mercoledì 28 ottobre 2015

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N. 8 27-10-15



IN EVIDENZA

ARTICOLI CHE INTERESSANO L’UNIVERSITÀ NELLA BOZZA DEL DDL STABILITÀ (FINANZIARIA) 2016
Art. 20 (Merito)
1. Al fine di accrescere l’attrattività e la competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale, nel rispetto dell’autonomia degli atenei, il fondo per il  finanziamento ordinario delle università statali è  incrementato di 38 milioni di euro nell’anno 2016 e di 75 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017, per finanziare chiamate dirette per elevato merito scientifico secondo le procedure di cui ai successivi commi.
2. Il finanziamento è destinato al reclutamento di professori universitari di prima e di seconda fascia per  chiamata diretta secondo procedure nazionali e nel rispetto dei criteri di cui al comma 3 volti a valorizzare l’eccellenza e la qualificazione scientifica dei candidati, con esclusione dei professori universitari di atenei italiani già appartenenti, alla data di scadenza per la presentazione delle domande, ai  ruoli della medesima fascia per la quale è bandita la procedura.
3. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sono disciplinati:
a) i requisiti diretti a dimostrare l’eccellenza dei percorsi individuali di ricerca scientifica secondo i migliori standard valutativi nazionali e internazionali propri del settore concorsuale di riferimento, con particolare riguardo alla qualità della produttività scientifica individuale nei cinque anni precedenti alla procedura;
b) le procedure per l’individuazione dei soggetti meritevoli della chiamata diretta da parte delle università;
c) l’individuazione della medesima classe stipendiale da attribuire ai soggetti selezionati;
d) la partecipazione alle commissioni per lo svolgimento delle procedure di cui al comma 2, di studiosi   nazionali e internazionali di alta qualificazione operanti nei settori della ricerca scientifica e tecnologica;
e) il numero dei posti di professore universitario, egualmente distribuiti tra la prima e la seconda fascia, e i criteri per l’individuazione dei relativi settori concorsuali di riferimento; i predetti criteri possono essere  informati a obiettivi di crescita e miglioramento di particolari aree della ricerca scientifica e tecnologica italiana;
f) i criteri e le modalità mediante i quali le università italiane procedono alla chiamata diretta dei professori universitari, all’esito delle procedure di cui al comma 2, e l’eventuale concorso delle università agli oneri finanziari derivanti dall’assunzione in servizio dei medesimi professori;
g) la permanenza in servizio nelle università italiane dei professori chiamati all’esito delle procedure di cui al comma 2.
4. Nel caso in cui i professori chiamati ai sensi del comma 3, lettera f), del presente articolo cambino sede  universitaria, le risorse finanziarie occorrenti per il relativo trattamento stipendiale sono conseguentemente trasferite.
5. Per favorire la mobilità dei professori di prima fascia tra sedi universitarie diverse, è destinata una somma non superiore a 10 milioni di euro a valere sulle risorse di cui al comma 1.
6. La quota parte delle risorse di cui al comma 1 eventualmente non utilizzata per le finalità di cui ai commi precedenti rimane a disposizione, nel medesimo esercizio finanziario, per le altre finalità del fondo per il  finanziamento ordinario. 
Art. 21 Merito e giovani eccellenze nella Pubblica Amministrazione (in attesa norma)
Art. 22 (Università)
1. Al fine di sostenere l’accesso dei giovani alla ricerca, l’autonomia responsabile delle università e la  competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale, il fondo per il finanziamento ordinario delle università statali è incrementato di 55 milioni di euro per l’anno 2016 e di 60 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017, per l’assunzione di ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera b) della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e per il conseguente eventuale consolidamento nella posizione di professore di seconda fascia.
2. L’assegnazione alle singole università dei fondi di cui al comma 1 è effettuata con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca tenendo conto dei risultati della valutazione della qualità della ricerca (VQR).
3. La quota parte delle risorse di cui al comma 1 eventualmente non utilizzata per le finalità di cui ai commi  precedenti rimane a disposizione, nel medesimo esercizio  finanziario, per le altre finalità del fondo per  il finanziamento ordinario. 
4. Per il medesimo fine di cui al comma 1 e tenendo conto della situazione di bilancio delle singole università, all’articolo 66, comma 13-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con  modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le parole da “A decorrere dall’anno 2015” sono sostituite
dalle seguenti: “Per l’anno 2015” e dopo il terzo periodo è inserito il seguente “A decorrere  dall’anno  2016,  alle sole università che si trovano nella condizione di cui al periodo precedente, è consentito procedere alle assunzioni di ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera a), della  legge 30  dicembre 2010, n. 240, senza che a queste siano applicate le limitazioni da turn over. Resta fermo quanto disposto dal decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49 e  dal DPCM  31 dicembre 2014 con riferimento alle facoltà  assunzionali del personale a tempo indeterminato e dei ricercatori di cui all’articolo 24, comma 3, lettera b) della legge 30 dicembre 2010, n. 240”.
5. Al fine di aumentare il numero dei contratti di formazione specialistica dei medici di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni, l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 424, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, è incrementata di 57 milioni di euro per l’anno 2016, di 86 milioni di euro per l’anno 2017, di 126 milioni di euro per l’anno 2018, di 70 milioni per l’anno 2019 e di 90 milioni a decorrere dall’anno 2020.
6. All’articolo 14 del decreto-legge 14 aprile  2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, primo periodo, dopo le parole: "degli enti di ricerca," sono aggiunte  le  seguenti:  "dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR)";
b) al comma 2, primo periodo, dopo le parole: "degli enti di ricerca," sono aggiunte  le  seguenti:  "dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema universitario e della Ricerca (ANVUR).
7. La dotazione organica dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca di cui all’Allegato A dell’articolo 12, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 1 febbraio 2010, n. 76  è incrementata di 9 unità di Area terza del CCNL Comparto Ministeri, di cui 7 funzionari valutatori tecnici e 2 funzionari amministrativi, e di 3 unità di Area seconda del CCNL Comparto Ministeri. La relativa spesa trova copertura nelle risorse disponibili nel bilancio dell’Agenzia a legislazione vigente.
8. L’ANVUR è autorizzata ad assumere a decorrere dall’anno 2016 le unità di personale di cui al comma 2  mediante scorrimento delle graduatorie vigenti presso l’Agenzia e per l’eventuale quota non coperta  mediante avvio di nuove procedure concorsuali, previo espletamento delle procedure di mobilità di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, e successive modificazioni. 
9. A decorrere dall'anno 2016, al fine di consentire un'adeguata programmazione delle attività dell’ANVUR, le risorse iscritte per il finanziamento dell’Agenzia nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, ai sensi dell'articolo 2, comma 142, del decreto-legge 3 ottobre  2006,  n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, sono incrementate fino al raggiungimento del limite di spesa di cui al medesimo comma 142. Al relativo onere, pari a 3 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, si  provvede mediante corrispondente riduzione di 1,5 milioni del Fondo  per il  finanziamento ordinario delle università di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), della legge  24  dicembre 1993, n. 537, e mediante corrispondente riduzione di 1,5 milioni del Fondo ordinario per gli enti di ricerca di cui all'articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204. Le eventuali ulteriori risorse assegnate dal Ministero all’Agenzia a valere sui predetti fondi per lo svolgimento delle proprie attività istituzionali di valutazione non possono superare il limite di 500 mila euro.
10. All’articolo 2 del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24  novembre 2006, n. 286, dopo il comma 140, è inserito il seguente comma: “140-bis. Al fine di assicurare il  necessario adeguamento dell’organizzazione dell’ANVUR all’evoluzione delle sue funzioni istituzionali, la struttura e la dotazione organica dell’Agenzia possono essere  modificate con decreto ministeriale di  natura non regolamentare, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, su proposta del Consiglio direttivo, in relazione alle esigenze operative dell’Agenzia e nei limiti delle disponibilità finanziarie della stessa”.

SINTESI DELLE NORME SU UNIVERSITÀ E RICERCA NELLA BOZZA DEL DDL STABILITÀ 2016. RECLUTAMENTO PROFESSORI E RICERCATORI. RETRIBUZIONI
Alcune norme che interessano specificamente l'università e la ricerca sono presenti nella bozza del DDL stabilità (finanziaria) 2016 agli articoli 20 e 22 (aggiornamento del 22-10-15):
1)  finanziamento straordinario da parte del MIUR di circa 1000 posti per RTDB (ricercatori a tempo determinato di tipo b), ossia posizioni che in 3 anni hanno insita la trasformazione in PA (professori associati). Questi posti saranno distribuiti in base ai risultati della VQR.
A questo fine il fondo per il finanziamento ordinario delle università statali è incrementato di 55 milioni di euro per l’anno 2016 e di 60 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017.
2)  possibilità di assunzione di RTDA (ricercatori a tempo determinato di tipo a) senza vincoli di punti organico e turnover;
3)  piano straordinario di reclutamento di PO (professori ordinari) e PA (professori associati) internazionali (“Se sono italiani e vogliono ritornare nel loro Paese questa è l'occasione. Ma è anche un'occasione per quelle eccellenze straniere che vogliono venire qua in Italia”, ha detto il ministro Giannini)
Porterà all’assunzione, da parte degli atenei, di 300 PO e 300 PA (equivalenti ai circa 500 "professori" di cui parla la stampa che ha tradotto il finanziamento tutto in PO).
A questo fine il fondo per il finanziamento ordinario delle università statali è incrementato di 38 milioni di euro nell’anno 2016 e di 75 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017.
4) per favorire la mobilità dei professori ordinari tra sedi universitarie diverse è destinata una somma non  superiore a 10 milioni di euro.
5) stretta sul turn over degli enti di ricerca che scenderebbe nel 2016 addirittura al 25% (dal 60% previsto) sulle cessazioni dell'anno prima.
6)  in merito alle vertenze sulle retribuzioni dei docenti universitari l’attuale versione della legge (sblocco dal 1° gennaio 2016 senza effetti giuridici) comporta:
A) Per il 2016: 105 euro netti in media al mese, ma solo per quelli che al 31/12/2010 avevano almeno un anno e un giorno di anzianità nella classe e solo quando, nel corso 2016, saranno maturati i due anni di anzianità nella classe. Pertanto alcuni li avranno già da gennaio 2016 e, all’estremo opposto, altri dovranno aspettare dicembre 2016.
B) Per chi aveva meno di un anno di anzianità al 31/12/2010:  nulla nel 2016. Dovranno aspettare il 2017 per percepire 105 euro netti in più, in media, man mano che nel corso dell’anno 2017 avranno maturato due anni di anzianità, con lo stesso meccanismo graduale detto prima. Quindi i meno anziani dovranno attendere fino a dicembre 2017 (più di due anni) per percepire i 105 euro netti in busta paga.
C) Per il 2015: Nulla per nessuno.
 7) confermati gli stanziamenti (57 milioni per il 2016, 86 per il 2017,126  per il 2018, 70 per il 2019 e 90  dal 2020) per finanziare i contratti per gli specializzandi medici. L'obiettivo a regime è portare gli specializzandi a 6mila l'anno. (Fonte: USPUR 17-10-15; C. Ferraro mail 22-10-15: IlSole24Ore 22-10-15)

CLASSIFICAZIONE DEGLI ATENEI. GLI ITALIANI EMERGONO SE SI VALUTANO GLI OBIETTIVI RAGGIUNTI IN BASE AI FONDI A DISPOSIZIONE
A metà agosto è stata pubblicata la prestigiosa classifica Academic Ranking of World Universities (ARWU) redatta dall’università Jiao Tong di Shangai, che da più di un decennio mette in fila i migliori 500 atenei al mondo. Anche quest’anno questo evento è stato seguito da una sequela di riflessioni su quanto pessima sia la prestazione dell’Italia: la tesi di molti media è che non avere nessuna rappresentanza tra le prime 150 università del mondo sia da considerare un fatto deleterio e vergognoso, un grave danno di immagine ed un vulnus al prestigio già traballante del sistema scolastico del Bel Paese. Ma venendo ad un’analisi puntuale dei risultati conseguiti dai nostri atenei, pare davvero sciocco lanciare anatemi e giudizi sulla base dei dati nudi e crudi. È auspicabile che sia evidente a tutti la stortura insita nel raffrontare le prestazioni assolute in termini di risultati conseguiti tra, ad esempio, Harvard e La Sapienza. Ben più corretto sarebbe invece rapportare i dati su base relativa, ossia tenendo conto degli obiettivi raggiunti in base ai fondi a disposizione delle università. Utilizzando questo metro di paragone non solo le università italiane recupererebbero diverse posizioni in classifica, ma si piazzerebbero addirittura ai primissimi posti. Difatti, ricalibrando il punteggio ottenuto nell’ARWU in funzione delle spese operative, ben otto delle prime 10 posizioni della graduatoria sarebbero occupate da atenei italiani, con il primo posto da attribuire alla Normale di Pisa che si caratterizza per essere l’università più efficiente del mondo tra le 500 qui considerate, con netto distacco sulle altre. A seguire verrebbero poi Ferrara, Trieste, Milano-Bicocca, Pisa, Palermo e via discorrendo, per un totale di 20 atenei italiani nelle prime 40 posizioni. Riassumendo, poca spesa massima resa. (Fonte: university.it 10-09-15)

RICERCATORI, NUMERO CHIUSO, BORSE DI STUDIO, CONSERVATORI, CATTEDRE, QUOTA PREMIALE DEL FFO. PROPOSTE A TUTTO CAMPO DEL MINISTRO GIANNINI
Alla due giorni universitaria organizzata dal PD nel Palazzo Garzolini dell'Università di Udine il ministro
Giannini dice: "Ai 1000 ricercatori che saranno assunti con i soldi della Legge di stabilità dobbiamo aggiungere i 4000 del Piano nazionale della ricerca”. Ancora il ministro: "Se aggiungiamo i post-laureati che i singoli atenei potranno assumere in proprio con la fine dei divieti finanziari, si comprende che il capitolo ricerca sta conoscendo un'inversione di tendenza”.
Ai rettori: “Torno a proporvi la fine del test a numero chiuso per l'accesso al primo anno nelle facoltà di Medicina. La prova a crocette non seleziona i migliori medici del futuro. Penso invece a un giudizio efficace, veritiero, che, tuttavia, non porti orde di ragazzi a sovraffollare le aule di Anatomia". (non si comprende con quali modalità si applicherà questo tipo di selezione; il ministro non ripropone, pare, il “sistema francese” che in Francia stessa è stato fortemente criticato. PSM)
Ancora: "Vorrei togliere alle Regioni il finanziamento delle borse di studio per gli studenti e affidare questa responsabilità direttamente alle università". Oggi un quarto degli aventi diritto non riceve l'assegno da 5.000 euro, "e alcune Regioni sono quasi totalmente inadempienti". Il passaggio non è semplice, da un punto di vista sia legale sia operativo.
Contunua il ministro: basta con i conservatori musicali che insegnano a tutti, i luoghi dell'eccellenza artistica, 76 in Italia, "devono tornare a essere scopritori e formatori dei futuri Verdi e Puccini, l'alta velocità musicale per chi ha le qualità".
Il ministro è tornato anche sulle 500 cattedre dell'eccellenza "e aggiuntive" che saranno assegnate con un concorso straordinario la prossima primavera. La "call" sarà aperta a tutti gli abilitati italiani e stranieri, che già operano in Italia o all'estero. Tutti potranno partecipare, anche i professori associati (ma non gli ordinari) delle nostre università. Il concorso per le cattedre del merito sarà previsto solo per alcune discipline: ambiente, energia, sanità. La commissione giudicante coinvolgerà l'Erc, il Consiglio europeo della ricerca. 
Infine il ministro proporrà alla Conferenza dei rettori di far salire ulteriormente la quota premiale nei finanziamenti pubblici agli atenei (oggi pari, nel complesso, a 7 miliardi). "Dal  18% siamo passati al 20% e cresceremo ancora". (Fonte: C. Zunino, R.it Scuola 24-10-15)

COLLOCAZIONE INADEGUATA DEI LAUREATI E TROPPI STUDENTI IN CORSI CHE SERVONO A POCO
Dall'ultima ricerca annuale risulta che la media dei laureati italiani fra i 25 e i 34 anni è largamente inferiore a quella europea, 22% contro il 37%. Sono veramente troppo pochi i nostri? O non ce n'è invece una sovrabbondanza in certe discipline rispetto alle esigenze del mercato del lavoro? Risponde Fabio Roversi Monaco, presidente del Consorzio universitario AlmaLaurea: «Può essere vero che la media italiana dei laureati è più bassa, ma si deve tener conto del fatto che in altri ordinamenti, come quello tedesco, vengono considerati lauree dei titoli che in altri Paesi non sono riconosciuti come tali. D'altra parte va sottolineato che da noi c'è un numero di avvocati e altri professionisti molto superiore a qualsiasi Paese europeo, una pletora di persone e personaggi che danno ben poco alla società. Non credo che il numero dei nostri laureati sia così inferiore, c'è invece il problema di una loro collocazione inadeguata, per cui c'è una quota di persone in possesso del titolo che risulta intollerabile per le posizioni di lavoro effettivamente disponibili». I dati sull'occupazione a cinque anni dalla laurea vedono svettare ingegneri e medici, mentre faticano i laureati in indirizzi giuridici e letterari. Le politiche di orientamento sembrano largamente insufficienti ... «Non tutti, ma diversi atenei sono privi di un'efficace politica di orientamento. Non si può rimproverare troppo le scuole superiori, che hanno già i problemi loro, sono le università che si devono collegare meglio al mondo della scuola, in modo da creare le condizioni per cui gli atenei siano favoriti nell'illustrazione degli indirizzi di laurea più convincenti. I difetti nell'orientamento si riflettono anche sull'abbandono: dal primo anno al secondo si perde per sempre quasi il 16% degli iscritti, e un altro 4% cambia facoltà. E poi credo ci sia un lassismo forte in alcune facoltà di Giurisprudenza e di Lettere». Cioè? «C'è un numero di facoltà localizzate anche in zone dove non c'erano le condizioni per farle nascere, che attirano i giovani perché sono sotto casa loro, ma non i migliori docenti, quindi mancano degli strumenti fondamentali. Ciò porta a una sovrabbondanza di studenti in settori disciplinari in cui non esistono le condizioni per poi valorizzare i relativi titoli di studio nel mondo del lavoro. In altre parole, questi corsi servono a poco e contano poco, perché non hanno rapporti con l'economia e le professioni». (Fonte: F. Giubilei, intervista a F. Roversi Monaco, La Stampa 10-09-15)

TEST D’INGRESSO A MEDICINA. OLTRE LA METÀ (27.663) DEGLI ASPIRANTI MEDICI È RISULTATA INSUFFICIENTE
Viene pubblicata la graduatoria finale, con tutti i nomi, del test di ingresso alle (ex)facoltà di Medicina e chirurgia che si è tenuto un mese fa. Circa 11 mila ragazze e ragazzi avranno la possibilità di cimentarsi con una delle facoltà più difficili. E altri 40 mila la certezza di esserne esclusi. Resta una grande curiosità: come è possibile che oltre la metà dei partecipanti, il 52 per cento, sia risultata insufficiente? 27.663 aspiranti medici su 53.164 non sono riusciti a ottenere neppure i 20 punti (su 90 totali) per essere ammessi alla graduatoria. Una spiegazione cinica è la seguente: il test è volutamente troppo difficile, in modo che migliaia e migliaia di studenti si trovino così lontani dal punteggio soglia d'ammissione che non osino neppure fare ricorso. Ma questo non spiega perché il numero di insufficienti aumenta mentre il punteggio dei 1000 più bravi, secondo Skuola.net, cresce dal 55,3 del 2014 al 55,43 del 2015 e il punteggio soglia scende da 34 a 30,40. Sembra, insomma, che gli studenti bravi diventino più bravi mentre la media si abbassa e il numero dei poco preparati sale. Ma poco preparati per cosa? Il professor Alberto Lenzi dice che si stanno deteriorando i programmi della scuola superiore, che c'è troppa tecnologia e troppe poche nozioni, che gli studenti non reggono lo stress dei test a scelta multipla. Oppure è colpa del fatto che gran parte del punteggio (30 punti su 90) deriva dal saper pensare, materia che nessuna scuola insegna. (Fonte: S. Feltri, FQ 07-10-15)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

REVISIONE DEL REGOLAMENTO DELL'ABILITAZIONE SCIENTIFICA APPROVATO DAL CDM
Il Consiglio dei Ministri ha approvato la revisione del Regolamento dell'Abilitazione scientifica nazionale, requisito necessario per poter esercitare l'insegnamento universitario. Il nuovo Regolamento recepisce alcune delle indicazioni fornite dalla comunità scientifica in seguito ai risultati delle due precedenti tornate, nel corso delle quali si erano evidenziate non poche criticità. Tra le principali novità del provvedimento si segnala la cosiddetta procedura a "sportello", che consentirà agli aspiranti docenti di presentare la propria candidatura in qualsiasi momento dell'anno e non più solo entro periodi limitati fissati dal Miur. Saranno riviste anche le modalità di sorteggio dei commissari, nella prospettiva di garantire una maggiore rappresentatività dei settori disciplinari. La ratio cui è ispirato il Regolamento è quella della semplificazione, soprattutto in merito agli indicatori: nel caso dei settori bibliometrici, scompare l'indicatore relativo al numero delle citazioni dei prodotti scientifici; per i settori non bibliometrici scendono da tre a due gli indicatori richiesti, grazie all’eliminazione del «numero di articoli scientifici e di capitoli di libro pubblicati nel decennio». Per essere ammesse a valutazione, sarà sufficiente che le monografie siano dotate di Isbn.
Alla vigilia dell'emanazione del nuovo Regolamento, il CUN (Analisi-proposta n. 10429 del 16 giugno 2015) auspicava un profondo «ripensamento degli indicatori» finalizzati a misurare il valore della produzione scientifica dei candidati. In particolare, il CUN suggeriva di superare la distinzione tra aree bibliometriche e non bibliometriche, rea di aver creato «un'artificiosa divisione della cultura in ambiti separati». Il consiglio direttivo dell'Anvur, nell'esprimere un giudizio sostanzialmente positivo (Parere n. 10 del 9 settembre 2015), non ha risparmiato osservazioni critiche nel merito, come nel caso dell'identificazione dei libri con il solo possesso del codice Isbn, la cui presenza «non costituisce una garanzia di serietà scientifica dell'opera, visto che esso viene rilasciato pressoché automaticamente». Per questo l'Anvur suggeriva di riportare il numero degli indicatori da due a tre, reintroducendo il numero di articoli pubblicati sulle riviste scientifiche e i capitoli di libro, e di qualificare meglio le opere monografiche ammissibili. Sugli aspiranti commissari, il Regolamento restringe l'arco temporale di valutazione della produzione scientifica, da dieci a cinque anni: una scelta che, per l'Anvur, «penalizza gli aspiranti commissari di quei settori nei quali tipicamente i lavori più importanti vengono pubblicati nei primi anni della carriera scientifica». L'ultima parola spetta ora al Consiglio di Stato e alle Commissioni parlamentari, che dovranno vagliarne la bontà scientifica, procedurale e "semplificatoria". (Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas 28-09-15)

ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. SINTESI DELLA NUOVA NORMATIVA
Alla vecchia procedura si sostituisce la nuova selezione “a sportello”, più semplice e con domande presentabili durante tutto l’anno: in pratica, per ottenere la “patente” di professore si passerà attraverso il riconoscimento di titoli. Titoli che vengono individuati, secondo precise priorità qualitative e quantitative, dal regolamento stesso (o meglio, nei 4 allegati) che fissa “criteri e parametri per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale”. I candidati che aspirano alla prima o seconda fascia, ordinari o associati, saranno valutati dalle Commissioni in base appunto ai suddetti criteri, parametri e indicatori appositi. Il primo dei criteri che peserà maggiormente nella scelta del candidato sarà la produzione scientifica: si prenderà a riferimento l’arco di tempo degli ultimi 10 anni dalla presentazione della domanda e, in tale forbice, verranno considerati gli articoli pubblicati in base a valori soglia (stabiliti per ogni settore – bibliometrico e non – con un successivo regolamento da varare 45 giorni dopo il decreto e prenderanno il posto delle contestate mediane usate in passato). A pesare non saranno solo il numero di pagine e la quantità di pubblicazioni (il decreto, infatti, fissa un numero massimo di pubblicazioni da presentare: numero che oscilla tra 10 e 15 a seconda dell’area scientifica e della fascia della candidatura), ma soprattutto la qualità. Difatti, saranno considerati maggiormente quegli scritti considerabili di qualità “elevata” (il decreto li definisce come quelle pubblicazioni che per “livello di originalità e rigore metodologico e per il contributo che forniscono al progresso della ricerca, abbiano conseguito o è presumibile che conseguano un impatto significativo nella comunità scientifica di riferimento a livello anche internazionale”).
Gli altri titoli che influenzeranno la selezione degli aspiranti prof. saranno l’attività di conferenziere (sia in termini di partecipazione che di direzione ai convegni), la partecipazione a gruppi di ricerca e iniziative editoriali. Ad essere valutata sarà anche la qualifica di responsabile in progetti per finanziamenti attraverso bandi. Ed ancora saranno considerati eventuali incarichi di insegnamento, premi e riconoscimenti e risultati ottenuti nel trasferimento tecnologico (spin off, brevetti, eccetera). Per ottenere l’abilitazione sarà necessario ottenere una valutazione positiva sia sull’impatto della produzione scientifica (cioè con parametri superiori al “valore-soglia”) sia su almeno tre degli altri possibili titoli elencati dal decreto. (Fonte: www.laleggepertutti.it 07-09-15)

ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. UN COMMENTO AL NUOVO REGOLAMENTO
Regolamento recante modifiche al DPR 14 settembre 2011, n. 222 concernente il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso al ruolo dei professori universitari, a norma dell’articolo 16 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Si legge qui.
Un commento di T. Bombadillo (Roars 04-10-15): Non vogliamo abilitazioni, vogliamo i concorsi! Il doppio passaggio è inutile, anzi dannoso, perché, banalmente: duplica le possibilità di ricorsi; raddoppia i tempi; illude gli idonei, specie in periodo di vacche magre; soprattutto, evita completamente la competizione tra candidati, in quanto “soddisfatti” della selezione a livello abilitativo, si è assistito ad un arretramento totale su quanto avviene a livello locale - che è l’unico che realmente rileva, per via delle assunzioni -, con ritorno alle commissioni designate dai dipartimenti; condanna il reclutamento (quello vero, quello dei concorsi) a dipendere da fattori totalmente casuali e contingenti, se non propriamente fortuiti. Allora, ecco quello che farei io: 1) cancellerei le abilitazioni (salvo per gli rtdb); 2) farei una sanatoria - in qualche modo tutto da studiare: soglie quantitative di produzione distinte per settore? - per gli rtdb attualmente esistenti (unica figura per cui mantenere le abilitazioni è indispensabile); 3) farei solo concorsi, senza abilitazioni, per prima, seconda e, soprattutto, terza fascia, da reintrodurre. Ovviamente, intendo concorsi nazionali (uno per settore), non decentrati per sede, con regole blindate, ché a farle non ci vuole nulla, se non la volontà politica.

CUN. PARERE SULLO SCHEMA DI DECRETO RECANTE CRITERI E PARAMETRI PER LE ABILITAZIONI SCIENTIFICHE NAZIONALI
Nell’ultima adunanza (29-30 settembre e 1 ottobre) del Consiglio Universitario Nazionale è stato approvato un importante parere sullo schema di decreto che contiene criteri e parametri delle ASN. Nel parere sono evidenziate diverse criticità sull’impianto proposto e sono avanzate proposte di modifica importanti e rilevanti. Durante la discussione si è condivisa la necessità di assicurare alle commissioni la responsabilità delle valutazioni attenuando la rigidità di criteri e parametri e indicatori di dubbia tenuta applicativa. Per un giudizio complessivo sulle procedure concernenti le ASN è essenziale che il significato dei valori soglia, che saranno definiti in un secondo momento dall’ANVUR sentito il CUN, debba essere specificato all’interno dello stesso decreto. Il rischio di escludere soggetti attivi nella Ricerca deve essere assolutamente escluso attraverso la definizione di valori che tengano conto delle peculiarità dei diversi settori scientifico-disciplinari. Il CUN nel proprio parere esprime la necessità che si tenga conto non di due indicatori, come prevede la bozza di decreto, ma di tre indicatori per meglio descrivere il profilo scientifico dei candidati e dei commissari, prevedendo che si debbano raggiungere per l’abitazione due indicatori su tre. (Fonte: Resoconto CUN e Roars 10-10-15)

OSSERVAZIONI DELLA SIF (SOCIETÀ ITALIANA DI FISICA) SULLO SCHEMA DI DM: REGOLAMENTO PER LA VALUTAZIONE DEI CANDIDATI ALL’ABILITAZIONE SCIENTIFICA  NAZIONALE 
La Società Italiana di Fisica ritiene che porre come condizione obbligatoria la valutazione positiva   dell’impatto della produzione scientifica meramente determinato da indicatori numerici costituisca un  eccessivo restringimento dei poteri di valutazione delle commissioni, e giudica negativamente il rischio che  in assenza di tale requisito esse non possano più attribuire l’abilitazione a candidati che pure siano  giudicati di elevata qualità scientifica secondo i criteri condivisi dalla propria comunità. La SIF ritiene in ogni caso troppo restrittivo il vincolo del superamento di due indicatori bibliometrici su due. (Fonte: SIF 29-09-15


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

CLASSIFICA «WORLD UNIVERSITY RANKING», STILATA DAL MAGAZINE INGLESE «TIMES HIGHER EDUCATION»
Nella speciale classifica «World University Ranking», stilata dal magazine inglese «Times Higher Education» l’Italia mostra segnali incoraggianti e prova a inseguire il gruppo di testa, con tre atenei che si posizionano nella parte alta della classifica globale: Normale di Pisa (al 112° posto), Sant’Anna (180°) e Trento (198°) conquistano il primo quarto della classifica mondiale, seguite a poca distanza da Bologna, Politecnico di Milano, Sapienza di Roma. E se relativamente alle 34 università italiane entrate nel ranking, la Normale si conferma prima, l’exploit arriva dalla seconda italiana, la Scuola Superiore Sant’Anna, consegnando le prime due posizioni ad altrettante «scuole di eccellenza» toscane che, dai primi calcoli, rientrano addirittura entro le prime 100 università a livello europeo. I criteri formazione, ricerca, pubblicazioni e citazioni, capacità di attrarre fondi, trasferimento tecnologico, internazionalizzazione sono le macrocategorie prese in considerazione per il ranking che, rispetto all’edizione 2014, vede raddoppiare il numero delle istituzioni prese in esame (da 400 a 800) e il numero dei Paesi in cui esse sono distribuite (da 41 a 70). (Fonte: CorSera 01-10-15)

CLASSIFICA QS 2015 DEGLI ATENEI. CAMBIO DELLE REGOLE CHE PENALIZZA ALCUNI ATENEI
Cominciamo a dire che è difficile prendere troppo sul serio la classifica QS, redatta da Quacquarelli Symonds, particolarmente nota per i suoi svarioni, come osservato da Richard Holmes, un esperto di classifiche degli atenei, il cui blog, University Ranking Watch, è una delle migliori sedi di critica e analisi delle più svariate classifiche diffuse a livello mondiale: “During its short venture into the ranking business QS has shown a remarkable flair for error. In terms of quantity and variety they have no peers. All rankers make mistakes now and then but so far there has been nobody quite like QS”. Giusto un anno fa avevamo pubblicato un post intitolato ‘Ranking QS: la Top 10 degli svarioni più spettacolari’. E la previsione del crollo degli atenei italiani non ci deriva da capacità divinatorie. Molto semplicemente, QS ha cambiato le regole in corsa con due novità consistenti relative a due dei principali indicatori: reputation survey (che conta per il 40+10%) e citation per faculty (che conta per il 20%). Una terza modifica è quella di aver escluso le pubblicazioni frutto di grandi collaborazioni (più di dieci affiliations rappresentate) che per alcuni atenei italiani rappresentano parecchie centinaia di pubblicazioni (soprattutto nell’ambito della fisica). E’ impossibile in ogni classifica, anche sportiva, perdere centinaia di posizioni in pochi mesi se non cambiano gli indicatori. Ebbene, Qs ha deciso - senza confrontarsi con nessuno - di cambiare indicatori, utilizzando un metodo errato nei principi e nella metodologia. La credibilità del ranking si raggiunge proprio con la stabilità dei suoi indicatori nel tempo per consentire alle Università di modificare gli indirizzi strategici (cosa che richiede qualche anno). Nel ranking Qs hanno “normalizzato” i valori delle citazioni scientifiche, ad esempio di medicina, con le citazioni effettuate dallo stesso ateneo nelle aree umanistiche. Tutti sanno che le aree umanistiche in Italia pubblicano prevalentemente in lingua italiana e non inglese. In questo modo si da un vantaggio del tutto ingiustificato alle università inglesi e americane. Quelle introdotte da QS sono modifiche così radicali da assimilare la nuova classifica ad un “ballo del qua qua” in cui ci sarà chi va di qua e chi va di là solo perché sono cambiate le regole del ballo. Una specie di “anno zero” del Ranking QS, che però dubitiamo verrà accolto come tale dai mezzi di informazione. Con il risultato di assegnare medaglie e gogne del tutto arbitrarie. (Fonte: Redazione Roars 14-09-15).
Tabella. Posizione degli atenei italiani presenti nel QS World University Rankings 2015, che ha considerato 3.539 atenei del mondo, classificandone solo 891.

CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ. RETROCESSIONI DELLE ITALIANE
Nella classifica QS si assiste a un ridimensionamento che colpisce Bologna, Sapienza, Milano e Padova, tutte retrocesse sotto quota 200 o addirittura 300 rispetto al 2014, mentre solo il Politecnico di Milano sale al 187esimo posto. Vale peraltro la pena notare che Roma Tor Vergata è 33esima tra le migliori 50 università fondate nell’ultimo mezzo secolo. Per THES sono invece tre le università italiane tra le prime 200: la Normale (112esima), la Scuola Superiore S. Anna di Pisa (180esima) e Trento (198esima), mentre Bologna, Politecnico di Milano e Sapienza si collocano tra le prime 250. Ci sono diverse possibilità di leggere questi numeri. Il primo è che essere inclusi, a qualunque altezza, nel 4-5% delle migliori università al mondo è di per sé un risultato positivo. L’altro è di lamentare che nessun ateneo italiano emuli consorelle continentali, quali Leiden o Berlino, che ci distaccano in modo sensibile. Qui entra in gioco, ovviamente, la metodologia di calcolo. Entrambi i sistemi, per esempio, pesano al 10% il grado di internazionalizzazione, calcolato sia come numero di docenti che di studenti stranieri, campi in cui siamo poco competitivi. Resta poi enorme, nonostante l’apparenza di oggettività che entrambi i rankings coltivano con cura, il peso attribuito alla “reputazione”, il 33% per THES, addirittura il 50% per QS. Si tratta, lo dice il nome, di un criterio quasi inafferrabile, basato appunto sulla fama di cui un’istituzione gode nella comunità accademica e in quella dei datori di lavoro («da dove vengono i migliori laureati che assumete?»). È un criterio per un verso sostanzialmente tautologico (sono bravi tutti quelli che sono ritenuti bravi), dall’altro incontrollabile: chi sono gli intervistati? Come sono scelti? Quanto è indipendente e informato il loro giudizio? Esiste un collegamento tra le modalità di svolgimento di questo sondaggio e le attività di consulenza che le società di rankings vendono a singole istituzioni? Tutte domande cui è impossibile rispondere, ma che esortano a prendere questi numeri con un qualche distacco. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 03-10-15)

ATENEI. CHI VINCE E CHI PERDE NELLA CLASSIFICA DEL “RECLUTAMENTO VIRTUOSO”
Chi vince e chi perde nella classifica del “reclutamento virtuoso”? Essendo entrambe basate sui dati della VQR 2004-2010, le classifiche 2014 e 2015 dovrebbero essere identiche. Ma – a sorpresa – sono molto diverse. Quando il ministro era Maria Chiara Carrozza, il suo ateneo, la Scuola Superiore Sant’Anna, ha stravinto con un +116% rispetto ad un’ipotetica ripartizione uniforme, ma un anno dopo, sotto il ministro Giannini, la Sant’Anna è scesa al quarto posto con un più modesto +16%. Viceversa il Politecnico di Bari passa da un -90% nel 2014 a +4,4% nel 2015, superando il Politecnico di Milano che, da uno strepitoso +88% del 2014, precipita a +3,9% nel 2015. Come si spiega tutto ciò? Beniamino Cappelletti Montano spiega su Roars come siano state costruite le due classifiche in conflitto tra loro, calcolando quanti milioni di euro siano stati sottratti alle università meridionali grazie all’algoritmo anomalo del 2014. Vengono infine evidenziate le ragioni tecniche e giuridiche che sconsigliano l’uso degli indicatori della VQR per valutare le politiche di reclutamento. (Fonte: http://tinyurl.com/pyhfn8o 02-09-15)

CLASSIFICAZIONI DELLE UNIVERSITÀ. MEGLIO U-MULTIRANK
Il ranking delle università del mondo pubblicato ogni anno il 15 d’agosto dall’università di Shanghai (ARWU) e altre classifiche analoghe hanno grande risonanza nell’informazione. Ma servono? E a chi? Una prima risposta articolata è stata data con un rapporto pubblicato in gennaio dall’Associazione delle università europee. I dirigenti di 171 università di 39 paesi dichiarano di tener d’occhio le classifiche per prendere decisioni (70 per cento) e per farsi pubblicità tra docenti e studenti (80 per cento). Sulle classifiche però piovono critiche: i criteri non sono chiari e paiono fatti in modo da privilegiare le università più grandi e ricche, oppure (che è quasi lo stesso) anglosassoni. In queste note già era stata data notizia del progetto e dei primi passi della risposta europea: la classifica U-Multirank, promossa dalla Commissione europea. U-Multirank dà priorità e ampio spazio a criteri che accertano e graduano le effettive condizioni di vita e studio degli studenti ed è costruita in modo che ciascun criterio può fungere da principio ordinatore della classifica di più di un migliaio di università e istituti superiori. Ciò favorisce orientamento e scelte di singoli utenti. (Fonte: T. De Mauro, www.internazionale.it 04-09.15)

CAMBRIDGE E PISA. CONFRONTO CON UNA VARIAZIONE DELLA CLASSIFICA
L’Università di Pisa ottiene dalla Commissione Europea un sesto di quello che ottiene Cambridge. Le cose vanno in modo simile per finanziamenti da privati. È chiaro che il sistema universitario italiano è eccessivamente sottofinanziato. Sulla questione possono agire solo il governo e il parlamento.
Cambridge (UK) e Pisa ospitano due delle Università più antiche del mondo, pubbliche, in città universitarie. I ranking internazionali pongono le due università in posizioni molto diverse, tra le circa 17.000 istituzioni universitarie nel mondo (di cui circa 4000 negli Stati Uniti):
   ARWU (Shanghai Ranking) 2015: Cambridge 5a, Pisa: 151-200a,
   Times Higher Education 2014-2015: Cambridge 5a, Pisa: 301-350a,
   QS World University Rankings 2014-2015: Cambridge 2a, Pisa 245a,
   CWUR 2015: Cambridge 4a, Pisa 295a.
Quindi Cambridge è sempre la prima in Europa, Pisa è fra la posizione 2a e 8a in Italia (nel primo 1-2% nel mondo, per vederla positivamente). Un articolo di Giuseppe De Nicolao su Roars.it molto ripreso dalla stampa d’agosto ha proposto come divertimento serio una variazione della classifica ARWU, in cui i punti nella classifica generale ARWU sono divisi per le spese totali operative dell’Università. Il nuovo punteggio misura quindi il risultato (accademico) per euro di spesa, ed è quindi una misura di ritorno sull’investimento. In questa nuova classifica Cambridge e Pisa sono praticamente appaiate, rispettivamente al quinto e sesto posto. (Fonte: G. Iannaccone, www.roars.it 10-09-15)

CLASSIFICA DELLE FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA 2015 STILATA DA CENSIS REPUBBLICA
La classifica delle facoltà di giurisprudenza 2015, stilata da Censis Repubblica, rispetto alla classifica dell’anno scorso non ha visto grandi cambiamenti nelle prime posizioni. Al primo posto troviamo ancora l’Università di Macerata, seguita al secondo posto da quella di Modena-Reggio Emilia (nel 2014 era terza) e da quella di Genova (l’anno scorso era seconda). (Fonte: C. Casalin, www.studenti.it 03-08-15)
La classifica Censis la trovate qui sotto:

LA TOP 3 DEGLI ATENEI ITALIANI PER AREE DI STUDIO
Quali sono i 3 migliori atenei italiani per aree di studio? A dare la risposta è il sito TopUniversities.com  che ha pubblicato un aggiornamento del QS World University Ranking 2015. Si tratta della classifica dei migliori atenei del mondo che, peraltro, è possibile filtrare per Continente, Stato e aree di studio. Skuola.net ha diviso gli atenei italiani per le 5 aree di studio proposte dal sito: arte e discipline umanistiche, medicina e scienze della vita, ingegneria e tecnologia, scienze naturali, scienze sociali e management. Dopodiché, ha  individuato la top 3 degli atenei italiani per aree di studio.
Top 3 arti e discipline umanistiche: università degli studi di Milano, università degli studi di Roma la Sapienza, università di Bologna.
Top 3 medicine e scienze della vita: università degli studi di Roma la Sapienza, università di Bologna, università degli studi di Milano.
Top 3 ingegnerie e tecnologie: università di Bologna, politecnico di Torino, politecnico di Milano.
Top 3 scienze naturali: università di Bologna, politecnico di Milano, università degli studi di Roma la Sapienza
Top 3 scienze sociali e management: politecnico di Milano, università di Bologna, università commerciale Luigi Bocconi.
(Fonte: D. Strip poli, www.skuola.net 15-09-15)


DOCENTI

LA MANCATA COMUNICAZIONE DÌ UNA CONSULENZA RETRIBUITA, ANCORCHÉ NON SOGGETTA AD AUTORIZZAZIONE, COSTITUISCE ILLECITO DISCIPLINARE PER IL DOCENTE
Il fatto che un’attività di consulenza non debba costituire oggetto di previa autorizzazione, non esclude che incomba sul previo esercizio della stessa l’obbligo del docente di comunicare all’Ateneo la natura dell’oggetto e della durata dell’incarico, nonché dell’articolazione temporale dell’impegno richiesto. E ciò si basa sulla considerazione che il docente, quale dipendente e nel rispetto del codice etico, debba non solo comportarsi nei confronti del datore di lavoro secondo criteri improntati al rispetto della correttezza e della buona fede, ma deve mettere l’Ateneo nelle condizioni di poter valutare la configurabilità o meno di un conflitto d’interessi. Quindi è il docente che a ragion veduta deve farsi parte diligente nel comunicare al proprio datore di lavoro le attività retribuite erogate a terzi, e la mancata comunicazione costituisce violazione del codice etico e, quindi, illecito disciplinare, al concretizzarsi del quale incombe sul Rettore (che nel sistema disciplinare svolge la funzione di accusa davanti al Collegio di disciplina) l’obbligo di procedere. Il parallelo tra illecito etico e illecito disciplinare trova il proprio fondamento, non nella legge 190/2012 e nel suo DPR 16 aprile 2013, n. 62 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 4 giugno 2013, n. 129) contenente il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che, sebbene normativa successiva alla c.d. legge Gelmini, è in rapporto di generalità rispetto a quest’ultima, ma nell’art. 2, comma 4, della legge c.d. Gelmini che espressamente stabilisce che: “… Sulle violazioni del codice etico, qualora non ricadano sotto la competenza del collegio di disciplina, decide, su proposta del rettore, il senato accademico …”.
Volendo trarre una conclusione, dunque, la mancata comunicazione di una consulenza retribuita, ancorché non soggetta ad autorizzazione, costituisce illecito disciplinare. (Fonte: L. Canullo, www.lavocedeldiritto.it 09-09-15)

QUANDO SPETTA IL TFR AI DOCENTI UNIVERSITARI IN ASPETTATIVA
L’INPS chiarisce che ai docenti universitari collocati in aspettativa per lo svolgimento di incarichi oggetto di contratto a tempo determinato con pubbliche amministrazioni spetta il trattamento di fine rapporto connesso e commisurato alle retribuzioni ed ai servizi del rapporto di lavoro a tempo determinato costituito per l’incarico, al pari di quanto avviene per gli altri dipendenti pubblici che si trovano nella medesima condizione. (Fonte: www.ipsoa.it 22-101-15)

RACCOMANDAZIONE CUN IN MATERIA DI CHIAMATE DIRETTE
Il CUN raccomanda di avviare le procedure per la verifica e l’aggiornamento delle corrispondenze tra le posizioni accademiche italiane ed estere di cui al DM 2 maggio 2011, n. 236 … e auspica che le proposte di chiamata diretta, presentate dagli Atenei, siano formulate in modo uniforme secondo un modello predefinito, così da consentire la disponibilità, al Consiglio Universitario Nazionale, di tutte le informazioni necessarie per valutare la corrispondenza tra le posizioni accademiche italiane ed estere. (Fonte: http://tinyurl.com/ok49jtx 24-07-2015)

DOCENTI UNIVERSITARI: RICALCOLO DELLE PENSIONI DETERMINATE CON IL SOLO METODO CONTRIBUTIVO
Documento dell’USPUR redatto da Antonino Liberatore
1) Generalità
I professori universitari, in quanto dipendenti civili dello Stato, sono iscritti alla Cassa per i trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato (CTPS), istituita il 1° Gennaio 1996 come gestione separata
dell’INPDAP. La soppressione dell’INPDAP, dal 1° Gennaio 2012, ha determinato il trasferimento dei Fondi gestiti all’INPS. Sono iscritti alla cassa CTPS tutti i dipendenti dello Stato, della scuola, dell’università e le forze armate per un totale di 1.581.000 iscritti. La cassa è gestita contabilmente in maniera unitaria senza evidenza separata per categorie di iscritti o pensionati. Pertanto non è possibile esporre alcun dato sulla situazione economica e patrimoniale della sola categoria dei docenti universitari.
2) Differenze del comparto docenti universitari rispetto agli iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD).
Fino al 31 dicembre 1992:
a. la pensione dei docenti universitari era calcolata sulla base della retribuzione tabellare dell’ultimo giorno di servizio, maggiorata del 18 per cento (mentre per gli iscritti al FPLD si calcolava sulla media degli ultimi cinque anni senza maggiorazione, sebbene con l’inclusione di alcune voci retributive accessorie);
b. non esistevano tetti retributivi (parzialmente introdotti nel 1993 ed integralmente allineati a quelli in vigore nel FPLD nel 1998);
c. l’aliquota di rendimento (l’aliquota con la quale nel sistema retributivo vengono valorizzati gli anni di contribuzione al fine del calcolo della pensione è del 2,33% fino al 15° anno di anzianità (diversa da quella prevista per la generalità degli iscritti al FPLD che è al massimo del 2%) e dell’1,80% dal 16° anno in poi. Tali aliquote si applicano:
• fino al 31 dicembre 2011 per coloro con almeno 18 anni di anzianità di servizio al 31.12.1995;
• fino al 31 dicembre 1995 per chi aveva anzianità inferiori a tale data. In questo caso, per le anzianità maturate dall’1.1.1993 la base di calcolo è data dalla media delle retribuzioni annue percepite in un determinato periodo di tempo, chiamato “periodo di riferimento” prossimo al pensionamento e rivalutate in base agli indici del costo della vita (maggiorato di un punto percentuale).
3) Docenti che vantano al 31.12.1995 almeno 18 anni di contribuzione: sono destinatari di un sistema pensionistico solo retributivo.
Il loro trattamento pensionistico, che non può superare l’80% della retribuzione pensionabile, viene
determinato dalla sommatoria di due quote di pensione: quota A e quota B.
Per la determinazione della quota A di pensione (quella riferita all’anzianità contributiva maturata al 31.12.1992), si valutano le seguenti voci retributive:
a. lo stipendio maggiorato del 18% così come previsto dall’art. 15 della legge 177/1976;
b. le quote mensili di cui all’articolo 161 della legge n. 312 del 1980 (con maggiorazione del
18%) oppure l’ultimo stipendio integralmente percepito maggiorato delle quote mensili maturate in numero corrispondente ai mesi di servizio trascorsi dalla data di attribuzione dell'ultimo scatto stipendiale fino alla cessazione dal servizio;
c. l’assegno personale (si tratta di un assegno ad personam, previsto dall’art. 36, comma 8 del DPR 382/1980), finalizzato:
(1) a colmare l’eventuale gap retributivo con i dirigenti generali dello Stato per equiparare retributivamente  i docenti a tali dirigenti dello Stato;
(2) a compensare la riduzione retributiva ai docenti a tempo definito, all’atto dell’entrata in vigore del DPR 382/1980 e del nuovo trattamento economico ivi previsto, anche questo con la maggiorazione del 18%;
d. l’indennità integrativa speciale;
e. l’indennità riconosciuta ai docenti delle Università che prestano servizio presso le cliniche universitarie convenzionate con le ASL, per equiparare il trattamento economico del personale universitario al personale medico – ospedaliero di pari funzioni, mansioni ed attività, indennità di cui all’art 31 del DPR 761/79, spettante per effetto delle disposizioni riportate nell’art. 102 del DPR 382/80.
Altri assegni o indennità possono essere considerati solo se una disposizione di legge ne preveda espressamente la valutazione nella base pensionabile.
Una peculiarità rilevante sul calcolo della quota A è attinente alle pensioni dei docenti che, nel corso della loro carriera, hanno avuto periodi sia a tempo pieno che a tempo definito.
Per tali docenti l’art. 40 del DPR 11 Luglio 1980 n. 382, ai fini esclusivamente della quota A (retributiva) di pensione, dispone che non viene presa in considerazione l’ultima retribuzione integralmente percepita, bensì una retribuzione calcolata con la seguente formula:
                                                                                                         Anzianità tempo pieno
Retr. tempo definito + (Retr. tempo pieno - Retr. tempo definito) x   ----------------------                                                                                                      Anzianità totale nella carriera

La quota B di pensione si riferisce alle anzianità maturate dallo 01/01/1993. La base di calcolo è data dalla media delle retribuzioni annue percepite in un determinato periodo di tempo, detto “periodo di riferimento”, prossimo al pensionamento, e rivalutate in base agli indici del costo della vita (maggiorato di un punto percentuale). La quota B è determinata applicando l’aliquota di rendimento precedentemente descritta e riferita:
a. agli ulteriori servizi valutabili dal 1993 al 31.12.1995 per coloro che hanno un’anzianità
contributiva inferiore a 18 anni a tale data ovvero, fino al 2011, per coloro che hanno maturato
almeno 18 anni di anzianità al 31.12.1995;
b. alla media delle retribuzioni percepite in un determinato periodo di tempo, detto “periodo di riferimento”, comprensive, dallo 01.01.1996, degli elementi accessori che eccedono la retribuzione tabellare maggiorata del 18% (es. straordinario, indennità legate ai risultati e/o alla produttività etc.);
c. all’eventuale quota dell’indennità descritta al punto 3.1.e, per la parte che costituisce elementi
retributivi legati al risultato o ad elementi non predeterminati.
4) Calcolo della pensione con metodo misto.
Sono destinatari di un sistema di calcolo misto coloro che hanno maturato al 31 Dicembre 1995 un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni; il loro trattamento pensionistico sarà composto da due parti: la prima sarà determinata con le regole del retributivo (retribuzione e aliquote di rendimento pari all’anzianità contributiva maturata al 31 Dicembre 1995) ed una seconda parte formata dalla sommatoria dei contributi computati dal 1° Gennaio 1996 e rivalutati annualmente moltiplicati per un coefficiente di trasformazione relativo all’età dell’iscritto all’atto del collocamento a riposo.
5) Calcolo della pensione solo con il metodo contributivo.
Diversamente i neo assunti al 1° Gennaio 1996 rientrano nei meandri di un calcolo pensionistico esclusivamente contributivo che utilizza, per la determinazione del relativo trattamento pensionistico, non più le retribuzioni e aliquote di rendimento, ma i contributi accantonati (in base all’aliquota di computo che a tutt’oggi è pari al 33%), debitamente rivalutati annualmente ed un coefficiente di rivalutazione che varia a seconda dell’età del pensionato.
6) Ricalcolo, con metodo misto, delle pensioni determinate con il solo sistema retributivo.
L’articolo 1, commi 707 e 708, della legge di stabilità 2015 ha modificato, integrandolo, l’art. 24, comma 2, del decreto legge 6 Dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 Dicembre 2011, n. 214 (riforma Monti Fornero).
Le disposizioni in esame prevedono che l’importo complessivo del trattamento pensionistico non può
eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l’applicazione delle regole di calcolo con il metodo retributivo, antecedenti all’entrata in vigore dell’articolo 24 della citata riforma Monti Fornero.
Per effetto di quanto sopra, la pensione di chi ha maturato 18 anni di anzianità contributiva al 31 Dicembre 1995 va determinata non con il solo metodo retributivo ma con il calcolo misto: retributivo per le anzianità maturate fino al 31 dicembre 2011; contributivo per le anzianità maturate a partire dal 1° Gennaio 2012.
A determinate condizioni, la misura della pensione calcolata con il metodo misto può essere superiore a quella determinata con il metodo retributivo.
Tenendo conto di questa circostanza, il legislatore ha stabilito che per i destinatari del metodo di calcolo misto in base alla riforma Monti Fornero, il trattamento debba essere liquidato con il metodo di calcolo che determina l’importo di minor favore.
Il comma 708 dispone che il limite si applica dal 2015 anche alle pensioni decorrenti dal 2 gennaio 2012.
L’INPS ricalcolerà la pensione determinata con il solo metodo retributivo di quanti nel 1995 avevano già 18 anni di contributi. Poi, confronterà l’importo ottenuto con quello che viene loro liquidato in questo momento. Se il primo è più basso, d’ora in poi riceveranno quello. Altrimenti si procederà al ricalcolo e l’INPS “provvederà al recupero delle somme indebitamente corrisposte a decorrere dal 1° Gennaio 2015″.
Il grafico qui sotto presenta i risultati di uno studio che si propone di verificare gli effetti di un ricalcolo contributivo applicato alle pensioni vigenti dei Professori Universitari.
Il grafico documenta come le pensioni di questa particolare categoria professionale, con decorrenza successiva al 2004 (periodo 2005-2015), si rapportano con le prestazioni che sarebbero state erogate
applicando il metodo contributivo.
La riduzione media che, con il calcolo contributivo, subirebbe nel complesso il settore è pari a circa l’11%. Circa il 28% delle pensioni vedrebbe una riduzione dell'importo di più del 20%; oltre il 20% delle pensioni avrebbe un vantaggio nel ricalcolo.
(Prof. Antonino Liberatore Firenze, 21 Settembre 2015)

PER IL PROFESSORE CHE SOLO SPORADICAMENTE FA L'AVVOCATO NIENTE IRAP
Con sentenza numero 3275/2015 la Commissione Tributaria Regionale di Roma si è recentemente pronunciata su una questione sinora abbastanza diffusa: quella dei docenti universitari che svolgono anche attività professionale, ma in via residuale. Nel caso di specie, l'appello proposto dinanzi al predetto organo proveniva da un docente a tempo pieno che, con pochi clienti l'anno, senza una stabile organizzazione d'ufficio, con scarso utilizzo di beni strumentali e senza la collaborazione di dipendenti o colleghi, esercitava sporadicamente anche l'attività di avvocato. E la Commissione gli ha dato ragione, accogliendo le argomentazioni utilizzate dalla Corte di Cassazione che, interessata della questione, aveva rinviato al giudice del merito. In sostanza si è rilevato che non è possibile ritenere che qualsiasi forma di collaborazione sia idonea a dimostrare la sussistenza di un'organizzazione stabile e autonoma: quest'ultima, infatti, può semmai ravvisarsi solo nell'ipotesi di impiego di lavoratori subordinati o con rapporto di lavoro coordinato e continuativo. Niente imposta quindi per il professionista. (Fonte: V. Zeppilli,
10-06-15)


DOTTORATO

PERFORMANCE FORMATIVE E PROFESSIONALI DEI DOTTORI DI RICERCA
L’Indagine AlmaLaurea del 2015 fotografa le performance formative e professionali di circa 2.400 dottori di ricerca italiani. L’analisi, sebbene evidenzi il buon esito occupazionale dei dottori di ricerca già a un anno dal titolo, mostra che il mercato del lavoro nazionale non riesce a valorizzare appieno il percorso formativo e il potenziale professionale dei dottori. Tali risultati emergono sia con riferimento allo storico e tuttora principale sbocco professionale dei dottori di ricerca, ossia l’insegnamento e la ricerca in ambito accademico che, come ha più volte evidenziato AlmaLaurea, sono caratterizzati da tempi lunghi di stabilizzazione contrattuale e valorizzazione professionale, sia in riferimento alle loro performance occupazionali all’interno del tessuto produttivo nazionale, dove il titolo di dottorato fatica tuttora ad essere apprezzato. Alla base di questa mancata valorizzazione delle risorse umane più qualificate prodotte dal nostro sistema formativo ci sono alcuni tratti che caratterizzano il nostro Paese, rilevati in più occasioni dalle Indagini AlmaLaurea: tra questi, una forte prevalenza di piccole e micro imprese a gestione familiare, specializzate in settori a medio basso contenuto tecnologico, e il forte ritardo nei tassi di scolarizzazione della popolazione adulta, che si riscontra anche tra i manager (nel 2013 appena il 28% degli occupati italiani classificati come manager aveva completato tutt’al più la scuola dell’obbligo, contro il 12% della media europea a 15 paesi, il 19% della Spagna e il 5% della Germania). Tratti ai quali si associa una ridotta propensione delle imprese ad investire sia in capitale umano sia in R&S. (Fonte: www.corriereuniv.it/ 02-10-15)  Per leggere il rapporto completo AlmaLaurea 2015 sulla condizione dei dottori di ricerca >http://tinyurl.com/ou7v9w4 .

DOTTORI DI RICERCA E “FUGA DEI CERVELLI”
L'Italia ha una percentuale di dottorandi stranieri che è inferiore non solo alla media, ma alla metà della media OCSE: su 100 dottorandi che studiano in Italia, poco più di uno su dieci (11,3%) viene dall'estero. La media OCSE è di quasi uno su quattro. Non solo in Paesi avvantaggiati sul piano linguistico come il Regno Unito, ma anche in Francia, Paesi Bassi, Svizzera, Belgio, proviene dall'estero almeno un dottorando straniero su tre, in certi casi addirittura uno su due. La quota di stranieri impegnati in un dottorato è superiore alla nostra anche in Austria e Spagna (rispettivamente 23% e 17%). Se si mira al rientro di ricercatori italiani all'estero, occorre tener presente che in molti casi non è solo la disponibilità di un posto di lavoro a convincerli a partire o tornare ma la differenza nelle condizioni di lavoro. Una burocrazia più snella, un'organizzazione del lavoro più rispondente alle esigenze di ricerca, perfino aspetti pratici quali la disponibilità di asili nido possono fare la differenza nel lavoro quotidiano di ricerca. Senza trascurare il problema centrale delle risorse. Il nuovo Piano Nazionale della Ricerca, più volte annunciato e continuamente rinviato, pare dalle bozze orientato a ricalcare priorità e temi decisi in sede europea. I fondi disponibili su base competitiva sono ormai ridotti al minimo: l'ultimo bando per progetti di ricerca di interesse nazionale è del 2012. Dunque il nostro problema non è tanto — o non solo — l'emorragia di risorse umane nell'alta formazione che prelude alla ricerca, ma la difficoltà di compensare i flussi in uscita con significativi flussi in entrata. Nessuno nega naturalmente che l'esperienza fatta all'estero da ricercatori italiani possa essere rilevante e stimolante per le nostre istituzioni. Ma in simili condizioni, pur con tutte le migliori intenzioni, puntare sul rientro in Italia di "cervelli in fuga" sarebbe come se una scuderia automobilistica si desse da fare per reclutare i migliori piloti internazionali, raccomandandogli poi sottovoce di portarsi la macchina e la benzina da casa. Un dato meno noto di altri ma fondamentale per comprendere la specificità italiana, e che forse più drammaticamente fotografa l'attuale situazione delle risorse umane nell'ambito della ricerca, è quello legato all'età. Le università italiane hanno, infatti, in assoluto il personale docente più vecchio di tutta Europa. Solo il 16% dei nostri docenti ha, infatti, meno di quarant'anni. In Germania resta sotto i quarant'anni oltre la metà (54%); in Irlanda il 38%; perfino in Austria e in Portogallo la presenza di nuove generazioni di docenti è più che doppia rispetto a quella italiana. Quindi il tema non è tanto la "fuga dei cervelli" o il rientro di illustri connazionali quanto la più generale difficoltà di rinnovare il personale di ricerca. (Fonte: M. Bucchi, La Repubblica 20-10-15)      

IL DOTTORATO NON È UN IMPIEGO
Quasi tutto il mondo considera il dottorato il terzo e massimo livello di istruzione accademico/scientifica, e non un lavoro. Sul piano logico, l’idea che non considerare il dottorato come un “impiego” spieghi lo scarso appealing del titolo di dottorato presso le aziende italiane, semplicemente non regge. Negli USA, ad esempio, dove il dottorato è assai ben valutato economicamente dalle aziende, a nessuno verrebbe in mente che un “PhD Student” sia “employed” presso l’università dove svolge l’attività di PhD, anche se viene pagato. Ma il punto a mio parere è un altro: non solo non sarebbe esatto né sensato considerare legalmente il dottorato un impiego, ma sarebbe anche una grave mistificazione politica; è già scandaloso che sia considerato “occupato” chi lavora da precario in un call center a 600 euro al mese, ci mancherebbe che considerassimo occupati anche gli studenti di dottorato, che prendono una borsa di studio senza contributi. (Fonte: M. Olivieri, CorSera 02-09-15)


E-LEARNING

UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Un decreto ministeriale del 2003 dell’allora Ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, istituiva ufficialmente, e con la stessa valenza di un Ateneo statale, le Università telematiche, che però dovevano essere accreditate presso il Ministero per poter rilasciare titoli accademici. L’apprendimento si basa su lezioni online, ma per esami e discussione delle tesi di laurea lo studente deve comunque recarsi in sede, questo per permettere la massima limpidezza e oggettività che giuridicamente equiparano un Ateneo telematico con un’Università statale. Nel 2013, il Ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, ha firmato la nuova versione del decreto sulla programmazione triennale delle Università, mettendo un freno agli Atenei telematici: «Fissati anche i paletti per l’apertura di nuovi atenei: no a nuove realtà telematiche o statali a meno che non siano frutto della fusione di realtà già esistenti. Mentre la possibilità di aprire atenei privati (non telematici) sarà subordinata ad un rigido controllo da parte del Ministero. Per avere il via libera bisognerà garantire, fra l’altro, l’esistenza di almeno un corso di laurea in lingua straniera e andrà garantita la sostenibilità economica del progetto formativo».
A oggi, sono 11 gli Atenei telematici accreditati presso il Ministero dell’Istruzione. Le Università telematiche, inoltre, organizzano borse di studio per il progetto Erasmus, che permette ai ragazzi di studiare un anno e oltre all’estero. Esistono anche alcune Università telematiche europee, soprattutto in Svizzera, che rilasciano titoli accademici approvati dalla Comunità Europea: parliamo sempre di Atenei telematici ma l’equipollenza vera e propria è stata cancellata dall’Italia. Questi titoli sono riconosciuti ma non valgono come una laurea italiana. (Fonte: L’Indro 04-09-15)


FINANZIAMENTI

SPESE DELLO STATO IN RICERCA E FORMAZIONE 2008-2014. DIMINUISCONO MENTRE AUMENTA DEL 12,9% LA SPESA COMPLESSIVA DELLO STATO
La spesa pubblica in Italia cresce, anche al netto del debito pubblico. Ma alcune voci di spesa diminuiscono. E anche piuttosto drasticamente. Le voci che diminuiscono di più sono gli investimenti in ricerca, università e scuola. È questo, in estrema sintesi, quello che ci dice il documento “L’andamento delle spese per missioni, programmi e stati di previsione del bilancio dello Stato nel periodo 2008-2014” che la Ragioneria dello Stato ha presentato in Senato lo scorso mese di dicembre.
Le spese dello Stato ammontano, nell’anno appena concluso, il 2014, a oltre 825 miliardi di euro, con un aumento del 12,9% rispetto al minimo del periodo (l’anno 2008). Anche al netto degli interessi sul debito, la spesa dello Stato è aumentata di circa 50 miliardi nel 2014 rispetto al minimo del periodo (il 2011): un incremento del 10,7%. Ma, mentre la spesa pubblica aumentava, ci sono stati dei capitoli di spesa che sono diminuiti. Tra i principali tagli: quelli all’istruzione scolastica (– 2,9 miliardi, pari al 6,5% del budget massimo relativo del 2010); alla ricerca scientifica (– 1,3 miliardi rispetto al massimo relativo del 2008); all’istruzione universitaria (– 0,8 miliardi rispetto al massimo relativo del 2008). In termini percentuali i tagli più drastici hanno riguardato la ricerca scientifica, con un secco e per certi versi clamoroso -31,1%. Il che porta la spesa di questa “missione” dallo 0,56 allo 0,34% dell’intera spesa pubblica. In particolare la spesa in ricerca di base scende dallo 0,14 allo 0,12% della spesa dello Stato. Anche l’istruzione universitaria ha subito tagli piuttosto netti, per un ammontare di 0,8 miliardi di euro rispetto al massimo relativo del 2008. In percentuale significa un netto – 9,6%, il che porta la spesa pubblica per l’università dall’1,19 allo 0,95% del bilancio dello Stato. Dal rapporto della Ragioneria dello Stato un dato emerge con chiarezza: i vari governi hanno cercato di far quadrare i conti del bilancio statale tagliando soprattutto in ricerca e formazione. Il “pacchetto conoscenza”, infatti, è diminuito non solo in assoluto, ma anche in termini relativi dal 3,33% al 3,19% del Pil. (Fonte: P. Greco, ScienzaInRete 08-01-2015).

BILANCI DEGLI ATENEI E POSSIBILITÀ DI ASSUNZIONI
Senza entrare nei dettagli tecnici, la salute dei bilanci universitari viene misurata in base a due indicatori: il peso degli stipendi in rapporto alle entrate (fondi statali e contributi studenteschi), e l'incidenza delle uscite per personale e oneri di ammortamento del debito (indicatore di «sostenibilità finanziaria»). Sul primo aspetto, il rapporto fra stipendi ed entrate è tendenzialmente in calo, proprio per effetto dei vincoli al turn over posti negli ultimi anni a tutta la Pubblica amministrazione, con la conseguenza che le università dedicano al personale il 69,6% delle proprie entrate contro il 72,4% di due anni fa. Questa media nasconde però realtà molto diverse fra loro, perché mentre al Politecnico di Milano, alla Bicocca e a Roma Tor Vergata le buste paga oscillano tra il 50 e il 60% delle entrate, a Cassino e alla Seconda università di. Napoli si avvicinano pericolosamente al 90%. Differenze simili si incontrano sulla «sostenibilità finanziaria», che tiene conto anche degli oneri di ammortamento del debito: in questo caso l'allarme, oltre che a Cassino e Napoli II, suona in particolare a Benevento e Sassari. La parentela stretta fra possibilità di assunzioni e condizione dei bilanci riduce in media i «punti» assegnati al Sud, anche se questa media conosce eccezioni come dimostra il fatto che il turn over più ampio si incontra a Potenza e Catanzaro. Rispetto all'anno scorso, però, la forbice si è ridotta, anche per alcuni ritocchi alle regole: il ricambio minimo, riservato agli atenei con i conti più in sofferenza, è cresciuto dal 20 al 30%, mentre per quelli con i bilanci più brillanti è stato introdotto un tetto massimo al 110%. L'effetto combinato di questi due interventi ha ovviamente ridotto le distanze, e per accorgersene basta calcolare le medie territoriali: quest'anno gli atenei meridionali hanno diritto a un turn over del 41%, contro il 34% del 2014, mentre al Nord si scende dal 66 al 63%. (Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 14-09-15)

UNA FONDAZIONE AUTONOMA PER ATTRARRE E FINANZIARE GIOVANI RICERCATORI STRANIERI
Perché anche l’Italia, e quindi il nostro ministero dell’Università e della Ricerca (e in una scala ridotta ma significativa potrebbero farlo anche le Regioni e le città, come per molti anni ha fatto Parigi) non comincia a pensare a un programma specifico di attrazione di ricercatori stranieri giovani che possano interagire con il nostro sistema e arricchirlo? Perché in particolare e soprattutto non dare vita a una nostra Fondazione Leonardo o Galileo (i nomi certo non ci mancano), del tutto autonoma, sul tipo del funzionante modello tedesco Humboldt, finanziata anche con altri ministeri strategici?
Si tratterebbe di investimenti tutto sommato molto contenuti, che però contribuirebbero ad aprire i nostri dipartimenti a relazioni ancora più ampie, che metterebbero alla prova sistemi di valutazione più efficaci, che darebbero ulteriore linfa all’innovazione nel nostro Paese e consentirebbero nel tempo all’Italia di costruire un circuito virtuoso di influenza e integrazione europeo e non solo. ( Fonte: G. Briguglia,  www.ilpost.it 16-09-15)

FINANZIAMENTI DELLE UNIVERSITÀ DA INDUSTRIE E FONDAZIONI PRIVATE
In Europa per la quota delle entrate provenienti da industrie e privati i politecnici hanno una percentuale maggiore, per la loro affinità alle attività industriali: il Politecnico di Monaco di Baviera (TUM) è all’11.2 % (se si scorpora dal bilancio l’ospedale) e il Politecnico di Milano è al 15.4%. L’Università di Cambridge, che non è un politecnico ma ha una particolare vocazione scientifico-tecnologica, è al 14.5%, con circa 140 milioni di sterline. Per Cambridge almeno i due terzi di questa cifra vengono dalle generose fondazioni: per esempio, 48 milioni dal Wellcome Trust, e 32 milioni da Cancer Research UK. La scuola superiore S. Anna, che è un ateneo sui generis perché non dà titoli di laurea, ha comunque una natura politecnica ed è al 6.7%. Le altre università europee nella lista sono generaliste, e sono comunque vicine alla percentuale delle americane: Ludvig Maximilian di Monaco il 4.6% (escludendo l’ospedale), Bologna il 4%, Pisa il 2.7%.
La figura in basso mostra per alcune università americane, europee e italiane la percentuale delle entrate da industrie e organizzazioni private sul totale delle entrate. I dati sono presi dai bilanci pubblicati relativi all’anno 2014 (per l’Univ. Pisa il 2013).



Raramente il finanziamento da industrie e da fondazioni private supera il 10% del totale delle entrate. Nessuna università si è svenduta ai privati, dunque. Per tutte le Università di prestigio le entrate arrivano in parte principale dallo Stato, sotto forma di finanziamento ordinario o “appropriation” (solo per le università pubbliche) e di ricerche e/o servizi commissionati o attribuiti con bandi competitivi. Dai 3 miliardi di dollari di entrate del MIT (escluso il laboratorio Lincoln), una fondazione privata, circa 194 milioni sono da industria e privati, e circa 324 milioni dalle tasse di iscrizione. Il resto sono fondi di ricerca pubblici in primis e poi rendite degli investimenti (“l’endowment”). La quota di finanziamento da industrie e fondazioni in Italia è simile a quella delle università nei primi posti dei ranking internazionali. Sono i valori assoluti di tutti i finanziamenti ad essere troppo bassi. Di conseguenza, il finanziamento pubblico alla ricerca – che deve essere la quota maggiore – è particolarmente carente. (Fonte: G. Iannaccone, Roars 02-10-15)


LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE

MEDICINA IN ROMENO AL VIA AD ENNA. MA IL MIUR CONTINUA A DEFINIRLA «NON AUTORIZZATA»
L’università Dunarea de Jos di Galati, Romania, ha fissato l’inaugurazione dell’anno accademico a Enna il 14 dicembre. I corsi che stanno per cominciare sono medicina generale e professioni sanitarie per circa un centinaio di ragazzi. Intanto, gli studenti sono già in classe ad imparare il romeno. Perché l’università Dunarea de Jos di Galati, Romania, ha già aperto i battenti in Sicilia, ad Enna, nei locali dell’ex biblioteca di Ateneo nella Cittadella Universitaria. Nonostante il ministero dell’Istruzione lo scorso 2 settembre avesse intimato di non farlo e la ministra Stefania Giannini avesse fatto mandare ben due diffide «dall’andare avanti a tutti i soggetti coinvolti prima di aver chiarito la questione». Gli studenti italiani, quasi tutti siciliani, hanno già cominciato il corso di lingua romena, 360 ore obbligatorie per poter essere ammessi al test di ammissione alla facoltà di medicina. Ai primi di dicembre, chi avrà passato il test potrà cominciare a frequentare le lezioni di medicina e professioni sanitarie con i prof romeni della Dunarea di Galati che arriveranno in Sicilia. E poi laboratori e praticantato nell’ospedale di Enna, secondo un accordo con la Regione Sicilia. E le diffide del Miur? Ne dovrebbe arrivare una terza. «Io non apro i corsi - risponde l’ex senatore Pd Vladimiro Crisafulli che con la Fondazione Proserpina sta gestendo l’apertura della Dunarea -, io mi limito a dare la logistica, i locali, mandare a prendere i professori quando arriveranno. Il Miur non deve diffidare me, ma sentire il ministero romeno». Anche il direttore della Dunarea ha sostenuto che quella di Enna, «non è una succursale ma un’estensione che rispetta la normativa romena ed europea e i titoli di studio che verranno rilasciati sono riconosciuti sul territorio italiano ed europeo senza la necessità di alcun passaggio aggiuntivo e riconoscimenti successivi». Ma il Miur continua a definire «non autorizzata» l’iniziativa romena. E fa partire una terza diffida. Dopo aver incaricato anche l’ufficio legale di seguire la questione. (Fonte: http://www.corriere.it 15-10-15)

RAGIONI DEL NUMERO CHIUSO PER I CORSI DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA
Non posso che recepire e condividere quanto affermato dal Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, la quale ha manifestato le proprie perplessità sull’impostazione della proposta di abolizione del numero chiuso. E’ vero, infatti, che i Corsi di Medicina e Chirurgia e quelli in Odontoiatria e Protesi Dentaria sono fortemente interdisciplinari e sono stati impostati sul rapporto diretto tra professore (medico) e studente. Il passaggio improvviso da un sistema che vede qualche decina di studenti presso ogni ateneo ad un sistema che vedrebbe l’afflusso di svariate migliaia di unità, pone un problema per il sistema universitario italiano, che vedrebbe alterato, in maniera quasi “sconvolgente”, l’attuale rapporto numerico docenti-discenti ed irrimediabilmente compromessa l’interdisciplinarietà dalla quale è caratterizzato. Adattare al “numero aperto” i nostri atenei comporterebbe inoltre degli impegni economici che, nell’attuale momento storico, appaiono quantomeno inverosimili e, comunque, difficilmente sostenibili (anche per le caratteristiche dei corsi di studi in questione). (Fonte: G. F. Fidone, www.StudioCataldi.it 10-06-14)

IL 3+2 RITARDA LA LAUREA
Secondo l’analisi condotta dall’Anvur è emerso il paradosso del 3+2: sostenere due tesi di laurea, i troppi esami che spesso si ripetono tra i due percorsi di laurea, programmi troppo articolati e non consoni ai cfu che sono concessi, causano eccessivi ritardi negli studenti che così perdono mesi che diventano poi anni sui curriculum universitari. Questi i principali problemi che portano gli studenti a perdersi negli studi intrapresi con il rischio di allungare di molto i tempi di studio. 5 anni sono la media per conseguire una laurea triennale, con casi come Giurisprudenza in cui la media è di 6 anni per il conseguimento del titolo. Per la specialistica i tempi sono più ridotti, ma la media è anche qui in ritardo, difatti ci vogliono 3 anni per conseguire una laurea di 2 anni. Anche se il sistema del 3+2 ha prodotto un aumento dei laureati rispetto al passato, compresi i laureati brevi, cioè quelli che hanno conseguito la laurea di 1° livello, e solo il 50% di costoro non va avanti e non prosegue i suoi studi con una laurea specialistica. Difatti, a differenza di altri Paesi, per molti lavori non viene considerata adeguata la laurea triennale. Addirittura alcune professioni prevedono, oltre al percorso di laurea un percorso di tirocinio, come nel caso della professione dell’avvocato, che per accedere ai concorsi deve sostenere circa 2 anni di tirocinio. (Fonte: M. Restivo, http://catania.liveuniversity.it 04-10-15)

PER L'ESERCIZIO DI UNA PROFESSIONE NECESSARIO «IL POSSESSO DI UN TITOLO ACCADEMICO»
Sulla validità del nuovo diploma di istruzione tecnica per l'accesso agli albi professionali il punto da cui partire è la riforma degli istituti tecnici (DPR 88/2010) che nel riordinare questo tipo di formazione, ridefinendone settori e aree, l'ha resa insufficiente a garantire una preparazione specifica per esercitare una professione intellettuale. Le ragioni sono semplici e vanno ricercate nei passaggi della stessa riforma e nell'indispensabile riferimento all'Europa. Innanzitutto il DPR ha modificato la stessa denominazione del titolo di studio, d'ora in poi genericamente definito «diploma di istruzione tecnica», facendogli perdere quella connotazione caratterizzante che fino ad ora ha consentito di individuarne con chiarezza la specifica professione di accesso. In secondo luogo il provvedimento contiene un passaggio fondamentale, forse sottovalutato, che, di fatto, cancella il logico collegamento tra il titolo e l'accesso alla professione. Mi riferisco all'articolo 10 che abroga un passaggio contenuto nel Testo unico sull'istruzione scolastica (art. 191 comma 3, Dlgs 297/94) che stabiliva: «Gli istituti tecnici hanno per fine precipuo quello di preparare all'esercizio di funzioni tecniche e amministrative, nonché di alcune professioni nei settori commerciale e dei servizi, industriale, delle costruzioni, agrario, nautico e aeronautico». In questo senso non viene in aiuto, come qualcuno erroneamente ritiene, la tabella D (di cui all'articolo 8 comma 1) di confluenza tra gli indirizzi di specializzazione esistenti e le nuove aree. Tabella valida solo per i percorsi formativi in corso all'epoca dell'entrata in vigore del regolamento e che nulla c'entra con l'equivalenza dei titoli scolastici rilasciati tra il vecchio e il nuovo ordinamento. Infine il riferimento all'Europa, di cui è prova la stessa circolare ministeriale. Il ministero, infatti, si è preoccupato di attribuire un livello Elf precisamente il IV, al titolo di studio, adottando quindi un preciso modello di riferimento nella valutazione della formazione attuale. Se questo è il principio, allora non si può trascurare il «Primo rapporto italiano di referenziazione delle qualificazioni al Quadro europeo Elf», approvato in Conferenza Stato-Regioni il 20/12/12, che prevede per l'esercizio di una professione «il possesso di un titolo accademico», corrispondente, norme alla mano, al VI livello.
Solo con una laurea triennale quindi si potrà mantenere quell'autonomia e quella capacità di progettare, cuore della professione intellettuale. Solo così il professionista italiano non sarà discriminato rispetto a quello europeo. (Fonte: G. Giovannetti, ItaliaOggi 03-09-15)

PER LA PROFESSIONE SERVE LA LAUREA. ADDIO AGLI ALBI PER I DIPLOMATI
Periti, geometri, interpreti e gli altri diplomati, in possesso di un attestato “tecnico” potranno dire addio agli albi professionali. Per esercitare la professione occorrerà almeno una laurea triennale. A prevederlo è la recente circolare del Miur (prot. 7201/2015), mettendo fine ad una questione che ha scatenato un lungo dibattito anche in sede europea. Da un lato, infatti, l’UE ha sempre puntato il dito sulla necessità di un titolo accademico (almeno di tre anni) per ottenere il diritto ad accedere ad una professione tecnica; dall’altro, la riforma dell’istruzione tecnica voluta dall’ex titolare del Miur, Mariastella Gelmini (DPR n. 88/2012), non ha mai specificato esplicitamente se il titolo fosse ritenuto valido per accedere al relativo albo. La circolare del dipartimento per il sistema educativo del Miur, ora, diffusa a tutti i direttori degli uffici scolastici regionali e ai dirigenti degli ambiti territoriali e degli istituti statali e paritari, fa definitiva chiarezza e mette al bando i diplomi. La circolare precisa, infatti, che i modelli di diploma di istruzione secondaria di secondo grado conterranno “il riferimento al IV livello delle qualificazioni del quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (Eqf)”. Per cui, l’attestato conseguito non conterrà più una qualifica sufficiente ad esercitare una professione intellettuale. (Fonte: M. Crisafi, www.StudioCataldi.it 01-09-15)

INGEGNERIA, INFORMATICA, ECONOMIA E STATISTICA SONO TRA I TITOLI DI STUDIO PIÙ RICHIESTI DALLE AZIENDE
Dall’ultima indagine Gidp (Gruppo intersettoriale direttori del personale), ben il 65% delle società intervistate prevede l’inserimento di giovani nell’arco dei prossimi 6 mesi. «Il dato che emerge, e che è importante evidenziare, è che le assunzioni avvengono utilizzando il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti», sottolinea il presidente nazionale Paolo Citterio, «come risulta dal 48,78% delle risposte». Secondo l’indagine lo strumento principe del primo accesso all’impiego rimane lo stage, che sempre più spesso, però, viene trasformato in contratto a tempo indeterminato. Mentre si confermano tra i canali molto utilizzati i portali delle università, i career day e i social network. Tra le aziende che hanno attualmente selezioni in corso c’è il gruppo Engineering, 7.800 dipendenti, che ha in programma di assumere 400 persone entro la fine del 2015. I più richiesti sono gli ingegneri, seguiti da informatici, laureati in fisica, matematica, statistica. «È l’impulso positivo del Jobs act e degli sgravi contributivi», conferma il direttore risorse umane di Engineering. (Fonte: A. M. Catano, CorSera 06-10-15)

LAUREA IN MEDICINA. PROSPETTIVE PER IL LAVORO
Una laurea in medicina è nonostante tutto un buon passepartout per il lavoro; il percorso per arrivare alla stabilizzazione è sicuramente più lungo, anche perché dopo il diploma chi vuole fare il medico deve anche specializzarsi con corsi che durano in media tre o a quattro anni, ma alla fine questo titolo funziona sia per l'alto tasso di occupazione che per i guadagni in media più alti che per gli altri laureati. E quest'anno ci sono anche meno candidati. Secondo l'ultimo rapporto di AlmaLaurea, infatti, già a 12 mesi dalla discussione della tesi di laurea, il tasso di occupazione, considerando anche coloro che sono in formazione retribuita (i cosiddetti specializzandi che lavorano nelle corsie) raggiunge il 46,5%, a fronte del 49% rilevato sul complesso dei laureati magistrali a ciclo unico ma con impieghi più stabili. Il tasso di disoccupazione si attesta a tre punti sotto la media nazionale: 27% contro 30% (anche qui incide il fatto che la formazione post-laurea è una strada perseguita da molti neo-laureati in medicina). Ad ogni modo, la stabilità contrattuale, già a un anno dal titolo, si attesta al 48,5% tra i laureati in medicina contro il 38% della media nazionale degli altri laureati. In particolare - fa sapere AlmaLaurea - il 46% dei medici svolge un'attività autonoma (la media è al 26%), mentre il 2,5% dichiara di avere un contratto a tempo indeterminato (la media nazionale è al 12%). Al contrario la precarietà, a un anno dalla laurea, caratterizza il 51% dei medici (mentre è al 62% per i laureati magistrali a ciclo unico), in particolare il 25% ha un contratto a tempo determinato. Buone anche le aspettative per quanto riguarda i guadagni: già dopo dodici mesi dal titolo i laureati in medicina arrivano a guadagnare 1.258 euro netti al mese, contro i 1.024 degli altri laureati a ciclo unico. (Fonte: IlSole24Ore 27-08-15)

LAUREA IN MEDICINA VETERINARIA. PROSPETTIVE PER IL LAVORO
Gli ultimi dati di AlmaLaurea sulle chance occupazionali dei laureati magistrali a ciclo unico in medicina veterinaria già a 12 mesi dalla laurea (laureati del 2013) parlano chiaro: se si considerano anche coloro che sono in formazione retribuita, il tasso di occupazione raggiunge il 58,5% a fronte del 49% rilevato sul complesso dei laureati magistrali a ciclo unico. Mentre il tasso di disoccupazione si attesta al 28% (è il 30% a livello nazionale). La stabilità è addirittura del 59%, a fronte del 38% registrato sul complesso dei laureati e si caratterizzata soprattutto per una maggior presenza di lavoratori autonomi (il 54% dei veterinari rispetto al 26% dei dottori magistrali a ciclo unico, un dato su cui pesa l'incidenza di chi apre uno studio); mentre i contratti a tempo indeterminato interessano solo il 5% dei veterinari (è il 12% per gli altri laureati). Il guadagno mensile netto è pari a 731 euro netti mensili, a fronte dei 1.024 euro della media nazionale. A cinque anni dal titolo il tasso di occupazione cresce arrivando a coinvolgere il 91% dei veterinari mentre la stabilità lavorativa tocca l'85%: cresce ulteriormente la quota di lavoratori autonomi (l'80% a fronte del 50% della media) e si attesta invece al 5% la quota di coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato (è il 28% della media). Anche il guadagno mensile netto aumenta raggiungendo i 1.070 euro netti contro i 1.283 euro per il complesso dei laureati magistrali a ciclo unico. L'efficacia del titolo di studio secondo i laureati è molto elevata: secondo l'indagine AlmaLaurea a cinque anni dal titolo la quasi totalità dei veterinari (94%) dichiara il proprio titolo molto efficace. (Fonte: IlSole24Ore 27-08-15)

LAUREE CON ASSUNZIONE RESA DIFFICILE DAL NUMERO RIDOTTO DI LAUREATI
Sono 10 le professioni con “laureati introvabili”, ovvero quelle aree in cui l’assunzione è resa difficile dal numero ridotto di laureati. Il primo posto spetta alla figura dell’analista programmatore con il 55,4% di incidenza sul totale dei laureati, immediatamente seguita dal progettista elettronico con il 49,2% e dallo sviluppatore di software con il 40,0%. Troviamo poi il consulente di gestione aziendale, il programmatore informatico, il progettista meccanico e per concludere con il fisioterapista, l’infermiere, il progettista di software e l’educatore professionale. (Fonte: rapporto Excelsior di Unioncamere, novembre 2014)

FACOLTÀ CON IL PIÙ ALTO TASSO DI DISOCCUPATI A UN ANNO DALLA LAUREA
A svettare, con un notevole distacco sulle facoltà 'inseguitrici', è Giurisprudenza, con il 24%. Sul poco onorevole podio delle facoltà con il maggior numero di disoccupati salgono Psicologia (18%) e Lettere (15%). In un mondo del lavoro sempre più sbilanciato su professioni tecnico-scientifiche, le facoltà umanistiche diventano fucine di laureati deboli, poco adatti alle esigenze del mercato del lavoro. Le prime nove facoltà con il maggior numero di disoccupati a un anno dalla laurea sono tutte umanistiche: ai piedi del podio, infatti, ci sono Scienze sociali, Lingue e letterature straniere, Scienze della comunicazione e Scienze politiche, Arte e design e Filosofia, sei facoltà con un tasso occupazionale compreso fra il 14 e l'11%. Il consorzio AlmaLaurea sottolinea come "i dati non debbano essere intesi in senso assoluto: la bontà della scelta fatta al momento di intraprendere la carriera universitaria, infatti, non può e non deve esaurirsi nel solo feedback del dato occupazionale". "Nel bilancio post laurea – avverte - rientrano anche numerosi altri fattori. Innanzitutto la realizzazione personale e il bagaglio di competenze e conoscenze che ci accompagnano durante la nostra vita". (Fonte: corrierequotidiano.it 30-08-15)

LE INTENZIONI DEI NEOLAUREATI SECONDO L'ULTIMO RAPPORTO ALMALAUREA.
Il XVII Rapporto AlmaLaurea sul Profilo dei laureati italiani permette di indagare le prospettive di prosecuzione degli studi dopo il conseguimento del titolo di laurea indagando, attraverso la compilazione del questionario AlmaLaurea, gli intenti formativi dei laureati italiani del 2014. Intenzioni espresse al momento della laurea e che, nella maggior parte dei casi, come dimostrano le indagini del Consorzio, coincidono con la realizzazione del proseguimento degli studi. Da una prima analisi emerge che tra i fattori che influenzano le prospettive di studio dei laureati ancora oggi gioca un ruolo rilevante l’origine socioculturale, a tal punto che chi proviene da contesti culturalmente più favoriti è spinto in maggiore misura a proseguire gli studi dopo la laurea. Non stupisce pertanto che tra i laureati di primo livello con almeno un genitore laureato l’intenzione a proseguire riguardi 84 laureati su cento, contro il 69% tra chi ha genitori non laureati. Lo stesso accade tra i laureati di secondo livello (53% contro 41%). Nelle famiglie più istruite è certamente più elevata la sensibilità verso il valore della formazione e generalmente vi è una maggior possibilità di garantire un sostegno economico al giovane per un più lungo periodo. I dati del Profilo mostrano infatti che anche lo status sociale dei laureati influisce sulla scelta del percorso di studi fin dal momento dell’iscrizione all’università. Non a caso, tra i laureati del 2014, la quota di chi proviene da famiglie di estrazione più elevata scende attorno al 20% tra triennali e magistrali biennali, e tocca il 35% tra i magistrali a ciclo unico, le lauree che tradizionalmente conducono alle professioni liberali. (Fonte: IlSole24Ore - Scuola24 29-06-15)

LAUREATI. RETRIBUZIONI A UN ANNO E A CINQUE ANNI DAL TITOLO
Secondo i dati elaborati per Il Giornale da AlmaLaurea, il consorzio che riunisce 72 università italiane, a pagare di più a un anno dalla laurea sono pubblica amministrazione, industria chimica e metalmeccanica: da 1.230 a 1.375 euro netti al mese. Stanno decisamente peggio gli occupati nei servizi ricreativi, culturali e sportivi, e nei servizi sociali: in media non vanno oltre i 600 euro. Ma anche chi riesce a trovare un impiego nel commercio, nella pubblicità, nella comunicazione e nell'istruzione non naviga nell'oro: si parla di buste paga che non superano i 750 euro.
La fotografia diventa più precisa se si guarda agli stipendi dei laureati a cinque anni dal titolo di primo livello, quello triennale. Ecco, allora, i corsi che nel medio-lungo periodo si rivelano più «redditizi»: in testa Ingegneria con 1.500 euro netti al mese; seguono Economia e Statistica (1.420 euro), professioni sanitarie e area giuridica (intorno ai 1.400 euro di stipendio). All'opposto, lo scoglio non solo simbolico dei mille euro al mese lascia ultimi insegnanti e laureati in Lettere o Scienze motorie.
Più o meno lo stesso copione vale se anziché la laurea di primo livello si prende in considerazione quella magistrale (la cosiddetta «3+2», dal numero di anni di corso previsti). A passarsela meglio sono sempre gli ingegneri (guadagnano in media 1.700 euro dopo 5 anni), i laureati delle professioni sanitarie (1.600 euro) ed economia-statistica (1.500 a sempre a cinque anni dalla laurea). Più «poveri» gli psicologi (mille euro in media), così come i laureati in lettere e in scienze motorie: a 5 anni dalla laurea supereranno di poco la soglia dei mille euro. (Fonte: G. Susca, Il Giornale 07-09-2015)

MASTER IN BUSINESS ADMINISTRATION. CLASSIFICHE E SALARI DEGLI EX STUDENTI
Le classifiche, che riguardano Mba, master executive e business school di tutto il mondo, vengono stilate, periodicamente, dal Financial Times e da Business Week. Prendono in considerazione diversi parametri, quali il tasso di occupazione e il salario, che viene raggiunto dagli ex studenti conclusa, dopo un determinato periodo, l'esperienza formativa. Viene inoltre analizzato l'incremento retributivo ottenuto grazie al conseguimento del nuovo titolo di studio. Per ciò che riguarda le informazioni desumibili dalle classifiche, prendendo in esame il ranking Global Mba si scopre che un diplomato di una delle prime dieci scuole in classifica può aspirare a un salario compreso tra i 160 e i 180mila dollari l'anno: cifre che fanno segnare un incremento anche del 100% rispetto al lavoro svolto nel periodo pre-formazione. Nel caso della Sda Bocconi lo stipendio medio alla conclusione del corso è intorno ai 121mila euro l'anno. In genere il vantaggio  ottenuto ripaga in modo congruo l'investimento iniziale: fra spese d’iscrizione al master, costi di assicurazione, affitto di una stanza/alloggio e vitto, lo sforzo economico per chi decide di affrontare questo percorso è molto oneroso, soprattutto se la scelta ricade su un ateneo d'Oltreoceano. Oltre a quella del Financial Times, anche Business Week stila ogni due anni una classifica internazionale. L'ultima risale al 2014: al primo posto, con un podio che è arrivato a sorpresa, c'è il master della Fuqua School of Business della Duke Univesity di Duhram. Qui L'iscrizione è aperta a oltre 800 studenti al costo di 117mila dollari. Il salario a cui possono aspirare i candidati per il lavoro post-formazione guarda, però, ai 114mila dollari l'anno. (Fonte: M.C. Voci, IlSole24Ore 14-09-15)

NUOVA LAUREA IN GIURISPRUDENZA. 4+1 PER DIVENTARE AVVOCATI E NUMERO CHIUSO
Modifiche sostanziali si apprestano a cambiare il volto dei futuri corsi di laurea in giurisprudenza, come previsto dalla bozza di decreto predisposta dal Miur e già condivisa con la comunità scientifica. L’articolazione degli studi passerebbe dall'attuale corso unico in 5 anni a una doppia modalità di 3+2 anni e 4+1. Per chi vuole intraprendere la professione sarà necessario scegliere il 4+1, altrimenti basterà il 3+2.
Niente ciclo unico e due i corsi in sostanza: 3+2 con meno crediti formativi “vincolati” (a favore di quelli “liberi”), maggiori ambiti interni per costruire il personale percorso di studi e biennio specialistico con nuove discipline a vocazione “territoriale” e aperte alle reali esigenze di mercato; 4+1 per chi, invece, vuole intraprendere la carriera di avvocato o notaio, con numero “chiuso” per l’ultimo anno (quello della specializzazione al termine dei 4 anni), oltre alla possibilità di effettuare 6 dei 18 mesi di pratica necessari durante il corso di studi, come prevede la legge professionale forense (l. n. 247/2012). Minimo comune denominatore ad entrambi i percorsi universitari sarà la maggiore “specializzazione”: non più, dunque, formazione teorica e generalista, ma spazio ad un’offerta specifica in linea con le esigenze attuali del mercato del lavoro, in un’ottica di internazionalizzazione e anche di scambi culturali, soprattutto comunitari.
Il provvedimento arriverà in questi giorni sul tavolo di lavoro del Miur e dovrà essere esaminato e condiviso anche dal ministero della Giustizia. (Fonte: M. Crisafi, www.StudioCataldi.it 08-10-15)

NUOVO REGOLAMENTO SULLE SPECIALIZZAZIONI DEGLI AVVOCATI
Il nuovo regolamento sulle specializzazioni degli avvocati sarà operativo dal 14 novembre. Sono state infatti pubblicate ieri in Gazzetta Ufficiale n. 214 le nuove regole che il legale, che punta al titolo di specialista, sarà tenuto a seguire. Le aree di specializzazione specificate dal decreto n. 144/2015 sono in tutto 18: dal diritto di famiglia alla proprietà, dal diritto industriale a quello fallimentare fino al diritto dell’Unione Europea. L’avvocato potrà limitare la scelta a soli due settori da indicare al Consiglio dell’Ordine di appartenenza. Due anche i percorsi alternativi per conseguire la qualifica di specialista: da un lato, la frequenza di corsi di durata biennale, dall’altro la comprovata esperienza nel settore di specializzazione. In riferimento ai corsi, saranno le Università legalmente riconosciute, nei Dipartimenti di giurisprudenza, a stabilire i percorsi da sottoporre al ministero della Giustizia, ai fini della valutazione dei programmi didattici. A mettere a punto i programmi volti a formare gli avvocati specialisti, sarà una commissione permanente composta da sei esperti: due magistrati nominati da via Arenula, due avvocati scelti dal Cnf e due professori universitari su selezione del Miur. Gli stessi corsi verranno poi organizzati d’intesa, stipulando specifiche convenzioni, con il Consiglio nazionale forense o con i consigli degli ordini degli avvocati. (Fonte: LeggiOggi 17-09-15)

LA RICORRENTE PROPOSTA DI ABOLIRE IL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO
Abolire il valore legale del titolo di studio è una battaglia contro nemici forti e agguerriti: gruppi studenteschi, lobby dei docenti universitari, forze politiche di entrambi gli schieramenti. Non a caso l'emendamento alla riforma della pubblica amministrazione presentato dal senatore Pd, Marco Meloni, che apriva al principio di differenziazione degli atenei, è stato sommerso da un coro di critiche pretestuose. Eppure, la condizione del nostro sistema universitario richiederebbe un confronto a tutto campo, non viziato da veti corporativi e pregiudiziali ideologiche. Negli USA Il sistema universitario si fonda su regole di mercato: le università si disputano i professori migliori con totale libertà retributiva. L'equilibrio finanziario è assicurato da alte rette e da un esteso meccanismo di donazioni, fiscalmente incentivato. Una quota cospicua delle risorse pubbliche destinate all'istruzione superiore, per altro verso, finanzia direttamente gli studenti sotto forma di borse di studio e prestiti, e non gli atenei (da noi avviene il contrario). Beninteso, questo modello esclude sia il valore legale del titolo di studio sia il ruolo unico pubblico dei cattedratici. Il primo presuppone e determina l'altro. Il valore legale del titolo di studio, infatti, implica la natura di impiegati pubblici di coloro che devono rilasciarlo. Già settant'anni fa Luigi Einaudi aveva proposto di abolire con un semplice tratto di penna il valore legale dei titoli di studio, fatta salva la necessità di una certificazione pubblica per l'esercizio di professioni legate alla salute e alla sicurezza dei cittadini. Per lo statista piemontese era una di quelle riforme a costo zero, coerenti con la migliore tradizione del riformismo liberaldemocratico. (Fonte: M. Magno, ItaliaOggi 18-09-2015)

SUL VALORE LEGALE DEI TITOLI DI STUDIO
Sul valore legale dei titoli di studio esiste uno studio dettagliato commissionato dal Senato e il risultato della consultazione on-line promossa dal Governo Monti, finita con una nettissima vittoria di pareri contrari all’abolizione. Nel documento conclusivo del lungo lavoro di studio ed audizioni della Commissione Cultura del Senato, veniva detto inequivocabilmente che al momento non è adottabile l’abolizione. Il punto 10 delle conclusioni riportava:
“Queste considerazioni portano a ritenere che adottare oggi nel nostro Paese l’abolizione del valore legale della laurea presenterebbe, a fronte dei benefici conseguenti alla liberalizzazione del sistema universitario e alla piena autonomia delle università, vari cospicui aspetti negativi, complessivamente prevalenti: le indubbie difficoltà della realizzazione legislativa, una tempistica non congrua rispetto al recentissimo avvio dell’ANVUR, una non favorevole accettazione da parte di sindacati e ordini professionali, ma soprattutto da parte degli studenti e delle famiglie, una probabile penalizzazione delle università territorialmente svantaggiate, la probabile insorgenza di maggiori difficoltà in ordine alla fruizione di una formazione universitaria di alta qualità per i giovani residenti nelle regioni del Mezzogiorno, un probabile aumento dei costi universitari a carico degli studenti, una maggiore difficoltà di garantire il diritto allo studio degli studenti capaci e meritevoli ma sprovvisti di mezzi. A quest’ultimo riguardo si ribadisce la fondamentale importanza dell’obiettivo costituzionale di garantire a tutti nostri giovani pari opportunità nell’accesso anche ai più alti livelli della formazione: la qualità non può essere privilegio di pochi. Questo principio di uguaglianza ispira profondamente la nostra Costituzione ed è il presupposto di base del metodo meritocratico.”
Sempre la Commissione del Senato concludeva con un’apertura all’abolizione, ma solo dopo la garanzia di alcuni prerequisiti, tra cui “mettere a disposizione maggiori risorse per la realizzazione piena del diritto allo studio”. (Fonte: G. Pastore, Roars 26-09-15)

SUL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO. L’OPINIONE DI G. LUZZATTO
Sia i sostenitori dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, sia molti di coloro che si scagliano contro tale ipotesi non si rendono conto che stanno parlando del nulla. Al proposito, Roars ha già contribuito alla diffusione di una intervista (a “Il Sussidiario”, 24/04/2012) nella quale Carla Barbati affermava che “parlare di abolizione del valore legale del titolo di studio di per sé è un non-problema, perché quell’espressione si riferisce ad un oggetto non definito e non identificabile: non esistono … leggi che chiaramente conferiscano questo supposto valore legale”. Ciò risulta, del resto, ampiamente documentato e discusso nella Relazione conclusiva (ivi, cliccare su Allegato) della Indagine conoscitiva svolta nello stesso anno 2012 dalla Commissione VII del Senato. Il c.d. “valore legale” della laurea consiste soltanto nelle norme che ne richiedono il possesso per chi intenda accedere agli Ordini delle professioni regolamentate, tramite l’esame di Stato, ovvero ai livelli alti del pubblico impiego; si tratta di una condizione necessaria, non sufficiente, in quanto sia la regolamentazione sull’accesso agli Albi sia i bandi del pubblico impiego prevedono prove di esame in aggiunta al possesso del titolo. Nessuno tra gli “abolizionisti” dichiara di volere medici non laureati in medicina, o reclutamento dei dirigenti pubblici con il solo titolo secondario, sicché il discorso potrebbe anche chiudersi qui. (Fonte: G. Luzzatto, Roars 04-10-15)


RECLUTAMENTO

UNIVERSITÀ DEL SUD. IN QUATTRO ANNI PERDONO 281 PUNTI ORGANICO
La nostra Università vive uno stato di emergenza complessiva, ma in alcune zone del paese, il Sud in particolare, questa situazione è particolarmente grave. La ragione risiede nelle diverse condizioni di partenza degli atenei del Sud, ma soprattutto a causa degli “indicatori” di valutazione utilizzati per lo stanziamento delle poche risorse disponibili che hanno notevolmente sfavorito gli atenei meridionali. In sostanza in questi anni di riduzione costante delle risorse si è verificato un processo di redistribuzione delle stesse a svantaggio della maggioranza degli atenei del Sud. Consideriamo ad esempio il caso dei punti organico, che riguardano direttamente la possibilità di un ateneo di assumere e cioè di ricambiare e ringiovanire la propria classe docente. In questi anni le politiche premiali hanno pesantemente sfavorito gli atenei meridionali. Solo quest’anno lo “stacco” di PO tra atenei del Centro Nord e del Sud è di 18 punti percentuali (calcolati rispetto alla distribuzione che si avrebbe se il tetto massimo fosse stabilito a livello di ateneo e non di sistema). Caso emblematico è quello della Sicilia che perde ben 29 punti organico e della Campania che si assesta a -19. All’indomani dell’assegnazione 2015, questo è il travaso complessivo prodotto dai perversi meccanismi dei punti organico. Complessivamente in 4 anni il Sud perde 281 punti organico, il Centro 60 mentre il Nord ne guadagna 341 con un privilegio particolare per la Lombardia e per le cosidette università speciali. (Fonte: F. Sinopoli e A. Campailla, www.flcgil.it 03-09-15)

IL DESTINO DI 341 PUNTI ORGANICO
Il titolo di un articolo di Roars di non troppo tempo fa, “Punti organico: in 4 anni il Nord si è preso 700 ricercatori dal Centro-Sud”, è molto efficace, ma come si spiega bene nell’articolo stesso, quel “700 ricercatori” non è che l’equivalente di 341 punti organico. Sappiamo bene che le università non hanno certo usato tutti quei punti né per trasferire ricercatori da Sud a Nord né, tantomeno, per assumere 700 nuove unità di personale. L’autore dell’articolo attuale si è proposto di vedere come le università hanno usato quei punti organico. La sua conclusione è che i 341 punti organico supplementari sono stati utilizzati solo marginalmente per l’assunzione o il trasferimento di nuovo personale, ma sembrano essere stati impiegati prevalentemente per favorire gli scorrimenti da RU a PA nelle università del Nord e, in misura minore, sempre rispetto al Centro-Sud, per limitare la perdita di PO e per inquadrare qualche RTD-b in più. (Fonte: P. Francalanci, Roars 05-10-15)


RETRIBUZIONI

SCATTI STIPENDIALI DEL PERSONALE UNIVERSITARIO. LETTERA DEL PRESIDENTE DELLA CRUI AL MINISTRO GIANNINI
Dopo che quasi tutte le categorie di lavoratori pubblici hanno visto ripristinati i propri scatti stipendiali, ne restano ancora esclusi gli appartenenti al personale universitario, con un danno economico estremamente rilevante specie per i più giovani, destinato a incidere in modo significativo - fra l'altro - sul trattamento pensionistico.
Sul punto Roars ha segnalato la lettera del Presidente della CRUI, Stefano Paleari, al Ministro Giannini. Qui http://tinyurl.com/pvt453g.
Si veda anche quanto si prospetta con la legge di stabilità nella nota qui pubblicata nella rubrica IN EVIDENZA.


RICERCA. RICERCATORI. VALUTAZIONE DELLA RICERCA

PUBBLICAZIONI A PIÙ AUTORI. COME CALCOLARE IL CONTRIBUTO DATO DA CIASCUNO
Quanti autori contribuiscono veramente alla stesura di un articolo e cosa significa essere autore nelle diverse discipline? E’ la domanda che si pone un recente articolo sul Wall Street Journal di R.L. Hotz  ripreso da R. Holmes nel suo blog University Ranking Watch per denunciare le ripercussioni di quella che definisce come authorship inflation sui ranking internazionali. In un certo senso è anche la domanda che si pone Phil Baty, editor dei THE World University Rankings. L’inclusione di lavori di ricerca con un numero elevato di autori mentre non muta la posizione di grandi università multidisciplinari, potrebbe avere effetti distorsivi sul posizionamento di istituzioni con un numero molto più esiguo di pubblicazioni. Per questo motivo THE ha deciso di escludere nell’edizione 2015-16, i lavori di ricerca con più di 1000 autori, riconoscendo tuttavia l’imperfezione di questo tipo di soluzione. Editori, ricercatori ed organismi che si occupano di come descrivere al meglio le attività di ricerca definendo gli standard (ad esempio CASRAI Consortia Advancing Standards in Research Administration Information) si sono posti il problema di come descrivere chi ha fatto cosa all’interno di un lavoro di ricerca. Con questa finalità è nato il progetto CRediT. Ormai sono molti gli editori che in fase di submission di un articolo chiedono di esplicitare chi ha fatto cosa e riportano questa informazione in calce all’articolo quando viene pubblicato. Alcuni fanno ciò secondo un format strutturato, altri richiedono invece semplicemente di compilare una stringa di testo. Affinché tuttavia questa informazione possa essere utilizzata per analisi su larga scala e per elaborazioni di grandi numeri di articoli è necessaria una standardizzazione della tassonomia utilizzata e la possibilità di esprimerla in un linguaggio leggibile dalle macchine. Nel 2012, a seguito di un workshop organizzato da Wellcome Trust e Università di Harvard, che metteva insieme diversi stakeholders (editori, enti finanziatori della ricerca, ricercatori) interessati ad analizzare diversi modelli di attribuzione degli articoli, è stato avviato un progetto pilota per lo sviluppo di una tassonomia per la descrizione delle diverse attività che ruotano intorno alla stesura di un articolo. (Fonte: P. Galimberti, Roars 01-10-15)

A RICERCATORI ITALIANI IL 9,2% DI 4,5 MLD DA PROGETTO HORIZON 2020
"C'è una comunità di ricercatori fortissima in Italia, che forse è il momento di riconoscere e valorizzare meglio, aprendoci ai giovani, mettendo nuovi posti a concorso. Questa comunità è assolutamente in grado di competere". Lo ha detto la ministra dell'Istruzione, Stefania Giannini, intervenuta nel corso dell'evento 'Expo dopo Expo'. "Dall'Unione Europea sono stati stanziati i primi 4,5 miliardi per il grande progetto 'Horizon 2020'. L'Italia, anzi i nostri ricercatori, hanno preso il 9,2% di Horizon, un punto in più di quello ottenuto l'anno scorso, e si può arrivare anche al 10%, ci sono tutte le condizioni. I nostri hanno avuto il risultato più straordinario, battendo tedeschi, inglesi e francesi". (Fonte: ANSA 10-10-15).

SUCCESSI E CRITICITÀ DELLA RICERCA IN ITALIA
A fare il punto su elementi di forza e criticità della Ricerca&Sviluppo in Italia è Andrea Lenzi, presidente del CUN, a margine del Convegno “Il valore della ricerca, la creazione di opportunità. Pubblico e privato uniti per la ricerca made in Italy” organizzato a Catania. “La ricerca italiana è quantitativamente significativa e apprezzata a livello internazionale – ha detto – siamo ottavi al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche e la media di citazioni ottenute da questi lavori è comparabile a quella di Germania e Francia, ed è particolarmente elevata nelle aree dell’ingegneria e della medicina. E i ricercatori italiani sono un asset di grande valore”. Ma quante sono le persone impiegate in attività di R&S? Secondo dati emersi nel corso dell’evento nella città siciliana, sono più di 240mila, un numero troppo basso rispetto al fabbisogno e al confronto europeo, ma in crescita del 5,3% (2012 su 2011, dati Istat 2014).  I ricercatori, e gli investimenti pubblici in ricerca in generale, si distinguono per una produttività molto superiore alla media degli altri Paesi, espressa sia in termini di quantità di pubblicazioni scientifiche sia di citazioni ricevute. Ma non mancano anche punti di debolezza. È basso il rapporto tra Spesa per Ricerca e Sviluppo (R&S) e Prodotto interno lordo: nel 2012 la spesa in R&S è stata di 20,5 miliardi di euro (+1,9% rispetto al 2011), ed è pari all’1,26% del Pil, lontano dall’obiettivo italiano del 1,53% e dall’obiettivo Eu del 3% entro il 2020.
È inoltre particolarmente bassa la spesa in R&S delle imprese, che investono lo 0,68% del Pil contro una media Eu dell’1,27%. (Fonte: http://www.quotidianosanita.it 22-10-15)

VQR. NON IDONEA PER MISURARE L’EFFICIENZA DEGLI ATENEI
E’ indubbio che un processo di valutazione della qualità della ricerca (VQR) sia utile; ma le critiche mosse alla VQR avrebbero dovuto suggerire che non era opportuno trasformarla in un indicatore decisivo per effettuare sensibili tagli di bilancio a molti atenei, con una procedura che trova riscontri molto limitati negli altri paesi europei. Ma anche ammesso (e non concesso) che la VQR sia perfetta, i suoi numeri indicano che la qualità assoluta della ricerca svolta in un determinato periodo di tempo, in una
determinata area scientifica di un determinato ateneo è “migliore” che altrove; dunque, può essere considerato uno strumento per l’allocazione di risorse aggiuntive finalizzate alla ricerca in quella determinata area scientifica non uno strumento per misurare l’efficienza degli atenei. Quest’ultima richiederebbe di rapportare la ricerca realizzata agli input disponibili: alla presenza di collaboratori di ricerca (il rapporto fra assegnisti di ricerca/ricercatori a tempo determinato e personale docente è estremamente squilibrato nelle università italiane), alla disponibilità di attrezzature scientifiche, ai tempi disponibili per la ricerca (correlati negativamente al carico didattico e al rapporto studenti/docenti, anch’esso assai squilibrato) e all’acquisizione di risorse finanziarie non competitive (ad esempio da Fondazioni o Enti Locali). Quegli indicatori non misurano cioè il “merito” inteso come capacità di raggiungere risultati migliori a parità di risorse disponibili e per questo non sono una buona guida per allocare le risorse ordinarie di funzionamento. (Fonte: G. Viesti, Roars 06-09-15)

RICERCA. ABERRANTE PARAGONARE ALL’OZIO IL LAVORO INFRUTTUOSO DI UN RICERCATORE CHE HA PURE LAVORATO CON IMPEGNO
L’innovazione proviene proprio da dove nessuno si aspettava. Se tutti seguissero la stessa strada le possibilità di sviluppo del pensiero scientifico sarebbero veramente remote. La ricerca scientifica progredisce solo per il lavoro cumulativo di tantissimi scienziati meno noti che nell’ombra esplorano con curiosità e impegno tutte o quasi tutte le ipotesi percorribili, interagendo, comunicando, influenzandosi a vicenda. La grande scoperta nasce spesso da tale contesto, verrà magari attribuita a un singolo, ma è il frutto di un lavoro collettivo che sta alla base del progresso. Il ricercatore che finisce in un vicolo cieco, che imbocca una strada rivelatasi infruttuosa, non rappresenta uno spreco di risorse: quella strada andava comunque esplorata e il suo lavoro è stato utile per la collettività e per i suoi colleghi che seguiranno altre strade. E’ aberrante paragonare all’ozio il lavoro infruttuoso di un ricercatore che pure ha lavorato con impegno, magari a un problema molto difficile, senza ottenere “prodotti” di ricerca apprezzabili nell’immediato. E’ come in un labirinto: uscirne da soli è impossibile, ma se si è in molti a tentare qualcuno prima o poi troverà l’uscita, per la legge dei grandi numeri. Sono i numeri che oggi più che mai mancano in Italia: solo aumentando fondi, ricercatori, docenti e studenti il sistema nazionale potrà essere competitivo a livello internazionale. E pazienza se qualcuno apparentemente “perderà tempo” a pensare, forse dovremmo proprio tornare tutti a pensare. (Fonte: F. Siringo, Roars 09-09-15)

VALUTAZIONE DELLA RICERCA. L’ANALISI CITAZIONALE NON È SUFFICIENTEMENTE ROBUSTA  PER LA DEFINIZIONE DELL’IMPATTO DELLA RICERCA
Il bando per la VQR 2011-2014 prevede che almeno il 50% delle pubblicazioni venga valutato in maniera automatica, basandosi sulle citazioni del prodotto e sugli indicatori dell’impatto della rivista.
La finestra temporale presa in considerazione per la prossima VQR sarà dal 2011 al 2015: 5 anni nel migliore dei casi, per gli articoli di inizio 2011. Se si presta fede ad un recente studio, “Citation window choice for research impact“, per finestre citazionali piccole (ad esempio 4-5 anni) e recenti, l’analisi citazionale non è sufficientemente robusta, anche in presenza di normalizzazioni per ambito disciplinare, e può condurre a risultati che si invertono se si utilizzano finestre citazionali più lunghe. (Fonte: P. Galimberti, Roars 13-09-15)

I.R.ID.E. (ITALIAN RESEARCH IDENTIFIER FOR EVALUATION) GARANTIRÀ LA CERTIFICAZIONE UNIVOCA DEI PRODOTTI DELLA RICERCA
Il progetto I.R.ID.E.(Italian Research IDentifier for Evaluation) è nato dalla collaborazione tra Anvur, Crui e Cineca, con l'obiettivo di dotare i ricercatori italiani del codice di identificazione internazionale ORCID (Open Researcher and Contributor ID), che garantirà la certificazione univoca dei prodotti della ricerca. Il lancio del progetto coincide con l'avvio del nuovo esercizio di valutazione della qualità della ricerca (VQR 2011-2014), realizzato dall'Anvur secondo le Linee guida contenute nel Dm. 458/2015. Il codice di identificazione internazionale ORCID consiste in un codice d'identificazione alfanumerico dei ricercatori che confluisce in un registro gratuito, aperto e indipendente, gestito a livello internazionale dall'omonima organizzazione no-profit. Ha la prerogativa di legare in maniera inequivocabile ciascun ricercatore ai propri prodotti di ricerca (articoli, brevetti, citazioni, esperimenti), prescindendo dal settore disciplinare e dai confini nazionali. L'adozione di ORCID dovrebbe scongiurare rischi di errore e ambiguità, soprattutto in merito alla paternità degli articoli pubblicati su riviste scientifiche, alla richiesta di finanziamenti, alla registrazione di brevetti, agli esercizi di valutazione nazionali e di ateneo. Già diffuso a livello internazionale (i ricercatori attualmente in possesso di ORCID sono circa 1,3 milioni), il nuovo codice mira ad aggirare le problematiche riscontrate in passato nell'interrogazione delle banche dati bibliometriche: omonimie, modifiche e traslitterazioni da sistemi di scrittura diversi, i cui effetti sono stati acuiti dalla mancata attuazione dell'Anagrafe nazionale della ricerca e dall'incompletezza delle banche dati sulle pubblicazioni oggi esistenti.
Coinvolti nel progetto saranno oltre 70 Università e quattro centri di ricerca italiani, impegnati (nella prima fase) nel consentire a tutti i ricercatori del sistema accademico nazionale di accedere al registro ORCID. In una seconda fase saranno coinvolti anche dottorandi e assegnisti di ricerca. L'intero processo dovrebbe concludersi entro il 2016. (Fonte: A. Lomabardinilo, rivistauniversitas sett. 2015)

PNR-PROGRAMMA NAZIONALE PER LA RICERCA 2015-2020. F. ONIDA PARLA DELLA “BOZZA NON DIVULGABILE” DEL DOCUMENTO GIUNTA ALLA SUA TERZA EDIZIONE
Il PNR-Programma Nazionale per la Ricerca 2015-2020 si propone ambiziosamente come “architettura strategica” di tutti gli interventi sulla ricerca, puntando a ricavare quasi 9 miliardi in sette anni dagli 80 previsti dai fondi europei (Horizon 2020: il nuovo nome del Programma Quadro 2014-2020). Ma purtroppo si fatica a districarsi nelle 89 pagine della “bozza non divulgabile” del documento (luglio 2015) – peraltro giunta alla sua terza edizione da quella iniziale varata nel gennaio 2014 dall’allora ministra Maria Grazia Carrozza subito prima di passare le mani all’attuale ministra Stefania Giannini – per trovare una chiara traccia di pochi specifici grandi progetti di collaborazione innovativa pubblico-privato, capaci di costruire una «piattaforma per guidare la competitività industriale e lo sviluppo del Paese attraverso gli strumenti della conoscenza», nello spirito di un moderno «Stato catalizzatore» dei processi innovativi del mercato.
(Fonte: F. Onida, IlSole24Ore-Commenti e Inchieste 20-09-15)

DISEGNO DI LEGGE. MODIFICA ALL'ARTICOLO 24 DELLA LEGGE 30 DICEMBRE 2010, N.240, IN MATERIA DI RICERCATORI A TEMPO DETERMINATO
Art. 1. (Modifica all'articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, in materia di ricercatori a tempo determinato)
1. All'articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
b) contratti triennali non rinnovabili, riservati a candidati che hanno ottenuto l'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia ovvero che hanno usufruito o sono titolari di contratti di cui alla lettera a), ovvero, sono stati titolari, per almeno tre anni anche non consecutivi, di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, o di assegni di ricerca ai sensi dell'articolo 22 della presente legge, o di borse post-dottorato ai sensi dell'articolo 4 della legge 30 novembre 1989, n. 398, ovvero di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri».
Art. 2. (Entrata in vigore)
Dalla presentazione del DDL d’iniziativa dei senatori Pagliari, Fedeli, Puglisi ed altri:
Appare irragionevole, nonché discriminatorio, valutare come titoli utili ai fini della partecipazione al concorso per ricercatore i soli assegni conseguiti nel vigore dell’articolo 51 della legge n. 449 del 1997 e non anche quelli conseguiti a normativa attualmente vigente. Pertanto, il presente disegno di legge si propone di introdurre una modifica al fine di consentire un'applicazione delle disposizioni in oggetto orientata al principio del favor partecipationis, consentendo così l'estensione al maggior numero di precari della ricerca universitaria la possibilità di accedere ai contratti di ricercatore senza privilegiare i soli assegnisti di cui alla legge n. 449 del 1997. Allo stesso tempo pare ragionevole estendere l'accesso anche a tutti i soggetti in possesso di abilitazione scientifica: costoro, infatti, dispongono già del titolo che sarebbe loro richiesto alla fine del rapporto in vista della trasformazione in professori associati. (Fonte: http://tinyurl.com/nqcm598)

VALIDO IL CRITERIO DI ATTRIBUZIONE PARITARIA AI COAUTORI DEI LAVORI COLLETTIVI
Si definiscono pubblicazioni in collaborazione quelle redatte da diversi autori, che possono essere due ma anche di più. Di queste pubblicazioni se ne fanno tante, specie in certi settori disciplinari, ma, proprio per il fatto di essere il risultato del contributo di diversi autori, c'è chi tende a sminuirne il valore, sul presupposto dell'impossibilità o dell'estrema difficoltà di stabilire l'apporto dei singoli studiosi. E’ ora intervenuta su questa materia una sentenza del Tar del Lazio, sez. III, n.11339 del 22 settembre 2015. A suscitare la decisione del Tribunale è stato un ricorso contro il Miur, avverso l'esclusione dalla docenza presentato da uno studioso, la cui produzione scientifica era costituita da pubblicazioni scritte in collaborazione con altri autori (per la precisione ben 14 delle 18 presentate). Proprio tale circostanza era stata giudicata decisiva nel determinare l'esito sfavorevole della procedura, stante che, secondo il criterio prefissato dalla Commissione, le predette pubblicazioni in collaborazione erano "non valutabili" per l'impossibilità di stabilire con certezza l'apporto individuale del candidato. Viceversa, i giudici del Tar, nell’accogliere il ricorso, hanno ritenuto tale criterio, come il giudizio finale della commissione stessa che ne è derivato, "essere in evidente contrasto rispetto ai dettami e alla prassi seguiti dalla comunità scientifica di riferimento e all'impostazione editoriale, seguita a livello internazionale dalle primarie riviste scientifiche del settore". Il Collegio ha concluso aderendo pienamente alla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui "sono le caratteristiche del settore disciplinare e la volontà degli stessi coautori, implicita nella mancata specifica attribuzione di apporti più chiaramente distinguibili, a fare ritenere assolutamente equivalente il loro apporto (come evenienza normale) e quindi, giustificato e razionale il criterio di attribuzione paritaria ai coautori dei lavori collettivi". (Fonte: R. Tomei, Il Foglietto 01-10-15)


SISTEMA UNIVERSITARIO. PROPOSTE DI RIFORMA

RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ. DUE SCUOLE DI PENSIERO
«Ci sono due scuole di pensiero: una che prevede di tramutare immediatamente tutte le università in Fondazioni. Lo potremmo fare domattina. L'altra che vuole arrivare allo stesso risultato, abrogare tutti i vincoli legati alla pubblica amministrazione, e presuppone un intervento legislativo di ‘esclusione'. Ogni norma riferita alla p.a. se non cita università e ricerca non vale». (Fonte: F. Puglisi, responsabile della Scuola del Pd intervistata da QN 23-10-15)

CRUI. RIPRISTINARE LA COMPETITIVITÀ INTERNAZIONALE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
«Nonostante il disegno di Legge di Stabilità affronti il nodo cruciale del ricambio generazionale nei nostri atenei, il finanziamento complessivo è ancora molto al di sotto della soglia necessaria per ripristinare la competitività internazionale del sistema», ha detto Manfredi. Arriveranno 1.500 cervelli, è vero, tra 500 professori «eccellenti» e mille nuovi ricercatori. A fronte, però, di 10mila uscite negli ultimi 8 anni.
«Per aprire realmente una nuova fase – ha dichiarato Manfredi, presidente della CRUI - è necessario che l’impegno da parte del governo venga confermato». Una prova di buona volontà. In quanto tale, positiva, così come lo sblocco degli scatti stipendiali previsto dallo stesso ddl. Anche questa misura «risponde alle legittime attese dei docenti». Esiste però, sottolineano i rettori, «una questione retributiva che vede in primo piano i docenti più giovani con i loro diversi percorsi e il rinnovo contrattuale del personale tecnico amministrativo, alla quale va data presto una risposta». Resta poi aperto il capitolo del diritto allo studio, che nella manovra non è menzionato e che invece secondo Manfredi va affrontato al più presto: «È necessario sottoporre a un’attenta verifica il sistema di calcolo degli indicatori Isee e individuare fonti di finanziamento adeguate, da parte di Regioni e Governo Centrale, in modo da garantire la borsa di studio a tutti gli aventi diritto». (Fonte: www.corriere.it/scuola/università 22-10-15)

CUN AUSPICA UN RILANCIO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Il CUN (Consiglio Universitario Nazionale) è intervenuto sulla discussione della legge di stabilità, che sta per approdare in Parlamento. Dopo aver tracciato un quadro delle difficoltà in cui versa il sistema, suggerendo l'inadeguatezza delle misure estermporanee della legge di stabilità nell'affrontarle, il CUN auspica "che venga disposto un progetto di rilancio del sistema universitario, che preveda quanto meno:
-  l’assunzione di un numero adeguato di Ricercatori di cui all’art. 24, comma 3, lett. b) della l. n. 240/2010 (Tenure Track);
-  il finanziamento della seconda tranche del piano straordinario per la chiamata di Professori di seconda fascia previsto dalla legge 13 dicembre 2010, n.220 (legge di stabilità 2011) e
    l’attivazione di un piano straordinario per il reclutamento di Professori di prima fascia;
-  la previsione di finanziamenti che garantiscano agli Studenti capaci e meritevoli il diritto allo studio, sia aumentando il numero di borse di studio, con un importo adeguato al costo della vita, sia investendo nelle strutture;
-  la rimozione del blocco degli scatti stipendiali;
-  il rinnovo dei contratti del Personale tecnico-amministrativo.
In merito al "preannunciato reclutamento di poche centinaia di Professori universitari di prima e di seconda fascia" il CUN invita il legislatore a non prevedere "ulteriori, speciali modalità di selezione e valutazione".
(Fonte: CUN 22-10-13)



STUDENTI

RAPPORTO EURYDICE
E’ stato pubblicato il rapporto Eurydice (National Student Fee and Support Systems in European Higher Education 2015/16. Eurydice – Facts and Figure) che fotografa il panorama di tasse universitarie e forme di supporto agli studenti in Europa. Il nostro Paese resta al terzo posto come importi medi delle tasse, dopo Inghilterra e Paesi Bassi, e solo l’8% degli studenti ha diritto a una borsa di studio. I due grafici seguenti (fig. 3 e 5) illustrano bene la situazione. (Fonte: European Commission/EACEA/Eurydice, Oct. 2015. National Student Fee and Support Systems in European Higher Education, Eurydice Facts and Figures. Luxembourg: Publications) 




STUDENTI. CALO DELLE BORSE DI STUDIO CON IL NUOVO ISEE
Mesi fa era stata già paventata l’idea che le nuove riforme avrebbero portato a un calo della distribuzione delle borse di studio tra i richiedenti, ma il ministero del Lavoro aveva parlato di appena un 10% in meno, e invece nel giro di pochi mesi questa percentuale ha subito poco più di un raddoppio. Il tutto inizia dal nuovo modello Isee, entrato in vigore dal gennaio 2015. Il motivo di questo cambiamento era dovuto alla lotta contro l’evasione, che in Italia si manifesta in percentuali molto alte, e quindi è stato modificato il calcolo dell’indicatore della situazione economico-patrimoniale dell’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente). Questo ha portato a mettere già fuori gioco molti studenti, e quindi non solo ci sarà un calo degli aventi diritto alle borse di studio, ma al contempo stesso, ci sarà anche un quantitativo di domande nettamente inferiore agli anni passati, in quanto molti ragazzi sono già consapevoli di non rientrare più nei requisiti necessari per ottenere la borsa di studio dell’Università 2015/2016, perché risultanti più ricchi rispetto all’anno precedente (senza però esserci un effettivo arricchimento familiare). (Fonte: www.correttainformazione.it 09-09-15)

NUOVE MODALITÀ DI CALCOLO DELL’ISEE. 30MILA GLI ESCLUSI DALLE BORSE DI STUDIO SECONDO LE ASSOCIAZIONI STUDENTESCHE
Le nuove modalità di calcolo dell’Isee, come avevano denunciato le associazioni degli studenti, stanno facendo crollare il numero degli aventi diritto: è cambiata, in particolare, la modalità di calcolo della casa nel reddito familiare, tagliando la possibilità di accedere al contributo, anche se il reddito dello studente non è cambiato. Sarebbero addirittura 30 mila gli esclusi, quest’anno, secondo i calcoli delle associazioni studentesche. Numeri drammatici, secondo i dati pubblicati da Aziende per il diritto allo studio Universitario di diverse città e rielaborate dalle organizzazioni studentesche: nella Regione Lazio, su 24 mila domande presentate per la borsa di studio risulterebbero ben 11 mila esclusi. Gli studenti che non avranno aiuto economico per affrontare l’anno accademico sono il 25% a Cagliari. In Toscana, rispetto al 2014/15 le domande di borsa di studio sono crollate di 1349 unità, a Firenze di 990, a Siena e addirittura di più di 1800 a Pisa. Analoga situazione in Veneto. Gli idonei erano 1332 nel 2014/15 e si sono ridotti alle sole 880 unità quest’anno con una flessione negativa del 39%. In Puglia, calo di domande del 30% a Bari, e del 23 % a Lecce. A Milano, tra Statale e Bicocca, le domande di riconferma di alloggio calano del 15%. (Fonte: A. De Gregorio, CorSera Università 17-09-15)

UNA PROPOSTA PER CORREGGERE LE CONSEGUENZE DELLA NUOVA ISEE
Con il DPCM 159/2013 è cambiata radicalmente la modalità di calcolo del valore Isee, l'Indicatore della Situazione Economica Equivalente, utilizzato per l'accesso alle agevolazioni economiche nell'università e ai trattamenti speciali per il diritto allo studio. Le nuove modalità di calcolo hanno infatti comportato in tutte le regioni d'Italia un generale aumento dei valori Isee degli studenti universitari, dovuto in larga parte alle rivalutazioni catastali dei propri immobili. Come Clds (Coordinamento Liste per il Diritto allo Studio) per mesi al Cnsu abbiamo chiesto, inascoltati, soluzioni puntuali e costruttive, che non prevedano la modifica della normativa in corso d'opera (una misura che si rivelerebbe dannosa e controproducente). La soluzione più realistica ad oggi è quella di intervenire direttamente sui bandi regionali — dove presente un'azienda regionale per il diritto allo studio.
In seguito all'innalzamento dei valori Isee infatti, le aziende regionali hanno visto una consistente riduzione della platea dei propri beneficiari: da questa contrazione gli enti regionali hanno realizzato un risparmio di risorse (le borse mai assegnate).
Ciò che proponiamo è che gli Enti regionali facciano a questo punto un nuovo bando con le risorse residue, assegnando però questa volta le borse di studio a partire dall'Isee più basso e fino al valore più alto consentito dalle risorse disponibili, a prescindere da qualunque soglia. (Fonte: Clds, Sussidiario.net 13-09-15)

STUDENTI. ACCESSO AI CORSI DI LAUREA. ISCRITTI AI TEST E POSTI A DISPOSIZIONE
Il dato più significativo riguarda Medicina: 60.639 aspiranti all’accesso, nel 2014 erano stati 64.187. Al contrario è cresciuta Veterinaria, da 6.940 aspiranti a 7.818. E tiene Architettura (10.994 invece di 11.884), dove però la riduzione è sul lungo periodo (dimezzati gli aspiranti in cinque anni, nel 2011 erano addirittura 23 mila). Diventare medico, però, rimane comunque non facile, non soltanto per la difficoltà dei test, perché c’è anche la diminuzione dei posti disponibili: 9.513 rispetto ai 9.983 del 2014. A Medicina Veterinaria invece la disponibilità è in linea col 2014. E potrebbero essere di più gli studenti a tentare l’accesso ai 25 mila posti di Professioni sanitarie. (Fonte: La Stampa 02-09-15)

TEST DI AMMISSIONE AI CORSI DI LAUREA. CONDANNA DEI TEST TRUCCATI, MA NECESSITÀ DI MANTENERE UN MECCANISMO DI SELEZIONE
Nei siti web delle associazioni studentesche campeggia un'infinita sequenza di accuse al "sistema" e di peana contro l'intollerabile ingiustizia di un semplice meccanismo di selezione (il test d’ingresso ai corsi di laurea), che raggiunge il suo zenit con presunte ricerche scientifiche sulla solitudine, il disagio psichico e l'alta probabilità di ammalarsi di depressione dei poveri studenti che decidono di sottoporsi ai test d'ammissione. Considero questo atteggiamento profondamente sbagliato e culturalmente pericoloso. Perché la denuncia e la condanna devono essere impietose nei confronti di casi di malaffare accademico - scoperti in abbondanza negli anni scorsi - in cui i test sono stati truccati. Ma il meccanismo di selezione in sé è, invece, uno strumento assolutamente necessario sul piano organizzativo (per evitare fenomeni di "parcheggio" degli studenti e Corsi inefficienti) e sano sul piano dei valori che trasmettiamo ai nostri ragazzi. Insegnano ai nostri ragazzi che nella vita non ci può essere successo duraturo, senza impegno e sacrificio. E che c'è un mondo in cui (forse) non contano solo le raccomandazioni. (Fonte: @FFDelzio, Avvenire 05-09-15)

AMMISSIONI A MEDICINA. EFFETTI DEL NUMERO SEMIAPERTO GIUDIZIARIO: LEZIONI IN STREAMING, SCARSI AGLI ESAMI I RICORRENTI AMMESSI SOTTO LA SOGLIA D’IDONEITÀ 
Nell'anno accademico 2014/2015 in 9983 avrebbero dovuto frequentare le lezioni di Medicina in tutt'Italia. In realtà sono stati circa 18 mila, l'80% in più. Vuol dire che 4 studenti su 10 delle matricole di Medicina dello scorso anno non hanno superato i test, ma sono entrati perché hanno avuto ugualmente l’accesso da un'aula di tribunale avendo ricorso per le irregolarità compiute durante le prove. È una cifra enorme. Alcune università hanno reagito meglio, altre peggio, ma a Palermo l'arrivo dei ricorsisti è stato drammatico: il triplo di quello che ci si aspettava, un oceano che l'università del capoluogo siciliano ha dovuto accogliere in qualche modo. «Siamo dimensionati per 400, non eravamo preparati», ammette il rettore Roberto Lagalla. Gli studenti che avevano vinto il test hanno iniziato a frequentare i corsi regolari fin dall'inizio dell'anno. Gli altri sono arrivati nelle settimane seguenti e sono stati ospitati nelle aule della ex facoltà di Ingegneria. A un certo punto i vincitori sono diventati un numero tale che l'università ha deciso di fare lezioni in streaming con un'aula che, a turno, aveva la fortuna di avere il professore in carne ed ossa e le altre che dovevano accontentarsi delle sue spiegazioni in video. Quando - in qualche modo - i corsi sono terminati, è arrivato il momento degli esami, e l'esito non è stato sempre dei migliori. «I primi dati ci dicono che i ricorrenti risultati vincitori anche al di sotto della soglia di idoneità sono quelli che registrano gli insuccessi maggiori», denuncia il rettore. (Fonte: F. Amabile, La Stampa 12-10-15)

PROFESSIONI SANITARIE. I TEST PIÙ IMPEGNATIVI
Diventare fisioterapisti, logopedisti, dietisti o ostetrici è, infatti, ben più difficile che diventare medici: in base al rapporto tra posti disponibili e candidati, per queste facoltà le possibilità sono minori rispetto a Medicina. È quanto emerge da una rielaborazione di dati di Skuola.net sul rapporto tra posti disponibili e iscritti al test di professioni sanitarie 2015 di un campione di 14 università italiane. Per contro, c'è anche chi avrà un destino più facile: sono quei candidati iscritti ai test per i corsi di laurea "dimenticati" delle Professioni sanitarie. Per loro, il successo è assicurato. Il test da incubo per eccellenza? Fisioterapia. Di media passerà solo un candidato su 14. Basta ricordare che per il test di Medicina, considerato il test selettivo per eccellenza, il rapporto di quest'anno è di 1 su 6. All'assalto alla roccaforte del numero chiuso prenderanno parte anche i ragazzi che si fronteggeranno per entrare a corsi come Logopedia, Dietistica, Ostetricia. Anche qui la selezione è durissima. Di media supererà il test di ingresso circa 1 su 9 per Logopedia, 1 su 8 per gli altri due corsi. Insieme a Fisioterapia, sono i più impegnativi del 2015. (Fonte: Avvenire 05-09-15)

STUDENTI. ACCESSI A NUMERO CHIUSO: UN NO E UN SI
Per le associazioni studentesche Link-Coordinamento Universitario, Unione degli Studenti e Rete della Conoscenza, che hanno coordinato le proteste in tutti gli atenei d'Italia, "il numero chiuso non è la soluzione e non funziona, serve invece investire sull'università, con spazi e strutture". A spiegarlo è stato Iacopo Dioniso dell'Udu: "Se la coperta è corta non bisogna tagliare le gambe al paziente, ma allungarla. Siamo il Paese con meno laureati in Ue e blocchiamo l'accesso, è inconcepibile".
Non si è fatta attendere la replica del rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio: "Il sistema migliore è l'accesso programmato, che consente di avere anche al primo anno un numero adeguato di studenti in rapporto agli spazi dell'università e dei docenti. Con la riforma del numero chiuso il settore medico ha avuto più benefici - ha spiegato Gaudio - perché si laurea oltre il 90% degli studenti e il 96% entro tre anni trova lavoro". (Fonte: FQ 09-09-15)

DAL MIUR UN'ANALISI DEI PIÙ RECENTI FENOMENI LEGATI ALL'IMMATRICOLAZIONE
Il Focus del MIUR "Gli immatricolati nell'anno accademico 2014/15", pubblicato a maggio 2015, utilizza dati dell'Anagrafe Studenti e Laureati ed offre un'analisi dei più recenti fenomeni legati all'immatricolazione.
L'indagine è suddivisa in tre paragrafi.
Nel primo si analizzano le immatricolazioni a corsi di laurea e di laurea magistrale a ciclo unico dell'anno accademico appena conclusosi. Complessivamente le immatricolazioni sono state 265.500, in lieve calo rispetto all'anno accademico precedente. Cresce però il numero di giovani che iniziano gli studi subito dopo la maturità: il 71,4% delle ragazze e il 66,1% dei colleghi in età non superiore ai 19 anni, più numerosi nell'area geografica del Nord Ovest (52,5%) e meno presenti nelle Isole (42,3%). Si manifesta una maggiore attrattività dell'area scientifica per i maschi (49%) e dell'area sociale per le studentesse (35%).
Più è alto il voto di maturità e più aumenta la propensione all'immatricolazione, elevata per i liceali (l'84,4% del classico e l'81,4% dello scientifico) e appena sopra la soglia del 10% per i diplomati dell'Istituto professionale. Gli immatricolati con cittadinanza non italiana più rappresentati sono gli studenti provenienti dalla Romania (14,6%), dall'Albania (13,6%) e dalla Cina (9,0%), seguiti nell'ordine dall'Ucraina (4,5%) e dalla Moldavia (4,2%).
Nel secondo vengono analizzate le scelte dei giovani diplomati 2014 per la prosecuzione degli studi universitari, che risultano influenzate dal voto all'esame di Stato e dalla tipologia della maturità conseguita: area giuridica (19,4%) e area letteraria per i diplomati del liceo classico; area ingegneria (22,4%), area economico-statistica (14,5%) e area medica per quelli del liceo scientifico. Il 31,9% dei provenienti dal liceo linguistico prosegue gli studi nella stessa area, mentre quelli con maturità socio psico-pedagogica prediligono l'area dell'insegnamento.
Il terzo paragrafo offre il contributo più originale: la ricostruzione del percorso universitario dei diplomati dell'anno scolastico 2009-2010 (420.500 unità delle quali solo il 54,4% iniziò gli studi superiori), nei successivi 3 anni fino al conseguimento della laurea di primo livello, un arco temporale abbastanza lungo per valutarne il successo formativo (abbandoni, passaggio ad altri corsi, regolarità del percorso ecc.). Dopo un anno dall'ingresso nel sistema universitario l'11,2% degli immatricolati ha abbandonato: migliore è la votazione della maturità, minore è la propensione all'abbandono, meno elevata nei corsi a ciclo unico rispetto a quelli di primo ciclo e nelle università ubicate al Nord piuttosto che al Sud e nelle Isole. A tre anni dall'inizio degli studi il 32% ha regolarmente acquisito il titolo, il 17% è regolarmente iscritto a corsi di studio a ciclo unico, il 36% è iscritto fuori corso ad una laurea triennale e il 15% ha abbandonato gli studi. L'area sociale (34,6%) primeggia per il numero di laureati, mentre l'area sanitaria e quella umanistica per i voti alti dei laureati. (Fonte: M. L. Marino, rivistauniversitas settembre 2015).

STUDENTI. ACCESSI A NUMERO CHIUSO. MEGLIO EVITARE SPRECHI E UTILIZZARE LE RISORSE PER FORMARE I MIGLIORI
Agli studenti voglio dire che è necessario premiare e potenziare il talento e le abilità personali, e solo un sistema che seleziona i migliori può garantirlo. Anche la qualità dei compagni di studi è fondamentale, più il livello è elevato, maggiori saranno i risultati. Chi protesta obietta che i test a crocette sono fatti male. Cosa ne pensa? In Italia nessuno vuole essere valutato, invece bisogna incoraggiare chi ha talento. L'accesso universale è sciocco e inefficiente. È giusto denunciare gli errori, se ce ne sono, e discutere sui criteri. Ma partendo dalla premessa che i test devono essere ben fatti, la modalità in uso è corretta: per l'accesso a Medicina e Odontoiatria c'è una parte di cultura scientifica e una più generale, poi la parte attitudinale. Quando ho fatto l'esame per accedere alla London School of Economics c'erano quiz di logica verbale, analitica e matematica, su mille candidati solo cento sono risultati idonei per quel tipo di carriera. Un corso non vale l'altro. Che in Italia ci siano corsi di serie A e corsi di serie B è un fatto, introdurre la selezione in tutte le facoltà produrrebbe un beneficio sul mercato del lavoro e nella valorizzazione delle attitudini personali. Quindi è anche una questione di efficienza? L'università costa, anche in ragione del numero degli studenti iscritti. Queste spese sono coperte solo in minima parte, in media un quarto, dalle tasse di iscrizione. Il resto è a carico della fiscalità generale, dunque di tutti i contribuenti, anche di quelli che non si iscriveranno mai all'università. Meglio evitare sprechi e utilizzare le risorse per formare i migliori. (Fonte: C. Minnucci intervista R. Puglisi, Il Fatto Quotidiano 09-09-15)  

SULLA C.D. LOTTERIA DEI TEST D’INGRESSO
Ritengo che una scrematura che ammetta in università solo e soltanto i migliori fra i diplomati arginerebbe il fenomeno più lamentato dai docenti: la liceizzazione ossia l'abbassamento del livello di programmi ed esami universitari (specie umanistici, insisto) che spesso impedisce l'alta formazione prima del biennio di laurea magistrale, trasformando il triennio di base nella prosecuzione delle superiori con altri mezzi.
La retorica dei volantini contro "la lotteria del test d'ingresso" del coordinamento Link fa confusione fra il numero chiuso come principio e il metodo applicato: che i test così come sono abbiano un alto fattore di casualità, che non sempre rispecchia la preparazione, è lampante, ma non si risolve col todos caballeros. Se proponessi una selezione progressiva basata sul curriculum di studi liceali più un'interrogazione preliminare sulle materie caratterizzanti più la necessità di finire ogni anno gli esami in tempi ragionevoli con medie dignitose onde ottenere l'iscrizione all'anno successivo, i critici dei test diventerebbero favorevoli a un numero chiuso così blindato dagli assalti della sorte? No, perché confondono anche il diritto allo studio col diritto alla laurea. (Fonte: A. Gurrado, Il Foglio 10-09-15)

RICORSI CONTRO I TEST D’INGRESSO. SCARSO IMPEGNO DEL MIUR PER CONTRASTARE I RICORRENTI
Più rapidi dell'anno scorso, i ricorsi contro i test di Medicina e Odontoiatria sono già pronti ad inondare il Tar del Lazio. Il popolo degli aspiranti camici bianchi, ritrovatosi l'altroieri ad affrontare il quiz di accesso nelle Università italiane, non ha perso un minuto per mobilitarsi nella direzione di una nuova immatricolazione in massa e in sovrannumero. Forti della vittoria nell'estate del 2014, poi confermata nel merito con recentissime sentenze, gli studi legali ormai specializzati nella materia puntano a replicare quel risultato, magari aumentando la platea dei beneficiari: un'ordinanza che ammetta all'immatricolazione, oltre il tetto stabilito per ogni ateneo, i candidati esclusi per insufficienza di punteggio. E poco importa che la graduatoria nazionale sarà pubblicata solo il 7 ottobre.
Il principio cui si appelleranno gli avvocati per provare a scardinare anche quest'anno il meccanismo tanto criticato del numero programmato di immatricolabili, nei corsi di laurea in Medicina e in Odontoiatria, è lo stesso dello scorso anno. Non serve attendere i punteggi, perché la parola chiave è la violazione della riservatezza nei concorsi. E il ministero dell'Università, da controparte in causa in quanto sovrintende al sistema dei test, non sembra che si impegni troppo a mettere i bastoni tra le ruote ai ricorrenti. Quest'anno il ministero ha eliminato il codice numerico, ma soltanto a metà. L'altra metà è stata apposta con un doppio adesivo (uno sul foglio del quiz e un altro sulla scheda anagrafica) dai concorrenti, alla consegna dell'elaborato. «E qui si ripresenta il problema - spiega l’avv. Bonetti - perché l'operazione è avvenuta dinanzi alle commissioni». Magari con una cabina come quelle elettorali, avrebbero risolto il problema. E invece no. I direttori dei dipartimenti sono già presi dal timore di una nuova ondata di iscritti in sovrannumero. Mancano aule e docenti, dicono. E chissà che il ministero non decida pure di astenersi dall'appellare le sentenze di accoglimento. Esattamente come ha fatto l'anno scorso. (F. Barile, Gazzetta del Mezzogiorno 10-09-15)

TEST DI MEDICINA. OLTRE LA METÀ (27.663) DEGLI ASPIRANTI MEDICI È RISULTATA INSUFFICIENTE
Viene pubblicata la graduatoria finale, con tutti i nomi, del test di ingresso alle (ex)facoltà di Medicina e chirurgia che si è tenuto un mese fa. Circa 11 mila ragazze e ragazzi avranno la possibilità di cimentarsi con una delle facoltà più difficili. E altri 40 mila la certezza di esserne esclusi. Resta una grande curiosità: come è possibile che oltre la metà dei partecipanti, il 52 per cento, sia risultata insufficiente? 27.663 aspiranti medici su 53.164 non sono riusciti a ottenere neppure i 20 punti (su 90 totali) per essere ammessi alla graduatoria. Una spiegazione cinica è la seguente: il test è volutamente troppo difficile, in modo che migliaia e migliaia di studenti siano così lontani dal punteggio soglia d'ammissione che non osano neppure fare ricorso. Ma questo non spiega perché il numero di insufficienti aumenta mentre il punteggio dei 1000 più bravi, secondo Skuola.net, cresce dal 55,3 del 2014 al 55,43 del 2015 e il punteggio soglia scende da 34 a 30,40. Sembra, insomma, che gli studenti bravi diventino più bravi mentre la media si abbassa e il numero di poco preparati sale. Ma poco preparati per cosa? Il professor Alberto Lenzi dice che si stanno deteriorando i programmi della scuola superiore, che c'è troppa tecnologia e troppe poche nozioni, che gli studenti non reggono lo stress dei test a scelta multipla. Oppure è colpa del fatto che gran parte del punteggio (30 punti su 90) deriva dal saper pensare, materia che nessuna scuola insegna. (Fonte: S. Feltri, FQ 07-10-15)

ACCESSO A MEDICINA. PROPOSTA DI SELEZIONE IN DUE TEMPI
E in me forte la consapevolezza di come la professione medica sia una sorta di «missione dell'anima» che dovrebbe già essere nella coscienza di ogni futuro buon medico. Tuttavia, mi sento di dover rilevare che le iscrizioni spesso sproporzionate a tali tipologie di corsi di studio, che richiedono invece necessariamente un rapporto strettissimo docente-discente, hanno imposto di valutare la possibilità per i singoli studenti di frequentare un corso di studi ritagliato a misura per un definito numero di immatricolati, con strutture didattiche e qualità dell'insegnamento adeguate alle legittime aspettative di ognuno. Oggi l'istituzione del numero programmato è norma di legge che recepisce le raccomandazioni della Comunità Europea in merito alla necessaria armonizzazione dei sistemi universitari di formazione, al fine di rendere omogenee le caratteristiche professionali di figure come il medico, in grado, in tal modo, di avere un titolo di studi che gli consenta poi di poter operare liberamente all'interno della Comunità Europea. Queste dunque le intenzioni del legislatore che, a ben interpretarle, abbandonando ogni forma di demagogia, risultano, a mio avviso, la strada forse più percorribile per l'accesso a taluni corsi di studio. Ciò detto, rimane ad oggi l'insoluto problema delle evidenti criticità che nel corso degli anni il sistema del numero programmato ha evidenziato: quiz eccessivamente nozionistici a discapito di test incentrati maggiormente sul profilo attitudinale è questione non di poco conto e ritengo di non facile soluzione. Una possibile soluzione su cui riflettere potrebbe prevedere una modalità di selezione in due tempi: una prima fase in cui il numero dei partecipanti si ridurrebbe potenzialmente di circa un 50-60% tramite il ricorso a test di varia natura ed una seconda fase, più specifica, con il ricorso a quiz di natura attitudinale più rispondenti alle peculiarità della (ex)Facoltà di Medicina e Chirurgia. (Fonte: G. Paolisso, Il Mattino 17-09-15)


VARIE

RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ. DUE SCUOLE DI PENSIERO
«Ci sono due scuole di pensiero: una che prevede di tramutare immediatamente tutte le università in Fondazioni. Lo potremmo fare domattina. L'altra che vuole arrivare allo stesso risultato, abrogare tutti i vincoli legati alla pubblica amministrazione, e presuppone un intervento legislativo di `esclusione'. Ogni norma riferita alla p.a. se non cita università e ricerca non vale». (Fonte: F. Puglisi, responsabile della Scuola del Pd intervistata da QN 23-10-15)

UN QUADRO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
In dieci anni, dal 2004 al 2014, gli iscritti al primo anno sono passati da 338.482 a 260.245 (dati Miur). Anche se nelle ultime due stagioni la flessione media è rallentata e nelle università del Nord le matricole sono tornate a crescere, la perdita all'università di 78 mila diciannovenni, che sono il 23 per cento di una generazione, uno su quattro, è un dato da emergenza nazionale. E poi, qui parla lo Svimez, il tasso di passaggio dalla scuola superiore all'istruzione terziaria è sceso al Nord al 58,8 per cento e al Sud al 51,7, le cifre più basse dell'ultima decade. L'Ocse ci ricorda che il tasso d'ingresso all'università in Italia è al 40 per cento quando tra le nazioni sviluppate è al 60. È necessario andare avanti per comprendere lo stato dell'arte. Siamo 32esimi su 37 paesi Ocse come aliquota di laureati: il 21 per cento. In Corea del Sud nel 2011 i laureati erano il 64 per cento quando trent'anni prima non raggiungevano il 10. Se restiamo in Europa, a proposito di laureati in rapporto con la popolazione in età di lavoro, peggio di noi c'è solo la Romania. Tutto questo accade mentre la spesa pubblica è aumentata del 10,7 per cento (tra il 2011 e il 2014) mentre gli investimenti destinati all'università sono scesi dall'1,19 per cento allo 0,95. Da noi, e in altri quattro paesi europei, i tagli di bilancio nel settore sono stati superiori al 5 per cento. I docenti degli atenei italiani nel 2013 erano 55 mila, con un calo complessivo del 13 per cento in dieci anni. E nell'ultima decade - questo è il dato straordinario - sono stati espulsi 97 ricercatori precari ogni cento. Nel Sud in sei anni si è perso il 38 per cento delle posizioni per un dottorato. Infine l'Andisu, l'associazione che si occupa del diritto allo studio, ha portato all'uditorio il suo carico ricordando che in Italia lo Stato spende sul diritto allo studio 600 milioni quando in Germania l'intervento è da 4 miliardi e in Francia da 3,6. (Fonte: C. Zunino, www.repubblica.it/scuola 01-10-15)

COMPRESSIONE SELETTIVA E CUMULATIVA DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
Avviata dal governo Berlusconi (con i ministri Gelmini e Tremonti), la scelta della compressione selettiva e cumulativa dell’università italiana è stata confermata prima dal governo Monti (ministro Profumo) e  poi dal governo Letta (ministro Carrozza) e, più recentemente, dal governo Renzi (ministro Giannini). Questa scelta è stata fatta in assenza di un documento strategico che la annunciasse e motivasse (con l’eccezione di  alcune limitate indicazioni fornite dal ministro Gelmini: si veda il sito www.roars.it per tutti i documenti) e di una aperta discussione politica e politico-culturale sui grandi cambiamenti che si sono venuti determinando e sulle loro conseguenze. Si è trattato di una “rivoluzione sotterranea”, affidata a un groviglio di norme e di disposizioni ministeriali, entro le quali anche per un addetto ai lavori è difficile ritrovare il bandolo della matassa (Un tentativo di ricostruzione è in A. Banfi, G. Viesti, “Meriti e bisogni nel finanziamento del sistema universitario italiano”, Working Paper Fondazione Res, 3/2015). La politica – è questo il giudizio di chi scrive – ha compiuto scelte forti, ma ha quasi avuto timore di assumersene la paternità diretta, nascondendosi dietro le norme tecniche, e lo slogan del “merito”: tanto suadente quanto vuoto di concreti significati.
Tra il 2008 e il 2014, secondo i  dati  dell’European University Association Public Funding Observatory, l’investimento pubblico si è ridotto del 21% in termini reali, con una dinamica significativamente peggiore rispetto a quella della Spagna e di segno opposto a quella degli altri grandi paesi europei (con l’esclusione dell’Inghilterra). L’ammontare del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che copre gli stipendi del personale e gli altri principali costi degli atenei, è passato in termini nominali da 7,2 a 6,7 miliardi.
Parallelamente vi è stato un forte aumento della tassazione studentesca, che ha contribuito a determinare una significativa riduzione delle immatricolazioni, soprattutto  di chi proviene da famiglie con reddito più basso e di chi possiede un diploma non liceale.
Altri provvedimenti hanno causato una diminuzione del numero dei docenti nella misura di circa 2000 unità l’anno negli ultimi 5 anni. Insomma, a seguito delle scelte compiute, il sistema universitario italiano è divenuto più piccolo: con meno risorse, meno docenti, meno immatricolati. La compressione è stata selettiva: cioè ha riguardato alcune sedi molto più di altre. Ciò è avvenuto attraverso l’utilizzo di un coacervo di indicatori, che hanno ripartito in modo assai dispari questi tagli. (Fonte: G. Viesti, Roars 06-09-15)

DANNO DI 1,5 MLD DI EURO L’ANNO PER OLTRE 200 BREVETTI ITALIANI CHE FINISCONO ALL’ESTERO
 Un miliardo e mezzo di euro l’anno. È quanto rendono gli oltre 240 brevetti prodotti dai migliori 50 ricercatori italiani. Peccato che a beneficiarne non sia l’Italia, ma i Paesi dove sono andati a lavorare. E così la “fuga di cervelli”, un danno per il patrimonio intellettuale italiano, si traduce anche in uno “spreco di cervelli”. Basta guardare ai dati dell’Ocse, dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema Universitario e della Ricerca e dell’I-Com, l’Istituto per la Competitività: nonostante i nostri ricercatori producano studi scientifici qualitativamente e quantitativamente superiori alla media Ocse (siamo all’ottavo posto nel mondo), solo una minima parte di questi si traduce in brevetti, produzione industriale e quindi ricchezza, nove volte meno che in Danimarca, sette volte meno che in Usa, quattro volte meno che in Germania, Francia e Spagna. (Fonte: www.quotidianosanita.it 22-10-15)

GAETANO MANFREDI, NUOVO PRESIDENTE DELLA DELLA CONFERENZA DEI RETTORI:
«Le sfide che attendono gli atenei italiani non sono né poche né semplici: aumentare l’offerta terziaria guardando a una nuova formazione professionalizzante; promuovere l’internazionalizzazione coniugandola con il governo dei flussi migratori; integrare la formazione a distanza con quella frontale, rispondendo in maniera coerente alla concorrenza delle università telematiche; incrementare una presenza attiva sul fronte dell’innovazione tecnologica basata sul knowledge sharing. L’Italia non può più attendere. Per vincere queste sfide su uno scenario internazionale sempre più competitivo e affollato è fondamentale affrontarle con risorse adeguate e il sostegno convinto dei decisori. L’università ha già fatto la sua parte ed è pronta a continuare sullo stesso sentiero. Ci aspettiamo di vedere presto segnali di discontinuità con il passato da parte del Governo».
«Non servono nuove riforme per l’università, stiamo ancora provando ad applicare l’ultima, piuttosto serve un’opera di manutenzione per eliminare diverse storture e soprattutto serve un segnale forte di inversione di rotta a cominciare da un investimento sui giovani con un piano per assumere 10mila ricercatori, più risorse per garantire le borse di studio a chi ne ha diritto per arginare così il crollo di iscrizioni, e fondi per eliminare il blocco degli scatti di stipendio fermi da troppi anni, blocco che colpisce soprattutto i giovani ricercatori che oggi guadagnano troppo poco, in media non più di 1500 euro». (23-09-15)

GIORGIO ISRAEL. STRALCIO DI UNO DEI SUOI ARTICOLI SULLA DIATRIBA TRA LE DUE CULTURE
Come può un paese che possiede più della metà dei beni culturali, artistici, architettonici del mondo non preoccuparsi di coltivare un ceto di persone di altissima competenza capace di valorizzare quel patrimonio che, se non altro, ha un enorme potenziale economico? Si badi bene: non si tratta solo della necessità di formare un esercito di archeologi, di restauratori, di persone all’altezza di gestire musei e l’immenso, quanto degradato e depredato, patrimonio librario del paese. Si tratta di non disperdere la memoria dell’identità storico-culturale italiana. Come è possibile pensare che il patrimonio culturale del paese possa essere preservato se quasi nessuno conosce più neanche i nomi degli architetti, dei pittori, dei letterati, degli scienziati che l’hanno costruito e finisce col considerarlo un irriconoscibile ciarpame? Il disprezzo dell’umanesimo (anche sul fronte della cultura scientifica!) è la via per il sicuro declino. La cultura italiana è stata largamente influenzata dagli assurdi pregiudizi crociani contro le scienze fisico-matematiche e naturali considerate come un cumulo di pseudo-concetti, ed è giusto che tale nefasta influenza venga definitivamente superata. Ma la via per superarla non è certamente quella di esibire un disprezzo per la cultura definita (anche di recente in un articolo di stampa dedicata a questi temi) come “debole”, quasi che filosofia, letteratura, scienze umane in generale fossero soltanto chiacchiere vacue incapaci di costruire conoscenza e di stimolare abilità pratiche.
La sciagurata diatriba tra le due culture danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso stiamo perdendo il senso della parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione tecnologica”. Invece, lo straordinario successo della scienza occidentale è stato fondare la tecnica sulla scienza, creando la “tecnologia”. Tutte le grandi scoperte scientifiche che hanno cambiato il volto del mondo – a partire dal computer digitale – sono frutto di idee teoriche, fondate sulla “scienza di base”. Un grande ingegnere come Leonardo da Vinci ammoniva: «Studia prima la scienza, e poi seguita la pratica, nata da essa scienza. Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada». (Fonte: Roars, 25-09-15; da un articolo di G. Israel ripubblicato dopo la sua scomparsa)

PIÙ DEL 60% DEGLI ADULTI (25-64 ANNI) HA LO STESSO LIVELLO DI ISTRUZIONE DEI GENITORI
Uno studio dell'Ocse mette la Penisola in cima alla 'classifica' che misura l'influenza del contesto socio-economico sul conseguimento degli studi universitari. Un impatto che è notevole quasi ovunque, visto che la media Ocse in materia è di 4,5 volte, ma nei Paesi scandinavi le differenze sono molto ristrette e in Corea del Sud i ragazzi hanno le stesse probabilità di arrivare alla laurea indipendentemente dal grado di istruzione dei genitori. Tra l'altro non si tratta solo di arrivare all'università, ma anche di completarla. Se non si ha alle spalle almeno un genitore laureato, nella Penisola è molto più facile abbandonare gli studi a metà. Le difficoltà e le disparità vengono da lontano, iniziano dall'infanzia e si accumulano con gli anni, trasmettendosi in vari modi. L'esito finale, cioè la scelta universitaria, non dipende solo dai costi, ma anche dalle aspettative. Mentre il 60% degli studenti di scuola secondaria avvantaggiati punta a prendere una laurea, il dato crolla al 20% tra gli studenti meno favoriti. “In certo senso sembra che ci sia una trasmissione generazionale di un vantaggio educativo, che poi si riflette in un accesso a certi tipi di occupazione e non solo”, sintetizza Francesca Borgonovi, economista dell'Ocse, esperta di istruzione. Nella Penisola, in effetti, domina lo status quo scolastico: più del 60% degli adulti (25-64 anni) ha lo stesso livello di istruzione dei genitori. (Fonte: Il Sole 24 Ore Radiocor 12-10-15)


ATENEI. IT

UNIBO PARTECIPA A IPERION CH, L’INFRASTRUTTURA DI RICERCA EUROPEA PER I BENI CULTURALI
Realizzare un'infrastruttura di ricerca europea unica per il restauro e la conservazione del patrimonio culturale. È l’obiettivo di Iperion Ch (Integrated Project for the European Research Infrastructure on Culture Heritage), progetto del programma di ricerca europeo Horizon 2020 al quale partecipa anche l’Università di Bologna.
Iperion Ch coinvolge 23 strutture da dodici paesi europei più una dagli Stati Uniti: l'obiettivo è creare una rete distribuita di strumenti a disposizione dei ricercatori impegnati sui temi della scienza della conservazione dei beni culturali e della heritage science. L'Alma Mater partecipa con il suo Laboratorio diagnostico di microchimica e microscopia dei beni culturali. (Fonte: www.magazine.unibo.it 03-10-15)

UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE. AUMENTO RILEVANTE DI STUDENTI INTERNAZIONALI
I dati Istat mostrano che negli ultimi dieci anni è raddoppiato il numero degli studenti internazionali giunti nelle università italiane per completare la loro formazione. Per l'Università Cattolica del Sacro Cuore la crescita di queste iscrizioni è pari al 42% rispetto al 2014 e solo per la prima metà degli arrivi dell'anno. A partire da febbraio - per i programmi in partenza nel II semestre e in estate - infatti l'Ateneo si aspetta di accogliere un numero simile se non superiore di studenti internazionali. Dal 1° settembre fino al 15 sono in arrivo circa 700 studenti, provenienti da 70 Paesi diversi: dal Kirghizistan all'Honduras, dal Congo all'Australia. Di questi, 412 hanno scelto di trascorrere in Cattolica un semestre o l'intero anno accademico, mentre gli altri 288 si sono iscritti a un corso di laurea triennale, magistrale, a ciclo unico oppure a un master. Tra le facoltà più gettonate spiccano Economia, Scienze Linguistiche e letterature straniere e Scienze politiche e sociali. Quanto alla Top Ten dei Paesi di provenienza, a occupare il podio sono gli Stati Uniti con il 17% sul totale degli studenti internazionali, al secondo posto si trova la Turchia con l'8%, seguita da Francia e Spagna rispettivamente con il 7% e il 6% sul totale degli studenti in arrivo dall'estero.
La Cina si aggiudica la quinta posizione con il 5,5%, incalzata dalla Germania con il suo 4,4%. Completano la classifica il Messico (2,9%), la Colombia (2,8%), la Russia (2,4%), il Belgio e i Paesi Bassi (2,2%). (Fonte: www.diregiovani.it 03-09-15)


UE. ESTERO

XXVII ANNIVERSARIO DELLA MAGNA CHARTA UNIVERSITATUM
A Bologna il 17 e 18 settembre 2015 si è celebrato il XXVII anniversario della Magna Charta Universitatum, firmata nel 1988 da 388 rettori di tutto il mondo. Quest'anno i rettori di ventisei nuove università di cinque continenti hanno sottoscritto il documento. La cerimonia è stata anche l'occasione per dare il benvenuto ai nuovi studenti internazionali arrivati a Bologna e riflettere sul fatto che molti ragazzi non possono progettare liberamente il loro futuro. Inoltre, sono stati ricordati gli studenti dell'Università di Garissa (Kenya), uccisi in un attentato terroristico lo scorso 2 aprile. Le trasformazioni odierne non riguardano più solo l'innovazione o i nuovi modelli di conoscenza, ma anche contesti politici drammatici come le migrazioni di queste settimane. Qual è il ruolo delle università in questo scenario e quale impatto hanno le loro scelte sugli studenti e sul loro futuro? Se l'internazionalizzazione è stata da sempre una componente fondamentale della cultura universitaria, oggi le domande riguardano quale tipo di internazionalizzazione si vuole, ma soprattutto se la si vuole davvero. A volte ci sono imperativi etici che possono rendere difficile gestire il cambiamento: proprio per questo bisogna definire in modo chiaro quale sia l'identità dell'istruzione superiore. Istruzione è esplorare, capire, evolversi. Come ha sottolineato Geoffrey Boulton (Università di Edimburgo), il valore più profondo dell'università non è a breve termine, non è quello rilasciato da un diploma, non è chi diventi dopo la laurea: è trasmettere un sapere che ti accompagna nella vita, è un'eredità di millenni che dà forma al futuro e contribuisce alla crescita della società. (Fonte: I. Ceccarini, rivistauniversitas 28-09-15)

L’ EUROPA È L'AREA MONDIALE PIÙ ATTIVA RIGUARDO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE
L'indagine Internationalisation of Higher Education, commissionata dalla Direzione generale Cultura e Istruzione del Parlamento Europeo, approfondisce caratteristiche, finalità e vantaggi del processo di internazionalizzazione. In primo piano anche il contributo dell'insegnamento digitale basato sui MOOC (Massive Open Online Courses). L'indagine esamina 17 Rapporti nazionali sugli indicatori della performance accademica internazionale. I ricercatori evidenziano che in tema di internazionalizzazione non conta solo il cosa (quali modelli concettuali adottare) e il come (quali differenze di sviluppo per area geografica), ma anche il perché (preparare gli studenti a lavorare in un mondo globalizzato) e il per chi (offrire insegnamento di qualità a tutti gli studenti indipendentemente dal censo). Ne emerge un quadro incoraggiante per l'Europa, l'area mondiale più attiva al riguardo sotto la spinta di vari Programmi UE (Erasmus, Tempus, Alfa, Alban, Atlantis, Marie Curie, etc.). Un contesto ulteriormente rafforzato dal Processo di Bologna e dagli strumenti sinora adottati per facilitare le procedure del riconoscimento (ECTS, titoli congiunti, Diploma Supplement, etc.), nonché dal recente interesse politico di alcuni Paesi per l'internazionalizzazione (Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Norvegia, Polonia e prossimamente Romania). (Fonte: A. Lorenzi, rivistauniversitas sett. 2015)

L'EUROPA SUPERA L'AMERICA NELLA CLASSIFICA DELLE MIGLIORI 800 UNIVERSITÀ DEL MONDO
L'Europa sorpassa l'America in un campo in cui era sempre stata battuta: quello dell'eccellenza accademica. Nella classifica annuale del Times di Londra sulle 800 migliori università del pianeta, infatti, per la prima volta ci sono più università europee che americane fra le prime 200 della graduatoria. Le europee sono 105, un aumento considerevole rispetto al 2014, quando erano 87; mentre le americane, da un anno all'altro, scendono a 95. Il primato del vecchio continente in materia di istruzione superiore è in larga parte merito delle università britanniche: fra le migliori 200 ce ne sono ben 34 che appartengono al Regno Unito. E sono tutte inglesi le uniche 3 università europee (Oxford al secondo posto, Cambridge al quarto e Imperial College all'ottavo) fra le prime 10 del mondo, contro 6 americane e 1 svizzera.
Ma la concorrenza da parte delle università del resto d'Europa è sempre più forte, grazie a crescenti investimenti e a sempre più corsi in inglese per attirare studenti internazionali, come nota il Financial Times e come testimonia la presenza dello Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo in decima posizione, la prima volta in un decennio che un'università non americana e non britannica entra nella "top ten". (Fonte: R.it 01-10-15)

STATO ATTUATIVO DEL PROCESSO DI BOLOGNA. IL RICONOSCIMENTO DEI TITOLI DI STUDIO È ANCORA DIFFICILE
L'ESU - European Students' Union ha pubblicato il rapporto "Bologna with Student Eyes: Time to meet the Expectations from 1999", che analizza lo stato attuativo del Processo di Bologna e la realizzazione dell'EHEA - European Higher Education Area. Basato sulle risposte fornite da 38 organismi sindacali nazionali, l'indagine focalizza - come nelle cinque edizioni  precedenti - alcuni aspetti specifici e solleva preoccupazioni su ritardi e diseguaglianze applicative che rischiano di far divenire obsoleto e inefficace l'intero processo di armonizzazione dei 47 sistemi universitari firmatari della Dichiarazione di Bologna (19-06-1999). Benché quasi tutti i Paesi abbiano adottato riforme strutturali per l'attuazione del sistema in tre cicli, le procedure di riconoscimento dei titoli di studio restano ancora una grande sfida da affrontare con decisione. Tali procedure rimangono, infatti, troppo spesso di difficile comprensione per mancanza di adeguata informazione sul valore da attribuire ai singoli percorsi formativi. Il riconoscimento automatico dei titoli non è ancora pienamente attuato; il Diploma Supplement è poco garantito e, di conseguenza, il riconoscimento generalmente richiede troppo spesso una procedura lunga e difficoltosa. Questo è il motivo principale del forte ostacolo all'auspicata realizzazione dell'European Higher Education Area, che, ad oltre 15 anni dall'avvio del Processo di Bologna, sembra ancora in piena fase di realizzazione. (Fonte: University World News;  F. Moscarelli, rivistauniversitas 11-09-15)

L'ERC (EUROPEAN RESEARCH COUNCIL) HA CELEBRATO LA SOVVENZIONE N. 5000
Otto anni dopo il suo lancio, l'ERC ha raggiunto una tappa significativa del proprio percorso, e lo ha celebrato il 16 giugno 2015 organizzando a Bruxelles un dibattito nel Parlamento europeo e una premiazione simbolica della borsa di studio n. 5000. Istituito nel febbraio 2007 dalla Commissione europea nell'ambito del Settimo programma quadro per la ricerca, il Consiglio europeo della Ricerca è la prima organizzazione europea dedicata al finanziamento della ricerca scientifica di frontiera. Ogni anno seleziona e finanzia i ricercatori migliori perché realizzino progetti quinquennali. Cerca, altresì, di attrarre in Europa i ricercatori più brillanti da ogni parte nel mondo. (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 08-09-15)

BANDO “MIUR-DAAD JOINT MOBILITY”. PER FAVORIRE RETI DI COLLABORAZIONE DURATURE TRA ITALIA E GERMANIA
Attraverso il bando “MIUR-DAAD Joint Mobility” le parti intendono sostenere la mobilità scientifica supportando il perfezionamento e la specializzazione dei giovani ricercatori ed accademici italiani e tedeschi, con l’intento di promuovere l’aggiornamento e la crescita dei gruppi di ricerca dei due Paesi, e favorire la creazione di reti di collaborazione durature tra Italia e Germania. I progetti congiunti dovranno essere condotti da gruppi di ricerca composti da soggetti di entrambi i Paesi. Il programma si propone di coinvolgere giovani studiosi, ricercatori post - doc e/o dottorandi di ricerca/laureati, assegnisti di ricerca, da entrambe le parti. Ciascun progetto avrà una durata ordinaria da uno a due anni, ma sarà consentito in caso di progetti particolarmente meritevoli, richiedere l’estensione del progetto per un ulteriore terza annualità. (Fonte: A. D. Ficara, www.tecnicadellascuola.it 05-10-15)

GRAN BRETAGNA. OXBRIDGE
Oxbridge è un luogo dell'immaginario collettivo britannico, il recinto che racchiude i laureati delle due storiche università inglesi, ciascuna delle quali fornisce metà del nome a quest'etichetta di una classe sociale e di un modo di essere. Da Oxbridge vengono, secondo i dati del Sutton Trust, otto giudici e avvocati su dieci e la metà dei giornalisti britannici. Sempre Oxbridge, dichiara allarmata Carole Cadwalladr sul Guardian, ha partorito tutti i leader politici che possono venirvi in mente: Cameron e Osborne hanno studiato rispettivamente al Brasenose e al Magdalene college di Oxford, i liberaldemocratici Cable e Clegg al Fitzwilliam e al Robinson di Cambridge, mentre i fratelli Miliband - la cui resa dei conti ha sferrato il colpo di grazia al Labour - erano entrambi nel Corpus Christi di Oxford, sfasati di quattro anni, e questo forse spiega molto del loro rapporto. Non è chiaro cosa stupisca la Cadwalladr: per limitarci ai primi ministri, dove credete che abbiano studiato Tony Blair, lady Thatcher, Attlee e Macmillan, Wilson e Heath? Non deve infine sorprendere che provengano da Oxbridge dodici membri del governo in carica e altrettanti del governo ombra. (Fonte: A. Gurrado, Il Foglio 27-08-15)

FRANCIA. 15 ORGANIZZAZIONI MANIFESTANO PER CHIEDERE PIÙ FONDI PER L’UNIVERSITÀ E LA RICERCA. 38700 STUDENTI IN PIU’ NEL 2015. NECESSITANO 1-2 MLD L’ANNO IN PIU’
Les universités dans la rue pour crier misère. La plupart des acteurs du secteur en conviennent: il manque de 1 à 2 milliards d'euros par an aux universités. Où les trouver? Tout aussi unanime est le constat que l'Etat n'ira guère au-delà des 23 milliards d'euros qu'il consacre chaque année à l'enseignement supérieur, à la vie étudiante et à la recherche. Le monde de l'enseignement supérieur traverse une grave crise, qui pourrait remettre en cause le modèle même de l'université française: l'inscription doit-elle rester à prix modique? Faut-il introduire une forme de sélection à l'entrée? Chercher d'autres voies de financements que le seul budget de l'Etat? La crise est d'abord démographique. A la rentrée 2015, 65000 nouveaux inscrits ont été annoncés à l'université par le ministère de l'éducation nationale, de l'enseignement supérieur et de la recherche. En fait, ce sont 38700 étudiants supplémentaires qui fréquenteront les bancs des facs, si l'on enlève les élèves des classes prépa qui s'y sont inscrits par le biais de l'université. Depuis 2012, et sans compter les inscrits des classes préparatoires, la hausse des effectifs étudiants s'établit à 123000 étudiants, indique le ministère. Un afflux loin d'être négligeable puisque le pays compte environ 1,5 million d'étudiants dans ses facs. Et cette inflation démographique est loin d'être terminée. Les moyens sont-ils à la hauteur? Le ministère et les syndicats se livrent à une bataille de chiffres. Depuis 2013, les universités ont reçu des crédits pour créer au total 1000 postes d'enseignants de plus par an. Mais elles en ont supprimé aussi, si bien que les effectifs enseignants auraient progressé seulement de la moitié du nombre prévu dans les universités. Compte tenu des évolutions de l'emploi précaire et des départs en retraite, le Syndicat national de l'enseignement supérieur (Snesup) estime même que le nombre d'enseignants-chercheurs devrait baisser en 2015. (Fonte: A. De Tricornot, Le Monde 16-10-15)

FRANCIA. LA RICADUTA ECONOMICA DEL DENARO INVESTITO NELLE UNIVERSITÀ DI RICERCA
C'est une étude qui tombe à point nommé pour les universités. Alors que les discussions sur le budget 2016 de l'enseignement supérieur et de la recherche sont très serrées, une étude détaille les retombées économiques de l'argent investi dans les universités de recherche. Selon cette enquête, réalisée par le cabinet Biggar Economics, les plus grandes universités européennes de recherche membres du très fermé club de la Ligue européenne des universités de recherche (LERU) ont généré, en 2014, 71 milliards d'euros de retombées économiques, et 900.000 emplois. En France, les trois universités membres de cette prestigieuse association et qui figurent au top 100 du classement de Shanghai — l'université Pierre et Marie Curie, l'université Paris Sud et l'université de Strasbourg — auraient produit l'an dernier plus de 7 milliards d'euros de retombées économiques en France et 75.000 emplois. Un euro ajouté au budget des trois universités génère une valeur ajoutée de 3,81 euros pour l'économie française, ajoute l'étude. Et un emploi créé par les universités induit près de 3,2 emplois dans l'économie française. «Les universités sont l'un des moteurs majeurs de la croissance économique», commentent les auteurs. Ces derniers estiment que les trois universités concernées représentent environ 23 % du secteur des universités de recherche françaises. «Sur cette base, la valeur ajoutée globale du secteur des universités de recherche en France est estimée à 31,5 milliards d'euros et soutient 326.704 emplois, affirme le document. Les bénéfices des trois universités françaises sont bien plus grands que les coûts [...] ». (Fonte:  M. - Ch. Corbier, LesEchos 08-09-2015)

FRANCIA. PARIS-SORBONNE (PARIS-IV) ET PIERRE-ET-MARIE-CURIE (PARIS-VI) SI FONDERANNO NEL 2018 PER IMPORSI A LIVELLO MONDIALE
Paris-Sorbonne (Paris-IV) et Université Pierre-et-Marie-Curie (Paris-VI), deux prestigieuses universités, la première à dominante scientifique, la seconde à dominante littéraire formeront une entité unique le 1e' janvier 2018. Avec les universités de Strasbourg et de Marseille qui ont fusionné il y a six ans, ce sera l'une des plus grandes: 54000 étudiants, 5600 enseignants-chercheurs. L'un des objectifs est d'en faire une université de recherche de rang mondial, plus visible du fait de ce rapprochement. Gardera-t-elle le nom de son regroupement actuel «Sorbonne universités» ou un autre comprenant «Paris»? Le mystère reste entier mais la «marque» Sorbonne, tellement porteuse à l'étranger fera certainement partie de l'appellation. Le renouvellement des conseils d'administration en février 2016 «est un moment opportun pour permettre de préciser ce choix de rapprochement». Après seize mois de discussions, les élections des conseils de la nouvelle université seront organisées en décembre 2017. (Fonte: M.-E. Pech, Le Figaro 16-09-2015)

FRANCIA. CPES, CORSO PLURIDISCIPLINARE DI STUDI SUPERIORI
Un corso universitario con un mix di varie materie, dove gli studenti si esercitano in un metodo di analisi aperto, abbattendo i recinti tra discipline. È l'esperienza avviata nel 2012 in Francia da Paris Sciences e Lettres, l'ateneo innovativo che unisce materie scientifiche, sociali e letterarie. Così nella capitale francese è nata questa iniziativa, rivolta a chi abbia conseguito la maturità (che Oltralpe viene definita baccalauréat). Rispetto al prépa, un istituto superiore che prepara alle grandi scuole universitarie e ai concorsi, questo corso offre appunto l'orientamento pluridisciplinare, permettendo di seguire lezioni che spaziano dalla matematica alla filosofia, dall'arte alle lingue straniere, dalla storia alla sociologia. La novità, chiamata Cpes (corso pluridisciplinare di studi superiori), ha attirato subito l'attenzione nel mondo della formazione: al primo anno gli iscritti erano 73 e per l'anno prossimo ne sono previsti 90. Ma l'interesse è molto più alto: per l'anno corrente i 73 posti disponibili erano stati presi di mira da più di 800 candidati. L'iniziativa, partita come semplice diploma all'interno della Paris Sciences et Lettres, ha poi ottenuto la validità di una laurea di primo livello: in questo modo gli studenti possono guadagnare 60 crediti formativi, in linea con la regolamentazione europea. La formazione prevede una specializzazione progressiva in tre indirizzi: scienze umane; scienze; scienze economiche, sociali e giuridiche. (Fonte: M. Galli, ItaliaOggi 13-10-15)

FRANCIA. COME EQUILIBRARE LE NECESSARIE PROCEDURE DI SELEZIONE PER L’ACCESSO ALL’UNIVERSITÀ
La situation actuelle est grotesque. D'un côté, un principe quasi divin exhorte l'université à ne pratiquer aucune sélection, tant à l'entrée des études supérieures qu'à l'admission en second cycle: seule compte l'obtention du bac, puis celle d'une licence. De l'autre, on autorise une exception ahurissante à ce dogme: les directeurs de master 2 peuvent stopper discrétionnairement des études en cours de cycle afin de gérer le flux de postulants en rapport avec les exigences du marché du travail. Cette sélection entre master 1 et master 2 n'a aucun sens! En effet, pourvu qu'on soit un minimum discipliné avec soi-même, le passage d'une année à l'autre est assez aisé jusqu'en master 1. Il suffit d'apprendre les cours afin de replacer une ou deux des expressions favorites des chargés d'enseignement. Tous les efforts sont alors axés sur l'apprentissage et la régurgitation de connaissances, vite oubliées une fois les partiels terminés, pour s'assurer la moyenne et passer à l'échelon supérieur.
En parallèle, des centaines d'étudiants ayant réussi un master 1, bercés d'illusions dues à des discours utopistes et à un laisser-aller pédagogique, se présentent à un portillon dont l'accès est limité au nombre de postes susceptibles d'être pourvus. Ainsi, le système universitaire n'encourage jamais les étudiants à sonder la réalité du marché du travail, à questionner leur orientation professionnelle. L'université forme donc à la pelle des étudiants touristes, qui font juste preuve d'un effort de bachotage la veille des partiels et qui finissent avec des dossiers académiques identiques les uns aux autres là où, au contraire, il faut se démarquer aux yeux des directeurs de master 2. Cette méthode ne peut que susciter la défiance des employeurs.
Conscientes de la situation et du défaut d'employabilité de l'université, certaines filières pratiquent une sélection indirecte: l'idée est d'inciter les équipes pédagogiques à tirer vers le bas les notes pour n'accorder la moyenne qu'aux plus méritants, procédant ainsi à un écrémage parfois radical. Des établissements mettent aussi en place des cursus sélectifs: bi-licences, collèges universitaires, magistères, etc.
En nourrissant une atmosphère de travail plus rigoureuse que «la normale», ces universités s'assurent des promotions d'étudiants de meilleure qualité, plus motivées et mieux cadrées pour répondre aux exigences du marché du travail. Si ces formations sont les plus prestigieuses et insèrent le mieux sur le marché du travail, la multiplication de ces procédures de sélection rend le phénomène anarchique. Certes, la sélection en cours de scolarité s'avère indispensable, mais elle doit s'effectuer à des moments «charnières» du cursus et selon des règles transparentes et méritocratiques.
Le processus de Bologne organise les études supérieures en trois cycles: la licence, le master et le doctorat. Il conviendrait alors d'opérer une sélection avant l'entrée dans chacun d'entre eux. La sélection en premier cycle demeure la plus importante. Le filtre par l'intermédiaire du baccalauréat est désormais devenu une chimère: outre les voies alternatives pour accéder à des études supérieures, la valeur même de ce diplôme demeure contestable du fait de l'abaissement du niveau général constaté par les employeurs et de la multiplication des filières. Et puis, que faire, sans sélection et sans moyens proportionnés, des 50.000 étudiants supplémentaires qui viennent peupler chaque année les amphithéâtres? Ce système ne peut qu'aboutir à une explosion des sélections, aussi anarchiques qu'inégalitaires. Il serait plus pertinent d'instaurer des procédures de sélection pour entrer en licence, sur la base de plusieurs critères afin de mesurer l'adéquation du projet et du profil de l'étudiant avec les exigences, la réputation ou les capacités d'accueil de la formation. (Fonte: F. Louise e A. Maybon, Le Monde 17-09-15)

FRANCIA. PER L'EX-PRIMO MINISTRO FRANÇOIS FILLON OGNI UNIVERSITA’ DEVE POTER FISSARE I DIRITTI D’ISCRIZIONE PER L’ACCESSO AL MASTER E AL DOCTORAT
Sur la sélection, l'ex-Premier ministre François Fillon indique que l'Etat a «le devoir de garantir l'accès des bacheliers à l'enseignement supérieur, ce qui ne veut pas dire le droit d'accéder à n'importe quelle formation, n'importe quel diplôme de l'enseignement supérieur, ni d'y accéder indéfiniment». L'enseignement professionnel serait en «totalité» confié aux régions. Et les universités pourraient librement créer des filières d'excellence sélectives. Elles seraient aussi libres de fixer les droits d'inscription des étudiants étrangers non communautaires. Pour les autres, les 184 euros annuels requis en licence devraient augmenter et ne pas représenter pour un étudiant «une dépense inférieure à un abonnement un smartphone». Il cite la proposition de l'Institut Montaigne de les augmenter jusqu'à 500 euros par an, «tout en continuant à en dispenser les étudiants boursiers». L’approfondissement de l'autonomie des universités passerait aussi par la libre fixation des règles d'admission pour l'entrée en master, comme du montant des droits en master et doctorat. Les universités mal gérées verraient le montant des subventions de l'Etat baisser. Les enseignants seraient évalués par leurs pairs, mais leurs évaluateurs seraient «choisis en fonction de leurs qualités scientifiques (et non) du score obtenu par le syndicat qui les a désignés». (Fonte: LesEchos 08-10-15)

INDIA. L’AUTONOMIA DEGLI INDIAN INSTITUTES OF MANAGEMENT (IIMS) RIDOTTA DAL CONTROLLO DEL GOVERNO MODI
Indians, the pinnacle of business education has been a diploma from the prestigious Indian Institutes of Management (IIMs), which have operated independently under autonomous boards. Indian companies compete fiercely each year to snap up the newly minted graduates from these standalone institutions. But the IIMs' cherished autonomy is under threat. In June, Prime Minister Narendra Modi's government unveiled draft legislation that would permit the institutes to award MBAs and PhDs but would also establish government control over the institutes. The proposal has prompted outcry from professors and graduates, who say such changes could undermine these bastions of educational excellence. In particular, they have taken issue loath clauses in the bill that say the IIMs would need government approval for all important board decisions, essentially stripping them of their freedom to innovate and run operations.
Board members "will always have to look over their shoulders and guess what the govermnent wants", says Bill Paul Abraham, academic dean of IIM-Calcutta. "My sense is they will not interfere in everything, but they could ask “was this done with our approval?” Even if there was no deliberate intrusion, the additional red tape could cause institutional stagnation, he argues. "If you have to request approval for each and every thing, things get delayed. It is unnecessarily constraining [and] will be a drag on decision-making and the ability to respond quickly." (Fonte: Financial Time 07-09-15)

USA. MOLTI ATENEI COSTANO TROPPO RISPETTO ALLE POSSIBILITÀ OFFERTE AI LORO STUDENTI DI ACCEDERE A POSTI DI LAVORO BEN RETRIBUITI
Da un'indagine sul reale valore del sistema accademico USA ordinata da Obama, emerge che le università americane, molte delle quali sono tra le migliori del mondo, costano troppo rispetto alle possibilità offerte ai loro studenti di accedere a posti di lavoro ben retribuiti. Un problema acuto soprattutto per le accademie private «for profit» che si sono moltiplicate negli ultimi anni, istituzioni dal marketing aggressivo che promettono una seconda chance a chi non è riuscito a laurearsi in tempo negli atenei pubblici. O a chi fa un lavoro modesto avendo solo il diploma liceale, e vorrebbe migliorare. Chi ascolta queste sirene viene da una fascia della popolazione mediamente più vulnerabile e a reddito più basso. Spesso si accolla un debito scolastico insostenibile mentre questi istituti danno titoli di scarso valore. Così ci ha pensato il governo che, abbandonato il tentativo di fare classifiche basate sulla qualità dell'insegnamento, si è messo a studiare cosa accade ai laureati dieci anni dopo. Chi esce dalle migliori accademie, da Stanford a Harvard, certamente ha un vantaggio, ma basta scendere appena di un gradino per trovare atenei che costano quanto quelli al top (anche 70 mila dollari l'anno) ma con metà dei laureati che dopo dieci anni non riescono a guadagnare più dei 25 mila dollari l'anno incassati, in media, dal diplomato di un liceo. (Fonte: M. Gaggi, CorSera 18-09-15)

USA. POLITICHE PER ALLEVIARE I COSTI ESUBERANTI DELLE UNIVERSITÀ
Il debito accumulato dagli americani per frequentare l’università ha ormai raggiunto proporzioni epiche, con oltre 1.300 miliardi di dollari. I laureati del 2015 avranno, in media, 35.000 dollari di passivo a testa, 2.000 dollari in più dei colleghi che hanno finito gli studi nel 2014. Questi numeri si scontrano con i proclami dei governi federali e statali di voler vedere più ragazzi andare all’università e con i dati che dimostrano che una laurea può fare una differenza enorme a livello di reddito. Una stima della Federal Reserve Bank di San Francisco quantifica tale gap: nel corso della propria carriera il laureato tipico guadagna circa 800.000 dollari in più di un semplice diplomato. Nonostante la crisi del debito studentesco non accenni a migliorare, negli ultimi anni si sono cominciati a registrare alcuni interessanti movimenti su questo fronte, sia a livello nazionale sia a livello locale. L’Amministrazione Obama ha attuato negli ultimi anni diverse iniziative per cercare di alleviare il problema, agendo in particolare sui prestiti che sono erogati, o perlomeno garantiti, dal governo di Washington. La Casa Bianca ha dunque offerto a diversi gruppi di laureati-debitori termini di pagamento più favorevoli, e in alcuni casi anche la cancellazione completa del debito ancora pendente. Intanto, i candidati democratici alle elezioni presidenziali del 2016 stanno mettendo a punto le proprie proposte sull’istruzione. Il senatore del Vermont Bernie Sanders ha così dichiarato di voler rendere gratuite tutte le università e college pubblici americani, mentre Hillary Clinton vuole mettere a disposizione degli studenti americani un maggior numero di borse di studio, che non devono essere ripagate, e di prestiti con tassi di interesse particolarmente bassi. (Fonte: V. Pasquali, IlBo 12-10-15)

USA. PROGRESSIVA ATROFIA DEI COLLEGE DI LIBERAL ARTS
Liberal arts è un termine che negli Stati Uniti copre l'intero spettro degli studi non professionalizzanti, ma orientati alla conquista di un sapere puro: studi storico-letterari certamente, ma anche lingue moderne, scienze naturali, biologiche e ambientali, e matematica, statistica, scienze sociali e comportamentali. Negli anni novanta i college di liberal arts erano seicento, Breneman mostrò che solo duecento meritavano il nome. Oggi sono centotrenta. Il New York Times con una lunga intervista a Breneman si unisce a lui nel lanciare l'allarme: tra pochi anni saranno poco più di cento, mentre si espandono vistosamente i college di economia e commercio. Soffocare gli studi umanistici e scientifici puri, non rivolti a evidenti ricadute sul profitto, significa atrofizzare la formazione di menti critiche capaci di intendere con competenza e farci intendere il mondo in cui viviamo. (Fonte: T. De Mauro, Internazionale 24-09-15)
 

LIBRI. RAPPORTI

I PREMI NOBEL ITALIANI
Opera in due volumi promossa dal Reps e curata dall’università di Bologna, 2015.
Non tutti i Nobel italiani, dopo il riconoscimento, hanno ottenuto una fama adeguata al valore delle loro opere: fama pubblica, ma anche notorietà tra gli addetti ai lavori, con la diffusione di analisi sulle loro scoperte o realizzazioni. Alcuni Nobel del nostro Paese sono stati, insomma, meno ricordati e studiati di altri. A tutti i 20 italiani che hanno ottenuto il riconoscimento nella storia — più uno, Enrico Bombieri, Medaglia Fiele per la matematica — è dedicata l'opera “I Premi Nobel italiani”, in due volumi, promossa dal Reps (Segretariato europeo per le pubblicazioni scientifiche) e curata dall'università di Bologna. Un lavoro di ricerca, presentato a Roma il 16-09-15 all'Accademia dei Lincei, in un incontro con il presidente dell'Accademia Alberto Quadrio Curzio e con il presidente del Seps Fabio Roversi Monaco. Nei volumi sono raccolti per la prima volta tutti i profili dei premiati, da Camillo Golgi e Giosuè Carducci, Nobel nel 1906, a Mario Capecchi, premiato per la Medicina nel 2007. (Fonte: I. Bozzi, http://www.pressreader.com 16-09-15)

PREVISIONI. COSA POSSONO INSEGNARCI LA FISICA, LA METEREOLOGIA E LE SCIENZE NATURALI SULL’ECONOMIA
Autore: Mark Buchanan. Editore Malcor D' (collana Interferenze). Traduttore: Barbera I. 2014, 283 pg.
Riuscire a prevedere le intemperie finanziarie, così come ormai riusciamo a fare con gli uragani e le tempeste, forse resterà solo un sogno; tuttavia le teorie scientifiche adoperate per le previsioni in campo meteorologico e per la prevenzione dei terremoti in geologia, se applicate all'analisi del sistema economico, possono offrire un riparo dalle turbolenze che ciclicamente si abbattono sul sistema capitalistico odierno. Il crollo finanziario del 2008 non ha minato soltanto le fondamenta del sistema economico mondiale, ma ha anche sancito la crisi del pensiero economico finora dominante. I concetti di stabilità ed efficienza dei mercati sono stati disattesi dagli effetti di quegli stessi meccanismi che avrebbero dovuto garantirne l'attuazione. Derivati, leva finanziaria, hedge funds, scambi ad alta frequenza, contrariamente a quanto previsto dalla teoria economica dell'equilibrio, hanno invece contribuito, nel momento della crisi, ad amplificare i risultati negativi dei crolli di borsa. Nel raccontare la storia economica di questi ultimi anni, Mark Buchanan trasmette un nuovo modo di pensare che potrebbe rivoluzionare le scelte di politica economica. (Fonte: Presentazione dell’editore)
Questo libro, scritto da un fisico, discute le idee e i concetti che sono alla base di quel pezzo della teoria economica generalmente chiamata neoclassica – fondamento della dottrina neoliberista – che è a quanto pare quella culturalmente e politicamente dominante in questi tempi difficili. Potrebbe sembrare curioso che un fisico, il cui oggetto di studio è usualmente rappresentato da atomi, molecole, pianeti o galassie, abbia qualcosa di rilevante da dire riguardo alla regina delle scienze sociali: l’economia. Gli esseri umani, al contrario delle particelle elementari o delle stelle, sono dotati di libero arbitrio, ma soprattutto le leggi che regolano le modalità con cui un individuo compie le proprie scelte e con cui diversi individui entrano in relazione tra loro sviluppando comportamenti di gruppo sono a noi sconosciute; anzi è lecito dubitare che queste leggi siano ben definite. Per contro, conosciamo le leggi fondamentali che regolano, ad esempio, le interazioni tra le cariche elettriche o tra i pianeti e il Sole: tali leggi, come ad esempio la gravità, sono universali e sono le stesse in differenti punti dello spazio e in tempi diversi. (Fonte: Prefazione di Paolo Sylos Labini 27-08-15)

L’UNIVERSITÀ NEL XXI SECOLO TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE
Autore: Maria Amata Garito. Ed. Mc Graw Hill Education, Milano 2015.
Come può decollare un’università oltre i confini spazio-temporali e con l’ausilio delle nuove tecnologie? Come sono in grado docenti e studenti di diverse parti del mondo di partecipare insieme alla costruzione collaborativa del sapere? Come riescono i modelli telematici a formare e sviluppare il nostro linguaggio veicolandolo verso nuove forme di comunicazione? A queste domande risponde Maria Amata Garito, professore ordinario di psico-tecnologie.
“Uno degli errori più diffuso e gravido di pericoli quando si discute sulla ‘riforma’ dell’università è quello di contrapporre a un’università tradizionale, vecchia e stantia, un’università del futuro librata nell’aria delle nuove tecnologie, al di là del tempo e dello spazio. L’utilità di un libro come questo di una docente come Maria Amata Garito, che ha provato in anni di lavoro concreto e sperimentale le difficoltà di questo passaggio, serve a mio avviso soprattutto a combattere questo equivoco di fondo: la nuova università non può nascere nel vuoto ma deve crescere  innestando nella nuova rete di comunicazione del sapere la sua tradizione millenaria”. (Dalla prefazione di Paolo Prodi, giugno 2015)

L’ISTRUZIONE SUPERIORE. CARATTERISTICHE, FUNZIONAMENTO E RISULTATI
Paolo Trivellato, Moris Triventi (a cura di). Ed. Carocci, Roma 2015, pp. 272.
Il volume curato da Paolo Trivellato e Moris Triventi è dedicato all’istruzione superiore e alle sue dinamiche evolutive, attraverso i saggi di esperti e studiosi del sistema universitario: Gilberto Capano, Massimiliano Vaira, Roberto Moscati, Matteo Turri, Luciano Benadusi, Orazio Giancola, Gabriele Garbarino. Viene  ricostruito lo stato dell'università italiana, analizzandone i cambiamenti recenti e di lungo periodo e confrontandoli con quelli di altri paesi industrializzati. I capitoli affrontano criticamente temi quali la struttura e l'organizzazione del sistema universitario, le politiche, il finanziamento, la valutazione e l'internazionalizzazione; illustrano, inoltre, le tendenze nelle iscrizioni, i risultati degli studenti e gli esiti occupazionali dei laureati. Dal confronto con alcune delle maggiori realtà europee emergono i soliti cronici ritardi sia in termini di investimenti sia sul piano della programmazione, con effetti deleteri sul piano dell’attrattività, della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica. Un volume di sicuro interesse per gli addetti ai lavori, ma anche per tutti coloro che hanno a cuore il destino dell'istruzione universitaria nel nostro paese. (Fonte: presentazione dell’editore)

TRENDS 2015: LEARNING AND TEACHING IN EUROPEAN UNIVERSITIES
Autore: Andrée Sursock, Eua, Brussels 2015, pg. 133.
Prendendo le mosse dal Rapporto del 2010 – che aveva descritto il decennio 1999-2010 come il più turbolento e foriero di significativi cambiamenti – Trends 2015: Learning and Teaching in European Universities si basa sulle risposte a un questionario da parte di 451 istituzioni di insegnamento superiore in rappresentanza di 10 milioni di studenti di 46 Paesi e di 48 sistemi universitari. Un campionario rappresentativo di istituzioni rispondenti, in larga parte relativamente giovani (tra il 1910 e il 2010), equamente distribuite tra piccole, medie e grandi istituzioni, per la quasi totalità (92%) statali, il 7% non statali non profit e l’1% non statali con finalità economiche. Lo studio, completato da una ricca bibliografia, è strutturato in quattro parti che descrivono dettagliatamente l’orientamento strategico attuale. Più in particolare:
- nella prima parte è considerato l’impatto della crisi finanziaria, il cui perdurare accresce – secondo alcune Conferenze dei Rettori – l’aspettativa di rimpiazzare i fondi nazionali tagliati con quelli UE, specialmente di Horizon 2020 anche se la debolezza economica ostacola a sua volta la partecipazione ai programmi comunitari e accresce la disoccupazione giovanile.
- nella seconda parte viene evidenziato come il panorama stia diventando più vario e frammentato, dal momento che le scelte dei Paesi privilegiano più le tradizioni nazionali che l’individuazione di soluzioni comuni nello spirito dello Spazio europeo dell’istruzione superiore.
-  nella terza parte vengono analizzate le politiche di accesso agli studi superiori. Secondo i dati Eurostat (2014) circa la metà dei Paesi UE aveva già all’epoca raggiunto l’obiettivo del 40% di laureati tra i giovani in età 30-34 anni.
-  nella quarta parte sono considerati i cambiamenti che hanno interessato le fasi dell’insegnamento e dell’apprendimento alla luce dei cambiamenti tecnologici in atto e dei più diffusi processi di internazionalizzazione. (Fonte: M. L. Marini, rivistauniversitas sett. 2015)

SETTIMA INDAGINE EUROSTUDENT
LE CONDIZIONI DI VITA E DI STUDIO DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI 2012 – 2015
Realizzata dalla Fondazione Rui con la collaborazione di UniPg.
Quaderno a cura di Giovanni Finocchietti. Editing: Isabella Ceccarini, Stefano Grossi Gondi
Universitas Quaderni 29. Editore: AsRui. Roma, giugno 2015, pg. 159.

DALLO STUDIO AL LAVORO. INIZIATIVE, STRUMENTI E CRITICITÀ NEL PLACEMENT DEI LAUREATI
Quaderno a cura di Benedetto Coccia. Editing: Isabella Ceccarini, Stefano Grossi Gondi. Universitas Quaderni 28 Roma, Editore: AsRui, Roma, aprile 2015, pg. 178.
Il Quaderno (numero 28) è frutto della collaborazione tra la rivista "Universitas" e l'Istituto di Studi Politici "San Pio V". Il Quaderno, a cura di Benedetto Coccia, analizza la transizione studio-lavoro, compresi gli strumenti che favoriscono il passaggio dai libri alla professione, dal punto di vista sia teorico che pratico.
Chi insegna a scrivere un curriculum? Chi offre un metodo efficace per cercare un'occupazione? Chi dà indicazioni su come affrontare un colloquio di lavoro? Spesso i giovani si avventurano nella ricerca del lavoro senza un criterio preciso. La formazione universitaria, molto teorica, da sola non basta. Mancano le competenze trasversali; oppure non è stato acquisito un metodo per selezionare le offerte di lavoro corrispondenti al livello di formazione raggiunto. Autori dei contributi sono Maria Cinque, Manuela Costone, Danilo Gentilozzi e Simona Miano, ricercatori della Fondazione Rui. (Fonte: http://tinyurl.com/po3h4sp)