa dei tagli ministeriali o c'è una minor capacità di puntare investire in ricerca? “Ovviamente i tagli ministeriali, diminuendo le risorse umane e finanziare disponibili, hanno ridotto la capacità di effettuare ricerca di eccellenza. Nonostante tutto questo, ci sono ancora a Pisa docenti o gruppi di docenti che sono leader nei loro settori di ricerca in campo nazionale e internazionale”. (Fonte: www.lanazione.it 18-05-16)  

 UPO. PIÙ SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE E POSTI
L'Università del Piemonte Orientale (UPO) vede aumentare sia il numero di Scuole che il numero di posti assegnati. Le scuole di specializzazione dell'UPO passano da 12 a 16: Endocrinologia e malattie del metabolismo (1 posto), Geriatria (2 posti), Medicina fisica e riabilitativa (2 posti) e Oncologia medica (1 posto) vanno ad aggiungersi alle altre scuole già attive. Il numero complessivo di posti aumenta da 59 a 66, poiché i posti per Medicina interna passano da 5 a 6. Rimangono invariate le suole aggregate all'Università di Torino, con 27 posti disponibili, uno in più rispetto allo scorso anno (per la scuola di Urologia). Piena soddisfazione dai vertici dell'Ateneo; il presidente della Scuola di Medicina di Novara, Giorgio Bellomo, ha così commentato la decisione ministeriale: «Sono veramente felice e desidero innanzitutto ringraziare tutti coloro che hanno lavorato per arrivare a questi risultati. Li interpretiamo come il meritato riconoscimento per il continuo lavoro svolto da tutto il personale per far crescere la nostra Università e la nostra Scuola di Medicina». (Fonte: Giornale Piemonte 20-05-16)

 POLITO. DOMANDE PER IL DOTTORATO: +22% DALL’ANNO SCORSO
Cresce, e non poco, la domanda per accedere ai corsi di Dottorato del Politecnico di Torino, riconosciuti sempre più come percorsi di eccellenza a livello nazionale e internazionale. Quest’anno, rispetto a dodici mesi fa, c’è stato il 22% di domande in più, per un totale di 921 candidature da parte di persone laureate. Un risultato frutto anche di una politica di valorizzazione del percorso di Dottorato che ha portato il Politecnico a investire 2,6 milioni di euro nelle borse di valorizzazione della formazione di III livello: l’ateneo in questo modo si propone di premiare in modo ancora più concreto il merito e la qualità dei suoi studenti e, soprattutto, di attrarre i migliori laureati da tutto il mondo. L’investimento straordinario nella formazione di terzo livello è iniziato nel 2014, con un programma di sostegno al dottorato che prevedeva un aumento del valore delle borse rispetto al minimo di legge, l’incremento del 20% del numero delle borse e premi per i dottorandi migliori. Un programma rinforzato nel mese di dicembre 2015 con un ulteriore aumento del valore delle borse (ora a 1300 euro netti mensili, il maggiore importo in Italia) e con un ulteriore incremento del 25% del numero delle borse finanziate. In un anno in cui si è registrata una flessione del finanziamento ministeriale per il Dottorato, il Politecnico ha integrato quindi con risorse proprie il budget per poter bandire 120 borse. (Fonte: www.diarioditorino.it 24-05-16)

UNIMORE. SI INSEGNA LA FISICA DELLE MOTO NELL'OFFICINA-LABORATORIO DUCATI
In Ducati a Borgo Panigale hanno creato, in collaborazione con le università di Modena e Reggio Emilia, un corso di fisica applicato alle moto. L'edizione 2016 si terrà dal 18 al 22 luglio nella sede di Borgo Panigale ed è rivolto a studenti maggiorenni delle scuole secondarie superiori. I posti sono limitati, solo 25, e i partecipanti verranno selezionati in base ai meriti accademici e alle motivazioni che verranno esposte in un video di presentazione. Tutto questo si svolge all'interno di un laboratorio creato appositamente per accogliere scolaresche e gruppi didattici, il luogo ideale per approfondire in un ambito più pratico le nozioni di meccanica e termodinamica apprese sui banchi. Alle lezioni saranno presenti ingegneri Ducati e docenti universitari che impartiranno lezioni di dinamica dei sistemi, modellazione e laboratori di ricerca sperimentale, oltre allo studio degli effetti dei principi fisici su una vera Ducati da MotoGP. Come iscriversi http://tinyurl.com/zh3l9zd .


UE. ESTERO

UE. ATTRARRE STUDENTI E RICERCATORI QUALIFICATI DA PAESI TERZI
La concorrenza di altri paesi extra-Ue nell'attirare talenti è alta, è per questo che con una direttiva approvata in seduta plenaria dal Parlamento Europeo, l'Ue corre ai ripari. L'opportunità per ricercatori e studenti è quella di rimanere dopo il compimento del proprio progetto o ottenuto il proprio diploma di laurea. Per la prima volta vengono inserite delle disposizioni facoltative anche sugli au pairs in una normativa europea. La direttiva pone regole comuni sulla permanenza degli studenti o ricercatori provenienti da paesi terzi: finito il corso di studio o il progetto di ricerca potranno rimanere almeno nove mesi in un paese Ue per cercare lavoro o avere il tempo di iniziare un'attività di business. In questo modo l'Europa oltre a formare studenti stranieri, potrà trarre dei benefici dalle competenze che avranno acquisito: disponibilità di lavoratori qualificati e creazione di posti di lavoro attraverso nuove attività. Per quanto riguarda invece la permanenza illegale del ricercatore, lo stato membro potrebbe chiedere alle organizzazioni di ricerca con le quali lo studioso avrà stretto l'accordo, di dichiararsi responsabili fino a che non avrà ottenuto un permesso di residenza con lo scopo della ricerca di lavoro o per l'apertura di un'impresa. I ricercatori potranno portare con loro i propri familiari che avranno anche la possibilità di lavorare durante il soggiorno Ue. (Fonte: I. Giuntella, IlSole24Ore 13-05-16)

EU. NUOVE NORME PER I RICERCATORI E STUDENTI UNIVERSITARI NON UE
Il Parlamento europeo ha approvato la scorsa settimana delle nuove norme di ingresso e soggiorno che renderanno le Università europee ancora più attraenti per gli studenti e i ricercatori altamente istruiti provenienti da paesi terzi. Questo perché l’attuale legislazione europea è stata giudicata non sufficiente ad affrontare le nuove sfide: da una parte l’invecchiamento della popolazione dell’UE e la penuria di competenze, dall’altra la concorrenza da parte di altre destinazioni in grado di attrarre quanti dispongono di talenti e di elevate abilità.
Le nuove regole unificano due direttive già esistenti, su studenti (2004/114/CE)  e ricercatori (2005/71/CE), per garantire che:
-       studenti e ricercatori possano soggiornare nell’UE per almeno nove mesi dopo aver terminato i propri studi o ricerche per cercare un lavoro o di dare vita a un’attività. In tal modo, anche l’Europa potrebbe beneficiare delle loro competenze
-       studenti e ricercatori possano muoversi più facilmente all’interno dell’Unione europea durante il loro soggiorno. In futuro, non sarà, infatti, più necessario presentare una nuova domanda di visto al momento del trasferimento, ma basterà semplicemente notificare lo Stato membro verso il quale ci si sta spostando, ad esempio per uno scambio culturale di sei mesi. I ricercatori potranno inoltre spostarsi per periodi più lunghi rispetto a quelli attualmente consentiti;
-       i ricercatori abbiano il diritto di portare i loro familiari con loro e, a loro volta, i membri della famiglia potranno lavorare durante il soggiorno nell’UE;
-       agli studenti sia riconosciuto il diritto di lavorare almeno 15 ore a settimana.
(Fonte: GIOVANI, News 17-05-16)

FRANCIA. LA SELEZIONE DEGLI STUDENTI TRA IL PRIMO E IL SECONDO ANNO È ILLEGALE PER IL CONSIGLIO DI STATO
Pour la juridiction administrative suprême, il n'est possible d'opérer une sélection en master que dans les formations inscrites dans un décret prévu à cet effet par la loi. Ce décret n'existant pas à ce jour, toute sélection est donc illégale.
"L’admission à une formation relevant du deuxième cycle ne peut faire l’objet d’une sélection basée sur les capacités d’accueil de l’établissement, le succès à un concours, ou l’examen du dossier des candidats, que si cette formation figure sur une liste limitative établie par décret. Cette règle s’applique tant pour les formations de première que de deuxième année de master", précise la juridiction.
"Je suis satisfait pour mes clients, réagit Florent Verdier, avocat de nombreux étudiants dans ces affaires de sélection en M2. Il n'y a aucune surprise, le Conseil d'État confirme sa décision de principe de 1994: point de décret, point de sélection possible. Il écarte au passage l'arrêté 'master' de 2002, que plusieurs universités mettaient en avant pour justifier la sélection qu'elles opèrent à l'entrée du M2." Quel décret? Prochaine étape attendue: la décision politique. La CPU (Conférence des présidents d'université) appelle le secrétaire d'État à l'Enseignement supérieur à adopter "sans délai, par décret, une liste exhaustive des formations de master pratiquant actuellement une sélection entre M1 et M2".
L'Unef en revanche, rappelle son opposition à toute forme de sélection, tout en prônant une "solution de compromis", afin de "répondre au double objectif de sécurité juridique pour les établissements et de droit à la poursuite d’étude pour les étudiants."
Le syndicat étudiant demande "que le futur décret encadre une partie des pratiques de sélection à l’entrée du master 2" mais aussi "garantisse à tous les titulaires d’un master 1 le droit à la poursuite d’étude dans au moins un master 2 du même grand domaine de formation dans leur université." (Fonte: C. Stromboni, http://tinyurl.com/jdwfye5 10-02-16)

FRANCIA. PROBLEMATICA LA SELEZIONE DEGLI STUDENTI TRA M1 E M2
Ces dernières années, plusieurs procès concernant la sélection à l'Université ont été médiatisés. Des étudiants ayant validé leur M1 se voyaient refuser l'accès au M2 de leur choix pour des motifs douteux (manque de place, résultats insuffisants malgré les semestres validés...). Cette sélection informelle a presque toujours été jugée illégale par les tribunaux, les étudiants obtenant presque systématiquement gain de cause. Néanmoins, tous ne portaient pas plainte, et beaucoup d'entre eux se retrouvaient désarmés, un demi Master en poche, sans perspectives de poursuite d'études.
Cette sélection au beau milieu du Master est une spécificité française, qui vient de la structure de notre système universitaire avant l'application du processus de Bologne, débutée en 2003 et qui a remplacé l'ancien système par l'actuel schéma Licence-Master-Doctorat (LMD). Auparavant, il y avait le DEUG (bac+2) puis la maîtrise (bac+4), et une sélection s'opérait pour entrer en DESS/DEA (bac+5). La sélection entre le M1 et le M2 est un reste de la sélection qui avait lieu entre la maîtrise et le DESS/DEA. Néanmoins, cette sélection est aujourd'hui problématique: un bac +4 n'est absolument plus reconnu dans le monde du travail, et cette sélection illégale laissait donc un certain nombre d'étudiants sur le carreau. Face à cette situation, le gouvernement a décidé de réagir. Mais comme toujours, il a pris le problème à l'envers et propose simplement de légaliser cette sélection pour un nombre «restreint» de M2.  (Fonte: uecstrasbourg.over-blog.com 15-05-16)

FRANCIA. GLI STUDENTI DIVISI SULLA QUESTIONE DELLA SELEZIONE ALL’INGRESSO NEL SECONDO ANNO DEL MASTER (CORSO DI LAUREA)

Les étudiants et lycéens sont partagés sur la question de la sélection à l’entrée en deuxième année de master (M2): un petit peu moins de la moitié d’entre eux (48,9 %) s’y opposent fermement, d’après un sondage réalisé par L’Etudiant en février et portant sur 2 500 de ses lecteurs. Plus surprenant, plus d’un étudiant sur quatre (26,8 %) serait tout à fait favorable à une sélection systématique à l’entrée en M2, quand 19,9 % préféreraient une sélection pour certaines filières seulement. Depuis que le Conseil d’Etat a confirmé le 10 février que la sélection entre les deux années de master ne reposait sur aucune base légale, le débat enfle sur ce sujet. Face aux demandes des universitaires, le gouvernement a annoncé une concertation sur l’organisation du master dans les mois à venir. Pour les autres grades universitaires, comme à l’entrée en première année de master (M1), deux étudiants sur trois (68,9 %) seraient favorables à une sélection. Parmi eux, la moitié n’envisagerait ce système que pour certaines filières, l’autre moitié ne serait pas contre la généraliser à tous les masters. En commentaire de sa réponse au sondage, un étudiant de L3 sciences humaines et sociales résume le problème: «Une sélection à l’entrée du M1 permettrait aux étudiants de se réorienter vers d’autres cursus. A l’inverse, une sélection à l’entrée du M2 n’est pas souhaitable car de nombreux étudiants seraient amenés à redoubler plus d’une fois pour passer cette sélection.» (Fonte: L. Buratti, www.lemonde.fr 16-05-16)


FRANCIA. ORIENTER LES ELEVES AVANT LE BACCALAUREAT
La sélection des étudiants en première année d'université est injuste et absurde, estime Vassili Joannidès de Lautour, professeur à Grenoble Ecole de management. Selon notre contributeur,
il faudrait orienter les élèves avant le baccalauréat, tout en valorisant les formations professionnalisantes. (Fonte: LesEchos 19-05-16)

UK. RISCHIO BREXIT ANCHE PER LA RICERCA
La prospettiva di perdere i finanziamenti europei alla ricerca è un rischio molto serio per gli scienziati britannici. Quando i sostenitori di Brexit dicono che il Tesoro compenserà l'ammanco, danno prova di ingenuità e leggerezza, visto che i governi britannici che si sono succeduti non hanno finora fatto nulla per modificare una situazione che vede gli investimenti per la ricerca in percentuale del Pil, in Gran Bretagna, lontani sia dalla media Ocse che da quella dell'Unione.
Chi sostiene che la Gran Bretagna potrebbe continuare ad avere accesso ai fondi pur uscendo dall'Unione dice un'inesattezza, perché questo accesso sarebbe quasi certamente condizionato all'applicazione degli stessi principi che la Brexit rigetta, in particolare quelli sulla libertà di movimento. La scienza fiorisce grazie alla permeabilità delle idee e delle persone e prospera in contesti che mettono in comune le intelligenze, riducono al minimo le barriere e sono aperti a liberi scambi e collaborazioni. L'Unione europea fornisce questo tipo di contesto che gli scienziati giudicano preziosissimo. È per questo che un recente sondaggio pubblicato sulla rivista Nature ha mostrato che l'83 per cento degli scienziati vuole che la Gran Bretagna rimanga nell'Unione. (Fonte: La Repubblica 12-06-16)

UK. LIBRO BIANCO SULL’ISTRUZIONE E RIFORME DELL’UNIVERSITÀ
Il Libro bianco sull'istruzione evidenzia che un quinto dei laureati non trova lavori adeguati al titolo di studio; circa due terzi degli studenti dicono che il corso di laurea è stato inferiore alle aspettative; le aziende si lamentano che dalle università non escono potenziali dipendenti sufficientemente preparati e, secondo il Chartered Institute of Personnel and Development, più della metà dei laureati ha un'occupazione per la quale la laurea non serviva nemmeno. Pertanto il ministro delle Università, Jo Johnson, ha iniziato una riforma secondo principi di competizione e trasparenza, perché è convinto che per troppo tempo varie forme di nepotismo, ostruzionismo e barriere all'entrata abbiano corrotto lo spirito liberale e meritocratico del sistema universitario britannico. Per questo ha prima di tutto liberalizzato il mercato delle università: da questo momento, non saranno più le università esistenti a decidere quali altri atenei o corsi possono essere aperti (finora è stato così per un'esigenza di armonizzazione dell'offerta scolastica. Le università esistenti che non dimostrano di mantenere alti i propri standard non saranno più "salvate" dal governo: se scendono nella classifica degli atenei più meritevoli, dovranno abbassare le loro rette, incentivando così ogni ateneo a garantire un'offerta scolastica adeguata al proprio costo. Se invece un'università dimostra di avere corsi eccellenti, potrà adeguare le rette all'inflazione, alzandole, nei prossimi due anni. il Libro bianco prevede l'istituzione di due organi, un Office for Students e il Teaching Excellence Framework che permette di stilare una classifica di eccellenza per i corsi, i professori e gli atenei.
(Fonte: P. Pedruzzi, Il Foglio 18-05-16)

USA. LA VALUTAZIONE DELLE UNIVERSITÀ NON SI DEVE BASARE SOLO SULLA REPUTAZIONE DELL’ISTITUZIONE O SULLA SPESA SOSTENUTA PER STUDENTE
Per frequentare un’università privata come Harvard, ad esempio, chi non può fare affidamento su borse di studio deve sborsare poco meno di 50.000 dollari di sole tasse annue d’iscrizione. Basta aggiungere poco più di 22.000 dollari all’anno per permettersi di vivere nel campus. Per un’università statale come UC Berkeley i costi partono dai 13.518 dollari annui, se si rinuncia a vivere nel campus, ai 33.418 se si sceglie il “tutto incluso”. prosciugare i risparmi famigliari non è sufficiente, bisogna allora ricorre ai loans, i prestiti da restituire all’ateneo dopo la laurea. Secondo una ricerca Gallup, il 63% degli studenti  laureati fra il 2006 e il 2015 ha fatto ricorso a questo strumento finanziario per una somma la cui mediana si aggira sui 30.000 dollari. Per il 35% di quei laureati il debito accumulato è superiore ai 25.000 dollari, una cifra che segna il limite oltre il quale il fardello economico sembra avere un impatto molto serio sulle vite dei laureati; quella percentuale aumenta al 50% per i giovani di colore e al 42% per chi fa parte della prima generazione di laureati nella propria famiglia. Studiare per anni, pagando tasse altissime per permettersi un’università per la quale i propri genitori  hanno risparmiato una vita, e a propria volta indebitarsi per gli anni a venire:  ne vale veramente la pena? La ricerca Gallup lo chiede ai diretti interessati, i laureati. Ad essere particolarmente pessimisti sono soprattutto i laureati più recenti (dal 2006 al 2015), per i quali la percentuale di soddisfazione scende drammaticamente dal 50 al 38; a incupire i loro scenari è il debito in sospeso con l’università, soprattutto quando superiore ai 25.000 dollari. Neanche a dirlo, solo il 18% di chi si è indebitato per più di 50.000 dollari afferma che ne sia valsa la pena. Anche se le università americane puntano sull’offerta di campus super attrezzati con mense fornitissime e alloggi esclusivi per attrarre studenti, non è questo che poi agli alumni rimane impresso. Questa ricerca Gallup fa pensare che forse è tempo di rinunciare a valutare degli atenei  per mezzo di indicatori tradizionali, come la reputazione dell’istituzione o la spesa sostenuta per studente, e di cominciare invece a elaborarne di meno convenzionali per determinare il vero valore dell’istruzione. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 16-05-16)


LIBRI. RAPPORTI

UNIVERSITALY. La cultura in scatola
Autore: Federico Bertoni. Ed. Laterza. Collana: I Robinson/Letture. Serie: Solaris, 2016. Pg. 150.
Perché un luogo di elaborazione e di trasmissione della conoscenza diventa uno straordinario concentrato di stupidità, in cui l’automazione frenetica delle pratiche svuota di significato le azioni quotidiane? Questa è la domanda fondamentale da porre all’università italiana del XXI secolo.
Mutazioni antropologiche, narrazioni egemoni, logiche del potere e disegni politici più o meno occulti. Drogata da un falso miraggio efficientista, l’università sta svendendo l’idea di cultura e la ragione stessa su cui si fonda, ostaggio passivo e consenziente di indicatori astrusi, procedure formali, parole vuote che non rimandano a nulla e che si possono manipolare in base a interessi variabili – eccellenza, merito, valutazione, qualità, efficienza, internazionalizzazione. Serve una diagnosi lucida per denunciare le imposture e cercare gli ultimi punti di resistenza. Il libro parte da casi concreti e da un’esperienza maturata sul campo. Senza alcun rimpianto nostalgico per la ‘vecchia’ università ma con uno sguardo disincantato, si rivolge a chi ha una percezione vaga del presente, spesso distorta da stereotipi e pregiudizi. Quel che ne emerge è al tempo stesso un racconto, un saggio di critica culturale e un testardo gesto d’amore per il sapere, l’insegnamento e un’istituzione che ha accompagnato il progetto della modernità occidentale. (Fonte: http://tinyurl.com/zhf4v95 )

CRONACHE DI 50 ANNI DI VITA UNIVERSITARIA TRA CONSERVAZIONE E RINNOVAMENTO. Il Comitato Nazionale Universitario (CNU): passione, impegno e futuro
A cura di Paolo Gianni e Antonio Miceli, Edizioni ETS, Pisa (I Ed. 2014, II 2016).
L’opera racconta la storia dell’Università Italiana nel periodo repubblicano attraverso le esperienze di un gruppo di professori che si sono impegnati all’interno di una associazione cultural-sindacale, il CNU. Affiancano questo  racconto le testimonianze di alcuni docenti, interni od esterni al CNU, che hanno giocato ruoli importanti nel confronto tra il mondo politico, il mondo sindacale e quello accademico nel corso del lungo dibattito sulla riforma della nostra istituzione per la formazione  superiore. Tra i docenti che, a vario titolo, hanno contribuito all’opera 3 ex-Presidenti della CRUI, uno del CNR e uno del CINECA. Il volume contiene alcuni contributi monografici, come quelli sulla legislazione universitaria e sul valore legale dei titoli di studio, e accenna qua e là ad alcune idee  per il futuro. Tra i nuovi contributi della seconda edizione del libro (Febbraio 2016): 1) un articolo dell’ex-Presidente del CNR Luigi Rossi Bernardi che, nel raccontare la storia del CNR degli ultimi 25 anni, denuncia in modo documentato ed efficace la politica attuata nei riguardi della ricerca da parte di tutti i governi che in tale periodo si sono succeduti; 2) un ulteriore contributo di Giovanni Cordini su “Università e Sistema Universitario fra tradizione e rinnovamento“ in cui critica l’attuale modello di funzionamento e finanziamento del sistema universitario. (Fonte: Scheda predisposta da Paolo Gianni 27-05-16).
   

Nessun commento:

Posta un commento