IN EVIDENZA
NUOVE ABILITAZIONI E RECLUTAMENTO
SEMINARIO PUBBLICO PROMOSSO DALL’INTERCONFERENZA NAZIONALE DEI DIPARTIMENTI
– COORDINAMENTO DELLE CONFERENZE DI DIRETTORI, PRESIDI E RESPONSABILI DI
STRUTTURE UNIVERSITARIE
“Il
contributo dell’Interconferenza all’analisi delle criticità nel sistema
universitario” è il titolo dell’incontro che si è tenuto mercoledì 15 ottobre
alla Facoltà di Ingegneria della Sapienza.
Parte
del seminario si è concentrata su nuove
abilitazioni e reclutamento.
Attilio
Corradi (Conferenza di Medicina Veterinaria) si è soffermato sui numeri: le
domande presentate per l’Abilitazione
Scientifica Nazionale sono state
quasi 60mila; il 40,6% degli abilitati è sopra la mediana; su un totale di 105
casi solo in due occasioni, peraltro ininfluenti sull’esito finale, il
commissario OCSE ha dato un parere diverso rispetto a quello degli altri
commissari. (Slides dell’intervento di Corradi visibili tramite il link riportato sotto da usare su Google
Chrome).
Fabrizio
Micari (Conferenza di Ingegneria) ha criticato l’approccio “notarile” applicato
nell’ASN, a suo avviso causa di “risultati di validità limitata”, ed ha
proposto che nella procedura per l’abilitazione si inserisca un colloquio orale
con i candidati sui risultati delle ricerche da loro condotte, per verificarne
in modo più appropriato la maturità scientifica.
Paolo
Rossi (CUN) ha invece presentato la proposta del CUN di istituire un meccanismo
concorsuale di tipo comparativo per diventare junior professor per cinque anni,
entro i quali conseguire l’abilitazione per divenire, attraverso un meccanismo
valutativo, professore associato.
Alessandro
Arienzo (CUN) ha individuato il rischio che circa il 30% degli abilitati non
riuscirà ad essere reclutato a causa del blocco del turn-over e all’assenza di
risorse. Sul processo di formazione delle commissioni e sui criteri di
valutazione si è incentrato, infine, l’intervento di Carlo Pennisi (Conferenza
di Sociologia).
Fonti,
materiali e audio degli interventi qui http://www.radiosapienza.net/2013/news/dalla-sapienza/2041-primo-seminario-interconferenza-gli-audio.html
(link da usare su Google Chrome)
PRINCIPALI CRITICITÀ DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
SEMINARIO PUBBLICO PROMOSSO DALL’INTERCONFERENZA NAZIONALE DEI DIPARTIMENTI
– COORDINAMENTO DELLE CONFERENZE DI DIRETTORI, PRESIDI E RESPONSABILI DI
STRUTTURE UNIVERSITARIE
“Il
contributo dell’Interconferenza all’analisi delle criticità nel sistema
universitario” è il titolo dell’incontro che si è tenuto mercoledì 15 ottobre
alla Facoltà di Ingegneria della Sapienza.
Parte
dell’incontro è stata dedicata alla discussione sulle principali criticità dell’università italiana. Nell’intervento
introduttivo, il Portavoce dell’Interconferenza Mario Morcellini ha
sottolineato come i docenti non abbiano fatto sentire adeguatamente la loro
voce nel corso dei processi di cambiamento del sistema universitario e come le
trasformazioni della governance abbiano prodotto un contesto che non favorisce
le istanze democratiche e le istituzioni elettive.
Sul
tema “La 240/2010 tra attuazione e manutenzione” è intervenuto Giuseppe
Catalano (Sapienza), il quale ha messo in evidenza come il richiamo all’autonomia
e alla responsabilità presente nell’art. 1 della Legge Gelmini sia ampiamente
disatteso negli altri 25 articoli e nei provvedimenti attuativi. Gli aspetti
incompiuti della Riforma sono il sistema di finanziamento e gli interventi per
il diritto allo studio.
Rocco
Curto (Conferenza di Architettura), Claudio Bosio (Conferenza di Psicologia) e
Fabrizio Vestroni (Conferenza di Ingegneria) hanno invece affrontato il tema
“Formazione universitaria, mondo del lavoro, professioni”. Curto ha richiamato
la crisi anche nelle sue connotazioni strutturali. Ha riportato l’attenzione
sulle nuove professioni, sottolineando l’attuale scollamento tra formazione e
mercato del lavoro, scollamento dovuto all’autoreferenzialità dello stesso
sistema formativo italiano e, soprattutto, all’assenza di un piano della
formazione e alla ricerca connesso alle politiche di sviluppo del paese.
La
trattazione del tema “La valutazione tra formazione e ricerca” è stata affidata
a Marco Abate (CUN) e Stefano Semplici (Università di Tor Vergata). Il primo ha
esaminato vantaggi e pericoli della valutazione della ricerca, sottolineando in
particolare come essa sia un importante strumento per un governo informato del
sistema universitario, e come sia essenziale non ridurla, soprattutto quando si
valutano singoli ricercatori, al calcolo di meri numeri; l’altro ha criticato i
provvedimenti del Parlamento, del Governo e dell’ANVUR, che sottovalutano e di
conseguenza disincentivano la didattica.
In
merito al tema “La costituzione dei corsi di dottorato: analisi e nuove
proposte”, Carlo Maria Bertoni (Conferenza di Scienze MM.FF.NN.) ha illustrato
il notevole calo dei corsi di dottorato negli ultimi anni in seguito alle nuove
normative sull’accreditamento, mentre Giuseppe Fabio Montalbano (CUN e rappresentante
ADI) ha parlato di una “ipertrofia normativa” della legislazione italiana che
ha però lasciato scoperti i “nervi sensibili” dei corsi di dottorato nel nostro
paese. Sergio Ferrari (Conferenza di Biotecnologie) ha invece presentato una
“Proposta per un’Agenzia per l’Internazionalizzazione”, con gli obiettivi, tra
gli altri, di coordinare i servizi per gli studenti stranieri e promuovere la
conoscenza della lingua italiana all’estero.
Fonti,
materiali e audio degli interventi qui http://www.radiosapienza.net/2013/news/dalla-sapienza/2041-primo-seminario-interconferenza-gli-audio.html
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UNIVERSITÀ. NEL DDL 1577 UNA INOPPORTUNA DIVISIONE
INTERNA AL SISTEMA UNIVERSITARIO.
L’art.
8 del disegno di legge n. 1577 (presentato al Senato il 23 luglio 2014, che
contiene molteplici deleghe di potere legislativo al governo) opera una
divisione interna al sistema universitario che suscita preoccupazione. La
disposizione colloca le «università statali» tra le «amministrazioni di
istruzione e di cultura»; mentre tra gli «organismi privati di interesse
pubblico» sono menzionate le «università non statali». L’inserimento delle
università in due distinte categorie classificatorie è stato criticato, con
argomenti pienamente condivisibili, dal Cun in sede di audizione parlamentare
proprio sul disegno di legge n. 1577. In particolare si osserva che «sulla base
della sistemazione proposta dal disegno di legge, una qualificazione delle
università non statali come soggetti ‘diversi’, in relazione alla loro supposta
natura giuridica ‘privata’, supera, quasi a negarla, una costante
giurisprudenza amministrativa, civile e contabile per la quale la natura del
soggetto (università) deve definirsi in senso pubblicistico, ossia in relazione
alla natura delle funzioni pubbliche (di ricerca e formazione) assolte, al di
là del diverso sistema di finanziamento (appunto derivato dallo Stato in parte
maggioritaria o meno)». D’altra parte, «questa separazione interna al sistema
universitario supera alla radice la nozione unitaria di universitas, costruita
nei secoli sull’esercizio della funzione di trasmissione delle conoscenze e di
avanzamento dei saperi scientifici, a prescindere dalla natura pubblica e
privata dei soggetti eroganti e, ancor, più dalle mire lucrative dell’attività
svolta». Si tratta di «una nozione unitaria che è stata appunto sviluppata
dalla Costituzione sul concetto di ‘autonomia’ e che ha consentito poi al
legislatore di elaborare il concetto di ‘autonomia funzionale’, il quale
connota sia le università statali sia quelle non statali». In particolare, si
paventa la possibilità «di assoggettare le università statali alle ‘regole’
proprie delle articolazioni di un ministero (come è per i musei, gli archivi,
le biblioteche)» e di inserirle «in linee di comando altrettanto complesse,
tanto più che, come esplicita la relazione, non è intento di questa
collocazione conferire particolari forme di autonomia». Inoltre, si può
«alimentare la propensione delle università cosiddette non statali a un
esercizio della funzione pubblica di istruzione superiore e ricerca orientata a
finalità lucrative, come già avviene per talune loro espressioni, quali quelle
dedite a erogare formazione a distanza». E proprio rispetto alle università non
statali si fa notare che «la loro assimilazione a soggetti che operano in
regime di mercato e in base a meccanismi concorrenziali, come le società a partecipazione
pubblica che operano in regime di concorrenza, è piuttosto eloquente». Sicché,
la distinzione prefigurata dal riformatore «oltre a rompere l’unità di un
sistema che tale è in considerazione delle funzioni di rilevanza costituzionale
che lo qualificano (negli artt. 9 e 33 Costituzione), apre a trattamenti
differenziati, anche per i profili dell’azione e non solo dell’organizzazione,
di molto superiori a quelli che le norme generali dell’ordinamento riconducono
alla differente fonte di finanziamento».
Tutto
questo, se fosse realizzato, comprometterebbe la capacità competitiva delle
università statali rispetto a quelle non statali e pertanto è opportuno che
entrambe vadano ricomprese nella medesima categoria classificatoria. (Fonte: A.
Bellavista, Roars 27-11-2014)
FONDO DI
FINANZIAMENTO ORDINARIO 2014 DELLE UNIVERSITÀ. NUOVE REGOLE CON I COSTI
STANDARD
Pubblicati oggi (16-12) i numeri del fondo di
finanziamento ordinario 2014 delle Università. Il tassello inedito è
rappresentato dai costi standard, che
quest'anno decideranno la distribuzione del 20% delle risorse "non
premiali", cioè 982 milioni di euro, per crescere poi in cinque anni a
coprire tutti i 5 miliardi che non sono influenzati dalle performance ottenute
da ogni sede sulla ricerca e sulla didattica. «In questo modo - ha sottolineato
ieri Marco Mancini, capo dipartimento del Miur per l'Università, l'alta
formazione artistica, musicale e coreutica e la ricerca - l'Università diventa il primo comparto pubblico in cui l'intero
finanziamento statale è assegnato sulla base di parametri misurati su
indicatori di qualità». Il finanziamento universitario, infatti, in questa
chiave poggia su due capitoli. Quello "premiale", che nel 2014 vale
1.215 milioni di euro, dipende dai risultati raggiunti dagli atenei in tre
campi: la qualità delle strutture impegnate nella ricerca, misurata dalla
valutazione Anvur (850,5 milioni), le pagelle (sempre Anvur) sulla qualità
della produzione scientifica realizzata dai docenti reclutati dagli atenei nel
periodo valutato (243 milioni) e l'orizzonte internazionale della didattica,
pesato in base al numero di studenti Erasmus e ai crediti conseguiti all'estero
da studenti e laureati (121,5 milioni). Il secondo capitolo è invece
rappresentato dalla spesa "storica", quella che a partire da
quest'anno viene appunto erosa dal meccanismo dei «costi standard per studente
in corso». Parametri, questi ultimi, che devono valutare il "prezzo
giusto" di ogni corso di laurea in base all'offerta formativa e di
strutture. Un passaggio, questo, previsto fin dalla riforma Gelmini del 2010,
che ora però muove il passo decisivo verso l'attuazione.
Rispetto all'anno scorso, il balzo maggiore è quello
compiuto da Bergamo, l'università guidata dal presidente della Crui Stefano
Paleari, che dalle nuove regole ottiene 38 milioni di euro contro i 33,9
assegnati nel 2013 (+12,07%). Appena dietro nella classifica dei fondi in
crescita arriva la Bicocca di Milano (112,4milioni, +8,13% rispetto all'anno
scorso). A veder crescere la colonna delle entrate statali sono quasi tutte le
università del Nord, ma tra i fortunati ci sono anche atenei meridionali come
Napoli Parthenope, Benevento e Foggia. La divisione Nord-Sud torna a farsi
sentire in maniera più pesante quando si guarda alle Università in cui
l'assegno statale si alleggerisce: da Messina a Catania, da Palermo a Lecce
fino a Cagliari, Bari e Potenza, il segno meno è quasi sempre affiancato ad
atenei meridionali. Una flessione del 2,1% caratterizza anche La Sapienza di
Roma, mentre la Federico II di Napoli quasi pareggia i conti del 2013 (-0,27%)
e la Statale di Milano guadagna l'1,41 per cento.
Per il 67% delle università, fa notare il ministero nella
nota che accompagna la pubblicazione di decreti e numeri, il fondo cresce
rispetto all'anno scorso, e il fenomeno si spiega soprattutto con il
consolidamento di alcune voci che ha fatto aumentare da 6,4 a 6,21 miliardi
(+1,23%) la base di calcolo. Per il presidente dei rettori Paleari l'ingresso
del costo standard è una «novità positiva», anche se sulla sua applicazione
pratica si può sempre discutere: «È indubbio che siamo la prima pubblica
amministrazione a introdurre questo indicatore di efficienza che scatta una
fotografia dell'esistente per ogni ateneo aiutandolo a intervenire al suo
interno sui singoli corsi che sono fuori linea per numero di docenti o di
studenti iscritti». (Fonte: G. Trovati, M. Bartoloni, IlSole24Ore 16 e
18-12-2014)
UN POSTO PER
RICERCATORE DI TIPO B OGNI DUE PROFESSORI ORDINARI. NOVITÀ NELLA LEGGE DI
STABILITÀ
Dopo un lungo pressing fuori e dentro il Parlamento, con
tanto di benedizione del Quirinale, arriva l’atteso “salvataggio” dei
ricercatori di tipo «b», l'unica figura che tramite un meccanismo di
tenure-track all'italiana ha in prospettiva un accesso al ruolo di professore
associato e quindi a un percorso di stabilizzazione. Ma si tratta comunque di
un salvataggio a metà: non viene infatti ristabilito in pieno l’obbligo -
cancellato proprio dalla l. di stabilità - di bandire almeno un posto di
ricercatore di tipo b per ogni avanzamento di carriera a professore ordinario
previsto dal DLgs 49/2912. Bensì gli atenei dovranno bandire almeno un posto per ricercatore di tipo b ogni due
professori ordinari. Nel maxi emendamento finale votato dal Senato compare
una norma che solo per la programmazione delle annualità 2015, 2016 e 2017
prevede che il reclutamento di questi ricercatori introdotti dalla riforma
Gelmini «non può essere inferiore alla metà di quello dei professori di 1ª
fascia reclutati nel medesimo periodo, nei limiti delle risorse disponibili».
Per questa misura saranno stanziati in tutto 5 milioni all’anno per tre anni. (Fonte: M. Bartoloni,
Scuola24 22-12-2014)
FINANZIAMENTI E
RECLUTAMENTO NELLA LEGGE DI STABILITÀ
Nella legge di stabilità restano alcune misure a favore
degli atenei: a fianco del taglio sugli acquisti (34 milioni in meno per il
2015 e poi 32 per i due successivi) c’è un’aggiunta di 150 milioni di euro - da
destinare alla quota «premiale» - che azzera quasi del tutto la sforbiciata
prevista da una finanziaria di tre anni fa. Sempre sul reclutamento si prevede
che le università con i conti a un livello sostenibile, a cominciare dal fatto
che non spendano più dell'80% in stipendi, potranno assumere con un turn over
pieno ricercatori a tempo determinato. Secondo il ministro Giannini questa
misura dovrebbe aprire le porte a 1500 assunzioni in due anni. Viene poi
acconsentito agli atenei di cumulare, come accade per altri comparti della Pa,
le risorse destinate alle assunzioni per un arco temporale di tre anni.
Corposi i finanziamenti sono previsti per l'Agenzia
spaziale italiana, in modo da consentirle una partecipazione piena ai programmi
europei sullo spazio gestiti dall'Esa (Agenzia europea) con 60 milioni in più
nel 2016 e 170 milioni all'anno dal 2017 al 2020 per una dote complessiva di
740 milioni. A questi fondi si aggiungono altri 30 milioni all’anno dal 2015 al
2017 per il finanziamento dei programmi spaziali strategici nazionali in corso
di svolgimento.
Per il finanziamento di interventi in favore dei collegi
universitari di merito è autorizzata una spesa integrativa di 4 milioni di euro
per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017.
Tre milioni in più all’anno anche per l’Iit di Genova per
«promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese e l'alta formazione tecnologica».
Infine 10 milioni all’anno per tre anni sono destinati
all’Istituto nazionale di astrofisica per sostenere le ricerche e lo sviluppo
di partenariati con imprese di alta tecnologia sui progetti internazionali nel
campo della radioastronomia e dell’astronomia a raggi gamma. (Fonte: M.
Bartoloni, Scuola24 22-12-2014)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
INFORMATICA. LE UNIVERSITÀ NELLA TOP 10
L'informatica
non è solo lo strano mondo in cui i nerd si perdono
con i loro codici, programmi e videogiochi, ma è anche una delle
specializzazioni più redditizie. Lo conferma l'ultimo rapporto
Excelsior-Unioncamere, secondo il quale gli ingegneri informatici sono tra i
più ricercati dalle aziende e allo stesso tempo sono tra le figure
professionali di più difficile reperimento. Una laurea, dunque, quella in
informatica che sul mercato del lavoro «paga». Ma dove conviene laurearsi? Le
università collocate nella top 10 - sottolinea Skuola.Net - le ha decretate la
QS World Universities Ranking 2014, classifica che consente di confrontare tra
loro gli atenei mondiali in base alla materia da studiare. Vedi www.topuniversities.com.
Nel
2014 è stato il Mit, Massachusetts Institute of Technology, a sbaragliare la
concorrenza rispetto agli studi in campo informatico. Ha strappato la prima
posizione nella QS World Universities Ranking per due anni di fila. Anche nel
2013, infatti, era in prima posizione. Al secondo posto la californiana
Stanford mentre sul terzo gradino del podio si piazza un ateneo europeo,
Oxford, nel Regno Unito. Con un nome meno altisonante, sotto al podio si trova
la Carnegie Mellon University che ha sede a Pittsburgh, in Pennsylvania. È tra
le più giovani di questa particolare classifica: fondata nel 1967, ha solo 47
anni.
La
seconda tra le europee si trova in quinta posizione, a metà classifica delle
top 10, ed è l'università di Cambridge. Harvard, il super-ateneo americano si
trova solo al sesto posto della classifica sui migliori corsi di informatica da
seguire al mondo. Le sue specializzazioni sono altre: è prima, infatti, negli
studi in Giurisprudenza ed Economia. Per il settimo posto di nuovo in
California, a Berkeley. In ottava posizione si trova la National university di
Singapore: la prima università per gli studi in Informatica che non si trovi in
un paese anglosassone; rappresenta l'alternativa orientale degli studi di
qualità nel settore.
La
Svizzera conquista il nono posto. Poco oltre le alpi, a Zurigo, si trova una
delle università migliori del mondo dove studiare: Eth Zurich Swiss Federal
Institute of Technology. Infine, l'Asia chiude la classifica delle top ten
dell'informatica con l'Università di Hong Kong, area che tanto sta investendo
nel campo dell'innovazione e della tecnologia. (Fonte: 25-11-2014)
CLASSIFICA QS BEST STUDENT CITIES
2014. MILANO AL 36° POSTO
Parigi
è la regina della classifica QS Best Student Cities 2014. La capitale francese
si conferma per il terzo anno consecutivo al primo posto nella graduatoria che
mette in fila le città universitarie più amate dagli studenti. Sul podio
insieme alla Ville Lumière anche Melbourne e Londra. La città australiana
conquista il secondo posto, mentre quella inglese cede una posizione rispetto
all’anno scorso e deve accontentarsi della medaglia di bronzo. Sono selezionate in base a due requisiti: avere oltre
250mila abitanti e almeno due università nel QS World University Rankings. Di
queste, la graduatoria accoglie solo le prime 50, valutandole secondo criteri
come la posizione nel Global Liveability Index dell’Economist.
L’unica
italiana presente nella classifica QS Best Student Cities 2014 è Milano, che si
piazza al 36esimo posto, scendendo di ben dodici posizioni rispetto al 2013. Nessun’altra
città del nostro Paese è rappresentata nella graduatoria, ma siamo in buona
compagnia. Anche gli USA, infatti, che pure da anni dominano incontrastate
tutte le classifiche internazionali degli atenei (compresa la QS), non brillano
in questo particolare elenco, potendo contare solo su una città nella top ten,
Boston. Tra le prime dieci della classifica QS Best Student Cities 2014 ci sono
anche Sydney, Hong Kong, Tokyo, Montreal, Toronto e Seoul. La prima della
classe, Parigi, si piazza bene in tutti gli indicatori, pur non arrivando in
vetta in nessuno, ma queste performance le bastano per guardare tutti dall’alto
in basso. Londra, invece, è la città che offre le migliori università e le
maggiori opportunità lavorative, ma è penalizzata dal fatto di essere anche la
più costosa. Quanto a Melbourne, è la città universitaria con il maggior numero
di studenti internazionali, mentre l’altra canadese, Toronto, offre la migliore
qualità della vita. (Fonte: universita.it 26-11-2014)
NELLA TOP 10 DEGLI ATENEI EUROPEI L’UNIVERSITÀ LUIGI
BOCCONI E LA SDA BOCCONI SECONDO IL FINANCIAL TIMES
Il
Financial Times conferma l’Università Luigi Bocconi e la SDA Bocconi nella Top
10 degli atenei europei. L’università milanese è all’ottavo posto, conseguito
grazie ai risultati ottenuti dai programmi specialistici degli ultimi 12 mesi.
Il Master of science in International management della Bocconi, ha spiegato
l’ateneo in una nota, è salito al 12mo posto al mondo mentre l’Mba di SDA
Bocconi ha guadagnato l’11° posto in Europa. L’Executive Mba si è collocato al
30° gradino in Europa mentre nella classifica dell’executive education, la
business school ha conquistato il 10° posto nel vecchio continente. Non incluso
nel calcolo del ranking il Master of science in Finance della Bocconi, che ha
raggiunto invece l’8° posto nel mondo. (Fonte: CorSera 02-12-2014)
CLASSIFICHE CENSIS-REPUBBLICA. CRITICITÀ EVIDENZIATE DA
ROARS
La
Grande Guida CENSIS Repubblica offre davvero «una panoramica completa e
approfondita sull’universo accademico italiano. Una vera e propria bussola
soprattutto per le future matricole»? Secondo Roars (articolo di G. De Nicolao) qualche dubbio è
legittimo se nella classifica della ricerca di Ingegneria industriale e
dell’informazione finisce al terzo posto un ateneo senza nessun corso di laurea
in ingegneria. Incidente di percorso o sintomo di carenze strutturali? Per
capirlo, l’articolo analizza in dettaglio indicatori e metodi delle classifiche
CENSIS-Repubblica, discutendone incongruenze, criticità e fragilità.
Attualmente,
esistono due grandi database bibliometrici: Web of Science della
Thomson-Reuters e Scopus di Elsevier. È ben noto che offrono una diversa
copertura della letteratura scientifica e che la produzione scientifica di
molte discipline, soprattutto nell’ambito delle scienze umane e sociali, è rappresentata
in modo assai lacunoso. Il CENSIS non utilizza nessuno di questi due database,
ma ricorre a Google Scholar, che è un motore di ricerca specializzato nella
letteratura scientifica. In virtù della maggiore eterogeneità dei contenuti
accessibili attraverso Google Scholar, non è la prima volta che se ne propone
l’uso per una valutazione bibliometrica estesa anche nel campo delle scienze
umane e sociali. Ma è una soluzione illusoria. Google Scholar è uno strumento
inadeguato allo scopo, anche perché introduce distorsioni grossolane come ha
mostrato a più riprese su Roars: alle intrinseche debolezze di Google Scholar
si aggiungevano le distorsioni introdotte da un’interfaccia fatta in casa,
denominata Scholar Search, sviluppata e mantenuta dal Molecolar Genetics Group
dell’Università di Roma Tor Vergata. Nella Grande Guida non è precisato se si
sia fatto ricorso o meno a Scholar Search, ma a pagina 10 della versione
cartacea si ringraziano “il prof. Cesareni e il dr. Peluso per il supporto sui
dati Google Scholar“. A prescindere dall’utilizzo dell’interfaccia Scholar
Search, rimane il fatto che la letteratura scientometrica ritiene Google
Scholar inutilizzabile ai fini della valutazione. (Fonte: G. De Nicolao, Roars
14-01-2015)
DOCENTI
TAR E CDS: IMPROPRIO L’USO DEI GIUDIZI VQR 2004-2010 PER
L’ATTRIBUZIONE AI DOCENTI UNIVERSITARI DELL’INCENTIVO “UNA TANTUM“
Il
bando dell’Università Ca’ Foscari Venezia per l’attribuzione ai docenti
universitari dell’incentivo “una tantum“ in base all’art. 29 comma 19 della
Legge 240/2010, impugnato soprattutto per l’uso improprio dei giudizi VQR
2004-2010, in seguito al ricorso della FLC Veneto, è stato sospeso con
ordinanza del TAR del Veneto, confermata anche dal Consiglio di Stato. Si
conferma pertanto come giusta la scelta di impugnare al TAR e al Consiglio di
Stato il regolamento di Ca’ Foscari anche per evitare che altre sedi
universitarie utilizzino impropriamente i risultati della VQR. (Fonte 09-12-2014)
MERITOCRAZIA
«SENZA NUOVI O MAGGIORI ONERI PER LA FINANZA PUBBLICA»
Le progressioni stipendiali sono ormai tutte
esplicitamente legate al ‘merito’, ma bloccate dal 2011. Bloccati fino a tutto
il 2015 rimarranno gli scatti stipendiali triennali attribuibili a quanti
conseguono una valutazione positiva del complessivo impegno didattico, di
ricerca e gestionale. A parziale compensazione di questo blocco, la legge
stabilisce attribuzioni ‘una tantum’ per il triennio 2011-2013. Che, infatti,
proprio in questi giorni sono in distribuzione secondo criteri di merito
accademico e scientifico, a chi avrebbe ‘meritato’ lo scatto nel triennio
bloccato. Ma, comunque, a non più del 50% del personale. Questi ‘premi al merito’
sono stati resi possibili grazie a un grazioso gioco contabile: i fondi per le
premialità provengono, infatti, dallo storno di risorse già stanziate, «senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», secondo il leitmotiv della
legge Gelmini. E in generale, mentre –
come ricercatori, dipartimenti, università – di ‘merito’ non se ne accumula mai
abbastanza, i premi promessi sembrano decisamente modesti e non proporzionati
all’impegno necessario ad ottenerli ed erogarli. Anche i complicati esercizi
MIUR/ANVUR finalizzati a ‘premiare’ le università ‘virtuose’ generano
ricompense ambigue. Mentre i costi e gli oneri organizzativi della valutazione
sono sicuramente elevati (si pensi alla sola VQR, i cui costi pare si aggirino
intorno ai 300 milioni di euro), in un regime di risorse continuamente
decrescenti la quota premiale relativa si è, di fatto, trasformata in una quota
punitiva. Grazie ad essa, gli Atenei più meritevoli al più riescono a mantenere
approssimativamente invariate le risorse. Per gli altri il ‘premio’ ha la sola
funzione di calcolare quante risorse sottrarre. (Fonte: M. Stazio e D.
Borrelli, Roars 15-12-2014)
RIFORMA DI
ACCADEMIE E CONSERVATORI
Dalla creazione dei Politecnici delle Arti ai dottorati
di ricerca per gli artisti, dalla valutazione a un concorso e nuove regole per
il reclutamento dei docenti, arriva la riforma del MIUR anche per Accademie di
Belle Arti, dei Conservatori e di tutti gli Istituti che forniscono una
preparazione artistica e musicale in Italia. Era quello che il ministero aveva
promesso tre settimane fa quando La Stampa aveva raccontato del boom di
studenti cinesi che sta creando difficoltà in alcune Accademie di Belle Arti
italiane. Per il momento la riforma è una bozza che sarà resa pubblica lunedì e
che dovrà essere esaminata e discussa nelle prossime settimane dagli
interlocutori del settore. Le principali
novità previste si possono leggere qui. (Fonte: F.
Amabile, La Stampa 14-12-2014)
AL GIUDICE
ORDINARIO LE CONTROVERSIE SUGLI EMOLUMENTI ECONOMICI DEI PROFESSORI (MEDICI)
UNIVERSITARI
Le controversie instaurate da ricercatori e docenti
universitari aventi a oggetto il rapporto con Aziende ospedaliere, e lo
svolgimento presso le stesse di attività assistenziale, sfuggono alla
giurisdizione esclusiva del Giudice
amministrativo e vanno ricondotte al principio generale di cui all'art. 63,
comma 1, D.lgs. n. 165/2001 che sottopone al Giudice ordinario le controversie dei dipendenti delle Aziende e
degli enti del Servizio sanitario nazionale. (TAR Emilia Romagna, Sentenza,
Sez. I, 05/11/2014, n. 409)
CRITICITÀ CHE
AFFLIGGONO LA DIDATTICA UNIVERSITARIA
"Insegnare
all'Università oggi. Riforme, burocrazia e doveri verso gli studenti",
è stato il titolo del secondo incontro del ciclo di seminari promossi
dall'Interconferenza nazionale dei Dipartimenti, svoltosi a Roma presso il
Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale (Coris) della Sapienza
Università di Roma, con la partecipazione di Roars e in collaborazione con il
Cnsu (Consiglio nazionale degli studenti universitari).
Argomento principale dell'incontro sono state le
criticità che affliggono la didattica universitaria, vessata dalla stretta
normativa che grava complessivamente sul sistema universitario, sottoposto al
ridimensionamento dell'autonomia e al disinvestimento da parte della politica.
Una situazione preoccupante, sintetizzata nell'intervento
introduttivo da Mario Morcellini, Portavoce dell'Interconferenza e Direttore
del Coris: «Nell'ultimo decennio abbiamo assistito alla progressiva separazione
tra didattica e ricerca. A ben vedere, il cantiere aperto della didattica,
inauguratosi con la riforma del "3+2", non è mai stato chiuso. Come
se non bastasse, il sistema subisce un mobbing normativo senza precedenti: con
la legge 240/2010 si è intrapresa la strada dell'irrigidimento di tutti gli
aspetti della vita accademica. Inoltre le università sono state distratte dalla
scomparsa delle facoltà e dalla costituzione delle scuole, senza alcuna
sperimentazione né analisi di marketing sociale dell'offerta formativa. Di qui
la necessità di restituire centralità al rapporto docente-studente, superando
le inefficienze di una legislazione tecnicamente incompetente o addirittura
nemica».
Sulla scia di Morcellini anche Andrea Stella (CUN -
Consiglio Universitario Nazionale) e Vincenzo Zara (Conferenza dei Rettori -
CRUI) nelle rispettive relazioni introduttive che hanno messo in luce i due
fattori determinanti lo stato di stress diffuso: il definanziamento e l'aumento
di complessità.
Altro elemento di criticità è il basso grado di
internazionalizzazione dei nostri atenei: Maria Sticchi Damiani, coordinatrice
degli esperti del Processo di Bologna, ha rimarcato la distanza tra il sistema
italiano e lo Spazio europeo dell'istruzione superiore, «sia nella
progettazione dei corsi di studio, sia nella didattica e verifica del profitto
nelle singole attività formative». (Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas
dicembre 2014)
UNIVERSITÀ.
AUMENTANO LE POSIZIONI DI PRECARIATO TRA I DOCENTI
Negli ultimi anni è avvenuto un processo di
precarizzazione impressionante nell’università: i docenti strutturati sono
calati del 20% mentre i diversi contratti a tempo determinato sono raddoppiati,
con il risultato che oggi meno del 50% del personale universitario che svolge
didattica o ricerca ha contratti a tempo indeterminato. Nella tabella che segue si delinea la forbice
(2004-2013) tra l’aumento degli assegni di ricerca e il calo dei contratti
attivati per anno relativi a ricercatori a tempo indeterminato (RTI) e
ricercatori a tempo determinato con possibilità di tenure track verso la
posizione di professore associato (RTDb). (Fonte: F. Sylos Labini, http://tinyurl.com/o3naqqm 20-12-2014)
DOTTORATO
LA VERSIONE FINALE DEL DOCUMENTO SULLA VALUTAZIONE DEI CORSI
DI DOTTORATO PUBBLICATA DALL’ANVUR
Sulla
soglia dell’anno nuovo, l’ANVUR pubblica la versione finale del documento sulla
valutazione dei corsi di dottorato. Roars
segnala che la due versioni presentano alcune significative differenze. La
differenza più rilevante è che nella seconda versione l’ANVUR si tiene le mani
libere nella scelta degli indicatori. Per esempio, relativamente alle “aree
bibliometriche”, la prima versione menzionava l’Impact Factor, mentre nella
nota della seconda versione ci si limita a dire che “Tale indicatore potrà
coincidere con uno di quelli adottati nella pratica bibliometrica (IF, Article
influence, Eigenfactor, SJR, SNIP, …), oppure da una opportuna combinazione, ad
esempio utilizzando la tecnica della Principal Component Analysis, degli stessi“.
Sembra un’allusione alla VQR in cui ciascun GEV delle “aree bibliometriche”
aveva inventato i suoi indicatori fai-da-te. In particolare, Roars aveva
mostrato che la tecnica della Principal Component Analyis, sviluppata dal GEV 09, aveva prodotto classifiche
paradossali. Per fare un esempio, INF TECHNOL CONTROL era inferiore ad ASSEMBLY AUTOMATION sia come Impact Factor
che come Eigenfactor. Eppure, per l’ANVUR, INF TECHNOL CONTROL finiva in classe
3, mentre ASSEMBLY AUTOMATION veniva collocata nella classe 4. Insomma,
potremmo assistere al ritorno di
sgangherati bricolage bibliometrici che si sperava fossere stati archiviati per
sempre insieme agli inaffidabili risultati della VQR 2004-2010 (Messina meglio
del Politecnico di Milano nell’Area 9 di Ingegneria industriale e
dell’informazione). Considerazioni del tutto analoghe valgono per le aree “non
bibliometriche”. Infatti, nella seconda versione si parla di “somma pesata
delle pubblicazioni“, evitando di specificare i valori dei pesi, il che lascia
piena discrezionalità all’agenzia. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 12-01-2015)
DOTTORATO DI
RICERCA. UNA LETTERA AL PRESIDENTE DEL CDM
Il Dottorato di ricerca costituisce il grado d'istruzione
più elevato previsto nell'ordinamento Universitario Italiano e, strano ma vero,
a tutt'oggi serve a tutto meno che a costruirti un futuro. Al termine dei tre
anni previsti, per la gran parte dei Dottorati, non c’è niente. Infatti,
soprattutto per quanto riguarda le discipline umanistiche, questa formazione
post-laurea non sembra per nulla vincente sul mercato del lavoro con l'unica
conseguenza di produrre un numero ancora maggiore di dotti ma frustrati
trentenni in cerca di un lavoro che forse non troveranno mai. L’Università non li assume, né è pensabile che li assumerà
in un futuro prossimo, dati i tagli ai budget, la contrazione nel numero degli
iscritti, le lunghissime liste d’attesa. Se riusciranno a entrare in Università
ci entreranno tardi, molto tardi, quando i loro coetanei lavoreranno già da
tempo; ed entreranno sapendo di dover accettare contratti che li lasceranno
nella condizione di precari per anni, e senza la certezza di un’assunzione
definitiva.
Per non parlare della strada delle professioni poi, che è
quasi sbarrata. Resterebbe la scuola ma anche lì per i Dottorati la strada è
tutto meno che in discesa.
Nel dossier ministeriale intitolato La buona scuola, che consta di 136 pagine, il “Dottorato di
Ricerca” viene richiamato solo una volta e in via del tutto incidentale, in
relazione al reclutamento dei docenti (ossia per l’eventuale ripescaggio – al
fine del loro inserimento nelle cosiddette graduatorie ad esaurimento - dei
cosiddetti “congelati SSIS”, ossia di quegli specializzandi della SSIS che
congelarono la frequenza ai corsi universitari di abilitazione per frequentare
il Dottorato. Manca in sostanza qualsiasi riferimento a una valutazione
puntuale e priva di ambiguità del Dottorato di Ricerca nel percorso di accesso all'insegnamento nella scuola. Come se quei giovani studiosi non avessero alcun
rapporto con la scuola. In Italia, infatti, purtroppo è così. Chi sceglie di completare la sua formazione
universitaria attraverso un Dottorato, sarà poi de facto escluso anche dall'insegnamento nelle scuole.
A chi controbatterà dicendo che La Buona Scuola prevede l'introduzione delle “magistrali
abilitanti”, non possiamo non rispondere che questo finisce con il
compromettere ulteriormente le possibilità di valorizzare in modo adeguato il
titolo di Dottore di Ricerca. Se si assume il dato secondo cui il Dottorato
costituisce il terzo e più alto livello di formazione universitaria, emergono
con chiarezza i profili di contraddittoria e problematica compatibilità con un
sistema di abilitazione costruito su magistrali ad hoc. Un ricercatore
terminato il Dottorato di Ricerca secondo la conseguente proposta di riforma
dovrebbe re-iscriversi all'Università per altri due anni, pur essendo già in possesso di un titolo di grado superiore
o equivalente ad una Laurea specialistica/magistrale, e venendo di fatto
equiparati a neo-laureati triennali. Inoltre, nella creazione di percorsi
abilitanti, si trascura il fatto che il Dottore di Ricerca ha già dovuto
superare un concorso pubblico estremamente selettivo per l'accesso al Dottorato.
Quindi, a parte le liste d’attesa interminabili, a insegnare a scuola ci
andranno, in futuro, solo quelli che avranno fatto un percorso formativo ad
hoc, Tfa o biennio professionalizzante che sia.
Noi crediamo che se continua così, i concorsi di Dottorato
cominceranno ad andare deserti: se un laureato in storia sa che, conseguito il
Dottorato, avrà scarse possibilità di fare carriera accademica (perché così
stanno le cose) e nessuna possibilità di insegnare (perché avrebbe dovuto
frequentare il biennio abilitante), il laureato in storia ci penserà due volte
prima di fare un dottorato. (Fonte: dalla lettera a M. Renzi di
Marta Nicolò e Paolo Furia 18-12-2014)
DOTTORATO.
RETRIBUZIONE SUPPLENZA E DOTTORATO DI RICERCA
Sentenza positiva riguardo alla retribuzione del docente
con contratto a tempo determinato che fruisce del congedo straordinario per la
partecipazione al corso di dottorato di ricerca. La sentenza stabilisce la
conservazione del trattamento economico, dovuto per tutto il periodo di
sospensione dell'attività lavorativa. Questo in applicazione del principio di
non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato
previsto della direttiva europea 99/70/CE, espressamente assunto dalla
normativa italiana con il D.Lgs. 368/2001, ribadito di recente dalla sentenza
della Corte di Giustizia europea del 26 novembre 2014 e che pertanto non può
più essere eluso nei confronti dei lavoratori della scuola pubblica. Alla luce
di ciò l'Amministrazione è stata condannata a pagare le retribuzioni maturate
dal ricorrente per tutti i tre anni di durata del dottorato, compresi i ratei
di tredicesima mensilità e gli interessi maturati. (Fonte 10-12-2014)
FINANZIAMENTI
FFO. NE PARLA IL MINISTRO
“Proprio
oggi (09-12-14) ho firmato il decreto con i 7 miliardi di finanziamento (FFO)
dopo una lunga procedura complessa che andrebbe rivista. Noi eravamo pronti in
settembre, ma nell'attesa del via libera di Economia e Corte dei conti, siamo
arrivati quasi a Natale. Il prossimo anno partiremo con l'iter a gennaio,
grazie al fatto che conosciamo già le risorse disponibili, per arrivare ad
assegnare i fondi agli atenei almeno in estate”.
E
il decreto sul costo standard che serve a distribuire parte dei fondi?
“Ora
posso ufficializzarlo. Il ministero dell'Economia ha firmato il decreto. Si
tratta di un passo importante di cui vado molto fiera: l'università è la prima
amministrazione pubblica che si avvale di questo importante strumento di
riequilibrio tra le molte disomogeneità del Paese. Sarà applicato in maniera
progressiva, per un 20% della quota complessiva, e aiuterà moltissimo le
università del Sud attraverso una valutazione equa del costo della didattica
calcolata in base agli studenti in corso. A questo si aggiunge la quota
premiale. Oggi vale il 18% dei fondi complessivi, per 1,3 miliardi e può
spingersi oltre. Da quest'anno per la prima volta mettiamo insieme due principi
fondamentali: il riconoscimento delle differenti condizioni di contesto che
incidono sulle attività degli atenei attraverso i costi standard e poi la
valutazione delle performance nella ricerca, nella didattica e
nell'internazionalizzazione”. Il testo integrale dell'intervista: http://tinyurl.com/m9ggez7
(Fonte:
www.scuola24.ilsole24ore.com 10-12-2014)
FFO. RIPARTO 2014
Il MIUR ha reso pubblico il decreto relativo al riparto
dell’FFO 2014, la cui assegnazione è stata calcolata incrementando al 18% la
quota premiale e adottando per la prima volta, per il 20% della quota base, il
cosiddetto costo standard per studente.
Il testo del decreto e i relativi allegati sono disponibili a questo indirizzo http://tinyurl.com/kfc8wno. E’ stato
pubblicato anche il decreto interministeriale relativo al costo standard per
studente http://attiministeriali.miur.it/anno-2014/dicembre/di-09122014.aspx .
FINANZIAMENTO
DEGLI ATENEI. CONSIDERAZIONI SUL NUOVO METODO DI RIPARTIZIONE IN BASE AL COSTO
STANDARD PER STUDENTE
Il Costo Standard per studente in corso è il nuovo metodo
di ripartizione dei finanziamenti alle università statali, introdotto dalla
riforma Gelmini (legge 240/2010) e adottato per la prima volta quest’anno per
allocare una percentuale pari al 20% della quota base del Fondo di
Finanziamento Ordinario. Esso è garantito agli atenei appunto solo in relazione
agli studenti in corso, definiti come gli studenti regolarmente iscritti
nell’Ateneo da un numero di anni complessivi non superiore alla durata normale
del corso frequentato (peso pari a 1), mentre gli studenti iscritti part-time
sono considerati in relazione alla maggiore durata normale del loro percorso e
con peso pari a 0,5. L’intento proferito dal Ministro è quello di eliminare la
spesa storica, verso una ripartizione dei fondi che tenga conto delle effettive
spese degli atenei. Il calcolo del costo standard tiene conto di cinque fattori
(Vedi il testo integrale dell’articolo).
Dalla tabella pubblicata da
Roars emerge che alcuni atenei perderanno molto del loro finanziamento (con
punte del 25% ad esempio a Siena). Molti, anche se ad onor del vero non tutti,
tra gli atenei in perdita si concentrano nel Centro–Sud: Sassari, Cagliari,
Messina, Macerata, Palermo sono alcuni esempi. Con una valutazione
superficiale, si potrebbe dire che i fondi che si stanno tagliando a questi
atenei non corrispondono a loro effettive esigenze di spesa, e che quindi
questo decurtamento non dovrebbe causare loro danni reali a patto che essi
siano in grado di riorganizzare le proprie risorse.
La riflessione da attuare è però più ampia. Negli ultimi
anni gli stravolgimenti in materia di finanziamenti all'università sono stati
di grossa portata. L’inserimento di un meccanismo di primalità – i cui
indicatori tra l’altro cambiano ogni anno, impedendo quindi una reale
programmazione degli atenei – il cui peso aumenta sempre più velocemente
rischia di sommarsi con conseguenze drammatiche al nuovo provvedimento sul
Costo Standard. Molti atenei potrebbero subire un taglio dei fondi eccessivo
rispetto alle possibilità di riorganizzazione in tempi brevi della propria
struttura. Senza contare che il parametro sulla dotazione di personale docente
non tiene conto del pesantissimo blocco del turn over che ha colpito in modo
molto difforme gli atenei.
Un taglio delle risorse statali in parecchi casi superiore
al 10% porterà alcuni atenei a dover effettuare un notevole contrazione
dell’offerta formativa. L’inserimento del Costo Standard non condurrà
semplicemente alla ‘buona gestione’ dei finanziamenti, ma comporterebbe la
scelta di ridimensionare notevolmente gli atenei a bassa attrattività oppure
quelli che non hanno saputo organizzare ‘adeguatamente’ le loro risorse. Ma
allora viene spontaneo chiedersi: possiamo davvero permetterci di disinvestire
così pesantemente in alcuni atenei? Forse sarebbe il caso di valutare più
attentamente ciò che se ne produrrebbe in termini di impatto sociale e
culturale sia per gli studenti che li frequentano sia per il territorio in cui
sono inseriti. (Fonte:
C. Chiocchetta, Roars 30-12-2014)
EFFETTI
DELL’INTRODUZIONE NELL’FFO DEL COSTO STANDARD UNITARIO DI FORMAZIONE PER
STUDENTE IN CORSO
«Molte strutture – spiega Mario Pittoni, responsabile
Istruzione della Lega Nord – erano
penalizzate dal fatto che non si teneva conto dell'aumento di iscritti degli
ultimi anni. D'ora in poi i finanziamenti arriveranno sulla base dell’effettivo
fabbisogno in rapporto al numero degli studenti, risolvendo il problema alla
radice. Il provvedimento è in attuazione di un articolo della riforma del 2010,
che fa riferimento all'introduzione del “costo standard unitario di formazione per studente in corso, a cui è collegata l’attribuzione di una percentuale
della parte del Fondo ordinario che non rientra nella quota premiale di cui
alla legge 1/2009”. Il finanziamento
“per studente” va ad aggiungersi alla quota premiale a suo tempo attivata, vero
“salvagente” per le strutture virtuose in un periodo di pesanti tagli
conseguenti alla crisi economica. L'art. 13 comma 1 bis prevede infatti che il
fondo di merito cresca ogni anno tra lo 0,5 e il 2% del Fondo ordinario. Siamo
partiti nel 2008 da meno dell’1% delle risorse assegnate per merito. Quest'anno
arriviamo al 18% (1,2 miliardi) e nel giro di alcuni anni – conclude Pittoni -
contiamo di centrare l'obiettivo del 30% di fondi assegnati su criteri di qualità,
come nei Paesi più avanzati». (Fonte: tuttoscuola 18-12-2014)
LAUREE. DIPLOMI. FORMAZIONE POST LAUREA.
OCCUPAZIONE
LAUREATI. BASSISSIMA RICHIESTA DI PERSONALE CON
FORMAZIONE AVANZATA
L’Italia
ha circa la metà (21%) di laureati, nella fascia di popolazione tra 25 e 34
anni, della media OCSE (38%). Inoltre nel decennio 2003-2013 il numero
d’immatricolati è diminuito del 20%: il capro espiatorio della crisi sembra
essere l’università incapace di preparare al mondo del lavoro. In realtà c’è
una bassissima richiesta di personale con formazione avanzata: la quota di
occupati nelle professioni ad alta specializzazione è tra le più basse in
Europa, come anche la spesa in ricerca e sviluppo delle imprese italiane (la
metà rispetto alla media europea) mentre i ricercatori delle imprese rispetto
agli occupati sono un terzo della Francia e della Germania. Continuando a tagliare
sul finanziamento di università e ricerca si continuerà ad aggravare una
situazione che già ora sembra essere irrecuperabile. (Fonte: F. Sylos Labini,
Roars 15-11-2014). Per fortuna si registra ultimamente un aumento di richieste
nelle professioni tecniche come evidenzia la nota che segue (PSM).
LAUREATI.
AUMENTANO LE RICHIESTE NELLE PROFESSIONI TECNICHE
La laurea con la crisi ha perso valore sul mercato del
lavoro? Al contrario: secondo le elaborazioni AlmaLaurea, stavolta sulla base
di dati Istat, per chi non ha un titolo universitario le cose vanno addirittura
peggio. Se, infatti, tra il 2007 e il 2013 il tasso di disoccupazione misurato
nella fase di entrata nel mercato del lavoro è passato per i laureati all'incirca dal 10 al 16%, per i diplomati è cresciuto dal 13 al 28%, mentre
per i titolari di licenza media addirittura dal 22 al 45%. Nel corso della vita
lavorativa poi, rispetto ai non laureati si allarga il gap non solo per quanto
riguarda occupazione e livelli di reddito, ma anche la stabilità e le
condizioni contrattuali. Un titolo accademico quindi al giorno d’oggi è sempre
più percepito come una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per
entrare nel mercato del lavoro, con le lauree magistrali che manifestano un
differenziale positivo, leggero ma crescente, rispetto a quelle triennali. Un
quadro che viene confermato dalle ricerche Excelsior di Unioncamere, che danno informazioni
su cosa le aziende cercano sul mercato del lavoro, con oltre 1,6 milioni di
imprese e 11,4 milioni di lavoratori monitoriati. Emerge ad esempio come le
imprese chiedano laureati più frequentemente di quanto non accadeva in passato:
oggi, infatti, la laurea viene giudicata indispensabile per l’assunzione nel
60% dei casi, nel 51,2% anche se manca un’esperienza lavorativa precedente. Tra
le lauree più richieste ci sono innanzitutto quelle di ambito economico, i vari
indirizzi di ingegneria, quelle che attengono all'insegnamento e alla
formazione e tutto il settore sanitario, con una forte crescita nell'ultimo periodo della statistica e delle hard sciences come fisica e matematica. Oggi
infatti la domanda di laureati si concentra sempre più verso le professioni
tecniche, richieste anche per ricoprire ruoli che prima richiedevano il
semplice diploma di maturità, in particolare nei settori industriali
“tradizionali”, nell’Information and Communication Technology e nei servizi
finanziari. Un modo per le imprese per elevare il livello professionale del
personale relativamente a buon mercato, data la contrazione dei salari. (Fonte: D. Mont D’Arpizio,
IlBo 15-12-2014)
PROFESSIONI SANITARIE. LIVELLI OCCUPAZIONALI PER REGIONI E
PER TIPOLOGIA
Un’indagine
condotta su quaranta Università italiane sedi dei corsi di laurea delle professioni
sanitarie delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, riferendosi al 90% dei
laureati, evidenzia la nota differenza Nord-Sud. Infatti sul tasso nazionale di
occupazione relativo al lavoro nella sanità, vede il Nord con il 91%, il Centro
con l’81% e il Sud con il 75%. Per quanto riguarda i dati relativi alle Regioni
prese in esame, troviamo al 93% Piemonte, al 92% Liguria, Veneto e Lombardia;
al 91% Friuli e Sardegna; all’89% Emilia Romagna e all’84% la Toscana. Seguono
con l’82% Abruzzo; 80% Umbria; 77% Lazio e Sicilia; 75% Puglia; 74% Campania e
63% Calabria.
Ai
primi posti troviamo le professioni di Fisioterapista , Logopedista, Tecnico di
Radiologia e Igienista Dentale, Infermiere, Ortottista, Podologo e Tecnico
della Prevenzione. In alcuni casi si rilevano differenze sostanziali, come ad
esempio per la professione infermieristica che a fronte di un tasso
occupazionale del 93% vede un rapporto domande/posto di 2,2 che è dovuto al grande
numero di posti, 16.000 circa sul totale di 28.000 per tutte le professioni
sanitarie. Per quanto riguarda la professione di Ostetrica il tasso
occupazionale del 57% evidenzia un penultimo posto, con il 71% al Nord, il 50%
al Centro e il 37% al Sud. La professione di Dietista invece si colloca al
quintultimo posto per tasso occupazionale che si attesta intorno al 63%. Delle
restanti professioni come Tecnico di Neurofisiopatologia abbiamo livelli
occupazionali del 62%, Tecnico di Laboratorio il 60%, Tecnico di Fisiopatologia
Cardiocircolatoria circa il 56%.
In
conclusione, in generale, pur in presenza di alcuni tassi occupazionali bassi
fra le 22 professioni sanitarie, gli stessi tassi restano comunque superiori a
tutti gli altri gruppi disciplinari. Segno inequivocabile del maggior numero di
offerte di lavoro nella sanità e perciò maggior successo delle lauree relative
a queste professioni, sia per quanto riguarda al nord e sia al sud anche se con
alcune differenze.
Il
Rapporto Censis ricorda che la sanità italiana è formata da oltre 724mila
occupati in questo settore: 334 mila infermieri, 237 mila medici, 49 mila unità
di personale con funzioni riabilitative, 45 mila con funzioni
tecnico-sanitarie, 11 mila di vigilanza e ispezione. Il giudizio complessivo,
come già detto, può definirsi positivo. (Fonte: www.newnotizie.it 08-01-2015)
NO AI MEDICI SENZA SPECIALIZZAZIONE
No
all'accesso alla professione medica senza specializzazione, che rischia di
creare "medici-infermieri". E no al numero aperto per le iscrizioni
alle facoltà di medicina. Di fronte a questi rischi, serve una risposta
politica e serve urgentemente. E l'appello congiunto che arriva da politici, università
e giovani medici riguardo alla riforma della formazione medica prevista dalla
legge delega sull'attuazione dall'articolo 22 del Patto per la Salute, la cui
bozza del 5 novembre scorso prevede, tra l'altro, l'inserimento all'interno
dell'ospedale di medici abilitati che ancora non hanno ottenuto l'accesso alle
scuole di specializzazione. Sarebbe il modo più semplice per ovviare alla
carenza di personale e reperire risorse umane a basso costo, ha spiegato
Raffaele Calabro (Ncd) nel corso della conferenza stampa organizzata da Paola
Binetti (Udc) alla Camera del Deputati. Ma - prosegue - l'idea di
medici-infermieri nelle corsie degli ospedali rischia di dequalificare il
nostro sistema sanitario. Alla fine avremo un personale medico con una
formazione improvvisata e la lenta eutanasia delle scuole di specializzazione.
(Fonte: Avvenire 20-11-2014)
CORSI DI SPECIALIZZAZIONE DI AREA MEDICA. UNA PETIZIONE
PUBBLICA DELLA CONFERENZA PERMANENTE DEI PRESIDENTI DEI COLLEGI DI AREA MEDICA
La
Conferenza Permanente dei Presidenti dei Collegi di Area Medica ha pubblicato
sul sito de “La Repubblica” il 17 novembre u.s. una Petizione, “MANIFESTO SULLA
FORMAZIONE DI MEDICINA”, che ha raccolto in una settimana (17–24 Novembre) 2805
firme di Professori e Ricercatori Universitari di Area Medica (http://tinyurl.com/nvu986r) a testimonianza della profonda preoccupazione che ha
pervaso tutta la Comunità Accademica.
I
Professori Universitari di Area Medica denunciano con forza che:
1. I
risultati della “nazionalizzazione” del concorso di ammissione alle Scuole di
Specializzazione sono l’inevitabile conseguenza di un percorso di cambiamento,
che ha aspetti positivi, soprattutto se condiviso e approfondito e che è stato,
viceversa, condotto frettolosamente, con il concreto rischio adesso di un’ammissione
di massa.
2. La
riforma della durata dei corsi di specializzazione di area medica, disposto da
una norma perentoria, rischia di compromettere un’equilibrata redistribuzione
delle attività formative e, conseguentemente, il futuro professionale e la
competitività dei nostri giovani medici.
3. L’attuale
formazione degli Specialisti, in conformità con la riforma del 2005, prevede
l’acquisizione di capacità professionali adeguate agli standard della
formazione europea e conseguente riconoscimento del titolo di specialista in
ambito europeo. Quanto attualmente ventilato nella proposta di riforma
introdurrebbe di fatto due categorie di specialisti:
una
categoria A che, dopo una procedura selettiva di accesso in ambito nazionale,
completi un percorso specialistico definito dal Consiglio della Scuola, in
linea con gli standard europei relativi agli aspetti teorici e
professionalizzanti della formazione specialistica, che contempla un ampio
ventaglio di esperienze formative in ambito universitario e in più sedi della
rete formativa, incluse strutture di eccellenza nazionali ed estere;
una
categoria B, ammessa in sovrannumero alla scuola di specializzazione, con
modalità di accesso non chiare, che svolge le sue attività professionalizzanti
in un’unica unità operativa complessa con l’unica supervisione del Responsabile
dell’unità stessa e che accede alla sola didattica frontale in ambito
universitario.
Quanto
attualmente ventilato nella proposta di riforma potrebbe non rispondere agli
standard europei e potrebbe pertanto non essere certificabile dai consigli
delle Scuole di Specializzazione nel Supplemento al Diploma, rilasciato dalle
Università ai sensi dell’art.11, comma 8, del DM 270/2004, che documenta
l’intero percorso formativo svolto dallo specializzando nonché le competenze
professionali acquisite. (Fonte 10-12-2014)
SPECIALIZZANDI IN MEDICINA. RIDURRE IL RUOLO DELLE
UNIVERSITÀ?
Al
Senato si discute il disegno di legge n. 1324 che prevede che nel biennio finale
gli specializzandi siano sottratti alla struttura universitaria sede della
Scuola di specializzazione e destinati a concludere la formazione nelle Asl o
Aziende ospedaliere della rete formativa secondo accordi nell'ambito della
Conferenza Stato-Regioni. Accordi che, prevedibilmente, andranno incontro alle
esigenze dei sistemi sanitari regionali. Anche un non-medico sa che la
formazione di uno specializzando non è solo didattica frontale e assistenza, ma
è affiancamento e contatto con l'innovazione della medicina. La
specializzazione di qualità richiede che gli specializzandi partecipino all'attività di ricerca in prima persona. Non a caso l'Anvur da quest'anno censisce anche la
produzione scientifica degli specializzandi, così come la stessa Legge Gelmini
consente di iniziare il dottorato già all'interno della scuola di specialità.
Sottrarre le scuole all'Università, o anche solo ridurne il ruolo a quello di
mero supporto didattico, rischia di mettere in serio pericolo il sistema
formativo nella sanità. Forse porterà a risparmi immediati (forse) ma
sicuramente porterà a un arretramento della nostra capacità di produrre buoni
medici. (Fonte: D. Braga, Corriere di Bologna 09-12-2014)
TEST NAZIONALE
PER L'ACCESSO ALLE SPECIALIZZAZIONI DI MEDICINA. UN ALTRO “PASTICCIACCIO
BRUTTO”
Al termine dello svolgimento delle prove del primo test
nazionale per l'accesso alle specializzazioni di medicina il Miur emetteva una
circolare per annunciare l'annullamento dei risultati, a causa di una «grave
anomalia» nella preparazione delle buste da parte del consorzio Cineca; poi
faceva marcia indietro dichiarando validi i test ma «neutralizzando» due
domande. Ieri il Tar del Lazio ha preso una decisione che apre nuovi
imbarazzanti interrogativi sull'organizzazione del concorso da parte del
ministero, mentre solo due giorni fa in procura a Roma è atterrato nientemeno
che un esposto penale con denunce di pesanti irregolarità. Alcuni soggetti
sarebbero stati liberi di copiare, in alcuni atenei i computer sarebbero stati
connessi a Internet. La segnalazione più grave, però, è un'altra. Dopo il
pasticcio dell'inversione dei quiz somministrati da parte del Cineca, il
ministero ha dichiarato comunque valide le prove abbonando (cioè assegnando il
massimo punteggio a ogni concorrente a prescindere dal grado di correttezza
della risposta data) due quiz. «Invece di limitarsi a comunicare la decisione»,
spiega però uno degli avvocati autori dell’esposto, «qualcuno è intervenuto
materialmente in ciascuno dei compiti salvati per invalidare le due domande. Le
prove sono state riaperte e modificate dall'interno nei giorni successivi alla
consegna. Siccome i candidati non hanno potuto stampare le loro prove, chi ci
garantisce che queste non possano essere state manipolate alzando il punteggio
di qualcuno a discapito di altri?». Ipotesi gravissima, visto che le prove al
pc avrebbero dovuto prevenire le manomissioni materiali delle prove denunciate
in passato da inchieste e trasmissioni televisive. Gli avvocati dopo un accesso
agli atti, hanno anche riscontrato che le giravolte del ministero non sarebbero
state accompagnate dai necessari atti formali. «La decisione di abbuonare le
due domande si sarebbe dovuta prendere con un decreto motivato, di cui non c'è
traccia», dicono. Gli avvocati avevano anche chiesto al Tar del Lazio di
emettere un decreto cautelare urgente che bloccasse il «count down» di cinque
giorni che scatta per ogni medico nel momento in cui riceve la lettera di
assegnazione. Il giudice amministrativo ha accolto la richiesta. E ora bisognerebbe
anche rivedere la graduatoria per quei giovani specializzandi che hanno già
dovuto accettare la destinazione assegnata. Ma il Miur frena: «I posti saranno
assegnati secondo i criteri previsti nel bando». (Fonte: M. Villosio, Il Tempo
18-12-2014)
SCUOLE DI
SPECIALIZZAZIONE MEDICA. PRONTO IL RESTYLING
Già dal prossimo anno sarà accorciata la durata dei corsi
di specializzazione medica che saranno ridotti a 4 anni in media, contro i 5 di
oggi. Il decreto interministeriale, a firma del ministero dell'Istruzione con quello
della Salute, che introduce un restyling delle scuole di specializzazione è
pronto. Nei giorni scorsi il Consiglio universitario nazionale - presieduto da
Andrea Lenzi che ha lavorato alla riforma con un gruppo di esperti – ha dato parere
favorevole e ora il Miur entro l'anno dovrebbe dare il via libera definitivo.
La riforma appena sarà a regime porterà anche dei
risparmi, che dovranno essere reinvestiti per finanziare nuovi contratti di
specializzazione: secondo le prime stime 700-800 specializzandi in più potranno
entrare nelle scuole in aggiunta ai 5.500 previsti oggi. La bozza di decreto
prevede innanzitutto l'accorciamento della durata dei corsi che attualmente – come
prevede il Dm dell’agosto del 2005 - sono in media più lunghi rispetto agli
standard europei stabiliti dalla direttiva Ue 36 del 2005. Da qui la decisione
di abbreviare di un anno il percorso di formazione post laurea per 30 scuole di
specializzazione che non dureranno comunque più di 5 anni (oggi le chirurgie
arrivano anche a 6). Il decreto riduce tra l'altro anche il numero di scuole
che scendono a 50 dalle attuali 58 (anche se quelle operative sono 56). Ma la
riforma va anche più in profondità, con dei corposi allegati al decreto che
rivedono gli ordinamenti delineando le regole su obiettivi formativi, tronco
comune e attività professionalizzanti. Queste ultime, in particolare, si
concretizzeranno in una maggiore pratica al letto del paziente. (Fonte: M. Bartoloni,
IlSole24Ore 19-12-2014)
MASTER. TROPPI ACCREDITAMENTI
Il
funzionamento dei Master universitari è stato esaminato, nelle settimane
passate, in un’interrogazione dell’on. Manuela Ghizzoni e nella risposta che le
ha dato il Governo. Dal testo di tale risposta emerge che il MIUR mira
sistematicamente, in un’ottica quasi monomaniacale, all'accreditamento di ogni
singolo percorso formativo. Ciò mentre un importante studio evidenzia il fatto
che la maggior parte dei Paesi europei, nell’attuare le indicazioni ENQA sugli
European Standards and Guidelines (ESG) per l’Assicurazione della qualità
didattica, puntano a valutare non i singoli percorsi, bensì l’efficacia degli
strumenti di cui un Ateneo si è dotato per garantirne la qualità stessa.
(Fonte: G. Luzzatto, Roars 22-11-2014)
QUALITÀ DELL'INSEGNAMENTO E SUCCESSIVA PERFORMANCE DEGLI
ALUNNI SUL MERCATO DEL LAVORO. UNO STUDIO DELLA BANCA D’ITALIA
Sulla
carta è ovvio: maestri migliori, allievi migliori. Ma se si parla di lavoro,
quanto pesa la qualità dei docenti universitari su reddito e futuro degli ex
allievi? Se lo è chiesto uno studio pubblicato da Banca d'Italia, «The academic
and labor market returns of university professor»: l'impatto dei docenti
universitari su risultati accademici e salari. La ricerca, firmata da Michela
Braga (Bocconi), Marco Paccagnella (Ocse) e Michele Pellizzari (Università di
Ginevra) ha provato a quantificare l'influenza di un gruppo di professori sui
propri allievi secondo due indicatori: performance accademica (i voti
registrati negli esami successivi) e successo nel mercato del lavoro (gli
stipendi percepiti dopo la discussione). Risultato? A una maggiore qualità
didattica corrisponde un aumento dello 0,6% nella media dei voti futuri e di
oltre il 5% nel reddito d'ingresso per la prima occupazione: l'equivalente di
un “premio” da 1000 euro lordi. Questo lavoro analizza il legame tra qualità
dell'insegnamento e successiva performance degli alunni sul mercato del lavoro.
Si evidenzia come l'efficacia dei docenti nel migliorare la performance
accademica e quella nell'innalzare i redditi da lavoro futuri siano
positivamente correlate, ma in misura contenuta. Inoltre, i dati mostrano che
l'efficacia dei singoli docenti non è invariante al mutare dell'abilità
pregressa degli studenti. (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 17-01-2015)
RAPPORTO EURES - CAO SU "LE SFIDE DELLA CRISI ALLA
PROFESSIONE ODONTOIATRICA, TRA QUALITÀ DELLE PRESTAZIONI E DISTORSIONI DI
MERCATO"
Tra
il 2012 e il 2013 il tasso di occupazione dei laureati in odontoiatria ad un
anno dal conseguimento del titolo è sceso di 7 punti, passando dal 70,1% al
63,1%, evidenziando la forte difficoltà dei neo-odontoiatri ad inserirsi nel
mercato. Tale contrazione è confermata anche dai dati relativi agli ultimi 5
anni (-7,2 punti a fronte di -5,8 per i laureati in medicina e -13,8 per quelli
delle altre Facoltà). A tre anni dal conseguimento della laurea il tasso di
occupazione dei dottori in odontoiatria raggiunge il 90,9%, con un calo di 1,3
punti percentuali rispetto a quanto rilevato nel 2010 (Fonte Indagine AlmaLaurea).
Tra
i neo-odontoiatri che lavorano a un anno dalla laurea, se la maggioranza
(61,8%) svolge un’attività autonoma, e il 2,4% un’attività subordinata a tempo
indeterminato, molto significativa è la quota di quanti dichiarano di svolgere
un lavoro intermittente (26,3%), attraverso contratti di collaborazione,
formativi, parasubordinati, ecc, e di quelli che lavorano in nero (9,4%),
ovvero presso terzi, senza alcun contratto; tale percentuale scende al 5,9% tra
i medici, per raggiungere il valore più alto (13,5%) tra i neo-laureati delle
altre Facoltà a ciclo unico.
Scendono
le retribuzioni (-7,1%)…ma non le aspettative. Penalizzate le donne. Nel 2013
la retribuzione media dei neolaureati in odontoiatria a un anno dal
conseguimento del titolo risulta pari a 1.058 euro mensili (1.176 euro tra gli
uomini contro 876 euro tra le donne), registrando una flessione del 7,1%
rispetto alla rilevazione del 2009 (quando era pari a 1.139 euro). A tre anni
dal conseguimento del titolo la retribuzione sale a 1.568 euro (1.693 tra gli
uomini e 1.384 tra le donne).
A
livello europeo l’Italia risulta il Paese con il maggior numero di Corsi di
Laurea attivi in Odontoiatria (ben 34), seguita dalla Germania (con 27 Corsi);
il numero dei Corsi presenti in Francia e nel Regno Unito (16 in ciascun Paese)
è pari a meno della metà di quello italiano, mentre in Spagna il numero delle
sedi formative risulta ancora inferiore (pari a 13).
Il
costo medio della formazione universitaria sostenuta dallo Stato Italiano per
l’intero percorso formativo di un odontoiatra è stimabile in circa 30 mila euro
(24 milioni complessivi per i Corsi di Laurea in Odontoiatria). Il Sole24Ore
stima inoltre una spesa di analoga entità a carico delle famiglie (23 mila euro
per la formazione di 6 anni di uno studente universitario in sede – comprensivi
di tasse, vitto, alloggio, spostamenti e materiali didattici - e 50 mila per uno studente “fuori sede”), una
cifra, questa, che può rappresentare un criterio selettivo “ex ante” (gli
studenti di Odontoiatria nel 69,9% dei casi vivono, infatti, in un contesto
socio-economico elevato, avendo genitori che esercitano una professione
altamente qualificata, che nel 43,1% dei casi attiene all'ambito medico o
dentistico).
A
fronte del quadro evidenziato, appare quindi necessario un ripensamento
complessivo della formazione in odontoiatria e dei criteri di accesso alla professione,
attraverso la collaborazione tra i diversi soggetti che operano in questo
settore: occorre cioè mettere a sistema le competenze e le esperienze del mondo
universitario e delle professioni, accanto alle Istituzioni, presidio
indispensabile nella produzione di regolamenti e normative che mantengano la
tutela della salute del paziente al centro di qualsivoglia intervento. (Fonte: quotidianosanità.it 06-12-2014)
SOTTOMANSIONAMENTO DEI LAUREATI
Il 48° Rapporto del Censis denuncia il
fenomeno dell’«overeducation»: più di 4 milioni di lavoratori ricoprono posizioni
per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello
posseduto: un esercito costituito per la metà da «semplici» diplomati (53,3%),
ma per un 41,3% anche da laureati (1,8 milioni di occupati). Il
sottomansionamento dei laureati italiani è un fenomeno trasversale, che non
interessa solo le lauree più deboli sul mercato del lavoro come quelle in
Scienze sociali e umanistiche (43,7%), ma è addirittura più elevato tra i
laureati in Scienze economiche e statistiche (57,3%) e colpisce anche un
ingegnere su tre. Solo il settore medico e infermieristico si posiziona
ampiamente sotto la soglia del 20% (13,95). (Fonte: CorSera 06-12-2014)
ISTITUTI TECNICI SUPERIORI. 68 SCUOLE SPECIALI DI
TECNOLOGIA. NEI CASI MIGLIORI L'80-85% DEI
DIPLOMATI TROVA IMMEDIATAMENTE UN POSTO
Secondo
la dizione ufficiale gli istituti tecnici superiori italiani sono «scuole
speciali di tecnologia», parallele alla tradizionale università e basate su una
stretta collaborazione tra formazione e mondo del lavoro, Proprio per questo
vengono gestite da Fondazioni al cui interno devono essere presenti università
e centri di ricerca, ma anche aziende ed enti locali (spesso le ex province),
Sono previste sei aree di studio: Efficienza energetica, Mobilità sostenibile,
Tecnologie della vita, Tecnologie per il made in Italy, Tecnologie per beni
culturali e turismo e Tecnologie dell'informazione.
Partiti
con i tempi ordinari della burocrazia (quasi tutti hanno avviato i primi corsi
biennali tra il 2010 e il 2011), oggi gli Its sono 68 (Abruzzo 4, Liguria 4,
Toscana 3, Umbria 1, Puglia 3, Piemonte 3, Lombardia 7, Friuli Venezia Giulia
2, Veneto 6, Emilia Romagna 7, Marche 3, Lazio 7, Campania 3, Calabria 4). In
un momento in cui la disoccupazione giovanile raggiunge in Italia livelli
record, sono un'eccezione: nei casi migliori l'80-85% e più dei diplomati trova
immediatamente un posto. A livello nazionale la media degli assunti subito dopo
la conclusione degli studi è pari, secondo i dati ministeriali, al 65%.
Rispetto alla formazione tradizionale rappresentano una sorta di rivoluzione
copernicana: strettissimo rapporto con il mondo del lavoro, periodi di
tirocinio nelle aziende (almeno il 40% delle ore) organicamente inseriti nel
curriculum che porta al diploma, il 50% degli insegnanti proveniente dal mondo
professionale e non da quello accademico. Il loro principio ispiratore, mutuato
dalle esperienze di Paesi come Francia e Germania, è chiaro: fornire dopo la
maturità una formazione tecnica di alto livello.
«Per
raggiungere l'obiettivo la legge ha previsto che gli Its abbiano una struttura
complessa», spiega Eugenio Massolo, presidente dell'Accademia della Marina
Mercantile. «A gestirli sono delle Fondazioni in cui per legge devono essere
rappresentate università e centri di ricerca, enti locali, ma soprattutto
aziende». Nel caso dell'Accademia le aziende sono i più grandi armatori
italiani. Il numero dei corsisti e i programmi di studio vengono calibrati
periodicamente in relazione alla capacità di assorbimento di nuovi diplomati e alle
caratteristiche tecniche richieste dal settore. Per tutti gli istituti tecnici
comunque il 2015 sarà un anno di svolta. Fino ad ora sono stati una realtà
sperimentale e tutto sommato di nicchia: a oggi i diplomati sono stati circa 2000,
gli iscritti ai corsi sono circa 6000. Da adesso il MIUR ha deciso di cambiare
marcia. «Gli Its sono stati una rivoluzione e hanno dato la possibilità ai
ragazzi di formarsi sperimentando l'alternanza scuola-lavoro», dice Gabriele
Toccafondi, sottosegretario con delega agli Its. «Dopo la fase iniziale ora
parte il monitoraggio del rendimento degli istituti e delle loro Fondazioni. Il
finanziamento non sarà più a pioggia ma secondo un metodo premiale». Per ogni
Its è stata stilata una pagella: quelli che hanno avuto i tassi di abbandono
minori e che hanno collocato le percentuali più alte di allievi sul mondo del
lavoro, riceveranno più soldi. Gli altri hanno un anno di tempo per migliorare
le loro performance. Poi via alla riduzione dei finanziamenti, senza escludere
nemmeno la chiusura dei corsi che in termini di risultato non sono riusciti a
mettersi al passo. (Fonte: A. Allegri, Il Giornale 19-01-2015)
RECLUTAMENTO
PUNTI ORGANICO
2014. DECRETO DEL MIUR
È stato pubblicato sul sito del Ministero il decreto che
attribuisce i punti organico per l’anno 2014.
Si ricorda che per il 2014 e il 2015 il turnover rimane limitato al 50%. Nel
collegamento ipertestuale che segue si accede al testo con acclusa anche la
tabella con le assegnazioni ai singoli atenei.
RECLUTAMENTO.
DOCUMENTO DEL CUN
Nel
documento del CUN “Ripensare
l’assetto della docenza universitaria. Reclutamento e progressione di carriera”
(08-10-2014) viene formulata la seguente proposta:
1)
Nella programmazione del personale docente da parte degli Atenei dovrebbero
essere definitivamente separate le quote da destinarsi al primo reclutamento da
quelle destinate al passaggio dalla seconda alla prima fascia e dal ruolo a
esaurimento dei ricercatori a tempo indeterminato a quello dei professori nella
fascia degli associati.
2)
Nell'ambito di un quadro programmatico, da definirsi opportunamente anche in
funzione della tenure track, passaggi di cui al punto precedente che si
svolgono all'interno di ciascun Ateneo dovrebbero avvenire in via permanente
con un rigoroso meccanismo valutativo individuale in conformità a quanto
previsto dall'art. 24 comma 5 della I. 30 dicembre 2010, n. 240, prevedendo la
definitiva rimozione del limite temporale di sei anni e del vincolo costituito
dal tetto del 50% per tale utilizzo delle risorse. A tale proposito è
fondamentale che le procedure di abilitazione nazionale e quelle relative
all'applicazione dell'art. 24 siano disciplinate da linee guida nazionali atte
a garantire sufficiente omogeneità di comportamenti tra le sedi e tra le
discipline e a incentivare l'assunzione di responsabilità degli Atenei e dei
Dipartimenti nella definizione e nella realizzazione di efficaci policies di
reclutamento.
3)
I trasferimenti e i reclutamenti diretti nel ruolo dei professori di soggetti
in precedenza non formalmente inquadrati nel sistema universitario e nel
singolo Ateneo dovrebbero invece avvenire unicamente con le modalità di cui
all'art. 18 della I. 30 dicembre 2010, n. 240, fatta eventualmente salva la possibilità
di attivare procedure di chiamata diretta e di chiara fama ai sensi della
legislazione già vigente, riservando al complesso di tali modalità di
reclutamento una percentuale non inferiore a un reale 10% delle posizioni
attivate, e facendo espresso divieto ai soggetti interni all'Ateneo di
partecipare a tali procedure.
4)
I profili stipendiali delle due fasce dovrebbero essere adeguatamente
rimodulati per far si che il passaggio di fascia non comporti alcuna
penalizzazione economica né immediata né a lungo termine, se non eventualmente
in seguito come conseguenza di valutazioni negative dell'attività svolta nel
triennio precedente, ai sensi dell'art. 6 comma 14 della l. 30 dicembre 2010,
n. 240. (Fonte
03-12-2014)
RICERCATORI. PROSPETTIVE DI RECLUTAMENTO
La riforma Gelmini sostituisce ai ricercatori a tempo
indeterminato i ricercatori a tempo determinato Rtda (tre anni) e i cosiddetti
tenure track (Rtdb) che dopo valutazione positiva dovrebbero poi diventare
direttamente professori associati. Gli assegnisti non possono rimanere in
questo ruolo per più di quattro anni, tuttavia sono necessari tre anni di
ricerca post dottorato per accedere al concorso per Rtd. Cos’è successo in
pratica? Che le università hanno bandito pochissimi posti come Rtda (senza
prospettive future) e un numero irrisorio delle posizioni più preziose come
Rtdb. Il reclutamento è stato di fatto bloccato e nell’università non entra
nessuno a parte pochissime eccezioni. Quale squadra di calcio competitiva
terrebbe sempre gli stessi giocatori per quattro o più anni di fila? Quale
azienda sospenderebbe le assunzioni di nuovo personale per un tempo lungo e
indefinito? Senza un’immissione costante di nuove forze, l’università
inevitabilmente peggiora. In ogni generazione c’è sempre l’inestimabile valore
aggiunto costituito dal “Cristiano Ronaldo” o dal “Totti” della ricerca. Non è un danno rinunciarvi?
(Fonte: FQ 11-12-2014)
FINANZIAMENTI.
POSSIBILITÀ DI ASSUMERE
Nonostante le restrizioni nel turn over ancora una volta
l'università di Bologna primeggia nella possibilità di assunzioni, seguita da
Statale e Politecnico di Milano, mentre la Sapienza si piazza al quarto posto.
Porte chiuse, invece, per assunzioni e promozioni a Teramo, Foggia, Cassino,
Reggio Calabria e Benevento, dove gli organici attuali sono già superiori a
quelli che sarebbero consentiti dalla legge. A dirlo è la tabella
allegata al decreto sui «punti organico» che il ministero dell'Università
ha diffuso ieri per distribuire il migliaio di assunzioni possibili negli
atenei statali. Decreto che, in realtà, servirebbe agli atenei per programmare
le politiche di reclutamento ma che, arrivando a fine anno dopo i mesi
difficili per la costruzione del nuovo fondo ordinario, si rifletterà
inevitabilmente sul prossimo anno. Dal 2015, però, il ministero promette
cambiamenti importanti, che dovrebbero tagliare anche i tempi di assegnazione
degli spazi per le assunzioni. A distribuire i «punti organico», dopo la riforma
del 2012, sono anche i parametri di sostenibilità finanziaria dei costi del
personale e dell'indebitamento. Indicatori che puniscono in particolare
Sassari, dove finisce in stipendi il 96,8% delle entrate da finanziamenti
statali e contributi studenteschi. (Fonte: G.Tr., IlSole24Ore 23-12-2014)
RECLUTAMENTO. SI
POTRÀ COPRIRE SOLTANTO IL 50 PER CENTO DEI POSTI LASCIATI VACANTI
Per calcolare quanti nuovi docenti e ricercatori ogni
singolo ateneo potrà assumere nel prossimo triennio, quest’anno, si parte dal
50 per cento dei punti organico lasciati vacanti da coloro che hanno passato la
mano. Un punto organico equivale al costo medio di un docente universitario di
prima fascia, pari a 116.968 euro annui. Facendo la somma degli importi
lasciati liberi in ogni ateneo dai pensionati nel 2013 e dividendo il totale
per 116.968 euro si ottengono i punti organico relativi alle cessazioni. La nuova
normativa stabilisce che, a livello nazionale, si potrà coprire soltanto il
50 per cento dei posti lasciati vacanti. Ma nella distribuzione degli 814 punti
organico disponibili a livello nazionale, gli atenei meritevoli vengono
premiati con quote maggiori di assunzioni, mentre quelli con i bilanci ancora
da rivedere vengono penalizzati.
È quello che avverrà alle università siciliane. A Messina
e Palermo, le assunzioni potranno coprire al massimo il 20 per cento dei
pensionamenti, il tasso di turnover più basso previsto dal decreto pubblicato a
ridosso di Natale. L’università di Catania, con un tasso di assunzione del 39
per cento, è soltanto rimandata a settembre. Mentre il Politecnico di Milano, a
titolo di esempio, potrà coprire più posti di quelli lasciati vacanti: il 115
per cento. A pesare sulla distribuzione delle risorse per le nuove assunzioni
soprattutto il peso delle spese di personale sul totale delle entrate e la
percentuale di indebitamento. A Palermo e Messina, oltre l’80 per cento delle
entrate complessive viene assorbito dagli stipendi del personale, docente e
non. Troppo, secondo i nuovi canoni, per essere annoverati tra gli atenei
meritevoli. (Fonte: S. Intravaia, La Repubblica Palermo 28-12-2014)
RECLUTAMENTO. SPEREQUAZIONI NORD - SUD
Le
dichiarazioni del ministro Giannini in merito alla volontà di modificare il
criterio adottato per assegnare alle varie istituzioni pubbliche i fondi
necessari a finanziare il turn over universitario, pur risalendo solo a qualche
mese fa (luglio 2014), sembrano lontane anni luce, visto che il decreto
pubblicato lo scorso 22 dicembre ripropone più o meno il medesimo scenario
dell’anno scorso: una netta sperequazione tra le possibilità degli atenei
settentrionali e quelli meridionali di assumere nuovo personale. Insomma, il
cambio di verso non c’è stato, almeno per adesso, e molte università rischiano
di non riuscire più a mandare avanti le attività per le forti carenze di
organico. I punti organico per il turn over universitario premiano in
particolare il Politecnico di Milano (+ 29,4 P.O.) e l’Università di Milano (+
19,3 P.O.), mentre gli atenei più penalizzati sono “La Sapienza” (-26,5 P.O.) e
la “Federico II” di Napoli (-22,1 P.O.). Questo, segnala il professor
Cappelletti Montano, nonostante siano entrambe università “virtuose”: “Gli indicatori
di bilancio di Roma La Sapienza e di Napoli Federico II – scrive il docente –
soddisfano pienamente le prescrizioni previste dal MIUR per il rilascio della
‘patente di virtuosità’ (Indicatore Spese Personale < 80 per cento e ISEF ≥
1)”. Una sorte simile tocca anche ad altre università, in regola con i bilanci,
ma ugualmente “punite”: quella della
Calabria, gli atenei di Cagliari, Urbino, Pavia, Torino, Parma e Napoli
“Orientale”, la Tuscia, le università di Firenze, Catania, Roma “Tor Vergata”,
Genova, Perugia e Udine e il Politecnico di Bari. (Fonte: universita.it 05-01-2015)
RETRIBUZIONI
RETRIBUZIONI. IL BLOCCO RESTA PER I DOCENTI UNIVERSITARI
Tra
le varie novità introdotte dalla manovra (legge 190/2014) c'è, infatti, in
primo luogo, la proroga fino al 31 dicembre 2015 del blocco economico della
contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014
dalla normativa vigente, con conseguente slittamento del triennio contrattuale
dal 2015-2017 al 2016-2018. Viene prorogato, altresì, fino al 31 dicembre 2015
il blocco degli automatismi stipendiali per il solo personale non contrattualizzato,
(cioè dei docenti e dei ricercatori universitari, del personale dirigente della
Polizia di Stato e gradi di qualifiche corrispondenti, dei Corpi di polizia
civili e militari, dei colonnelli e generali delle Forze armate, del personale
dirigente della carriera prefettizia, nonché del personale della carriera
diplomatica) ferma restando l’esclusione dei magistrati. Per tutti gli altri
dipendenti pubblici, quindi, pur rimanendo bloccato per un altro anno il
rinnovo del contratto nella sua parte economica, riprenderà, almeno, la
dinamica legata alla carriera permettendo agli stipendi di salire nel caso in
cui siano previsti scatti automatici o nel caso di promozioni di carriera.
(Fonte: www.pensionioggi.it
08-01-2015)
COME SI CALCOLA LA PENSIONE PER DOCENTI
UNIVERSITARI DI RUOLO
Per un calcolo preciso
della pensione dei docenti e dei ricercatori universitari di ruolo è necessario
fare riferimento ai parametri della Riforma Monti-Fornero, che ha toccato
tantissime categorie, tra cui quella dei professionisti del mondo accademico.
I docenti universitari di
ruolo con meno di 18 anni di contributi al 31/12/1995 hanno diritto a una
pensione il cui calcolo si basa sul cosiddetto sistema “misto”. In questo caso
l’ammontare del trattamento pensionistico può variare dal 54% all’87%
dell’ultimo stipendio percepito. Chi invece entrerà in ruolo entro il 2020 con
alle spalle contributi maturati come assegnista o ricercatore a tempo
determinato, riceverà una pensione pari al 59% dell’ultimo stipendio percepito.
Quali sono le indicazioni per chi non rientra in queste due situazioni?
Calcolo pensione per
docenti universitari: cosa succede agli assunti in ruolo dopo il 1/1/1996?
Il calcolo della pensione
dei docenti universitari entrati in ruolo dopo il 1/1/1996 si basa unicamente
sul sistema contributivo. Per i professionisti già in ruolo prima del 2012, il
trattamento pensionistico è pari al 54%-55% dell’ultimo stipendio percepito.
Per quanto riguarda la
buonuscita, la situazione dei professori e dei ricercatori universitari di
ruolo che cessano l’attività lavorativa è equiparabile a quella dei dipendenti
privati, sempre a partire dal 1° gennaio 2012. In base al DL 78/2010, le buonuscite di entità compresa
tra i 90.000 e i 150.000 euro vengono erogate con un anno di ritardo rispetto
all’effettivo inizio del periodo di pensione. L’attesa sale a due anni per
cifre oltre i 150.000 euro. (Fonte:
http://www.calcolo-pensione.com/pensione-per-docenti-universitari-di-ruolo-come-si-calcola/
15-01-2015)
RICERCA. RICERCATORI
RIENTRO DEI CERVELLI. NOVITÀ PER I RICERCATORI CHE PRIMA
LAVORAVANO ALL'ESTERO
Dalla
fuga al rientro dei cervelli. E invece il progetto inaugurato nel 2009
dall'allora ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini e intitolato a Rita
Levi Montalcini è stato un mezzo flop. Tanti erano e rimangono i punti deboli
nei bandi annuali, pensati per far rientrare i ricercatori italiani
dall'estero. Si parte dal meccanismo di selezione, che mette vincoli d'età
molto stretti ed esclude troppi studiosi prima di valutarli. E si finisce per
constatare le tante rinunce tra i candidati vincitori, che prima concorrono e
poi - scoraggiati dalle prospettive in Italia o da atenei che incredibilmente
rifiutano di accoglierli - abbandonano.
In
palio ci sono ogni anno cinque milioni di euro per 24 assegni di ricerca. I
requisiti di base sono due, ma fin troppo selettivi: aver concluso il dottorato
da meno di sei anni e lavorare stabilmente all'estero da almeno tre. Ma c'è un
altro tasto dolente: quello della stabilità e della stabilizzazione di chi
vince il concorso. Scaduti i tre anni di assegno, prospettive certe - nel
sistema italiano - non esistono o meglio non esistevano (vedi oltre e nella
nota che segue). «Per me è il solo aspetto che non va nel Montalcini, ma è
quello che mi ha portato a rinunciare», spiega Agnese Seminara, selezionata con
il bando 2010. «Ho vinto un posto da ricercatore Crl al Cnrs in Francia e ho
scelto quello, perché è a tempo indeterminato. Seguendo gli sviluppi dei
ricercatori tornati con la borsa, mi sembra di capire che la stabilizzazione
non sia per nulla scontata».
Appena
un anno fa, a dicembre 2013, l'allora ministro Carrozza auspicava questo: che
questo tipo di bandi offrisse posti a tempo indeterminato. Poco prima c'era
stata la protesta dei vincitori del primo concorso, datato 2009. Costretti a
scrivere ai giornali perché, dopo i primi tre anni da cervelli rientrati,
nessuno dava risposte sul rinnovo. «Ma oggi non c'è più il "tre più
tre" legato alla vecchia legge», spiega Daniele Livon, direttore generale
del Miur per l'università, lo studente e il diritto allo studio. «I vincitori
di bando ora hanno tre anni di assegno di ricerca e poi, se abilitati, possono
diventare professori associati, con stipendio finanziato al 100% dal
ministero». Gli atenei avrebbero tutto l'interesse ad accogliere e
stabilizzare. Non farlo è assurdo anche sul piano economico. «Nell'ambito della
programmazione 2013-2015 - prosegue Livon - sono previsti incentivi specifici e
fondi per le università che inseriscono in organico ricercatori che prima
lavoravano all'estero. Per questo, prima che esca il bando, chiederemo alle
università di fare un'assunzione di responsabilità. E indicare se sono disposte
ad accogliere i vincitori. Mi auguro lo siano tutte». (Fonte: S. Rizzato, TST, tutto Scienze
e tecnologia 10-12-2014)
NUOVO BANDO DEL “PROGRAMMA MONTALCINI”. CONTRATTO DA
RICERCATORE PER TRE ANNI CON PROSPETTIVA DI STABILIZZAZIONE FUTURA COME
PROFESSORE ASSOCIATO
Con
un progetto di ricerca ben finanziato prima, e soprattutto la certezza di una
cattedra da professore per il futuro. Il MIUR ha emesso il nuovo bando del
“Programma Montalcini”, iniziativa dedicata ai giovani ricercatori italiani e
stranieri. Cinque milioni di euro per riportare in Italia 24 cervelli in fuga.
La firma del decreto è stato uno degli ultimi atti del 2014 del ministro
Stefania Giannini e darà i suoi frutti nell’anno in corso. Il programma
Montalcini, intitolato alla scienziata e senatrice a vita scomparsa nel 2012,
esiste dal 2009 e ha vissuto alterne vicende. Partito in realtà da un
finanziamento superiore a quello attuale (per la prima edizione era di sei
milioni di euro), negli anni successivi ha conosciuto ritardi e rallentamenti,
come nel 2011 quando il bando non è stato proprio emanato. Adesso il governo
punta a rilanciare il progetto. E lo fa con una novità sostanziale rispetto al
passato. Il concorso mette in palio non soltanto un contratto da ricercatore
per la durata di tre anni, ma la prospettiva di una stabilizzazione futura.
Merce rarissima di questi tempi, per l’università italiana. Il Ministero,
infatti, chiederà preventivamente agli atenei la disponibilità ad assorbire i
vincitori, nel caso dovessero abilitarsi durante il periodo di ricerca. Al
termine del primo contratto (con una borsa di circa 40mila euro lordi l’anno),
i giovani studiosi potranno essere inquadrati con la qualifica di professori
associati. Il Miur garantirà agli atenei il consolidamento del finanziamento e
la relativa quota di punti-organico necessari, anche per garantire il ricambio
generazionale del personale docente universitario. Almeno in parte, visto che
tanti atenei soffrono da anni per il blocco del turn-over e la mancanza di
concorsi per professori. (Fonte: L. Vendemiale, FQ 12-01-2015)
RICERCA. NON SARÀ PIÙ CONTEGGIATA NEL BILANCIO PUBBLICO
COME SPESA MA COME INVESTIMENTO
Il
fatto che nei periodi di difficoltà come quelli attuali si pensi di ‘tagliare’
le già scarse dotazioni per scienza e tecnologia, anziché di investirvi “con
maggior slancio e convinzione" la dice lunga sul perché i nostri Nobel
scientifici siano tanto rari. E soprattutto sul perché molti di loro abbiano
vinto per ricerche condotte in gran parte o totalmente all’estero (è il caso di
Capecchi, Montalcini, Dulbecco, ecc.) oppure per scoperte che non hanno
avvantaggiato come avrebbero potuto la nostra economia, com’è stato per Marconi
e Natta. Al di là dei premi, il "nemo propheta in patria" vale
purtroppo anche per la ricerca spaziale e per informatica ed energia, due
settori nodali come pochi altri nello sviluppo odierno.
Un
piccolo spiraglio di speranza si apre grazie a un provvedimento balzato agli
onori della cronaca per altre ragioni. La novità positiva inclusa nella
normativa è che la ricerca non sarà più conteggiata nel bilancio pubblico come
spesa ma come investimento e quindi non peserà più nel controllo dei parametri
di Maastricht: è prima di tutto un segnale culturale importante, al quale
devono far seguito atti concreti. Anche se, si potrebbe osservare, non fa che
certificare ciò che dovrebbe essere scontato. (Fonte: M. Ferrazzoli, www.almanacco.cnr.it
08-10-2014)
RICERCA. NILDE (NETWORK INTERLIBRARY DOCUMENT EXCHANGE) UN SERVIZIO BASATO SULLA COOPERAZIONE TRA BIBLIOTECHE RIVOLTO PRINCIPALMENTE AL MONDO DELLA RICERCA
NILDE è un servizio basato sulla cooperazione tra biblioteche che consente al ricercatore di richiedere alla propria biblioteca di riferimento copie di articoli (o di parti di libro), non possedute o non accessibili, attraverso un semplice modulo online. In alcuni casi, se la biblioteca ha attivato la funzionalità, il modulo viene compilato automaticamente con i dati del riferimento bibliografico individuato dal ricercatore, a partire dalle principali banche dati bibliografiche multidisciplinari (per es. Web of Science e Scopus) o disciplinari (per es PubMed, ASFA, ADS o Dogi). Attualmente in Italia le biblioteche che condividono il loro patrimonio bibliografico attraverso il network NILDE sono 886, il 77% delle quali fa capo a Università. Il primo passo da fare è verificare la presenza nel vostro ente o nella vostra città di una biblioteca che utilizza NILDE Utenti:
https://nilde.bo.cnr.it/learn.php?inc=elenco_bib .Suggerimento: selezionare l’iniziale della provincia.
Il secondo passo è registrarsi al servizio seguendo le istruzioni indicate sul sito della biblioteca di riferimento: https://nilde.bo.cnr.it/register_ute.php
(Fonte 14-01-2015)
LA SCHEDA UNICA ANNUALE PER LA RICERCA DIPARTIMENTALE (SUA RD)
I Dipartimenti, gli uffici ricerca, gli uffici personale, gli uffici per il trasferimento tecnologico saranno assorbiti in queste settimane, e sicuramente fino al 30 aprile, dalla compilazione della Scheda Unica Annuale per la Ricerca Dipartimentale (anche nota come SUA RD). Questa scheda - che in realtà è suddivisa in una sezione narrativa e di dati sul personale e le strutture e strumentazioni per la ricerca, in una parte legata ai risultati della ricerca (pubblicazioni, attrazione fondi, internazionalizzazione) e una parte dedicata alla terza missione declinata come impatto economico e sociale - formalmente è un pezzetto del Decreto AVA (Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento del Sistema Universitario Italiano), che fra i criteri di Assicurazione della qualità inserisce anche l’assicurazione della qualità della ricerca. Analogamente a quanto previsto per la formazione, l’AQ della ricerca ha il fine di tenere sotto controllo le condizioni di svolgimento delle attività della ricerca, ovvero di stabilire gli obbiettivi di ricerca da perseguire, di mettere in atto quanto occorre per conseguirli, rimuovendo – ovunque possibile – eventuali ostacoli, di osservare il regolare svolgimento delle attività previste e di verificare il grado di effettivo raggiungimento degli obbiettivi. I dati contenuti nella SUA RD vanno ad alimentare il set di informazioni relative alle attività di ricerca a disposizione del Ministero e hanno la funzione di colmare il gap informativo fra una VQR e l’altra, e di fornire quindi al Ministero dati aggiornati rispetto ai risultati della VQR, dati la cui importanza cresce a mano a mano che ci si allontana dall’esercizio di valutazione nazionale (il cui peso quindi proporzionalmente diminuisce). Vale a dire che l’esito della SUA RD concorre nel definire una parte della quota premiale del FFO attribuita agli atenei e il suo peso aumenta a mano a mano che la distanza dall’ultima VQR cresce.
Roars, nell’articolo di P. Galimberti, esamina in dettaglio alcuni punti che destano particolare preoccupazione. (Fonte: Roars 03-01-2015)
ASSEGNI DI
RICERCA. MOZIONE DEL CUN SULLA DURATA
A gennaio 2015, per il raggiungimento del limite dei 4
anni previsto dalla Legge 240/10, andranno in scadenza i primi contratti
relativi agli assegni di ricerca. In assenza di politiche di turn-over adeguate
e per il fatto che le Università hanno bandito pochissimi posti di ricercatore
a tempo determinato, che costituisce per gli assegnisti di ricerca la naturale
prosecuzione del lavoro presso gli Atenei, il CUN ha chiesto al Governo ed al
Parlamento di introdurre una deroga, temporalmente definita, al limite di
durata massima complessiva degli assegni di ricerca. (Fonte: http://tinyurl.com/jwwx5ew 22-12-2014)
NOVITÀ PER I
RICERCATORI CHE RIENTRANO IN ITALIA NEL COMMA 14 DELL’ARTICOLO 1 DELLA LEGGE DI
STABILITÀ 2015
La novità apportata dal DdL stabilità 2015 - Il comma 14
dell’articolo 1 della Legge di stabilità 2015, approvata in via definitiva
dalla Camera, prevede che all'articolo 44 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, siano
apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: «ed entro i cinque anni solari
successivi» sono sostituite dalle seguenti: «ed entro i sette anni solari
successivi»;
b) al comma 3, le parole: «nei due periodi d'imposta
successivi» sono sostituite dalle seguenti: «nei tre periodi d'imposta
successivi».
Ai fini delle imposte sui redditi viene, quindi, escluso
dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il 90% degli
emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo
di studio universitario o equiparato, e non occasionalmente residenti
all'estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all'estero
presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni
continuativi e che dalla data di entrata in vigore del decreto ed entro i sette
(non più cinque) anni solari successivi vengono a svolgere la loro attività in
Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello
Stato.
L’agevolazione si applica nel periodo d'imposta in cui il
ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei tre
(non più due) periodi d'imposta successivi sempre che permanga la residenza
fiscale in Italia. (Fonte:
fiscalfocus.info 23-12-2014)
RICERCA. TASSO DI
SUCCESSO DELL’ITALIA NEI PROGETTI DELL’ERC (EUROPEAN RESEARCH COUNCIL)
Presso http://erc.europa.eu/projects-and-results/statistics si possono
ricavare varie statistiche sui progetti ERC. Per esempio, fino ad oggi l’Italia
si piazza al sesto posto per numero di ERC Advanced Grant assegnati e
all’ottavo per numero di ERC Starting Grant. Questi sono grant utilizzati in
Italia. Ai primi cinque posti ci sono inevitabilmente UK, DE, FR, CH, NL,
nell’ordine esposto. Gli Starting Grant assegnati all’Italia dal 2008 al 2013
sono 124, e sono andati a ricercatori a inizio carriera (non a personaggi
ricchi e famosi) che hanno potuto con quei soldi costruire un gruppo di
ricerca. Anche se si guardano le statistiche dell’ultimo ERC Starting Grant,
quello che colpisce è il grande numero di “non-nationals” che operano o si
trasferiscono all’estero per fare
ricerca. In Italia, viceversa, abbiamo sempre avuto pochissimi non-national, e
non certo per colpa delle politiche europee. Oggi, rimanere a fare ricerca in
Italia è molto difficile anche per i “national”, ed è tutta colpa delle
politiche italiane.
Una precisazione sul tasso di successo: fino ad oggi è
del 10.3% negli ERC Starting/Consolidator e del 13.9% negli ERC Advanced (gli
altri tipi di ERC costituiscono una piccola frazione del totale).
Altre statistiche interessanti sulla ricerca di base sono
quelle di FET (Future & Emerging Technologies) in FP7: http://tinyurl.com/lla9klw. 109 istituzioni italiane hanno ricevuto 97 milioni di
euro. Ci sono istituzioni italiane nel 53% dei progetti. (Fonte: roc, commento
a http://tinyurl.com/pv8qzk6 18-12-2014)
RICERCA. FONDI SIR:
RISULTATI FORSE A MAGGIO 2015, DOPO UN ANNO E TRE MESI DALLA CHIUSURA
DEL BANDO
“#ScienceBulletChallenge
è un’iniziativa nata da un gruppo di ricercatori con varie forme contrattuali a
termine che ha come obiettivo quello di denunciare le condizioni in cui versa
la Ricerca Pubblica Italiana. Cercando l’hashtag #ScienceBulletChallenge
già si possono trovare i video girati da chi ha deciso di partecipare al gioco
virale, ricercatori o simpatizzanti che sono simbolicamente “colpiti” e “fatti
sparire” da svariati bullet, a rappresentare la pioggia di colpi che –
abbattutasi negli anni sulla ricerca – ha ridotto in macerie un intero sistema.
L’indagine
Ricercarsi 2014 (promossa dalla FLC CGIL) ha stimato che solo il 6,7% dei
ricercatori con contratti a tempo determinato è stato assunto negli ultimi
dieci anni. Ovvero il 93,3% è sopravvissuto grazie a contratti temporanei o
assegni di ricerca. Il 73,1% del campione preso in considerazione dal rapporto
di cui sopra, non ha figli nonostante l’età media di 35 anni e nonostante il
57% sia rappresentato da donne. Una pioggia di colpi si è abbattuta negli anni
sulla ricerca pubblica.
Com’è
stato l’andamento dei finanziamenti alla ricerca negli ultimi anni? Ecco la
fonte principale, il PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale). Gli
ultimi due anni: i finanziamenti sono stati zero. I dati non sono neppure
corretti per l’inflazione. A dire il vero, nel 2014 c’erano pochi soldi (47
milioni di euro), che sono stati dirottati su un nuovo programma: i fondi SIR
(un pomposo acronimo per “Scientific Independence of young Reseachers”). L’ERC
(European Research Council) è una prestigiosa istituzione europea che finanzia
lautamente progetti di eccellenza scientifica a giovani e meno giovani. In
generale nei progetti di ricerca europei, il nostro paese ci mette un sacco di
soldi e porta a casa relativamente poco (dell’ordine di 60 centesimi per ogni
euro). Al Miur non si sono chiesti se il modello ERC fosse buono o meno per
l’Italia ma si è deciso di scopiazzarlo. Si è quindi formulato nel bando un
provvedimento che prevedeva che i valutatori sarebbero stati nominati dalla
rosa dei membri della stessa commissione scientifica esaminatrice dell’ERC.
Nessun altro paese aveva mai utilizzato un metodo così trasparente per una
semplice ragione. Solo dopo la scadenza del bando è stata inviata una lettera
al presidente dell’ERC per chiedere dei nomi e i contatti dei possibili
valutatori. La risposta è stata (presumibilmente) del tipo: “Cari italiani, ma
cosa volete? Lo dovreste sapere che per tutte le agenzie che erogano fondi e le
riviste scientifiche i contatti dei valutatori sono riservati! Che cosa vi è
saltato in mente di formulare in questo modo bando pubblico senza chiedercelo
prima?”. A questo punto (dopo soli 7 mesi dalla scadenza del bando),
dietrofront del ministero, si ritorna ai valutatori italiani. Le commissioni,
da marzo, sono state nominate solo la scorsa settimana. Il sito del ministero
annuncia che entro aprile 2015 si dovrebbero tenere le audizioni per la seconda
fase. Nel miglior caso possibile, i risultati arriveranno a maggio 2015, dopo
un anno e tre mesi dalla chiusura del bando. (Fonte: M. Bella, http://tinyurl.com/lebnrcq 17-11-2014)
RICERCA. SEGNALAZIONI DI FRODI SCIENTIFICHE
Enrico Bucci la
chiama la «wikileaks della scienza». È un sito scarno, incomprensibile ai non
specialisti: battezzato Pub-peer (https://pubpeer.com/) contiene segnalazioni
anonime su articoli scientifici ritenuti «sospetti». Bucci, biologo napoletano
ed ex ricercatore del Cnr, è partito da lì per indagare la correttezza della
scienza italiana. E insieme cercare il possibile antidoto a un problema che
preoccupa la comunità dei ricercatori (non solo in Italia): il diffondersi
crescente di frodi scientifiche. «Ho analizzato circa 3.500 lavori biomedici
segnalati su Pubpeer - denuncia -, quelli firmati da italiani sono 565:
l’Italia è il secondo Paese dopo gli Usa in termini assoluti, ma il primo in
percentuale sulla produzione scientifica. E l’università con la maggior
percentuale di segnalazioni è la Federico II di Napoli». Con la sua società
Biodigitalvalley Bucci vende, infatti, analisi dei dati biomedici e per
assicurarsi di usare sempre informazioni corrette ha sviluppato un apposito
software. Il programma, chiamato Imagecheck, analizza le immagini contenute
negli articoli scientifici e segnala quelle che potrebbero essere manipolate
(in biologia le immagini sono, di fatto, i «dati» con cui si lavora). «Ho
verificato che il 70% delle segnalazioni su Pubpeer corrispondono agli errori
rilevati con la mia procedura. Un 30% è “borderline”», spiega. Il software è
stato chiesto da alcune importanti riviste scientifiche internazionali, che lo
stanno usando per vagliare i lavori da pubblicare.
A chiedere a gran
voce un «codice deontologico nazionale per la ricerca» c’è Elena Cattaneo,
senatrice a vita e direttore del Centro di ricerca sulle cellule staminali
dell’Università di Milano. «Parte della comunità scientifica si sta muovendo
per risolvere il problema - assicura -. E sono orgogliosa che questa
discussione si sia aperta in Italia». Secondo lei bisogna agire su tre livelli:
maggiore autoregolamentazione e controlli più stretti a livello di singoli
laboratori, dipartimenti e università, che possono prendere le prime sanzioni
sui ricercatori scorretti (Fonte: E. Tebano, CorSera Salute 17-11-2014)
RICERCA. L’INTERNATIONAL COUNCIL FOR SCIENCE (ICSU) IN
FAVORE DELL’ACCESSO APERTO AGLI ARTICOLI
L’International
Council for Science (ICSU) un’organizzazione non governativa, a cui afferiscono
organismi nazionali della ricerca (121 Membri in rappresentanza di 141 paesi,
per l’Italia il CNR) e International Scientific Unions (31 membri)
pubblica un report in cui ICSU dichiara il suo appoggio all’accesso aperto e un
invito a porre attenzione ai rischi connessi al cattivo uso delle metriche per
la valutazione della ricerca. Fino a qualche tempo fa, parlando di open access,
si sottolineava la caratteristica del citation advantage. Ora, a distanza di 11
anni dalla dichiarazione di Berlino, non ci sono studi scientifici che abbiano
dimostrato in maniera inequivocabile il fatto che articoli ad accesso aperto
siano citati più di altri ad accesso chiuso e gli studiosi sono più propensi a
vedere una diversa distribuzione delle citazioni nel tempo. Ora il principale e
più importante vantaggio dell’Open access sembra essere quello della
trasparenza. Nei criteri di selezione, nell’impiego dei fondi pubblici, nella
distribuzione della premialità. (Fonte: Redazione Roars 28-11-2015)
ASSOCIAZIONE
SULLA SCIENZA APERTA. PROPOSTA PER LA COSTITUZIONE
Il principio dell’Open Access (accesso aperto) vuole che
i risultati – pubblicazioni e dati – della ricerca scientifica siano messi
gratuitamente a disposizione del pubblico su Internet concedendo a ricercatori
e lettori ampi diritti di riutilizzo. L’accesso aperto alle pubblicazioni e ai
dati della ricerca scientifica potenzia la diffusione su scala internazionale,
comprime il tasso di duplicazione degli studi, rafforza l’interdisciplinarità,
agevola il trasferimento della conoscenza alle imprese e la trasparenza verso
la cittadinanza, aiuta a garantire la conservazione nel tempo. Roars ripubblica
l’invito ad aderire alla proposta di prossima
costituzione di un’associazione italiana per la promozione della scienza aperta
insieme alla lista delle adesioni che si sono aggiunte dopo l’11 novembre
scorso. Chi è interessata/o ad associarsi, è pregato di comunicarlo con una
lettera di intenti entro il 31 gennaio al seguente indirizzo email: roberto.caso@unitn.it. Se si riceverà
interesse tramite la lettera d’intenti, a febbraio 2015 comunicheremo i
prossimi passi che condurranno alla costituzione dell’associazione. (Fonte: Redazione Roars
19-12-2014)
SOSTENERE
L'IMPRENDITORIA UNDER 35 EQUIPARANDO LA NORMATIVA START UP AGLI SPIN OFF SENZA
ONERI PER LO STATO
Rendere la ricerca applicata svolta dai giovani under 35
sempre più vicina e funzionale al mondo delle imprese, introducendo innovazione,
recuperando competitività e dando un forte sostegno all’internazionalizzazione
delle aziende: sono queste le finalità della proposta di legge “Disposizioni
per la promozione dell'imprenditoria giovanile e della ricerca universitaria
attraverso lo sviluppo di società per l'utilizzazione industriale dei risultati
di essa (spin-off universitari) ”presentata alla stampa a Montecitorio dal
primo firmatario, la deputata Cristina Bargero, componente della Commissione
Attività produttive, commercio e turismo. Una proposta “partecipata” e scritta
in collaborazione con gli studiosi e professionisti di Cultura Democratica, il
primo think tank interamente composto da giovani in Italia. La proposta
"prevede - dichiara Cristina Bargero - di applicare agli spin off
universitari (centri di ricerca a uso industriale in cui lavorano giovani under
35) la normativa attualmente in vigore per le start up innovative, le cui
agevolazioni sono regolate dagli articoli 25-30 del decreto Passera in materia.
Inoltre, per permettere alle neonate società di investire in ricerca, sviluppo
e marketing, i versamenti previdenziali e fiscali potranno essere effettuati
due anni più tardi”. (Fonte:
alessandrianews.it
11-12-2014)
RICERCA. COME
MIGLIORARE I RISULTATI NELLA PROSSIMA VQR
Il 21 novembre a Bologna si è tenuta una giornata
dedicata alla valutazione della ricerca coordinata da Dario Braga. Nella prima
parte del suo intervento, Alberto Baccini ha proposto ai presenti di mettersi nei
panni di un rettore che voglia scalare le classifiche internazionali, mostrando
che si tratta di un’impresa che non richiede di migliorare né la didattica né
la ricerca di Ateneo. Nella seconda parte, dopo aver mostrato che ANVUR con la
VQR non ha fatto classifiche, ma solo “graduatorie”, ha discusso le distorsioni
più evidenti di quelle graduatorie. E ha suggerito alcuni interventi di policy
per migliorare i risultati nella prossima VQR tra cui:
1. eliminare i ricercatori senza pubblicazioni inserendoli
tra gli autori di paper scritti da altri membri dell’ateneo,
2. adottare strategie di citazione reciproca,
3. diventare publisher di riviste con impact factor.
Infine ha più seriamente mostrato come ridurre i danni
della valutazione, soffermandomi su DORA e sul tema della salvaguardia del
pluralismo della ricerca. (Fonte: A. Baccini
13-12-2014),
RICERCA. NUOVI
BANDI HORIZON 2020
Sono stati aperti diciannove nuovi bandi Horizon 2020
relativi alla sezione «sfide sociali» che mettono in campo fondi comunitari
diretti per oltre 977 milioni di euro. I bandi riguardano diversi settori tra
cui la mobilità, la risorsa idrica, le città intelligenti, i rifiuti, la
cultura, i giovani e l'inquinamento. Gli enti locali possono partecipare ed
ambire a un contributo a fondo perduto a copertura del 100% delle spese
ammissibili. Le scadenze dei bandi si concentrano tutte tra aprile e maggio
2015. Tutte le informazioni sui bandi, così come il sistema di presentazione
delle domande telematiche, sono disponibili sul Participant Portal a questa pagina. (Fonte:
ItaliaOggi 12-12-2014)
RICERCA: HORIZON
2020, ASSEGNATI 485 MILIONI A 328 GIOVANI
Con un finanziamento complessivo di 485 milioni, 328
giovani ricercatori europei potranno realizzare i loro progetti (ciascuno con
un fondo fino a due milioni) grazie al più grande programma europeo di ricerca
mai promosso, Horizon 2020. Con 28 premiati, gli italiani sono terzi fra i
vincitori, dopo tedeschi (68) e francesi (36). L'Italia però, con 11 progetti
premiati, scivola al nono posto della classifica, dominata da Germania (70),
Regno Unito (55) e Francia (43). Dei 28 ricercatori italiani i cui progetti
sono stati selezionati dal Consiglio Europeo della Ricerca (Erc) per gli
'Starting Grant', solo 11 lavorano in Italia, presso il Consiglio Nazionale
delle Ricerche (3 progetti vincitori), il Politecnico di Torino (2), l’università
Federico II di Napoli (2), l’Istituto Italiano di Tecnologia (1), l’università
di Trento (1), l’European University Institute (1) e Humanitas Mirasole (1).
Gli altri 17 italiani premiati sono in Gran Bretagna (7), Germania (3), Olanda
(2), Francia (1) e Spagna (1). Fra i campi di ricerca premiati, fisica e
ingegneria sono al primo posto con 143 progetti, seguite da scienze della vita
(124) e scienze umane (61). (Fonte: ANSA 15-12-2014)
RICERCA. PER COSTITUIRE
IL FONDO STRATEGICO EUROPEO (EFSI) TOLTI 2,7 MILIARDI DAL PROGRAMMA PER LA
RICERCA HORIZON 2020 (78,6 MILIARDI)
Il capo della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha
lanciato il «suo» progetto nel discorso d'insediamento a Strasburgo in luglio,
promettendolo per febbraio. Poi ha accelerato. In ottobre i 300 miliardi sono
diventati «315 di investimenti da generare attraverso l'Efsi, il Fondo
strategico europeo» che dovrebbe smobilitare nuovi investimenti fra il 2015 e il
2017. Si tratta d'un veicolo finanziario con 21 miliardi di capitale, dei quali
6 saranno però sfilati dai governi alla voce «Ricerca e Reti» del bilancio
comune. I suoi 21 miliardi, nelle intenzioni, dovrebbero attirare 15 euro di
impegni privati ogni euro pubblico, realizzando per l'appunto la manovra da 315
miliardi. Per costruire l'Efsi, l'Ue creerà una garanzia da 16 miliardi
alimentata dal bilancio comune, mentre altri 5 miliardi verranno dalla Bei. I
miliardi impegnati veramente dall'Ue saranno solo 8, posti i quali si arriverà
a 16 con una forma di moderno «europagherò»: sono 2 miliardi presi dai margini
esistenti nella cassa comune; 3,3 dal programma «Connecting Europe» di azione
sulle reti, Tic e no (33,2 miliardi di qui a fine decennio la dote
complessiva); 2,7 dal programma per la Ricerca, Horizon 2020 (78,6 miliardi).
L'aver sottratto i denari dai sogni dell'avvenire anima ricche polemiche. La
Lega delle Università Europee di Ricerca ha tuonato che la scienza «non è un
limone da spremere». (Fonte:
M Zatterin, La Stampa 16-12-2014)
RICERCA: STARTING
GRANT 2015
Il Consiglio Europeo della Ricerca ha pubblicato il bando
Starting Grants delle sovvenzioni rivolte al supporto di ricercatori di
eccellenza nella fase iniziale della propria carriera scientifica. I
ricercatori possono risiedere in qualsiasi parte del mondo, ma l’istituto
ospitante deve essere stabilito in uno Stato membro o associato dell’UE.
L’importo massimo assegnato è di € 1.500.000 per un
periodo di 5 anni; il Principal Investigator deve avere ottenuto il suo primo
dottorato di ricerca tra 2 e 7 anni antecedenti l’1 gennaio 2015.
La deadline è stata stabilita per il 3 febbraio 2015. Link
correlati www.horizon2020news.it/horizon-2020-bando-erc-starting-grant .
Quando vengono pubblicati i dati dei bandi ERC, è immancabile il confronto tra le performance dei diversi Paesi sulla base di classifiche per Paesi fornite dall’European Research Council. Molto spesso ci si trova però in imbarazzo, perché le classifiche sono due: quella dei ricercatori (principal investigators, PIs) e quella degli enti che ospiteranno i ricercatori vincitori e riceveranno quindi il contributo (host institutions, HIs).Guardando ai dati del bando Starting Grant 2014 c’è un vincitore chiaro – la Germania – che guida sia l’una (con 68 ricercatori) che l’altra classifica (con 70 enti ospitanti), con notevole distacco rispetto ai secondi, rispettivamente la Francia con 36 ricercatori e il Regno Unito con 55 enti. Ma a proposito di quest’ultima, come valutare la sua performance? Al secondo posto nella classifica della host institution, corrisponde un ben più magro ottavo posto dei ricercatori inglesi (13 proposte finanziate). Viceversa, guardando alle questioni di casa, l’Italia è terza per ricercatori finanziati (28), ma settima – assieme ad Austria e Danimarca – per enti finanziati (11).
Pare più utile prendere in considerazione entrambe le classifiche contemporaneamente, come evidenziato dal grafico che segue. Ovviamente il confronto è fatto solo relativamente ai Paesi dell’Unione Europea e Associati, gli unici ammissibili come sede degli enti ospitanti (ad eccezione degli organismi di ricerca di interesse europeo).
Grafico: Progetti finanziati
per Paese di nazionalità dei ricercatori e degli enti ospitanti (bando
ERC-StG-2014).
Il grafico
mostra chiaramente la posizione di leader incontrastato della Germania.
Evidenzia, inoltre, i casi di Regno Unito e Italia
che hanno performance di direzione opposta: la prima con forte capacità di
attrazione di progetti finanziati, la seconda – all’opposto – in grado di
esprimere ricercatori molto competitivi, ma non un tessuto istituzionale
all’altezza. Francia, Israele e Spagna sono il “gruppo inseguitore” della
Germania, usando una metafora ciclistica: mostrano una posizione equilibrata
tra le due direzioni e di leadership nell’ambito dello spazio europeo della
ricerca. Esiste poi il gruppo che chiude la corsa ai finanziamenti ERC. (Fonte:
A. Lorenzi 27-12-2014)
RICERCA. LO
SVILUPPO SCIENTIFICO FRENATO DAI TAGLI
L’Accademia europea per la scienza, che raggruppa una
parte ampia degli scienziati europei, ha inviato qualche settimana fa una
lettera aperta al Parlamento e alla Commissione europea. Gli scienziati
protestano contro il piano Juncker di investimenti: al fine di recuperare il
denaro necessario, sono stati decisi tagli ingentissimi a Orizzonte 2020, il
fondo europeo per la scienza. In una situazione, per giunta, in cui la spesa
europea per la ricerca scientifica è già oggi di quasi un punto in percentuale
al di sotto di quella degli Stati Uniti. La solita protesta corporativa contro
i tagli? Non proprio, se si considera che mentre si colpisce la ricerca scientifica
non si tocca la Pac, il baraccone protezionista della politica agricola
europea. La protesta dell’Accademia contro i tagli Ue alla ricerca segue di
poco, peraltro, l’allarme lanciato da diversi scienziati europei contro le
prevalenti politiche nazionali: politiche che ormai penalizzano gravemente la
ricerca di base (la vera fonte delle nuove conoscenze) a vantaggio della
ricerca applicata, la quale sola è passibile di impieghi economici immediati.
Molti forse pensano che questi problemi riguardino solo
gli addetti ai lavori e che, per giunta, in un’epoca di recessione economica,
non ci si possa permettere il lusso di dedicare fondi rilevanti alla ricerca
scientifica. Ma le cose sono più complicate. Perché i tagli alla ricerca,
diventando strutturali, e quindi permanenti, finiscono per favorire la
decadenza economica di un Paese, o anche di un Continente. Si rischia di non
accorgersene a causa dell’inevitabile sfasatura temporale: recuperare soldi
dalla ricerca per contrastare la recessione economica qui e ora è una
tentazione irresistibile dal momento che gli effetti negativi di quei tagli si
potranno sentire solo nel lungo termine (quando, per giunta, gli autori dei
tagli non saranno più lì, nelle posizioni che oggi occupano, per risponderne
politicamente). La «ricchezza delle nazioni», il benessere collettivo, dipende
da una pluralità di circostanze favorevoli, ma le due in assoluto più
importanti sono sicuramente l’esistenza di condizioni di libertà personale e,
appunto, lo sviluppo scientifico. Eliminate l’una o l’altra condizione e, alla
fine, il benessere svanirà. (Fonte:
A. Panebianco. CorSera 21-12-2014)
RICERCATORI TD.
RACCOMANDAZIONE DEL CUN PER LE COMMISSIONI GIUDICATRICI
A seguito della l. 240/2010 si è determinata una
situazione di estrema variabilità nelle procedure di reclutamento dei ricercatori.
Per questo motivo il CUN raccomanda che il Ministero, al fine di garantire
un’adeguata valutazione dei candidati, si adoperi, per quanto di competenza e
nel rispetto dei principî di autonomia delle Università, perché gli Atenei, nel
costituire le commissioni giudicatrici preposte alle procedure pubbliche di
selezione per la posizione di Ricercatore a Tempo Determinato (RTD),
assicurino, per ciascuna procedura di selezione, la presenza di commissari -
eventualmente anche di altri Atenei - afferenti al settore
scientifico-disciplinare o al settore concorsuale per il quale è stata avviata
la procedura. (Fonte: CUN, adunanza del 14-12-2014)
RICERCATORI. RICHIESTA DI UN COMMA AL 1000PROROGHE PER
RECLUTARE RICERCATORI TDI
Nel
Decreto Mille-proroghe 2015 ANIEF (Associazione professionale e sindacale)
chiede, all’articolo 6, di aggiungere il seguente comma (bozza):
“In
deroga all’articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, le Università
possono continuare ad attuare fino al 31 dicembre 2015 le procedure di
valutazione per il reclutamento dei ricercatori a tempo indeterminato come
disposte dai commi 3 e 5 della legge 9 gennaio 2009, n. 1. A tal fine, i
candidati in possesso del dottorato di ricerca o di un titolo riconosciuto
equipollente anche conseguito all’estero, con almeno tre anni di insegnamenti
universitari a contratto, con pubblicazioni di rilevanza anche internazionale,
che hanno ottenuto un assegno di ricerca della durata di almeno quarantotto
mesi anche non continuativi di cui all’articolo 51, comma 6, della legge 27
dicembre 1997, n. 449, (o di contratti a tempo determinato o di formazione,
retribuiti di collaborazione coordinata e continuativa, o a progetto, di
rapporti di collaborazione retribuita equipollenti ai precedenti presso
università o enti di ricerca della stessa durata), sono inseriti a domanda in
un albo nazionale dei ricercatori dalla comprovata esperienza in base al
settore scientifico-disciplinare di afferenza, che non dà diritto alla docenza
e rimane valido per un triennio, dietro valutazione dei titoli e dei curricula
scientifici e didattici posseduti. Conseguentemente, le Università, con
chiamata diretta, possono attingere dall’albo nazionale dei ricercatori dalla comprovata
esperienza per l’assunzione dei ricercatori a tempo indeterminato con modalità
da disciplinare con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca da emanare entro 60 giorni dalla data di conversione del presente
decreto”. (Fonte: orizzontescuola.it 05-01-2015)
RICERCA. NEL
METODO DELLA PEER REVIEW PIÙ PREGI CHE DIFETTI
La peer review consiste nel controllo della validità
scientifica generale, soprattutto metodologica, di un articolo da parte di
altri specialisti del settore, che sono all'oscuro dell'identità degli autori. Il
metodo della peer review adottato dalle principali riviste scientifiche per
dare il via libera alla pubblicazione è sostanzialmente efficace
nell'individuare i lavori validi, ma potrebbe incontrare difficoltà nel riconoscere
quelli eccezionali. E' questa la conclusione di tre ricercatori (Kyle Siler,
Kirby Lee e Lisa Bero, rispettivamente dell'Università di Toronto,
dell'Università della California a San Francisco e dell'Università di Sydney)
che hanno condotto una ricerca sistematica - ora pubblicata sui "Proceedings of
the National Academy of Sciences” - per valutare pregi e difetti di quel
metodo. (Fonte: lescienze.it
24-12-2014)
RICERCA. MOTIVI PER INVESTIRE NELLA RICERCA SCIENTICA
Perché
in un momento di crisi e di risorse !imitate, come quello che stiamo vivendo,
dovremmo investire nella ricerca
scientifica? L'importanza strategica della ricerca, e il ruolo chiave che
svolge per il benessere della società, della democrazia e del progresso, è un
dato acquisito e indiscusso in molti Paesi industrializzati e si traduce in
ingenti investimenti. Non in Italia, però, dove la spesa per ricerca e sviluppo
è inferiore all’1,3% del pil, valore ben lontano dal 3% fissato come obiettivo
dal Trattato di Lisbona del 2007 e che ci colloca agli ultimi posti e dietro
anche a molti Paesi in via di sviluppo. Eppure in Italia il contributo
economico del settore non-profit e in particolare delle «charities», come
l'Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, la Fondazione Veronesi e
Telethon, e in proporzione più elevato che nella maggior parte degli altri
Paesi. Al contrario, il livello di investimento privato nella ricerca e tra i
piu bassi del mondo industrializzato. Un'importante eccezione è rappresentata
dalle fondazioni di origine bancaria che utilizzano parte degli interessi sui
loro patrimoni per sostenere la ricerca e che potrebbero svolgere un ruolo
sempre più importante nel creare poli di eccellenza. Le imprese, poi, possono
svolgere anch’esse un ruolo chiave, finanziando progetti in aree di loro
interesse, purché garantiscano agli scienziati totale libertà e indipendenza.
Un modo per farlo è creare dei consorzi misti, che finanzino iniziative
selezionate da un comitato di ricercatori indipendenti: un esempio è in
Francia, con l'agenzia Anses e gli studi sui campi elettromagnetici.
Ritorniamo,
però, alla domanda iniziale e cerchiamo di capire perché ha senso investire nella
ricerca. Alla fine del secolo scorso il governo americano decise di lanciare lo
Human Genome Project (Hgp), investendo grandi risorse per determinare la
sequenza del genoma umano. Per l'impresa che sembrava ciclopica, Washington
spese più di 14 miliardi di dollari in valore attuale (cifra che comprende il
contributo originariamente stanziato e gli investimenti successivi per i
progetti di ricerca associati). Quali benefici economici sono scaturiti? Si
stima che solo in termini di ricchezza, generata dai risultati di Hgp per le
imprese di biotecnologia e per gli enti di ricerca americani, il ritorno sia
stato di almeno 50 volte l'investimento. A ciò va aggiunto il valore dell’aumento
della conoscenza nei campi della genetica e il miglioramento della salute
pubblica che, sebbene difficilmente quantificabili, sono verosimilmente ancora più
significativi. Nel 2013, poi, l'amministrazione Obama ha lanciato un progetto
pluriennale ancora più ambizioso, la «Brain initiative», che ha lo scopo di
studiare ogni minimo aspetto del funzionamento del cervello dei topi e di altri
animali per poi affrontare la sfida più affascinante: la comprensione del
cervello umano. L'investimento stanziato nel 2014 è stato di circa 100 milioni
di dollari, che cresceranno nei prossimi anni, attirando anche investimenti di
fondazioni ed enti privati, fino a una spesa totale prevista di circa 300
miliardi. (Fonte: G. Severi, La Stampa 07-01-2015)
RICERCA. COME PERDERE 1,6 MILIARDI IN 6 ANNI
A
fronte dei 4.7 miliardi di euro di contributo italiano al programma di sostegno alla ricerca dell'Unione Europea
«FP7» per il periodo 2007-2013 ne sono rientrati in Italia come progetti
finanziati solo 3.1 miliardi. Questa ingente perdita netta di 1.6 miliardi non
è causata dalla scarsa competenza e preparazione dei nostri ricercatori, che al
contrario si collocano mediamente al di sopra dei colleghi europei, secondo gli
indicatori di produttività scientifica. Parte del problema è che il numero dei
ricercatori che operano in Italia è meno della metà di quello dei colleghi in
Francia e nel Regno Unito. Se si parla spesso della «fuga dei cervelli», si
dovrebbe parlare anche della scarsa capacità del nostro Paese di attrarli, i
«cervelli». In Svizzera, Regno Unito, Olanda, Germania, e Canada la percentuale
di ricercatori che emigrano è superiore a quella dell'Italia, ma è compensata o
superata dalla percentuale di ricercatori che dall'estero arrivano in quei
Paesi per lavorare. I ricercatori, tanto più quelli migliori, si spostano dove
ci sono le condizioni più favorevoli e le infrastrutture adatte. È
fondamentale, dunque, crearle anche noi, queste condizioni, entrando finalmente
in competizione con gli altri Paesi. I nostri ricercatori non hanno bisogno di
essere «adottati». Hanno bisogno di opportunità di carriera chiare, stabili e
competitive dal punto di vista del salario, e di avere a disposizione risorse:
solo cosi potranno fare il proprio lavoro. (Fonte: G. Severi, La Stampa
07-01-2015)
STUDENTI
FONDO PER GIOVANI E MOBILITA' STUDENTI (FGMS). DM 976-2014
Con
decreto
ministeriale n. 976-2014 è stato disciplinato il Fondo per il sostegno dei
giovani e per favorire la mobilità degli studenti previsto dalla legge n.
170-2003. I criteri per la
ripartizione delle risorse del Fondo tra gli Atenei sono stati approvati con
decreto ministeriale n. 198 del 23 ottobre 2003 e vengono ora aggiornati, per
il triennio 2014-2016, dal decreto ministeriale n. 976-2014 alla luce delle
modifiche introdotte da dl n. 69-2013 relativamente al Fondo per il
finanziamento ordinario delle università statali. (Fonte: www.fasi.biz/it/finanza/23-notizie
13-01-2015)
STUDENTI. IL RAPPORTO ISTAT DEL 2014 QUANTIFICA LA SCELTA
DI PROSEGUIRE GLI STUDI DOPO LE SUPERIORI
Il passaggio dalla scuola secondaria all’università
(calcolato rapportando gli immatricolati all’università ai diplomati di scuola
secondaria superiore che hanno conseguito il titolo nello stesso anno solare) è
andato progressivamente riducendosi dopo la forte crescita negli anni di avvio
della riforma (72,6 immatricolati su 100 diplomati nel 2003/2004). Nell’anno
accademico 2012/2013 è al 55,7 per cento, con i valori più alti per i residenti
nelle regioni del Nord-ovest e in quelle del Centro (entrambe 60,2). È quanto
si legge nell’Annuario statistico 2014 dell’Istat. Chi si iscrive per la prima
volta si indirizza verso i corsi di primo livello di durata triennale (83,8%)
mentre il restante 16,2% si orienta verso i corsi di laurea magistrale a ciclo
unico. La popolazione universitaria è composta da 1.709.407 studenti, in lieve
flessione rispetto all’anno accademico precedente (-2,4%).
Le regioni con maggiore numero di studenti – La
partecipazione agli studi universitari risulta particolarmente alta fra i
giovani residenti in Abruzzo, Basilicata e Molise (rispettivamente pari a 51,8,
51,2 e 50,3%). Coinvolge maggiormente i diplomati dei licei: fra questi, sei su
dieci si dichiarano studenti a tempo pieno contro meno del 20% dei diplomati
degli istituti tecnici e il 6,7% di quelli degli istituti professionali.
Si scelgono le lauree brevi – Nel 2012 circa 297.000
studenti sono arrivati al traguardo della laurea (o del diploma universitario),
circa 1.400 in meno rispetto all’anno precedente (-0,5%). Le donne sono più
propense a proseguire gli studi oltre la scuola secondaria (le diplomate che si
iscrivono a un corso universitario sono circa 62 su 100, i diplomati appena 50)
e pure a portare a termine il percorso accademico. Infatti, tra i laureati
triennali e a ciclo unico (ossia tra coloro che hanno conseguito almeno un
titolo di formazione universitaria), il tasso di conseguimento della laurea
(laureati per 100 venticinquenni) è al 37,6% per le ragazze e al 25,2 per i
coetanei.
Fra coloro che hanno concluso percorsi “lunghi” (corsi di
durata da quattro a sei anni e lauree specialistiche biennali) le laureate sono
24,1 ogni 100 venticinquenni e i laureati 15,7 ogni 100. (Fonte 27-12-2014)
STUDENTI.
ISCRIZIONI IN CALO
L'università italiana: un sistema sempre più
territorialmente connotato. Tra il 2008 e il 2013 gli iscritti alle università
statali sono diminuiti del 7,2% e gli immatricolati del 13,6%. L'andamento
decrescente ha interessato tutti gli atenei tranne quelli del Nord-Ovest, dove
gli iscritti sono aumentati del 4,1% e gli immatricolati dell'1,3%. Nelle
università del Nord-Est la contrazione dell'utenza è stata più contenuta: -2,3%
di iscritti e -5,9% di immatricolati. Al Centro il numero degli studenti
iscritti si è contratto del 12,1% e quello degli immatricolati del 18,3%. Negli
atenei meridionali rispettivamente dell'11,6% e del 22,5%. L'ulteriore
contrazione dell'indice di attrattività degli atenei meridionali conferma la
presenza di criticità strutturali note, inserite nell'ambito di contesti
territoriali segnati da derive di sottosviluppo economico di lungo periodo.
Aumenta l'incidenza delle tasse di iscrizione sul totale delle entrate delle
università italiane: da un valore intorno all'11% dei primi anni 2000, le
entrate contributive si attestano al 13% nel 2010, per poi raggiungere nel 2012
quota 13,7%. I dati disaggregati per ripartizione territoriale indicano una
separazione netta nel tempo degli andamenti delle entrate contributive tra le
università settentrionali, da un lato, e quelle centrali e meridionali,
dall'altro. Le prime si pongono al di sopra delle medie nazionali e oltre la
soglia del 15% sia nel 2011, sia nel 2012; le seconde, invece, al di sotto.
(Fonte: Il capitolo «Processi formativi» del 48° Rapporto Censis sulla situazione
sociale del Paese/2014)
TEST DI AMMISSIONE A MEDICINA. LA GIUNTA CRUI SI RIVOLGE
AL MINISTRO
La
situazione venutasi a determinare nelle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia,
a seguito delle pronunce della Magistratura amministrativa in accoglimento dei
numerosissimi ricorsi presentati avverso gli esiti dei test di ammissione al
corso di laurea a ciclo unico in Medicina e Chirurgia, è del tutto
insostenibile e pregiudica il regolare avvio dell’anno accademico. Di ciò
hanno già documentato i Presidenti di Consiglio di corso di laurea magistrale
in Medicina e Chirurgia.
In
secondo luogo, le innovate modalità di selezione alle Scuole di
Specializzazione post-lauream, hanno determinato più di qualche criticità, a
tutt’oggi imprevedibile nelle possibili conseguenze.
Come
premessa per un intervento tanto nelle condizioni di accesso al corso di laurea
in Medicina e Chirurgia quanto alle Scuole di Specializzazione, occorre che
siano chiari i fabbisogni e le risorse e che su questa base siano determinate
le relative demografie. Questo deve essere svolto di concerto con il Servizio
Sanitario Nazionale e con il Ministro della Salute. Da anni le domande di
accesso ai corsi in parola superano le relative offerte, tanto di posti quanto
di borse. Per questo è indispensabile un percorso di selezione ispirato a
criteri rigorosamente meritocratici. (Fonte: lettera della CRUI al ministro
Giannini 12-11-2014)
STUDENTI. PASSO INDIETRO DEL MINISTRO SULLA PROPOSTA DEL
C.D. SISTEMA FRANCESE PER L’ACCESSO A MEDICINA
“Non
ho mai nascosto la mia personale opinione in merito, meglio sarebbe un sistema
inizialmente
più aperto, che permetta di monitorare tutti gli aspiranti medici lungo tutto
il primo anno di corso (oppure di un semestre), per poi selezionare secondo il
fabbisogno (quindi fermo restando il sacrosanto principio di un necessario e
ineliminabile numero programmato) dopo 12 mesi, tramite una prova conclusiva
nazionale. Così fanno i francesi, garantendo a chi non rientra nella quota programmata
passerelle adeguate su altri corsi di laurea. Ma si tratta di un eventuale
obiettivo a regime, quando la domanda di studio in Medicina sarà rientrata nei
limiti della normalità (non lo è con i 100.000 potenziali iscritti che
renderebbero ingestibile e bloccato il processo formativo nelle nostre
università). Quindi si deve subito provvedere alla presentazione di un setting
credibile e strutturato di prove di accesso, meglio sarebbe se preceduto da
un'attività propedeutica organizzata dagli atenei italiani”. (Da lettera del
ministro Giannini al direttore de Il Mattino 14-12-2014)
TEST A MEDICINA.
DANNO OGGETTIVO E SOGGETTIVO DELLE AMMISSIONI GIUDIZIARIE
La questione dei ricorsi al Tar contro i test di
ammissione ai corsi di laurea in Medicina e di quelli più recenti riguardanti
l'ammissione alle Scuole di specializzazione, è diventata insostenibile per il
MIUR e le università italiane. I cinquemila studenti ammessi dai giudici
amministrativi in aggiunta ai diecimila previsti hanno comportato un danno
oggettivo e soggettivo a tutti gli studenti ammessi regolarmente in quanto
classificati ai primi posti della graduatoria unica nazionale: oggettivo, in
quanto gli atenei sono andati in tilt a causa dell'enorme numero di
immatricolati, soggettivo perché sono
entrati studenti con punteggi molto bassi, creando un senso di palese
ingiustizia nei confronti dei primi in classifica. Le ammissioni in
sovrannumero hanno creato nuovi disagi: inizio dei corsi rinviato, aule
stracolme, lezioni in videoconferenza. (Fonte: Redazione rivistauniversitas
novembre 2014)
TEST PER
L’AMMISSIONE A MEDICINA A SETTEMBRE ED ESAME DI MATURITÀ IMMUTATO
L'intenzione del MIUR è di affidare la preparazione alle
prove di ammissione a Medicina direttamente alle università: «Tre mesi di corso
sui test affidati al pubblico e sottratti al privato — dice il sottosegretario
Faraone —, con domande più specializzate, legate a materie specifiche e meno
generaliste, questo per rendere la selezione più oggettiva in modo da non
lasciare spazio a ricorsi». «Il test di medicina si farà anche quest'anno e
sarà in settembre». E dal 2016 la preparazione comincerà prima, «bisogna creare
un orientamento già dalle scuole superiori, negli ultimi anni, che si aggiunga
al corso preparatorio per arrivare al test d'ingresso». Il numero chiuso?
«Continuerà a esserci — afferma Faraone — e di anno in anno si valuterà la
situazione con il ministero della Salute».
Non cambia, per il 2015, neanche l'esame di maturità
(«non vogliamo destabilizzazioni durante l'anno scolastico») e Faraone conferma
la presenza dei commissari esterni all'esame: «La mia linea è mantenerli anche
in futuro, soprattutto pensando alle scuole private. Non si può lasciare che i
membri delle commissioni siano tutti docenti interni». (Fonte: CorSera
22-12-2014)
STUDENTI. TEST D’INGRESSO PER MEDICINA A SETTEMBRE. GLI ATENEI SARANNO CHIAMATI AD ORGANIZZARE CORSI DI
PREPARAZIONE AI TEST
Test d’ingresso per Medicina
nella prima decade di settembre «auspicabilmente anticipato da una preparazione
più mirata alle prove che gli atenei si sono detti disponibili a organizzare».
Lo ha annunciato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, nel corso di
un’audizione presso le commissioni riunite Cultura e Affari sociali. Nei mesi estivi,
e questa è una grande novità, gli atenei saranno chiamati ad organizzare corsi
di preparazione ai test di Medicina (e Odontoiatria) con costi decisamente
inferiori (o addirittura gratis) rispetto a quelli proposti dalle società
private, che si aggirano attorno ai 4mila, ma che possono arrivare anche a
8mila euro, per l'intera preparazione. Molti atenei, in questi ultimi anni, si
sono, infatti, dotati di strutture dedicate per seguire gli studenti in
ingresso nella preparazione ai test delle facoltà a numero chiuso. E non dovrebbe
essere difficile organizzare nei mesi estivi questi corsi. Un altro punto che
dovrebbe ridurre la "fortuna" e premiare i migliori è quello di
fornire in anticipo agli aspiranti medici una bibliografia di testi consigliati
su cui basare la preparazione.
Le
domande del test verteranno su argomenti contenuti nei testi consigliati. Per
questa ragione la prova dovrebbe anche vedere delle modifiche sulle materie.
Resteranno le domande di Fisica, Matematica, Biologia e Chimica. Potrebbero
sparire quelle di cultura generale e forse anche quelle di logica. E come ormai
avviene per molti test di ammissione in altre facoltà, il nuovo test potrebbe
contenere domande di Inglese. L'ultima novità, quella più in bilico, mira a
ridurre l'enorme contenzioso che negli ultimi anni si è sviluppato intorno al
test di Medicina e che solo quest'anno ha prodotto quasi 6mila immatricolati
"con riserva", pari al 60 per cento dei 10mila previsti dal bando
iniziale. Per tutte le altre facoltà a numero programmato nazionale (Medicina Veterinaria,
Architettura, Scienze della formazione e Professioni sanitarie) per il momento,
resterà tutto come l'anno passato. Stesso discorso per le altre facoltà
dell'ambito medico-scientifico: Biologia, Farmacia, Biotecnologie. (Fonte: S.
Intravaia, La Repubblica 08-01-2015. Corsera Università 13-01-2015)
NELLE ACCADEMIE 6 STUDENTI SU 10 SONO CINESI
La
notizia è riportata da La Stampa che continua l’articolo dicendo che nell’anno
accademico 2012/2013 gli studenti in arrivo da Pechino, Shanghai e dintorni
rappresentavano già più della metà del totale, 1968 su 3757. Lo scorso anno
scolastico sono aumentati ancora: 2885 su un totale di 4581: in pratica 6
studenti su 10 nelle Accademie sono cinesi. Sarà il richiamo dell’arte
italiana, saranno i programmi, come il Progetto Turandot, che rendono più
facile ottenere il visto d’ingresso per chi vuole studiare in Italia, il
risultato è che la situazione sta esplodendo e le Accademie hanno più volte
chiesto aiuto al Miur. Dal Ministero promettono di intervenire entro l’anno con
un rapporto che dovrà rivoluzionare il settore, ma nel frattempo bisogna
gestire l’assalto degli studenti cinesi. E non è semplice. C’è innanzitutto un
problema di didattica. Gli studenti cinesi fanno fatica a capire l’italiano
elementare, figuriamoci una lezione sulle tecniche di restauro o sulle
differenze tra il barocco di Borromini e quello di Bernini. Le Accademie sono
state costrette a introdurre un esame di italiano come prerequisito per l’ammissione.
A Firenze questo vuol dire aver ridotto del 50% gli studenti cinesi. E anche a
Roma è stata una strage: 20 ammessi su oltre cento che ci hanno provato.
(Fonte: tecnica della scuola 23-11-2014)
TASSE UNIVERSITARIE. DISOMOGENEITÀ DEI SISTEMI IN EUROPA
La
disomogeneità dei sistemi di tasse universitarie in Europa è evidenziata da una
ricerca della Commissione europea nel rapporto “National Student Fee and Support Systems in European Higher Education
2014/15”, di recente pubblicazione. L’indagine, che prende in
considerazione come e quando tasse, borse di studio e prestiti vengono imposti
o erogati, rivela una situazione molto eterogenea nelle 36 nazioni prese in
esame (il Regno Unito viene suddiviso nei quattro paesi che lo compongono). Se
il sistema inglese rappresenta il caso limite, con le tasse più alte e
l’assenza di esenzioni complete, anche l’Italia rientra nel gruppo in cui per
studiare si spendono le cifre più alte. Nell’intervallo fra i 1.000 e i 5.000
euro, oltre al nostro Paese, il rapporto segnala la Spagna, la Slovenia, la Lettonia,
l’Olanda, il Galles, l’Irlanda, la Romania, la Lituania e l’Ungheria. In queste
ultime due nazioni, però, le esenzioni sono talmente diffuse che la maggior
parte degli studenti non paga nulla, o quasi; e in Slovenia, in realtà, solo
gli studenti part-time e gli extra comunitari devono sborsare denaro per
frequentare l’università.
Lo
scorso anno accademico l’Estonia ha rivoluzionato il proprio sistema di
tassazione universitaria, collegandolo direttamente al profitto e consentendo
la totale esenzione al raggiungimento di un minimo di crediti.
L’Italia
si distingue anche nel confronto con molti stati europei particolarmente “virtuosi”,
in cui l’istruzione terziaria è completamente gratuita, o quasi. Basta guardare
oltre confine, in Germania, dove anche l’ultimo dei Länder ha abolito le tasse
per il 2014/2015; o in Austria, dove tutti gli studenti europei studiano
gratuitamente, a meno che non vadano fuori corso per più di un anno. Ma, stando
a quanto riporta l’indagine della Comunità europea, non si sborsa un quattrino
nemmeno in Turchia, in Grecia, in Danimarca, nella già citata Scozia e in tutta
la penisola scandinava. Non solo, in Finlandia, oltre a non pagare un euro,
tutti gli universitari che hanno collezionato un numero di crediti minimo hanno
diritto a un assegno di mantenimento che può raggiungere i 335 euro al mese, al
quale si aggiunge un supplemento per coprire parte dell’affitto. Non è molto
diversa la situazione in Svezia, dove è riservato un occhio di riguardo agli
studenti con figli, come pure in Norvegia. (Fonte: C. Mazzella, IlBo
25-11-2014)
BORSE DI STUDIO. POTREBBERO ESSERE 46.167 GLI STUDENTI
MERITEVOLI MA SENZA BORSA
Il
Dpcm che stanzia le risorse statali per il cosiddetto «Fondo di intervento
integrativo» - per l'esattezza 162,666 milioni - e li divide tra le Regioni ha
avuto il via libera nei giorni scorsi. Fondi, questi, che uniti a quelli
regionali e ai contribuiti in arrivo dalle tasse universitarie puntano a
garantire un aiuto economico agli studenti bisognosi e meritevoli (bisogna
essere in regola con gli esami): in tutto per quest’anno ci sono poco meno di
400 milioni. Risorse sufficienti? È la stessa relazione al decreto a mettere il
dito nella piaga: «Si evidenzia che gli studenti risultati idonei, che per
indisponibilità di risorse non ottengono i benefici, sono ancora in numero
elevato». Per l’esattezza su 179.284 idonei i beneficiari reali delle borse
sono - in base alle disponibilità - 133.117: si tratta di «una percentuale di
soddisfazione - avverte ancora il decreto - pari al 74,25%». Un dato in
allarmante aumento rispetto all'anno accademico precedente quando questa
percentuale era stata del 79,75% e gli studenti esclusi dai benefici erano
stati “soltanto” poco più di 30mila. Oggi invece potrebbero schizzare alla
cifra di 46.167 gli studenti meritevoli, ma senza borsa. A complicare le cose
quest’anno c’è anche il fatto che i fondi per il diritto allo studio - come
prevede il decreto Sblocca Italia da poco varato - rientrano per la prima volta
nel patto di stabilità interno. Cosa che potrebbe mettere a rischio parte di
queste risorse soprattutto nelle Regioni con i conti più traballanti. (Fonte.
M. Bartoloni, IlSole24Ore 02-12-2014)
STUDENTI. RIENTRANO GLI ITALIANI D'ALBANIA, BOCCIATI GLI
ABRUZZESI
Due
mesi fa, i ragazzi rientrati nel 2009 dalla Romania per studiare medicina
all'Aquila nonostante i rischi del dopo-terremoto si sono visti annullare il
percorso universitario, mentre oggi ottengono il via libera gli studenti che
hanno chiesto di spostarsi da Tirana a Tor Vergata, mettendo fine alla loro
esperienza di aspiranti medici in Albania per quella decisamente meno scomoda
di universitari a Roma. Il caos che provocano tali sentenze contrastanti non è
solo materia di avvocati e di magistrati perché tocca le vite e le speranze dei
giovani medici e la serietà del sistema Italia: in 7mila hanno vinto i ricorsi
in Italia e in 10mila potrebbero arrivare dall'estero per il buco nella diga
aperto dalla sentenza sul caso di Tirana. Tanti aspiranti medici in più mentre
quelli che si sono laureati a L'Aquila sfidando la paura del sisma si sono
visti cancellare il titolo. (Fonte: M. Esposito, Il Mattino 09-12-2014)
STUDENTI. LE OCCUPAZIONI DELLE SCUOLE PIACCIONO AL
VICEMINISTRO. PUÒ
UN’OCCUPAZIONE ESSERE ILLEGALE E INSIEME EDUCATIVA?
Gli
studenti si agitano in molte scuole del paese: cortei, okkupazioni, graffiti,
vandalismi. Per fini nobili, dicono: vogliamo difendere il diritto allo studio
(ma intanto lo impediscono anche a chi vorrebbe studiare), vogliamo sollecitare
l'occupazione giovanile (che non ci sarà senza giovani preparati). Intanto
okkupano, la chiamano «autogestione». Che fanno le supreme autorità del
Ministero? La ministra preferisce tacere; non così il viceministro, Davide
Faraone. Nelle sue dichiarazioni a «La Stampa» Faraone ha detto chiaro: «Le
occupazioni sono illegali, ma servono alla democrazia. Sono lotte all'apatia.
In esse si seleziona la classe dirigente. Anch'io da studente ho occupato il
mio istituto tecnico e vi ho trovato la vocazione politica». Non è mancato
l'appello romantico ai sacchi a pelo: «Rendevano le classi calde e umane,
quanti amori consumati e quante anime gemelle trovate!». E ha concluso: «Le occupazioni scolastiche sono esperienze di grande
partecipazione democratica che ricordo con piacere e in alcuni casi sono più
formative di ore passate in classe».
Come
possa un’occupazione essere illegale e insieme altamente educativa, lo sa solo
Faraone. A correggere quelle affermazioni non è intervenuto neppure il ministro
dell'Istruzione. Ma sottosegretario e ministro dovrebbero almeno saperne un po'
di più di partecipazione e di democrazia: sanno quanto lavoro fanno molti
dirigenti e docenti per formare i giovani alla legalità, al rispetto delle
regole, alla convivenza ordinata e rispettosa di maggioranza e minoranza?
Mentre tv e giornali ci raccontano ogni giorno di scandali, questi due signori
dicono e lasciano dire che il confine tra legalità e illegalità in certi casi è
soggettivo e discutibile. (Fonte: Il
Gazzettino 09-12-2014)
STUDIARE CON I
PROFESSORI MIGLIORI. SECONDO UNA RICERCA FA GUADAGNARE DI PIÙ
Studiare con i professori migliori sarebbe, secondo una
recente ricerca pubblicata dalla Banca d’Italia, la chiave per guadagnare di
più una volta laureati. Se a qualcuno questo può sembrare ovvio, perché i
docenti più preparati formano laureati più preparati (e quindi più ambiti e più
pagati), non è altrettanto ovvio quanto questo vantaggio “pesi”. Si tratta di
un plus pari al 5,5 per cento sul salario d’ingresso nel mondo del lavoro, che
in euro fanno circa 1000 euro lordi l’anno in più.
La ricerca, dal titolo “The academic and labor market
returns of university professor” (cioè “Il ritorno accademico e sul mercato del
lavoro dei professori universitari”), è stata condotta da Michela Braga della
Bocconi, Marco Paccagnella dell’Ocse e Michele Pellizzari dell’Università di
Ginevra, i quali hanno anche quantificato l’impatto positivo sui voti
dell’essere allievi dei professori migliori. Chi segue le lezioni dei docenti
più efficaci ottiene un aumento della media dei voti pari solo allo 0,6 per
cento. Ciò significa che l’influenza dei professori migliori è sensibilmente
più alta sul piano economico, che non su quello accademico. Per elaborare
questo studio, sono stati presi come riferimento 230 docenti e 1.200 studenti
della Bocconi, iscritti come matricole nell’anno accademico 1998-1999. I dati
relativi agli stipendi dei laureati sono stati desunti dalle dichiarazioni dei
redditi del 2004 e incrociati con altri forniti dall’ateneo riguardanti il
curriculum accademico e la media degli esami. (Fonte: universita.it 21-12-2014)
DODICI MILIONI DI EURO IN AGGIUNTA PER I PROGETTI ERASMUS
NEGLI ATENEI ITALIANI
Dodici
milioni di euro in più per l'Italia da spendere nei progetti Erasmus, il
programma europeo che consente a studenti e docenti delle università europee di
realizzare un periodo di studi o docenza all'estero. L'annuncio arriva dall'Agenzia Erasmus+ Indire, che ieri
e oggi ha promosso un convegno sul tema alla presenza dei rappresentanti del
mondo accademico italiano. «L'obiettivo del programma - spiega Sara Pagliai,
coordinatrice dell'Agenzia Erasmus+ Indire - è attrarre studenti e docenti
verso le università europee, sostenendole nella competizione con il mercato
mondiale dell'istruzione superiore e allo stesso tempo ampliare il raggio di
destinazioni possibili per gli studenti e i docenti d'Europa con un'apertura
verso il resto del mondo». Il programma Erasmus è nato nel 1987 e in questi 28
anni di attività ha visto la partecipazione di circa tre milioni di giovani
europei. L’obiettivo è ora di ampliare lo sguardo anche oltre il confine del
Vecchio Continente. (Fonte: E.Le., Avvenire 16-01-2015)
VARIE
SISTEMA DI AUTOVALUTAZIONE. RESA NOTA UNA RELAZIONE
COMMISSIONATA DAL PRECEDENTE MINISTRO
La Relazione finale relativa a “Proposte operative in materia di potenziamento del sistema di
autovalutazione della qualità e dell’efficacia delle attività didattiche e di
ricerca delle università, dell’accreditamento iniziale e periodico delle sedi
e dei corsi di studio universitari e della valutazione periodica della
qualità, dell’efficienza e dei risultati conseguiti dagli atenei”,
predisposta da una Commissione (allo scopo nominata con decreto del Ministro
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca del 3 luglio 2013, n. 596) e
finora non resa pubblica, è stata resa di pubblico dominio da Roars il 22
dicembre grazie alla cortesia dei membri della Commissione. Dalle conclusioni
della relazione finale si stralciano i
seguenti passi:
L’impianto prevalentemente autorizzativo del D.M.
47/2013, basato su accreditamenti concessi in base a criteri numerici applicati
in maniera meccanica e generalizzata, e indipendentemente dal contesto in cui
andranno a operare e dai risultati ottenuti, ha già dimostrato di produrre,
come era prevedibile, un effetto di ridimensionamento dell’offerta didattica
universitaria, in larga misura indipendente dalla qualità del servizio formativo
erogato. L’insistenza su vincoli numerici definiti a priori, che non tengano
conto delle situazioni specifiche delle università – le quali, a causa di
vincoli finanziari e legislativi esterni, non sono in grado, se non in minima
parte, di indirizzare il proprio sviluppo con scelte culturali consapevoli –
porterà prevedibilmente alla chiusura di corsi di studio validi e molto
frequentati in modo del tutto indipendente dalla qualità effettiva
dell’offerta formativa, nonché all’introduzione forzata del numero programmato
anche in corsi di studio dei cui laureati il paese ha grande necessità. Una
valutazione seria e generalizzata dei corsi di studio proposti e dei risultati
ottenuti, ovviamente necessaria a garanzia della qualità complessiva dell’offerta
formativa, non può basarsi su un modello autorizzativo basato su vincoli
numerici, quale è nella sostanza esclusivamente il modello contemplato nel
d.m. 47/2013, e deve invece articolarsi in formule di valutazione e controllo
che valorizzino e sollecitino la responsabilità dei singoli atenei.
L’attività formativa delle università va valutata sulla base dei risultati
conseguiti, in termini di efficacia e di efficienza, e non sulla proiezione
astratta delle sue teoriche potenzialità.
Gli obiettivi ai quali la Commissione ritiene che ci si
debba orientare devono ispirarsi ai processi di valutazione consolidati nei
paesi OCSE più avanzati, che appunto prediligono la valutazione a posteriori e
la misura dei risultati raggiunti, sia in assoluto sia in relazione ai
parametri che gli atenei si erano dati. La Commissione, pur consapevole delle
attuali ristrettezze di bilancio e della scarsezza delle risorse disponibili,
si sente in dovere di mettere in guardia dal rischio che la pur comprensibile preoccupazione per i costi possa
ridurre l’intero processo di valutazione a un inutile percorso burocratico,
improntato a tecnicismo numerico e a metodi di controllo formali che non
consentirebbero di entrare nel merito dell’effettiva qualità dei singoli corsi
di studio. Mentre la qualità delle iniziative formative, lo si ripete, può
essere seriamente ed efficacemente valutata solo attraverso procedure
articolate, idonee a cogliere la consistenza e la portata sostanziale delle
iniziative formative valutate e che contemplino anche la visita in loco da
parte di commissioni di esperti e competenti valutatori. (Fonte: http://tinyurl.com/oxqkmaw
22-12-2014)
UNIVERSITÀ. MANCATE SOLUZIONI BIPARTISAN
Lo
sfascio del sistema della ricerca e della formazione superiore non ha un colore
politico: è uno straordinario esempio di collaborazione bipartisan. Nella
genesi e mancata soluzione dei tre principali problemi che impediscono agli
atenei oggi di essere realmente competitivi sul piano internazionale (una
penuria cronica di risorse, un corpo docente e ricercatore invecchiato,
selezionato in anni passati con criteri quantomeno discutibili e il mancato
ricambio generazionale) i governi di area ex PCI hanno almeno tanta
responsabilità quanto quelli di berlusconiani e soci. Il nome di Luigi
Berlinguer (ministro della Pubblica istruzione dal 1996 al 2000) è legato
soprattutto a una riforma dei concorsi universitari (il cosiddetto sistema
“delle terne”) che ebbe come risultato principale quello di favorire la
promozione in massa alle posizioni apicali della gerarchia universitaria. Si
può discutere sulla selettività di questa nobilitazione collettiva, ma quel che
è certo è che la moltiplicazione dei posti da ordinario e associato creò una
saturazione tale da bloccare il sistema per molti anni, impedendo, di fatto,
l’ingresso nei ruoli di un’intera generazione di ricercatori. La legge 3 luglio
1998 n. 210 è l’equivalente universitario delle politiche di debito pubblico
dei governi degli anni Settanta e Ottanta: un simpatico macigno regalato alle
generazioni successive in nome del benessere immediato. (Fonte: N. Novelli, www.mentepolitica.it
18-11-2014)
PER IL RILANCIO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO. LETTERA A
RENZI
II
rettore dell’università di Pisa, Massimo Augello, in una lettera aperta a Renzi
non nasconde le preoccupazioni: «Il rilancio del sistema universitario potrebbe
fare da motore della ripresa economica del Paese: difficilmente, infatti, ci
potrà essere sviluppo stabile senza buona ricerca ed efficaci politiche di
trasferimento tecnologico verso il sistema economico, così come non potremo
dare migliori prospettive occupazionali ai nostri ragazzi senza potenziare i
percorsi educativi e i collegamenti tra formazione e lavoro. Al contrario,
negli ultimi anni l'università ha subìto un brusco ridimensionamento, con la
perdita di circa 10.000 docenti e ricercatori e la diminuzione dei
finanziamenti pubblici di più un miliardo di euro sui sette complessivi. Di
fatto, l'Italia è tra le nazioni che investono meno in questo settore, con una
spesa pubblica che è circa metà di quella inglese e un terzo di quelle tedesca
e francese. La Conferenza dei rettori denuncia da tempo questa situazione».
(Fonte: italiaoggi.it 06-01-2015)
LA RIORGANIZZAZIONE DEL MIBACT (MINISTRO DEI BENI E DELLE
ATTIVITA CULTURALI E DEL TURISMO)
La
riorganizzazione del Mibact (Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del
Turismo) ha riequilibrato il numero di posizioni dirigenziali previste per i
nostri 3 tipi di istituti della cultura (archivi, biblioteche e musei). Dopo la
riforma, Archivi e Biblioteche avranno 27 dirigenti su un totale di 148
istituti, i musei 34 su un totale di oltre 400. Come mostra il semplice
confronto numerico, nessuna penalizzazione, ma solo un parziale riequilibrio.
Negli atti della riforma vi sono invece norme che riconoscono l'autonomia
tecnico-scientifica di tutti gli istituti della cultura, li dotano di un’apposita
Direzione generale centrale e aumentano i poteri dei direttori (siano essi
funzionari o dirigenti). Sono stati mantenuti tutti gli istituti centrali. Si
sono tutelate le rispettive specificità. La direzione delle biblioteche sarà
perciò affidata agli stessi bravi, anzi bravissimi, funzionari bibliotecari che
fino a oggi hanno retto la maggior parte delle 46 biblioteche statali.
Funzionari che è mia intenzione valorizzare, cosi da non pregiudicare alcun
percorso di carriera. Il rango di uffici periferici del Ministero è quello che
le biblioteche hanno sempre avuto; anzi, la riforma le sottrae al rapporto
gerarchico con le Direzioni regionali e le riconduce direttamente alla
Direzione generale Biblioteche. I «vari» accorpamenti denunciati, se e ove
avverranno, saranno compiuti esclusivamente per migliorare la fruizione e la
valorizzazione del patrimonio culturale e in coerenza con ragioni di carattere
storico, artistico, architettonico o culturale. L’eventuale creazione di «poli
bibliotecari» potrà avvenire solo se utile a migliorare l'andamento degli
istituti. (Fonte: D. Franceschini, ministro dei Beni e delle Attività Culturali
e del Turismo, CorSera 01-12-2014)
LE 12 SCOPERTE
SCIENTIFICHE PIÙ IMPORTANTI DEL 2014 SECONDO NEXTMEGUARDAVANTI
Gennaio 2014. Aquacell, la pila green che si attiva e
ricarica con l’acqua
Febbraio 2014. Ritrovata la più antica piramide d'Egitto
Marzo 2014. Creato il primo cromosoma sintetico
Aprile 2014. Nasce l’emielica, una nuova forma geometrica
Maggio 2014. Create le nanobatterie che ricaricano i
pacemaker via wireless
Giugno 2014. Creati i primi spermatozoi robot
Luglio 2014. Pronte piastrine in laboratorio trasfusione
nel 2017
Agosto 2014. Il motore spaziale senza carburante
Settembre 2014. La prima vertebra artificiale impiantata
su un bambino malato di cancro
Ottobre 2014. Nasce 3D BioPrinting, la penna che
ricostruisce le ossa
Novembre 2014. In Gran Bretagna i bus alimentati dalle
feci
Dicembre 2014. Due nuovi cuori artificiali pediatrici.
(Fonte: R. De Carolis, nextme.it 02-01-2015)
NELLE UNIVERSITÀ, A
SCUOLA, NELLE REDAZIONI GIORNALISTICHE, NELLE CASE EDITRICI…SI RIPETE “NON
SANNO SCRIVERE”
Chi opera
nel settore della cultura, dell’editoria, della letteratura, della saggistica,
del giornalismo, si trova di fronte a testi sgrammaticati, disordinati,
sconnessi, eppure scritti proprio da chi poi dovrebbe intraprendere un percorso
professionale o addirittura artistico. E, anche quando non si arriva agli
errori ortografici, manca il rispetto elementare della strutturazione dei
testi, della loro specificità, delle citazioni, delle regole bibliografiche. A
tutto questo si aggiunga l’arroganza, la supponenza, la mancanza di volontà di
imparare, l’indisciplina mentale. A chi attribuire le responsabilità? Ormai
tanti sono stati gli interventi al riguardo. Sul banco degli imputati salgono
di volta in volta la scuola, la famiglia, la società, l’uso incontrollato dei
nuovi media, ecc., ecc. Più nel dettaglio: classi numerose (oltre trenta alunni
per aula); troppi allievi di origine straniera e di disabili per classe;
insegnanti stressati, malpagati, demotivati, schiacciati da folli adempimenti
burocratici; il linguaggio invalso, scorretto, di sms, e-mail, social network;
in famiglia mancanza dell’amore per la lettura e per la cultura; genitori che
inseguono le mode consumistiche, ecc., ecc. E, poi, gli scaricabarile, per cui
i docenti delle scuole superiori accusano quelli delle medie; i docenti
universitari le scuole superiori; gli psicologi le famiglie, troppo assenti e
permissive; le famiglie i modelli sociali imposti dall’alto; tutti la Rete (con
annessi Facebook, YouTube e… persino Wikipedia), i videogame, la Tv-spazzatura
e…il malcostume politico. Che i giovani studenti avessero già da tempo
difficoltà nella ricerca scientifica, nel rispettare le regole redazionali e
nel compilare in modo accurato una tesi di laurea o un saggio, è testimoniato
dalla pubblicazione, nell’ormai lontano 1977, del celebre saggio di Umberto Eco
su Come si fa una tesi di laurea. (Fonte: R. Tripodi, LucidaMente gennaio 2015)
ELEZIONI
PER IL PARZIALE RINNOVO DEL CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE
Dal 20 al 29 gennaio 2015 si
svolgeranno le elezioni per il parziale rinnovo del Consiglio
Universitario Nazionale. Le votazioni riguarderanno le aree: 03 - Scienze
Chimiche; 05 - Scienze Biologiche; 07 - Scienze Agrarie e Veterinarie; 09
- Ingegneria industriale e dell’informazione; 10 - Scienze
dell’antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche; 12 - Scienze
Giuridiche; 13 - Scienze economiche e statistiche; 14 - Scienze Politiche
e Sociali. Sono da eleggere:
8 professori di I fascia delle
aree 03, 05, 07, 09, 10, 12, 13 e 14;
7 professori di II fascia
delle aree 03, 05, 07, 09, 10, 12, 13;
7 ricercatori universitari,
anche a t.det., delle aree 03, 05, 07, 09, 10, 12, 13;
3 rappresentanti del personale
tecnico ed amministrativo.
ATENEI. IT
PROGRAMMAZIONE
TRIENNALE UNIVERSITÀ
D.M. 4/11/2014 n. 889.
- Programmazione 2013-2015. Ammissione a
finanziamento dei programmi presentati dalle Università: http://tinyurl.com/klv3y7j .
- Riparto fondi programmazione triennale 2013-2015. Università
statali e non statali legalmente riconosciute: http://tinyurl.com/qj3kgc6 .
ITALIA: SECONDA DESTINAZIONE DEGLI STUDENTI AMERICANI
DOPO IL REGNO UNITO
Uno
su dieci viene qua. In Italia. A studiare. Soprattutto a specializzarsi. Per
alcune settimane o per qualche anno. Nonostante la lingua diversa, gli atenei e
le accademie dell'Italia sono la seconda destinazione al mondo dei giovani
americani. Subito dopo il Regno Unito. Lo conferma l'Institute of international
education, un'organizzazione che monitora la mobilità studentesca. Su poco meno
di 290 mila ragazzi che hanno lasciato college e high school, in 29.848 si sono
iscritti in Italia. Quasi il doppio del 2001, quando qui erano atterrati in
sedicimila. Facciamo meglio della Spagna e della Francia. Ne abbiamo il triplo
della Germania. Cervelli che vengono. Ma anche cervelli che vanno. Aumentano
anche gli italiani che volano Oltreoceano. Nell'anno accademico 2013/2014 se ne
contavano 4.443 immatricolati negli Usa: +3,9% rispetto a dodici mesi prima. E
si prevede segno più anche per il 2014/2015. (Fonte: CorSera 24-11-2014)
CONFERENZA DEI RETTORI (CRUI). UN RAPPORTO SUL MONDO
DELLE UNIVERSITÀ NON STATALI
La
Conferenza dei rettori ha realizzato un rapporto sulle 18 realtà accademiche
non statali esistenti in Italia (di cui 14 aderenti alla Crui), non atenei
privati ma atenei non statali che erogano un servizio pubblico, come ha
precisato Marco Mancini. Buoni risultati nel raggiungimento della laurea, nella
ricerca scientifica e nel lavoro. Nella lista, tra gli altri, anche Bocconi,
Suor Orsola Benincasa di Napoli, lulm di Milano, Luiss di Roma, Liuc di
Castellana (Varese), Kore di Enna, San Raffaele di Milano. Nate dalla spinta di
realtà locali o associative, le università non statali presentano alcune
caratteristiche similari che il rapporto evidenzia. Ecco la «qualità didattica»
necessaria anche per giustificare la scelta economica delle famiglie.
Quest'ultime riconoscono agli atenei in questione di essere «un luogo sicuro
per far studiare i figli», ma anche «consonanza con i valori, i modelli di vita
e gli ideali di cui la famiglia è portatrice». Da parte sua l'università non
statale risulta essere molto attenta «alla vicinanza con studenti, famiglie e
territorio» che si traduce «nella qualità degli stage, dei tirocini,
dell'offerta di collegamento con il mondo dell'impresa». Altro tratto
caratteristico «la qualità tecnologica delle attrezzature didattiche, dei
servizi e delle funzioni comunitarie».
Un
impegno che, stando ai risultati fotografati della Crui, mostra negli atenei
non statali «una minor quota di iscritti fuori corso, un tasso di abbandono
minore e una più contenuta incidenza degli studenti inattivi, cioè di quei
giovani che una volta iscritti non sostengono alcun esame». Le cifre? I fuori
corso nelle non statali sono il 19.6% contro il 34.4% delle statali; gli abbandoni
si fermano al 13.2% contro il 17.4 delle statali, e gli inattivi sono il 10.4%
mentre si arriva al 15.9% nelle statali.
Il
rapporto della Crui affronta anche l'aspetto dell'azione legata ai tirocini e
al collegamento con il mondo del lavoro, ma anche quello della ricerca, nei
quali l'università non statale ottiene risultati interessanti. Tra gli
indicatori di qualità anche quello del numero di chi giunge al termine del
percorso di studi con la laurea. Anche in questo caso i laureati fuori corso
negli atenei non statali sono il 35.3% contro il 57.5% delle statali. Segno di
un percorso di studi più regolare e nei tempi previsti dal corso di laurea.
(Fonte: E. Lenzi, Avvenire 10-12-2014)
UNA UNIVERSITÀ
ISLAMICA AVRÀ SEDE A LECCE
La Confederazione delle imprese del Mediterraneo
(Confime) è ferma nelle sue intenzioni: «L'Università islamica si farà a Lecce.
Ed il primo passo sarà la costituzione di una Fondazione onlus all'inizio del
nuovo anno». Lo ha ribadito il presidente di Confime, Giampiero Kalhed
Paladini, nel corso della riunione dell'ufficio di presidenza della
confederazione, tenutasi in Sicilia, a Giardini Naxos. Il progetto comincerà a
prendere corpo nel 2015 proprio con la fondazione e non si esclude che possano
prendervi parte, a vario titolo, anche altri Comuni ed enti dell'area
ionico-salentina. In proposito, nei giorni scorsi, il rappresentante di Confime
ha avuto una serie di contatti informali con i rappresentanti istituzionali di
alcuni Comuni della provincia di Lecce incontrati in occasione della
manifestazione culturale «La città del libro», a Campi Salentina. Paladini
dovrebbe incontrare nei prossimi giorni i vertici del Polo universitario di
Taranto. Durante la riunione dell'ufficio di presidenza è emerso in maniera
chiara che l'80% della struttura universitaria dovrebbe sorgere a Lecce,
prevedibilmente su un terreno privato in località «Torre Mozza», non lontano
dal polo universitario di Ecotekne di Lecce. Ma, come detto, l'atto
propedeutico dovrebbe essere proprio la costituzione della Fondazione entro il
mese di gennaio. La prospettiva non è quella di creare un centro culturale
islamico, ma un'Università vera e propria, conforme all'ordinamento italiano,
riconosciuta dal ministero dell'Istruzione, prima in Italia. (Fonte: Gazzetta del
Mezzogiorno 16-12-2014)
UNIBO. IL PRESIDENTE DEL CDM RENZI PARLA DI UNIVERSITÀ
ALL'INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO DELL'ALMA MATER
Il
presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel suo intervento all'inaugurazione
dell'anno accademico dell'Alma Mater di Bologna ha parlato specificamente di
università: "Le università del mondo talvolta si presentano meglio di come
sono, in Italia abbiamo qualità che non riusciamo a presentare per colpa di un
sistema burocratico che non riesce a valorizzare ciò che di eccellente possiamo
offrire. Su questo tema propongo che il
2015 sia un anno costituente per le università italiane". Il premier ha inoltre criticato la "stanca
retorica dei cervelli in fuga, come se quelli che sono qui fossero sottospecie
di cervelli". "Il futuro della scuola o è di tutti, o di
nessuno", ma "serve una grande iniziativa da parte di Governo e
Parlamento per semplificare il mondo normativo che regola il mondo
universitario. Dipende anche da voi come riusciremo a far le riforme".
(Fonte: RaiNews 10-01-2015)
UNIBO. IL RETTORE: GRATIFICATI DAI RANKINGS MA COMPETIAMO
CON UN DECIMO DELLE RISORSE ALTRUI
Come
ci giudicano da fuori? Il Censis ci colloca per il quarto anno consecutivo al
primo posto, il Ranking QS (che contempla tutti gli indicatori) ci vede, tra
migliaia di Università e istituzioni formative, al 182esimo posto: unica
italiana tra le prime duecento. Gratificati? Sì, se non pensiamo che prima di
noi ve ne sono 181 e che la competizione va fatta non regionalmente o
nazionalmente ma con l’Europa e col mondo. E noi competiamo: ma competiamo con
un decimo delle risorse altrui e con dieci volte tanto gli studenti altrui!
Colleghi: il 182° posto, finché vogliamo e sappiamo essere Università pubblica,
Università insieme di grandi numeri e di grande bravura, secondo la nostra
meravigliosa Costituzione, non è un premio di consolazione; è un premio grande,
di cui essere orgogliosi anche a fronte di chi ci precede. (Fonte: Dal discorso
del rettore Dionigi ai nuovi emeriti 20-10-2014)
UNIBO. ACCORDO: I
MIGLIORI LAUREATI CINESI POTRANNO FARE IL DOTTORATO DI RICERCA ALL'UNIVERSITÀ
DI BOLOGNA
I migliori laureati cinesi potranno fare il dottorato di
ricerca all'università di Bologna, in tutte le discipline, grazie a un accordo
firmato ieri a Pechino dal rettore Ivano Dionigi e da Liu Jinghui, segretario
del Csc, l'organizzazione affiliata al ministero dell'Istruzione della
Repubblica popolare cinese. I candidati dovranno non solo avere ottimi voti,
dunque superare una severa selezione, ma anche conoscere l'inglese e
l'italiano. Non si sa quanti arriveranno in Ateneo a fare ricerca. Ma i numeri
complessivi sono alti: nel 2015 il Csc invierà all'estero oltre 26mila studenti
con borsa di studio, di cui ottomila per il dottorato. «Questa partnership, che
chiude positivamente il quinquennio di sperimentazione del programma,
rappresenta un importante traguardo nei rapporti di cooperazione accademica e
istituzionale con la Cina», spiega Dionigi. Per il rettore i veri
"ambasciatori" dei due Paesi sono gli studenti. «Questo è un
investimento prioritario». Liu Jinghui ha ricordato la Magna Charta siglata a
Bologna. «Siamo molto soddisfatti di questa partnership, pubblicizzeremo
l'accordo in modo che tutti gli studenti cinesi interessati possano fare
domanda» per l'Alma Mater. La firma dell'accordo è avvenuta al termine di una
missione che ha visto Dionigi partecipare all'annuale conferenza mondiale degli
Istituti Confucio. Qui è stato anche rilanciato il raduno dei laureati
dell'Ateneo che si terrà a giugno. (Fonte: La Repubblica Bologna 10-12-2014)
UNIBO.
VALUTAZIONE NEI RANKING INTERNAZIONALI
Due illustrazioni evidenziano la
posizione di UNIBO nel THE World University Rankings (2014-15) e il confronto
della valutazione di altri rankings (Leiden, QS, Shanghai-ARWU) come si è
evoluta negli ultimi anni. (Fonte 13-12-2014)
UNIBO. CRITERI
MERITOCRATICI PER DISTRIBUIRE LA QUOTA
UNA TANTUM CHE SOSTITUISCE GLI SCATTI STIPENDIALI
Nell'ateneo bolognese la quota una tantum decisa dal
governo (cinque milioni di euro per tutte le università) sarà distribuita solo
tra i docenti che supereranno l'”esame”. I criteri di valutazione sono: le ore
di didattica svolte dal docente, le pubblicazioni, il risultato delle ricerche,
i brevetti. Si è discusso a lungo se inserire anche il giudizio degli studenti.
Alla fine si è optato per il no. Troppo alto il timore che i professori più
rigidi nei voti venissero bocciati da studenti svogliati. Nella decisione ha
influito anche la polemica per una pagina Facebook del collettivo universitario
Hobo con possibilità per gli studenti di segnalare quei docenti che, a loro
giudizio, abusano del loro potere o tengono lezioni «inaccettabili».
L'iniziativa ha attirato le attenzioni delle Procura, preoccupata che la pagina
Facebook possa trasformarsi in una vera e propria lista di proscrizione. In
ogni caso, almeno per ora, gli studenti rimarranno fuori dalla porta del mix di
valutazioni previsto per il premio ai docenti. Si tratta davvero di una
«rivoluzione» in grado di rimettere sul trampolino di lancio i nostri atenei,
che organismi internazionali bacchettano per l'eccessivo decentramento e la
mancanza di controlli sulla qualità? Dice il rettore, Ivano Dionigi: «Come
rettore, ma, in primis, come professore, so che questa università pubblica,
laica e aperta dà il meglio della formazione che può dare. Ma so anche, come
cittadino, che questo Paese chiede molto in cambio». Quindi lo sforzo è elevare
la qualità. (Fonte: U. Ponziano, ItaliaOggi 13-12-2014)
UNICH. PRIMA IN ITALIA CON TUTTI I PARAMETRI IN REGOLA
PER OTTENERE LA MAGGIOR QUOTA DI FINANZIAMENTI STATALI CON IL SISTEMA DEI COSTI
STANDARD
L’Università
“D’Annunzio” di Chieti-Pescara è la prima in Italia ad avere tutti i parametri
in regola per poter ottenere la maggior quota di finanziamenti statali con il
nuovo sistema dei costi standard, che sta iniziando a rivoluzionare il modo in
cui il governo centrale assegna i fondi agli atenei. È quanto risulta da una
ricerca del quotidiano economico Il Sole 24 Ore, che cita una serie di
parametri. Per quanto riguarda gli altri atenei abruzzesi, nella graduatoria
del Sole non compare l’ateneo dell'Aquila, ancora alle prese con le conseguenze
del terremoto del 6 aprile 2009, mentre l’università di Teramo viaggia a metà
classifica, al 30° posto sulle 56 università italiane. Il primo parametro è
quello del numero degli studenti fuori corso. Meno ce ne sono e più si
ottengono premialità in termini di risorse statali. Alla “D’Annunzio” sono
19.388 gli studenti in corso. Altra citazione in positivo è il fatto che
l’ateneo dannunziano abbia un campus che viene definito dal giornale
addirittura come l’unico "vero" campus universitario. La scelta del
campus, rivelatasi ora quanto mai azzeccata, è da addebitare alla precedente
gestione universitaria affidata al rettore, Franco Cuccurullo, e al direttore
generale, Marco Napoleone. Tra gli altri parametri per ottenere l’assenso
ministeriale c’è anche quello del costo dei docenti ordinari, più è basso e
meglio è. Anche in questo caso la “D’Annunzio” è messa bene, avendo un gran
numero di docenti giovani, le cui buste paga sono certamente meno pesanti di
quelle dei prof di lungo corso. Va ricordato, a questo riguardo, l’infornata
dei 33 giovani ordinari assunti all’inizio del 2011 sempre da Cuccurullo e
Napoleone, a discapito del personale tecnico-amministrativo costretto con le
proprie sole forze a far fronte a un numero di studenti sempre crescente.
Un’altra voce che incide è quella delle attività didattiche e dei servizi
aggiuntivi, compreso quello dei tutor ed esperti linguistici. (Fonte: www.abruzzoweb.it
05-01-2015)
UNIPD E VIMM. UN ERC ADVANCED GRANT DA 2,5 MILIONI DI
EURO AL PROGETTO DI RICERCA STEPS PER STUDIARE I MACROFAGI
Scoprire
il collegamento tra obesità e malattie come il cancro e le patologie
cardio-vascolari, per rendere un giorno possibili nuovi farmaci e cure
personalizzate su misura per il paziente. È questo l’obiettivo principale del
progetto di ricerca Steps, che proprio in questi giorni prende l’avvio presso
il Venetian Institute of Molecular Medicine (VIMM) di Padova, centro noto a
livello internazionale per i suoi studi in biomedicina. Un programma
scientifico reso possibile dal conferimento ad Antonella Viola di un Erc
Advanced Grant da 2,5 milioni di euro: un finanziamento speciale concesso dal
Consiglio Europeo della Ricerca per progetti altamente innovativi, in grado di
aprire nuove direzioni nei rispettivi campi di ricerca e in altri settori.
Nei
prossimi cinque anni le ricerche dell’équipe padovana guidata dalla scienziata
si concentreranno in particolare sui macrofagi, le cellule del nostro sangue
che hanno il compito di inglobare, e quindi eliminare, gli elementi estranei
che possono rappresentare una minaccia. “Si tratta di un ruolo fondamentale,
rilevante in tantissime patologie” spiega Antonella Viola, che è anche docente
presso l’università di Padova. “Se i macrofagi sono poco reattivi il rischio è
di lasciare il nostro organismo indifeso; se viceversa hanno un comportamento
troppo aggressivo finiscono per danneggiare le cellule del nostro corpo,
provocando infiammazioni e malattie autoimmuni”. In particolare il gruppo di
ricerca si occuperà del rapporto tra macrofagi, obesità e diverse patologie.
Gli Erc Advanced Grant 2014, che hanno reso possibile il progetto Steps,
vengono assegnati ogni anno a ricercatori considerati, al di là dei requisiti
accademici, “leader eccezionali in termini di originalità e importanza dei loro
contributi di ricerca”. Un riconoscimento importante per Antonella Viola, alle
spalle un periodo al Basel Institute of Immunology e all’Istituto Clinico
Humanitas di Milano, che però ha scelto di tornare a Padova, la città dove ha
compiuto i suoi studi universitari. (Fonte: D. Mont D’Arpizio, IlBo 25-11-2014)
SCHEDA SUA-RD
Roars
ha segnalato ai lettori la lettera inviata dal Collegio dei Direttori di
Dipartimento della Sapienza al Rettore, a proposito della compilazione della
scheda SUA-RD. La lettera conclude: “Il Collegio ritiene opportuno sottolineare
che la prossima compilazione delle schede SUA-RD non può e non deve essere
letta come un’implicita accettazione della metodologia di valutazione finora
seguita dall’ANVUR, sulla quale ritiene necessario esprimere le più ampie
riserve“. Segue il testo:
UNIPV. IL PRIMO CROWDFUNDING PER LA RICERCA UNIVERSITARIA
È
nata universitiamo.eu, la prima piattaforma italiana di
"crowdresearching" (crowdfunding per la ricerca) dove è possibile
contribuire al progresso della ricerca scientifica in vari modi: con donazioni,
suggerimenti, segnalazioni di progetti. È anche un'occasione per sostenere
giovani ricercatori, ricerche in corso bloccate dalla mancanza di fondi,
progetti di eccellenza che non decollano per la scarsità dei finanziamenti.
L'idea è nata all'Università di Pavia, dove l'impegno di molti - dal rettore in
poi - ha permesso di dotare l'Ateneo di uno strumento istituzionale dedicato al
reperimento dei fondi per la ricerca. Si tratta del primo caso in Italia e di
uno dei pochi al mondo che ha realizzato in concreto questa iniziativa. Il 28
novembre 2014 si è svolto il primo click day a sostegno di progetti di ricerca
che riguardano le discipline più diverse. Grazie a Universitiamo chiunque può
contribuire alla ricerca scientifica realizzata con l’Università di Pavia che
si attesta così come il primo Ateneo italiano, e tra i primi al mondo, ad
aprirsi al crowdfunding per sostenere la ricerca. Per creare il portale, Caffeina
(prima startup incubata a Parma da Buongiorno), ha osservato i maggiori player
per individuare, adattare e realizzare le best practice di settore agli
obiettivi e alle particolarità del progetto. A pochi era venuto in mente di
adottare lo schema campagna-raccolta-aggiornamento per una ricerca scientifica,
che ora si chiama crowdresearching. Non si tratta quindi di startup né di
campagne a sostegno di iniziative imprenditoriali, ma di un modello che
potrebbe essere l’uovo di Colombo per la malandata ricerca universitaria. Sul
portale Universitiamo.eu si trovano già alcuni progetti di ricerca finanziabili
dalla collettività. Per ogni progetto una descrizione, un video, l'obiettivo di
finanziamento e la scadenza. In tutto e per tutto come nei portali di crowdfuding,
con la differenza che i progetti non sono imprenditoriali o sociali, ma vanno
direttamente a ricercatori universitari. Per ora, solo quelli dell'ateneo di
Pavia. (Fonti: I. Ceccarini, rivistauniversitas 01-12-2014; webnews.it
09-12-2014))
UE. ESTERO
EU. NUOVA
INDAGINE SULL’E-LEARNING
È stata pubblicata la nuova indagine dell'European
University Association (EUA) dal titolo E-learning in European
Higher Education Institutions (Results of a mapping survey conducted in
october-december 2013). Lo studio ha analizzato esperienze e aspettative
nell'utilizzo dell'e-learning di un campione di 249 istituzioni di istruzione
superiore europee. Diversi i temi esaminati: l'apprendimento blended e online
nei vari formati, le strutture di supporto e i servizi, il coordinamento
intra-istituzionale, la garanzia e il riconoscimento della qualità. Dai
risultati è emerso che gran parte delle istituzioni offre corsi di apprendimento
blended e online, rispettivamente il 91% e l'82%. Compaiono, con minor
frequenza ma in aumento, altre forme quali la collaborazione
inter-istituzionale e i corsi di laurea online. Quasi metà delle istituzioni ha
dichiarato di aver già dato vita a una strategia istituzionale per
l'e-learning, mentre un quarto si sta accingendo a farlo.
Un'ampia sezione è dedicata ai Massive Open Online
Courses (MOOC) verso i quali è emerso un forte interesse degli atenei. Se alla
fine del 2013 solo 31 delle istituzioni prese in esame (12% del campione)
offriva o stava per lanciare i MOOC, vi era comunque l'intenzione di introdurli
da parte delle università non ancora attivatesi. Il motivo principale è la
visibilità internazionale, seguita dal reclutamento degli studenti, lo sviluppo
di metodi d'insegnamento innovativi e la volontà di rendere l'apprendimento più
flessibile. (Fonte:
E. Cersosimo, rivistauniversitas 04-12-2014)
UE. BILANCI DEDICATI ALL’ISTRUZIONE
Secondo
il rapporto «National Sheets on Education Budgets in Europe 2014» - che ha
preso in considerazione i 28 Paesi Ue più Norvegia, Islanda, Montenegro e
Turchia - sei Paesi hanno aumentato meno dell'uno per cento il bilancio
dedicato all'istruzione (dati aggiornati a giugno 2014): Italia (0,6),
Belgio-Fiandre (0,92), Lussemburgo (0,08), Slovacchia (0,37), Spagna (0,08) e
nella media del Regno Unito (0,1). Altri sette Paesi hanno addirittura tagliato
questa voce del bilancio, ovvero Belgio-Vallonia (0.07), Repubblica Ceca
(3,33), Irlanda (1,53), Austria (2,72), Croazia (1,95), Finlandia (2,39),
Galles (1,88). In altri sei Paesi il bilancio è invece aumentato: Estonia
(6,36), Lettonia (6,91), Nord Irlanda (5,16), Malta (5,41) e Turchia (7,05).
Dunque l'Italia non taglia il bilancio all'istruzione ma è uno dei Paesi europei
ad averlo aumentato meno nel corso del 2014. (Fonte: Avvenire 09-12-2014)
SCUOLA MEDIA E SCUOLA SUPERIORE IN EUROPA
L’Unesco
individua sette livelli di istruzione, che vanno dallo zero (scuola per
l’infanzia) al sesto (gli studi finalizzati a formare i ricercatori). Una
revisione dei livelli Isced ha portato, nel 2011, a definire nove livelli
complessivi, senza però mutare quelli che analizzeremo. Il livello che a noi
interessa è il terzo (“upper secondary”), che identifica il ciclo
preuniversitario o finalizzato a formare “competenze professionali rilevanti”.
Vediamo anzitutto, a prescindere dalla durata del ciclo nei vari Paesi, a che
età gli studenti europei lo terminano. Fatte anche qui le doverose eccezioni
(alcuni ordinamenti sono molto complessi e ramificati), l’Unione si divide in
due gruppi principali: da una parte l’ex Europa dell’Est, i Paesi nordici e
l’Italia, in cui il ciclo si conclude a 19 anni; dall’altra gli stati
dell’Europa occidentale, in cui il diploma si consegue a 18. La Germania è a
metà strada (le scuole di questo livello terminano a 18 o 19 anni a seconda
dell’indirizzo scelto).
È
da notare che questo ciclo si intreccia con il termine dell’obbligo scolastico,
che nella maggioranza dei Paesi europei è fissato a 16 anni: un’età che, a
seconda dell’ordinamento nazionale considerato, può ricadere o nel terzo
livello Isced, o (è la maggioranza dei casi) al confine tra secondo e terzo
livello, o (molto più raramente) all’interno del secondo livello (sono i casi
di alcuni Paesi dell’Est Europa in cui il secondo ciclo dura fino ai 17 anni).
Risulta
quindi evidente come, rispetto al modello italiano, la maggioranza dei
componenti dell’Unione opta per un secondo livello (“lower secondary”) che
rispetto alle nostre scuole medie triennali è spostato in avanti, e si estende
fino ai 15 o 16 anni contro i nostri 14; invece, ad essere abbreviato
praticamente ovunque è, rispetto al nostro quinquennio superiore, il terzo
livello (“upper secondary”), che dura in genere 3 o 4 anni, e si conclude a 18
o 19 anni a seconda dell’area europea analizzata (un’esigua minoranza di Stati
prevede una durata biennale o di cinque anni come in Italia).
Se
dunque tentiamo di riassumere un panorama molto variegato, e cerchiamo di
trovare aspetti comuni, possiamo dire che una maggioranza di Paesi prevede una
“scuola media” che si protrae fino ai 15/16 anni (momento che spesso coincide
col termine della scuola dell’obbligo) cui segue un triennio o quadriennio di
“scuola superiore” che si conclude, ovunque, a 18 o 19 anni di età. Come si
vede, in Europa tra tante formule diverse c’è una costante: quasi ovunque, le
scuole equivalenti ai nostri licei (o istituti superiori) non durano più di
quattro anni. (Fonte: M. Periti, IlBo 13-05-2014)
GERMANIA. IL FINANZIAMENTO DELLE UNIVERSITÀ PUBBLICHE
Fino
alla riforma del federalismo approvata nel 2006, in Germania, era in vigore una
legge che fissava alcuni criteri comuni agli atenei tra cui il divieto di
riscuotere tasse per i corsi universitari di primo livello. Nel 2002 sei
Länder, capeggiati dall'Unione Cristiano-Democratica (CDU), fecero ricorso
contro tale divieto perché, a loro dire, lo Stato centrale invadeva le loro
competenze. Vi erano, inoltre, due grandi difficoltà: la copertura finanziaria,
cui ancora provvedeva il governo centrale nonostante la gestione degli atenei
fosse passata ai governi territoriali, e l'idea che l'abolizione delle tasse
avrebbe nuociuto all'autonomia delle università. Nel 2005 la corte
Costituzionale annullò il divieto. Sette Länder provarono a introdurre
nuovamente le tasse ma la decisione fu così impopolare da indurli tutti a fare
marcia indietro, compresi la Baviera e la Bassa Sassonia (che poi hanno
eliminato il provvedimento negli ultimi due anni). La maggior parte, tuttavia,
ha mantenuto le tasse per i corsi di secondo livello e per gli studenti fuori
corso.
Con
la riforma del federalismo l'amministrazione degli atenei è affidata oggi agli
Stati federali, che hanno anche l'onere del finanziamento. A beneficiarne è
stato lo stesso Governo, che con una parte della cifra risparmiata ha avviato
un programma d'eccellenza destinato a premiare con ulteriori fondi gli atenei
dalle performance migliori. I risultati sono presto detti: nell'ultimo ranking
del Times Higher Education (THE), che identifica le 200 migliori università del
mondo, figurano 12 atenei tedeschi. Ci sono stati, tuttavia, anche risvolti
negativi: come ha spiegato la docente universitaria Barbara Kehm, la riforma ha
pregiudicato soprattutto gli Stati più poveri della Germania orientale, che,
nonostante l'eliminazione delle tasse, non sono in grado di competere. (Fonte: Aceprensa
01-12-2014)
FRANCIA.
ANNULLATI I TAGLI DI 70 MLN ALLE UNIVERSITÀ
«Soulagement». C'est le mot qui revenait hier au sein du
monde universitaire, après la révélation, par «Les Echos», du rétablissement du
budget initial des universités. Celui-ci avait été amputé le mois dernier de 70
millions d'euros lors du vote du budget 2015 en première lecture. François
Hollande va, selon nos informations, annoncer l'annulation de ce coup de rabot,
ce soir à l'occasion d'un dîner à l'Elysée, auquel il a convié les présidents
d'université. Le chef de l'Etat a tranché en faveur du ministère de
l'Enseignement supérieur et de la Recherche, qui bataille depuis des semaines
avec Bercy, qui devra trouver des économies ailleurs. Ce qui ne sera pas simple
au vu des efforts déjà demandés aux autres ministères. C'est la deuxième fois
en peu de temps que le chef de l'Etat monte au créneau pour défendre sa
priorité à la jeunesse, dont il entend faire le symbole de son quinquennat. Le
30 octobre, après le cri d'alarme de la Conférence des présidents d'université
(CPU) sur les coupes envisagées par Bercy (400 millions d'euros sur la
subvention 2014) et le risque que les universités ne puissent pas payer tous
les salaires de décembre, l'Elysée était intervenu. «Il avait fallu un mois au
chef de l'Etat pour résoudre le problème, cela avait été long», témoigne une
source officielle. Un deuxième coup de canif dans le budget des universités
avait eu lieu mi-novembre. Sur proposition du gouvernement, les députés avaient
voté des réductions de budget touchant tous les ministères (afin de compenser
des dépenses supplémentaires et l'abandon de certaines économies). Celui de
l'enseignement supérieur et de la recherche se trouvait amputé de 136 millions,
dont 70 millions pour les universités. «Incompréhensible », avait réagi la CPU.
Les syndicats et d'autres collectifs avaient alors décidé d'une mobilisation
nationale le 11 décembre. 2015 sous le signe des économies malgré tout. Malgré
le revirement de l'exécutif, le mouvement de protestation a tout de même eu
lieu hier. Des milliers de personnes ont manifesté à Paris et dans plusieurs
villes universitaires. Une image catastrophique pour un chef de l'Etat qui dit
vouloir faire de la jeunesse une priorité et qui redoute par-dessus tout de
voir les étudiants dans la rue. L'Unef, principal syndicat étudiant, s'est
félicité de l'annulation des coupes. (Fonte: M.-C. Corbier, Les Echos
12-12-2014)
SPAGNA. I MEDICI
VETERINARI SI RIBELLANO CONTRO L’APERTURA DI ALTRE CINQUE FACOLTÀ
El préximo miércoles, a medio-dia, veterinarios de toda
Espana se concentrarân contra la apertura de cinco nuevos facultades. Protestan
porque las 12 ya existentes hacen de Espana el pais europeo con mâs oferta de
esa carrera, junto con Italia, y por-que cada ano hay unos 1.200 graduados de
los que la mitad, unos 600, no tienen hueco en el mer-cado laboral. Son los
câlculos de la Conferencia de Decanos de Veterinaria de Espana, que temer que
la proliferación de nuevos centros sature el mercado y au-mente la precariedad.
Su queja evidencia un recurrente debate en el panorama universitario: ningun
organismo controla la oferta global de titulos.
La previsión es abrir tres facultades publicas en Lleida,
Valencia y Victoria y dos campus privados en Alicante y Madrid a lo largo de
los dos próximos cursos. Las comunidades autonomas de Madrid y Valencia - los
Gobiernos regionales son los que dan el visto bueno -, no tienen constancia de
la apertura de los dos privados. Pero los Colegios de Veterinaria si, porque
aseguran que estân llamando a sus profesores para hacerles ofertas laborales. Calculan
que elio supondrâ unos 350 nuevos alumnos por ano, algo que supondria una situ
acién "afin mâs insostenible". "Veterinaria ha pasado de ser una
profesión queos a una en la que aumentan las situaciones de subempleo y
trabajos muy precarios", explica Antonio Rouco Yâriez, presidente de la
conferencia y decano de la facultad de Murcia. Los veterinarios estân regulados
por una directiva europea e incluidos en una asociacién - European Association
of Establishments for Veterinary Education (EAEVE) - que acredita y homologa
los centros. Estos organismos considerar suficiente una facultad por cada
siete-diez millones de habitantes. Espana tiene ya el doble, frente a las
cuatro de Francia, cinco de Alemania o seis de Portugal. Solo Italia estâ por
delante, con 13 centros. (Fonte: P. Âlvarez, El Pais 11-12-2014)
UK. LE UNIVERSITÀ DI LONDRA SUPERANO PER QUALITÀ DELLA
RICERCA OXFORD E CAMBRIDGE
Le
università di Londra sono le nuove regine in Gran Bretagna stando ai più
recenti dati sulle capacità delle istituzioni accademiche in termini di
ricerca. La London School of Economics è l’ateneo con la più alta percentuale
di ricerche d’importanza mondiale sul totale dei lavori svolti dal suo
personale e, per la prima volta in assoluto, anche lo University College of
London sta davanti a Cambridge per qualità degli studi portati avanti dai suoi
ricercatori.
Tutto
merito di quello che potremmo definire “effetto Londra”. La capitale
britannica, infatti, ha un enorme capacità di attirare i migliori cervelli
grazie alla sua dimensione globale e alla presenza di un tessuto economico
ricchissimo e dinamico. Nella famosa City di Londra, infatti, hanno sede
moltissime società di caratura mondiale, una delle Borse più importanti del
mondo e alcune delle principali – e più antiche – compagnie assicurative. Non
sorprende, dunque, che qui confluiscano soprattutto quei ricercatori che si
dedicano alle scienze economiche. Ecco così in parte spiegato il primato di un
ateneo interamente dedicato ad esse. A favore delle università di Londra gioca
anche un circolo virtuoso: mentre la reputazione degli atenei cresce, aumenta
il numero di studenti brillanti provenienti da tutto il mondo che vi si
iscrivono, questo porta un ulteriore incremento del prestigio internazionale e
maggiori risorse nelle casse delle università, che possono essere investite in
ricerca di qualità. Un meccanismo dal quale l’Italia avrebbe di certo da
imparare.
Questi
dati segnano l’inizio del declino di Cambridge e Oxford? Per il momento, i due
atenei più prestigiosi d’Inghilterra occupano ancora posizioni di tutto
rispetto nelle classifiche internazionali e di certo non si rassegneranno a stare
a guardare. (Fonte: universita.it 20-12-2014)
AUSTRALIA. UNA RIFORMA CONTROVERSA DEL FINANZIAMENTO DEL
SISTEMA UNIVERSITARIO
Il
governo australiano ha tentato di varare una riforma del finanziamento del
sistema universitario nella direzione già adottata nel Regno Unito: una
riduzione del finanziamento statale accompagnata da un innalzamento del tetto
alle tasse universitarie che scarica i costi sugli studenti, per i quali
sarebbe previsto un piano di prestiti. Recentemente, la UK Higher Education Commission
si è dichiarata preoccupata per l’impatto sul debito pubblico, dato che si
prevede che tre studenti su quattro non saranno in grado di rimborsare il
debito. Con queste premesse non c’è da stupirsi che in Australia la proposta
abbia suscitato un acceso dibattito. La maggior parte dei Vice-Chancellor (i
rettori) sono favorevoli, in quanto
vedono nella proposta un mezzo per accrescere il finanziamento degli atenei. In controtendenza
si è pronunciato Stephen Parker, Vice-Chancellor dell’Università di Canberra.
Nel frattempo, seppur con uno scarto ridotto (33 contro 31 voti), la proposta
del governo è stata respinta dal Senato australiano, ma il ministro Christopher
Pyne ha dichiarato che verrà riproposta in forma emendata nel 2015. (Fonte:
Redazione Roars 05-01-2015)
INDIA. UN ESAME OBBLIGATORIO IN STUDI AMBIENTALI
A
partire da questo anno accademico 2014-2015 tutti gli iscritti al primo anno
presso l’università di Delhi saranno obbligati a sostenere almeno un esame in
Studi ambientali, indipendentemente dal corso di laurea frequentato, che sia
esso Storia o Scienze informatiche. “La speranza è che i nostri giovani portino
nelle proprie case il messaggio che, qualsiasi vocazione si persegua nella
vita, la tutela dell’ambiente e l’uso giudizioso delle risorse naturali sono
nell’interesse di tutta l’umanità”, dice Raj Pandit, professore presso il
dipartimento di Studi ambientali dell’ateneo.
La
gestazione di questa iniziativa è stata lunga e tortuosa, in parte per via del
fatto che si tratta di un piano molto ambizioso in un paese che, secondo alcune
stime, conta circa 20 milioni di studenti universitari, in parte perché in
India la burocrazia non è famosa per l’efficienza e la rapidità di esecuzione
dei provvedimenti. A mettere in moto tutto è stata, ormai venti anni fa, la
Corte suprema, una cui sentenza impose allora l’istituzione di un corso
obbligatorio sull’ambiente per tutti gli universitari indiani. “La Corte mirava
così a creare consapevolezza sulla questione e a garantire che l’attenzione
verso i temi ambientali fosse incorporata in tutte le attività umane e nelle
nostre vite quotidiane”, spiega Pandit. (Fonte: IlBo 13-11-2014)
USA. IL PIANO “PAY AS YOU EARN” PER AIUTARE GLI STUDENTI
INDEBITATI CON IL GOVERNO
L’aumento
del debito studentesco avvenuto negli ultimi anni, sommato alla rigidità del
sistema, fanno sì che oggi 7 milioni di americani siano inadempienti su
pagamenti per circa 100 miliardi di dollari (dati del Consumer Financial
Protection Bureau – CFPB). Questo fenomeno, inoltre, causa distorsioni sul
mercato del lavoro anche per quanto riguarda chi è in pari con i pagamenti. La
necessità dei laureati più indebitati di guadagnare salari sufficientemente
alti per saldare i propri conti, li spinge automaticamente verso le professioni
più remunerative, privando quindi altre occupazioni, di maggior impatto sociale
ma con stipendi inferiori, dei migliori talenti. Tra chi completa il lungo
percorso di studi in medicina (con un debito medio di 170.000 dollari), la
tentazione di specializzarsi negli ambiti meglio pagati, come ad esempio la
chirurgia ortopedica, la cardiologia e la gastroenterologia, piuttosto che
finire a fare il medico di base, di cui gli Stati Uniti in realtà avrebbero
molto più bisogno, è molto forte. Lo stesso vale per i neo-avvocati, che spesso
seguono un percorso quasi obbligato verso i grandi studi che rappresentano i
finanzieri di Wall Street e le multinazionali perché non possono permettersi di
lavorare nel settore pubblico o non-profit.
L’Amministrazione
Obama si è mostrata molto attenta al problema e, negli ultimi anni, ha attuato
una serie di misure volte a mitigarne gli aspetti più estremi. Il piano “Pay As
You Earn”, ad esempio, fu lanciato nel pieno della crisi nel 2010, per aiutare
gli studenti che si erano indebitati con il governo tra il 2007 e il 2011.
PAYE, come è conosciuta l’iniziativa, prevede che tali prestiti (ma ovviamente
non quelli ottenuti privatamente) siano ripagati dopo la laurea con rate
mensili che non superino il 10% dello stipendio. (Fonte: V. Pasquali, IlBo
12-11-2014)
USA. CONFINI TRA STAGE E BORSA DI STUDIO
Borsa
di studio o stage? Sembrano queste le principali vie di accesso al mercato del
lavoro per chi è appena uscito dall'università, anche negli Stati Uniti. Ma le
due parole sono spesso la stessa cosa. Ne parla il New York Times, che si
concentra sul settore dei media dove talvolta la cosiddetta
"fellowship" non è altro che la vecchia "internship". Se,
infatti, i borsisti della Harvard University, giornalisti con almeno cinque
anni di esperienza che frequentano le lezioni per due semestri, sono pagati
65.000 dollari, nelle maggiori testate online americane invece una fellowship è
pagata in media 12 dollari l'ora. E' la sproporzione di trattamento economico
dunque a far sì che spesso i due profili, quello di borsista e di stagista,
vengano confusi. Ad aumentare la confusione c'è il fatto che ogni redazione
segue una propria politica di assunzioni. Ben Smith, direttore del sito di
notizie e intrattenimento online BuzzFeed, ha affermato che nella loro redazione
stagisti e borsisti, pur essendo pagati allo stesso modo (12 dollari all'ora),
seguono percorsi diversi con quello dei borsisti più 'strutturato'. Dall'altro
lato Ryan Grim, capo Ddesk dell'Huffington Post, afferma che, proprio a causa
della confusione sorta in questi anni attorno alla natura degli stage - “un
termine ambiguo che può comportare mansioni come portare il caffè o da vero
giornalista” - la redazione ha scelto di offrire solo borse di studio: “Ciò
segnala che la posizione è seria e comporta l'assunzione di responsabilità. E
spero che in futuro le altre redazioni non inizino ad abusare anche del termine
usato per offrire borse di studio”. “I confini tra stage e borsa di studio sono
molto fumosi”, afferma Arielle Dreher, studentessa alla scuola di
specializzazione in giornalismo della Columbia University, che racconta di aver
preso in considerazione un’offerta da borsista all'"Outside
Magazine". La posizione, pagata, richiedeva al candidato di svolgere
attività di fact-checking, ricerca e scrittura di articoli, proprio come quelle
richieste ad uno stagista. (Fonte: C. Barbi, america24.com 24-11-2014)
LIBRI. DOSSIER
UNA POLITICA DEI
BENI CULTURALI
Autore: Andrea Emiliani. Bononia University Press 2014.
È utile rileggere ‘Una politica dei beni culturali’ di
Andrea Emiliani, ripubblicato oggi a distanza di quaranta anni dalla prima
edizione Einaudi, per misurare la distanza che corre tra i due momenti storici.
Quando Emiliani scrive il libro, nel 1974, le attese per la riorganizzazione
dello Stato italiano in senso regionalistico sono all’apice. Si immagina, e
Emiliani immagina, che la conoscenza “capillare” del patrimonio diffuso possa
orientare le scelte della classe dirigente e che la storia dell’arte, intesa
come storia sociale e antropologia culturale, possa condurre al rispetto delle
diverse vocazioni territoriali. È un progetto non semplicemente antiquario, al
contrario, riflette posizioni e attitudini maturate a contatto con l’arte e la
critica d’arte contemporanee. Una politica dei beni culturali si apre con il
riconoscimento del debito di gratitudine di Emiliani per Giorgio Morandi e
Francesco Arcangeli, l’uno e l’altro aperti alla migliore cultura
internazionale, ma profondamente legati alla “provincia” emiliana. (Dalla
presentazione di M. Dantini, Roars 14-12-2014)
LA RICERCA E IL BELPAESE – LA STORIA DEL CNR
RACCONTATA DA UN PROTAGONISTA
Autore:
Lucio Bianco (conversazione con Pietro Greco). Ed. Donzelli, Roma 2014, pp.
XXVI-150.
Chi
meglio di Lucio Bianco poteva raccontare la storia del Cnr e dei suoi primi 90
anni di attività? Bianco ha rivestito
«tutti i ruoli che in esso era possibile rivestire: borsista, ricercatore,
membro dei comitati di consulenza, direttore di Istituto, direttore di progetto
finalizzato, presidente», proprio a sottolineare la «capacità del Cnr di
valorizzare al massimo livello le competenze che ha contribuito a formare».
Come afferma Raffaella Simili nella Prefazione, «questo libro si legge tutto di
un fiato. Non solo perché offre un intrigante scenario della vita recente del
principale ente di ricerca italiano, ma anche perché fornisce spunti e
interrogativi inquietanti nell’analizzare la politica della scienza nel nostro
paese», politica della ricerca in Italia che deve essere ripensata, rilanciata
e sottolineata, in altre parole “rifondata”, come condizione forse non
sufficiente ma certo necessaria per portare l’Italia fuori dal declino degli
ultimi 20-30 anni. In forma di vivace intervista-conversazione tra Pietro Greco
– giornalista e scrittore, per quasi trent’anni editorialista scientifico del
quotidiano “L’Unità” – e Lucio Bianco, il volume scorre con intensità e
leggerezza, raccontando la storia del Cnr con mille episodi, retroscena, senza
mai cadere nel gossip o nella polemica ideologica, ma rimanendo sempre su un
alto livello e cercando sempre di mettere al primo posto il «superiore
interesse della scienza» del nostro Paese. Il Cnr, con i suoi ottomila
dipendenti e la sua gamma di attività che copre l’intero scibile umano, è il
massimo ente scientifico del nostro paese. Fondato da Vito Volterra nel 1923,
ha superato i 90 anni e naviga verso il secolo di vita», scrive Pietro Greco
nell’Introduzione. «Non sono traguardi qualsiasi. Sono piuttosto un’occasione,
che non va sprecata, per ripensare, rilanciare e magari rifondare la politica
di ricerca del nostro Paese sulla base delle due grandi indicazioni che un
secolo fa mossero il genio di Volterra prima a pensare e poi a creare il Cnr:
da un lato progettare l’unico sviluppo possibile per il nostro Paese, quello
basato sulla conoscenza; dall’altro fondare questo modello di sviluppo su una
struttura di ricerca pubblica dotata di massa critica e di caratteri di
internazionalità, interdisciplinarità e gelosa autonomia». (Fonte: L.
Capelletti, rivistauniversitas dicembre 2014)
THE EUROPEAN RECOGNITION MANUAL FOR
HIGHER EDUCATION INSTITUTIONS
Editore:
Nuffic, 2014, pp. 147.
Il
riconoscimento dei titoli accademici conseguiti all’estero ha un’importanza
strategica nell’ambito della politica educativa: un interesse condiviso non
solo dall’Unione Europea ma anche dal Consiglio d’Europa e dall’Unesco, che ha
allo studio un progetto di fattibilità per riunire in un unico testo le sue
quattro Convenzioni regionali sul riconoscimento, attualmente operanti.
Premesso
che non esiste il principio di equipollenza, il presente Manuale – realizzato
dal Nuffic con il supporto della Commissione Europea, dell’European University
Association (EUA), della Conferenza dei Rettori tedeschi (HRK), delle Tuning
Educational Structures e dell’Unione Europea degli Studenti (ESU) – è un
compendio di buone pratiche e di concreti suggerimenti utili per gli operatori
delle istituzioni universitarie europee, che vengono accompagnati
nell’attuazione di procedure complesse rispettando gli obblighi. Il volume
prende in considerazione il solo riconoscimento accademico dei titoli, escluso
quello per finalità professionali. E’ suddiviso in sette parti, che considerano
prioritariamente l’approfondimento dell’ambito legale. Ritenuta superata la
metodologia, adottata tra il 1950 e la metà degli anni Settanta, che faceva
prevalere il concetto dell’equivalenza o della “nostrificazione” ovvero
dell’omologazione nella valutazione dei singoli corsi e dei programmi di studio
paragonabili, è stato adottato il cosiddetto principio dell’acceptance, che
privilegia il superamento delle diversità dei sistemi educativi, considerate un
arricchimento e non un ostacolo al riconoscimento stesso e conseguentemente
alla mobilità. Sono analiticamente e cronologicamente presi in considerazione i
cinque aspetti del processo di riconoscimento: l’accreditamento, la durata dei
periodi di studio da valutare (generalmente indicata in anni accademici ovvero
in crediti formativi ECTS), la valutazione della qualità dell’istituzione
estera che ha rilasciato il titolo, i contenuti del programma di studio,
l’entità degli apprendimenti pregressi. Si può leggere on line qui http://eurorecognition.eu/Manual/EAR%20HEI.pdf.
(Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas dicembre 2014)
CASO, PROBABILITÀ E COMPLESSITÀ
Autore:
Angelo Vulpiani. Edizioni Ediesse, 2014.
Per
capire come le scoperte della ricerca fondamentale si trasformano in
applicazioni di utilità per la collettività, bisogna studiare la storia della
scienza; per capire come si formano le idee nuove bisogna comprendere che il
motore della ricerca sono le motivazioni dei ricercatori, le loro passioni e le
loro curiosità. Lo spiega brillantemente, e in maniera accessibile a tutti, il
fisico Angelo Vulpiani nel suo “Caso, probabilità e complessità”, un libro
dedicato alla nascita della moderna scienza della complessità, che si occupa di
descrivere l’emergenza di comportamenti collettivi in sistemi composti di un
gran numero di elementi. Tutto il racconto del libro ruota intorno
all’introduzione del concetto di probabilità nelle scienze naturali e sociali:
la storia di queste idee prende le mosse dalla metà del XIX secolo e, arrivando
ai giorni nostri, aiuta a comprendere, tra le altre cose, in maniera chiara ed
efficace il nesso tra ricerca fondamentale e le sue applicazioni. “Non c’è
ricerca applicata, ci sono solo applicazioni della ricerca fondamentale”:
questa famosa massima di Louis Pasteur, fondatore della moderna microbiologia,
andrebbe scolpita all’ingresso del MIUR e non solo. (Fonte: Dalla presentazione di F. Sylos Labini
06-01-2015)