IN EVIDENZA
ARTICOLI CHE INTERESSANO L’UNIVERSITÀ NELLA BOZZA
DEL DDL STABILITÀ (FINANZIARIA) 2016
Art.
20 (Merito)
1.
Al fine di accrescere l’attrattività e la competitività del sistema
universitario italiano a livello internazionale, nel rispetto dell’autonomia
degli atenei, il fondo per il finanziamento ordinario delle università
statali è incrementato di 38 milioni di
euro nell’anno 2016 e di 75 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017, per
finanziare chiamate dirette per elevato
merito scientifico secondo le procedure di cui ai successivi commi.
2.
Il finanziamento è destinato al reclutamento di professori universitari di prima e di seconda fascia per chiamata diretta secondo procedure nazionali
e nel rispetto dei criteri di cui al comma 3 volti a valorizzare l’eccellenza e
la qualificazione scientifica dei candidati, con esclusione dei professori
universitari di atenei italiani già appartenenti, alla data di scadenza per la
presentazione delle domande, ai ruoli
della medesima fascia per la quale è bandita la procedura.
3.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di
concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con
il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sono disciplinati:
a)
i requisiti diretti a dimostrare l’eccellenza dei percorsi individuali di
ricerca scientifica secondo i migliori standard valutativi nazionali e
internazionali propri del settore concorsuale di riferimento, con particolare
riguardo alla qualità della produttività scientifica individuale nei cinque
anni precedenti alla procedura;
b)
le procedure per l’individuazione dei soggetti meritevoli della chiamata
diretta da parte delle università;
c)
l’individuazione della medesima classe stipendiale da attribuire ai soggetti
selezionati;
d)
la partecipazione alle commissioni per lo svolgimento delle procedure di cui al
comma 2, di studiosi nazionali e
internazionali di alta qualificazione operanti nei settori della ricerca
scientifica e tecnologica;
e)
il numero dei posti di professore
universitario, egualmente distribuiti tra la prima e la seconda fascia, e i
criteri per l’individuazione dei relativi settori concorsuali di riferimento; i
predetti criteri possono essere
informati a obiettivi di crescita e miglioramento di particolari aree
della ricerca scientifica e tecnologica italiana;
f)
i criteri e le modalità mediante i quali le università italiane procedono alla chiamata diretta dei professori universitari, all’esito delle procedure
di cui al comma 2, e l’eventuale concorso delle università agli oneri
finanziari derivanti dall’assunzione in servizio dei medesimi professori;
g)
la permanenza in servizio nelle università italiane dei professori chiamati
all’esito delle procedure di cui al comma 2.
4.
Nel caso in cui i professori chiamati ai sensi del comma 3, lettera f), del
presente articolo cambino sede
universitaria, le risorse finanziarie occorrenti per il relativo
trattamento stipendiale sono conseguentemente trasferite.
5.
Per favorire la mobilità dei professori
di prima fascia tra sedi universitarie diverse, è destinata una somma non
superiore a 10 milioni di euro a valere sulle risorse di cui al comma 1.
6.
La quota parte delle risorse di cui al comma 1 eventualmente non utilizzata per
le finalità di cui ai commi precedenti rimane a disposizione, nel medesimo
esercizio finanziario, per le altre finalità del fondo per il finanziamento ordinario.
Art.
21 Merito e giovani eccellenze nella Pubblica Amministrazione (in attesa norma)
Art.
22 (Università)
1.
Al fine di sostenere l’accesso dei giovani alla ricerca, l’autonomia
responsabile delle università e la
competitività del sistema universitario italiano a livello
internazionale, il fondo per il finanziamento
ordinario delle università statali è incrementato di 55 milioni di euro per
l’anno 2016 e di 60 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017, per l’assunzione di ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera b) della legge
30 dicembre 2010, n. 240 e per il conseguente eventuale consolidamento nella
posizione di professore di seconda fascia.
2.
L’assegnazione alle singole università dei fondi di cui al comma 1 è effettuata
con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca
tenendo conto dei risultati della valutazione della qualità della ricerca
(VQR).
3.
La quota parte delle risorse di cui al comma 1 eventualmente non utilizzata per
le finalità di cui ai commi precedenti
rimane a disposizione, nel medesimo esercizio
finanziario, per le altre finalità del fondo per il finanziamento ordinario.
4.
Per il medesimo fine di cui al comma 1 e tenendo conto della situazione di
bilancio delle singole università, all’articolo 66, comma 13-bis, del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.
133, le parole da “A decorrere dall’anno 2015” sono sostituite
dalle
seguenti: “Per l’anno 2015” e dopo il terzo periodo è inserito il seguente “A
decorrere dall’anno 2016,
alle sole università che si trovano nella condizione di cui al periodo
precedente, è consentito procedere alle assunzioni di ricercatori di cui
all’articolo 24, comma 3, lettera a), della
legge 30 dicembre 2010, n. 240,
senza che a queste siano applicate le limitazioni da turn over. Resta fermo
quanto disposto dal decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49 e dal DPCM
31 dicembre 2014 con riferimento alle facoltà assunzionali del personale a tempo
indeterminato e dei ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera b)
della legge 30 dicembre 2010, n. 240”.
5.
Al fine di aumentare il numero dei contratti
di formazione specialistica dei medici di cui all’articolo 37 del decreto
legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni,
l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 424, della legge 27
dicembre 2013, n. 147, è incrementata di 57 milioni di euro per l’anno 2016, di
86 milioni di euro per l’anno 2017, di 126 milioni di euro per l’anno 2018, di
70 milioni per l’anno 2019 e di 90 milioni a decorrere dall’anno 2020.
6.
All’articolo 14 del decreto-legge 14 aprile
2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014,
n. 89, sono apportate le seguenti modificazioni:
a)
al comma 1, primo periodo, dopo le parole: "degli enti di ricerca,"
sono aggiunte le seguenti:
"dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e
della Ricerca (ANVUR)";
b)
al comma 2, primo periodo, dopo le parole: "degli enti di ricerca,"
sono aggiunte le seguenti:
"dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema universitario e
della Ricerca (ANVUR).
7.
La dotazione organica dell’Agenzia
Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca di cui
all’Allegato A dell’articolo 12, comma 3, del decreto del Presidente della
Repubblica 1 febbraio 2010, n. 76 è
incrementata di 9 unità di Area terza del CCNL Comparto Ministeri, di cui 7
funzionari valutatori tecnici e 2 funzionari amministrativi, e di 3 unità di
Area seconda del CCNL Comparto Ministeri. La relativa spesa trova copertura
nelle risorse disponibili nel bilancio dell’Agenzia a legislazione vigente.
8.
L’ANVUR è autorizzata ad assumere a decorrere dall’anno 2016 le unità di
personale di cui al comma 2 mediante
scorrimento delle graduatorie vigenti presso l’Agenzia e per l’eventuale quota
non coperta mediante avvio di nuove
procedure concorsuali, previo espletamento delle procedure di mobilità di cui
all’articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni.
9.
A decorrere dall'anno 2016, al fine di consentire un'adeguata programmazione
delle attività dell’ANVUR, le risorse iscritte per il finanziamento
dell’Agenzia nello stato di previsione della spesa del Ministero
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ai sensi dell'articolo 2,
comma 142, del decreto-legge 3 ottobre
2006, n. 262, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, sono incrementate fino al
raggiungimento del limite di spesa di cui al medesimo comma 142. Al relativo
onere, pari a 3 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, si provvede mediante corrispondente riduzione di
1,5 milioni del Fondo per il finanziamento ordinario delle università di
cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 24
dicembre 1993, n. 537, e mediante corrispondente riduzione di 1,5
milioni del Fondo ordinario per gli enti di ricerca di cui all'articolo 7,
comma 1, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204. Le eventuali ulteriori
risorse assegnate dal Ministero all’Agenzia a valere sui predetti fondi per lo
svolgimento delle proprie attività istituzionali di valutazione non possono
superare il limite di 500 mila euro.
10.
All’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 novembre
2006, n. 286, dopo il comma 140, è inserito il seguente comma: “140-bis. Al
fine di assicurare il necessario
adeguamento dell’organizzazione dell’ANVUR all’evoluzione delle sue funzioni
istituzionali, la struttura e la dotazione organica dell’Agenzia possono essere modificate con decreto ministeriale di natura non regolamentare, adottato di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la
pubblica amministrazione e la semplificazione, su proposta del Consiglio
direttivo, in relazione alle esigenze operative dell’Agenzia e nei limiti delle
disponibilità finanziarie della stessa”.
SINTESI DELLE NORME SU UNIVERSITÀ E RICERCA NELLA BOZZA
DEL DDL STABILITÀ 2016. RECLUTAMENTO PROFESSORI E RICERCATORI. RETRIBUZIONI
Alcune norme che interessano specificamente
l'università e la ricerca sono presenti nella bozza del DDL stabilità
(finanziaria) 2016 agli articoli 20 e 22 (aggiornamento del 22-10-15):
1) finanziamento straordinario da parte del MIUR di
circa 1000 posti per RTDB (ricercatori a
tempo determinato di tipo b), ossia posizioni che in 3 anni hanno insita la
trasformazione in PA (professori associati). Questi posti saranno distribuiti
in base ai risultati della VQR.
A questo fine il fondo per il finanziamento ordinario delle università
statali è incrementato di 55 milioni di euro per l’anno 2016 e di 60 milioni di
euro a decorrere dall’anno 2017.
2) possibilità di assunzione di RTDA (ricercatori a tempo determinato di tipo a) senza vincoli di
punti organico e turnover;
3) piano straordinario di reclutamento di PO (professori ordinari) e PA (professori associati)
internazionali (“Se sono italiani e vogliono ritornare nel loro Paese
questa è l'occasione. Ma è anche un'occasione per quelle eccellenze straniere
che vogliono venire qua in Italia”, ha detto il ministro Giannini)
Porterà all’assunzione, da
parte degli atenei, di 300 PO e 300 PA (equivalenti ai circa 500
"professori" di cui parla la stampa che ha tradotto il finanziamento
tutto in PO).
A
questo fine il fondo per il finanziamento
ordinario delle università statali è incrementato di 38 milioni di euro
nell’anno 2016 e di 75 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017.
4) per favorire la mobilità dei professori ordinari tra
sedi universitarie diverse è destinata una somma non superiore a 10 milioni di euro.
5) stretta sul turn over
degli enti di ricerca che scenderebbe
nel 2016 addirittura al 25% (dal 60% previsto) sulle cessazioni dell'anno
prima.
6) in merito alle vertenze sulle retribuzioni dei docenti universitari l’attuale versione della legge (sblocco dal 1° gennaio 2016 senza effetti giuridici) comporta:
A) Per il 2016: 105 euro netti in media al mese, ma solo per quelli che al 31/12/2010 avevano almeno un anno e un giorno di anzianità nella classe e solo quando, nel corso 2016, saranno maturati i due anni di anzianità nella classe. Pertanto alcuni li avranno già da gennaio 2016 e, all’estremo opposto, altri dovranno aspettare dicembre 2016.
B) Per chi aveva meno di un anno di anzianità al 31/12/2010: nulla nel 2016. Dovranno aspettare il 2017 per percepire 105 euro netti in più, in media, man mano che nel corso dell’anno 2017 avranno maturato due anni di anzianità, con lo stesso meccanismo graduale detto prima. Quindi i meno anziani dovranno attendere fino a dicembre 2017 (più di due anni) per percepire i 105 euro netti in busta paga.
C) Per il 2015: Nulla per nessuno.
A) Per il 2016: 105 euro netti in media al mese, ma solo per quelli che al 31/12/2010 avevano almeno un anno e un giorno di anzianità nella classe e solo quando, nel corso 2016, saranno maturati i due anni di anzianità nella classe. Pertanto alcuni li avranno già da gennaio 2016 e, all’estremo opposto, altri dovranno aspettare dicembre 2016.
B) Per chi aveva meno di un anno di anzianità al 31/12/2010: nulla nel 2016. Dovranno aspettare il 2017 per percepire 105 euro netti in più, in media, man mano che nel corso dell’anno 2017 avranno maturato due anni di anzianità, con lo stesso meccanismo graduale detto prima. Quindi i meno anziani dovranno attendere fino a dicembre 2017 (più di due anni) per percepire i 105 euro netti in busta paga.
C) Per il 2015: Nulla per nessuno.
7) confermati gli stanziamenti (57 milioni per
il 2016, 86 per il 2017,126 per il 2018,
70 per il 2019 e 90 dal 2020) per
finanziare i contratti per gli specializzandi
medici. L'obiettivo a regime è portare gli specializzandi a 6mila l'anno. (Fonte:
USPUR 17-10-15; C. Ferraro mail 22-10-15: IlSole24Ore 22-10-15)
CLASSIFICAZIONE
DEGLI ATENEI. GLI ITALIANI EMERGONO SE SI VALUTANO GLI OBIETTIVI RAGGIUNTI IN
BASE AI FONDI A DISPOSIZIONE
A metà agosto è stata pubblicata la prestigiosa
classifica Academic Ranking of World Universities (ARWU) redatta
dall’università Jiao Tong di Shangai, che da più di un decennio mette in fila i
migliori 500 atenei al mondo. Anche quest’anno questo evento è stato seguito da
una sequela di riflessioni su quanto pessima sia la prestazione dell’Italia: la
tesi di molti media è che non avere nessuna rappresentanza tra le prime 150
università del mondo sia da considerare un fatto deleterio e vergognoso, un
grave danno di immagine ed un vulnus al prestigio già traballante del sistema
scolastico del Bel Paese. Ma venendo ad un’analisi puntuale dei risultati
conseguiti dai nostri atenei, pare davvero sciocco lanciare anatemi e giudizi
sulla base dei dati nudi e crudi. È auspicabile che sia evidente a tutti la
stortura insita nel raffrontare le prestazioni assolute in termini di risultati
conseguiti tra, ad esempio, Harvard e La Sapienza. Ben più corretto sarebbe
invece rapportare i dati su base relativa, ossia tenendo conto degli obiettivi
raggiunti in base ai fondi a disposizione delle università. Utilizzando questo
metro di paragone non solo le università italiane recupererebbero diverse
posizioni in classifica, ma si piazzerebbero addirittura ai primissimi posti.
Difatti, ricalibrando il punteggio ottenuto nell’ARWU in funzione delle spese
operative, ben otto delle prime 10 posizioni della graduatoria sarebbero
occupate da atenei italiani, con il primo posto da attribuire alla Normale di
Pisa che si caratterizza per essere l’università più efficiente del mondo tra
le 500 qui considerate, con netto distacco sulle altre. A seguire verrebbero
poi Ferrara, Trieste, Milano-Bicocca, Pisa, Palermo e via discorrendo, per un
totale di 20 atenei italiani nelle prime 40 posizioni. Riassumendo, poca spesa
massima resa. (Fonte: university.it 10-09-15)
RICERCATORI, NUMERO CHIUSO, BORSE DI STUDIO,
CONSERVATORI, CATTEDRE, QUOTA PREMIALE DEL FFO. PROPOSTE A TUTTO CAMPO DEL
MINISTRO GIANNINI
Alla
due giorni universitaria organizzata dal PD nel Palazzo Garzolini
dell'Università di Udine il ministro
Giannini
dice: "Ai 1000 ricercatori che
saranno assunti con i soldi della Legge di stabilità dobbiamo aggiungere i 4000
del Piano nazionale della ricerca”. Ancora il ministro: "Se aggiungiamo i
post-laureati che i singoli atenei potranno assumere in proprio con la fine dei
divieti finanziari, si comprende che il capitolo ricerca sta conoscendo
un'inversione di tendenza”.
Ai
rettori: “Torno a proporvi la fine del test a numero chiuso per l'accesso al primo anno nelle facoltà di
Medicina. La prova a crocette non seleziona i migliori medici del futuro. Penso
invece a un giudizio efficace, veritiero, che, tuttavia, non porti orde di
ragazzi a sovraffollare le aule di Anatomia". (non si comprende con quali
modalità si applicherà questo tipo di selezione; il ministro non ripropone,
pare, il “sistema francese” che in Francia stessa è stato fortemente criticato.
PSM)
Ancora:
"Vorrei togliere alle Regioni il finanziamento delle borse di studio per gli studenti e affidare questa responsabilità
direttamente alle università". Oggi un quarto degli aventi diritto non
riceve l'assegno da 5.000 euro, "e alcune Regioni sono quasi totalmente
inadempienti". Il passaggio non è semplice, da un punto di vista sia
legale sia operativo.
Contunua
il ministro: basta con i conservatori
musicali che insegnano a tutti, i luoghi dell'eccellenza artistica, 76 in
Italia, "devono tornare a essere scopritori e formatori dei futuri Verdi e
Puccini, l'alta velocità musicale per chi ha le qualità".
Il
ministro è tornato anche sulle 500
cattedre dell'eccellenza "e
aggiuntive" che saranno assegnate con un concorso straordinario la
prossima primavera. La "call" sarà aperta a tutti gli abilitati
italiani e stranieri, che già operano in Italia o all'estero. Tutti potranno
partecipare, anche i professori associati (ma non gli ordinari) delle nostre
università. Il concorso per le cattedre del merito sarà previsto solo per
alcune discipline: ambiente, energia, sanità. La commissione giudicante
coinvolgerà l'Erc, il Consiglio europeo della ricerca.
Infine
il ministro proporrà alla Conferenza dei rettori di far salire ulteriormente la
quota premiale nei finanziamenti
pubblici agli atenei (oggi pari, nel complesso, a 7 miliardi). "Dal 18% siamo passati al 20% e cresceremo
ancora". (Fonte: C. Zunino, R.it Scuola 24-10-15)
COLLOCAZIONE
INADEGUATA DEI LAUREATI E TROPPI STUDENTI IN CORSI CHE SERVONO A POCO
Dall'ultima ricerca annuale risulta che la media dei
laureati italiani fra i 25 e i 34 anni è largamente inferiore a quella europea,
22% contro il 37%. Sono veramente troppo pochi i nostri? O non ce n'è invece
una sovrabbondanza in certe discipline rispetto alle esigenze del mercato del
lavoro? Risponde Fabio Roversi Monaco, presidente del Consorzio universitario
AlmaLaurea: «Può essere vero che la media italiana dei laureati è più bassa, ma
si deve tener conto del fatto che in altri ordinamenti, come quello tedesco,
vengono considerati lauree dei titoli che in altri Paesi non sono riconosciuti
come tali. D'altra parte va sottolineato che da noi c'è un numero di avvocati e
altri professionisti molto superiore a qualsiasi Paese europeo, una pletora di
persone e personaggi che danno ben poco alla società. Non credo che il numero
dei nostri laureati sia così inferiore, c'è invece il problema di una loro
collocazione inadeguata, per cui c'è una quota di persone in possesso del
titolo che risulta intollerabile per le posizioni di lavoro effettivamente
disponibili». I dati sull'occupazione a cinque anni dalla laurea vedono
svettare ingegneri e medici, mentre faticano i laureati in indirizzi giuridici
e letterari. Le politiche di orientamento sembrano largamente insufficienti ...
«Non tutti, ma diversi atenei sono privi di un'efficace politica di
orientamento. Non si può rimproverare troppo le scuole superiori, che hanno già
i problemi loro, sono le università che si devono collegare meglio al mondo
della scuola, in modo da creare le condizioni per cui gli atenei siano favoriti
nell'illustrazione degli indirizzi di laurea più convincenti. I difetti
nell'orientamento si riflettono anche sull'abbandono: dal primo anno al secondo
si perde per sempre quasi il 16% degli iscritti, e un altro 4% cambia facoltà.
E poi credo ci sia un lassismo forte in alcune facoltà di Giurisprudenza e di
Lettere». Cioè? «C'è un numero di facoltà localizzate anche in zone dove non
c'erano le condizioni per farle nascere, che attirano i giovani perché sono
sotto casa loro, ma non i migliori docenti, quindi mancano degli strumenti
fondamentali. Ciò porta a una sovrabbondanza di studenti in settori
disciplinari in cui non esistono le condizioni per poi valorizzare i relativi
titoli di studio nel mondo del lavoro. In altre parole, questi corsi servono a
poco e contano poco, perché non hanno rapporti con l'economia e le
professioni». (Fonte: F. Giubilei, intervista a F. Roversi Monaco, La Stampa
10-09-15)
TEST D’INGRESSO A MEDICINA. OLTRE LA METÀ (27.663) DEGLI
ASPIRANTI MEDICI È RISULTATA INSUFFICIENTE
Viene
pubblicata la graduatoria finale, con tutti i nomi, del test di ingresso alle
(ex)facoltà di Medicina e chirurgia che si è tenuto un mese fa. Circa 11 mila
ragazze e ragazzi avranno la possibilità di cimentarsi con una delle facoltà
più difficili. E altri 40 mila la certezza di esserne esclusi. Resta una grande
curiosità: come è possibile che oltre la metà dei partecipanti, il 52 per
cento, sia risultata insufficiente? 27.663 aspiranti medici su 53.164 non sono
riusciti a ottenere neppure i 20 punti (su 90 totali) per essere ammessi alla
graduatoria. Una spiegazione cinica è la seguente: il test è volutamente troppo
difficile, in modo che migliaia e migliaia di studenti si trovino così lontani
dal punteggio soglia d'ammissione che non osino neppure fare ricorso. Ma questo
non spiega perché il numero di insufficienti aumenta mentre il punteggio dei
1000 più bravi, secondo Skuola.net, cresce dal 55,3 del 2014 al 55,43 del 2015
e il punteggio soglia scende da 34 a 30,40. Sembra, insomma, che gli studenti
bravi diventino più bravi mentre la media si abbassa e il numero dei poco
preparati sale. Ma poco preparati per cosa? Il professor Alberto Lenzi dice che
si stanno deteriorando i programmi della scuola superiore, che c'è troppa
tecnologia e troppe poche nozioni, che gli studenti non reggono lo stress dei
test a scelta multipla. Oppure è colpa del fatto che gran parte del punteggio
(30 punti su 90) deriva dal saper pensare, materia che nessuna scuola insegna.
(Fonte: S. Feltri, FQ 07-10-15)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
REVISIONE DEL REGOLAMENTO DELL'ABILITAZIONE SCIENTIFICA
APPROVATO DAL CDM
Il Consiglio dei
Ministri ha approvato la revisione del Regolamento dell'Abilitazione
scientifica nazionale, requisito necessario per poter esercitare l'insegnamento
universitario. Il nuovo Regolamento recepisce alcune delle indicazioni fornite
dalla comunità scientifica in seguito ai risultati delle due precedenti
tornate, nel corso delle quali si erano evidenziate non poche criticità. Tra le
principali novità del provvedimento si segnala la cosiddetta procedura a
"sportello", che consentirà agli aspiranti docenti di presentare la propria
candidatura in qualsiasi momento dell'anno e non più solo entro periodi
limitati fissati dal Miur. Saranno riviste anche le modalità di sorteggio dei
commissari, nella prospettiva di garantire una maggiore rappresentatività dei
settori disciplinari. La ratio cui è ispirato il Regolamento è quella della
semplificazione, soprattutto in merito agli indicatori: nel caso dei settori
bibliometrici, scompare l'indicatore relativo al numero delle citazioni dei
prodotti scientifici; per i settori non bibliometrici scendono da tre a due gli
indicatori richiesti, grazie all’eliminazione del «numero di articoli
scientifici e di capitoli di libro pubblicati nel decennio». Per essere ammesse
a valutazione, sarà sufficiente che le monografie siano dotate di Isbn.
Alla vigilia
dell'emanazione del nuovo Regolamento, il CUN (Analisi-proposta n. 10429 del 16
giugno 2015) auspicava un profondo «ripensamento degli indicatori» finalizzati
a misurare il valore della produzione scientifica dei candidati. In
particolare, il CUN suggeriva di superare la distinzione tra aree
bibliometriche e non bibliometriche, rea di aver creato «un'artificiosa
divisione della cultura in ambiti separati». Il consiglio direttivo dell'Anvur,
nell'esprimere un giudizio sostanzialmente positivo (Parere n. 10 del 9
settembre 2015), non ha risparmiato osservazioni critiche nel merito, come nel
caso dell'identificazione dei libri con il solo possesso del codice Isbn, la
cui presenza «non costituisce una garanzia di serietà scientifica dell'opera,
visto che esso viene rilasciato pressoché automaticamente». Per questo l'Anvur
suggeriva di riportare il numero degli indicatori da due a tre, reintroducendo
il numero di articoli pubblicati sulle riviste scientifiche e i capitoli di
libro, e di qualificare meglio le opere monografiche ammissibili. Sugli
aspiranti commissari, il Regolamento restringe l'arco temporale di valutazione
della produzione scientifica, da dieci a cinque anni: una scelta che, per
l'Anvur, «penalizza gli aspiranti commissari di quei settori nei quali
tipicamente i lavori più importanti vengono pubblicati nei primi anni della
carriera scientifica». L'ultima parola spetta ora al Consiglio di Stato e alle
Commissioni parlamentari, che dovranno vagliarne la bontà scientifica,
procedurale e "semplificatoria". (Fonte: A. Lombardinilo,
rivistauniversitas 28-09-15)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. SINTESI DELLA NUOVA
NORMATIVA
Alla
vecchia procedura si sostituisce la nuova selezione “a sportello”, più semplice
e con domande presentabili durante tutto l’anno: in pratica, per ottenere la
“patente” di professore si passerà attraverso il riconoscimento di titoli. Titoli
che vengono individuati, secondo precise priorità qualitative e quantitative,
dal regolamento stesso (o meglio, nei 4 allegati) che fissa “criteri e
parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione
dell’abilitazione scientifica nazionale”. I candidati che aspirano alla prima o
seconda fascia, ordinari o associati, saranno valutati dalle Commissioni in
base appunto ai suddetti criteri, parametri e indicatori appositi. Il primo dei
criteri che peserà maggiormente nella scelta del candidato sarà la produzione
scientifica: si prenderà a riferimento l’arco di tempo degli ultimi 10 anni
dalla presentazione della domanda e, in tale forbice, verranno considerati gli
articoli pubblicati in base a valori soglia (stabiliti per ogni settore –
bibliometrico e non – con un successivo regolamento da varare 45 giorni dopo il
decreto e prenderanno il posto delle contestate mediane usate in passato). A
pesare non saranno solo il numero di pagine e la quantità di pubblicazioni (il
decreto, infatti, fissa un numero massimo di pubblicazioni da presentare:
numero che oscilla tra 10 e 15 a seconda dell’area scientifica e della fascia
della candidatura), ma soprattutto la qualità. Difatti, saranno considerati
maggiormente quegli scritti considerabili di qualità “elevata” (il decreto li
definisce come quelle pubblicazioni che per “livello di originalità e rigore
metodologico e per il contributo che forniscono al progresso della ricerca,
abbiano conseguito o è presumibile che conseguano un impatto significativo
nella comunità scientifica di riferimento a livello anche internazionale”).
Gli
altri titoli che influenzeranno la selezione degli aspiranti prof. saranno
l’attività di conferenziere (sia in termini di partecipazione che di direzione
ai convegni), la partecipazione a gruppi di ricerca e iniziative editoriali. Ad
essere valutata sarà anche la qualifica di responsabile in progetti per finanziamenti
attraverso bandi. Ed ancora saranno considerati eventuali incarichi di
insegnamento, premi e riconoscimenti e risultati ottenuti nel trasferimento
tecnologico (spin off, brevetti, eccetera). Per ottenere l’abilitazione sarà
necessario ottenere una valutazione positiva sia sull’impatto della produzione
scientifica (cioè con parametri superiori al “valore-soglia”) sia su almeno tre
degli altri possibili titoli elencati dal decreto. (Fonte: www.laleggepertutti.it
07-09-15)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. UN COMMENTO AL NUOVO
REGOLAMENTO
Regolamento
recante modifiche al DPR 14 settembre 2011, n. 222 concernente il conferimento
dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo dei professori universitari,
a norma dell’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Si legge qui.
Un
commento di T. Bombadillo (Roars 04-10-15): Non vogliamo abilitazioni, vogliamo
i concorsi! Il doppio passaggio è inutile, anzi dannoso, perché, banalmente:
duplica le possibilità di ricorsi; raddoppia i tempi; illude gli idonei, specie
in periodo di vacche magre; soprattutto, evita completamente la competizione
tra candidati, in quanto “soddisfatti” della selezione a livello abilitativo,
si è assistito ad un arretramento totale su quanto avviene a livello locale - che
è l’unico che realmente rileva, per via delle assunzioni -, con ritorno alle
commissioni designate dai dipartimenti; condanna il reclutamento (quello vero,
quello dei concorsi) a dipendere da fattori totalmente casuali e contingenti,
se non propriamente fortuiti. Allora, ecco quello che farei io: 1) cancellerei
le abilitazioni (salvo per gli rtdb); 2) farei una sanatoria - in qualche modo
tutto da studiare: soglie quantitative di produzione distinte per settore? -
per gli rtdb attualmente esistenti (unica figura per cui mantenere le abilitazioni
è indispensabile); 3) farei solo concorsi, senza abilitazioni, per prima,
seconda e, soprattutto, terza fascia, da reintrodurre. Ovviamente, intendo
concorsi nazionali (uno per settore), non decentrati per sede, con regole
blindate, ché a farle non ci vuole nulla, se non la volontà politica.
CUN. PARERE SULLO SCHEMA DI DECRETO RECANTE CRITERI E
PARAMETRI PER LE ABILITAZIONI SCIENTIFICHE NAZIONALI
Nell’ultima
adunanza (29-30 settembre e 1 ottobre) del Consiglio Universitario Nazionale è
stato approvato un importante parere
sullo schema di decreto che contiene criteri e parametri delle ASN. Nel parere
sono evidenziate diverse criticità sull’impianto proposto e sono avanzate
proposte di modifica importanti e rilevanti. Durante la discussione si è
condivisa la necessità di assicurare alle commissioni la responsabilità delle
valutazioni attenuando la rigidità di criteri e parametri e indicatori di
dubbia tenuta applicativa. Per un giudizio complessivo sulle procedure concernenti
le ASN è essenziale che il significato dei valori soglia, che saranno definiti
in un secondo momento dall’ANVUR sentito il CUN, debba essere specificato
all’interno dello stesso decreto. Il rischio di escludere soggetti attivi nella
Ricerca deve essere assolutamente escluso attraverso la definizione di valori
che tengano conto delle peculiarità dei diversi settori
scientifico-disciplinari. Il CUN nel proprio parere esprime la necessità che si
tenga conto non di due indicatori, come prevede la bozza di decreto, ma di tre
indicatori per meglio descrivere il profilo scientifico dei candidati e dei
commissari, prevedendo che si debbano raggiungere per l’abitazione due
indicatori su tre. (Fonte: Resoconto CUN e Roars 10-10-15)
OSSERVAZIONI DELLA SIF (SOCIETÀ ITALIANA DI FISICA) SULLO
SCHEMA DI DM: REGOLAMENTO PER LA VALUTAZIONE DEI CANDIDATI ALL’ABILITAZIONE
SCIENTIFICA NAZIONALE
La
Società Italiana di Fisica ritiene che porre come condizione obbligatoria la
valutazione positiva dell’impatto della
produzione scientifica meramente determinato da indicatori numerici costituisca
un eccessivo restringimento dei poteri
di valutazione delle commissioni, e giudica negativamente il rischio che in assenza di tale requisito esse non possano
più attribuire l’abilitazione a candidati che pure siano giudicati di elevata qualità scientifica
secondo i criteri condivisi dalla propria comunità. La SIF ritiene in ogni caso
troppo restrittivo il vincolo del superamento di due indicatori bibliometrici
su due. (Fonte: SIF 29-09-15
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
CLASSIFICA «WORLD UNIVERSITY RANKING»,
STILATA DAL MAGAZINE INGLESE «TIMES HIGHER EDUCATION»
Nella
speciale classifica «World University Ranking», stilata dal magazine inglese
«Times Higher Education» l’Italia mostra segnali incoraggianti e prova a
inseguire il gruppo di testa, con tre atenei che si posizionano nella parte
alta della classifica globale: Normale di Pisa (al 112° posto), Sant’Anna
(180°) e Trento (198°) conquistano il primo quarto della classifica mondiale,
seguite a poca distanza da Bologna, Politecnico di Milano, Sapienza di Roma. E
se relativamente alle 34 università italiane entrate nel ranking, la Normale si
conferma prima, l’exploit arriva dalla seconda italiana, la Scuola Superiore
Sant’Anna, consegnando le prime due posizioni ad altrettante «scuole di
eccellenza» toscane che, dai primi calcoli, rientrano addirittura entro le
prime 100 università a livello europeo. I criteri formazione, ricerca,
pubblicazioni e citazioni, capacità di attrarre fondi, trasferimento
tecnologico, internazionalizzazione sono le macrocategorie prese in
considerazione per il ranking che, rispetto all’edizione 2014, vede raddoppiare
il numero delle istituzioni prese in esame (da 400 a 800) e il numero dei Paesi
in cui esse sono distribuite (da 41 a 70). (Fonte: CorSera 01-10-15)
CLASSIFICA QS
2015 DEGLI ATENEI. CAMBIO DELLE REGOLE CHE PENALIZZA ALCUNI ATENEI
Cominciamo
a dire che è difficile prendere troppo sul serio la classifica QS, redatta da
Quacquarelli Symonds, particolarmente nota per i suoi svarioni, come osservato
da Richard Holmes, un esperto di classifiche degli atenei, il cui blog,
University Ranking Watch, è una delle migliori sedi di critica e analisi delle
più svariate classifiche diffuse a livello mondiale: “During its short venture into the ranking business QS has shown a
remarkable flair for error. In terms of quantity and variety they have no peers. All
rankers make mistakes now and then but so far there has been nobody quite like
QS”. Giusto un anno fa avevamo pubblicato un post intitolato ‘Ranking QS: la Top
10 degli svarioni più spettacolari’. E la previsione del crollo degli atenei
italiani non ci deriva da capacità divinatorie. Molto semplicemente, QS ha
cambiato le regole in corsa con due novità consistenti relative a due dei
principali indicatori: reputation survey (che conta per il 40+10%) e citation
per faculty (che conta per il 20%). Una terza modifica è quella di aver escluso
le pubblicazioni frutto di grandi collaborazioni (più di dieci affiliations
rappresentate) che per alcuni atenei italiani rappresentano parecchie centinaia
di pubblicazioni (soprattutto nell’ambito della fisica). E’ impossibile in ogni
classifica, anche sportiva, perdere centinaia di posizioni in pochi mesi se non
cambiano gli indicatori. Ebbene, Qs ha deciso - senza confrontarsi con nessuno
- di cambiare indicatori, utilizzando un metodo errato nei principi e nella
metodologia. La credibilità del ranking si raggiunge proprio con la stabilità
dei suoi indicatori nel tempo per consentire alle Università di modificare gli
indirizzi strategici (cosa che richiede qualche anno). Nel ranking Qs hanno
“normalizzato” i valori delle citazioni scientifiche, ad esempio di medicina,
con le citazioni effettuate dallo stesso ateneo nelle aree umanistiche. Tutti
sanno che le aree umanistiche in Italia pubblicano prevalentemente in lingua
italiana e non inglese. In questo modo si da un vantaggio del tutto
ingiustificato alle università inglesi e americane. Quelle introdotte da QS
sono modifiche così radicali da assimilare la nuova classifica ad un “ballo del
qua qua” in cui ci sarà chi va di qua e chi va di là solo perché sono cambiate
le regole del ballo. Una specie di “anno zero” del Ranking QS, che però
dubitiamo verrà accolto come tale dai mezzi di informazione. Con il risultato
di assegnare medaglie e gogne del tutto arbitrarie. (Fonte: Redazione Roars
14-09-15).
Tabella.
Posizione degli atenei italiani presenti nel QS World University Rankings 2015,
che ha considerato 3.539 atenei del mondo, classificandone solo 891.
CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ. RETROCESSIONI DELLE ITALIANE
Nella
classifica QS si assiste a un ridimensionamento che colpisce Bologna, Sapienza,
Milano e Padova, tutte retrocesse sotto quota 200 o addirittura 300 rispetto al
2014, mentre solo il Politecnico di Milano sale al 187esimo posto. Vale
peraltro la pena notare che Roma Tor Vergata è 33esima tra le migliori 50
università fondate nell’ultimo mezzo secolo. Per THES sono invece tre le
università italiane tra le prime 200: la Normale (112esima), la Scuola
Superiore S. Anna di Pisa (180esima) e Trento (198esima), mentre Bologna,
Politecnico di Milano e Sapienza si collocano tra le prime 250. Ci sono diverse
possibilità di leggere questi numeri. Il primo è che essere inclusi, a qualunque
altezza, nel 4-5% delle migliori università al mondo è di per sé un risultato
positivo. L’altro è di lamentare che nessun ateneo italiano emuli consorelle
continentali, quali Leiden o Berlino, che ci distaccano in modo sensibile. Qui
entra in gioco, ovviamente, la metodologia di calcolo. Entrambi i sistemi, per
esempio, pesano al 10% il grado di internazionalizzazione, calcolato sia come
numero di docenti che di studenti stranieri, campi in cui siamo poco
competitivi. Resta poi enorme, nonostante l’apparenza di oggettività che
entrambi i rankings coltivano con cura, il peso attribuito alla “reputazione”,
il 33% per THES, addirittura il 50% per QS. Si tratta, lo dice il nome, di un
criterio quasi inafferrabile, basato appunto sulla fama di cui un’istituzione
gode nella comunità accademica e in quella dei datori di lavoro («da dove
vengono i migliori laureati che assumete?»). È un criterio per un verso
sostanzialmente tautologico (sono bravi tutti quelli che sono ritenuti bravi),
dall’altro incontrollabile: chi sono gli intervistati? Come sono scelti? Quanto
è indipendente e informato il loro giudizio? Esiste un collegamento tra le
modalità di svolgimento di questo sondaggio e le attività di consulenza che le
società di rankings vendono a singole istituzioni? Tutte domande cui è
impossibile rispondere, ma che esortano a prendere questi numeri con un qualche
distacco. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 03-10-15)
ATENEI. CHI VINCE E CHI PERDE NELLA CLASSIFICA DEL
“RECLUTAMENTO VIRTUOSO”
Chi
vince e chi perde nella classifica del “reclutamento virtuoso”? Essendo
entrambe basate sui dati della VQR 2004-2010, le classifiche 2014 e 2015
dovrebbero essere identiche. Ma – a sorpresa – sono molto diverse. Quando il ministro
era Maria Chiara Carrozza, il suo ateneo, la Scuola Superiore Sant’Anna, ha
stravinto con un +116% rispetto ad un’ipotetica ripartizione uniforme, ma un
anno dopo, sotto il ministro Giannini, la Sant’Anna è scesa al quarto posto con
un più modesto +16%. Viceversa il Politecnico di Bari passa da un -90% nel 2014
a +4,4% nel 2015, superando il Politecnico di Milano che, da uno strepitoso
+88% del 2014, precipita a +3,9% nel 2015. Come si spiega tutto ciò? Beniamino
Cappelletti Montano spiega su Roars come siano state costruite le due
classifiche in conflitto tra loro, calcolando quanti milioni di euro siano
stati sottratti alle università meridionali grazie all’algoritmo anomalo del
2014. Vengono infine evidenziate le ragioni tecniche e giuridiche che
sconsigliano l’uso degli indicatori della VQR per valutare le politiche di
reclutamento. (Fonte: http://tinyurl.com/pyhfn8o 02-09-15)
CLASSIFICAZIONI DELLE UNIVERSITÀ. MEGLIO U-MULTIRANK
Il
ranking delle università del mondo pubblicato ogni anno il 15 d’agosto
dall’università di Shanghai (ARWU) e altre classifiche analoghe hanno grande
risonanza nell’informazione. Ma servono? E a chi? Una prima risposta articolata
è stata data con un rapporto pubblicato in gennaio dall’Associazione delle
università europee. I dirigenti di 171 università di 39 paesi dichiarano di
tener d’occhio le classifiche per prendere decisioni (70 per cento) e per farsi
pubblicità tra docenti e studenti (80 per cento). Sulle classifiche però
piovono critiche: i criteri non sono chiari e paiono fatti in modo da
privilegiare le università più grandi e ricche, oppure (che è quasi lo stesso)
anglosassoni. In queste note già era stata data notizia del progetto e dei
primi passi della risposta europea: la classifica U-Multirank, promossa dalla Commissione
europea. U-Multirank dà priorità e ampio spazio a criteri che accertano e
graduano le effettive condizioni di vita e studio degli studenti ed è costruita
in modo che ciascun criterio può fungere da principio ordinatore della
classifica di più di un migliaio di università e istituti superiori. Ciò
favorisce orientamento e scelte di singoli utenti. (Fonte: T. De Mauro, www.internazionale.it
04-09.15)
CAMBRIDGE E PISA.
CONFRONTO CON UNA VARIAZIONE DELLA CLASSIFICA
L’Università di Pisa ottiene dalla Commissione Europea un
sesto di quello che ottiene Cambridge. Le cose vanno in modo simile per
finanziamenti da privati. È chiaro che il sistema universitario italiano è
eccessivamente sottofinanziato. Sulla questione possono agire solo il governo e
il parlamento.
Cambridge (UK) e Pisa ospitano due delle Università più
antiche del mondo, pubbliche, in città universitarie. I ranking internazionali
pongono le due università in posizioni molto diverse, tra le circa 17.000
istituzioni universitarie nel mondo (di cui circa 4000 negli Stati Uniti):
ARWU (Shanghai Ranking) 2015: Cambridge 5a,
Pisa: 151-200a,
Times Higher Education 2014-2015: Cambridge
5a, Pisa: 301-350a,
QS World University Rankings 2014-2015: Cambridge
2a, Pisa 245a,
CWUR 2015: Cambridge 4a, Pisa 295a.
Quindi Cambridge è sempre la prima in Europa, Pisa è fra
la posizione 2a e 8a in Italia (nel primo 1-2% nel mondo, per vederla
positivamente). Un articolo di Giuseppe De Nicolao su Roars.it molto ripreso
dalla stampa d’agosto ha proposto come divertimento serio una variazione della
classifica ARWU, in cui i punti nella classifica generale ARWU sono divisi per
le spese totali operative dell’Università. Il nuovo punteggio misura quindi il
risultato (accademico) per euro di spesa, ed è quindi una misura di ritorno
sull’investimento. In questa nuova classifica Cambridge e Pisa sono
praticamente appaiate, rispettivamente al quinto e sesto posto. (Fonte: G.
Iannaccone, www.roars.it
10-09-15)
CLASSIFICA DELLE FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA 2015 STILATA
DA CENSIS REPUBBLICA
La
classifica delle facoltà di giurisprudenza 2015, stilata da Censis Repubblica,
rispetto alla classifica dell’anno scorso non ha visto grandi cambiamenti nelle
prime posizioni. Al primo posto troviamo ancora l’Università di Macerata,
seguita al secondo posto da quella di Modena-Reggio Emilia (nel 2014 era terza)
e da quella di Genova (l’anno scorso era seconda). (Fonte: C. Casalin, www.studenti.it
03-08-15)
La
classifica Censis la trovate qui sotto:
LA TOP 3 DEGLI
ATENEI ITALIANI PER AREE DI STUDIO
Quali sono i 3 migliori atenei italiani per aree di
studio? A dare la risposta è il sito TopUniversities.com che ha pubblicato un aggiornamento del QS
World University Ranking 2015. Si tratta della classifica dei migliori atenei
del mondo che, peraltro, è possibile filtrare per Continente, Stato e aree di
studio. Skuola.net ha diviso gli atenei italiani per le 5 aree di studio
proposte dal sito: arte e discipline umanistiche, medicina e scienze della
vita, ingegneria e tecnologia, scienze naturali, scienze sociali e management. Dopodiché,
ha individuato la top 3 degli atenei
italiani per aree di studio.
Top 3 arti e discipline umanistiche: università degli
studi di Milano, università degli studi di Roma la Sapienza, università di
Bologna.
Top 3 medicine e scienze della vita: università degli
studi di Roma la Sapienza, università di Bologna, università degli studi di
Milano.
Top 3 ingegnerie e tecnologie: università di Bologna,
politecnico di Torino, politecnico di Milano.
Top 3 scienze naturali: università di Bologna, politecnico
di Milano, università degli studi di Roma la Sapienza
Top 3 scienze sociali e management: politecnico di
Milano, università di Bologna, università commerciale Luigi Bocconi.
(Fonte: D. Strip poli, www.skuola.net 15-09-15)
DOCENTI
LA MANCATA
COMUNICAZIONE DÌ UNA CONSULENZA RETRIBUITA, ANCORCHÉ NON SOGGETTA AD
AUTORIZZAZIONE, COSTITUISCE ILLECITO DISCIPLINARE PER IL DOCENTE
Il fatto che un’attività di consulenza non debba
costituire oggetto di previa autorizzazione, non esclude che incomba sul previo
esercizio della stessa l’obbligo del docente di comunicare all’Ateneo la natura
dell’oggetto e della durata dell’incarico, nonché dell’articolazione temporale
dell’impegno richiesto. E ciò si basa sulla considerazione che il docente,
quale dipendente e nel rispetto del codice etico, debba non solo comportarsi
nei confronti del datore di lavoro secondo criteri improntati al rispetto della
correttezza e della buona fede, ma deve mettere l’Ateneo nelle condizioni di
poter valutare la configurabilità o meno di un conflitto d’interessi. Quindi è
il docente che a ragion veduta deve farsi parte diligente nel comunicare al
proprio datore di lavoro le attività retribuite erogate a terzi, e la mancata
comunicazione costituisce violazione del codice etico e, quindi, illecito
disciplinare, al concretizzarsi del quale incombe sul Rettore (che nel sistema
disciplinare svolge la funzione di accusa davanti al Collegio di disciplina)
l’obbligo di procedere. Il parallelo tra illecito etico e illecito disciplinare
trova il proprio fondamento, non nella legge 190/2012 e nel suo DPR 16 aprile
2013, n. 62 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 4 giugno 2013, n. 129) contenente
il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che, sebbene normativa
successiva alla c.d. legge Gelmini, è in rapporto di generalità rispetto a
quest’ultima, ma nell’art. 2, comma 4, della legge c.d. Gelmini che
espressamente stabilisce che: “… Sulle violazioni del codice etico, qualora non
ricadano sotto la competenza del collegio di disciplina, decide, su proposta
del rettore, il senato accademico …”.
Volendo trarre una conclusione, dunque, la mancata
comunicazione di una consulenza retribuita, ancorché non soggetta ad
autorizzazione, costituisce illecito disciplinare. (Fonte: L. Canullo, www.lavocedeldiritto.it
09-09-15)
QUANDO SPETTA IL TFR AI DOCENTI UNIVERSITARI IN
ASPETTATIVA
L’INPS
chiarisce che ai docenti universitari collocati in aspettativa per lo
svolgimento di incarichi oggetto di contratto a tempo determinato con pubbliche
amministrazioni spetta il trattamento di fine rapporto connesso e commisurato
alle retribuzioni ed ai servizi del rapporto di lavoro a tempo determinato
costituito per l’incarico, al pari di quanto avviene per gli altri dipendenti
pubblici che si trovano nella medesima condizione. (Fonte: www.ipsoa.it
22-101-15)
RACCOMANDAZIONE CUN IN MATERIA DI CHIAMATE DIRETTE
Il
CUN raccomanda di avviare le procedure per la verifica e l’aggiornamento delle
corrispondenze tra le posizioni accademiche italiane ed estere di cui al DM 2
maggio 2011, n. 236 … e auspica che le proposte di chiamata diretta, presentate
dagli Atenei, siano formulate in modo uniforme secondo un modello predefinito, così
da consentire la disponibilità, al Consiglio Universitario Nazionale, di tutte
le informazioni necessarie per valutare la corrispondenza tra le posizioni
accademiche italiane ed estere. (Fonte: http://tinyurl.com/ok49jtx 24-07-2015)
DOCENTI UNIVERSITARI: RICALCOLO DELLE PENSIONI
DETERMINATE CON IL SOLO METODO CONTRIBUTIVO
Documento dell’USPUR redatto da Antonino Liberatore
1) Generalità
I
professori universitari, in quanto dipendenti civili dello Stato, sono iscritti
alla Cassa per i trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato (CTPS),
istituita il 1° Gennaio 1996 come gestione separata
dell’INPDAP.
La soppressione dell’INPDAP, dal 1° Gennaio 2012, ha determinato il
trasferimento dei Fondi gestiti all’INPS. Sono iscritti alla cassa CTPS tutti i
dipendenti dello Stato, della scuola, dell’università e le forze armate per un
totale di 1.581.000 iscritti. La cassa è gestita contabilmente in maniera
unitaria senza evidenza separata per categorie di iscritti o pensionati.
Pertanto non è possibile esporre alcun dato sulla situazione economica e
patrimoniale della sola categoria dei docenti universitari.
2) Differenze del comparto docenti
universitari rispetto agli iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD).
Fino
al 31 dicembre 1992:
a. la pensione
dei docenti universitari era calcolata sulla base della retribuzione tabellare
dell’ultimo giorno di servizio, maggiorata del 18 per cento (mentre per gli
iscritti al FPLD si calcolava sulla media degli ultimi cinque anni senza
maggiorazione, sebbene con l’inclusione di alcune voci retributive accessorie);
b. non esistevano
tetti retributivi (parzialmente introdotti nel 1993 ed integralmente allineati
a quelli in vigore nel FPLD nel 1998);
c. l’aliquota di
rendimento (l’aliquota con la quale nel sistema retributivo vengono valorizzati
gli anni di contribuzione al fine del calcolo della pensione è del 2,33% fino
al 15° anno di anzianità (diversa da quella prevista per la generalità degli
iscritti al FPLD che è al massimo del 2%) e dell’1,80% dal 16° anno in poi.
Tali aliquote si applicano:
• fino al 31 dicembre 2011 per coloro con almeno 18 anni
di anzianità di servizio al 31.12.1995;
• fino al 31
dicembre 1995 per chi aveva anzianità inferiori a tale data. In questo caso,
per le anzianità maturate dall’1.1.1993 la base di calcolo è data dalla media
delle retribuzioni annue percepite in un determinato periodo di tempo, chiamato
“periodo di riferimento” prossimo al pensionamento e rivalutate in base agli
indici del costo della vita (maggiorato di un punto percentuale).
3) Docenti che vantano al 31.12.1995 almeno 18
anni di contribuzione: sono destinatari di un sistema pensionistico solo retributivo.
Il
loro trattamento pensionistico, che non può superare l’80% della retribuzione
pensionabile, viene
determinato
dalla sommatoria di due quote di pensione: quota A e quota B.
Per
la determinazione della quota A di pensione (quella riferita all’anzianità
contributiva maturata al 31.12.1992), si valutano le seguenti voci retributive:
a. lo stipendio
maggiorato del 18% così come previsto dall’art. 15 della legge 177/1976;
b. le quote mensili di cui all’articolo 161 della legge
n. 312 del 1980 (con maggiorazione del
18%) oppure l’ultimo
stipendio integralmente percepito maggiorato delle quote mensili maturate in
numero corrispondente ai mesi di servizio trascorsi dalla data di attribuzione dell'ultimo
scatto stipendiale fino alla cessazione dal servizio;
c. l’assegno
personale (si tratta di un assegno ad personam, previsto dall’art. 36, comma 8 del
DPR 382/1980), finalizzato:
(1) a colmare
l’eventuale gap retributivo con i dirigenti generali dello Stato per equiparare
retributivamente i docenti a tali
dirigenti dello Stato;
(2) a compensare
la riduzione retributiva ai docenti a tempo definito, all’atto dell’entrata in
vigore del DPR 382/1980 e del nuovo trattamento economico ivi previsto, anche questo
con la maggiorazione del 18%;
d. l’indennità integrativa speciale;
e. l’indennità
riconosciuta ai docenti delle Università che prestano servizio presso le cliniche
universitarie convenzionate con le ASL, per equiparare il trattamento economico
del personale universitario al personale medico – ospedaliero di pari funzioni,
mansioni ed attività, indennità di cui all’art 31 del DPR 761/79, spettante per
effetto delle disposizioni riportate nell’art. 102 del DPR 382/80.
Altri
assegni o indennità possono essere considerati solo se una disposizione di
legge ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile.
Una
peculiarità rilevante sul calcolo della quota A è attinente alle pensioni dei
docenti che, nel corso della loro carriera, hanno avuto periodi sia a tempo
pieno che a tempo definito.
Per
tali docenti l’art. 40 del DPR 11 Luglio 1980 n. 382, ai fini esclusivamente
della quota A (retributiva) di pensione, dispone che non viene presa in
considerazione l’ultima retribuzione integralmente percepita, bensì una
retribuzione calcolata con la seguente formula:
Anzianità tempo
pieno
Retr.
tempo definito + (Retr. tempo pieno - Retr. tempo definito) x ---------------------- Anzianità totale
nella carriera
La
quota B di pensione si riferisce alle anzianità maturate dallo 01/01/1993. La
base di calcolo è data dalla media delle retribuzioni annue percepite in un
determinato periodo di tempo, detto “periodo di riferimento”, prossimo al
pensionamento, e rivalutate in base agli indici del costo della vita (maggiorato
di un punto percentuale). La quota B è determinata applicando l’aliquota di
rendimento precedentemente descritta e riferita:
a. agli ulteriori servizi valutabili dal 1993 al
31.12.1995 per coloro che hanno un’anzianità
contributiva inferiore a 18 anni a tale data ovvero, fino
al 2011, per coloro che hanno maturato
almeno 18 anni di anzianità al 31.12.1995;
b. alla media
delle retribuzioni percepite in un determinato periodo di tempo, detto “periodo
di riferimento”, comprensive, dallo 01.01.1996, degli elementi accessori che
eccedono la retribuzione tabellare maggiorata del 18% (es. straordinario,
indennità legate ai risultati e/o alla produttività etc.);
c. all’eventuale quota dell’indennità descritta al punto
3.1.e, per la parte che costituisce elementi
retributivi legati al risultato o ad elementi non predeterminati.
4) Calcolo della pensione con metodo misto.
Sono
destinatari di un sistema di calcolo misto coloro che hanno maturato al 31
Dicembre 1995 un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni; il loro
trattamento pensionistico sarà composto da due parti: la prima sarà determinata
con le regole del retributivo (retribuzione e aliquote di rendimento pari all’anzianità
contributiva maturata al 31 Dicembre 1995) ed una seconda parte formata dalla sommatoria
dei contributi computati dal 1° Gennaio 1996 e rivalutati annualmente
moltiplicati per un coefficiente di trasformazione relativo all’età
dell’iscritto all’atto del collocamento a riposo.
5) Calcolo della pensione solo con il metodo
contributivo.
Diversamente
i neo assunti al 1° Gennaio 1996 rientrano nei meandri di un calcolo
pensionistico esclusivamente contributivo che utilizza, per la determinazione
del relativo trattamento pensionistico, non più le retribuzioni e aliquote di
rendimento, ma i contributi accantonati (in base all’aliquota di computo che a tutt’oggi
è pari al 33%), debitamente rivalutati annualmente ed un coefficiente di rivalutazione
che varia a seconda dell’età del pensionato.
6) Ricalcolo, con metodo misto, delle pensioni
determinate con il solo sistema retributivo.
L’articolo
1, commi 707 e 708, della legge di stabilità 2015 ha modificato, integrandolo,
l’art. 24, comma 2, del decreto legge 6 Dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 Dicembre 2011, n. 214 (riforma Monti Fornero).
Le
disposizioni in esame prevedono che l’importo complessivo del trattamento
pensionistico non può
eccedere
quello che sarebbe stato liquidato con l’applicazione delle regole di calcolo
con il metodo retributivo, antecedenti all’entrata in vigore dell’articolo 24
della citata riforma Monti Fornero.
Per
effetto di quanto sopra, la pensione di chi ha maturato 18 anni di anzianità
contributiva al 31 Dicembre 1995 va determinata non con il solo metodo
retributivo ma con il calcolo misto: retributivo per le anzianità maturate fino
al 31 dicembre 2011; contributivo per le anzianità maturate a partire dal 1°
Gennaio 2012.
A
determinate condizioni, la misura della pensione calcolata con il metodo misto
può essere superiore a quella determinata con il metodo retributivo.
Tenendo
conto di questa circostanza, il legislatore ha stabilito che per i destinatari
del metodo di calcolo misto in base alla riforma Monti Fornero, il trattamento
debba essere liquidato con il metodo di calcolo che determina l’importo di
minor favore.
Il
comma 708 dispone che il limite si applica dal 2015 anche alle pensioni
decorrenti dal 2 gennaio 2012.
L’INPS
ricalcolerà la pensione determinata con il solo metodo retributivo di quanti
nel 1995 avevano già 18 anni di contributi. Poi, confronterà l’importo ottenuto
con quello che viene loro liquidato in questo momento. Se il primo è più basso,
d’ora in poi riceveranno quello. Altrimenti si procederà al ricalcolo e l’INPS
“provvederà al recupero delle somme indebitamente corrisposte a decorrere dal 1°
Gennaio 2015″.
Il
grafico qui sotto presenta i risultati di uno studio che si propone di
verificare gli effetti di un ricalcolo contributivo applicato alle pensioni
vigenti dei Professori Universitari.
Il
grafico documenta come le pensioni di questa particolare categoria
professionale, con decorrenza successiva al 2004 (periodo 2005-2015), si
rapportano con le prestazioni che sarebbero state erogate
applicando
il metodo contributivo.
La
riduzione media che, con il calcolo contributivo, subirebbe nel complesso il
settore è pari a circa l’11%. Circa il 28% delle pensioni vedrebbe una
riduzione dell'importo di più del 20%; oltre il 20% delle pensioni avrebbe un
vantaggio nel ricalcolo.
(Prof.
Antonino Liberatore Firenze, 21 Settembre 2015)
PER IL PROFESSORE CHE SOLO SPORADICAMENTE FA L'AVVOCATO
NIENTE IRAP
Con
sentenza numero 3275/2015 la Commissione Tributaria Regionale di Roma si è
recentemente pronunciata su una questione sinora abbastanza diffusa: quella dei
docenti universitari che svolgono anche attività professionale, ma in via residuale.
Nel caso di specie, l'appello proposto dinanzi al predetto organo proveniva da
un docente a tempo pieno che, con pochi clienti l'anno, senza una stabile
organizzazione d'ufficio, con scarso utilizzo di beni strumentali e senza la
collaborazione di dipendenti o colleghi, esercitava sporadicamente anche
l'attività di avvocato. E la Commissione gli ha dato ragione, accogliendo le
argomentazioni utilizzate dalla Corte di Cassazione che, interessata della
questione, aveva rinviato al giudice del merito. In sostanza si è rilevato che
non è possibile ritenere che qualsiasi forma di collaborazione sia idonea a
dimostrare la sussistenza di un'organizzazione stabile e autonoma:
quest'ultima, infatti, può semmai ravvisarsi solo nell'ipotesi di impiego di lavoratori
subordinati o con rapporto di lavoro coordinato e continuativo. Niente imposta
quindi per il professionista. (Fonte: V. Zeppilli,
10-06-15)
DOTTORATO
PERFORMANCE FORMATIVE E PROFESSIONALI DEI DOTTORI DI
RICERCA
L’Indagine
AlmaLaurea del 2015 fotografa le performance formative e professionali di circa
2.400 dottori di ricerca italiani. L’analisi, sebbene evidenzi il buon esito
occupazionale dei dottori di ricerca già a un anno dal titolo, mostra che il
mercato del lavoro nazionale non riesce a valorizzare appieno il percorso
formativo e il potenziale professionale dei dottori. Tali risultati emergono
sia con riferimento allo storico e tuttora principale sbocco professionale dei
dottori di ricerca, ossia l’insegnamento e la ricerca in ambito accademico che,
come ha più volte evidenziato AlmaLaurea, sono caratterizzati da tempi lunghi
di stabilizzazione contrattuale e valorizzazione professionale, sia in
riferimento alle loro performance occupazionali all’interno del tessuto
produttivo nazionale, dove il titolo di dottorato fatica tuttora ad essere
apprezzato. Alla base di questa mancata valorizzazione delle risorse umane più
qualificate prodotte dal nostro sistema formativo ci sono alcuni tratti che
caratterizzano il nostro Paese, rilevati in più occasioni dalle Indagini
AlmaLaurea: tra questi, una forte prevalenza di piccole e micro imprese a
gestione familiare, specializzate in settori a medio basso contenuto
tecnologico, e il forte ritardo nei tassi di scolarizzazione della popolazione
adulta, che si riscontra anche tra i manager (nel 2013 appena il 28% degli
occupati italiani classificati come manager aveva completato tutt’al più la
scuola dell’obbligo, contro il 12% della media europea a 15 paesi, il 19% della
Spagna e il 5% della Germania). Tratti ai quali si associa una ridotta
propensione delle imprese ad investire sia in capitale umano sia in R&S.
(Fonte: www.corriereuniv.it/
02-10-15) Per leggere il rapporto
completo AlmaLaurea 2015 sulla condizione dei dottori di ricerca >http://tinyurl.com/ou7v9w4 .
DOTTORI DI RICERCA E “FUGA DEI CERVELLI”
L'Italia
ha una percentuale di dottorandi stranieri che è inferiore non solo alla media,
ma alla metà della media OCSE: su 100 dottorandi che studiano in Italia, poco
più di uno su dieci (11,3%) viene dall'estero. La media OCSE è di quasi uno su
quattro. Non solo in Paesi avvantaggiati sul piano linguistico come il Regno
Unito, ma anche in Francia, Paesi Bassi, Svizzera, Belgio, proviene dall'estero
almeno un dottorando straniero su tre, in certi casi addirittura uno su due. La
quota di stranieri impegnati in un dottorato è superiore alla nostra anche in
Austria e Spagna (rispettivamente 23% e 17%). Se si mira al rientro di
ricercatori italiani all'estero, occorre tener presente che in molti casi non è
solo la disponibilità di un posto di lavoro a convincerli a partire o tornare
ma la differenza nelle condizioni di lavoro. Una burocrazia più snella,
un'organizzazione del lavoro più rispondente alle esigenze di ricerca, perfino
aspetti pratici quali la disponibilità di asili nido possono fare la differenza
nel lavoro quotidiano di ricerca. Senza trascurare il problema centrale delle
risorse. Il nuovo Piano Nazionale della Ricerca, più volte annunciato e
continuamente rinviato, pare dalle bozze orientato a ricalcare priorità e temi
decisi in sede europea. I fondi disponibili su base competitiva sono ormai
ridotti al minimo: l'ultimo bando per progetti di ricerca di interesse nazionale
è del 2012. Dunque il nostro problema non è tanto — o non solo — l'emorragia di
risorse umane nell'alta formazione che prelude alla ricerca, ma la difficoltà
di compensare i flussi in uscita con significativi flussi in entrata. Nessuno
nega naturalmente che l'esperienza fatta all'estero da ricercatori italiani
possa essere rilevante e stimolante per le nostre istituzioni. Ma in simili
condizioni, pur con tutte le migliori intenzioni, puntare sul rientro in Italia
di "cervelli in fuga" sarebbe come se una scuderia automobilistica si
desse da fare per reclutare i migliori piloti internazionali, raccomandandogli
poi sottovoce di portarsi la macchina e la benzina da casa. Un dato meno noto
di altri ma fondamentale per comprendere la specificità italiana, e che forse
più drammaticamente fotografa l'attuale situazione delle risorse umane
nell'ambito della ricerca, è quello legato all'età. Le università italiane
hanno, infatti, in assoluto il personale docente più vecchio di tutta Europa.
Solo il 16% dei nostri docenti ha, infatti, meno di quarant'anni. In Germania
resta sotto i quarant'anni oltre la metà (54%); in Irlanda il 38%; perfino in
Austria e in Portogallo la presenza di nuove generazioni di docenti è più che
doppia rispetto a quella italiana. Quindi il tema non è tanto la "fuga dei
cervelli" o il rientro di illustri connazionali quanto la più generale
difficoltà di rinnovare il personale di ricerca. (Fonte: M. Bucchi, La
Repubblica 20-10-15)
IL DOTTORATO NON È UN IMPIEGO
Quasi
tutto il mondo considera il dottorato il terzo e massimo livello di istruzione
accademico/scientifica, e non un lavoro. Sul piano logico, l’idea che non
considerare il dottorato come un “impiego” spieghi lo scarso appealing del
titolo di dottorato presso le aziende italiane, semplicemente non regge. Negli
USA, ad esempio, dove il dottorato è assai ben valutato economicamente dalle
aziende, a nessuno verrebbe in mente che un “PhD Student” sia “employed” presso
l’università dove svolge l’attività di PhD, anche se viene pagato. Ma il punto
a mio parere è un altro: non solo non sarebbe esatto né sensato considerare
legalmente il dottorato un impiego, ma sarebbe anche una grave mistificazione
politica; è già scandaloso che sia considerato “occupato” chi lavora da
precario in un call center a 600 euro al mese, ci mancherebbe che
considerassimo occupati anche gli studenti di dottorato, che prendono una borsa
di studio senza contributi. (Fonte: M. Olivieri, CorSera 02-09-15)
E-LEARNING
UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Un
decreto ministeriale del 2003 dell’allora Ministro dell’Istruzione, Letizia
Moratti, istituiva ufficialmente, e con la stessa valenza di un Ateneo statale,
le Università telematiche, che però dovevano essere accreditate presso il
Ministero per poter rilasciare titoli accademici. L’apprendimento si basa su lezioni
online, ma per esami e discussione delle tesi di laurea lo studente deve
comunque recarsi in sede, questo per permettere la massima limpidezza e
oggettività che giuridicamente equiparano un Ateneo telematico con un’Università
statale. Nel 2013, il Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, ha
firmato la nuova versione del decreto sulla programmazione triennale delle
Università, mettendo un freno agli Atenei telematici: «Fissati anche i paletti
per l’apertura di nuovi atenei: no a nuove realtà telematiche o statali a meno
che non siano frutto della fusione di realtà già esistenti. Mentre la
possibilità di aprire atenei privati (non telematici) sarà subordinata ad un
rigido controllo da parte del Ministero. Per avere il via libera bisognerà
garantire, fra l’altro, l’esistenza di almeno un corso di laurea in lingua
straniera e andrà garantita la sostenibilità economica del progetto formativo».
A
oggi, sono 11 gli Atenei telematici accreditati presso il Ministero dell’Istruzione.
Le Università telematiche, inoltre, organizzano borse di studio per il progetto
Erasmus, che permette ai ragazzi di studiare un anno e oltre all’estero.
Esistono anche alcune Università telematiche europee, soprattutto in Svizzera,
che rilasciano titoli accademici approvati dalla Comunità Europea: parliamo
sempre di Atenei telematici ma l’equipollenza vera e propria è stata cancellata
dall’Italia. Questi titoli sono riconosciuti ma non valgono come una laurea
italiana. (Fonte: L’Indro 04-09-15)
FINANZIAMENTI
SPESE DELLO STATO IN RICERCA E FORMAZIONE 2008-2014.
DIMINUISCONO MENTRE AUMENTA DEL 12,9% LA SPESA COMPLESSIVA DELLO STATO
La
spesa pubblica in Italia cresce, anche al netto del debito pubblico. Ma alcune
voci di spesa diminuiscono. E anche piuttosto drasticamente. Le voci che
diminuiscono di più sono gli investimenti in ricerca, università e scuola. È
questo, in estrema sintesi, quello che ci dice il documento “L’andamento delle spese per missioni,
programmi e stati di previsione del bilancio dello Stato nel periodo 2008-2014”
che la Ragioneria dello Stato ha presentato in Senato lo scorso mese di
dicembre.
Le
spese dello Stato ammontano, nell’anno appena concluso, il 2014, a oltre 825
miliardi di euro, con un aumento del 12,9% rispetto al minimo del periodo
(l’anno 2008). Anche al netto degli interessi sul debito, la spesa dello Stato
è aumentata di circa 50 miliardi nel 2014 rispetto al minimo del periodo (il
2011): un incremento del 10,7%. Ma, mentre la spesa pubblica aumentava, ci sono
stati dei capitoli di spesa che sono diminuiti. Tra i principali tagli: quelli
all’istruzione scolastica (– 2,9 miliardi, pari al 6,5% del budget massimo
relativo del 2010); alla ricerca scientifica (– 1,3 miliardi rispetto al
massimo relativo del 2008); all’istruzione universitaria (– 0,8 miliardi
rispetto al massimo relativo del 2008). In termini percentuali i tagli più
drastici hanno riguardato la ricerca scientifica, con un secco e per certi
versi clamoroso -31,1%. Il che porta la spesa di questa “missione” dallo 0,56
allo 0,34% dell’intera spesa pubblica. In particolare la spesa in ricerca di
base scende dallo 0,14 allo 0,12% della spesa dello Stato. Anche l’istruzione
universitaria ha subito tagli piuttosto netti, per un ammontare di 0,8 miliardi
di euro rispetto al massimo relativo del 2008. In percentuale significa un
netto – 9,6%, il che porta la spesa pubblica per l’università dall’1,19 allo
0,95% del bilancio dello Stato. Dal rapporto della Ragioneria dello Stato un
dato emerge con chiarezza: i vari governi hanno cercato di far quadrare i conti
del bilancio statale tagliando soprattutto in ricerca e formazione. Il
“pacchetto conoscenza”, infatti, è diminuito non solo in assoluto, ma anche in
termini relativi dal 3,33% al 3,19% del Pil. (Fonte: P. Greco, ScienzaInRete
08-01-2015).
BILANCI DEGLI
ATENEI E POSSIBILITÀ DI ASSUNZIONI
Senza entrare nei dettagli tecnici, la salute dei bilanci
universitari viene misurata in base a due indicatori: il peso degli stipendi in
rapporto alle entrate (fondi statali e contributi studenteschi), e l'incidenza
delle uscite per personale e oneri di ammortamento del debito (indicatore di
«sostenibilità finanziaria»). Sul primo aspetto, il rapporto fra stipendi ed
entrate è tendenzialmente in calo, proprio per effetto dei vincoli al turn over
posti negli ultimi anni a tutta la Pubblica amministrazione, con la conseguenza
che le università dedicano al personale il 69,6% delle proprie entrate contro
il 72,4% di due anni fa. Questa media nasconde però realtà molto diverse fra loro,
perché mentre al Politecnico di Milano, alla Bicocca e a Roma Tor Vergata le
buste paga oscillano tra il 50 e il 60% delle entrate, a Cassino e alla Seconda
università di. Napoli si avvicinano pericolosamente al 90%. Differenze simili
si incontrano sulla «sostenibilità finanziaria», che tiene conto anche degli
oneri di ammortamento del debito: in questo caso l'allarme, oltre che a Cassino
e Napoli II, suona in particolare a Benevento e Sassari. La parentela stretta
fra possibilità di assunzioni e condizione dei bilanci riduce in media i
«punti» assegnati al Sud, anche se questa media conosce eccezioni come dimostra
il fatto che il turn over più ampio si incontra a Potenza e Catanzaro. Rispetto
all'anno scorso, però, la forbice si è ridotta, anche per alcuni ritocchi alle
regole: il ricambio minimo, riservato agli atenei con i conti più in
sofferenza, è cresciuto dal 20 al 30%, mentre per quelli con i bilanci più
brillanti è stato introdotto un tetto massimo al 110%. L'effetto combinato di
questi due interventi ha ovviamente ridotto le distanze, e per accorgersene
basta calcolare le medie territoriali: quest'anno gli atenei meridionali hanno
diritto a un turn over del 41%, contro il 34% del 2014, mentre al Nord si
scende dal 66 al 63%. (Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 14-09-15)
UNA FONDAZIONE AUTONOMA PER ATTRARRE E FINANZIARE GIOVANI
RICERCATORI STRANIERI
Perché
anche l’Italia, e quindi il nostro ministero dell’Università e della Ricerca (e
in una scala ridotta ma significativa potrebbero farlo anche le Regioni e le
città, come per molti anni ha fatto Parigi) non comincia a pensare a un
programma specifico di attrazione di ricercatori stranieri giovani che possano
interagire con il nostro sistema e arricchirlo? Perché in particolare e
soprattutto non dare vita a una nostra Fondazione Leonardo o Galileo (i nomi
certo non ci mancano), del tutto autonoma, sul tipo del funzionante modello
tedesco Humboldt, finanziata anche con altri ministeri strategici?
Si
tratterebbe di investimenti tutto sommato molto contenuti, che però
contribuirebbero ad aprire i nostri dipartimenti a relazioni ancora più ampie,
che metterebbero alla prova sistemi di valutazione più efficaci, che darebbero
ulteriore linfa all’innovazione nel nostro Paese e consentirebbero nel tempo
all’Italia di costruire un circuito virtuoso di influenza e integrazione
europeo e non solo. ( Fonte: G. Briguglia, www.ilpost.it 16-09-15)
FINANZIAMENTI DELLE UNIVERSITÀ DA INDUSTRIE E FONDAZIONI
PRIVATE
In
Europa per la quota delle entrate provenienti da industrie e privati i
politecnici hanno una percentuale maggiore, per la loro affinità alle attività
industriali: il Politecnico di Monaco di Baviera (TUM) è all’11.2 % (se si
scorpora dal bilancio l’ospedale) e il Politecnico di Milano è al 15.4%.
L’Università di Cambridge, che non è un politecnico ma ha una particolare
vocazione scientifico-tecnologica, è al 14.5%, con circa 140 milioni di
sterline. Per Cambridge almeno i due terzi di questa cifra vengono dalle
generose fondazioni: per esempio, 48 milioni dal Wellcome Trust, e 32 milioni
da Cancer Research UK. La scuola superiore S. Anna, che è un ateneo sui generis
perché non dà titoli di laurea, ha comunque una natura politecnica ed è al
6.7%. Le altre università europee nella lista sono generaliste, e sono comunque
vicine alla percentuale delle americane: Ludvig Maximilian di Monaco il 4.6%
(escludendo l’ospedale), Bologna il 4%, Pisa il 2.7%.
La figura in basso mostra per alcune
università americane, europee e italiane la percentuale delle entrate da
industrie e organizzazioni private sul totale delle entrate. I dati sono presi
dai bilanci pubblicati relativi all’anno 2014 (per l’Univ. Pisa il 2013).
Raramente
il finanziamento da industrie e da fondazioni private supera il 10% del totale
delle entrate. Nessuna università si è svenduta ai privati, dunque. Per tutte
le Università di prestigio le entrate arrivano in parte principale dallo Stato,
sotto forma di finanziamento ordinario o “appropriation” (solo per le
università pubbliche) e di ricerche e/o servizi commissionati o attribuiti con
bandi competitivi. Dai 3 miliardi di dollari di entrate del MIT (escluso il
laboratorio Lincoln), una fondazione privata, circa 194 milioni sono da
industria e privati, e circa 324 milioni dalle tasse di iscrizione. Il resto
sono fondi di ricerca pubblici in primis e poi rendite degli investimenti
(“l’endowment”). La quota di finanziamento da industrie e fondazioni in Italia
è simile a quella delle università nei primi posti dei ranking internazionali.
Sono i valori assoluti di tutti i finanziamenti ad essere troppo bassi. Di
conseguenza, il finanziamento pubblico alla ricerca – che deve essere la quota
maggiore – è particolarmente carente. (Fonte: G. Iannaccone, Roars 02-10-15)
LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE
MEDICINA IN ROMENO AL VIA AD ENNA. MA IL MIUR CONTINUA A
DEFINIRLA «NON AUTORIZZATA»
L’università
Dunarea de Jos di Galati, Romania, ha fissato l’inaugurazione dell’anno
accademico a Enna il 14 dicembre. I corsi che stanno per cominciare sono
medicina generale e professioni sanitarie per circa un centinaio di ragazzi.
Intanto, gli studenti sono già in classe ad imparare il romeno. Perché
l’università Dunarea de Jos di Galati, Romania, ha già aperto i battenti in
Sicilia, ad Enna, nei locali dell’ex biblioteca di Ateneo nella Cittadella
Universitaria. Nonostante il ministero dell’Istruzione lo scorso 2 settembre
avesse intimato di non farlo e la ministra Stefania Giannini avesse fatto
mandare ben due diffide «dall’andare avanti a tutti i soggetti coinvolti prima
di aver chiarito la questione». Gli studenti italiani, quasi tutti siciliani,
hanno già cominciato il corso di lingua romena, 360 ore obbligatorie per poter
essere ammessi al test di ammissione alla facoltà di medicina. Ai primi di
dicembre, chi avrà passato il test potrà cominciare a frequentare le lezioni di
medicina e professioni sanitarie con i prof romeni della Dunarea di Galati che
arriveranno in Sicilia. E poi laboratori e praticantato nell’ospedale di Enna,
secondo un accordo con la Regione Sicilia. E le diffide del Miur? Ne dovrebbe
arrivare una terza. «Io non apro i corsi - risponde l’ex senatore Pd Vladimiro
Crisafulli che con la Fondazione Proserpina sta gestendo l’apertura della
Dunarea -, io mi limito a dare la logistica, i locali, mandare a prendere i
professori quando arriveranno. Il Miur non deve diffidare me, ma sentire il
ministero romeno». Anche il direttore della Dunarea ha sostenuto che quella di
Enna, «non è una succursale ma un’estensione che rispetta la normativa romena
ed europea e i titoli di studio che verranno rilasciati sono riconosciuti sul
territorio italiano ed europeo senza la necessità di alcun passaggio aggiuntivo
e riconoscimenti successivi». Ma il Miur continua a definire «non autorizzata»
l’iniziativa romena. E fa partire una terza diffida. Dopo aver incaricato anche
l’ufficio legale di seguire la questione. (Fonte: http://www.corriere.it
15-10-15)
RAGIONI DEL NUMERO CHIUSO PER I CORSI DI LAUREA IN
MEDICINA E CHIRURGIA
Non
posso che recepire e condividere quanto affermato dal Ministro della Salute,
Beatrice Lorenzin, la quale ha manifestato le proprie perplessità sull’impostazione
della proposta di abolizione del numero chiuso. E’ vero, infatti, che i Corsi
di Medicina e Chirurgia e quelli in Odontoiatria e Protesi Dentaria sono
fortemente interdisciplinari e sono stati impostati sul rapporto diretto tra
professore (medico) e studente. Il passaggio improvviso da un sistema che vede
qualche decina di studenti presso ogni ateneo ad un sistema che vedrebbe
l’afflusso di svariate migliaia di unità, pone un problema per il sistema
universitario italiano, che vedrebbe alterato, in maniera quasi “sconvolgente”,
l’attuale rapporto numerico docenti-discenti ed irrimediabilmente compromessa l’interdisciplinarietà
dalla quale è caratterizzato. Adattare al “numero aperto” i nostri atenei
comporterebbe inoltre degli impegni economici che, nell’attuale momento
storico, appaiono quantomeno inverosimili e, comunque, difficilmente
sostenibili (anche per le caratteristiche dei corsi di studi in questione).
(Fonte: G. F. Fidone, www.StudioCataldi.it 10-06-14)
IL 3+2 RITARDA LA LAUREA
Secondo
l’analisi condotta dall’Anvur è emerso il paradosso del 3+2: sostenere due tesi
di laurea, i troppi esami che spesso si ripetono tra i due percorsi di laurea,
programmi troppo articolati e non consoni ai cfu che sono concessi, causano
eccessivi ritardi negli studenti che così perdono mesi che diventano poi anni
sui curriculum universitari. Questi i principali problemi che portano gli
studenti a perdersi negli studi intrapresi con il rischio di allungare di molto
i tempi di studio. 5 anni sono la media per conseguire una laurea triennale,
con casi come Giurisprudenza in cui la media è di 6 anni per il conseguimento
del titolo. Per la specialistica i tempi sono più ridotti, ma la media è anche
qui in ritardo, difatti ci vogliono 3 anni per conseguire una laurea di 2 anni.
Anche se il sistema del 3+2 ha prodotto un aumento dei laureati rispetto al
passato, compresi i laureati brevi, cioè quelli che hanno conseguito la laurea
di 1° livello, e solo il 50% di costoro non va avanti e non prosegue i suoi
studi con una laurea specialistica. Difatti, a differenza di altri Paesi, per
molti lavori non viene considerata adeguata la laurea triennale. Addirittura
alcune professioni prevedono, oltre al percorso di laurea un percorso di
tirocinio, come nel caso della professione dell’avvocato, che per accedere ai
concorsi deve sostenere circa 2 anni di tirocinio. (Fonte: M. Restivo, http://catania.liveuniversity.it
04-10-15)
PER L'ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE NECESSARIO «IL
POSSESSO DI UN TITOLO ACCADEMICO»
Sulla
validità del nuovo diploma di istruzione tecnica per l'accesso agli albi
professionali il punto da cui partire è la riforma degli istituti tecnici (DPR
88/2010) che nel riordinare questo tipo di formazione, ridefinendone settori e
aree, l'ha resa insufficiente a garantire una preparazione specifica per
esercitare una professione intellettuale. Le ragioni sono semplici e vanno
ricercate nei passaggi della stessa riforma e nell'indispensabile riferimento
all'Europa. Innanzitutto il DPR ha modificato la stessa denominazione del
titolo di studio, d'ora in poi genericamente definito «diploma di istruzione
tecnica», facendogli perdere quella connotazione caratterizzante che fino ad
ora ha consentito di individuarne con chiarezza la specifica professione di
accesso. In secondo luogo il provvedimento contiene un passaggio fondamentale,
forse sottovalutato, che, di fatto, cancella il logico collegamento tra il
titolo e l'accesso alla professione. Mi riferisco all'articolo 10 che abroga un
passaggio contenuto nel Testo unico sull'istruzione scolastica (art. 191 comma
3, Dlgs 297/94) che stabiliva: «Gli istituti tecnici hanno per fine precipuo
quello di preparare all'esercizio di funzioni tecniche e amministrative, nonché
di alcune professioni nei settori commerciale e dei servizi, industriale, delle
costruzioni, agrario, nautico e aeronautico». In questo senso non viene in
aiuto, come qualcuno erroneamente ritiene, la tabella D (di cui all'articolo 8
comma 1) di confluenza tra gli indirizzi di specializzazione esistenti e le
nuove aree. Tabella valida solo per i percorsi formativi in corso all'epoca
dell'entrata in vigore del regolamento e che nulla c'entra con l'equivalenza
dei titoli scolastici rilasciati tra il vecchio e il nuovo ordinamento. Infine
il riferimento all'Europa, di cui è prova la stessa circolare ministeriale. Il
ministero, infatti, si è preoccupato di attribuire un livello Elf precisamente
il IV, al titolo di studio, adottando quindi un preciso modello di riferimento
nella valutazione della formazione attuale. Se questo è il principio, allora
non si può trascurare il «Primo rapporto italiano di referenziazione delle
qualificazioni al Quadro europeo Elf», approvato in Conferenza Stato-Regioni il
20/12/12, che prevede per l'esercizio di una professione «il possesso di un
titolo accademico», corrispondente, norme alla mano, al VI livello.
Solo
con una laurea triennale quindi si potrà mantenere quell'autonomia e quella
capacità di progettare, cuore della professione intellettuale. Solo così il professionista
italiano non sarà discriminato rispetto a quello europeo. (Fonte: G.
Giovannetti, ItaliaOggi 03-09-15)
PER LA PROFESSIONE SERVE LA LAUREA. ADDIO AGLI ALBI PER I
DIPLOMATI
Periti,
geometri, interpreti e gli altri diplomati, in possesso di un attestato
“tecnico” potranno dire addio agli albi professionali. Per esercitare la
professione occorrerà almeno una laurea triennale. A prevederlo è la recente
circolare del Miur (prot. 7201/2015), mettendo fine ad una questione che ha
scatenato un lungo dibattito anche in sede europea. Da un lato, infatti, l’UE
ha sempre puntato il dito sulla necessità di un titolo accademico (almeno di
tre anni) per ottenere il diritto ad accedere ad una professione tecnica;
dall’altro, la riforma dell’istruzione tecnica voluta dall’ex titolare del
Miur, Mariastella Gelmini (DPR n. 88/2012), non ha mai specificato
esplicitamente se il titolo fosse ritenuto valido per accedere al relativo
albo. La circolare del dipartimento per il sistema educativo del Miur, ora,
diffusa a tutti i direttori degli uffici scolastici regionali e ai dirigenti
degli ambiti territoriali e degli istituti statali e paritari, fa definitiva
chiarezza e mette al bando i diplomi. La circolare precisa, infatti, che i
modelli di diploma di istruzione secondaria di secondo grado conterranno “il
riferimento al IV livello delle qualificazioni del quadro europeo delle
qualifiche per l’apprendimento permanente (Eqf)”. Per cui, l’attestato
conseguito non conterrà più una qualifica sufficiente ad esercitare una professione
intellettuale. (Fonte: M. Crisafi, www.StudioCataldi.it 01-09-15)
INGEGNERIA, INFORMATICA, ECONOMIA E STATISTICA SONO TRA I
TITOLI DI STUDIO PIÙ RICHIESTI DALLE AZIENDE
Dall’ultima
indagine Gidp (Gruppo intersettoriale direttori del personale), ben il 65%
delle società intervistate prevede l’inserimento di giovani nell’arco dei
prossimi 6 mesi. «Il dato che emerge, e che è importante evidenziare, è che le
assunzioni avvengono utilizzando il contratto a tempo indeterminato a tutele
crescenti», sottolinea il presidente nazionale Paolo Citterio, «come risulta
dal 48,78% delle risposte». Secondo l’indagine lo strumento principe del primo
accesso all’impiego rimane lo stage, che sempre più spesso, però, viene
trasformato in contratto a tempo indeterminato. Mentre si confermano tra i
canali molto utilizzati i portali delle università, i career day e i social
network. Tra le aziende che hanno attualmente selezioni in corso c’è il gruppo
Engineering, 7.800 dipendenti, che ha in programma di assumere 400 persone
entro la fine del 2015. I più richiesti sono gli ingegneri, seguiti da
informatici, laureati in fisica, matematica, statistica. «È l’impulso positivo
del Jobs act e degli sgravi contributivi», conferma il direttore risorse umane
di Engineering. (Fonte: A. M. Catano, CorSera 06-10-15)
LAUREA IN MEDICINA. PROSPETTIVE PER IL LAVORO
Una
laurea in medicina è nonostante tutto un buon passepartout per il lavoro; il
percorso per arrivare alla stabilizzazione è sicuramente più lungo, anche
perché dopo il diploma chi vuole fare il medico deve anche specializzarsi con
corsi che durano in media tre o a quattro anni, ma alla fine questo titolo
funziona sia per l'alto tasso di occupazione che per i guadagni in media più alti
che per gli altri laureati. E quest'anno ci sono anche meno candidati. Secondo
l'ultimo rapporto di AlmaLaurea, infatti, già a 12 mesi dalla discussione della
tesi di laurea, il tasso di occupazione, considerando anche coloro che sono in
formazione retribuita (i cosiddetti specializzandi che lavorano nelle corsie)
raggiunge il 46,5%, a fronte del 49% rilevato sul complesso dei laureati
magistrali a ciclo unico ma con impieghi più stabili. Il tasso di
disoccupazione si attesta a tre punti sotto la media nazionale: 27% contro 30%
(anche qui incide il fatto che la formazione post-laurea è una strada
perseguita da molti neo-laureati in medicina). Ad ogni modo, la stabilità
contrattuale, già a un anno dal titolo, si attesta al 48,5% tra i laureati in
medicina contro il 38% della media nazionale degli altri laureati. In
particolare - fa sapere AlmaLaurea - il 46% dei medici svolge un'attività
autonoma (la media è al 26%), mentre il 2,5% dichiara di avere un contratto a
tempo indeterminato (la media nazionale è al 12%). Al contrario la precarietà,
a un anno dalla laurea, caratterizza il 51% dei medici (mentre è al 62% per i
laureati magistrali a ciclo unico), in particolare il 25% ha un contratto a
tempo determinato. Buone anche le aspettative per quanto riguarda i guadagni:
già dopo dodici mesi dal titolo i laureati in medicina arrivano a guadagnare
1.258 euro netti al mese, contro i 1.024 degli altri laureati a ciclo unico.
(Fonte: IlSole24Ore 27-08-15)
LAUREA IN MEDICINA VETERINARIA. PROSPETTIVE PER IL LAVORO
Gli
ultimi dati di AlmaLaurea sulle chance occupazionali dei laureati magistrali a
ciclo unico in medicina veterinaria già a 12 mesi dalla laurea (laureati del
2013) parlano chiaro: se si considerano anche coloro che sono in formazione
retribuita, il tasso di occupazione raggiunge il 58,5% a fronte del 49%
rilevato sul complesso dei laureati magistrali a ciclo unico. Mentre il tasso
di disoccupazione si attesta al 28% (è il 30% a livello nazionale). La
stabilità è addirittura del 59%, a fronte del 38% registrato sul complesso dei
laureati e si caratterizzata soprattutto per una maggior presenza di lavoratori
autonomi (il 54% dei veterinari rispetto al 26% dei dottori magistrali a ciclo
unico, un dato su cui pesa l'incidenza di chi apre uno studio); mentre i
contratti a tempo indeterminato interessano solo il 5% dei veterinari (è il 12%
per gli altri laureati). Il guadagno mensile netto è pari a 731 euro netti
mensili, a fronte dei 1.024 euro della media nazionale. A cinque anni dal
titolo il tasso di occupazione cresce arrivando a coinvolgere il 91% dei
veterinari mentre la stabilità lavorativa tocca l'85%: cresce ulteriormente la
quota di lavoratori autonomi (l'80% a fronte del 50% della media) e si attesta
invece al 5% la quota di coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato (è
il 28% della media). Anche il guadagno mensile netto aumenta raggiungendo i
1.070 euro netti contro i 1.283 euro per il complesso dei laureati magistrali a
ciclo unico. L'efficacia del titolo di studio secondo i laureati è molto
elevata: secondo l'indagine AlmaLaurea a cinque anni dal titolo la quasi
totalità dei veterinari (94%) dichiara il proprio titolo molto efficace.
(Fonte: IlSole24Ore 27-08-15)
LAUREE CON ASSUNZIONE RESA DIFFICILE DAL NUMERO RIDOTTO
DI LAUREATI
Sono
10 le professioni con “laureati introvabili”, ovvero quelle aree in cui
l’assunzione è resa difficile dal numero ridotto di laureati. Il primo posto
spetta alla figura dell’analista programmatore con il 55,4% di incidenza sul
totale dei laureati, immediatamente seguita dal progettista elettronico con il
49,2% e dallo sviluppatore di software con il 40,0%. Troviamo poi il consulente
di gestione aziendale, il programmatore informatico, il progettista meccanico e
per concludere con il fisioterapista, l’infermiere, il progettista di software
e l’educatore professionale. (Fonte: rapporto Excelsior di Unioncamere,
novembre 2014)
FACOLTÀ CON IL PIÙ ALTO TASSO DI DISOCCUPATI A UN ANNO
DALLA LAUREA
A
svettare, con un notevole distacco sulle facoltà 'inseguitrici', è Giurisprudenza,
con il 24%. Sul poco onorevole podio delle facoltà con il maggior numero di
disoccupati salgono Psicologia (18%) e Lettere (15%). In un mondo del lavoro
sempre più sbilanciato su professioni tecnico-scientifiche, le facoltà
umanistiche diventano fucine di laureati deboli, poco adatti alle esigenze del
mercato del lavoro. Le prime nove facoltà con il maggior numero di disoccupati
a un anno dalla laurea sono tutte umanistiche: ai piedi del podio, infatti, ci
sono Scienze sociali, Lingue e letterature straniere, Scienze della
comunicazione e Scienze politiche, Arte e design e Filosofia, sei facoltà con
un tasso occupazionale compreso fra il 14 e l'11%. Il consorzio AlmaLaurea
sottolinea come "i dati non debbano essere intesi in senso assoluto: la bontà
della scelta fatta al momento di intraprendere la carriera universitaria,
infatti, non può e non deve esaurirsi nel solo feedback del dato
occupazionale". "Nel bilancio post laurea – avverte - rientrano anche
numerosi altri fattori. Innanzitutto la realizzazione personale e il bagaglio
di competenze e conoscenze che ci accompagnano durante la nostra vita". (Fonte:
corrierequotidiano.it 30-08-15)
LE INTENZIONI DEI NEOLAUREATI SECONDO L'ULTIMO RAPPORTO
ALMALAUREA.
Il
XVII Rapporto AlmaLaurea sul Profilo dei laureati italiani permette di indagare
le prospettive di prosecuzione degli studi dopo il conseguimento del titolo di
laurea indagando, attraverso la compilazione del questionario AlmaLaurea, gli
intenti formativi dei laureati italiani del 2014. Intenzioni espresse al
momento della laurea e che, nella maggior parte dei casi, come dimostrano le
indagini del Consorzio, coincidono con la realizzazione del proseguimento degli
studi. Da una prima analisi emerge che tra i fattori che influenzano le prospettive
di studio dei laureati ancora oggi gioca un ruolo rilevante l’origine
socioculturale, a tal punto che chi proviene da contesti culturalmente più
favoriti è spinto in maggiore misura a proseguire gli studi dopo la laurea. Non
stupisce pertanto che tra i laureati di primo livello con almeno un genitore
laureato l’intenzione a proseguire riguardi 84 laureati su cento, contro il 69%
tra chi ha genitori non laureati. Lo stesso accade tra i laureati di secondo
livello (53% contro 41%). Nelle famiglie più istruite è certamente più elevata
la sensibilità verso il valore della formazione e generalmente vi è una maggior
possibilità di garantire un sostegno economico al giovane per un più lungo
periodo. I dati del Profilo mostrano infatti che anche lo status sociale dei
laureati influisce sulla scelta del percorso di studi fin dal momento
dell’iscrizione all’università. Non a caso, tra i laureati del 2014, la quota
di chi proviene da famiglie di estrazione più elevata scende attorno al 20% tra
triennali e magistrali biennali, e tocca il 35% tra i magistrali a ciclo unico,
le lauree che tradizionalmente conducono alle professioni liberali. (Fonte:
IlSole24Ore - Scuola24 29-06-15)
LAUREATI. RETRIBUZIONI A UN ANNO E A CINQUE ANNI DAL
TITOLO
Secondo
i dati elaborati per Il Giornale da AlmaLaurea, il consorzio che riunisce 72
università italiane, a pagare di più a un anno dalla laurea sono pubblica
amministrazione, industria chimica e metalmeccanica: da 1.230 a 1.375 euro
netti al mese. Stanno decisamente peggio gli occupati nei servizi ricreativi,
culturali e sportivi, e nei servizi sociali: in media non vanno oltre i 600
euro. Ma anche chi riesce a trovare un impiego nel commercio, nella pubblicità,
nella comunicazione e nell'istruzione non naviga nell'oro: si parla di buste
paga che non superano i 750 euro.
La
fotografia diventa più precisa se si guarda agli stipendi dei laureati a cinque
anni dal titolo di primo livello, quello triennale. Ecco, allora, i corsi che
nel medio-lungo periodo si rivelano più «redditizi»: in testa Ingegneria con
1.500 euro netti al mese; seguono Economia e Statistica (1.420 euro),
professioni sanitarie e area giuridica (intorno ai 1.400 euro di stipendio).
All'opposto, lo scoglio non solo simbolico dei mille euro al mese lascia ultimi
insegnanti e laureati in Lettere o Scienze motorie.
Più
o meno lo stesso copione vale se anziché la laurea di primo livello si prende
in considerazione quella magistrale (la cosiddetta «3+2», dal numero di anni di
corso previsti). A passarsela meglio sono sempre gli ingegneri (guadagnano in
media 1.700 euro dopo 5 anni), i laureati delle professioni sanitarie (1.600
euro) ed economia-statistica (1.500 a sempre a cinque anni dalla laurea). Più
«poveri» gli psicologi (mille euro in media), così come i laureati in lettere e
in scienze motorie: a 5 anni dalla laurea supereranno di poco la soglia dei
mille euro. (Fonte: G. Susca, Il Giornale 07-09-2015)
MASTER IN BUSINESS ADMINISTRATION.
CLASSIFICHE E SALARI DEGLI EX STUDENTI
Le classifiche, che riguardano Mba, master executive e
business school di tutto il mondo, vengono stilate, periodicamente, dal
Financial Times e da Business Week. Prendono in considerazione diversi
parametri, quali il tasso di occupazione e il salario, che viene raggiunto
dagli ex studenti conclusa, dopo un determinato periodo, l'esperienza
formativa. Viene inoltre analizzato l'incremento retributivo ottenuto grazie al
conseguimento del nuovo titolo di studio. Per ciò che riguarda le informazioni
desumibili dalle classifiche, prendendo in esame il ranking Global Mba si
scopre che un diplomato di una delle prime dieci scuole in classifica può
aspirare a un salario compreso tra i 160 e i 180mila dollari l'anno: cifre che
fanno segnare un incremento anche del 100% rispetto al lavoro svolto nel periodo
pre-formazione. Nel caso della Sda Bocconi lo stipendio medio alla conclusione
del corso è intorno ai 121mila euro l'anno. In genere il vantaggio ottenuto ripaga in modo congruo
l'investimento iniziale: fra spese d’iscrizione al master, costi di assicurazione,
affitto di una stanza/alloggio e vitto, lo sforzo economico per chi decide di
affrontare questo percorso è molto oneroso, soprattutto se la scelta ricade su
un ateneo d'Oltreoceano. Oltre a quella del Financial Times, anche Business
Week stila ogni due anni una classifica internazionale. L'ultima risale al
2014: al primo posto, con un podio che è arrivato a sorpresa, c'è il master
della Fuqua School of Business della Duke Univesity di Duhram. Qui L'iscrizione
è aperta a oltre 800 studenti al costo di 117mila dollari. Il salario a cui
possono aspirare i candidati per il lavoro post-formazione guarda, però, ai
114mila dollari l'anno. (Fonte: M.C. Voci, IlSole24Ore 14-09-15)
NUOVA LAUREA IN GIURISPRUDENZA. 4+1 PER DIVENTARE
AVVOCATI E NUMERO CHIUSO
Modifiche
sostanziali si apprestano a cambiare il volto dei futuri corsi di laurea in
giurisprudenza, come previsto dalla bozza di decreto predisposta dal Miur e già
condivisa con la comunità scientifica. L’articolazione degli studi passerebbe
dall'attuale corso unico in 5 anni a una doppia modalità di 3+2 anni e 4+1. Per
chi vuole intraprendere la professione sarà necessario scegliere il 4+1,
altrimenti basterà il 3+2.
Niente
ciclo unico e due i corsi in sostanza: 3+2 con meno crediti formativi
“vincolati” (a favore di quelli “liberi”), maggiori ambiti interni per
costruire il personale percorso di studi e biennio specialistico con nuove
discipline a vocazione “territoriale” e aperte alle reali esigenze di mercato;
4+1 per chi, invece, vuole intraprendere la carriera di avvocato o notaio, con
numero “chiuso” per l’ultimo anno (quello della specializzazione al termine dei
4 anni), oltre alla possibilità di effettuare 6 dei 18 mesi di pratica
necessari durante il corso di studi, come prevede la legge professionale forense
(l. n. 247/2012). Minimo comune denominatore ad entrambi i percorsi
universitari sarà la maggiore “specializzazione”: non più, dunque, formazione
teorica e generalista, ma spazio ad un’offerta specifica in linea con le
esigenze attuali del mercato del lavoro, in un’ottica di internazionalizzazione
e anche di scambi culturali, soprattutto comunitari.
Il
provvedimento arriverà in questi giorni sul tavolo di lavoro del Miur e dovrà
essere esaminato e condiviso anche dal ministero della Giustizia. (Fonte: M.
Crisafi, www.StudioCataldi.it
08-10-15)
NUOVO REGOLAMENTO SULLE SPECIALIZZAZIONI DEGLI AVVOCATI
Il
nuovo regolamento sulle specializzazioni degli avvocati sarà operativo dal 14
novembre. Sono state infatti pubblicate ieri in Gazzetta Ufficiale n. 214 le
nuove regole che il legale, che punta al titolo di specialista, sarà tenuto a
seguire. Le aree di specializzazione specificate dal decreto n. 144/2015 sono
in tutto 18: dal diritto di famiglia alla proprietà, dal diritto industriale a
quello fallimentare fino al diritto dell’Unione Europea. L’avvocato potrà
limitare la scelta a soli due settori da indicare al Consiglio dell’Ordine di
appartenenza. Due anche i percorsi alternativi per conseguire la qualifica di
specialista: da un lato, la frequenza di corsi di durata biennale, dall’altro
la comprovata esperienza nel settore di specializzazione. In riferimento ai
corsi, saranno le Università legalmente riconosciute, nei Dipartimenti di
giurisprudenza, a stabilire i percorsi da sottoporre al ministero della
Giustizia, ai fini della valutazione dei programmi didattici. A mettere a punto
i programmi volti a formare gli avvocati specialisti, sarà una commissione
permanente composta da sei esperti: due magistrati nominati da via Arenula, due
avvocati scelti dal Cnf e due professori universitari su selezione del Miur.
Gli stessi corsi verranno poi organizzati d’intesa, stipulando specifiche
convenzioni, con il Consiglio nazionale forense o con i consigli degli ordini degli
avvocati. (Fonte: LeggiOggi 17-09-15)
LA RICORRENTE PROPOSTA DI ABOLIRE IL VALORE LEGALE DEL
TITOLO DI STUDIO
Abolire
il valore legale del titolo di studio è una battaglia contro nemici forti e
agguerriti: gruppi studenteschi, lobby dei docenti universitari, forze
politiche di entrambi gli schieramenti. Non a caso l'emendamento alla riforma
della pubblica amministrazione presentato dal senatore Pd, Marco Meloni, che
apriva al principio di differenziazione degli atenei, è stato sommerso da un
coro di critiche pretestuose. Eppure, la condizione del nostro sistema
universitario richiederebbe un confronto a tutto campo, non viziato da veti
corporativi e pregiudiziali ideologiche. Negli USA Il sistema universitario si
fonda su regole di mercato: le università si disputano i professori migliori
con totale libertà retributiva. L'equilibrio finanziario è assicurato da alte
rette e da un esteso meccanismo di donazioni, fiscalmente incentivato. Una
quota cospicua delle risorse pubbliche destinate all'istruzione superiore, per
altro verso, finanzia direttamente gli studenti sotto forma di borse di studio
e prestiti, e non gli atenei (da noi avviene il contrario). Beninteso, questo
modello esclude sia il valore legale del titolo di studio sia il ruolo unico
pubblico dei cattedratici. Il primo presuppone e determina l'altro. Il valore
legale del titolo di studio, infatti, implica la natura di impiegati pubblici
di coloro che devono rilasciarlo. Già settant'anni fa Luigi Einaudi aveva
proposto di abolire con un semplice tratto di penna il valore legale dei titoli
di studio, fatta salva la necessità di una certificazione pubblica per
l'esercizio di professioni legate alla salute e alla sicurezza dei cittadini.
Per lo statista piemontese era una di quelle riforme a costo zero, coerenti con
la migliore tradizione del riformismo liberaldemocratico. (Fonte: M. Magno,
ItaliaOggi 18-09-2015)
SUL VALORE LEGALE DEI TITOLI DI STUDIO
Sul
valore legale dei titoli di studio esiste uno studio dettagliato commissionato
dal Senato e il risultato della consultazione on-line promossa dal Governo
Monti, finita con una nettissima vittoria di pareri contrari all’abolizione.
Nel documento conclusivo del lungo lavoro di studio ed audizioni della
Commissione Cultura del Senato, veniva detto inequivocabilmente che al momento
non è adottabile l’abolizione. Il punto 10 delle conclusioni riportava:
“Queste
considerazioni portano a ritenere che adottare oggi nel nostro Paese
l’abolizione del valore legale della laurea presenterebbe, a fronte dei benefici
conseguenti alla liberalizzazione del sistema universitario e alla piena
autonomia delle università, vari cospicui aspetti negativi, complessivamente
prevalenti: le indubbie difficoltà della realizzazione legislativa, una
tempistica non congrua rispetto al recentissimo avvio dell’ANVUR, una non
favorevole accettazione da parte di sindacati e ordini professionali, ma
soprattutto da parte degli studenti e delle famiglie, una probabile
penalizzazione delle università territorialmente svantaggiate, la probabile
insorgenza di maggiori difficoltà in ordine alla fruizione di una formazione
universitaria di alta qualità per i giovani residenti nelle regioni del
Mezzogiorno, un probabile aumento dei costi universitari a carico degli
studenti, una maggiore difficoltà di garantire il diritto allo studio degli
studenti capaci e meritevoli ma sprovvisti di mezzi. A quest’ultimo riguardo si
ribadisce la fondamentale importanza dell’obiettivo costituzionale di garantire
a tutti nostri giovani pari opportunità nell’accesso anche ai più alti livelli
della formazione: la qualità non può essere privilegio di pochi. Questo
principio di uguaglianza ispira profondamente la nostra Costituzione ed è il
presupposto di base del metodo meritocratico.”
Sempre
la Commissione del Senato concludeva con un’apertura all’abolizione, ma solo
dopo la garanzia di alcuni prerequisiti, tra cui “mettere a disposizione
maggiori risorse per la realizzazione piena del diritto allo studio”. (Fonte:
G. Pastore, Roars 26-09-15)
SUL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO. L’OPINIONE DI G.
LUZZATTO
Sia
i sostenitori dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, sia molti
di coloro che si scagliano contro tale ipotesi non si rendono conto che stanno
parlando del nulla. Al proposito, Roars
ha già contribuito alla diffusione di una intervista (a “Il Sussidiario”,
24/04/2012) nella quale Carla Barbati affermava che “parlare di abolizione del
valore legale del titolo di studio di per sé è un non-problema, perché
quell’espressione si riferisce ad un oggetto non definito e non identificabile:
non esistono … leggi che chiaramente conferiscano questo supposto valore
legale”. Ciò risulta, del resto, ampiamente documentato e discusso nella Relazione
conclusiva (ivi, cliccare su Allegato)
della Indagine conoscitiva svolta nello stesso anno 2012 dalla Commissione VII
del Senato. Il c.d. “valore legale” della laurea consiste soltanto nelle norme
che ne richiedono il possesso per chi intenda accedere agli Ordini delle
professioni regolamentate, tramite l’esame di Stato, ovvero ai livelli alti del
pubblico impiego; si tratta di una condizione necessaria, non sufficiente, in
quanto sia la regolamentazione sull’accesso agli Albi sia i bandi del pubblico
impiego prevedono prove di esame in aggiunta al possesso del titolo. Nessuno
tra gli “abolizionisti” dichiara di volere medici non laureati in medicina, o
reclutamento dei dirigenti pubblici con il solo titolo secondario, sicché il
discorso potrebbe anche chiudersi qui. (Fonte: G. Luzzatto, Roars 04-10-15)
RECLUTAMENTO
UNIVERSITÀ DEL SUD. IN QUATTRO ANNI PERDONO 281 PUNTI
ORGANICO
La
nostra Università vive uno stato di emergenza complessiva, ma in alcune zone
del paese, il Sud in particolare, questa situazione è particolarmente grave. La
ragione risiede nelle diverse condizioni di partenza degli atenei del Sud, ma
soprattutto a causa degli “indicatori” di valutazione utilizzati per lo
stanziamento delle poche risorse disponibili che hanno notevolmente sfavorito
gli atenei meridionali. In sostanza in questi anni di riduzione costante delle
risorse si è verificato un processo di redistribuzione delle stesse a
svantaggio della maggioranza degli atenei del Sud. Consideriamo ad esempio il
caso dei punti organico, che riguardano direttamente la possibilità di un
ateneo di assumere e cioè di ricambiare e ringiovanire la propria classe docente.
In questi anni le politiche premiali hanno pesantemente sfavorito gli atenei
meridionali. Solo quest’anno lo “stacco” di PO tra atenei del Centro Nord e del
Sud è di 18 punti percentuali (calcolati rispetto alla distribuzione che si
avrebbe se il tetto massimo fosse stabilito a livello di ateneo e non di
sistema). Caso emblematico è quello della Sicilia che perde ben 29 punti
organico e della Campania che si assesta a -19. All’indomani dell’assegnazione
2015, questo è il travaso complessivo prodotto dai perversi meccanismi dei
punti organico. Complessivamente in 4 anni il Sud perde 281 punti organico, il
Centro 60 mentre il Nord ne guadagna 341 con un privilegio particolare per la
Lombardia e per le cosidette università speciali. (Fonte: F. Sinopoli e A.
Campailla, www.flcgil.it
03-09-15)
IL DESTINO DI 341 PUNTI ORGANICO
Il
titolo di un articolo di Roars di non troppo tempo fa, “Punti organico: in 4
anni il Nord si è preso 700 ricercatori dal Centro-Sud”, è molto efficace, ma
come si spiega bene nell’articolo stesso, quel “700 ricercatori” non è che
l’equivalente di 341 punti organico. Sappiamo bene che le università non hanno
certo usato tutti quei punti né per trasferire ricercatori da Sud a Nord né,
tantomeno, per assumere 700 nuove unità di personale. L’autore dell’articolo
attuale si è proposto di vedere come le università hanno usato quei punti
organico. La sua conclusione è che i 341 punti organico supplementari sono
stati utilizzati solo marginalmente per l’assunzione o il trasferimento di
nuovo personale, ma sembrano essere stati impiegati prevalentemente per
favorire gli scorrimenti da RU a PA nelle università del Nord e, in misura
minore, sempre rispetto al Centro-Sud, per limitare la perdita di PO e per inquadrare
qualche RTD-b in più. (Fonte: P. Francalanci, Roars 05-10-15)
RETRIBUZIONI
SCATTI STIPENDIALI DEL PERSONALE UNIVERSITARIO. LETTERA
DEL PRESIDENTE DELLA CRUI AL MINISTRO GIANNINI
Dopo
che quasi tutte le categorie di lavoratori pubblici hanno visto ripristinati i
propri scatti stipendiali, ne restano ancora esclusi gli appartenenti al
personale universitario, con un danno economico estremamente rilevante specie
per i più giovani, destinato a incidere in modo significativo - fra l'altro -
sul trattamento pensionistico.
Sul
punto Roars ha segnalato la lettera del Presidente della CRUI, Stefano Paleari,
al Ministro Giannini. Qui http://tinyurl.com/pvt453g.
Si veda anche quanto si prospetta con la legge di stabilità
nella nota qui pubblicata nella rubrica IN EVIDENZA.
RICERCA. RICERCATORI. VALUTAZIONE DELLA RICERCA
PUBBLICAZIONI A PIÙ AUTORI. COME CALCOLARE IL CONTRIBUTO
DATO DA CIASCUNO
Quanti
autori contribuiscono veramente alla stesura di un articolo e cosa significa
essere autore nelle diverse discipline? E’ la domanda che si pone un recente
articolo sul Wall Street Journal di R.L. Hotz
ripreso da R. Holmes nel suo blog University Ranking Watch per
denunciare le ripercussioni di quella che definisce come authorship inflation
sui ranking internazionali. In un certo senso è anche la domanda che si pone
Phil Baty, editor dei THE World University Rankings. L’inclusione di lavori di
ricerca con un numero elevato di autori mentre non muta la posizione di grandi
università multidisciplinari, potrebbe avere effetti distorsivi sul
posizionamento di istituzioni con un numero molto più esiguo di pubblicazioni.
Per questo motivo THE ha deciso di escludere nell’edizione 2015-16, i lavori di
ricerca con più di 1000 autori, riconoscendo tuttavia l’imperfezione di questo
tipo di soluzione. Editori, ricercatori ed organismi che si occupano di come
descrivere al meglio le attività di ricerca definendo gli standard (ad esempio
CASRAI Consortia Advancing Standards in Research Administration Information) si
sono posti il problema di come descrivere chi ha fatto cosa all’interno di un
lavoro di ricerca. Con questa finalità è nato il progetto CRediT. Ormai sono
molti gli editori che in fase di submission di un articolo chiedono di
esplicitare chi ha fatto cosa e riportano questa informazione in calce
all’articolo quando viene pubblicato. Alcuni fanno ciò secondo un format
strutturato, altri richiedono invece semplicemente di compilare una stringa di
testo. Affinché tuttavia questa informazione possa essere utilizzata per
analisi su larga scala e per elaborazioni di grandi numeri di articoli è
necessaria una standardizzazione della tassonomia utilizzata e la possibilità
di esprimerla in un linguaggio leggibile dalle macchine. Nel 2012, a seguito di
un workshop organizzato da Wellcome Trust e Università di Harvard, che metteva
insieme diversi stakeholders (editori, enti finanziatori della ricerca,
ricercatori) interessati ad analizzare diversi modelli di attribuzione degli
articoli, è stato avviato un progetto pilota per lo sviluppo di una tassonomia
per la descrizione delle diverse attività che ruotano intorno alla stesura di
un articolo. (Fonte: P. Galimberti, Roars 01-10-15)
A RICERCATORI ITALIANI IL 9,2% DI 4,5 MLD DA PROGETTO
HORIZON 2020
"C'è
una comunità di ricercatori fortissima in Italia, che forse è il momento di
riconoscere e valorizzare meglio, aprendoci ai giovani, mettendo nuovi posti a
concorso. Questa comunità è assolutamente in grado di competere". Lo ha
detto la ministra dell'Istruzione, Stefania Giannini, intervenuta nel corso
dell'evento 'Expo dopo Expo'. "Dall'Unione Europea sono stati stanziati i
primi 4,5 miliardi per il grande progetto 'Horizon 2020'. L'Italia, anzi i
nostri ricercatori, hanno preso il 9,2% di Horizon, un punto in più di quello
ottenuto l'anno scorso, e si può arrivare anche al 10%, ci sono tutte le
condizioni. I nostri hanno avuto il risultato più straordinario, battendo
tedeschi, inglesi e francesi". (Fonte: ANSA 10-10-15).
SUCCESSI E CRITICITÀ DELLA RICERCA IN ITALIA
A
fare il punto su elementi di forza e criticità della Ricerca&Sviluppo in
Italia è Andrea Lenzi, presidente del CUN, a margine del Convegno “Il valore
della ricerca, la creazione di opportunità. Pubblico e privato uniti per la
ricerca made in Italy” organizzato a Catania. “La ricerca italiana è
quantitativamente significativa e apprezzata a livello internazionale – ha
detto – siamo ottavi al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche e la
media di citazioni ottenute da questi lavori è comparabile a quella di Germania
e Francia, ed è particolarmente elevata nelle aree dell’ingegneria e della
medicina. E i ricercatori italiani sono un asset di grande valore”. Ma quante
sono le persone impiegate in attività di R&S? Secondo dati emersi nel corso
dell’evento nella città siciliana, sono più di 240mila, un numero troppo basso
rispetto al fabbisogno e al confronto europeo, ma in crescita del 5,3% (2012 su
2011, dati Istat 2014). I ricercatori, e
gli investimenti pubblici in ricerca in generale, si distinguono per una
produttività molto superiore alla media degli altri Paesi, espressa sia in
termini di quantità di pubblicazioni scientifiche sia di citazioni ricevute. Ma
non mancano anche punti di debolezza. È basso il rapporto tra Spesa per Ricerca
e Sviluppo (R&S) e Prodotto interno lordo: nel 2012 la spesa in R&S è
stata di 20,5 miliardi di euro (+1,9% rispetto al 2011), ed è pari all’1,26% del
Pil, lontano dall’obiettivo italiano del 1,53% e dall’obiettivo Eu del 3% entro
il 2020.
È
inoltre particolarmente bassa la spesa in R&S delle imprese, che investono
lo 0,68% del Pil contro una media Eu dell’1,27%. (Fonte: http://www.quotidianosanita.it
22-10-15)
VQR.
NON IDONEA PER MISURARE L’EFFICIENZA DEGLI ATENEI
E’ indubbio che un processo di valutazione
della qualità della ricerca (VQR) sia utile; ma le critiche mosse alla VQR
avrebbero dovuto suggerire che non era opportuno trasformarla in un indicatore
decisivo per effettuare sensibili tagli di bilancio a molti atenei, con una
procedura che trova riscontri molto limitati negli altri paesi europei. Ma
anche ammesso (e non concesso) che la VQR sia perfetta, i suoi numeri indicano
che la qualità assoluta della ricerca svolta in un determinato periodo di
tempo, in una
determinata area scientifica di un determinato ateneo è
“migliore” che altrove; dunque, può essere considerato uno strumento per
l’allocazione di risorse aggiuntive finalizzate alla ricerca in quella
determinata area scientifica non uno strumento per misurare l’efficienza
degli atenei. Quest’ultima richiederebbe di rapportare la ricerca realizzata
agli input disponibili: alla presenza di collaboratori di ricerca (il rapporto
fra assegnisti di ricerca/ricercatori a tempo determinato e personale docente è
estremamente squilibrato nelle università italiane), alla disponibilità di
attrezzature scientifiche, ai tempi disponibili per la ricerca (correlati negativamente
al carico didattico e al rapporto studenti/docenti, anch’esso assai
squilibrato) e all’acquisizione di risorse finanziarie non competitive (ad
esempio da Fondazioni o Enti Locali). Quegli indicatori non misurano cioè il
“merito” inteso come capacità di raggiungere risultati migliori a parità di
risorse disponibili e per questo non sono una buona guida per allocare le
risorse ordinarie di funzionamento. (Fonte: G. Viesti, Roars 06-09-15)
RICERCA.
ABERRANTE PARAGONARE ALL’OZIO IL LAVORO INFRUTTUOSO DI UN RICERCATORE CHE HA
PURE LAVORATO CON IMPEGNO
L’innovazione proviene proprio da dove nessuno si
aspettava. Se tutti seguissero la stessa strada le possibilità di sviluppo del
pensiero scientifico sarebbero veramente remote. La ricerca scientifica progredisce
solo per il lavoro cumulativo di tantissimi scienziati meno noti che nell’ombra
esplorano con curiosità e impegno tutte o quasi tutte le ipotesi percorribili,
interagendo, comunicando, influenzandosi a vicenda. La grande scoperta nasce
spesso da tale contesto, verrà magari attribuita a un singolo, ma è il frutto
di un lavoro collettivo che sta alla base del progresso. Il ricercatore che
finisce in un vicolo cieco, che imbocca una strada rivelatasi infruttuosa, non
rappresenta uno spreco di risorse: quella strada andava comunque esplorata e il
suo lavoro è stato utile per la collettività e per i suoi colleghi che
seguiranno altre strade. E’ aberrante paragonare all’ozio il lavoro infruttuoso
di un ricercatore che pure ha lavorato con impegno, magari a un problema molto
difficile, senza ottenere “prodotti” di ricerca apprezzabili nell’immediato. E’
come in un labirinto: uscirne da soli è impossibile, ma se si è in molti a
tentare qualcuno prima o poi troverà l’uscita, per la legge dei grandi numeri. Sono
i numeri che oggi più che mai mancano in Italia: solo aumentando fondi,
ricercatori, docenti e studenti il sistema nazionale potrà essere competitivo a
livello internazionale. E pazienza se qualcuno apparentemente “perderà tempo” a
pensare, forse dovremmo proprio tornare tutti a pensare. (Fonte: F. Siringo,
Roars 09-09-15)
VALUTAZIONE DELLA
RICERCA. L’ANALISI CITAZIONALE NON È SUFFICIENTEMENTE ROBUSTA PER LA DEFINIZIONE DELL’IMPATTO DELLA RICERCA
Il bando per la VQR 2011-2014 prevede che almeno il 50%
delle pubblicazioni venga valutato in maniera automatica, basandosi sulle
citazioni del prodotto e sugli indicatori dell’impatto della rivista.
La finestra temporale presa in considerazione per la
prossima VQR sarà dal 2011 al 2015: 5 anni nel migliore dei casi, per gli
articoli di inizio 2011. Se si presta fede ad un recente studio, “Citation
window choice for research impact“, per finestre citazionali piccole
(ad esempio 4-5 anni) e recenti, l’analisi citazionale non è sufficientemente
robusta, anche in presenza di normalizzazioni per ambito disciplinare, e può
condurre a risultati che si invertono se si utilizzano finestre citazionali più
lunghe. (Fonte: P. Galimberti, Roars 13-09-15)
I.R.ID.E. (ITALIAN RESEARCH IDENTIFIER FOR EVALUATION)
GARANTIRÀ LA CERTIFICAZIONE UNIVOCA DEI PRODOTTI DELLA RICERCA
Il
progetto I.R.ID.E.(Italian Research IDentifier for Evaluation) è nato dalla
collaborazione tra Anvur, Crui e Cineca, con l'obiettivo di dotare i ricercatori
italiani del codice di identificazione internazionale ORCID (Open Researcher
and Contributor ID), che garantirà la certificazione univoca dei prodotti della
ricerca. Il lancio del progetto coincide con l'avvio del nuovo esercizio di
valutazione della qualità della ricerca (VQR 2011-2014), realizzato dall'Anvur
secondo le Linee guida contenute nel Dm. 458/2015. Il codice di identificazione
internazionale ORCID consiste in un codice d'identificazione alfanumerico dei
ricercatori che confluisce in un registro gratuito, aperto e indipendente,
gestito a livello internazionale dall'omonima organizzazione no-profit. Ha la
prerogativa di legare in maniera inequivocabile ciascun ricercatore ai propri
prodotti di ricerca (articoli, brevetti, citazioni, esperimenti), prescindendo
dal settore disciplinare e dai confini nazionali. L'adozione di ORCID dovrebbe
scongiurare rischi di errore e ambiguità, soprattutto in merito alla paternità
degli articoli pubblicati su riviste scientifiche, alla richiesta di finanziamenti,
alla registrazione di brevetti, agli esercizi di valutazione nazionali e di
ateneo. Già diffuso a livello internazionale (i ricercatori attualmente in
possesso di ORCID sono circa 1,3 milioni), il nuovo codice mira ad aggirare le
problematiche riscontrate in passato nell'interrogazione delle banche dati
bibliometriche: omonimie, modifiche e traslitterazioni da sistemi di scrittura
diversi, i cui effetti sono stati acuiti dalla mancata attuazione dell'Anagrafe
nazionale della ricerca e dall'incompletezza delle banche dati sulle
pubblicazioni oggi esistenti.
Coinvolti
nel progetto saranno oltre 70 Università e quattro centri di ricerca italiani,
impegnati (nella prima fase) nel consentire a tutti i ricercatori del sistema
accademico nazionale di accedere al registro ORCID. In una seconda fase saranno
coinvolti anche dottorandi e assegnisti di ricerca. L'intero processo dovrebbe
concludersi entro il 2016. (Fonte: A. Lomabardinilo, rivistauniversitas sett.
2015)
PNR-PROGRAMMA NAZIONALE PER LA RICERCA 2015-2020. F.
ONIDA PARLA DELLA “BOZZA NON DIVULGABILE” DEL DOCUMENTO GIUNTA ALLA SUA TERZA
EDIZIONE
Il PNR-Programma
Nazionale per la Ricerca 2015-2020 si propone ambiziosamente come “architettura
strategica” di tutti gli interventi sulla ricerca, puntando a ricavare quasi 9
miliardi in sette anni dagli 80 previsti dai fondi europei (Horizon 2020: il
nuovo nome del Programma Quadro 2014-2020). Ma purtroppo si fatica a
districarsi nelle 89 pagine della “bozza non divulgabile” del documento (luglio
2015) – peraltro giunta alla sua terza edizione da quella iniziale varata nel
gennaio 2014 dall’allora ministra Maria Grazia Carrozza subito prima di passare
le mani all’attuale ministra Stefania Giannini – per trovare una chiara traccia
di pochi specifici grandi progetti di collaborazione innovativa
pubblico-privato, capaci di costruire una «piattaforma per guidare la
competitività industriale e lo sviluppo del Paese attraverso gli strumenti
della conoscenza», nello spirito di un moderno «Stato catalizzatore» dei
processi innovativi del mercato.
(Fonte: F. Onida,
IlSole24Ore-Commenti e Inchieste 20-09-15)
DISEGNO DI LEGGE. MODIFICA ALL'ARTICOLO 24 DELLA LEGGE
30 DICEMBRE 2010, N.240, IN MATERIA DI RICERCATORI A TEMPO
DETERMINATO
Art. 1. (Modifica all'articolo 24
della legge 30 dicembre 2010, n. 240, in materia di ricercatori a tempo
determinato)
1. All'articolo 24, comma 3, della legge 30
dicembre 2010, n. 240, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
b) contratti triennali non rinnovabili,
riservati a candidati che hanno ottenuto l'abilitazione scientifica nazionale
alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia ovvero che hanno usufruito
o sono titolari di contratti di cui alla lettera a), ovvero, sono stati
titolari, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai
sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e
successive modificazioni, o di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 22
della presente legge, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della
legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse
in atenei stranieri».
Art. 2. (Entrata in vigore)
Dalla
presentazione del DDL d’iniziativa dei senatori Pagliari,
Fedeli,
Puglisi ed
altri:
Appare
irragionevole, nonché discriminatorio, valutare come titoli utili ai fini della
partecipazione al concorso per ricercatore i soli assegni conseguiti nel vigore
dell’articolo 51 della legge n. 449 del 1997 e non anche quelli conseguiti a
normativa attualmente vigente. Pertanto, il presente disegno di legge si
propone di introdurre una modifica al fine di consentire un'applicazione delle
disposizioni in oggetto orientata al principio del favor partecipationis,
consentendo così l'estensione al maggior numero di precari della ricerca
universitaria la possibilità di accedere ai contratti di ricercatore senza
privilegiare i soli assegnisti di cui alla legge n. 449 del 1997. Allo stesso
tempo pare ragionevole estendere l'accesso anche a tutti i soggetti in possesso
di abilitazione scientifica: costoro, infatti, dispongono già del titolo che
sarebbe loro richiesto alla fine del rapporto in vista della trasformazione in
professori associati. (Fonte: http://tinyurl.com/nqcm598)
VALIDO IL CRITERIO DI ATTRIBUZIONE PARITARIA AI COAUTORI
DEI LAVORI COLLETTIVI
Si
definiscono pubblicazioni in collaborazione quelle redatte da diversi autori,
che possono essere due ma anche di più. Di queste pubblicazioni se ne fanno
tante, specie in certi settori disciplinari, ma, proprio per il fatto di essere
il risultato del contributo di diversi autori, c'è chi tende a sminuirne il
valore, sul presupposto dell'impossibilità o dell'estrema difficoltà di
stabilire l'apporto dei singoli studiosi. E’ ora intervenuta su questa materia
una sentenza del Tar del Lazio, sez. III, n.11339 del 22 settembre 2015. A
suscitare la decisione del Tribunale è stato un ricorso contro il Miur, avverso
l'esclusione dalla docenza presentato da uno studioso, la cui produzione
scientifica era costituita da pubblicazioni scritte in collaborazione con altri
autori (per la precisione ben 14 delle 18 presentate). Proprio tale circostanza
era stata giudicata decisiva nel determinare l'esito sfavorevole della
procedura, stante che, secondo il criterio prefissato dalla Commissione, le
predette pubblicazioni in collaborazione erano "non valutabili" per
l'impossibilità di stabilire con certezza l'apporto individuale del candidato.
Viceversa, i giudici del Tar, nell’accogliere il ricorso, hanno ritenuto tale
criterio, come il giudizio finale della commissione stessa che ne è derivato,
"essere in evidente contrasto rispetto ai dettami e alla prassi seguiti
dalla comunità scientifica di riferimento e all'impostazione editoriale,
seguita a livello internazionale dalle primarie riviste scientifiche del
settore". Il Collegio ha concluso aderendo pienamente alla costante
giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui "sono le
caratteristiche del settore disciplinare e la volontà degli stessi coautori,
implicita nella mancata specifica attribuzione di apporti più chiaramente
distinguibili, a fare ritenere assolutamente equivalente il loro apporto (come
evenienza normale) e quindi, giustificato e razionale il criterio di
attribuzione paritaria ai coautori dei lavori collettivi". (Fonte: R.
Tomei, Il Foglietto 01-10-15)
SISTEMA UNIVERSITARIO. PROPOSTE DI RIFORMA
RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ. DUE SCUOLE DI PENSIERO
«Ci
sono due scuole di pensiero: una che prevede di tramutare immediatamente tutte
le università in Fondazioni. Lo potremmo fare domattina. L'altra che vuole
arrivare allo stesso risultato, abrogare tutti i vincoli legati alla pubblica amministrazione,
e presuppone un intervento legislativo di ‘esclusione'. Ogni norma riferita
alla p.a. se non cita università e ricerca non vale». (Fonte: F. Puglisi,
responsabile della Scuola del Pd intervistata da QN 23-10-15)
CRUI. RIPRISTINARE LA COMPETITIVITÀ INTERNAZIONALE DEL
SISTEMA UNIVERSITARIO
«Nonostante
il disegno di Legge di Stabilità affronti il nodo cruciale del ricambio
generazionale nei nostri atenei, il finanziamento complessivo è ancora molto al
di sotto della soglia necessaria per ripristinare la competitività
internazionale del sistema», ha detto Manfredi. Arriveranno 1.500 cervelli, è
vero, tra 500 professori «eccellenti» e mille nuovi ricercatori. A fronte,
però, di 10mila uscite negli ultimi 8 anni.
«Per
aprire realmente una nuova fase – ha dichiarato Manfredi, presidente della CRUI
- è necessario che l’impegno da parte del governo venga confermato». Una prova
di buona volontà. In quanto tale, positiva, così come lo sblocco degli scatti
stipendiali previsto dallo stesso ddl. Anche questa misura «risponde alle
legittime attese dei docenti». Esiste però, sottolineano i rettori, «una
questione retributiva che vede in primo piano i docenti più giovani con i loro
diversi percorsi e il rinnovo contrattuale del personale tecnico amministrativo,
alla quale va data presto una risposta». Resta poi aperto il capitolo del
diritto allo studio, che nella manovra non è menzionato e che invece secondo
Manfredi va affrontato al più presto: «È necessario sottoporre a un’attenta
verifica il sistema di calcolo degli indicatori Isee e individuare fonti di
finanziamento adeguate, da parte di Regioni e Governo Centrale, in modo da
garantire la borsa di studio a tutti gli aventi diritto». (Fonte: www.corriere.it/scuola/università
22-10-15)
CUN AUSPICA UN RILANCIO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Il
CUN (Consiglio Universitario Nazionale) è intervenuto sulla discussione della
legge di stabilità, che sta per approdare in Parlamento. Dopo aver tracciato un
quadro delle difficoltà in cui versa il sistema, suggerendo l'inadeguatezza
delle misure estermporanee della legge di stabilità nell'affrontarle, il CUN
auspica "che venga disposto un progetto di rilancio del sistema
universitario, che preveda quanto meno:
- l’assunzione di un numero adeguato di
Ricercatori di cui all’art. 24, comma 3, lett. b) della l. n. 240/2010 (Tenure
Track);
- il finanziamento della seconda tranche del
piano straordinario per la chiamata di Professori di seconda fascia previsto
dalla legge 13 dicembre 2010, n.220 (legge di stabilità 2011) e
l’attivazione di un piano straordinario per
il reclutamento di Professori di prima fascia;
- la previsione di finanziamenti che
garantiscano agli Studenti capaci e meritevoli il diritto allo studio, sia
aumentando il numero di borse di studio, con un importo adeguato al costo della
vita, sia investendo nelle strutture;
- la rimozione del blocco degli scatti
stipendiali;
- il rinnovo dei contratti del Personale
tecnico-amministrativo.
In
merito al "preannunciato reclutamento di poche centinaia di Professori
universitari di prima e di seconda fascia" il CUN invita il legislatore a
non prevedere "ulteriori, speciali modalità di selezione e
valutazione".
(Fonte:
CUN 22-10-13)
STUDENTI
RAPPORTO EURYDICE
E’
stato pubblicato il rapporto Eurydice (National Student Fee and Support Systems
in European Higher Education 2015/16. Eurydice – Facts and Figure) che
fotografa il panorama di tasse universitarie e forme di supporto agli studenti
in Europa. Il nostro Paese resta al terzo posto come importi medi delle tasse,
dopo Inghilterra e Paesi Bassi, e solo l’8% degli studenti ha diritto a una
borsa di studio. I due grafici seguenti (fig. 3 e 5) illustrano bene la
situazione. (Fonte:
European Commission/EACEA/Eurydice, Oct. 2015. National Student Fee and Support
Systems in European Higher Education, Eurydice Facts and Figures. Luxembourg:
Publications)
STUDENTI. CALO
DELLE BORSE DI STUDIO CON IL NUOVO ISEE
Mesi fa era stata già paventata l’idea che le nuove riforme
avrebbero portato a un calo della distribuzione delle borse di studio tra i
richiedenti, ma il ministero del Lavoro aveva parlato di appena un 10% in meno,
e invece nel giro di pochi mesi questa percentuale ha subito poco più di un raddoppio.
Il tutto inizia dal nuovo modello Isee, entrato in vigore dal gennaio 2015. Il
motivo di questo cambiamento era dovuto alla lotta contro l’evasione, che in
Italia si manifesta in percentuali molto alte, e quindi è stato modificato il
calcolo dell’indicatore della situazione economico-patrimoniale dell’Isee
(Indicatore della situazione economica equivalente). Questo ha portato a
mettere già fuori gioco molti studenti, e quindi non solo ci sarà un calo degli
aventi diritto alle borse di studio, ma al contempo stesso, ci sarà anche un
quantitativo di domande nettamente inferiore agli anni passati, in quanto molti
ragazzi sono già consapevoli di non rientrare più nei requisiti necessari per
ottenere la borsa di studio dell’Università 2015/2016, perché risultanti più ricchi
rispetto all’anno precedente (senza però esserci un effettivo arricchimento
familiare). (Fonte: www.correttainformazione.it
09-09-15)
NUOVE MODALITÀ DI CALCOLO DELL’ISEE. 30MILA GLI ESCLUSI
DALLE BORSE DI STUDIO SECONDO LE ASSOCIAZIONI STUDENTESCHE
Le
nuove modalità di calcolo dell’Isee, come avevano denunciato le associazioni
degli studenti, stanno facendo crollare il numero degli aventi diritto: è
cambiata, in particolare, la modalità di calcolo della casa nel reddito
familiare, tagliando la possibilità di accedere al contributo, anche se il
reddito dello studente non è cambiato. Sarebbero addirittura 30 mila gli
esclusi, quest’anno, secondo i calcoli delle associazioni studentesche. Numeri
drammatici, secondo i dati pubblicati da Aziende per il diritto allo studio
Universitario di diverse città e rielaborate dalle organizzazioni studentesche:
nella Regione Lazio, su 24 mila domande presentate per la borsa di studio
risulterebbero ben 11 mila esclusi. Gli studenti che non avranno aiuto
economico per affrontare l’anno accademico sono il 25% a Cagliari. In Toscana,
rispetto al 2014/15 le domande di borsa di studio sono crollate di 1349 unità,
a Firenze di 990, a Siena e addirittura di più di 1800 a Pisa. Analoga
situazione in Veneto. Gli idonei erano 1332 nel 2014/15 e si sono ridotti alle
sole 880 unità quest’anno con una flessione negativa del 39%. In Puglia, calo
di domande del 30% a Bari, e del 23 % a Lecce. A Milano, tra Statale e Bicocca,
le domande di riconferma di alloggio calano del 15%. (Fonte: A. De Gregorio,
CorSera Università 17-09-15)
UNA PROPOSTA PER CORREGGERE LE CONSEGUENZE DELLA NUOVA
ISEE
Con
il DPCM 159/2013 è cambiata radicalmente la modalità di calcolo del valore
Isee, l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente, utilizzato per
l'accesso alle agevolazioni economiche nell'università e ai trattamenti
speciali per il diritto allo studio. Le nuove modalità di calcolo hanno infatti
comportato in tutte le regioni d'Italia un generale aumento dei valori Isee
degli studenti universitari, dovuto in larga parte alle rivalutazioni catastali
dei propri immobili. Come Clds (Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio)
per mesi al Cnsu abbiamo chiesto, inascoltati, soluzioni puntuali e costruttive,
che non prevedano la modifica della normativa in corso d'opera (una misura che
si rivelerebbe dannosa e controproducente). La soluzione più realistica ad oggi
è quella di intervenire direttamente sui bandi regionali — dove presente
un'azienda regionale per il diritto allo studio.
In
seguito all'innalzamento dei valori Isee infatti, le aziende regionali hanno
visto una consistente riduzione della platea dei propri beneficiari: da questa
contrazione gli enti regionali hanno realizzato un risparmio di risorse (le
borse mai assegnate).
Ciò
che proponiamo è che gli Enti regionali facciano a questo punto un nuovo bando
con le risorse residue, assegnando però questa volta le borse di studio a
partire dall'Isee più basso e fino al valore più alto consentito dalle risorse
disponibili, a prescindere da qualunque soglia. (Fonte: Clds, Sussidiario.net
13-09-15)
STUDENTI. ACCESSO AI CORSI DI LAUREA. ISCRITTI AI TEST E
POSTI A DISPOSIZIONE
Il
dato più significativo riguarda Medicina: 60.639 aspiranti all’accesso, nel
2014 erano stati 64.187. Al contrario è cresciuta Veterinaria, da 6.940
aspiranti a 7.818. E tiene Architettura (10.994 invece di 11.884), dove però la
riduzione è sul lungo periodo (dimezzati gli aspiranti in cinque anni, nel 2011
erano addirittura 23 mila). Diventare medico, però, rimane comunque non facile,
non soltanto per la difficoltà dei test, perché c’è anche la diminuzione dei
posti disponibili: 9.513 rispetto ai 9.983 del 2014. A Medicina Veterinaria
invece la disponibilità è in linea col 2014. E potrebbero essere di più gli
studenti a tentare l’accesso ai 25 mila posti di Professioni sanitarie. (Fonte:
La Stampa 02-09-15)
TEST DI
AMMISSIONE AI CORSI DI LAUREA. CONDANNA DEI TEST TRUCCATI, MA NECESSITÀ DI
MANTENERE UN MECCANISMO DI SELEZIONE
Nei siti web delle
associazioni studentesche campeggia un'infinita sequenza di accuse al
"sistema" e di peana contro l'intollerabile ingiustizia di un
semplice meccanismo di selezione (il test d’ingresso ai corsi di laurea), che
raggiunge il suo zenit con presunte ricerche scientifiche sulla solitudine, il
disagio psichico e l'alta probabilità di ammalarsi di depressione dei poveri
studenti che decidono di sottoporsi ai test d'ammissione. Considero questo
atteggiamento profondamente sbagliato e culturalmente pericoloso. Perché la
denuncia e la condanna devono essere impietose nei confronti di casi di
malaffare accademico - scoperti in abbondanza negli anni scorsi - in cui i test
sono stati truccati. Ma il meccanismo di selezione in sé è, invece, uno strumento
assolutamente necessario sul piano organizzativo (per evitare fenomeni di
"parcheggio" degli studenti e Corsi inefficienti) e sano sul piano
dei valori che trasmettiamo ai nostri ragazzi. Insegnano ai nostri ragazzi che
nella vita non ci può essere successo duraturo, senza impegno e sacrificio. E
che c'è un mondo in cui (forse) non contano solo le raccomandazioni. (Fonte:
@FFDelzio, Avvenire 05-09-15)
AMMISSIONI A MEDICINA. EFFETTI DEL NUMERO SEMIAPERTO
GIUDIZIARIO: LEZIONI IN STREAMING, SCARSI AGLI ESAMI I RICORRENTI AMMESSI SOTTO
LA SOGLIA D’IDONEITÀ
Nell'anno
accademico 2014/2015 in 9983 avrebbero dovuto frequentare le lezioni di
Medicina in tutt'Italia. In realtà sono stati circa 18 mila, l'80% in più. Vuol
dire che 4 studenti su 10 delle matricole di Medicina dello scorso anno non
hanno superato i test, ma sono entrati perché hanno avuto ugualmente l’accesso da
un'aula di tribunale avendo ricorso per le irregolarità compiute durante le
prove. È una cifra enorme. Alcune università hanno reagito meglio, altre
peggio, ma a Palermo l'arrivo dei ricorsisti è stato drammatico: il triplo di
quello che ci si aspettava, un oceano che l'università del capoluogo siciliano
ha dovuto accogliere in qualche modo. «Siamo dimensionati per 400, non eravamo
preparati», ammette il rettore Roberto Lagalla. Gli studenti che avevano vinto
il test hanno iniziato a frequentare i corsi regolari fin dall'inizio
dell'anno. Gli altri sono arrivati nelle settimane seguenti e sono stati
ospitati nelle aule della ex facoltà di Ingegneria. A un certo punto i
vincitori sono diventati un numero tale che l'università ha deciso di fare
lezioni in streaming con un'aula che, a turno, aveva la fortuna di avere il
professore in carne ed ossa e le altre che dovevano accontentarsi delle sue spiegazioni
in video. Quando - in qualche modo - i corsi sono terminati, è arrivato il
momento degli esami, e l'esito non è stato sempre dei migliori. «I primi dati
ci dicono che i ricorrenti risultati vincitori anche al di sotto della soglia
di idoneità sono quelli che registrano gli insuccessi maggiori», denuncia il
rettore. (Fonte: F. Amabile, La Stampa 12-10-15)
PROFESSIONI
SANITARIE. I TEST PIÙ IMPEGNATIVI
Diventare
fisioterapisti, logopedisti, dietisti o ostetrici è, infatti, ben più difficile
che diventare medici: in base al rapporto tra posti disponibili e candidati,
per queste facoltà le possibilità sono minori rispetto a Medicina. È quanto
emerge da una rielaborazione di dati di Skuola.net sul rapporto tra posti
disponibili e iscritti al test di professioni sanitarie 2015 di un campione di
14 università italiane. Per contro, c'è anche chi avrà un destino più facile:
sono quei candidati iscritti ai test per i corsi di laurea
"dimenticati" delle Professioni sanitarie. Per loro, il successo è
assicurato. Il test da incubo per eccellenza? Fisioterapia. Di media passerà
solo un candidato su 14. Basta ricordare che per il test di Medicina,
considerato il test selettivo per eccellenza, il rapporto di quest'anno è di 1
su 6. All'assalto alla roccaforte del numero chiuso prenderanno parte anche i
ragazzi che si fronteggeranno per entrare a corsi come Logopedia, Dietistica,
Ostetricia. Anche qui la selezione è durissima. Di media supererà il test di
ingresso circa 1 su 9 per Logopedia, 1 su 8 per gli altri due corsi. Insieme a
Fisioterapia, sono i più impegnativi del 2015. (Fonte: Avvenire 05-09-15)
STUDENTI. ACCESSI A NUMERO CHIUSO: UN NO E UN SI
Per
le associazioni studentesche Link-Coordinamento Universitario, Unione degli
Studenti e Rete della Conoscenza, che hanno coordinato le proteste in tutti gli
atenei d'Italia, "il numero chiuso non è la soluzione e non funziona,
serve invece investire sull'università, con spazi e strutture". A
spiegarlo è stato Iacopo Dioniso dell'Udu: "Se la coperta è corta non bisogna
tagliare le gambe al paziente, ma allungarla. Siamo il Paese con meno laureati
in Ue e blocchiamo l'accesso, è inconcepibile".
Non
si è fatta attendere la replica del rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio:
"Il sistema migliore è l'accesso programmato, che consente di avere anche
al primo anno un numero adeguato di studenti in rapporto agli spazi
dell'università e dei docenti. Con la riforma del numero chiuso il settore
medico ha avuto più benefici - ha spiegato Gaudio - perché si laurea oltre il
90% degli studenti e il 96% entro tre anni trova lavoro". (Fonte: FQ
09-09-15)
DAL MIUR UN'ANALISI DEI PIÙ RECENTI FENOMENI LEGATI
ALL'IMMATRICOLAZIONE
Il
Focus del MIUR "Gli immatricolati nell'anno accademico 2014/15",
pubblicato a maggio 2015, utilizza dati dell'Anagrafe Studenti e Laureati ed
offre un'analisi dei più recenti fenomeni legati all'immatricolazione.
L'indagine
è suddivisa in tre paragrafi.
Nel
primo si analizzano le immatricolazioni a corsi di laurea e di laurea
magistrale a ciclo unico dell'anno accademico appena conclusosi.
Complessivamente le immatricolazioni sono state 265.500, in lieve calo rispetto
all'anno accademico precedente. Cresce però il numero di giovani che iniziano
gli studi subito dopo la maturità: il 71,4% delle ragazze e il 66,1% dei
colleghi in età non superiore ai 19 anni, più numerosi nell'area geografica del
Nord Ovest (52,5%) e meno presenti nelle Isole (42,3%). Si manifesta una
maggiore attrattività dell'area scientifica per i maschi (49%) e dell'area
sociale per le studentesse (35%).
Più
è alto il voto di maturità e più aumenta la propensione all'immatricolazione,
elevata per i liceali (l'84,4% del classico e l'81,4% dello scientifico) e
appena sopra la soglia del 10% per i diplomati dell'Istituto professionale. Gli
immatricolati con cittadinanza non italiana più rappresentati sono gli studenti
provenienti dalla Romania (14,6%), dall'Albania (13,6%) e dalla Cina (9,0%),
seguiti nell'ordine dall'Ucraina (4,5%) e dalla Moldavia (4,2%).
Nel
secondo vengono analizzate le scelte dei giovani diplomati 2014 per la
prosecuzione degli studi universitari, che risultano influenzate dal voto
all'esame di Stato e dalla tipologia della maturità conseguita: area giuridica
(19,4%) e area letteraria per i diplomati del liceo classico; area ingegneria
(22,4%), area economico-statistica (14,5%) e area medica per quelli del liceo
scientifico. Il 31,9% dei provenienti dal liceo linguistico prosegue gli studi
nella stessa area, mentre quelli con maturità socio psico-pedagogica
prediligono l'area dell'insegnamento.
Il
terzo paragrafo offre il contributo più originale: la ricostruzione del
percorso universitario dei diplomati dell'anno scolastico 2009-2010 (420.500
unità delle quali solo il 54,4% iniziò gli studi superiori), nei successivi 3
anni fino al conseguimento della laurea di primo livello, un arco temporale
abbastanza lungo per valutarne il successo formativo (abbandoni, passaggio ad
altri corsi, regolarità del percorso ecc.). Dopo un anno dall'ingresso nel
sistema universitario l'11,2% degli immatricolati ha abbandonato: migliore è la
votazione della maturità, minore è la propensione all'abbandono, meno elevata
nei corsi a ciclo unico rispetto a quelli di primo ciclo e nelle università
ubicate al Nord piuttosto che al Sud e nelle Isole. A tre anni dall'inizio
degli studi il 32% ha regolarmente acquisito il titolo, il 17% è regolarmente
iscritto a corsi di studio a ciclo unico, il 36% è iscritto fuori corso ad una
laurea triennale e il 15% ha abbandonato gli studi. L'area sociale (34,6%)
primeggia per il numero di laureati, mentre l'area sanitaria e quella
umanistica per i voti alti dei laureati. (Fonte: M. L. Marino,
rivistauniversitas settembre 2015).
STUDENTI. ACCESSI A NUMERO CHIUSO. MEGLIO EVITARE SPRECHI
E UTILIZZARE LE RISORSE PER FORMARE I MIGLIORI
Agli
studenti voglio dire che è necessario premiare e potenziare il talento e le
abilità personali, e solo un sistema che seleziona i migliori può garantirlo.
Anche la qualità dei compagni di studi è fondamentale, più il livello è
elevato, maggiori saranno i risultati. Chi protesta obietta che i test a
crocette sono fatti male. Cosa ne pensa? In Italia nessuno vuole essere
valutato, invece bisogna incoraggiare chi ha talento. L'accesso universale è
sciocco e inefficiente. È giusto denunciare gli errori, se ce ne sono, e
discutere sui criteri. Ma partendo dalla premessa che i test devono essere ben
fatti, la modalità in uso è corretta: per l'accesso a Medicina e Odontoiatria
c'è una parte di cultura scientifica e una più generale, poi la parte
attitudinale. Quando ho fatto l'esame per accedere alla London School of
Economics c'erano quiz di logica verbale, analitica e matematica, su mille
candidati solo cento sono risultati idonei per quel tipo di carriera. Un corso
non vale l'altro. Che in Italia ci siano corsi di serie A e corsi di serie B è
un fatto, introdurre la selezione in tutte le facoltà produrrebbe un beneficio
sul mercato del lavoro e nella valorizzazione delle attitudini personali.
Quindi è anche una questione di efficienza? L'università costa, anche in
ragione del numero degli studenti iscritti. Queste spese sono coperte solo in
minima parte, in media un quarto, dalle tasse di iscrizione. Il resto è a
carico della fiscalità generale, dunque di tutti i contribuenti, anche di
quelli che non si iscriveranno mai all'università. Meglio evitare sprechi e
utilizzare le risorse per formare i migliori. (Fonte: C. Minnucci intervista R.
Puglisi, Il Fatto Quotidiano 09-09-15)
SULLA C.D.
LOTTERIA DEI TEST D’INGRESSO
Ritengo che una scrematura che ammetta in università solo
e soltanto i migliori fra i diplomati arginerebbe il fenomeno più lamentato dai
docenti: la liceizzazione ossia l'abbassamento del livello di programmi ed
esami universitari (specie umanistici, insisto) che spesso impedisce l'alta
formazione prima del biennio di laurea magistrale, trasformando il triennio di
base nella prosecuzione delle superiori con altri mezzi.
La retorica dei volantini contro "la lotteria del
test d'ingresso" del coordinamento Link fa confusione fra il numero chiuso
come principio e il metodo applicato: che i test così come sono abbiano un alto
fattore di casualità, che non sempre rispecchia la preparazione, è lampante, ma
non si risolve col todos caballeros. Se proponessi una selezione progressiva
basata sul curriculum di studi liceali più un'interrogazione preliminare sulle
materie caratterizzanti più la necessità di finire ogni anno gli esami in tempi
ragionevoli con medie dignitose onde ottenere l'iscrizione all'anno successivo,
i critici dei test diventerebbero favorevoli a un numero chiuso così blindato
dagli assalti della sorte? No, perché confondono anche il diritto allo studio
col diritto alla laurea. (Fonte: A. Gurrado, Il Foglio 10-09-15)
RICORSI CONTRO I
TEST D’INGRESSO. SCARSO IMPEGNO DEL MIUR PER CONTRASTARE I RICORRENTI
Più rapidi dell'anno scorso, i ricorsi contro i test di
Medicina e Odontoiatria sono già pronti ad inondare il Tar del Lazio. Il popolo
degli aspiranti camici bianchi, ritrovatosi l'altroieri ad affrontare il quiz
di accesso nelle Università italiane, non ha perso un minuto per mobilitarsi
nella direzione di una nuova immatricolazione in massa e in sovrannumero. Forti
della vittoria nell'estate del 2014, poi confermata nel merito con recentissime
sentenze, gli studi legali ormai specializzati nella materia puntano a
replicare quel risultato, magari aumentando la platea dei beneficiari:
un'ordinanza che ammetta all'immatricolazione, oltre il tetto stabilito per
ogni ateneo, i candidati esclusi per insufficienza di punteggio. E poco importa
che la graduatoria nazionale sarà pubblicata solo il 7 ottobre.
Il principio cui si appelleranno gli avvocati per provare
a scardinare anche quest'anno il meccanismo tanto criticato del numero
programmato di immatricolabili, nei corsi di laurea in Medicina e in
Odontoiatria, è lo stesso dello scorso anno. Non serve attendere i punteggi,
perché la parola chiave è la violazione della riservatezza nei concorsi. E il
ministero dell'Università, da controparte in causa in quanto sovrintende al
sistema dei test, non sembra che si impegni troppo a mettere i bastoni tra le
ruote ai ricorrenti. Quest'anno il ministero ha eliminato il codice numerico,
ma soltanto a metà. L'altra metà è stata apposta con un doppio adesivo (uno sul
foglio del quiz e un altro sulla scheda anagrafica) dai concorrenti, alla
consegna dell'elaborato. «E qui si ripresenta il problema - spiega l’avv.
Bonetti - perché l'operazione è avvenuta dinanzi alle commissioni». Magari con
una cabina come quelle elettorali, avrebbero risolto il problema. E invece no.
I direttori dei dipartimenti sono già presi dal timore di una nuova ondata di
iscritti in sovrannumero. Mancano aule e docenti, dicono. E chissà che il
ministero non decida pure di astenersi dall'appellare le sentenze di
accoglimento. Esattamente come ha fatto l'anno scorso. (F. Barile, Gazzetta del
Mezzogiorno 10-09-15)
TEST DI MEDICINA. OLTRE LA METÀ (27.663) DEGLI ASPIRANTI
MEDICI È RISULTATA INSUFFICIENTE
Viene
pubblicata la graduatoria finale, con tutti i nomi, del test di ingresso alle
(ex)facoltà di Medicina e chirurgia che si è tenuto un mese fa. Circa 11 mila
ragazze e ragazzi avranno la possibilità di cimentarsi con una delle facoltà
più difficili. E altri 40 mila la certezza di esserne esclusi. Resta una grande
curiosità: come è possibile che oltre la metà dei partecipanti, il 52 per
cento, sia risultata insufficiente? 27.663 aspiranti medici su 53.164 non sono
riusciti a ottenere neppure i 20 punti (su 90 totali) per essere ammessi alla
graduatoria. Una spiegazione cinica è la seguente: il test è volutamente troppo
difficile, in modo che migliaia e migliaia di studenti siano così lontani dal
punteggio soglia d'ammissione che non osano neppure fare ricorso. Ma questo non
spiega perché il numero di insufficienti aumenta mentre il punteggio dei 1000
più bravi, secondo Skuola.net, cresce dal 55,3 del 2014 al 55,43 del 2015 e il
punteggio soglia scende da 34 a 30,40. Sembra, insomma, che gli studenti bravi
diventino più bravi mentre la media si abbassa e il numero di poco preparati
sale. Ma poco preparati per cosa? Il professor Alberto Lenzi dice che si stanno
deteriorando i programmi della scuola superiore, che c'è troppa tecnologia e
troppe poche nozioni, che gli studenti non reggono lo stress dei test a scelta
multipla. Oppure è colpa del fatto che gran parte del punteggio (30 punti su
90) deriva dal saper pensare, materia che nessuna scuola insegna. (Fonte: S.
Feltri, FQ 07-10-15)
ACCESSO A MEDICINA. PROPOSTA DI SELEZIONE IN DUE TEMPI
E
in me forte la consapevolezza di come la professione medica sia una sorta di
«missione dell'anima» che dovrebbe già essere nella coscienza di ogni futuro
buon medico. Tuttavia, mi sento di dover rilevare che le iscrizioni spesso
sproporzionate a tali tipologie di corsi di studio, che richiedono invece
necessariamente un rapporto strettissimo docente-discente, hanno imposto di
valutare la possibilità per i singoli studenti di frequentare un corso di studi
ritagliato a misura per un definito numero di immatricolati, con strutture
didattiche e qualità dell'insegnamento adeguate alle legittime aspettative di
ognuno. Oggi l'istituzione del numero programmato è norma di legge che
recepisce le raccomandazioni della Comunità Europea in merito alla necessaria
armonizzazione dei sistemi universitari di formazione, al fine di rendere
omogenee le caratteristiche professionali di figure come il medico, in grado,
in tal modo, di avere un titolo di studi che gli consenta poi di poter operare
liberamente all'interno della Comunità Europea. Queste dunque le intenzioni del
legislatore che, a ben interpretarle, abbandonando ogni forma di demagogia,
risultano, a mio avviso, la strada forse più percorribile per l'accesso a
taluni corsi di studio. Ciò detto, rimane ad oggi l'insoluto problema delle
evidenti criticità che nel corso degli anni il sistema del numero programmato
ha evidenziato: quiz eccessivamente nozionistici a discapito di test incentrati
maggiormente sul profilo attitudinale è questione non di poco conto e ritengo
di non facile soluzione. Una possibile soluzione su cui riflettere potrebbe
prevedere una modalità di selezione in due tempi: una prima fase in cui il
numero dei partecipanti si ridurrebbe potenzialmente di circa un 50-60% tramite
il ricorso a test di varia natura ed una seconda fase, più specifica, con il
ricorso a quiz di natura attitudinale più rispondenti alle peculiarità della (ex)Facoltà
di Medicina e Chirurgia. (Fonte: G. Paolisso, Il Mattino 17-09-15)
VARIE
RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ. DUE SCUOLE DI PENSIERO
«Ci
sono due scuole di pensiero: una che prevede di tramutare immediatamente tutte
le università in Fondazioni. Lo potremmo fare domattina. L'altra che vuole
arrivare allo stesso risultato, abrogare tutti i vincoli legati alla pubblica
amministrazione, e presuppone un intervento legislativo di `esclusione'. Ogni
norma riferita alla p.a. se non cita università e ricerca non vale». (Fonte: F.
Puglisi, responsabile della Scuola del Pd intervistata da QN 23-10-15)
UN QUADRO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
In
dieci anni, dal 2004 al 2014, gli iscritti al primo anno sono passati da
338.482 a 260.245 (dati Miur). Anche se nelle ultime due stagioni la flessione
media è rallentata e nelle università del Nord le matricole sono tornate a crescere,
la perdita all'università di 78 mila diciannovenni, che sono il 23 per cento di
una generazione, uno su quattro, è un dato da emergenza nazionale. E poi, qui
parla lo Svimez, il tasso di passaggio dalla scuola superiore all'istruzione
terziaria è sceso al Nord al 58,8 per cento e al Sud al 51,7, le cifre più
basse dell'ultima decade. L'Ocse ci ricorda che il tasso d'ingresso
all'università in Italia è al 40 per cento quando tra le nazioni sviluppate è
al 60. È necessario andare avanti per comprendere lo stato dell'arte. Siamo
32esimi su 37 paesi Ocse come aliquota di laureati: il 21 per cento. In Corea
del Sud nel 2011 i laureati erano il 64 per cento quando trent'anni prima non
raggiungevano il 10. Se restiamo in Europa, a proposito di laureati in rapporto
con la popolazione in età di lavoro, peggio di noi c'è solo la Romania. Tutto
questo accade mentre la spesa pubblica è aumentata del 10,7 per cento (tra il
2011 e il 2014) mentre gli investimenti destinati all'università sono scesi
dall'1,19 per cento allo 0,95. Da noi, e in altri quattro paesi europei, i
tagli di bilancio nel settore sono stati superiori al 5 per cento. I docenti
degli atenei italiani nel 2013 erano 55 mila, con un calo complessivo del 13
per cento in dieci anni. E nell'ultima decade - questo è il dato straordinario
- sono stati espulsi 97 ricercatori precari ogni cento. Nel Sud in sei anni si
è perso il 38 per cento delle posizioni per un dottorato. Infine l'Andisu,
l'associazione che si occupa del diritto allo studio, ha portato all'uditorio
il suo carico ricordando che in Italia lo Stato spende sul diritto allo studio
600 milioni quando in Germania l'intervento è da 4 miliardi e in Francia da
3,6. (Fonte: C. Zunino, www.repubblica.it/scuola 01-10-15)
COMPRESSIONE
SELETTIVA E CUMULATIVA DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
Avviata dal governo Berlusconi (con i ministri
Gelmini e Tremonti), la scelta della compressione selettiva e cumulativa
dell’università italiana è stata confermata prima dal governo Monti (ministro
Profumo) e poi dal governo Letta (ministro Carrozza) e, più recentemente,
dal governo Renzi (ministro Giannini). Questa scelta è stata fatta in assenza
di un documento strategico che la annunciasse e motivasse (con l’eccezione
di alcune limitate indicazioni fornite dal ministro Gelmini: si veda il
sito www.roars.it per
tutti i documenti) e di una aperta discussione politica e politico-culturale
sui grandi cambiamenti che si sono venuti determinando e sulle loro
conseguenze. Si è trattato di una “rivoluzione sotterranea”, affidata a un
groviglio di norme e di disposizioni ministeriali, entro le quali anche per un
addetto ai lavori è difficile ritrovare il bandolo della matassa (Un tentativo
di ricostruzione è in A. Banfi, G. Viesti, “Meriti e bisogni nel finanziamento
del sistema universitario italiano”, Working Paper Fondazione Res,
3/2015). La politica – è questo il giudizio di chi scrive – ha compiuto scelte
forti, ma ha quasi avuto timore di assumersene la paternità diretta,
nascondendosi dietro le norme tecniche, e lo slogan del “merito”: tanto
suadente quanto vuoto di concreti significati.
Tra il 2008 e il 2014, secondo i dati
dell’European
University Association Public Funding Observatory, l’investimento pubblico si è ridotto
del 21% in termini reali, con una dinamica significativamente peggiore rispetto
a quella della Spagna e di segno opposto a quella degli altri grandi paesi
europei (con l’esclusione dell’Inghilterra). L’ammontare del Fondo di
Finanziamento Ordinario (FFO), che copre gli stipendi del personale e gli altri
principali costi degli atenei, è passato in termini nominali da 7,2 a 6,7
miliardi.
Parallelamente vi è stato un forte aumento
della tassazione studentesca, che ha contribuito a determinare una
significativa riduzione delle immatricolazioni, soprattutto di chi
proviene da famiglie con reddito più basso e di chi possiede un diploma non
liceale.
Altri provvedimenti hanno causato una
diminuzione del numero dei docenti nella misura di circa 2000 unità l’anno
negli ultimi 5 anni. Insomma, a seguito delle scelte compiute, il sistema
universitario italiano è divenuto più piccolo: con meno risorse, meno docenti,
meno immatricolati. La compressione è stata selettiva: cioè ha riguardato
alcune sedi molto più di altre. Ciò è avvenuto attraverso l’utilizzo di un
coacervo di indicatori, che hanno ripartito in modo assai dispari questi tagli.
(Fonte: G. Viesti, Roars 06-09-15)
DANNO DI 1,5 MLD DI EURO L’ANNO PER OLTRE 200 BREVETTI
ITALIANI CHE FINISCONO ALL’ESTERO
Un miliardo e mezzo di euro l’anno. È quanto
rendono gli oltre 240 brevetti prodotti dai migliori 50 ricercatori italiani.
Peccato che a beneficiarne non sia l’Italia, ma i Paesi dove sono andati a
lavorare. E così la “fuga di cervelli”, un danno per il patrimonio
intellettuale italiano, si traduce anche in uno “spreco di cervelli”. Basta
guardare ai dati dell’Ocse, dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema
Universitario e della Ricerca e dell’I-Com, l’Istituto per la Competitività:
nonostante i nostri ricercatori producano studi scientifici qualitativamente e
quantitativamente superiori alla media Ocse (siamo all’ottavo posto nel mondo),
solo una minima parte di questi si traduce in brevetti, produzione industriale
e quindi ricchezza, nove volte meno che in Danimarca, sette volte meno che in
Usa, quattro volte meno che in Germania, Francia e Spagna. (Fonte: www.quotidianosanita.it 22-10-15)
GAETANO MANFREDI, NUOVO PRESIDENTE DELLA DELLA CONFERENZA
DEI RETTORI:
«Le
sfide che attendono gli atenei italiani non sono né poche né semplici:
aumentare l’offerta terziaria guardando a una nuova formazione
professionalizzante; promuovere l’internazionalizzazione coniugandola con il governo
dei flussi migratori; integrare la formazione a distanza con quella frontale,
rispondendo in maniera coerente alla concorrenza delle università telematiche;
incrementare una presenza attiva sul fronte dell’innovazione tecnologica basata
sul knowledge sharing. L’Italia non può più attendere. Per vincere queste sfide
su uno scenario internazionale sempre più competitivo e affollato è
fondamentale affrontarle con risorse adeguate e il sostegno convinto dei
decisori. L’università ha già fatto la sua parte ed è pronta a continuare sullo
stesso sentiero. Ci aspettiamo di vedere presto segnali di discontinuità con il
passato da parte del Governo».
«Non servono
nuove riforme per l’università, stiamo ancora provando ad applicare l’ultima,
piuttosto serve un’opera di manutenzione per eliminare diverse storture e
soprattutto serve un segnale forte di inversione di rotta a cominciare da un
investimento sui giovani con un piano per assumere 10mila ricercatori, più
risorse per garantire le borse di studio a chi ne ha diritto per arginare così
il crollo di iscrizioni, e fondi per eliminare il blocco degli scatti di
stipendio fermi da troppi anni, blocco che colpisce soprattutto i giovani
ricercatori che oggi guadagnano troppo poco, in media non più di 1500 euro».
(23-09-15)
GIORGIO ISRAEL. STRALCIO DI UNO DEI SUOI ARTICOLI SULLA
DIATRIBA TRA LE DUE CULTURE
Come può un paese
che possiede più della metà dei beni culturali, artistici, architettonici del
mondo non preoccuparsi di coltivare un ceto di persone di altissima competenza
capace di valorizzare quel patrimonio che, se non altro, ha un enorme
potenziale economico? Si badi bene: non si tratta solo della necessità di
formare un esercito di archeologi, di restauratori, di persone all’altezza di
gestire musei e l’immenso, quanto degradato e depredato, patrimonio librario
del paese. Si tratta di non disperdere la memoria dell’identità
storico-culturale italiana. Come è possibile pensare che il patrimonio
culturale del paese possa essere preservato se quasi nessuno conosce più
neanche i nomi degli architetti, dei pittori, dei letterati, degli scienziati
che l’hanno costruito e finisce col considerarlo un irriconoscibile ciarpame?
Il disprezzo dell’umanesimo (anche sul fronte della cultura scientifica!) è la
via per il sicuro declino. La cultura italiana è stata largamente influenzata
dagli assurdi pregiudizi crociani contro le scienze fisico-matematiche e
naturali considerate come un cumulo di pseudo-concetti, ed è giusto che tale
nefasta influenza venga definitivamente superata. Ma la via per superarla non è
certamente quella di esibire un disprezzo per la cultura definita (anche di
recente in un articolo di stampa dedicata a questi temi) come “debole”, quasi
che filosofia, letteratura, scienze umane in generale fossero soltanto
chiacchiere vacue incapaci di costruire conoscenza e di stimolare abilità
pratiche.
La sciagurata
diatriba tra le due culture danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le
scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche,
predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso
stiamo perdendo il senso della parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione
tecnologica”. Invece, lo straordinario successo della scienza occidentale è
stato fondare la tecnica sulla scienza, creando la “tecnologia”. Tutte le
grandi scoperte scientifiche che hanno cambiato il volto del mondo – a partire
dal computer digitale – sono frutto di idee teoriche, fondate sulla “scienza di
base”. Un grande ingegnere come Leonardo da Vinci ammoniva: «Studia prima la
scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran
di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone
o bussola, che mai ha certezza dove si vada». (Fonte: Roars, 25-09-15; da un articolo
di G. Israel ripubblicato dopo la sua scomparsa)
PIÙ DEL 60% DEGLI ADULTI (25-64 ANNI) HA LO STESSO
LIVELLO DI ISTRUZIONE DEI GENITORI
Uno
studio dell'Ocse mette la Penisola in cima alla 'classifica' che misura
l'influenza del contesto socio-economico sul conseguimento degli studi
universitari. Un impatto che è notevole quasi ovunque, visto che la media Ocse
in materia è di 4,5 volte, ma nei Paesi scandinavi le differenze sono molto
ristrette e in Corea del Sud i ragazzi hanno le stesse probabilità di arrivare
alla laurea indipendentemente dal grado di istruzione dei genitori. Tra l'altro
non si tratta solo di arrivare all'università, ma anche di completarla. Se non
si ha alle spalle almeno un genitore laureato, nella Penisola è molto più facile
abbandonare gli studi a metà. Le difficoltà e le disparità vengono da lontano,
iniziano dall'infanzia e si accumulano con gli anni, trasmettendosi in vari
modi. L'esito finale, cioè la scelta universitaria, non dipende solo dai costi,
ma anche dalle aspettative. Mentre il 60% degli studenti di scuola secondaria
avvantaggiati punta a prendere una laurea, il dato crolla al 20% tra gli
studenti meno favoriti. “In certo senso sembra che ci sia una trasmissione
generazionale di un vantaggio educativo, che poi si riflette in un accesso a
certi tipi di occupazione e non solo”, sintetizza Francesca Borgonovi,
economista dell'Ocse, esperta di istruzione. Nella Penisola, in effetti, domina
lo status quo scolastico: più del 60% degli adulti (25-64 anni) ha lo stesso
livello di istruzione dei genitori. (Fonte: Il Sole 24 Ore Radiocor 12-10-15)
ATENEI. IT
UNIBO PARTECIPA A IPERION CH, L’INFRASTRUTTURA DI RICERCA
EUROPEA PER I BENI CULTURALI
Realizzare
un'infrastruttura di ricerca europea unica per il restauro e la conservazione
del patrimonio culturale. È l’obiettivo di
Iperion Ch (Integrated Project for
the European Research Infrastructure on Culture Heritage), progetto del
programma di ricerca europeo Horizon 2020 al quale partecipa anche l’Università
di Bologna.
Iperion Ch coinvolge 23 strutture da dodici paesi europei più una
dagli Stati Uniti: l'obiettivo è creare una rete distribuita di strumenti a
disposizione dei ricercatori impegnati sui temi della scienza della
conservazione dei beni culturali e della heritage science. L'Alma Mater
partecipa con il suo Laboratorio diagnostico di microchimica e microscopia dei
beni culturali. (Fonte: www.magazine.unibo.it 03-10-15)
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE. AUMENTO RILEVANTE
DI STUDENTI INTERNAZIONALI
I
dati Istat mostrano che negli ultimi dieci anni è raddoppiato il numero degli
studenti internazionali giunti nelle università italiane per completare la loro
formazione. Per l'Università Cattolica del Sacro Cuore la crescita di queste
iscrizioni è pari al 42% rispetto al 2014 e solo per la prima metà degli arrivi
dell'anno. A partire da febbraio - per i programmi in partenza nel II semestre
e in estate - infatti l'Ateneo si aspetta di accogliere un numero simile se non
superiore di studenti internazionali. Dal 1° settembre fino al 15 sono in
arrivo circa 700 studenti, provenienti da 70 Paesi diversi: dal Kirghizistan
all'Honduras, dal Congo all'Australia. Di questi, 412 hanno scelto di
trascorrere in Cattolica un semestre o l'intero anno accademico, mentre gli
altri 288 si sono iscritti a un corso di laurea triennale, magistrale, a ciclo
unico oppure a un master. Tra le facoltà più gettonate spiccano Economia,
Scienze Linguistiche e letterature straniere e Scienze politiche e sociali.
Quanto alla Top Ten dei Paesi di provenienza, a occupare il podio sono gli
Stati Uniti con il 17% sul totale degli studenti internazionali, al secondo
posto si trova la Turchia con l'8%, seguita da Francia e Spagna rispettivamente
con il 7% e il 6% sul totale degli studenti in arrivo dall'estero.
La
Cina si aggiudica la quinta posizione con il 5,5%, incalzata dalla Germania con
il suo 4,4%. Completano la classifica il Messico (2,9%), la Colombia (2,8%), la
Russia (2,4%), il Belgio e i Paesi Bassi (2,2%). (Fonte: www.diregiovani.it
03-09-15)
UE. ESTERO
XXVII ANNIVERSARIO DELLA MAGNA CHARTA UNIVERSITATUM
A
Bologna il 17 e 18 settembre 2015 si è celebrato il XXVII anniversario della
Magna Charta Universitatum, firmata nel 1988 da 388 rettori di tutto il mondo.
Quest'anno i rettori di ventisei nuove università di cinque continenti hanno
sottoscritto il documento. La cerimonia è stata anche l'occasione per dare il
benvenuto ai nuovi studenti internazionali arrivati a Bologna e riflettere sul
fatto che molti ragazzi non possono progettare liberamente il loro futuro.
Inoltre, sono stati ricordati gli studenti dell'Università di Garissa (Kenya),
uccisi in un attentato terroristico lo scorso 2 aprile. Le trasformazioni
odierne non riguardano più solo l'innovazione o i nuovi modelli di conoscenza,
ma anche contesti politici drammatici come le migrazioni di queste settimane.
Qual è il ruolo delle università in questo scenario e quale impatto hanno le loro
scelte sugli studenti e sul loro futuro? Se l'internazionalizzazione è stata da
sempre una componente fondamentale della cultura universitaria, oggi le domande
riguardano quale tipo di internazionalizzazione si vuole, ma soprattutto se la
si vuole davvero. A volte ci sono imperativi etici che possono rendere
difficile gestire il cambiamento: proprio per questo bisogna definire in modo
chiaro quale sia l'identità dell'istruzione superiore. Istruzione è esplorare,
capire, evolversi. Come ha sottolineato Geoffrey Boulton (Università di
Edimburgo), il valore più profondo dell'università non è a breve termine, non è
quello rilasciato da un diploma, non è chi diventi dopo la laurea: è
trasmettere un sapere che ti accompagna nella vita, è un'eredità di millenni che
dà forma al futuro e contribuisce alla crescita della società. (Fonte: I.
Ceccarini, rivistauniversitas 28-09-15)
L’ EUROPA È L'AREA MONDIALE PIÙ ATTIVA RIGUARDO
ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE
L'indagine
Internationalisation of Higher Education,
commissionata dalla Direzione generale Cultura e Istruzione del Parlamento
Europeo, approfondisce caratteristiche, finalità e vantaggi del processo di
internazionalizzazione. In primo piano anche il contributo dell'insegnamento
digitale basato sui MOOC (Massive Open Online Courses). L'indagine esamina 17
Rapporti nazionali sugli indicatori della performance accademica internazionale.
I ricercatori evidenziano che in tema di internazionalizzazione non conta solo
il cosa (quali modelli concettuali adottare) e il come (quali differenze di
sviluppo per area geografica), ma anche il perché (preparare gli studenti a
lavorare in un mondo globalizzato) e il per chi (offrire insegnamento di
qualità a tutti gli studenti indipendentemente dal censo). Ne emerge un quadro
incoraggiante per l'Europa, l'area mondiale più attiva al riguardo sotto la
spinta di vari Programmi UE (Erasmus, Tempus, Alfa, Alban, Atlantis, Marie
Curie, etc.). Un contesto ulteriormente rafforzato dal Processo di Bologna e
dagli strumenti sinora adottati per facilitare le procedure del riconoscimento
(ECTS, titoli congiunti, Diploma Supplement, etc.), nonché dal recente interesse
politico di alcuni Paesi per l'internazionalizzazione (Germania, Paesi Bassi,
Regno Unito, Norvegia, Polonia e prossimamente Romania). (Fonte: A. Lorenzi,
rivistauniversitas sett. 2015)
L'EUROPA SUPERA L'AMERICA NELLA CLASSIFICA DELLE MIGLIORI
800 UNIVERSITÀ DEL MONDO
L'Europa
sorpassa l'America in un campo in cui era sempre stata battuta: quello
dell'eccellenza accademica. Nella classifica annuale del Times di Londra sulle
800 migliori università del pianeta, infatti, per la prima volta ci sono più università
europee che americane fra le prime 200 della graduatoria. Le europee sono 105,
un aumento considerevole rispetto al 2014, quando erano 87; mentre le
americane, da un anno all'altro, scendono a 95. Il primato del vecchio
continente in materia di istruzione superiore è in larga parte merito delle
università britanniche: fra le migliori 200 ce ne sono ben 34 che appartengono
al Regno Unito. E sono tutte inglesi le uniche 3 università europee (Oxford al
secondo posto, Cambridge al quarto e Imperial College all'ottavo) fra le prime
10 del mondo, contro 6 americane e 1 svizzera.
Ma
la concorrenza da parte delle università del resto d'Europa è sempre più forte,
grazie a crescenti investimenti e a sempre più corsi in inglese per attirare
studenti internazionali, come nota il Financial Times e come testimonia la
presenza dello Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo in decima
posizione, la prima volta in un decennio che un'università non americana e non
britannica entra nella "top ten". (Fonte: R.it 01-10-15)
STATO ATTUATIVO DEL PROCESSO DI BOLOGNA. IL
RICONOSCIMENTO DEI TITOLI DI STUDIO È ANCORA DIFFICILE
L'ESU
- European Students' Union ha pubblicato il rapporto "Bologna with Student
Eyes: Time to meet the Expectations from 1999", che analizza lo stato
attuativo del Processo di Bologna e la realizzazione dell'EHEA - European
Higher Education Area. Basato sulle risposte fornite da 38 organismi sindacali
nazionali, l'indagine focalizza - come nelle cinque edizioni precedenti - alcuni aspetti specifici e
solleva preoccupazioni su ritardi e diseguaglianze applicative che rischiano di
far divenire obsoleto e inefficace l'intero processo di armonizzazione dei 47
sistemi universitari firmatari della Dichiarazione di Bologna (19-06-1999).
Benché quasi tutti i Paesi abbiano adottato riforme strutturali per
l'attuazione del sistema in tre cicli, le procedure di riconoscimento dei
titoli di studio restano ancora una grande sfida da affrontare con decisione.
Tali procedure rimangono, infatti, troppo spesso di difficile comprensione per
mancanza di adeguata informazione sul valore da attribuire ai singoli percorsi
formativi. Il riconoscimento automatico dei titoli non è ancora pienamente
attuato; il Diploma Supplement è poco garantito e, di conseguenza, il riconoscimento
generalmente richiede troppo spesso una procedura lunga e difficoltosa. Questo
è il motivo principale del forte ostacolo all'auspicata realizzazione
dell'European Higher Education Area, che, ad oltre 15 anni dall'avvio del
Processo di Bologna, sembra ancora in piena fase di realizzazione. (Fonte: University World News; F. Moscarelli, rivistauniversitas 11-09-15)
L'ERC (EUROPEAN RESEARCH COUNCIL) HA CELEBRATO LA
SOVVENZIONE N. 5000
Otto
anni dopo il suo lancio, l'ERC ha raggiunto una tappa significativa del proprio
percorso, e lo ha celebrato il 16 giugno 2015 organizzando a Bruxelles un dibattito nel Parlamento europeo e una
premiazione simbolica della borsa di studio n. 5000. Istituito nel febbraio
2007 dalla Commissione europea nell'ambito del Settimo programma quadro per la
ricerca, il Consiglio europeo della Ricerca è la prima organizzazione europea
dedicata al finanziamento della ricerca scientifica di frontiera. Ogni anno
seleziona e finanzia i ricercatori migliori perché realizzino progetti quinquennali.
Cerca, altresì, di attrarre in Europa i ricercatori più brillanti da ogni parte
nel mondo. (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 08-09-15)
BANDO “MIUR-DAAD JOINT MOBILITY”. PER FAVORIRE RETI DI COLLABORAZIONE DURATURE TRA ITALIA E
GERMANIA
Attraverso
il bando “MIUR-DAAD Joint Mobility” le parti intendono sostenere la mobilità
scientifica supportando il perfezionamento e la specializzazione dei giovani
ricercatori ed accademici italiani e tedeschi, con l’intento di promuovere
l’aggiornamento e la crescita dei gruppi di ricerca dei due Paesi, e favorire
la creazione di reti di collaborazione durature tra Italia e Germania. I
progetti congiunti dovranno essere condotti da gruppi di ricerca composti da
soggetti di entrambi i Paesi. Il programma si propone di coinvolgere giovani
studiosi, ricercatori post - doc e/o dottorandi di ricerca/laureati, assegnisti
di ricerca, da entrambe le parti. Ciascun progetto avrà una durata ordinaria da
uno a due anni, ma sarà consentito in caso di progetti particolarmente
meritevoli, richiedere l’estensione del progetto per un ulteriore terza
annualità. (Fonte: A. D. Ficara, www.tecnicadellascuola.it 05-10-15)
GRAN BRETAGNA. OXBRIDGE
Oxbridge
è un luogo dell'immaginario collettivo britannico, il recinto che racchiude i
laureati delle due storiche università inglesi, ciascuna delle quali fornisce
metà del nome a quest'etichetta di una classe sociale e di un modo di essere.
Da Oxbridge vengono, secondo i dati del Sutton Trust, otto giudici e avvocati
su dieci e la metà dei giornalisti britannici. Sempre Oxbridge, dichiara
allarmata Carole Cadwalladr sul Guardian, ha partorito tutti i leader politici
che possono venirvi in mente: Cameron e Osborne hanno studiato rispettivamente
al Brasenose e al Magdalene college di Oxford, i liberaldemocratici Cable e
Clegg al Fitzwilliam e al Robinson di Cambridge, mentre i fratelli Miliband -
la cui resa dei conti ha sferrato il colpo di grazia al Labour - erano entrambi
nel Corpus Christi di Oxford, sfasati di quattro anni, e questo forse spiega
molto del loro rapporto. Non è chiaro cosa stupisca la Cadwalladr: per
limitarci ai primi ministri, dove credete che abbiano studiato Tony Blair, lady
Thatcher, Attlee e Macmillan, Wilson e Heath? Non deve infine sorprendere che
provengano da Oxbridge dodici membri del governo in carica e altrettanti del
governo ombra. (Fonte: A. Gurrado, Il Foglio 27-08-15)
FRANCIA. 15 ORGANIZZAZIONI MANIFESTANO PER CHIEDERE PIÙ
FONDI PER L’UNIVERSITÀ E LA RICERCA. 38700 STUDENTI IN PIU’ NEL 2015. NECESSITANO 1-2 MLD L’ANNO IN PIU’
Les universités dans la rue pour crier misère. La plupart des acteurs du
secteur en conviennent: il manque de 1 à 2 milliards d'euros par an aux
universités. Où les trouver? Tout aussi unanime est le constat que l'Etat n'ira
guère au-delà des 23 milliards d'euros qu'il consacre chaque année à
l'enseignement supérieur, à la vie étudiante et à la recherche. Le monde de
l'enseignement supérieur traverse une grave crise, qui pourrait remettre en
cause le modèle même de l'université française: l'inscription doit-elle rester
à prix modique? Faut-il introduire une forme de sélection à l'entrée? Chercher
d'autres voies de financements que le seul budget de l'Etat? La crise est
d'abord démographique. A la rentrée 2015, 65000 nouveaux inscrits ont été
annoncés à l'université par le ministère de l'éducation nationale, de
l'enseignement supérieur et de la recherche. En fait, ce sont 38700 étudiants
supplémentaires qui fréquenteront les bancs des facs, si l'on enlève les élèves
des classes prépa qui s'y sont inscrits par le biais de l'université. Depuis
2012, et sans compter les inscrits des classes préparatoires, la hausse des
effectifs étudiants s'établit à 123000 étudiants, indique le ministère. Un
afflux loin d'être négligeable puisque le pays compte environ 1,5 million
d'étudiants dans ses facs. Et cette inflation démographique est loin d'être
terminée. Les moyens sont-ils à la hauteur? Le ministère et les syndicats se
livrent à une bataille de chiffres. Depuis 2013, les universités ont reçu des
crédits pour créer au total 1000 postes d'enseignants de plus par an. Mais
elles en ont supprimé aussi, si bien que les effectifs enseignants auraient
progressé seulement de la moitié du nombre prévu dans les universités. Compte
tenu des évolutions de l'emploi précaire et des départs en retraite, le
Syndicat national de l'enseignement supérieur (Snesup) estime même que le
nombre d'enseignants-chercheurs devrait baisser en 2015. (Fonte: A. De
Tricornot, Le Monde 16-10-15)
FRANCIA. LA RICADUTA ECONOMICA DEL DENARO INVESTITO NELLE
UNIVERSITÀ DI RICERCA
C'est une étude qui tombe à point nommé pour les universités. Alors que les
discussions sur le budget 2016 de l'enseignement supérieur et de la recherche
sont très serrées, une étude détaille les retombées économiques de l'argent
investi dans les universités de recherche. Selon cette enquête, réalisée par le
cabinet Biggar Economics, les plus grandes universités européennes de recherche
membres du très fermé club de la Ligue
européenne des universités de recherche (LERU) ont généré, en 2014, 71
milliards d'euros de retombées économiques, et 900.000 emplois. En France, les
trois universités membres de cette prestigieuse association et qui figurent au
top 100 du classement de Shanghai — l'université Pierre et Marie Curie,
l'université Paris Sud et l'université de Strasbourg — auraient produit l'an
dernier plus de 7 milliards d'euros de retombées économiques en France et
75.000 emplois. Un euro ajouté au budget des trois universités génère une
valeur ajoutée de 3,81 euros pour l'économie française, ajoute l'étude. Et un
emploi créé par les universités induit près de 3,2 emplois dans l'économie
française. «Les universités sont l'un des moteurs majeurs de la croissance
économique», commentent les auteurs. Ces derniers estiment que les trois
universités concernées représentent environ 23 % du secteur des universités de
recherche françaises. «Sur cette base, la valeur ajoutée globale du secteur des
universités de recherche en France est estimée à 31,5 milliards d'euros et
soutient 326.704 emplois, affirme le document. Les bénéfices des trois
universités françaises sont bien plus grands que les coûts [...] ».
(Fonte: M. - Ch. Corbier, LesEchos
08-09-2015)

Paris-Sorbonne (Paris-IV) et Université Pierre-et-Marie-Curie (Paris-VI),
deux prestigieuses universités, la première à dominante scientifique, la
seconde à dominante littéraire formeront une entité unique le 1e' janvier 2018.
Avec les universités de Strasbourg et de Marseille qui ont fusionné il y a six
ans, ce sera l'une des plus grandes: 54000 étudiants, 5600
enseignants-chercheurs. L'un des objectifs est d'en faire une université de
recherche de rang mondial, plus visible du fait de ce rapprochement.
Gardera-t-elle le nom de son regroupement actuel «Sorbonne universités» ou un
autre comprenant «Paris»? Le mystère reste entier mais la «marque» Sorbonne,
tellement porteuse à l'étranger fera certainement partie de l'appellation. Le
renouvellement des conseils d'administration en février 2016 «est un moment
opportun pour permettre de préciser ce choix de rapprochement». Après seize
mois de discussions, les élections des conseils de la nouvelle université
seront organisées en décembre 2017. (Fonte: M.-E. Pech, Le Figaro 16-09-2015)
Un
corso universitario con un mix di varie materie, dove gli studenti si
esercitano in un metodo di analisi aperto, abbattendo i recinti tra discipline.
È l'esperienza avviata nel 2012 in Francia da Paris Sciences e Lettres,
l'ateneo innovativo che unisce materie scientifiche, sociali e letterarie. Così
nella capitale francese è nata questa iniziativa, rivolta a chi abbia
conseguito la maturità (che Oltralpe viene definita baccalauréat). Rispetto al
prépa, un istituto superiore che prepara alle grandi scuole universitarie e ai
concorsi, questo corso offre appunto l'orientamento pluridisciplinare,
permettendo di seguire lezioni che spaziano dalla matematica alla filosofia,
dall'arte alle lingue straniere, dalla storia alla sociologia. La novità,
chiamata Cpes (corso pluridisciplinare di studi superiori), ha attirato subito
l'attenzione nel mondo della formazione: al primo anno gli iscritti erano 73 e
per l'anno prossimo ne sono previsti 90. Ma l'interesse è molto più alto: per
l'anno corrente i 73 posti disponibili erano stati presi di mira da più di 800
candidati. L'iniziativa, partita come semplice diploma all'interno della Paris
Sciences et Lettres, ha poi ottenuto la validità di una laurea di primo
livello: in questo modo gli studenti possono guadagnare 60 crediti formativi,
in linea con la regolamentazione europea. La formazione prevede una
specializzazione progressiva in tre indirizzi: scienze umane; scienze; scienze
economiche, sociali e giuridiche. (Fonte: M. Galli, ItaliaOggi 13-10-15)
FRANCIA. COME EQUILIBRARE LE NECESSARIE PROCEDURE DI
SELEZIONE PER L’ACCESSO ALL’UNIVERSITÀ
La situation actuelle est grotesque. D'un côté, un principe quasi divin
exhorte l'université à ne pratiquer aucune sélection, tant à l'entrée des
études supérieures qu'à l'admission en second cycle: seule compte l'obtention
du bac, puis celle d'une licence. De l'autre, on autorise une exception
ahurissante à ce dogme: les directeurs de master 2 peuvent stopper
discrétionnairement des études en cours de cycle afin de gérer le flux de
postulants en rapport avec les exigences du marché du travail. Cette sélection
entre master 1 et master 2 n'a aucun sens! En effet, pourvu qu'on soit un
minimum discipliné avec soi-même, le passage d'une année à l'autre est assez
aisé jusqu'en master 1. Il suffit d'apprendre les cours afin de replacer
une ou deux des expressions favorites des chargés d'enseignement. Tous les
efforts sont alors axés sur l'apprentissage et la régurgitation de
connaissances, vite oubliées une fois les partiels terminés, pour s'assurer la
moyenne et passer à l'échelon supérieur.
En parallèle, des centaines d'étudiants ayant réussi un master 1, bercés
d'illusions dues à des discours utopistes et à un laisser-aller pédagogique, se
présentent à un portillon dont l'accès est limité au nombre de postes
susceptibles d'être pourvus. Ainsi, le système universitaire n'encourage jamais
les étudiants à sonder la réalité du marché du travail, à questionner leur
orientation professionnelle. L'université forme donc à la pelle des étudiants
touristes, qui font juste preuve d'un effort de bachotage la veille des
partiels et qui finissent avec des dossiers académiques identiques les uns aux
autres là où, au contraire, il faut se démarquer aux yeux des directeurs de
master 2. Cette méthode ne peut que susciter la défiance des employeurs.
Conscientes de la situation et du défaut d'employabilité de l'université,
certaines filières pratiquent une sélection indirecte: l'idée est d'inciter les
équipes pédagogiques à tirer vers le bas les notes pour n'accorder la moyenne
qu'aux plus méritants, procédant ainsi à un écrémage parfois radical. Des
établissements mettent aussi en place des cursus sélectifs: bi-licences,
collèges universitaires, magistères, etc.
En nourrissant une atmosphère de travail plus rigoureuse que «la normale»,
ces universités s'assurent des promotions d'étudiants de meilleure qualité,
plus motivées et mieux cadrées pour répondre aux exigences du marché du
travail. Si ces formations sont les plus prestigieuses et insèrent le mieux sur
le marché du travail, la multiplication de ces procédures de sélection rend le
phénomène anarchique. Certes, la sélection en cours de scolarité s'avère
indispensable, mais elle doit s'effectuer à des moments «charnières» du cursus
et selon des règles transparentes et méritocratiques.
Le processus de Bologne organise les études supérieures en trois cycles: la
licence, le master et le doctorat. Il conviendrait alors d'opérer une sélection
avant l'entrée dans chacun d'entre eux. La sélection en premier cycle demeure
la plus importante. Le filtre par l'intermédiaire du baccalauréat est désormais
devenu une chimère: outre les voies alternatives pour accéder à des études
supérieures, la valeur même de ce diplôme demeure contestable du fait de
l'abaissement du niveau général constaté par les employeurs et de la
multiplication des filières. Et puis, que faire, sans sélection et sans moyens
proportionnés, des 50.000 étudiants supplémentaires qui viennent peupler chaque
année les amphithéâtres? Ce système ne peut qu'aboutir à une explosion des
sélections, aussi anarchiques qu'inégalitaires. Il serait plus pertinent
d'instaurer des procédures de sélection pour entrer en licence, sur la base de
plusieurs critères afin de mesurer l'adéquation du projet et du profil de
l'étudiant avec les exigences, la réputation ou les capacités d'accueil de la
formation. (Fonte: F. Louise e A. Maybon, Le Monde 17-09-15)
FRANCIA. PER L'EX-PRIMO MINISTRO FRANÇOIS FILLON OGNI
UNIVERSITA’ DEVE POTER FISSARE I DIRITTI D’ISCRIZIONE PER L’ACCESSO AL MASTER E
AL DOCTORAT
Sur la sélection, l'ex-Premier ministre François Fillon indique que l'Etat
a «le devoir de garantir l'accès des bacheliers à l'enseignement supérieur, ce
qui ne veut pas dire le droit d'accéder à n'importe quelle formation, n'importe
quel diplôme de l'enseignement supérieur, ni d'y accéder indéfiniment».
L'enseignement professionnel serait en «totalité» confié aux régions. Et les
universités pourraient librement créer des filières d'excellence sélectives.
Elles seraient aussi libres de fixer les droits d'inscription des étudiants
étrangers non communautaires. Pour les autres, les 184 euros annuels requis en
licence devraient augmenter et ne pas représenter pour un étudiant «une dépense
inférieure à un abonnement un smartphone». Il cite la proposition de l'Institut
Montaigne de les augmenter jusqu'à 500 euros par an, «tout en continuant à en
dispenser les étudiants boursiers». L’approfondissement de l'autonomie des
universités passerait aussi par la libre fixation des règles d'admission pour
l'entrée en master, comme du montant des droits en master et doctorat. Les
universités mal gérées verraient le montant des subventions de l'Etat baisser.
Les enseignants seraient évalués par leurs pairs, mais leurs évaluateurs
seraient «choisis en fonction de leurs qualités scientifiques (et non) du score
obtenu par le syndicat qui les a désignés». (Fonte: LesEchos
08-10-15)
INDIA. L’AUTONOMIA DEGLI INDIAN INSTITUTES OF MANAGEMENT (IIMS) RIDOTTA DAL CONTROLLO DEL
GOVERNO MODI
Indians, the
pinnacle of business education has been a diploma from the prestigious Indian Institutes of Management (IIMs),
which have operated independently under autonomous boards. Indian companies
compete fiercely each year to snap up the newly minted graduates from these
standalone institutions. But the IIMs' cherished autonomy is under threat. In
June, Prime Minister Narendra Modi's government unveiled draft legislation that
would permit the institutes to award MBAs and PhDs but would also establish
government control over the institutes. The proposal has prompted outcry from
professors and graduates, who say such changes could undermine these bastions
of educational excellence. In particular, they have taken issue loath clauses
in the bill that say the IIMs would need government approval for all important
board decisions, essentially stripping them of their freedom to innovate and
run operations.
Board members
"will always have to look over their shoulders and guess what the
govermnent wants", says Bill Paul Abraham, academic dean of IIM-Calcutta.
"My sense is they will not interfere in everything, but they could ask “was
this done with our approval?” Even if there was no deliberate intrusion, the
additional red tape could cause institutional stagnation, he argues. "If
you have to request approval for each and every thing, things get delayed. It
is unnecessarily constraining [and] will be a drag on decision-making and the
ability to respond quickly." (Fonte: Financial Time 07-09-15)
USA. MOLTI ATENEI COSTANO TROPPO RISPETTO ALLE
POSSIBILITÀ OFFERTE AI LORO STUDENTI DI ACCEDERE A POSTI DI LAVORO BEN
RETRIBUITI
Da
un'indagine sul reale valore del sistema accademico USA ordinata da Obama,
emerge che le università americane, molte delle quali sono tra le migliori del
mondo, costano troppo rispetto alle possibilità offerte ai loro studenti di accedere
a posti di lavoro ben retribuiti. Un problema acuto soprattutto per le
accademie private «for profit» che si sono moltiplicate negli ultimi anni,
istituzioni dal marketing aggressivo che promettono una seconda chance a chi
non è riuscito a laurearsi in tempo negli atenei pubblici. O a chi fa un lavoro
modesto avendo solo il diploma liceale, e vorrebbe migliorare. Chi ascolta
queste sirene viene da una fascia della popolazione mediamente più vulnerabile
e a reddito più basso. Spesso si accolla un debito scolastico insostenibile
mentre questi istituti danno titoli di scarso valore. Così ci ha pensato il
governo che, abbandonato il tentativo di fare classifiche basate sulla qualità
dell'insegnamento, si è messo a studiare cosa accade ai laureati dieci anni
dopo. Chi esce dalle migliori accademie, da Stanford a Harvard, certamente ha
un vantaggio, ma basta scendere appena di un gradino per trovare atenei che
costano quanto quelli al top (anche 70 mila dollari l'anno) ma con metà dei
laureati che dopo dieci anni non riescono a guadagnare più dei 25 mila dollari
l'anno incassati, in media, dal diplomato di un liceo. (Fonte: M. Gaggi,
CorSera 18-09-15)
USA. POLITICHE PER ALLEVIARE I COSTI ESUBERANTI DELLE
UNIVERSITÀ
Il
debito accumulato dagli americani per frequentare l’università ha ormai
raggiunto proporzioni epiche, con oltre 1.300 miliardi di dollari. I laureati
del 2015 avranno, in media, 35.000 dollari di passivo a testa, 2.000 dollari in
più dei colleghi che hanno finito gli studi nel 2014. Questi numeri si
scontrano con i proclami dei governi federali e statali di voler vedere più
ragazzi andare all’università e con i dati che dimostrano che una laurea può
fare una differenza enorme a livello di reddito. Una stima della Federal
Reserve Bank di San Francisco quantifica tale gap: nel corso della propria
carriera il laureato tipico guadagna circa 800.000 dollari in più di un
semplice diplomato. Nonostante la crisi del debito studentesco non accenni a
migliorare, negli ultimi anni si sono cominciati a registrare alcuni
interessanti movimenti su questo fronte, sia a livello nazionale sia a livello
locale. L’Amministrazione Obama ha attuato negli ultimi anni diverse iniziative
per cercare di alleviare il problema, agendo in particolare sui prestiti che
sono erogati, o perlomeno garantiti, dal governo di Washington. La Casa Bianca
ha dunque offerto a diversi gruppi di laureati-debitori termini di pagamento
più favorevoli, e in alcuni casi anche la cancellazione completa del debito
ancora pendente. Intanto, i candidati democratici alle elezioni presidenziali
del 2016 stanno mettendo a punto le proprie proposte sull’istruzione. Il
senatore del Vermont Bernie Sanders ha così dichiarato di voler rendere
gratuite tutte le università e college pubblici americani, mentre Hillary
Clinton vuole mettere a disposizione degli studenti americani un maggior numero
di borse di studio, che non devono essere ripagate, e di prestiti con tassi di
interesse particolarmente bassi. (Fonte: V. Pasquali, IlBo 12-10-15)
USA. PROGRESSIVA ATROFIA DEI COLLEGE DI LIBERAL ARTS
Liberal
arts è un termine che negli Stati Uniti copre l'intero spettro degli studi non
professionalizzanti, ma orientati alla conquista di un sapere puro: studi
storico-letterari certamente, ma anche lingue moderne, scienze naturali,
biologiche e ambientali, e matematica, statistica, scienze sociali e
comportamentali. Negli anni novanta i college di liberal arts erano seicento,
Breneman mostrò che solo duecento meritavano il nome. Oggi sono centotrenta. Il
New York Times con una lunga intervista a Breneman si unisce a lui nel lanciare
l'allarme: tra pochi anni saranno poco più di cento, mentre si espandono
vistosamente i college di economia e commercio. Soffocare gli studi umanistici
e scientifici puri, non rivolti a evidenti ricadute sul profitto, significa
atrofizzare la formazione di menti critiche capaci di intendere con competenza
e farci intendere il mondo in cui viviamo. (Fonte: T. De Mauro, Internazionale
24-09-15)
LIBRI. RAPPORTI
I PREMI NOBEL
ITALIANI
Opera in due volumi promossa dal Reps e curata
dall’università di Bologna, 2015.
Non
tutti i Nobel italiani, dopo il riconoscimento, hanno ottenuto una fama
adeguata al valore delle loro opere: fama pubblica, ma anche notorietà tra gli
addetti ai lavori, con la diffusione di analisi sulle loro scoperte o
realizzazioni. Alcuni Nobel del nostro Paese sono stati, insomma, meno
ricordati e studiati di altri. A tutti i 20 italiani che hanno ottenuto il
riconoscimento nella storia — più uno, Enrico Bombieri, Medaglia Fiele per la
matematica — è dedicata l'opera “I Premi Nobel italiani”, in due volumi,
promossa dal Reps (Segretariato europeo per le pubblicazioni scientifiche) e
curata dall'università di Bologna. Un lavoro di ricerca, presentato a Roma il
16-09-15 all'Accademia dei Lincei, in un incontro con il presidente
dell'Accademia Alberto Quadrio Curzio e con il presidente del Seps Fabio
Roversi Monaco. Nei volumi sono raccolti per la prima volta tutti i profili dei
premiati, da Camillo Golgi e Giosuè Carducci, Nobel nel 1906, a Mario Capecchi,
premiato per la Medicina nel 2007. (Fonte: I. Bozzi, http://www.pressreader.com
16-09-15)
PREVISIONI. COSA POSSONO INSEGNARCI LA FISICA, LA
METEREOLOGIA E LE SCIENZE NATURALI SULL’ECONOMIA
Autore: Mark Buchanan. Editore Malcor D'
(collana Interferenze). Traduttore:
Barbera I. 2014, 283 pg.
Riuscire
a prevedere le intemperie finanziarie, così come ormai riusciamo a fare con gli
uragani e le tempeste, forse resterà solo un sogno; tuttavia le teorie
scientifiche adoperate per le previsioni in campo meteorologico e per la
prevenzione dei terremoti in geologia, se applicate all'analisi del sistema
economico, possono offrire un riparo dalle turbolenze che ciclicamente si
abbattono sul sistema capitalistico odierno. Il crollo finanziario del 2008 non
ha minato soltanto le fondamenta del sistema economico mondiale, ma ha anche
sancito la crisi del pensiero economico finora dominante. I concetti di
stabilità ed efficienza dei mercati sono stati disattesi dagli effetti di
quegli stessi meccanismi che avrebbero dovuto garantirne l'attuazione.
Derivati, leva finanziaria, hedge funds, scambi ad alta frequenza,
contrariamente a quanto previsto dalla teoria economica dell'equilibrio, hanno
invece contribuito, nel momento della crisi, ad amplificare i risultati
negativi dei crolli di borsa. Nel raccontare la storia economica di questi
ultimi anni, Mark Buchanan trasmette un nuovo modo di pensare che potrebbe
rivoluzionare le scelte di politica economica. (Fonte: Presentazione
dell’editore)
Questo
libro, scritto da un fisico, discute le idee e i concetti che sono alla base di
quel pezzo della teoria economica generalmente chiamata neoclassica –
fondamento della dottrina neoliberista – che è a quanto pare quella
culturalmente e politicamente dominante in questi tempi difficili. Potrebbe
sembrare curioso che un fisico, il cui oggetto di studio è usualmente
rappresentato da atomi, molecole, pianeti o galassie, abbia qualcosa di
rilevante da dire riguardo alla regina delle scienze sociali: l’economia. Gli
esseri umani, al contrario delle particelle elementari o delle stelle, sono
dotati di libero arbitrio, ma soprattutto le leggi che regolano le modalità con
cui un individuo compie le proprie scelte e con cui diversi individui entrano
in relazione tra loro sviluppando comportamenti di gruppo sono a noi
sconosciute; anzi è lecito dubitare che queste leggi siano ben definite. Per
contro, conosciamo le leggi fondamentali che regolano, ad esempio, le
interazioni tra le cariche elettriche o tra i pianeti e il Sole: tali leggi,
come ad esempio la gravità, sono universali e sono le stesse in differenti
punti dello spazio e in tempi diversi. (Fonte: Prefazione di Paolo Sylos Labini
27-08-15)
L’UNIVERSITÀ NEL XXI SECOLO TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE
Autore:
Maria Amata Garito. Ed. Mc Graw Hill Education, Milano 2015.
Come
può decollare un’università oltre i confini spazio-temporali e con l’ausilio
delle nuove tecnologie? Come sono in grado docenti e studenti di diverse parti
del mondo di partecipare insieme alla costruzione collaborativa del sapere?
Come riescono i modelli telematici a formare e sviluppare il nostro linguaggio
veicolandolo verso nuove forme di comunicazione? A queste domande risponde
Maria Amata Garito, professore ordinario di psico-tecnologie.
“Uno
degli errori più diffuso e gravido di pericoli quando si discute sulla
‘riforma’ dell’università è quello di contrapporre a un’università
tradizionale, vecchia e stantia, un’università del futuro librata nell’aria
delle nuove tecnologie, al di là del tempo e dello spazio. L’utilità di un
libro come questo di una docente come Maria Amata Garito, che ha provato in
anni di lavoro concreto e sperimentale le difficoltà di questo passaggio, serve
a mio avviso soprattutto a combattere questo equivoco di fondo: la nuova
università non può nascere nel vuoto ma deve crescere innestando nella nuova rete di comunicazione
del sapere la sua tradizione millenaria”. (Dalla prefazione di Paolo Prodi,
giugno 2015)
L’ISTRUZIONE SUPERIORE. CARATTERISTICHE, FUNZIONAMENTO E
RISULTATI
Paolo
Trivellato, Moris Triventi (a cura di). Ed. Carocci, Roma 2015, pp. 272.
Il
volume curato da Paolo Trivellato e Moris Triventi è dedicato all’istruzione
superiore e alle sue dinamiche evolutive, attraverso i saggi di esperti e
studiosi del sistema universitario: Gilberto Capano, Massimiliano Vaira,
Roberto Moscati, Matteo Turri, Luciano Benadusi, Orazio Giancola, Gabriele
Garbarino. Viene ricostruito lo stato dell'università
italiana, analizzandone i cambiamenti recenti e di lungo periodo e
confrontandoli con quelli di altri paesi industrializzati. I capitoli
affrontano criticamente temi quali la struttura e l'organizzazione del sistema
universitario, le politiche, il finanziamento, la valutazione e l'internazionalizzazione;
illustrano, inoltre, le tendenze nelle iscrizioni, i risultati degli studenti e
gli esiti occupazionali dei laureati. Dal confronto con alcune delle maggiori realtà
europee emergono i soliti cronici ritardi sia in termini di investimenti sia
sul piano della programmazione, con effetti deleteri sul piano
dell’attrattività, della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica. Un
volume di sicuro interesse per gli addetti ai lavori, ma anche per tutti coloro
che hanno a cuore il destino dell'istruzione universitaria nel nostro paese.
(Fonte: presentazione dell’editore)
TRENDS 2015: LEARNING AND TEACHING IN
EUROPEAN UNIVERSITIES
Autore: Andrée Sursock, Eua, Brussels 2015, pg. 133.
Prendendo
le mosse dal Rapporto del 2010 – che aveva descritto il decennio 1999-2010 come
il più turbolento e foriero di significativi cambiamenti – Trends 2015:
Learning and Teaching in European Universities si basa sulle
risposte a un questionario da parte di 451 istituzioni di insegnamento
superiore in rappresentanza di 10 milioni di studenti di 46 Paesi e di 48
sistemi universitari. Un campionario rappresentativo di istituzioni
rispondenti, in larga parte relativamente giovani (tra il 1910 e il 2010),
equamente distribuite tra piccole, medie e grandi istituzioni, per la quasi
totalità (92%) statali, il 7% non statali non profit e l’1% non statali con
finalità economiche. Lo studio, completato da una ricca bibliografia, è
strutturato in quattro parti che descrivono dettagliatamente l’orientamento
strategico attuale. Più in particolare:
-
nella prima parte è considerato l’impatto della crisi finanziaria, il cui
perdurare accresce – secondo alcune Conferenze dei Rettori – l’aspettativa di
rimpiazzare i fondi nazionali tagliati con quelli UE, specialmente di Horizon
2020 anche se la debolezza economica ostacola a sua volta la partecipazione ai
programmi comunitari e accresce la disoccupazione giovanile.
-
nella seconda parte viene evidenziato come il panorama stia diventando più
vario e frammentato, dal momento che le scelte dei Paesi privilegiano più le
tradizioni nazionali che l’individuazione di soluzioni comuni nello spirito
dello Spazio europeo dell’istruzione superiore.
- nella terza parte vengono analizzate le politiche
di accesso agli studi superiori. Secondo i dati Eurostat (2014) circa la metà
dei Paesi UE aveva già all’epoca raggiunto l’obiettivo del 40% di laureati tra
i giovani in età 30-34 anni.
- nella quarta parte sono considerati i
cambiamenti che hanno interessato le fasi dell’insegnamento e
dell’apprendimento alla luce dei cambiamenti tecnologici in atto e dei più
diffusi processi di internazionalizzazione. (Fonte: M. L. Marini,
rivistauniversitas sett. 2015)
SETTIMA INDAGINE EUROSTUDENT
LE CONDIZIONI DI VITA E DI STUDIO DEGLI STUDENTI
UNIVERSITARI 2012 – 2015
Realizzata
dalla Fondazione Rui con la collaborazione di UniPg.
Quaderno
a cura di Giovanni Finocchietti. Editing: Isabella Ceccarini, Stefano Grossi
Gondi
Universitas Quaderni 29. Editore: AsRui.
Roma, giugno 2015, pg. 159.
DALLO STUDIO AL LAVORO. INIZIATIVE, STRUMENTI E CRITICITÀ
NEL PLACEMENT DEI LAUREATI
Quaderno
a cura di Benedetto Coccia. Editing: Isabella Ceccarini, Stefano Grossi Gondi. Universitas
Quaderni 28 Roma, Editore: AsRui, Roma, aprile 2015, pg. 178.
Il
Quaderno (numero 28) è frutto della collaborazione tra la rivista
"Universitas" e l'Istituto di Studi Politici "San Pio V".
Il Quaderno, a cura di Benedetto Coccia, analizza la transizione studio-lavoro,
compresi gli strumenti che favoriscono il passaggio dai libri alla professione,
dal punto di vista sia teorico che pratico.
Chi
insegna a scrivere un curriculum? Chi offre un metodo efficace per cercare
un'occupazione? Chi dà indicazioni su come affrontare un colloquio di lavoro?
Spesso i giovani si avventurano nella ricerca del lavoro senza un criterio
preciso. La formazione universitaria, molto teorica, da sola non basta. Mancano
le competenze trasversali; oppure non è stato acquisito un metodo per
selezionare le offerte di lavoro corrispondenti al livello di formazione
raggiunto. Autori dei contributi sono Maria Cinque, Manuela Costone, Danilo
Gentilozzi e Simona Miano, ricercatori della Fondazione Rui. (Fonte: http://tinyurl.com/po3h4sp)