domenica 21 gennaio 2018

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE n. 1 23-01-2018

IN EVIDENZA

RICERCA QUANTISTICA. SUCCESSI DELLA SCIENZA ITALIANA
Nella ricerca quantistica la scienza italiana trova il suo spazio e si aggiudica gli stessi progetti - 17 - di altri due Paesi europei che continuiamo a sfidare nonostante gli investimenti non siano paragonabili: Germania e Francia. Pari e patta, sul tema: diciassette lavori aggiudicati ciascuno, ex aequo. La chiamata "QuantEra" - Consorzio formato da 26 Paesi europei che coordina e finanzia le migliori ricerche del Continente sulla materia e le sue particelle a pacchetto, "quanti", appunto - ha visto promossi diciassette progetti italiani e co-italiani su ventisei. Sui diversi dossier 128 ricercatori hanno lavorato in gruppi transnazionali formati da un minimo di tre Paesi a un massimo di sette. Alla "call" internazionale chiusa lo scorso 22 novembre si sono presentati, per spiegare il modo di lavorare in questo tipo di ricerche finanziate dalla Commissione europea, tre gruppi con fisici e chimici italiani, tedeschi e francesi collegati tra loro. Altri tre team hanno visto ricercatori italiani collaborare con i tedeschi e, ancora, due squadre di italiani hanno lavorato insieme a studiosi francesi. (Fonte: C. Zunino, R.it 18-12-17)

ABOLIRE LE TASSE UNIVERSITARIE? RISPOSTE
Gli studenti italiani pagano in tasse universitarie da 1,6 a 2 miliardi l'anno - spiega Giliberto Capano, politologo dell'UniBo, esperto di sistemi universitari - a fronte di circa 7 miliardi di finanziamento pubblico alle università. • Possibile abolirle? «Tecnicamente sì, se si trovano le risorse. Ma se si vuole un vero welfare universitario andrebbero messe in diritto allo studio, edilizia residenziale e finanziamento alle università per assumere docenti, per ricerca e didattica. Per le università comunque la misura non cambierebbe nulla in termini di introiti (arriverebbero dallo Stato e non più dagli studenti). E questo non porterebbe a un sistema più equo». • Perché, chi favorirebbe questa misura? «I ceti medio-alti, che sono quelli che in maggioranza fanno l'università». •        L'università gratuita aumenterebbe il numero degli iscritti? «Non è dimostrato, perché la propensione a fare l'università dipende ancora oggi in Italia dal contesto socio-culturale ed economico della famiglia di provenienza e dalla capacità di mantenersi agli studi (costo della vita, libri...)». •  Come funziona negli altri Paesi? «In termini relativi (la proporzione tra quanto ci mettono gli studenti e quanto lo Stato), secondo i dati Ocse, il paese in Europa in cui gli studenti pagano di più è l'Inghilterra, il secondo è l'Olanda. Segue l'Italia. In Germania non si paga ma il governo federale e i Länder investono molte risorse nell'università, e c'è un sistema parallelo di alta formazione professionale; così nel Nord Europa. In Francia le tasse sono basse, ma ci sono diversi canali di istruzione: Grandes écoles, università e istituzioni non accademiche». (Fonte: I. Venturi, La Repubblica, 08-01-18)

SELEZIONATI i 180 DIPARTIMENTI ECCELLENTI
Sono stati selezionati i 180 dipartimenti universitari cui andranno i 271 milioni di euro, previsti annualmente per il quinquennio 2018-2022, dalla legge di bilancio 2017. Per valorizzare l'eccellenza della ricerca con investimenti in capitale umano, infrastrutture e attività didattiche di alta qualificazione anche in chiave di Industria 4.0. In tutto si tratta di un finanziamento pari a oltre 1 miliardo e 300 milioni. La ministra: «Fino al 70% dei fondi potrà essere utilizzato per assumere docenti, valorizzandone talenti e idee».
Dei 180 progetti finanziati per la lista, 106 sono di università del Nord, 49 del Centro, 25 del Sud. Prime UniBo (14 dipartimenti finanziati) e UniPd (13), UniTo (10), UniFi (9), Milano-Bicocca (8), Sapienza (8). Elenco completo > https://tinyurl.com/y9j3pdr7 . Cassifiche d'area: eccellenza assoluta in Fisica il dpt di Chieti-Pescara (dove non c'è il CdL in Fisica).

LA PARZIALE COMPENSAZIONE DEL BLOCCO STIPENDIALE DEI DOCENTI UNIVERSITARI
La legge di bilancio alla fine ha stanziato denari per cercare di tacitare le proteste del mondo accademico, che non ha digerito bene l’inopinato blocco (senza nessuna possibilità di recupero giuridico) degli scatti stipendiali triennali protrattosi dal 2011 al 2015. All’art. 1 della Legge di bilancio 27 dicembre 2017, n. 205, 629° comma, secondo periodo, si legge: A titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il quinquennio 2011-2015 dall'articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, ai professori e ricercatori universitari di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge (che sarà il 1° gennaio 2018) ...  è attribuito una tantum un importo ad personam ... In definitiva, 5 anni di blocco, pari a 1.825 giorni, saranno liquidati in media con 1.550 euro netti: 85 centesimi al giorno, meno del costo di una tazzina di caffè! Di certo, con questi denari, i tanti docenti fuori sede non recuperano nemmeno l'aumento dei pedaggi autostradali. Inoltre si tratta di un provvedimento ingiustificatamente discriminatorio nei confronti di docenti e ricercatori che, pur avendo subito gli effetti del blocco, alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 205 (1° gennaio 2018), non erano più in servizio. (Fonte: Il Foglietto 11-01-18)

CLASSIFICHE DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE ELABORATE DAL CENSIS
Tra i mega atenei statali, ovvero quelli con oltre 40mila iscritti, la prima posizione del Censis va ancora all'università di Bologna, con un punteggio complessivo di 92,0. Seguono Firenze (88,2), Padova e Sapienza di Roma, che sono migliorate anche nella comunicazione, nei servizi digitali e nel livello di internazionalizzazione. L'università di Perugia (94,8 punti totali) continua invece a guidare la classifica dei grandi atenei statali (da 20mila a 40mila iscritti), grazie all'alto grado di internazionalizzazione. Con 91,6 punti mantiene il secondo posto l'università di Pavia, cui si accodano Parma (89,6), la new entry Modena e Reggio Emilia e l'università della Calabria. E se tra i medi atenei (da 10mila a 20mila iscritti), è l'università di Siena a farla da padrona, dopo aver sorpassato in vetta Trento (rispettivamente 99,4 e 99,2 punti). Tra i piccoli atenei (fino a 10.000 iscritti) primeggia nuovamente l'università di Camerino (97,2) davanti a Teramo (89,6). Stabile la classifica dei Politecnici, guidata da Milano (92,8 punti), seguito dallo luav di Venezia (88,2), poi Torino e Bari. Non riserva sorprese nemmeno la classifica degli atenei non statali. Tra i "grandi" (10-20mila iscritti) è in cima l’università Bocconi (95,8 punti), seguita dalla Cattolica (89,4). Tra i medi (5-10mila) al primo posto c'è la Luiss (91,4). Tra i piccoli (fino a 10mila iscritti), compare la Libera università di Bolzano (108,8), e la Liuc-Università Cattaneo (93,4).
Nelle classifiche relative ai singoli ambiti si rileva che, rimanendo tra i mega atenei statali, Bologna primeggia per l'internazionalizzazione e le strutture, Pisa nel campo dei servizi, Palermo nell'ambito della comunicazione e dei servizi digitali, Roma Sapienza per quanto riguarda la spesa in borse di studio. (Fonte: la Repubblica.it 12-01-18)

CONTROLLI DELLA GUARDIA DI FINANAZA SUI DOCENTI PER CONSULENZE E INCARICHI PROFESSIONALI ESTERNI
Controlli in tutta Italia, ordinati dalle procure regionali della Corte dei Conti. Milioni di pagine acquisite dalla Guardia di finanza nelle segreterie delle università e nelle stanze dei professori: registri didattici, verbali dei consigli di facoltà, autorizzazioni a svolgere attività esterne. L'obiettivo della campagna nazionale di controlli, cominciata nel 2017, è accertare se i professori con incarico a tempo pieno abbiano rispettato le regole su consulenze e incarichi professionali esterni. Sotto torchio sono finiti soprattutto i docenti che dividono le proprie giornate fra cattedra e partita Iva. Secondo una ricognizione del sindacato dei professori USPUR, i docenti sotto indagine sarebbero una ventina all'università di Padova, almeno trenta a Napoli, una decina a Bari. Quaranta solo al Politecnico di Milano, dieci in meno al Poli di Torino. Diversi casi si hanno a Trento. A coordinare il programma di controlli in Guardia di finanza è il Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie. Le verifiche in corso riguardano la presunta violazione dei commi 10 e 12 dell'articolo 6 della legge 240 del 2010, la riforma Gelmini dell'Università.
«Siamo alla caccia alle streghe - lamenta Maurizio Masi, direttore del dipartimento di Chimica al Politecnico di Milano e segretario nazionale dell’USPUR (Unione Sindacale Professori e Ricercatori Universitari). È tale la preoccupazione dei colleghi, che a dicembre abbiamo dovuto convocare una riunione in università. Molti, per il solo fatto dì avere ricevuto la verifica della Finanza, sono mortificati nel venire al lavoro. Ed è paradossale, visto che la capacità di operare nel contesto produttivo è riconosciuta in tutto il mondo come plus nella valutazione dei docenti e degli atenei». L'Autorità nazionale anticorruzione, lo scorso 22 novembre, nella delibera numero 1208, ha parlato di «incertezza interpretativa» e di «un alto livello di difformità applicativa», invocando un
intervento del MIUR, nella convinzione che «lo svolgimento di consulenze, esercizio professionale, attività redazionali possa conciliarsi legittimamente e anche virtuosamente con l'autonomia di ricerca». (Fonte: F. Vanni, La Repubblica 15-01-18)

LE CIFRE DELL’UNIVERSITÀ NELLA PRESENTAZIONE DEL MINISTRO
Al 31 dicembre 2008 negli atenei italiani (statali e no) risultavano in servizio 63.243 docenti mentre il primo novembre scorso se ne contavano 53.455. Se i professori associati sono tornati a crescere (1.547), sono crollati di un terzo gli ordinari (meno 6.210) e del 18 per cento i ricercatori (meno 4.664). Il Fondo di finanziamento ordinario delle università nel 2009 aveva raggiunto il picco di 7.831 miliardi di euro per scendere sei stagioni dopo a 6.909. Da allora, ricorda la ministra, "abbiamo ripreso quasi mezzo miliardo". Nel 2018 il recupero sarà del 6,4 per cento. Sul fronte delle iscrizioni, nel 2015-2016 le matricole erano 1.641.696, l’anno successivo sono cresciute a 1.682.904. È aumentato anche il numero di laureati: da 302.073 a 305.265. Per le borse di studio, nel 2014-2015 la copertura degli studenti idonei era del 73,89 per cento "e dal 2015-2016 si è stabilizzata al 90%". Anche i finanziamenti provenienti dall’esterno hanno sofferto, passando da 1.391 milioni di euro del 2011 a 1.266 milioni del 2015. Rispetto agli altri Paesi d’Europa, in Italia "i ricercatori che operano nel settore pubblico e in quello privato sono pochi", dice Fedeli. Quelli a tempo pieno nel pubblico sono solo 120.700: un sesto dei giapponesi (662.000), un terzo dei tedeschi (358.000) e dei coreani (356.000), meno della metà dei francesi (268.000) e degli inglesi (290.000), un po’ meno degli spagnoli (122.000). Nel nostro Paese ci sono 4,9 ricercatori ogni 1000 occupati, in Finlandia e Danimarca 15. L’Italia ha fissato il proprio target d'investimento nella ricerca all’1,53 per cento del Pil per il 2020: nel 2015 eravamo all’1,27% per salire nel 2016 all’1,33 (sotto la media Ue). Riprendendo Gentiloni, la ministra ha ricordato che i ricercatori italiani, "pur essendo il 6,8 per cento del totale Ue", riescono a trainare l’8,1 per cento del finanziamento su "Horizon 2020". Hanno una produttività doppia, per dire, dei francesi.  È stato ridotto "considerevolmente" il numero dei corsi di laurea, "grazie a un sistema di accreditamento rigoroso, anche se bisognoso di aggiustamenti". Aveva raggiunto il record di 5.879 corsi nel 2007-2008: da allora c’è stato un drenaggio del 28,7 per cento per i corsi di primo livello, del 17,4 per cento per il secondo. (Fonte: R.it 10-11-17)

LA CORTE DEI CONTI FA IL BILANCIO A SETTE ANNI DALLA RIFORMA GELMINI. LUCI E OMBRE
La Riforma Gelmini doveva razionalizzare e rendere più efficiente il sistema universitario. Ma se ciò (in parte) è avvenuto, è stato soprattutto per i tagli dei finanziamenti, più che per una reale riorganizzazione. È quanto sostiene il rapporto della Corte dei Conti, dal titolo «Referto sul sistema universitario», che a sette anni dalla contestata legge 240 tira un bilancio con luci e ombre. La legge ha reso più precaria la vita dei professori, la sua attuazione è incompleta e in ritardo. Il rapporto mette in luce anche conseguenze decisamente positive, come gli sforzi delle università di razionalizzare le partecipazioni in perdita, con le dismissioni; nel corso del 2015 gli atenei hanno raggiunto «una soddisfacente solidità economica». Non solo: la riforma ha anche messo un po' di ordine nel proliferare di sedi e corsi non sempre giustificati: «I Comuni che avevano sedi decentrate dei corsi si sono ridotti a 110, erano 162 nove anni fa». Tutti gli atenei «hanno introdotto il bilancio unico, non sempre accompagnato da una modifica del modello organizzativo diretto a garantire una più efficiente prestazione dei servizi». La riforma voleva incentivare il ricircolo delle menti e l'apertura all'esterno degli atenei «ma tante sono ancora le chiamate relative al personale in servizio nella stessa università che bandisce il posto». Migliora, di poco, l'internazionalizzazione dei corsi. Per quanto riguarda le assunzioni, la Corte dice che la riforma «ha complicato il percorso di carriera, allungando il periodo di servizio non di ruolo, contribuendo ad alzare l'età media di accesso al ruolo dei professori». E il merito? Uno dei problemi è che i criteri premiali «usano una pluralità di indicatori modificati di anno in anno e misurati su performance del passato»: così è quasi impossibile per un ateneo programmare politiche efficaci per migliorare il proprio posizionamento. (Fonte: La Stampa, 23-11-17)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

PROPOSTA DI TOGLIERE LA SCADENZA ALLE ABILITAZIONI PER I DOCENTI NEI RUOLI DI RICERCATORE E DI ASSOCIATO
Sia tolta la scadenza alle abilitazioni scientifiche nazionali per i docenti nei ruoli di ricercatore e di associato. E un motivo c'è, analogico alla normativa che riguardava la libera docenza, che scadeva solo se non esercitata con l'affido di un insegnamento presso un ateneo. Ora poiché chi è nei ruoli della docenza per definizione sta esercitando l’abilitazione ricevuta sul piano didattico, in costanza di una "non improduttività" scientifica ai fini stipendiali (almeno due "prodotti" scientifici nel triennio), non si capisce proprio perché non gli si debba confermare l’abilitazione sine die, fino al venire meno di una delle due condizioni. Per gli abilitati non strutturali si potrebbe confermare d'ufficio l'abilitazione, senza valutazione di merito, se hanno mantenuto i criteri per fare domanda. Si sgraverebbe così l'ultima sessione dell'Asn dalla profluvie di richieste di conferma, lasciando lavorare le commissioni con agio sui non abilitati che abbiano fatto domanda. Insomma non ci vuol molto a essere ragionevoli nell'interesse del sistema universitario e del miglior funzionamento del reclutamento. (F.te: Il Mattino 05-12-17)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

SCUOLA NORMALE SUPERIORE DI PISA. ROUND UNIVERSITY RANKING. SUCCESSI IN NATURAL SCIENCES E HUMANITIES
É stata pubblicata la classifica Round University Ranking (RUR), una graduatoria internazionale che misura le performance di 761 atenei in tutto il mondo, valutando didattica, ricerca, apertura internazionale e sostenibilità finanziaria attraverso 20 indicatori diversi per 6 aree scientifiche: Humanities, Life Science, Medical Sciences, Natural Sciences, Social Sciences, Technical Sciences. La Scuola Normale, nelle aree di propria competenza, ovvero Natural Sciences e Humanities, corrispondenti alle classi accademiche di Scienze (Matematica, Fisica, Chimica, Biologia) e Lettere (Letteratura, Storia, Filosofia, Archeologia, Filologia, Storia dell’Arte) ottiene sempre il miglior punteggio in Italia. Nelle Natural Sciences è prima in Italia e 43esima nel mondo (Università della Pennsylvania, Princeton, Stanford occupano le prime tre posizioni mondiali); nelle Humanities è prima in Italia e 205esima nel mondo (Stanford, Princeton, e MIT svettano in cima alla graduatoria internazionale). (Fonte: http://roundranking.com/ranking/world-university-rankings.html#world 05-12-17)

I RANKING DELLE ISTITUZIONI FORMATIVE SONO PIÙ UNA MISURA DEL CONTESTO SOCIALE CHE DELLA QUALITÀ DELLE  ISTITUZIONI STESSE
A seconda dei casi, le classificazioni si basano sugli esiti della formazione in termini di successo educativo o di qualità dell’inserimento occupazionale. Due esempi sono la valutazione degli istituti di istruzione superiore sulla base dei risultati ottenuti all’università dai diplomati o la valutazione delle università sulla base di indicatori di inserimento occupazionale dei laureati (tasso di occupazione e altro). Sul piano metodologico si tratta, in linea generale, di un’operazione non corretta: per potere dire che l’istituzione A è di qualità migliore dell’istituzione B occorrerebbe potere depurare gli esiti in uscita dagli effetti legati al background socioeconomico degli alunni e al contesto ambientale, fattori che condizionano tanto il potenziale di apprendimento quanto le prospettive occupazionali. In poche parole, occorrerebbe adottare misure di valore aggiunto, un’operazione non semplice ma necessaria. Per quanto riguarda le università, vi sono forti indizi che i loro risultati siano condizionati anche dagli apprendimenti pregressi degli studenti e dalle condizioni locali del mercato del lavoro. In particolare, le differenze tra territori negli esiti della scolarizzazione primaria e secondaria, che inevitabilmente incidono sui rendimenti universitari (abbandoni, ritardo alla laurea e così via), appaiono avere origini lontane. L’esodo di studenti registrato in questi anni dal Mezzogiorno verso il Nord Italia e i Paesi esteri, che riguarda soprattutto, ma non solo i giovani più avvantaggiati, col passare del tempo non potrà che peggiorare le posizioni degli atenei del Sud nei ranking, soprattutto se questi ultimi vengono utilizzati a fini dell’attribuzione delle risorse. La polarizzazione delle opportunità educative, esito inevitabile di un uso improprio dei ranking, è uno dei potenti fattori generatori di ineguaglianza tra gruppi sociali e tra territori nel lungo periodo. (Fonte: F. Ferrante; lavoce.info 28-12-17)

LE UNIVERSTÀ PIÙ ECONOMICHE IN EUROPA
Times Higher Education (THE), la piattaforma britannica dedicata ai ranking universitari, ha redatto una graduatoria delle università più economiche d’Europa. Secondo THE, Scuola Normale Superiore e Sant'Anna di Pisa sono gli unici atenei interamente gratuiti in Europa. Alla Normale e al Sant’Anna gli allievi non pagano nessuna retta e non devono spendere per vitto e alloggio. Sono gli unici atenei che premiano interamente il merito dei propri studenti. E questo vale sia per gli studenti UE che per quelli non comunitari. Le altre 8 università più economiche in Europa sono Technische Universität Dresden (TUD), Free University of Berlin, University of Göttingen, University of Würzburg, RWTH Aachen University, Heidelberg University, University of Mannheim, University of Freiburg. (Fonte: www.gonews.it 12-01-18)


CULTURA DEL DIGITALE

LE PROFESSIONI DEL FUTURO. SEI PROFESSIONI DIGITALI EMERGENTI
Il digital innovation officer, in tecnichese e-leader, Responsabile dell'innovazione digitale. E' questa una delle "professioni del futuro" basate sulle competenze digitali di cui le imprese hanno gran bisogno, ma che faticano a trovare. Insieme all’e-leader si cercano technology innovation managers (TIM), change managers (manager del cambiamento), agile coachs (facilitatore dell'innovazione), chief digital officers (capo dei servizi digitali) e IT process and tool architect (architetto di sistemi e processi IT). «Sono professioni che racchiudono un insieme di competenze -  spiega Giuseppe Mastronardi, professore ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il politecnico di Bari e presidente dell'Associazione italiana per l'Informatica e il calcolo automatico (Aica) - indispensabili per gestire i cambiamenti imposti dall'uso di big data, mobile, social media e problema sicurezza. Altra figura chiave è quella del DPO, Data protection officer, responsabile della protezione dati e privacy: un regolamento Ue impone ai Paesi aderenti di essere in regola con le normative sulla privacy entro il 25 maggio 2018. I dati dovranno essere messi in sicurezza, dagli ambienti industriali a quelli giuridici agli uffici legali». E l'Italia? Siamo in ritardo. «Il Paese non è l'ultimo ma è ancora carente di una consapevolezza imprenditoriale», precisa Mastronardi. (Fonte: S. Ficocelli, A&F Repubblica 08-01-2018)

MASTER ONLINE
Al via i primi master online lanciati dagli atenei italiani sul portale Eduopen.org. Una piattaforma di corsi universitari e post-universitari digitali, ideata da 17 atenei del Paese con capofila l'università Milano-Bicocca in collaborazione con i consorzi Cineca e Garr e supportati dal Miur, che punta ad aprire l'offerta formativa via web a tutti. Per conoscere il catalogo di EduOpen (120 corsi attivi e 21 nuovi lanciati in occasione del primo anno di attività) e per saperne di più, consultare il sito web: www.eduopen.org . (01-05-17)

COMPETENZE DIGITALI DI STUDENTI E LAUREATI
Sono complessivamente 2140 gli insegnamenti delle università italiane con temi digitali e imprenditoriali: i corsi “digitali” sono particolarmente diffusi nelle facoltà informatiche e scarsi in quelle scientifiche, i corsi “imprenditoriali” sono ben presenti nelle facoltà economiche ma rari in quelle scientifiche e informatiche.
Quando si tratta di inserire un neolaureato in azienda, per un’impresa su due le competenze digitali sono molto importanti (53,4%), addirittura fondamentali per il 19%. E secondo gli HR manager (manager delle Risorse Umane), le principali aree di innovazione su cui investire nel prossimo futuro sono Big Data Analytics, Digital Marketing, Industria 4.0 (34,7%), Social Media (25,1%) e Cloud Computing (24,7%). Ma trovare personale preparato è difficile per uno su due (51%), molto difficile per uno su quattro (24,7%).
«Il gap di competenze digitali degli studenti universitari si sta riducendo: negli ultimi due anni è raddoppiata - dal 6% al 12% - la percentuale di coloro che hanno sviluppato progetti digitali concreti e possiedono un’alta conoscenza teorica, è calata sensibilmente la quota di quelli senza competenze teoriche e concrete, passata dal 67% al 54%. Ma non basta: una fetta ancora troppo grande degli universitari è ancora inconsapevole di quanto il digitale stia trasformando la cultura aziendale, i processi e i modelli di business, con una scarsa conoscenza teorica e un’ancora più lacunosa competenza pratica. Gli atenei stanno aggiornando la loro offerta formativa, ma anche le imprese, che scontano difficoltà nel reclutamento di profili adeguati, devono fare la loro parte, aumentando gli investimenti in piani di formazione che mettano al centro competenze digitali e imprenditoriali». Così Andrea Rangone, CEO di Digital360, sintetizza i risultati della ricerca “Il futuro è oggi: sei pronto?” condotta da University2Business, società appunto del Gruppo Digital360, in collaborazione con Enel Foundation. (Fonte: www.digital4.biz 15-12.17)


DOCENTI

PRONTA LA SEZIONE UNIVERSITÀ DEL PIANO NAZIONALE ANTICORRUZIONE DELL'ANAC
È pronta la versione definitiva del Piano nazionale anticorruzione dell'ANAC, che dedica all'università una sezione ad hoc, messa a punto dall'Authority di Raffaele Cantone in collaborazione con il MIUR. Per indicare agli atenei "come procedere nella individuazione dei rischi di corruzione, di mala amministrazione o di conflitto di interessi e di suggerire alcune possibili misure, organizzative e procedimentali, di prevenzione, la cui effettiva e definitiva configurazione è naturalmente rimessa alle stesse università e agli altri soggetti cui il documento è rivolto". Il pacchetto di misure si estende anche alle università non statali "laddove, nello svolgimento delle attività di pubblico interesse, esse siano tenute al rispetto delle stesse regole applicabili alle università statali (ad esempio, per il reclutamento dei professori e ricercatori)". Passaggio cruciale è innanzitutto l'individuazione del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, che dovrà verificare la presenza di conflitti di interesse, incompatibilità, inconferibilità di incarichi con la possibilità di accedere alle fonti informative interne e alle banche dati disponibili. (Fonte: ANSA 19-12-17)

ANAC E IL RISCHIO DI CORRUZIONE NEI CONCORSI LOCALI
Il sistema universitario italiano è andato incontro a una progressiva centralizzazione in capo al MIUR e soprattutto all’ANVUR. Malgrado questo ANAC (con l’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione, che dedica un intero capitolo alle università) si dimostra più preoccupata dei rischi di corruzione nella periferia che nel centro del sistema, cui infatti dedica solo 6 pagine su 30. Una parte corposa del documento ANAC riguarda le procedure di reclutamento dei professori. Si tratta del tema più scottante, quello cui l’opinione pubblica appare più sensibile. ANAC suggerisce interventi sul tema dei concorsi che appaiono inadeguati in relazione ai rischi corruttivi riferiti alle procedure svolte al centro del sistema (l’abilitazione scientifica nazionale) e di dubbia efficacia in relazione ai concorsi locali. D’altra parte il documento di ANAC si iscrive in pieno nella linea di intervento su università e ricerca volta a limitare al massimo il peso del giudizio scientifico degli esperti nei processi di valutazione, sostituendolo con una macchina burocratica pervasiva. È triste, conclude l’articolo di S. Baccini su Roars (20-12-17), ma non saranno le indicazioni di ANAC a salvare l’università italiana dalla corruzione. (Fonte: A. Baccini, Roars 20-12-17)

I RIMEDI INACCETTABILI PER IL BLOCCO DEGLI SCATTI AI DOCENTI UNIVERSITARI
Nella legge di stabilità il governo risponde alla protesta dei docenti universitari per il blocco degli scatti stipendiali con una norma che trasforma di nuovo in biennali, ma a quota invariata, gli scatti triennali della legge Gelmini, con la conseguenza che verrebbe recuperata in 10 anni la decurtazione stipendiale corrispondente alla perdita dei 5 anni di anzianità cancellati dal blocco “giuridico” degli scatti del D.L. n. 78/2010. Parallelamente viene concesso un contributo “una tantum”  di circa 2500 euro lordi, da erogarsi nel biennio 2018-2019, ma esso rappresenta solo il  40% di quanto il docente avrebbe ricevuto in media, in un biennio, in assenza del blocco suddetto. Il rimedio proposto non pare accettabile perché modifica ancora una volta la progressione economica nel nostro stato giuridico senza risolvere il problema. Di fatto esso si limita a rinviare la restituzione del “maltolto” a tempi biblici, e non per tutti. (Fonte: P. Gianni, Roars 04-01-18)

INADEGUATE LE MISURE PER L’UNIVERSITÀ NELLA LEGGE DI BILANCIO 2018
Pochi giorni orsono il Parlamento ha approvato in via definitiva la legge di bilancio. Ma per il settore università la manovra è inadeguata. A parte il piano straordinario dei nuovi ricercatori (peraltro insufficiente), sulla questione del blocco-stipendi le misure adottate non sono soddisfacenti. La novità è l'introduzione per i docenti di scatti biennali, anziché triennali, su base non premiale e una modestissima compensazione per i 5 anni di blocco (1500 euro netti in media a fronte di una perdita di circa 20.000). Per non parlare dell'inquadramento giuridico e dell'anzianità di carriera andati, come si suol dire, "in cavalleria". (Fonte: G. Cerrina Feroni, Il Messaggero 28-12-17)

LA MANCATA CIRCOLAZIONE DEI PROFESSORI
La circolazione dei professori da un ateneo all'altro  - un tempo i «dotti» erano, per eccellenza, «vagantes» - è ormai diventata una chimera. I progressivi tagli al Ffo rendono ormai proibitivi questi passaggi e gli incentivi (una tantum) per facilitarli sono insufficienti. Le disastrose conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Se un professore ordinario va in pensione, sarà sostituito (a costo zero) dal collega associato o dal ricercatore in servizio nello stesso dipartimento. Il bisogno di rimpolpare bilanci magrissimi, spingerà le università a investire la quota del pensionamento in progressioni interne di carriera. E lo stesso imperativo economico, purtroppo, incoraggerà sempre più gli atenei a tenere le porte chiuse ai nuovi abilitati esterni. Prendiamo, per esempio, un concorso per professore ordinario: con la cifra riservata a un abilitato esterno (i punto organico) si possono garantire ben cinque passaggi interni da ricercatore a professore associato (0,20 ciascuno). Questa logica aberrante distruggerà ogni possibilità di premiare gli studiosi meritevoli esterni (strutturati o non strutturati, poco importa!). Il sapere, come i fiumi, ha bisogno di scorrere continuamente per mantenere vive e limpide le sue acque. Trasformare gli atenei in acquitrini, sbarrando la strada ai più bravi, significa condannarli a una lenta agonia. (Fonte: N. Ordine, CorSera 30-12-17)


DOTTORATO

DOTTORI DI RICERCA. INDAGINE ALMALAUREA SULLA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE
Il dottorato di ricerca è il percorso accademico post laurea che sceglie chi vuole approfondire gli studi sia per passione sia per un ulteriore investimento in istruzione. L'Indagine sulla condizione occupazionale dei dottori di ricerca svolta da AlmaLaurea, mostra infatti un vantaggio occupazionale legato al conseguimento del titolo, con tassi di occupazione decisamente elevati, superiori al 90%, quando invece i laureati magistrali biennali necessitano di un tempo più lungo (almeno cinque anni) per raggiungere gli stessi livelli. L'età media al dottorato di ricerca è pari a 32,9 anni, tuttavia circa la metà dei dottori ottiene il titolo al massimo a 30 anni di età. In generale i dottori più giovani sono anche quelli che hanno avuto performance migliori nel percorso di studi precedenti: il 77% del dottori con meno di 29 anni   La motivazione più rilevante per l'iscrizione al dottorato di ricerca è legata al miglioramento della propria formazione culturale e scientifica, dal punto di vista personale (l'81% dei dottori la indica come decisamente importante), seguono lo svolgimento di attività di ricerca e studio in ambito accademico (47%), il miglioramento delle prospettive lavorative (39%), lo svolgimento di attività di ricerca e studio in ambito non accademico (31%). A un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca, il 57% dichiara di aver continuato la propria formazione, in particolare svolgendo un'attività sostenuta da borsa di studio o assegno di ricerca o attraverso una collaborazione volontaria con esperti docenti e liberi professionisti.     (Fonte: G. Belloni, ItaliaOggi 21-11-17)                       

DOTTORATO, POST-DOC E DOCENTI. LA SITUAZIONE NELL’INDAGINE ADI
Dalla settima Indagine sul dottorato universitario e il post-doc, allestita dal 2010 dall'Associazione dei dottori di ricerca italiani (Adi) si apprende quanto segue. Il 49 per cento dei dottorati è bandito dai dipartimenti settentrionali, il 29 per cento al Centro, il 21 per cento al Sud. Nell'ultimo anno i "gratuiti" sono passati dal 23,8 per cento al 17,7. Il livello più basso dal 2010. Ovviamente, anche l'aliquota dei posti con borsa (1.200-1.400 euro) è il più alto (82,3 per cento) degli ultimi sette anni.
Sul fronte dei cosiddetti post-doc, che sono i laureati già nella fase successiva al dottorato, gli assegnisti di ricerca nell'università restano stabili: sono poco più di 13 mila e il loro assegno può essere replicato per sei anni. Il 58% sono al Nord, il 26 al Centro, il 20 al Sud. Solo il 9,2% degli assegnisti di ricerca potrà avere la possibilità di ottenere un contratto a tempo indeterminato.
Nel 2017 il saldo complessivo del personale docente (ordinari, associati, ricercatori) è negativo: meno 922. Il piano straordinario per ricercatori di tipo B non è stato in grado di tamponare i pensionamenti. L'area più colpita dal calo di personale è quella medica, ingegneria industriale è l'unica in grado di mantenere un rapporto paritario tra pensionamenti e ingressi.
Alla presentazione dell'Indagine, alla Camera dei deputati, il capo dipartimento Università del ministero, Marco Mancini, ha rivelato che è in corso di revisione il decreto ministeriale 2013 che si occupa di dottorati. L'Adi ha ribadito due richieste: un finanziamento speciale ai dottorandi migrati e senza borsa e la detassazione di tutte le borse previste, in Italia e all'estero. (Fonte: C. Zunino, La Repubblica Scuola 06-12-17)

“DOTTORATI INNOVATIVI CON CARATTERIZZAZIONE INDUSTRIALE”. ASSEGNAZIONE DELLE BORSE
Il Direttore Generale per il coordinamento, la promozione e la valorizzazione della ricerca, con decreto 3749 del 29 dicembre 2017 ha disposto l’assegnazione delle borse di dottorato previste dall’avviso adottato con Decreto Direttoriale 1377 del 5 giugno 2017 nell’ambito del Programma operativo nazionale “Ricerca e Innovazione” (PON RI) 2014-2020. Come è noto il PON RI 2014-2020 nell’ambito dell’Asse I “Investimenti in capitale umano” prevede una specifica azione relativa ai “Dottorati Innovativi con caratterizzazione industriale” (Azione I.1) caratterizzata da due elementi: forte interesse industriale, coinvolgimento diretto delle aziende.
L’assegnazione disposta dal DD 3749/2017 si riferisce a borse di studio aggiuntive rispetto a quelle già finanziate dalle Università con altre modalità per l'A.A. 2017/2018 - Ciclo XXXIII.
(Fonte: Flc Cgil 08-01-18)


LAUREE - DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE

COMPETENZE TRASVERSALI PER IL LAUREATO
Dobbiamo domandarci se l'attenzione agli sbocchi professionali deve essere centrata solo sull'occupazione immediata, o piuttosto su quella "lungo l'intero arco della vita", tenuto conto del fatto che tutte le indagini, internazionali ma anche nazionali, prevedono che ogni persona potrà cambiare più volte lavoro in relazione alle veloci trasformazioni del quadro economico. Anche per una buona occupazione immediata, comunque, occorre che il laureato disponga di "competenze trasversali" oltre che di quelle disciplinari: queste ultime differenziano i diversi corsi di laurea, e sono chiari perciò gli effetti negativi di un eccesso di iscrizioni in corsi che non danno le competenze specifiche più richieste. Ma tali competenze specifiche non bastano (sono necessarie ma non sufficienti!). Mentre, tradizionalmente, i diversi settori scientifici operano indipendentemente tra loro, la didattica oltre che la ricerca deve oggi divenire interdisciplinare e anche transdisciplinare. (Fonte: G. Luzzatto, Il Secolo XIX 07-11-2017)

PROFESSIONI PER IL DOMANI
Per i lavori del futuro quali sono le richieste, all’alba del 2018, secondo il managing director Antal Italia, società di ricerca e selezione del personale? Le professioni dell’Information Technology sono le più ricercate, e si tratta di professioni per persone laureate in Ingegneria Elettronica, Informatica, Ingegneria Gestionale, Economia e Commercio. Ci sono anche nicchie con lauree in Matematica, o Fisica, che continuano a vedersi garantito il lavoro, ancor prima di terminare gli studi. Le aree geografiche che tirano di più sono il Nord Italia, meno il Centro, poco il Sud. I profili richiesti dalle aziende sono di persone specializzate. È intramontabile la vecchia esperienza all’estero, e la conoscenza dell’inglese. (Fonte: V. Trabacca, www.tag24.it 06-12-17)

LAUREATI E DIPLOMATI
L’Ocse nell’aprile 2016 ha evidenziato come, in Italia, a fronte di un 21 per cento di occupati sotto-qualificati e di un 6 per cento privo delle competenze adeguate all’occupazione svolta, vi sia un 18 per cento di occupati sovra-qualificati e un 12 per cento di personale con "competenze superiori al necessario”. Ecco: un italiano che lavora su tre svolge una mansione che non ha alcuna relazione con il percorso di studi (in Germania è 1 su 5, in Svizzera 1 su 8). Si rafforza la spendibilità lavorativa della laurea nei cicli economici più difficili. "Tra il 2007 ed il 2014 la distanza tra il tasso di disoccupazione dei laureati e quello dei diplomati è passato da 3,6 punti a 12,3 a favore dei primi". L’Italia, però, ha un passaggio dal livello di istruzione secondario all’Università del 50 per cento: sono stati 232.321 su 462.472 i diplomati 2016 che si sono iscritti a un ateneo a fronte del 72,4 per cento della Spagna, il 70 per cento della Francia. E tra gli iscritti l’abbandono è alto: nell’ultimo anno accademico hanno lasciato 32.194 matricole, l’11 per cento del totale. Per i diplomati agli istituti professionali l’abbandono è del 25,1 per cento. (Fonte: V. Fedeli, R.it 10-11-17)

CENSIS. DALLA CONSIDERAZIONE GENERALE DEL 51° RAPPORTO SULLA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE/2017 DATI SULL’OCCUPAZIONE DEI LAUREATI
Il tasso di disoccupazione 2016 dei laureati 25-34enni è pari al 15,3%, ma a un anno dalla laurea risulta occupato il 68,2% dei laureati triennali, il 70,8% dei laureati magistrali biennali e l'80% dopo 5 anni, anche se l'effetto scoraggiamento ne travolge il 5,6% che, pur in possesso di un titolo terziario, non studiano né lavorano. A fare la differenza in busta paga, invece, è l'assunzione all'estero alla quale si dice pronto quasi il 50% dei laureati italiani. La retribuzione mensile netta di un laureato a un anno dalla laurea, infatti, stima il Censis, rielaborando dati Istat, Almalaurea e Unioncamere, si aggira sui 1.124 euro mentre oltre confine l'assegno sale a 1.656 euro. Profonda invece la differenza tra la busta paga di un laureato magistrale che lavori in Italia o all'estero: i 1.344 euro corrisposti per una assunzione nei confini nazionali si devono confrontare con i 2.200 euro corrisposti all'estero. Se si parla di ingegneri, poi, la differenza si fa pesante: 1.614 euro contro i 2.619 all'estero. (Fonte: Il Secolo d’Italia 02-12-17)

LAUREE PROFESSIONALIZZANTI DALLE UNIVERSITÀ E DIPLOMI DAGLI ITS
Anche l’Italia avrà le lauree professionalizzanti, quei percorsi universitari triennali con almeno un terzo di ore dedicate a tirocini ed esperienze lavorative e di laboratorio, che dovrebbero avvicinare gli studenti (e anche gli Atenei) al mondo del lavoro. Si parte il primo ottobre 2018, i primi corsi saranno una dozzina con cinquanta studenti ciascuno. Un inizio lento e in salita, perché si tratta di una sperimentazione, ma almeno, per dirla con il rettore di Udine Alberto De Toni, «partiamo, altrimenti non arriveremo mai». Certo, almeno a queste condizioni e per ora, non servirà ad aumentare la percentuale di laureati, come ci chiedono Ocse e Unione europea, una percentuale che è ferma al 25 per cento dei giovani. Il decreto che istituiva le lauree professionalizzanti, parte del panorama universitario negli altri Paesi europei, da almeno vent’anni, era stato l’ultimo atto della ministra Giannini, il 12 dicembre del 2016. Ma al suo arrivo Fedeli aveva bloccato tutto e chiesto una cabina di regia per evitare che le nuove lauree «uccidessero» gli Its, quegli istituti tecnici superiori che ad oggi – con poco più di 10 mila diplomati l’anno – costituiscono l’unica forma di educazione post secondaria alternativa alla laurea tradizionale. Otto mesi di lavoro comune tra Its e Conferenza dei rettori hanno portato all’avvio del percorso: gli Atenei potranno istituire queste lauree per le professioni che sono regolate da ordini e dovranno con questi coordinarsi. Così gli Its continueranno a formare meccanici, tecnici ed esperti di officina super specializzati, mentre le università «sforneranno» super-periti industriali, chimici, esperti di agraria e agrotecnica, ma anche super-guide turistiche o esperti di cantieri e scavi archeologici. (Fonte: G. Fregonara, CorSera 02-12-17)

L’ATTESO DECRETO MINISTERIALE PER LE LAUREE PROFESSIONALIZZANTI
I nuovi corsi universitari triennali che prenderanno avvio a ottobre 2018 in stretto raccordo con gli ordini professionali – spiega il Corriere della Sera – dovrebbero servire a fornire profili lavorativi il più possibile coerenti con le richieste del mercato: super periti industriali, chimici ed agrari ma anche guide turistiche ed esperti di cantieri e scavi archeologici. Ma per ora si parla di appena 12 corsi a numero chiuso in tutta Italia per un totale di 500-600 giovani. Se l’obiettivo è allinearci con gli altri Paesi europei, dove le lauree professionalizzanti pesano per un buon 25 per cento sul totale dei laureati, “a questo ritmo ci vorranno cent’anni”. (19-12-17)

FAKE NEWS. POCHI LAUREATI?
Alcune di queste asserzioni false appartengono alla categoria «come imbrogliare i giovani». La più spudorata è quella secondo cui avremmo in Italia «pochi laureati». Detta così è una bugia. Abbiamo troppi laureati in Giurisprudenza e troppo pochi laureati in Fisica. Più in generale: troppi laureati in materie umanistiche, e in scienze umane, e pochi laureati nelle scienze hard. Questa distorsione penalizza i giovani laureati alla ricerca di una prima occupazione. Per eliminare la distorsione bisognerebbe introdurre il numero chiuso in tutti i corsi di laurea umanistici e di scienze umane. In modo da dare agli studenti liceali una bussola per orientare le scelte future. I più dotati in materie umanistiche sapranno che, se quella è la loro vocazione, essi dispongono di buone chance per superare lo sbarramento del numero chiuso. Gli altri, se vogliono accedere all’Università, dovranno dedicarsi con impegno, già al liceo, allo studio della matematica e delle discipline scientifiche. Avremmo allora, in prospettiva, meno laureati (ma di migliore qualità) nelle umanistiche e più laureati nelle scientifiche. Mettendo fine a una distorsione che penalizza i giovani (e, per giunta, non mette a disposizione del mondo produttivo abbastanza «capitale umano»).
Ma le autorità pubbliche, un po’ per quieto vivere, un po’ per disinteresse per il futuro dei giovani (e un po’ anche per un antico pregiudizio italico contro la formazione scientifica) continuano a raccontare che abbiamo, semplicemente, «pochi laureati». (Fonte: A. Panebianco CorSera 05-12-17)


FINANZIAMENTI

I FONDI PER LE C.D. CATTEDRE NATTA SI STANNO SVUOTANDO
Sul terreno del "merito" va segnalato anche l'affondamento di una misura - lanciata in pompa magna dall'ex premier Renzi - che puntava ogni anno alla chiamata diretta alla docenza per merito di 500 cervelli italiani o stranieri attraverso la creazione di un fondo dedicato al nostro premio Nobel Giulio Natta. La misura dopo due anni non è mai partita, soprattutto a causa della levata di scudi del mondo accademico che l'ha giudicata da subito un corpo estraneo e un'ingiustizia per i tanti aspiranti docenti che seguono le lunghe trafile ordinarie (abilitazione, concorsi, ecc.). La ministra Fedeli, dopo una mezza bocciatura del Consiglio di Stato, aveva annunciato di voler ripresentare la misura con alcuni aggiustamenti. Ma non si è visto nulla. Almeno fino alla nuova legge di bilancio dove le «Cattedre Natta» sono state svuotate di parte delle risorse per finanziare borse di studio e stipendi più alti ai dottorandi. (Fonte: IlSole24Ore 11-11-17)

SUL FINANZIAMENTO COMPLESSIVO AGLI ATENEI PUBBLICI. OSSERVAZIONI DEL CUN
Il CUN constata oggi con rammarico la mancanza nel disegno di legge, recante il “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020”, di un piano complessivo per il sostegno del sistema universitario e per la risoluzione delle sue criticità. Il CUN osserva come il potenziale finanziamento pubblico complessivo agli Atenei previsto nel disegno di legge (7,362 miliardi di euro nel 2018; 7,411 miliardi nel 2019 e 7,502 miliardi nel 2020) non sia sufficiente per far fronte alle esigenze del sistema dell’istruzione superiore e della ricerca, così da poterne garantire l’efficienza, la qualità e il corretto funzionamento, anche in un’ottica di comparazione internazionale. Tale cronico sotto finanziamento pubblico agli Atenei contrasta con le politiche di investimento che il legislatore ha individuato all’interno del provvedimento a favore di altri comparti della Pubblica Amministrazione, il cui sostegno appare prioritario rispetto a quello universitario. Peraltro in questi anni lo Stato ha destinato risorse economiche molto significative, ulteriormente rafforzate dal disegno di legge in analisi, al sostegno di iniziative di formazione e ricerca non riconducibili al sistema universitario. (Fonte: CUN, Adunanza 08-11-17)

FONDO PER IL SOSTEGNO DEI GIOVANI
La ministra dell’Istruzione ha firmato decreti con i quali verranno stanziati 67 milioni di euro per interventi a favore di studenti e studentesse universitarieMaggiori fondi verranno stanziati per la mobilità internazionale e risorse specifiche per incentivare le iscrizioni, soprattutto quelle delle studentesse, ai corsi di laurea di ambito scientifico. Si parla, per esattezza, di 50 milioni per la mobilità internazionale (+6,3%) e di 3 milioni per incentivare le iscrizioni, anche delle studentesse, alle lauree scientifiche. In particolare, grazie ai fondi ricevuti, gli atenei potranno prevedere l’esonero parziale o totale dalle tasse, potranno erogare contributi aggiuntivi o altre forme di sostegno agli studi. Le università riceveranno una quota maggiore di risorse (il 20% in più) per le iscrizioni delle studentesse rispetto a quelle degli studenti in modo da incentivare l’interesse delle ragazze per questi corsi. (Fonte: http://www.farodiroma.it 31-12-17)

INVESTMENT IN LEADING RESEARCH UNIVERSITIES GENERATES A SUBSTANTIAL RETURN FOR THE WIDER ECONOMY
Investment in leading research universities generates a substantial return for the wider economy, and the 23 members* of the League of European Research Universities or LERU are contributing almost €100 billion (US$117 billion) to the European economy and 1.3 million jobs, according to a new study. The €100 billion figure is calculated as gross value added or GVA – revenues less cost of revenues. For every €1 of income received, LERU universities produce €4.83 of GVA, “a worthwhile investment by any measure”, the study found. And each €1 of GVA directly contributed by the universities generates €6.87 of GVA in the wider economy. Extrapolating from that finding, the study suggests that the research universities sector as a whole across Europe may be contributing more than €400 billion and supporting 5.1 million jobs. This is equivalent to 2.7% of the total GVA of the European economy and 2.2% of all European jobs.
*The 23 members of LERU are: University of Amsterdam, University of Barcelona, University of Cambridge, University of Copenhagen, Trinity College Dublin, University of Edinburgh, University of Freiburg, University of Geneva, Heidelberg University, University of Helsinki, Leiden University, KU Leuven, Imperial College London, University College London, Lund University, University of Milan, Ludwig Maximilian University of Munich, University of Oxford, Pierre and Marie Curie University (Paris), University of Paris-Sud, University of Strasbourg, Utrecht University and University of Zurich. (Fonte: www.universityworldnews.com 08-12-17)

SEI PROPOSTE PER ACCELERARE L’INNOVAZIONE ITALIANA
Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup: «La crescita dimensionale delle startup rimane un problema rilevante per almeno due motivi: non favorisce la creazione strutturale di nuova occupazione qualificata; non incide in modo significativo sull’innovazione del sistema industriale italiano». Ovviamente, di fronte a dati poco incoraggianti, servono soluzioni. O, almeno, uno ci prova. Marco Bicocchi Pichi ne enuncia sei. Eccole.
1. Forte potenziamento del fondo venture capital presso la cassa depositi e prestiti
2. Potenziamento dell’incentivo fiscale e investimento in società non quotate (PMI ad alta crescita, PMI innovative, startup)
3. Potenziamento delle misure di attrazione dei talenti internazionali
4. Misure per favorire l’imprenditorialità dei migliori talenti nazionali
5. Rafforzamento della misura «Accordi per l’innovazione» con la partecipazione di Pmi e startup innovative
6. Progetto le stazioni dell’innovazione «Alta Velocità Valley»
Favorire la nascita di un HUB dell’innovazione distribuito territorialmente, ma connesso fisicamente grazie all’alta velocità, attraverso la definizione di un «Accordo di Programma» che coinvolga i comuni di Torino, Milano, Reggio Emilia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Grandi Stazioni Rail SpA. (Fonte: V. Ferrero, www.diariodelweb.it 18-12-17)


RECLUTAMENTO

CNR. 4.500 DIPENDENTI PRECARI SU OLTRE 11.500 DIPENDENTI IN SERVIZIO
4.500 dipendenti su oltre 11.500 dipendenti in servizio presso il CNR (ovvero il 40% della forza trainante dell’Ente), con forme contrattuali più o meno variegate (TD circa 2000, AdR e CoCoCo circa 2500), oggi contribuiscono al successo del CNR nel mondo, donando ad esso il rispetto che merita in ambito scientifico. A oggi i PU (Precari Uniti) si stanno battendo per una causa comune: il superamento del precariato all’interno degli enti pubblici di ricerca. La soluzione? Recepire ed applicare il D.Lgs 75/2017 (la cosiddetta Legge Madia), che, all’articolo 20, espleta benissimo le modalità per il superamento del precariato negli EPR. (Fonte: G. Occhilupo 01-11-17)

OCCUPAZIONE GIOVANILE. IL VANTAGGIO DELLA STEM
Da un lato ci sono aziende che in tempi di vacche magre massimizzano i profitti, dall'altra un sistema formativo che investe poco e fatica ad avvicinare scuole e università al mondo del lavoro. La prossima Finanziaria introdurrà uno sgravio fiscale per chi investe in formazione: non basta, ma è pur sempre un passo avanti. Poi però ci sono le scelte individuali. Siamo giustamente affezionati a una cultura umanistica che ci ha dato gloria nei secoli. Ma se l'obiettivo è un lavoro retribuito occorre fare i conti con la realtà. L'ultimo rapporto Ocse rivela che i giovani italiani laureati nell'area che occupa di più, la «Stem» (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) sono il 25 per cento del totale contro il 37 per cento della Germania. Anche questo spiega perché a tre anni dalla laurea gli under 35 occupati sono appena il 57 per cento: nell'Unione a 28 superano l'80 per cento, in Germania il 92. (Fonte: www.lastampaitilettere 22-11-2017)

RICERCATORI PRECARI NEGLI EPR E NELLE UNIVERSITÀ PUBBLICHE. DISPARITA’ PER LA STABILIZZAZIONE
Semaforo verde all'assunzione di 50 mila precari storici della pubblica amministrazione. La ministra della PA Marianna Madia ha firmato l'attesa circolare per la stabilizzazione del cosiddetto precariato storico, come previsto dalla riforma che porta il suo nome. Va specificato che gli effetti positivi della Circolare riguardano principalmente gli Enti Pubblici di Ricerca, mentre nulla innova per quanto riguarda gli altri settori della conoscenza. In particolare constatiamo, rileva FlcCgil che la Circolare lascia irrisolto il nodo molto grave dell’esclusione dei precari, che svolgono attività di ricerca e docenza nelle università, sia a tempo determinato che con assegno di ricerca, dalle norme di cui all’art. 20 del D.lgs 75/2017. Si tratta di una esclusione che evidenzia il tentativo di non vedere l’ampiezza e il grado di emergenza che ha raggiunto il fenomeno della precarietà nei nostri Atenei.
Se ho capito bene, nota un assegnista di ricerca universitario (Lettera in rete), da questo articolo https://tinyurl.com/y9j7chmh si deduce che un assegnista di ricerca di un EPR dopo 3 anni, magari senza un dottorato di ricerca e senza aver pubblicato nulla (dato che gli assegni su singoli fondi vengono dati con le procedure più disparate e non regolamentate) può essere "stabilizzato" come ricercatore a tempo indeterminato senza ulteriore selezione di merito. All'università invece, dove il ricercatore a tempo indeterminato neanche esiste più, un ricercatore a tempo determinato (con contratto cioè di tipo subordinato, con relativi obblighi didattici, quello per intenderci che casomai dovrebbe essere il requisito per una "stabilizzazione"), dopo selezioni in cui è necessario avere il dottorato di ricerca e un numero minimo di pubblicazioni, non accede ad alcun tipo di procedura selettiva e deve competere con tutto il mondo per uno dei rarissimi posti da professore associato. Vale a dire: se ad esempio ricercatore TD di tipo "A" 3+2, dopo 8 anni (se non di più) dalla laurea, magari già con un'abilitazione da associato (con cui ha dimostrato di essere migliore della metà degli attuali associati), se non c'è il "budget" per far uscire un eventuale posto di tipo B non ha neanche la possibilità di mettersi alla prova? E negli EPR "stabilizzano" gli assegnisti di 3 anni, praticamente neolaureati? Mi sembrano elementi di tale disparità di trattamento da corte dei diritti umani. (Fonte: A&F Repubblica 23-11-17; https://tinyurl.com/ybqsh8lo, https://tinyurl.com/ybw4e82x  28-11-17)

RECLUTAMENTO ACCADEMICO. UNA RACCOMANDAZIONE FRANCO-ANGLO-GERMANICA
L’Accademia delle scienze francese, la Royal Society Britannica e la tedesca Accademia Leopoldina hanno pubblicato un documento congiunto dedicato proprio al tema del reclutamento accademico. Ecco la raccomandazione principale: “La valutazione deve esser basata sulla revisione dei pari messa in atto da esperti che lavorino secondo i più elevati standard etici e deve focalizzarsi sui meriti intellettuali e sui risultati scientifici. I dati bibliometrici non devono essere usati come sostituti della valutazione degli esperti. E’ essenziale che i giudizi siano ben fondati. L’enfasi eccessiva sui parametri quantitativi può danneggiare seriamente la creatività scientifica e l’originalità. Gli esperti devono essere considerati una risorsa preziosa”. L’Italia ha da tempo intrapreso una strada diametralmente opposta a quella indicata in questo documento: tentando di limitare al massimo il peso del giudizio scientifico degli esperti nei processi di valutazione, e sostituendolo con una macchina burocratica pervasiva. (Fonte: A. Baccini, Il Mattino 14-12-17)


RETRIBUZIONI

RETRIBUZIONI. CENSIMENTI ARAN
Dal 2010 a oggi, lo stipendio medio reale nella scuola ha perso il 12,4% del proprio potere d'acquisto, quello dei professori universitari l'11,8%. Nello stesso periodo, la busta paga nelle Autorità indipendenti è cresciuta del 7,6%, mentre negli enti pubblici è aumentata del 7%. Questo è il dato che emerge dai censimenti dell'Aran, l'agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni nella contrattazione collettiva nazionale. (Fonte: firstonline.info 30-10-17)


RICERCA

SCIENCE ELENCA LE DIECI NOTIZIE SCIENTIFICHE PIÙ IMPORTANTI DEL 2017
Le onde gravitazionali generate dalla collisione di due stelle a neutroni. A 130 milioni di anni luce di distanza dalla Terra, due stelle a neutroni si sono avvicinate provocando un’esplosione spettacolare.
Una nuova specie di orango. A novembre è stata scoperta in Indonesia una nuova specie di scimmia antropomorfa.
La microscopia crioelettronica. È stato possibile studiare a livello molecolare l’azione degli enzimi che riparano il Dna.
L’archivio bioRxiv. il server bioRxiv pubblica online articoli non ancora accettati dalle riviste scientifiche.
La correzione genetica puntiforme. È stata modificata la tecnica CRISPR, che adesso permette di correggere una singola lettera, o base, della sequenza del Dna.
Un nuovo farmaco contro il cancro. Approvato l’uso di un farmaco che colpisce le cellule del cancro, a seconda della mutazione genetica che le caratterizza.
Antiche bolle d’aria nel ghiaccio. Nelle bolle d’aria intrappolate in una carota di ghiaccio che arriva a 2,7 milioni di anni fa sarà possibile ricostruire l’atmosfera del passato.
Un fossile umano dal Marocco. Un cranio risalente a 300mila anni fa ha fatto rivedere la storia evolutiva dell’Homo sapiens.
Terapia genica per i neuroni. L’introduzione di un gene corretto, tramite un virus, per fermare la degenerazione dei neuroni del midollo spinale nell’atrofia muscolare spinale infantile.
Osservazione del neutrino. Osservata per la prima volta l’interazione (o scattering coerente) tra un neutrino con energia bassa e il nucleo di un atomo.
(Fonte: P. Grisanti, www.internazionale.it  21-12-17)

SSVPSA, SISTEMA DI SUPPORTO PER LA VALUTAZIONE DELLA PRODUZIONE SCIENTIFICA DEGLI ATENEI
La CRUI lo scorso marzo ha sottoscritto un accordo quadro con l’Università della Basilicata per l’utilizzo di uno strumento software (SSVPSA = Sistema di supporto per la valutazione della produzione scientifica degli atenei) fornito da quest’ultima, per riprodurre una valutazione simil-VQR due volte l’anno. Una differenza rispetto alla VQR è che lo strumento si propone di eliminare totalmente il giudizio umano. In SSVPSA-A2 veniva affermato che il SSVPSA è concepito per superare il limite dei due prodotti per soggetto indicato dalla VQR 2011-2014, e valutare per intero la produzione scientifica dei soggetti valutati.
La metodologia della VQR ha molti aspetti discutibili, come già evidenziato da ROARS, e l’utilizzo dei suoi risultati, che palesemente non tiene conto di tali aspetti, sta avendo sempre più effetti sull’orientamento della ricerca, vista in particolare l’iniziativa dei Dipartimenti di Eccellenza.
Il sistema qui considerato ha l’obiettivo dichiarato di fornire una valutazione completamente automatica, senza compensare in alcun modo l’impossibilità di ricorrere ad esperti valutatori.
È quindi prevedibile che la qualità dei risultati sia peggiore rispetto a quella della VQR, ma vi è il concreto rischio che questi risultati vengano utilizzati, ad esempio, già all’interno degli atenei, per produrre ulteriori effetti sull’orientamento della ricerca: infatti quello dell’uso nella “programmazione della ricerca” è un obiettivo dichiarato. L’altro obiettivo era supportare gli atenei nelle VQR, e al momento quanto promesso in proposito non viene fornito. (Fonte: D. T. Dupré, Roars 03-11-17)

SUCCESSI E DELUSIONI DELLA RICERCA
La ricerca fondamentale, rappresentata in Italia dall'Infn, è sicuramente - spiega Sergio Bartalucci,  fisico ricercatore di staff presso i laboratori di Frascati dell'Istituto nazionale di fisica nucleare - all'avanguardia mondiale, come dimostra l'importante contributo italiano alla recente scoperta del bosone di Higgs e alla rivelazione delle onde gravitazionali, benché poi sia mancato un adeguato riconoscimento internazionale (premi Nobel) al nostro Paese. In altri settori - continua - la situazione è meno rosea, e ciò per una molteplicità di ragioni, che non si limitano solo all'entità modesta della spesa in ricerca o al basso numero di ricercatori, ma sono da individuare anche in una strutturazione troppo burocratizzata, dispersiva e inefficiente del comparto ricerca italiano e in un rapporto sempre difficile con il mondo produttivo.
In relazione ai fondi europei, lo scienziato dice che "le performance italiane nella competizione per i fondi europei sono piuttosto deludenti". "In media il ritorno economico verso il nostro Paese ammonta solo al 70% dei fondi devoluti all'Ue per la R&S. Quello che l'Italia ha 'perso' nell'arco del Settimo programma quadro equivale al finanziamento annuale degli enti di ricerca italiani: oltre 2 miliardi di euro", osserva. E questo - rimarca Sergio Bartalucci - non è andato a vantaggio della R&S europea nel suo complesso, ma solo a vantaggio di alcuni stati nazionali che hanno ulteriormente rafforzato la loro posizione preminente in questo campo. (Fonte: S. Bartalucci, adnkronos.com 03-11-17)

DIFFICOLTÀ PER SVOLGERE LAVORO DI RICERCA NELL’UNIVERSITÀ
Nella situazione attuale, la possibilità di svolgere il lavoro di ricerca all’interno delle Università pubbliche è compromessa, per una serie di motivi. In primo luogo la riduzione dei finanziamenti e del personale rende impossibile mantenere gli standard di sicurezza previsti dalla legge nei luoghi di lavoro. La sicurezza di un laboratorio didattico, nel quale operano gli studenti, dipende criticamente non solo da una corretta manutenzione dei dispositivi di protezione collettivi, ma anche dalla presenza di personale esperto preposto alla vigilanza delle operazioni. Poiché la sicurezza degli studenti (equiparati per legge a lavoratori) è prioritaria, e le inadempienze alla normativa vigente hanno rilevanza penale, ho provveduto a sospendere le esercitazioni in laboratorio in precedenza previste nei miei corsi. Per le stesse ragioni non intendo più prendere sotto la mia supervisione studenti di dottorato di ricerca o tesisti: le tesi che io supervisiono sono oggi soltanto compilative. In secondo luogo, anche il lavoro di ricerca che il docente può svolgere personalmente, è grandemente ridimensionato, perché la riduzione del numero dei docenti comporta un maggiore impegno didattico di ciascuno di noi, e una conseguente minore disponibilità di tempo da dedicare alla ricerca (che peraltro va di pari passo con la minore disponibilità di finanziamenti). Gli estensivi e vessatori obblighi di rendicontazione delle nostre attività, imposti da una inutile burocrazia ministeriale e dall’Anvur sottraggono ulteriore tempo alle attività di ricerca. Infine, le normative concorsuali vigenti penalizzano il precariato e fanno sì che l’inizio della carriera universitaria privilegi persone che si sono formate all’estero, in condizioni molto più favorevoli di quelle vigenti in Italia. (Fonte: A. Belleli, Roars 15-11-17)

RICERCATORI PER L’INTERESSE DEL PAESE
L’Italia “vanta” la popolazione di docenti universitari più anziana d’Europa mentre, a causa dei tagli e del blocco delle assunzioni, una generazione di ottimi giovani ricercatori ogni anno in massa prende il fagotto e se ne va. Quelli che ostinatamente restano in Italia, sostenendo insegnamento e ricerca di qualità, sono oltre 20.000. Con contratti rinnovati di anno in anno, con stipendi bassi e discontinui. Ogni ricercatore costretto ad andare all’estero o cambiare carriera è una luce che si spegne nel futuro del nostro Paese. Così muore l’Italia. Non è difficile cambiare rotta: basta investire risorse pubbliche per l’assunzione di giovani ricercatori. Servono 20.000 assunzioni, attraverso concorsi pubblici competitivi. Con un costo minimo per lo Stato, non solo si darebbe una boccata d’ossigeno all’Università, restituendole il maltolto, ma potremmo finalmente riavviare il motore dell’economia italiana, da troppi anni inchiodata all’ultimo posto in Europa per produttività. Non una spesa, quindi, ma un investimento nel futuro. Ma se è così utile, semplice ed economico perché non lo si fa? La risposta a questa domanda ingenua sta nella mancanza di visione del futuro della nostra classe politica che, incapace di guardare oltre le scadenze elettorali, preferisce dirottare le risorse a gruppi di interesse con maggiore visibilità, per ritorni di consenso a breve termine. I ricercatori italiani non costituiscono un bacino elettorale significativo e sono abituati troppo spesso a lavorare in silenzio. Eppure oggi spetta loro un compito cruciale: qui non si tratta più solo di presentare le proprie legittime istanze. È ora che i giovani ricercatori si assumano la responsabilità di rappresentare l’interesse che tutti sembrano aver dimenticato: l’interesse del Paese. (Fonte: FQ 21-12-17)

I PARADOSSI DEL MECCANISMO DI VALUTAZIONE CRITICATO ANCHE DALLA COMUNITÀ SCIENTIFICA INTERNAZIONALE
G. De Nicolao lo spiega: «Nella classifica Anvur del febbraio 2017, Area 9 - Ingegneria industriale e dell'informazione, all'università privata Roma UniCusano viene assegnato il "voto medio normalizzato" 1,21; al Politecnico di Milano 1,04 e al Politecnico di Torino 1. Ed ecco i posti nella graduatoria: Roma UniCusano al 6° posto, Politecnico di Milano al 24°, Politecnico di Torino al 30°». Ancora: con i criteri Anvur è prima in classifica per la Fisica la Kore, università privata di Enna, che non ha però la facoltà di Fisica. Ma ha soli tre docenti, la cui media ha elevato il punteggio della facoltà fino a portarla in cima. All'opposto invece c'è il dipartimento di Fisica della Sapienza di Roma con il laboratorio di ottica quantistica in cui si studiano le proprietà dei fotoni: ci lavora Giorgio Parisi che nel 2011 ha vinto la medaglia Planck, il più importante riconoscimento per la fisica dopo il Nobel. Alla Sapienza l'Anvur non ha assegnato fondi per i più meritevoli, il super laboratorio è finanziato solo dai fondi europei. In aiuto dei fisici italiani c'è tutta la comunità scientifica internazionale che "sconsiglia" questa metodologia di valutazione: la Fondazione Nobel, la Physician European Society, l'Agenzia di valutazione inglese, e tre premi Nobel per la Fisica, Takaaki Capta, Kip S. Thome e Rainer Weiss che hanno scritto alla ministra Valeria Fedeli denunciando un paradosso: gli scienziati italiani a capo della missione Lisa dell'agenzia spaziale italiana, gli stessi che hanno reso possibile la rilevazione delle onde gravitazionali - una scoperta che è alla base del Nobel per la Fisica 2017 - per l'Anvur non sono da prendere in considerazione.
Ma non è solo la fisica sotto accusa. Uno dei casi più clamorosi è quello del dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Modena e Reggio Emilia: il professore Michele De Luca dirige il ‘Centre for Regenerative Medicine Stefano Ferrari’ e, insieme a Graziella Pellegrini, ha usato le
sue staminali per guarire per la prima volta un "bimbo farfalla" malato di epidermolisi bollosa. Nell'elenco dell'Agenzia questo dipartimento è "mediocre" visto che galleggia a metà classifica. Michele De Luca non ci sta: «L'Anvur deve spiegare perché il nostro gruppo, punto di riferimento mondiale per la medicina rigenerativa con le staminali epiteliali, è considerato mediocre. Ma lo so già. Perché usa valutazioni completamente inappropriate. La ministra Fedeli si è congratulata con me. Dall'Anvur niente». (Fonte: A. M. Liguori, La Repubblica 06-01-18)
L'Italia è l'unico paese a concentrare in un’unica agenzia tutte le funzioni di valutazione, ossia didattica, ricerca, amministrazione, trasparenza. L'Anvur è l'organo siffatto, con il consiglio direttivo più costoso del mondo, giacché il costo reale della valutazione ex-post del biennio 2014-2015 è stato stimato in 300 milioni di euro. Una cifra coerente con i 246 milioni di sterline spesi dal Regno Unito nell'anno 2015 per il REF.  Paragonato al finanziamento ordinario della ricerca italiana, circa 90 milioni di euro nel 2017, questo dato ha un effetto esilarante. E analizzando la lista dei dipartimenti italiani "anvurianamente eccellenti", alcune inclusioni sono comiche, se confrontate con le quattro maggiori classifiche internazionali. (Fonte: R. Rosso, Il Secolo XIX 07-01-18)

MILLIONS OF ARTICLES MIGHT SOON DISAPPEAR FROM RESEARCHGATE
Millions of articles might soon disappear from ResearchGate, the world’s largest scholarly social network. Last week, five publishers said they had formed a coalition that would start ordering ResearchGate to remove research articles from its site because they breach publishers' copyright. A spokesperson for the group said that up to 7 million papers could be affected, and that a first batch of take-down notices, for around 100,000 articles, would be sent out “imminently”.
Meanwhile, coalition members Elsevier and the American Chemical Society have filed a lawsuit to try to prevent copyrighted material appearing on ResearchGate in future. The complaint, which has not been made public, was filed on 6 October in a regional court in Germany. (ResearchGate is based in Berlin). It makes a “symbolic request for damages” but its goal is to change the site’s behaviour, a spokesperson says. (Fonte: Nature. News 10-10-17)

THE QUANTITATIVE METRICS CAN ULTIMATELY BE COUNTERPRODUCTIVE TO ASSESSING SCIENTIFIC RESEARCH
Quantitative metrics are increasingly dominating decision-making in faculty hiring, promotion and tenure, awards and funding, and creating an intense focus on publication count, citations, combined citation-publication counts (h-index being the most popular), journal impact factors, total research dollars and total patents. All these measures are subject to manipulation as per Goodhart’s law, which states: When a measure becomes a target, it ceases to be a good measure. The quantitative metrics can therefore be misleading and ultimately counterproductive to assessing scientific research. (Fonte: Aeon novembre 2017)

RICERCA DI BASE. 400 MILIONI PER IL PRIN
È una buona notizia (specie in raffronto al recente passato dei PRIN) il nuovo bando PRIN di 400 milioni di euro che il ministro Valeria Fedeli ha annunciato nei mesi scorsi. È infatti primo compito dei governi nazionali finanziare la ricerca di base, vero motore dell'innovazione, non quella applicata su cui si concentra in via pressoché esclusiva la Commissione Europea attraverso i suoi programmi quadro. Il budget sarà ripartito fra tre macrosettori, seguendo l'esempio virtuoso dei fondi distribuiti dallo European research council (Erc): scienze della vita (140 milioni), fisica, chimica e ingegneria (140 milioni), scienze sociali e umanistiche (111 milioni). Si ispira all'Europa anche il criterio di valutazione: prima una scrematura fatta dai Comitati di selezione istituiti dal ministero (durante la quale si terrà conto anche del coinvolgimento dei ricercatori under 40), poi una seconda fase in cui sui progetti finalisti dovranno esprimersi esperti internazionali. E anche la cifra massima destinata ai singoli progetti vincitori si avvicina (almeno per ordine di grandezza) a quella prevista dai fondi europei: 1 milione e 200mila euro. Il bando voluto dalla ministra Fedeli con la "benedizione" del collega all'Economia Padoan prevede due corsie preferenziali: una per i cervelli più giovani e l'altra per i ricercatori del Sud. Ci saranno infatti 305 milioni destinati a tutti, con i responsabili delle singole unità di ricerca che potranno essere professori universitari, ricercatori di atenei e di enti pubblici di ricerca, tecnologi, dirigenti di ricerca e dirigenti tecnologi. Per i giovani under 40 (anche ricercatori a tempo determinato) sono previsti 22 milioni. Mentre per la ricerca targata Sud - in cui le unità di ricerca dovranno essere ubicate in una delle Regioni in ritardo di sviluppo o in transizione - ci sono 64 milioni a disposizione. Ciascun progetto, di durata triennale, può prevedere un costo massimo di 1,2 milioni. Le domande si potranno presentare dall'1 febbraio al 15 marzo 2018. (Fonte: L. Carra, scienzainrete 13-11-17)

RICHIESTA DI UN’AGENZIA NAZIONALE DELLA RICERCA
Sarebbe utile fare un passo ancora e dichiarare a chiare lettere che, insieme al nuovo bando PRIN da 400 milioni, ci si appresta a istituire una Agenzia nazionale della ricerca che possa erogare ogni anno almeno un miliardo di euro in bandi competitivi facendo valere le buone pratiche della valutazione indipendente. Tanto più che a tifare per un’agenzia di questo genere non è più il solo Gruppo 2003, che ne ha fatto il suo cavallo di battaglia da un decennio, ma anche altre realtà importanti del Paese, come testimonia il nuovo Rapporto Ambrosetti sulle Life Science 2017 riportando gli orientamenti di Assobiotech e altri attori della ricerca nazionale. Unico paese nel mondo sviluppato a non avere un’agenzia di questo genere, l’Italia deve essere in grado di vincere le resistenze e cominciare seriamente a mettere in mani competenti e indipendenti la gestione di tutto il finanziamento competitivo. Un budget che non può essere ricavato dai fondi ordinari già esistenti ma deve essere aggiuntivo. E consistente. Ricordiamo infatti che dei circa 20 miliari di euro spesi annualmente in ricerca in Italia (1,3% del PIL), 15 miliardi vanno in stipendi e 5 miliardi in acquisto di beni e servizi, e che l’Italia attualmente destina alla ricerca competitiva il 5% del suo budget rispetto al 21% della Francia, il 36% della Germania e il 53% della Gran Bretagna (si veda il Rapporto RIO 2016). I sette Research Council britannici da soli erogano 3,9 miliardi sterline all’anno in bandi. C’è quindi motivo di rallegrarsi per un bando PRIN di 400 milioni di euro. Ma c’è anche motivo per non fermarsi qui. (Fonte: L. Carra, scienzainrete 13-11-17)

RICERCATORI PRECARI NELL'UNIVERSITÀ
Ricercatori precari nell'università: quanti sono, che fine fanno. Il grosso dei precari della ricerca
comprende gli assegnisti, i dottorandi e i borsisti: un arcipelago non sempre definito. Sulle prime due categorie il MIUR fornisce dati abbastanza aggiornati: 13.350 assegnisti (dato del 2017) e 31.651 dottorandi (dato del 2015). Mentre i borsisti non si possono neppure quantificare. Dal 2010 al 2016, sono quasi 43mila i giovani che sono stati titolari di un assegno di ricerca. Il grosso dei quali (il 93 per cento, pari a 40mila soggetti) dopo uno o più assegni ora è fuori dal giro. I fortunati che sono riusciti ad acciuffare un lavoro precario da ricercatore (tipo A o B) sono poco più di 3mila. E 1.326 assegnisti dei 13.350 in "servizio" nel 2017 saranno espulsi nel 2018. Perché la Gelmini ha anche pensato, e tradotto in legge, che oltre le 6 annualità non è possibile andare. L'unica speranza è il concorso per ricercatore, ma prima occorre superare l'Abilitazione scientifica nazionale che dopo un avvio a dir poco problematico sta per essere riformata. (Fonte: La Repubblica 15-11-17)

GLI INSUCCESSI DELL’ANVUR ELENCATI DA ROARS
A distanza di sei anni dalla sua nascita, l’ANVUR può vantare ben pochi successi, scrive impietosamente Roars. Col passare del tempo, sono andati diradandosi gli articoli compiacenti o celebrativi sui quotidiani nazionali. Al contrario, i costi, gli infortuni e l’opacità dell’agenzia sono finiti nel mirino degli organi di informazione nazionali e internazionali. Aver classificato come riviste scientifiche il Mattino di Padova, la Rivista di Suinicoltura e Airone è valso ad ANVUR la prima pagina del Corriere e anche un lungo articolo su Times Higher Education. Le classifiche double-face della prima VQR, una versione sul sito ufficiale e un’altra per la stampa hanno fatto parlare di “bluff della classifica ANVUR“. È di un mese fa il servizio di Report in cui si chiedeva al Presidente Graziosi come fosse possibile che a primeggiare nella classifica ANVUR della Fisica fosse l’Università Kore di Enna e che senso avessero i criteri bibliometrici escogitati dall’agenzia, quando un presidente di una commissione per l’Abilitazione scientifica nazionale può superare l’asticella grazie a 542 citazioni, di cui 394, però, sono autocitazioni. Sempre sul Corriere, il costo delle delibere ANVUR (circa 100.000 Euro a delibera) è finito in prima pagina. E sempre in prima pagina, ma del Fatto Quotidiano, la notizia che dopo la pubblicazione ufficiale dei risultati della VQR, l’ANVUR, senza dire niente a nessuno, ha modificato più di 100 file. La natura kafkiana della burocrazia anvuriana è entrata a far parte del senso comune di chi vive nell’università italiana e molti cominciano a domandarsi se il bilancio costi-benefici sia in attivo. (Fonte: Red.ne Roars 04-12-17)

DALLA LETTERA CHE GLI STUDENTI INDIPENDENTI GIURISPRUDENZA DI BOLOGNA HANNO CONSEGNATO AI VALUTATORI DELL’ANVUR IN VISITA A UNIBO
ANVUR vi ha mandato qui a valutarci, a decidere sulla base dei vostri “punti di attenzione” cosa va e cosa non va nel nostro Ateneo, un diritto questo che crediamo non vi spetti e che appartenga invece alla comunità accademica che vive ogni giorno queste aule e le sue difficoltà. La risposta però di questo Rettorato è stata quella di accogliervi, di preparare da quasi un anno e più i dipartimenti e i corsi di laurea sottoposti alla vostra visita, a rispettare le linee guida del sistema AVA, a comprimere la didattica pur di rispettare il rapporto numerico studenti/docenti che è stato stabilito senza che vi fossero risorse aggiuntive in grado di produrre un piano di reclutamento per far fronte a queste emergenze. A questo è conseguito non solo un aumento dei numeri programmati e con test nei corsi di laurea, ma un’attenzione ai parametri della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) tutti improntati alla produttività di ognuno e alla posizione delle classifiche dove l’articolo viene pubblicato, un’attenzione che è andata a discapito dei tempi della ricerca e della sua qualità. Quello che è accaduto è che durante il boicottaggio dell’ultima VQR alcuni ricercatori e docenti si sono trovati i loro articoli, o meglio “prodotti”, caricati nel sistema senza la loro approvazione, questo per evitare che un eventuale alto numero di boicottaggi potesse influire negativamente sulla valutazione, scavalcando così la libertà di protesta. Ormai da un anno inoltre i dipartimenti e i corsi sottoposti a visita, ed in generale la vita degli organi minori, è stata completamente atrofizzata dal carico burocratico delle procedure AVA, impedendo di discutere delle reali priorità e difficoltà del nostro Ateneo, legando la distribuzione dei fondi a un sistema di valutazione di ateneo sempre più simile alla VQR e che sta tagliando le gambe alla ricerca di base e dei dipartimenti più piccoli. (Fonte: altrodiritto.wordpress.com 09-12-17)

I BENEFICIARI DEL FFABR, FONDO PER IL FINANZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ BASE DI RICERCA
Si tratta di una misura contenuta nella legge di bilancio 2016 che prevede il pagamento di 3.000€ a favore (di non più) del 75% dei ricercatori e (di non più) del 25% dei professori associati che hanno fatto domanda di partecipazione. Il legislatore ha demandato all’ANVUR il compito di stabilire quali tra i docenti partecipanti siano meritevoli di essere finanziati. Il numero massimo previsto di beneficiari è di 15.000, dato che la legge stanziava €45 milioni. Quale era la platea potenziale dei beneficiari? Se prendiamo i dati su sito del MIUR al 31/12/2016 risultavano in servizio negli atenei statali 18.945 Professori Associati (PA); 15.211 Ricercatori a Tempo Indeterminato (RTI) e 4.527 Ricercatori a Tempo Determinato per un totale complessivo di 19.738 ricercatori. Ora che sono stati pubblicati, dagli elenchi ANVUR risulta che riceveranno l’obolo (giudicato dal CUN troppo frazionato e di importo minimale) 7.124 ricercatori e 2.342 professori associati per un totale di 9.466 beneficiari, ben inferiore al numero massimo previsto di 15.000. Il costo complessivo della misura sarà quindi di €28,4 milioni, con un risparmio di risorse per il MIUR di €16,6 milioni, oltre un terzo dell’intera spesa prevista. (Fonte: Red.ne Roars 11-12-17)

CUN. PARERE SUL FFABR, FONDO PER IL FINANZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ BASE DI RICERCA
Con riferimento al FFABR, si sottolinea ancora una volta come tale finanziamento non risulti aggiuntivo bensì decurtativo degli altri capitoli del FFO, in un contesto nel quale la gestione dell’intera procedura per la valutazione della produzione scientifica dei candidati ha un costo non irrisorio. Calcolando il numero dei destinatari in base al numero dei richiedenti e non degli aventi diritto, la procedura del FFABR ha di fatto attribuito il finanziamento non solo sulla base della qualità della produzione scientifica del singolo, ma anche sulla base di fattori imprevedibili e del tutto slegati dal merito quali, appunto, il numero delle domande presentate. Inoltre, l’introduzione di soglie per l’accesso alla procedura, peraltro articolata in due fasi, e di percentuali prestabilite di vincitori fra i candidati, ha avuto l’effetto di disincentivare la presentazione delle domande da parte di ricercatori e professori associati. Ne è risultata una procedura inefficace rispetto agli obiettivi della legge, con la conseguenza di creare importanti residui non utilizzati in un contesto nel quale da anni si registra una grave carenza di risorse pubbliche destinate alla ricerca universitaria. In tale situazione di insufficienza di risorse per la ricerca di base, un finanziamento così frazionato e di importo minimale, riservato a una parte esigua della comunità scientifica, costituisce una criticità che è necessario correggere. (Fonte: Parere del CUN, Prot. 36027 del 21/12/2017)


SISTEMA UNIVERSITARIO

IL PREMIER PARLA DELL’UNIVERSITÀ
Dice il premier Paolo Gentiloni, aprendo gli Stati generali dell’università, che l’Italia è ottava al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche. Sono oltre 1,2 milioni i lavori nel periodo 1996-2014. "Tuttavia", dice ancora Gentiloni attingendo a dati del MIUR, "se si guarda al rapporto tra numero di pubblicazioni e investimenti in ricerca e sviluppo, l’Italia sale al terzo posto della classifica mondiale". Supera anche gli Stati Uniti, "dimostrando un’ottima capacità di impiego delle risorse". Il convegno al Centro congressi viene aperto dal presidente del Consiglio con una comparazione tra la lunga crisi italiana (2008-2014) e il sottofinanziamento degli atenei del Paese: "Hanno accompagnato la crisi in modo ancor più marcato". Meno risorse, meno immatricolazioni fino al 2015, "un forte indicatore dello stato di salute di una comunità", troppi abbandoni degli studi. "La seconda potenza manifatturiera d’Europa non può accontentarsi". Gentiloni, allontanando un vecchio mantra sull’eccesso di atenei in Italia - 49 università oggi hanno meno di 15.000 studenti - ha assicurato: "Ne servono di più. Queste piccole e grandi strutture sono magnete e motore dei territori, attraggono risorse e li spingono in avanti". Per questo mondo che ha smesso di essere ascensore sociale dei giovani di famiglie a basso reddito, "abbiamo iniziato a invertire la rotta, a mettere risorse sul diritto allo studio, ad allargare l’area di chi non pagherà le tasse, a fare i primi interventi per i docenti e ad assumere 1.611 ricercatori". I ricercatori italiani in questo decennio, però, "hanno lavorato in condizioni non facili e ottenuto risultati di eccellenza. Sì, hanno fatto le nozze con i fichi secchi". (Fonte: R.it 10-11-17)

PIÙ UNIVERSITÀ
In un convegno sull'Università italiana nell'Europa di domani organizzato dal MIUR a Roma, il presidente del Consiglio Paolo GentiIoni ha affermato che il Paese ha bisogno di più università. Il Paese ha davvero bisogno di università. Ed è bene che la politica e la società civile prendano coscienza di questa necessità, perché oggi serve davvero più università. Serve al Paese perché la sfida del lavoro si gioca sulla qualità della formazione. Serve alle imprese perché la competizione è nell'innovazione. Serve alle università perché la conoscenza è nella ricerca. E serve ai nostri giovani, perché una formazione superiore e qualificata rende più duttili alle continue trasformazioni di tecnologia e globalizzazione, e contribuisce a configurare i nuovi orizzonti. Serve, poiché l'investimento nel sapere non è l'appendice ma è la premessa per ogni idea di sviluppo. E la garanzia del libero fluire delle idee in tutte le aree del sapere. (Fonte: G. Travaglini, A&F Repubblica 08-01-18)

LA CORTE DEI CONTI FA IL BILANCIO A SETTE ANNI DALLA RIFORMA GELMINI. LUCI E OMBRE
La Riforma Gelmini doveva razionalizzare e rendere più efficiente il sistema universitario. Ma se ciò (in parte) è avvenuto, è stato soprattutto per i tagli dei finanziamenti, più che per una reale riorganizzazione. È quanto sostiene il rapporto della Corte dei Conti, dal titolo «Referto sul sistema universitario», che a sette anni dalla contestata legge 240 tira un bilancio con luci e ombre. La legge ha reso più precaria la vita dei professori, la sua attuazione è incompleta e in ritardo. Il rapporto mette in luce anche conseguenze decisamente positive, come gli sforzi delle università di razionalizzare le partecipazioni in perdita, con le dismissioni; nel corso del 2015 gli atenei hanno raggiunto «una soddisfacente solidità economica». Non solo: la riforma ha anche messo un po' di ordine nel proliferare di sedi e corsi non sempre giustificati: «I Comuni che avevano sedi decentrate dei corsi si sono ridotti a 110, erano 162 nove anni fa». Tutti gli atenei «hanno introdotto il bilancio unico, non sempre accompagnato da una modifica del modello organizzativo diretto a garantire una più efficiente prestazione dei servizi». La riforma voleva incentivare il ricircolo delle menti e l'apertura all'esterno degli atenei «ma tante sono ancora le chiamate relative al personale in servizio nella stessa università che bandisce il posto». Migliora, di poco, l'internazionalizzazione dei corsi. Per quanto riguarda le assunzioni, la Corte dice che la riforma «ha complicato il percorso di carriera, allungando il periodo di servizio non di ruolo, contribuendo ad alzare l'età media di accesso al ruolo dei professori». E il merito? Uno dei problemi è che i criteri premiali «usano una pluralità di indicatori modificati di anno in anno e misurati su performance del passato»: così è quasi impossibile per un ateneo programmare politiche efficaci per migliorare il proprio posizionamento. (Fonte: La Stampa, 23-11-17)

INAUGURATA HUMANITAS UNIVERSITY DI ROZZANO
L'inaugurazione del Campus di Humanitas University di Rozzano (Milano) e dell'anno accademico - tre edifici immersi nel verde per complessivi 25 mila metri quadrati e un investimento di 100 milioni interamente privato (completato, nel 2018 da un residenza universitaria da 240 posti letto) – hanno costituito l’occasione per le autorità intervenute di sottolineare l'ormai consolidata capacità, da parte dell'«ecosistema lombardo», di competere, nelle scienze della vita, con i maggiori centri accademici del mondo. L’Humanitas ne è un simbolo. I suoi 1.200 studenti (il 44% dei quali stranieri) seguono i corsi di Medicina (in inglese), Infermieristica e Fisioterapia e le 13 scuole di specializzazione avvalendosi di docenti tra stanziali e visiting professor - del calibro di Alberto Mantovani (prorettore), immunologo di fama mondiale, Elio Riboli che rientra a Milano dall'Imperial College di Londra, e tre premi Nobel: Erwin Neher, biofisico tedesco (premiato nel 1991), Rolf Zinkemagel, immunologo svizzero (1996), e Jules Hoffmann, immunologo francese (2011). Fiore all'occhiello del Campus, presentato dal presidente di Humanitas, Gianfelice Rocca e dal rettore Marco Montorsi, il "Simulation Lab" (nato grazie a una donazione di 20 milioni del filantropo Mario Luzzatto), uno spazio altamente tecnologico per sperimentare le conoscenze acquisite sui banchi, con simulazioni straordinariamente vicine alla realtà. Humanitas, inoltre, sta lavorando con I bin per l'uso di "Watson" come tutor per gli studenti: è il primo progetto di applicazione di intelligenza cognitiva volta all'insegnamento della medicina. Non a caso la Harvard University considera Humanitas tra i 4 ospedali più innovativi al mondo. (Fonte: V. Salinaro, Avvenire 15-11-17)

UN MIT STILE AMERICANO O UNA RETE DI ATENEI PER GLI ATENEI DEL SUD?
Il seminario svoltosi alla Svimez il 5 aprile scorso aveva per titolo “Un Mit per il Mezzogiorno. Ricerca scientifica e sviluppo tecnologico; il ruolo delle Università e delle imprese meridionali”.
Creare un equivalente del Massachusetts Institute of Technology (Mit) nel Mezzogiorno ha subito stuzzicato la mia curiosità. Tra l’altro ad alcuni mesi di distanza dal seminario, in ottobre, è stata avanzata la prospettiva di creare al Sud un polo tra le università Normale, Sant’Anna e Federico II.
Nei documenti del seminario c’erano anche altre proposte come quella di creare una rete fra università del Sud Italia. Una struttura dinamica attraverso cui condividere i progetti benché alcuni relatori abbiano messo in evidenza l’individualismo di ricercatori e docenti universitari. Individualismo che, a mio parere, è assolutamente sano vista la fatica e il tempo che c’è dietro tante ricerche. Vedremo dunque se prevarrà la rete di università o la creazione di uno o più poli sullo stile Mit. (Fonte: V. D’Angerio, IlSole24Ore 18-12-17)

LA BABELE DELLE SIGLE PER L’UNIVERSITÀ
Il Parlamento approvò rapidamente e il Presidente della Repubblica promulgò la legge 240/2010.
Fino ad allora tutte le componenti del sistema universitario avevano parlato più o meno la stessa lingua, e si capivano. Poi improvvisamente rettori, senatori e consiglieri cominciarono a fare discorsi del tipo: – Bisogna procedere celermente alla riorganizzazione della governance, alla programmazione pluriennale, all’elaborazione dei modelli di distribuzione dei punti organico, all’organizzazione dei processi di autovalutazione …
I professori iniziarono a parlare più o meno in questo modo:
– ANVUR AVA VQR IRAS IRFS CINECA TECO SUA.
I ricercatori rispondevano:
– RTDA RTDB ASN IRIS LOGINMIUR FFABR.
I tecnici replicavano:
– RUP RSPP DVR DUVRI DPI CONSIP.
Gli amministrativi ribattevano:
– MEPA CUP CIG DURC IPA PROPER PERLAPA ANAC RPCT PTPCT OIV.
E gli studenti obiettavano
– CFU CDL CDLM TEST PEC ARDSU ISEE MAV.
Nessuno ci capiva più una #cippa.
(Fonte: N. Casagli, Roars 19-12-17)


STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO

PRIMA DI CHIEDERE LE OPINIONI DEGLI STUDENTI SULLE ATTIVITÀ DIDATTICHE SPIEGARE LORO COM’È ORGANIZZATA L'UNIVERSITÀ
Prescindendo dal giudizio che si dà a un sistema di valutazione basato su una "istantanea" di un corpo studentesco che frequenta a piacere e che raramente studia durante il periodo di lezioni, si tratta di domande importanti. Importanti sono le conseguenze delle risposte, visto che sempre più spesso i risultati dei questionari sono utilizzati dalle "governance" degli atenei per assegnare risorse e/o riorganizzare corsi di studio e/o per le progressioni di carriera. Ma cosa sanno veramente gli studenti dei loro professori e della loro università? Poco si direbbe. Non deve sorprendere. Il Paese intero non conosce la sua università. Lo si capisce dai commenti, dai social network, e anche dalle dichiarazioni di molti politici e dagli articoli di tanti giornalisti. Non ne conosce la struttura - si parla ancora di istituti e di facoltà e persino di assistenti universitari che non esistono più da quarant'anni - né la organizzazione - si parla di ricercatori e in quello intendendo tutto, dal dottorando, all'assegnista, al post-doc internazionale, al ricercatore di "tipo A" o di "tipo B", ecc. La confusione è tanta e il rincorrersi e accavallarsi delle norme sugli accessi e sulla docenza non aiutano. Circolano idee confuse sulla didattica, e sulla stessa struttura dell'insegnamento, e quindi anche sui diritti e sui doveri degli studenti e dei docenti. Poco o nulla si sa dell’amministrazione e della organizzazione del lavoro del personale tecnico e amministrativo. Le notizie sugli stipendi dei professori e dei ricercatori e sulla struttura del lavoro universitario dal reclutamento alla pensione sono contraddittorie. Pagati poco, pagati troppo, poche tutele, troppi privilegi. Molti luoghi comuni alimentati a volte dall'ignoranza, a volte dai preconcetti, a volte dalla malizia. Infatti sarebbe utile, prima ancora di chiedere agli studenti una opinione sui corsi, spiegare loro come è organizzata l'università. L'università dei capaci e meritevoli non va sui giornali, ma è in aula e nei laboratori tutti i giorni. (Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 19-12-117)

LE ISCRIZIONI DELLE DONNE ALL’UNIVERSITÀ
Le iscrizioni delle donne all’università superano infatti quelle maschili di 36 punti percentuali. Tradotto: per ogni cento maschi iscritti all’università, ci sono 136 donne. A completare il percorso di studi, peraltro, è il 17,4% della popolazione femminile, contro il 12,7% dei maschi. Di fatto la popolazione femminile, soprattutto quella più giovane, è più istruita di quella maschile. Ma, sorprendentemente, - sono sempre i dati del WEF (World Economy Forum) a parlare - le donne lavorano meno. La disoccupazione femminile al 12,8% contro il 10,9% maschile, percentuale che aumenta patologicamente tra i giovani - è tre volte tanto - e ancora di più tra le giovani donne, visto che la disoccupazione giovanile femminile è quasi di quattro punti percentuali più alta di quella giovanile maschile (37,6% a 33,8%). Soprattutto escono molto di più e molto prima dal mercato del lavoro: per ogni cento “scoraggiati” che non cercano più lavoro, sessanta sono donne. (Fonte: linkiesta.it 04-11-17)

BORSE DI STUDIO. MAI FINANZIATE CON IL 3% (RISERVATO AL FIS) DEI SOLDI CONFISCATI ALLA MAFIA
Nel novembre del 2013 in Parlamento fu approvato un emendamento al decreto legislativo n. 159 del 6 settembre 2011, meglio noto come Codice delle leggi antimafia, che vuole dare un segnale preciso nella gestione delle somme confiscate alle mafie o frutto della vendita dei beni confiscati. La norma prevede che una piccola parte di queste somme, pari al 3%, sia usata per finanziare il Fondo integrativo statale (FIS) per la concessione di borse di studio. Alla voce somme sequestrate alle mafie risultavano 600 milioni. Il che vuol dire che il 3% - quasi 20 milioni - potevano essere indirizzati al Fondo per il diritto allo studio finanziando circa 10mila borse di studio. Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Udu (Unione degli universitari): «Abbiamo tenuto a risollevare questo problema, perché a distanza di più di quattro anni non si ha ancora alcuna traccia di questi finanziamenti. Queste risorse risultano fondamentali per il finanziamento del diritto allo studio, e oltretutto riteniamo questa vicenda estremamente grave, considerando che si tratta di un “semplice” trasferimento di risorse, e non di fondi aggiuntivi per cui si renderebbe necessario trovare conseguenti coperture». (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 11-11-17)

UNO STUDIO SU TEST DI INGRESSO E NUMERO PROGRAMMATO IN UNA UNIVERSITÀ HA RILEVATO UN EFFETTO POSITIVO SULLE INTERAZIONI TRA STUDENTI E CON I DOCENTI
L’introduzione del test ha portato a una riduzione di circa 14 punti percentuali del tasso di abbandono degli studenti e a un miglioramento della media ponderata dei voti di circa un punto, al termine del primo anno di studi. In sintesi, nel caso da noi analizzato (facoltà di economia all’università di Salerno) l’introduzione di limiti all’accesso sulla base del test genera migliori risultati di studenti (e università). Ma questo avviene semplicemente perché i test hanno selezionato i migliori studenti o perché, essendosi modificata, la composizione della classe ha permesso una migliore interazione tra gli studenti e con i docenti? La risposta è cruciale per il disegno delle politiche sotto molti aspetti. i risultati mostrano che il miglioramento delle interazioni sociali a livello di classe rappresenta il principale meccanismo alla base dell’effetto causale dovuto al cambiamento della politica per l’accesso alla facoltà. Dal punto di vista più generale, il nostro studio suggerisce che la domanda da porsi non è tanto a quanta mobilità sociale e uguaglianza delle opportunità si è disposti a rinunciare utilizzando i test, ma quante risorse si è disposti a mettere in gioco per migliorare la qualità dell’interazione in classe (infrastrutture, quantità e qualità del personale). (Fonte: V. Carrieri, M. D'Amato e R. Zotti, lavoce.info 19-09-17)

LA SODDISFAZIONE DEL RAPPORTO CON I PROFESSORI
Secondo i dati AlmaLaurea, sono i laureati del gruppo scientifico e dell’insegnamento i più soddisfatti del rapporto con i docenti. L'altra faccia della medaglia è caratterizzata dai gruppi di Architettura, Giurisprudenza, Medicina e Odontoiatria. E sono proprio gli studenti di Medicina a guidare la top 5 di chi è meno affezionato ai propri insegnanti: il 24,3% del campione rilevato da AlmaLaurea ha dato un giudizio negativo su di loro. Solo il 14,6% si reputa contento, molto al di sotto della media, fissata al 21,7%. Sul podio nella classifica degli studenti più "stressati" dai professori ci sono quelli del settore giuridico (19,2%) e di Architettura(19,7%). Quarto e quinto posto per Educazione fisica (15,3%) e Ingegneria (14,9). Al primo posto tra gli studenti più soddisfatti, invece, troviamo quelli del settore scientifico (molto soddisfatto per il 27,7%) poi quelli dell'insegnamento (24.7%) e dell'ambito letterario (28,3%). Tra i primi cinque anche quelli del settore geo-biologico (25,5%) e quelli di Agraria (23,5%). (Fonte: A. Carlino, www.skuola.net  30-01-17)

500 MILIONI IN DUE ANNI PER COMPLESSI RESIDENZIALI PER STUDENTI
Il colosso americano Hines continua a scommettere sul mercato immobiliare del nostro Paese.
Hines punta a investire nel segmento dello student housing circa 500 milioni di euro nell'arco dei prossimi due anni, finalizzando già nel primo semestre del 2018 le prime due operazioni. Si tratta di un complesso per studenti vicino alla Bocconi a Milano - in perfezionamento a febbraio - e di un altro  progetto a Firenze, entrambi in fase avanzata. Le due strutture insieme avranno la disponibilità di 1200 posti letto. (Fonte: IlSole24Ore 04-01-18)


TASSE UNIVERSITARIE

INCHIESTA UDU SULLE TASSE UNIVERSITARIE
Dall'inchiesta dell'Unione degli universitari (Udu) risulta che nelle sole università statali il gettito complessivo della contribuzione a livello nazionale - si legge nel report - è passato da 1 miliardo e 219 milioni a 1 miliardo e 612 milioni: quasi 400 milioni in più, ottenuti dagli studenti per coprire la progressiva diminuzione dei finanziamenti statali per le università. A Lecce le tasse sono più che triplicate: più 207,47 per cento in 10 anni, equivalente a 633,86 euro di aumento. Alla Sapienza di Roma la crescita in dieci anni è stata di 702 euro: più 111 per cento. L'aumento alla Statale di Milano ha toccato 510 euro: più 45 per cento. Firenze è l'unica università italiana con la tassazione in calo nel decennio (-7,45 per cento). (Fonte: Udu)

NO TAX AREA AL DEBUTTO. INTERESSATO QUASI UN TERZO DEGLI STUDENTI ISCRITTI
Con il debutto dello “Student act”, nell’anno 2017/18 un iscritto su tre rientra di diritto nella no tax area, l’esonero totale dai contributi universitari, previsto dalla legge di Bilancio del 2017, riconosciuto a chi ha determinati requisiti di reddito e di merito. Per aver diritto all'esonero totale è necessario essere iscritti non oltre il 1 anno fuori corso e aver maturato un numero minimo di crediti. Proiettando il numero a fine anno - e dato che il grosso delle autocertificazioni viene presentato nella seconda metà dell’anno - al 31 dicembre 2017 il totale degli Isee fino a 15mila euro dovrebbe avvicinarsi a quota 600mila: quasi un terzo degli oltre 1,6 milioni di iscritti all’università. Dopo il primo anno di corso per beneficiare dell’esonero non basta però il solo requisito economico, ma occorre ottenere un certo numero di crediti formativi e non superare il primo anno fuori corso. Il merito, insomma, può assottigliare un po’ la platea degli esonerati. (Fonte: Elaborazione del Sole 24 ore su dati INPS, MIUR e forniti dagli atenei, 04-12-17)

TASSE UNIVERSITARIE. DOMANDE E RISPOSTE
Le università non possono chiedere agli studenti tasse superiori al 20% dell'importo ricevuto dallo Stato come FFO, cioè il Fondo di Finanziamento Ordinario. Allora come è stato invece possibile, a partire dal 2007, lo sforamento in decine di atenei? Risponde il presidente della CRUI: «Questo contenzioso, è bene dirlo, riguarda la situazione fino al 2013. Il limite del 20%, dal 2013 in poi, è stato rimodulato all'ammontare della tassazione dei soli studenti in corso e non comprensivo dei fuori corso, come prima. Credo che oggi tutti gli atenei rispettino il tetto. Mi lasci aggiungere una cosa: alcuni atenei hanno sforato quel 20% perché è diminuito il FFO. Quindi anche a tasse invariate la percentuale è aumentata». Colpa del Governo, allora? «No, dico solo che ci sono stati due fattori: da una parte l'indubbio aumento delle tasse, dall'altro i minori trasferimenti. E il banco è saltato». Secondo l'Udu, l'Unione degli studenti universitari, nelle università statali il gettito complessivo della contribuzione a livello nazionale è passato da 1 miliardo e 200 milioni del 2005 a 1 miliardo e 600 milioni di oggi: 400 milioni in più. Presidente CRUI: «Negli ultimi anni c'è stato un incremento della tassazione soprattutto per le fasce medio-alte che prima era molto bassa. Questo è stato anche stimolato dal fatto che dal 2009 a oggi si sono ridotti i trasferimenti statali di un miliardo. Quasi il 20%, e molti atenei sono andati in affanno e hanno aumentato le tasse». Non teme che generazioni di studenti restino lontane dall'Università perché le loro famiglie non hanno i soldi per iscriverli? «Dalla Finanziaria 2016 è stata introdotta la 'No Tax area', applicata per la prima volta quest'anno. Chi ha un reddito Isee al di sotto di 13 mila euro non paga le tasse, cioè l'università è gratuita». (Fonte: N. Femiani, La Nazione 15-11-17)

CONCLUSIONI SU UNA PROPOSTA DI ABOLIRE LE TASSE STUDENTESCHE
Non abbiamo la pretesa di dire se l’abolizione (delle tasse universitarie) proposta da Pietro Grasso (LeU) sia l’unica scelta possibile o se sia la più giusta. Crediamo, però, che sia doveroso aprire un dibattito sul diritto allo studio e che non lo si possa fare senza prendere atto dei numeri e dei confronti internazionali. Un possibile dubbio sulla sostenibilità della proposta riguarda la capacità del sistema universitario di sostenere adeguatamente il più che verosimile incremento del numero di iscritti. Una capacità messa a dura prova da anni di tagli che hanno inciso su un sistema già sotto finanziato. Da questo punto di vista, l’abolizione delle tasse dovrebbe essere accompagnata da un adeguato rifinanziamento degli atenei. Questo significa che il costo reale dell’operazione potrebbe essere decisamente maggiore degli 1,6 miliardi citati da Pietro Grasso. Un problema cui si potrebbe ovviare investendo quanto necessario. Se ciò non fosse possibile, si potrebbe ripiegare su una significativa riduzione delle tasse (soprattutto per le fasce economicamente più deboli) accompagnata da interventi di potenziamento delle strutture (residenze, mense) e dell’offerta didattico-scientifica degli atenei (docenza, aule, laboratori didattici e di ricerca). (Fonte: Roars 08-01-17)

I RAGAZZI NON RESTANO LONTANI DALLE UNIVERSITÀ PER VIA DELLE TASSE UNIVERSITARIE
Se oggi la popolazione universitaria italiana e il numero dei laureati sono in coda alle classifiche europee  dipende da molte cose: la difficoltà del nostro mercato del lavoro; i bassi (talvolta grotteschi) salari d’ingresso; il costo di studiare e vivere in città diverse dalla propria, in assenza di adeguate residenze universitarie; la difficoltà logistiche dell'insegnamento (e alcune pratiche discutibili) di certe grandi università; l'inadeguatezza accademica di alcuni piccoli atenei locali.
Non raccontiamoci storie. Non è il livello delle tasse universitarie che tiene lontano i ragazzi.
Le tasse universitarie italiane sono, nel complesso, ragionevoli. Toglierle non ha senso: è demagogia, lasciamola ai politici. Per chi non può permettersele - stando attenti di non fare un regalo al papà che non dichiara i suoi redditi e presenta un imponibile risibile! - le università devono prevedere borse di studio. In una vera democrazia, nessun ragazzo dotato e volonteroso deve rinunciare agli studi per motivi economici. (B. Severgnini, CorSera 19-01-18)


VARIE

“TRASFORMARE I SUDDITI IN CITTADINI È MIRACOLO CHE SOLO LA SCUOLA PUÒ COMPIERE” (PIERO CALAMANDREI)
Dovrebbe levarsi un coro unanime a favore dello Ius Culturae (“diritto legato all’istruzione”, cioè equiparare i figli di cittadini stranieri minorenni che hanno concluso con successo almeno un ciclo scolastico in Italia ai loro coetanei), soprattutto da parte delle istituzioni accademiche. È sorprendente che l’università trovi risalto mediatico nelle sparute miserie degli abusi di potere e non piuttosto nel dibattito culturale intorno a leggi come questa. È bene precisare che non stiamo parlando di regalare la cittadinanza a chiunque arrivi in Italia. Si tratta piuttosto di un provvedimento per valorizzare chi in Italia è cresciuto ed è parte integrante di questa società, avendo frequentato il luogo che è per eccellenza il sinonimo di condivisione ed inclusione, cioè la scuola. Mentre l’inclusione scolastica è una realtà fino alle superiori, frequentare l’università è un percorso ad ostacoli per dei ragazzi capaci e meritevoli. I compagni di banco dei nostri figli, finché minorenni, sono tutelati da un permesso di soggiorno per motivi familiari. Al compimento del diciottesimo anno, gli italiani senza cittadinanza divengono stranieri in patria. Queste persone si trovano di fronte una serie di difficoltà burocratiche enormi. Ad esempio, è possibile ottenere un permesso di soggiorno di cinque anni, ma solo dimostrando di avere un impiego fisso. Gli studenti dovrebbero lavorare e studiare allo stesso tempo, con il risultato che tendono a escludere proprio quelle facoltà che richiedono un impegno maggiore e presentano anche delle prospettive di impiego migliore. Qualcuno, poi, arriva a pagarsi di tasca propria i contributi di un impiego fittizio pur di potersi dedicare allo studio. (Fonte: M. Bella e M. D’Abramo, FQ 16-12-17)

GLI SCIENZIATI NON SANNO FARSI CAPIRE?
Quando avvengono le manipolazioni di temi scientifici, un luogo comune che si ascolta è: "La colpa è degli scienziati, che non fanno alcuno sforzo per far capire le cose; se ne stanno chiusi nelle loro torri di avorio e non gli importa di comunicare con le persone comuni". Dunque qualcuno dirà che gli scienziati nessuno li legge perché non si fanno capire. Calma un momento. Io diffido in genere quando gli scienziati si fanno capire troppo. Ma questo è un problema diverso. Certo che se uno scienziato ha studiato venti anni e scritto per riviste specializzate migliaia di pagine di calcoli e figure allo scopo di circoscrivere complicati concetti, ipotesi ed esperimenti per spiegare un fenomeno complesso, è difficile che possa essere esaustivo e brillante in 5-6 mila caratteri (spazi inclusi). A parte che ha anche disimparato di solito a scrivere in italiano. Ma il punto vero è che sono necessari adeguati livelli di alfabetizzazione funzionale per capire certe informazioni o seguire taluni ragionamenti. Se ben il 30 per cento dei cittadini italiani è funzionalmente analfabeta, contro il 12 per cento della Finlandia o della Repubblica ceca - e se un altro 50 per cento verosimilmente rimane al di sotto delle prestazioni cognitive richieste per capire le complicate dinamiche delle economie della conoscenza - forse questo avrà un ruolo nel fatto che le persone non riescono a capire certi argomenti. Al di là degli sforzi che possono fare gli scienziati. I guru che vanno per la maggiore, che non dicono niente quando scrivono, invece li capiscono tutti. (Fonte: G. Corbellini, Il Foglio 05-12-17)         

IL PAPA ATTIVA LA RETE UNIVERSITARIA CATTOLICA SUI PROBLEMI DELL’EMIGRAZIONE
«Bisogna avviare studi sulle cause remote delle migrazioni forzate, con il proposito di individuare soluzioni praticabili, anche se a lungo termine, perché occorre dapprima assicurare alle persone il diritto a non essere costrette ad emigrare». È il mandato concreto che Papa Francesco ha assegnato alle università cattoliche per approfondire le radici del fenomeno ed individuare percorsi capaci di limitare l'ondata xenofoba che si sta abbattendo in Europa. «E’ importante riflettere sulle reazioni negative di principio, a volte anche discriminatorie e xenofobe, che l’accoglienza dei migranti sta suscitando in Paesi di antica tradizione cristiana, per proporre itinerari di formazione delle coscienze». Ricerca accademica, insegnamento e promozione sociale è quello che il Vaticano spera di attivare nella rete universitaria attraverso programmi specifici «volti a favorire l’istruzione dei rifugiati, a vari livelli, sia attraverso l’offerta di corsi anche a distanza per coloro che vivono nei campi e nei centri di raccolta, sia attraverso l’assegnazione di borse di studio che permettano la loro ricollocazione». (Fonte: F. Giansoldati, Il Messaggero 05-11-17)

UN GRANDE SUCCESSO DELLA TERAPIA GENICA IN ITALIA
La scienza e la medicina creano prodotti commerciali e occupazione. Quarto, la ricerca pubblica italiana vince. Noi sappiamo quanta fatica costano i successi scientifici e quanto ancora e di meglio si può produrre, alimentando una sana competizione tra idee, lontana anni luce dai venditori di fumo e dall'autopromozione che lucra su ignoranza, speranza e disperazione. La nostra ricerca e alcuni nostri scienziati sono la frontiera della conoscenza, malgrado la miopia di un Paese che dalla ricerca di base, dalla scienza, non solo rifugge, ma con le decisioni della sua classe politica è incline a creare ostacoli, dagli Ogm alla sperimentazione animale. In Italia lavorano gruppi che sono la punta di diamante nel mondo delle staminali, della terapia genica e della genomica. Terapia genica ha curato una grave malattia, l’epidermolisi bollosa. È raro che un lavoro terapeutico trovi spazio su Nature. Succede quando una spettacolare conquista clinica italiana ottenuta all’UniMoRe è costruita su una straordinaria conoscenza della biologia di base, in questo caso delle staminali della pelle. È questa la medicina rigenerativa a cui guardare, quella che procede insieme alla biologia. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 09-11-17)

SULLA RELAZIONE DI CAUSA-EFFETTO TRA ISTRUZIONE E LAVORO
La politica europea (e quella del nostro paese) continua, con atteggiamento “difensivo”, a riproporre ostinatamente una relazione di causa-effetto tra istruzione e lavoro, sulla scia di un percorso iniziato oramai da quasi 20 anni, che si sta rivelando fallimentare. Risultato: l’educazione continua a “rimpicciolirsi” e a “professionalizzarsi”, nonostante si tenti di rivestirla di nuove tecnologie e metodologie didattiche o si “infonda” spirito di imprenditorialità sui suoi attori (dirigenti, insegnanti e oggi anche studenti) e l’occupazione, in particolar modo giovanile, non sembra giovarsene in alcun modo. Una particolare narrativa europea legittimata dalla mondializzazione, dall’urgenza della crisi, dall’esplosione delle nuove tecnologie di comunicazione, sembra imporre oggi in maniera “deterministica” l’idea che l’educazione degli individui sia uno strumento macro-economico di crescita e aumento della produttività prima di ogni altra cosa. Sebbene l’educazione debba indubbiamente confrontarsi con questioni inedite e controverse come l’interculturalità e l’inclusione, la trasformazione degli spazi sociali e delle modalità di accesso e produzione di contenuti, i nuovi modi di comunicare e entrare in relazione, essa non può essere semplicemente chiamata a rispondere e adattarsi a una nuova “organizzazione del mondo”: deve poter contribuire a ridefinire e modificare la realtà esistente. Non è democratica una società in cui gli scopi educativi sono prestabiliti, monitorati e pacificamente catalogati in set di competenze da certificare. È democratica quella società in cui gli obiettivi dell’educazione sono oggetto di dibattito e di revisione costanti. (Fonte: R. Latempa, Roars 01-12-17)

RIENTRO DI DOCENTI E RICERCATORI DALL'ESTERO 2017. I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
I trattamenti economici previsti per lo svolgimento dell'attività assistenziale presso le aziende ospedaliero-universitarie, non possono essere considerati redditi derivanti da rapporti aventi ad oggetto attività di docenza e ricerca. Fa eccezione il caso di un soggetto con esperienza di docenza o ricerca all'estero, che rientri in Italia per svolgere un'attività di lavoro dipendente o autonomo. In quest’ultimo caso, il docente (o ricercatore) potrà fare ricorso al regime speciale per lavoratori rimpatriati (ex art. 16 del D.Lgs 14 settembre 2015, n. 147) per tutti i redditi percepiti. (Fonte: risoluzione 146/E dell’Agenzia delle entrate https://tinyurl.com/yctzb2m9)

LA GRANDE FUGA DAL SUD DI MEDICI, DOCENTI E STUDENTI
Il sociologo Adolfo Scotto di Luzio, in un editoriale per Il Mattino, ha tratteggiato il quadro della situazione attuale. In base alle statistiche entro il 2050 avranno abbandonato le aree del Sud 5 milioni di giovani. Medici, studenti universitari e, naturalmente, insegnanti sono alcuni dei protagonisti della nuova presenza meridionale nelle città dell’Italia del Centro-Nord. Dal Sud al Nord, gli italiani si muovono innanzitutto alla ricerca dell’efficienza. La nuova migrazione interna mette così in gioco dimensioni complesse che riguardano l’organizzazione e la qualità dei servizi, la sanità, innanzitutto, il sistema di istruzione, l’aspirazione a veder riconosciuto il proprio talento. La nuova emigrazione meridionale torna ad essere, proprio com’era dei contadini che abbandonavano il Mezzogiorno più di cento anni fa, un pronunciamento contro la società dalla quale si separano. È letteralmente un voto contro il Sud. Contro la corruzione e l’inettitudine delle sue classi dirigenti, contro le strutture clientelari che reggono i rapporti nella sfera professionale. Se le migrazioni interne hanno ripreso così intense il loro corso è dunque conseguenza del fatto che il Sud, in questi vent’anni di vita pubblica italiana, è letteralmente scomparso alla coscienza del Paese. Ed è ora di invertire la rotta. (Fonte: A. Carlino, Tecnica della Scuola 10-12-17)

RUOLO DEL CORPO TECNICO E AMMINISTRATIVO OPERANTE NELL’AMMINISTRAZIONE UNIVERSITARIA
L’articolo su Altalex “La tecnoburocrazia nelle Università” ha come obiettivo di mettere in trasparenza e nella giusta evidenza il ruolo del corpo  tecnico e amministrativo operante nell’amministrazione universitaria, a fronte di un deficit di visibilità all’esterno dei contesti accademici. Di seguito le conclusioni.
Le attività propriamente e strettamente accademiche costituiscono l’elemento finalistico e fisiologico dell’istituzione universitaria, giova ripeterlo e mai dimenticarlo, ma dinanzi agli artt. 1 e 4 comma 2° della  nostra Carta Costituzionale, tutti i lavori hanno la stessa dignità e decoro se ottemperano al dovere di attività socialmente utili e produttive che in quanto tali concorrano al  progresso materiale o spirituale della società. Il lavoro del PTAA, sia per la sua natura pubblica, sia per la sua effettiva incidenza nei processi economici e nei procedimenti amministrativi non può che rientrare ampiamente tra queste attività. I Rettori cambiano, i Direttori Generali cambiano, i vertici degli organi collegiali di indirizzo politico cambiano, ma la Tecnoburocrazia è lì, vigile diligente e ossequiosa  nel garantire la continuità dell’azione amministrativa. È difficile pensare che gli obiettivi di sviluppo degli Atenei possano essere realizzati senza il coinvolgimento e la partecipazione della sua Tecnoburocrazia che è componente strutturale e come tale intrinsecamente strategica delle istituzioni universitarie. (Fonte: C. Amiconi, Altalex 15-12-17)


UNIVERSITÀ IN ITALIA

UNIBO. UN POCO DI STORIA
L’Università di Bologna, l’Alma Mater Studiorum, vanta due primati. Innanzi tutto è la più antica del mondo occidentale, fondata nel 1088. E poi ha aperto la strada per l’insegnamento. È da tutti riconosciuta come il più prestigioso ateneo italiano nonché uno dei simboli più celebri di Bologna. È grazie alla presenza della sua università, infatti, che il capoluogo dell’Emilia-Romagna è passato alla storia coma “Bologna La Dotta”. Si deve a Giosuè Carducci l’anno preciso della sua nascita, concordato tramite una commissione istituita nel 1888 di cui era presidente, nonostante le prime edizioni note di statuti universitari risalgano al 1317. Durante l’XI secolo la situazione politica era segnata dalla forte influenza di Chiesa e Monarchia. A Bologna si sentiva l’esigenza di favorire lo sviluppo di un’istruzione libera, che si distaccasse dalle scuole di stampo ecclesiastico. Furono gli stessi studenti che si organizzarono autonomamente scegliendo i maestri più prestigiosi: tra questi il giurista Irnerio, considerato il primo studioso di fama internazionale dell’Università. Se inizialmente era il Comune che garantiva la continuità delle lezioni, dopo l’intervento di Federico Barbarossa con la Constitutio Habita del 1158 l’ateneo fu riconosciuto come luogo di ricerca. E per questo indipendente dall’autorità politica. Vi erano insegnati soprattutto grammatica, retorica, logica e diritto fino a quando, dal XIV secolo, agli studi giuridici si affiancarono quelli di stampo medico, filosofico e matematico oltre che teologico. (Fonte: F. Giurato, La Stampa Viaggi 13-11-17)

UNIBO. 14 DIPARTIMENTI, SU 15 CHE AVEVANO FATTO RICHIESTA, PREMIATI DAL FONDO PER I DIPARTIMENTI ECCELLENTI PREVISTO DALLA LEGGE DI BILANCIO 2017
Un risultato che porterà ai dipartimenti UniBo selezionati un finanziamento totale, in cinque anni, di 113,8 milioni di euro. Gli eccellenti Unibo selezionati dal ministero sono quelli di Architettura, Chimica Ciamician, Filologia classica e italianistica, Ingegneria civile chimica ambientale e dei materiali, Ingegneria dell'energia elettrica e dell'informazione Marroni, Lingue letterature e culture moderne, Psicologia, Scienze aziendali, Scienze biomediche e neuromotorie, Scienze economiche, Scienze giuridiche, Scienze mediche veterinarie, Scienze politiche e sociali, Scienze e tecnologie agroalimentari. In quattro aree l'UniBo riesce a piazzare ben due dipartimenti tra gli ammessi ai finanziamenti: Scienze agrarie e veterinarie, Ingegneria civile e architettura, Scienze dell'antichità e Scienze economiche e statistiche. (Fonte: corrieredibologna.corriere.it 10-01-18)

UNIBO. L'ALMA MATER È PRIMA IN ITALIA PER SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE NEL RANKING GREENMETRIC
L'Università di Bologna è il primo ateneo in Italia per attenzione ai temi della sostenibilità ambientale. A certificarlo è la nuova edizione del ranking GreenMetric, la classifica che valuta le politiche e le azioni “green” messe in campo dalle università di tutto il mondo. Nell'edizione 2017 del ranking, appena pubblicata, l'Alma Mater conquista la prima posizione in classifica tra gli atenei italiani, con un passo in avanti decisivo dopo il secondo posto dello scorso anno. Ma ancora più rilevante è il posizionamento a livello mondiale. Nella classifica generale, infatti, Unibo scala in un solo anno ben 42 posizioni, passando dal 71° al 29° posto e raggiungendo così la top 50 mondiale delle università green. Il balzo in avanti arriva a pochi mesi dalla firma dell’accordo che ha assegnato all’Alma Mater il ruolo di coordinatore nazionale del gruppo di università italiane che partecipano a GreenMetric. Lanciato da Universitas Indonesia nel 2010, GreenMetric ha l’obiettivo di coinvolgere le università di tutto il mondo ponendo l'accento sui temi della sostenibilità e del rispetto per l’ambiente. (Fonte: magazine.unibo.it 15-12-17)

UNIBO. UN ARGINE AL TURISMO UNIVERSITARIO. UNIBO SELEZIONERÀ CHI VUOLE RIENTRARE PER TERMINARE GLI STUDI
Per aggirare il test di medicina è nato un mercato parallelo di agenzie specializzate che offrono costosi trasferimenti in Paesi dell'Est Europa. Per il rientro in Italia alcune (ex)facoltà di medicina come a Bologna fanno una rigida selezione, altre invece accolgono studenti italiani con preparazioni alla bulgara o alla romena. Festi (UniBo): "Da quest'anno arginiamo il turismo universitario" senza una base di teoria. «Mediamente la qualità è più bassa, la didattica sul piano teorico è buona ma è solo teorica: spesso la preparazione è claudicante. Molti studenti sono tornati con una montagna di crediti in attività curriculari, tirocini su tirocini, ma tutte questa operosità non corrisponde a una reale formazione». Mentre il MIUR conferma che non hanno alcuna validità questi titoli, ogni anno qualcuno si infila nei posti messi a disposizione dai singoli atenei. Come fanno? «Credo che abbiamo i dati statistici di quelli più "accoglienti" e provano a spedirli. Il Consiglio di Stato ha stabilito che non possiamo mettere un freno agli spostamenti dentro e fuori l'Europa, il punto è selezionare i più meritevoli». I genitori hanno evocato un «diritto allo studio negato» in Italia a causa del numero chiuso. «Lo sbarramento con le 60 domande scritte per tutti ha creato certamente un fenomeno nuovo, ma faccio fatica a pensare un sistema diverso. Esiste da 15 anni e in tutti i Paesi del mondo, per chi vuole fare medicina, si è adottato un criterio di selezione obbligatorio. Un dottore preparato presuppone una buona preparazione che significa anche un numero congruo di docenti, aule, laboratori e didattica. Per questo noi ne accettiamo 320 ogni anno, non uno di più». (Fonte: La Stampa 13-11-17)

MILANO-BICOCCA ADOTTA E4JOB, LA CERTIFICAZIONE INFORMATICA CHE CONIUGA CULTURA E TECNOLOGIA
Milano-Bicocca adotta e4job - Cittadinanza Digitale, la certificazione informatica che permette agli studenti di avere una marcia in più in ambito lavorativo. Si tratta di un percorso formativo completamente in e-Learning per imparare a utilizzare criticamente i social network e a gestire i Big Data, per poi spendere queste competenze in ambito professionale. La certificazione
Ideata da AICA – Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico - permetterà agli studenti di acquisire e consolidare le competenze necessarie per affrontare il mondo del lavoro, sempre più orientato all’integrazione delle tecnologie digitali. E4job – Cittadinanza Digitale è basata sullo schema delle competenze definite nell’European e-Competence Framework (e-CF), un framework di riferimento delle competenze ICT spendibile a livello internazionale. (Fonte: www.innovationpost.it 05-12-17)

POLITO. ANNUNCIATE 180 ASSUNZIONI
Il 2018 sarà un anno di assunzioni per il Politecnico di Torino. L'ateneo ha deciso di stabilizzare 80 tra impiegati e tecnici che finora hanno lavorato con contratti a termine. Il Politecnico ha potuto fare questa operazione grazie a una legge che consente di contrattualizzare a tempo indeterminato i vincitori di concorsi che in passato non avevano trovato un posto fisso. Nel frattempo, il Poli continuerà ad assumere ricercatori. Quest'anno i posti messi a bando sono stati oltre 80, L'anno prossimo dovrebbero salire a un centinaio circa grazie al piano straordinario dedicato ai giovani studiosi varato dal Governo. Circa un terzo dei posti sarà per ricercatori " di tipo B", che cioè tra tre anni potranno diventare professori associati, mentre i restanti saranno contratti a tempo determinato (come prevede la legge) di durata triennale, prorogabili di due anni. (Fonte: torino.repubblica.it  27-12-17)


UE. ESTERO

THE DIVIDE BETWEEN HIGHER EDUCATION SYSTEMS THAT INCREASE PUBLIC FUNDING AND THOSE THAT REDUCE INVESTMENT IS GETTING WIDER IN EUROPE
Only 14 systems had higher funding in 2016 than in 2008 and 8 of those have a faster growth in student populations compared to the increase in funding. 19 systems still had lower levels of direct public funding than at the time of the financial crisis. The EUA (European University Association) Public Funding Observatory’s long-term analysis over 2008-16 indicates that systems such as Austria, Germany and Sweden show sustainable investment patterns, characterised by both significant and sustained funding growth. Other systems feature more limited, slower investment in “more of an austerity context” – these include Denmark, France and the Netherlands. There are a series of systems which have continued disinvesting throughout the period, such as Italy, Spain and Latvia. During a webinar discussing the findings, Thomas Estermann, EUA’s director for governance, funding and public policy development, said on Wednesday: “We still have 19 systems with lower funding in 2016 than in 2008, and that shows this is a very challenging situation and it takes a very long time to catch up. We really would like to make a drastic call for change and encourage national funders to step up investment, really invest, but also invest at the European level, particularly in the period where we discuss the next level of European framework funding. Otherwise we will not have a higher education and research area that is competitive at an international level.” (Fonte: B. O’Malley, www.universityworldnews.com 14-12-17)

CONSOLIDATOR GRANTS ASSEGNATI DELL’EUROPEAN RESEARCH COUNCIL
Sono stati selezionati e hanno vinto grant fino a 2 milioni di euro 329 progetti (il 13% di quelli presentati). Per la maggior parte (46%) il successo ha arriso ai progetti in fisica e ingegneria; il 31% dei grant è andato a progetti in scienze della vita e il 23% a progetti in scienze sociali e umanistiche. I dati più interessanti, per quanto riguarda il nostro Paese, sono quelli della distribuzione per nazionalità dei vincitori. Ebbene, in termini assoluti i nostri ricercatori - con 33 progetti vincitori - sono secondi solo ai colleghi tedeschi (55 vincitori). Ma tenuto conto che in Germania la comunità scientifica è almeno quattro volte superiore a quella italiana e, soprattutto, è più ricca, potendo contare su investimenti rispetto al Pil del 2,9%, contro l’1,3% dell’Italia, possiamo ben dire che, in termini relativi, gli italiani sono primi. D’altra parte, anche in termini assoluti, hanno preceduto francesi e inglesi, che, ancora una volta, sono in comunità ben più numerose e ricche di quella italiana. Dunque, i ricercatori italiani si sono dimostrati i più bravi di tutti. Non è la prima volta. Ma su 33 italiani vincitori, ben 19 (il 58%) andranno a lavorare all’estero. In nessun altro paese l’esodo è stato così imponente sia in termini assoluti sia in termini relativi. (Fonte: P. Greco, www.strisciarossa.it 10-12-17)

INVESTIMENTI IN EDUCAZIONE SUPERIORE E IN R&S NELLA COMUNITÀ EUROPEA
Nella Comunità europea si possono distinguere quattro aree: teutonica (la Germania e i Paesi dell’Europa settentrionale), anglo-francese (Francia e Gran Bretagna), mediterranea (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), orientale (la Polonia e i paesi ex comunisti entrati nell’Unione). La quantità d’investimenti nell’educazione superiore è molto diversa tra i diversi Paesi: nell’area teutonica, dove ancora regge la competitività nel mondo globalizzato, si spendono 635 dollari per abitante, contro i 489 dell’area anglo-francese, i 340 dell’area mediterranea e i 202 dell’area orientale. Nell’Europa settentrionale si spende dunque il doppio per l’università rispetto ai paesi mediterranei e il 30% in più rispetto all’area anglo-francese. L’area teutonica, inoltre, investe in R&S 162 miliardi di dollari l’anno, una cifra superiore del 53% a quella dell’area anglo-francese e addirittura del 245% a quella dell’area mediterranea. L’investimento in ricerca nell’area teutonica è, in media, pari al 2,8% del PIL (come gli Stati Uniti), mentre si scende al 2,0% nell’area anglo-francese e all’1,2% nell’area mediterranea. Nell’area teutonica gli investimenti in ricerca scientifica e sviluppo tecnologico sono dunque di oltre il 130% superiori a quelli dell’Italia o della Spagna.
Inoltre nell’area teutonica vi sono otto ricercatori ogni 1000 abitanti, il doppio di quelli dei Paesi mediterranei. Data questa disparità nell’investimento e nel numero di ricercatori, non sorprende che la quantità di articoli pubblicati nel 2012 dagli scienziati dell’area teutonica (2530 per milione di abitanti) superi del 55% il numero di articoli prodotti nell’area mediterranea (1635) e del 18% quelli prodotti nell’area anglo-francese. E neppure dovrebbe sorprendere che i Paesi teutonici esportino beni e servizi ad alta tecnologia per un valore che nel 2012 è stato di 337 miliardi di dollari: pari al 5,8% del PIL, contro il 2,6% del PIL dell’area anglo-francese (190 miliardi) e l’1,0% del PIL dell’area mediterranea (37 miliardi). Anche per la capacità d’innovazione troviamo una situazione analoga: nell’area teutonica in un anno si producono 254 brevetti per milione di abitanti, cioè 2,4 volte più che nell’area anglo-francese e addirittura 5,4 volte più che nell’area mediterranea. (Fonte: F. Sylos Labini, Roars 06-12-17)

IL CONSIGLIO EUROPEO DELLA RICERCA (CER) HA ASSEGNATO SOVVENZIONI CONSOLIDATOR GRANTS A OLTRE 300 RICERCATORI DI TUTTA EUROPA 
Il CER ha annunciato ieri l’assegnazione delle sovvenzioni Consolidator Grants a favore di 329 migliori ricercatori in tutta Europa. Il finanziamento, che fa parte del programma Orizzonte 2020 dell’UE, vale complessivamente 630 milioni di euro. «Il programma Orizzonte 2020» ha affermato Carlos Moedas, commissario per la Ricerca, la scienza e l’innovazione,«finanzierà 329 nuove sovvenzioni CER con 360 milioni di euro per promuovere l’eccellenza e la competitività scientifica dell’UE. Queste sovvenzioni contribuiscono ad aumentare l’attrattiva dell’Ue come luogo di ricerca e innovazione. Sono inoltre lieto di constatare che la quota di sovvenzioni assegnate alle ricercatrici è in aumento nei concorsi del CER. C’è ancora molto da fare, ma è stata sempre mia ambizione compiere ogni sforzo possibile per raggiungere la parità di genere nel campo della ricerca e dell’innovazione». “I beneficiari” afferma il CER “realizzeranno i loro progetti presso università e centri di ricerca in 22 paesi diversi in tutta Europa. In questo concorso, i ricercatori di 39 nazionalità hanno ricevuto finanziamenti, tra cui in particolare tedeschi (55 borse di studio), italiani (33), francesi (32) e britannici (31). 

EU. AL VERTICE EUROPEO EMMANUEL MACRON È RIUSCITO A FAR PASSARE IL PROGETTO SULLE UNIVERSITÀ EUROPEE
Il 26 settembre, tra le 12.636 parole pronunciate nel discorso sull'Iniziativa per l'Europa, il presidente francese Macron aveva proposto la "creazione di università europee che saranno una rete di università di diversi Paesi" con l'obiettivo di "costruirne di qui al 2024 almeno una ventina". Alla Sorbona Macron aveva indicato lo stesso orizzonte temporale per far sì che tutti gli studenti parlino "almeno due lingue europee". Nelle conclusioni del Vertice, i capi di stato e di governo dell'Ue hanno deciso di "incoraggiare l'emergere entro il 2024 di circa 20 ‘Università europee', che consisteranno in una rete di atenei attraverso l'Ue che permetterà agli studenti di ottenere una laurea combinando gli studi in diversi paesi dell'Ue". Inoltre, i leader europei intendono "rafforzare l'apprendimento linguistico, in modo che più giovani parlino almeno due lingue europee oltre alla propria lingua madre". (Fonte: D. Carretta, Il Foglio 15-12-17)

EU. LA COMMISSIONE EUROPEA APRE AI TIROCINI EXTRA UE PER GLI STUDENTI
Dal 2018, la Commissione Europea darà un contributo più ricco, pari a 700 euro mensili, agli studenti in partenza verso mete fuori dall’UE, e 850 euro mensili agli stranieri in entrata.
Inoltre, dal prossimo anno accademico, gli studenti europei, oltre a viaggiare per attività di studio, avranno la possibilità di svolgere un tirocinio in un Paese del resto del mondo. Si tratta dell’International Credit Mobility, inserita dalla Commissione Europea nel Programma Erasmus+ e affidata alle Agenzie nazionali dal 2015. Si tratta di un’azione per l’Istruzione Superiore nata con l’intento di valorizzare e finanziare principalmente le mobilità verso il nostro continente. Nel 2015-2016, ha coinvolto 26.250 tra studenti e staff accademico, di cui 18.852 ospitati in Atenei europei, provenienti soprattutto dai Paesi del Partenariato Orientale, dai Paesi del Sud Mediterraneo, dai Balcani, dall’Asia e dalla Federazione Russa. L’Italia ha contribuito con 2.255 mobilità, di cui 605 in uscita e 1.650 in entrata. Gli studenti coinvolti sono stati 1.443, di cui 1.139 in mobilità presso i nostri Atenei e provenienti soprattutto da Ucraina, Cina, Russia, Serbia e Marocco. I 304 partiti hanno scelto per lo più la Federazione Russia, Marocco, Stati uniti, Tunisia e Canada. (Fonte: L. Silvestri, www.indire.it 20-12-17)

DENMARK. A NEW MODEL FOR UNIVERSITY FUNDING
The Danish parliament has agreed a new model for university funding, placing less emphasis on the taximeter model in which institutions are awarded funds based on the number of students who have graduated and introducing elements of funding based on quality and outcomes. At stake is each institution’s share of the DKK13 billion (US$2 billion) higher education budget, affecting 270,000 students. The agreement, which was passed unopposed, means that from January 2019 higher education institutions will be financed by a basic allocation of 25% fixed upon the present budget level, an activity allocation of 67.5% and an outcome-oriented allocation of 7.5%. After four years 5% of the basic allocation will be dependent on quality achieved, measured using a research-based model of quality assessment, and another 5% of the basic allocation will be dependent on having fulfilled strategic contracts. The quality funding will be allocated after “political prioritising”. The basic budget component will be fixed until 2023 when it will be renegotiated. (Fonte: universityworldnews.com 01-12-17)

GERMANIA. COME FUNZIONA L’ISCRIZIONE ALL’UNIVERSITÀ
In Germania l’iscrizione all’università è legata al pagamento del cosiddetto semesterticket, un abbonamento ai mezzi pubblici della regione/stato (Land) che costa normalmente meno di 200 euro e dura 6 mesi. Il costo, se prendiamo Berlino e il Brandeburgo, è di 180 euro, meno di quanto costerebbero due mesi di biglietto per i lavoratori (ogni mese per la zona Abc costa 100,50 euro). Il valore complessivo dell’offerta di ogni regione tedesca ai propri studenti universitari va quindi ben oltre la semi-gratuità dell’università e riguarda anche un grosso sconto sui trasporti. Chi poi non se lo può permettere, e in questo caso lo stato sociale sostiene non solo gli studenti, ma tutti i cittadini europei residenti in Germania sotto una certa soglia di reddito e ricchezza (si, guardano anche il conto in banca!), ha diritto anche a un alloggio sostenuto dallo Stato.
Gli universitari in Germania però sono soprattutto (non solo, del resto ogni mondo è Paese) persone motivate. L’intero sistema scolastico tedesco – non perfetto, per carità – è costruito selezionando e indirizzando i percorsi di ogni giovane fin dalla tenera età. Ha alcune differenze a seconda del Land, ma di base si può dire che all’università ci arriva solo chi, già da quando ha nove anni, ha dimostrato con i voti e ha confermato con la volontà di non volere seguire un percorso da istituto tecnico/professionale. Cambiare in corsa è molto difficile. E così, chi rimane alla fine della scrematura viene completamente sostenuto da uno Stato che, come dimostrano i numeri della disoccupazione (ferma al 5,5% a dicembre 2017) ha bisogno di lavoratori, in particolare modo giovani e preparati, tanto che la percentuale di giovani che cercano lavoro in Germania è la più bassa di tutta l’Ue: 6,6%. (Fonte: A. D’Addio, www.wired.it/ 09-01-18)

FRANCIA. L’ORIENTAMENTO STUDENTESCO PER L’UNIVERSITÀ GIÀ DALLE SCUOLE SUPERIORI 
Emmanuel Macron cerca di introdurre il numero chiuso nelle università francesi. Un lungo dibattito che vede al centro il problema del sovraffollamento negli atenei e che i precedenti governi tentarono di risolvere già negli anni 80. La riforma presentata dal premier Edouard Philippe e dalla ministra dell’Istruzione Frédérique Vidal cerca di sciogliere lo spinoso problema introducendo l’orientamento studentesco già dalle scuole superiori, per indirizzare gli studenti verso i percorsi di studio più attinenti ai loro personali requisiti e inclinazioni. Gli insegnanti dovranno accompagnare gli studenti nel loro percorso verso l’università, aiutandoli a scoprire le proprie inclinazioni. Inoltre, per essere ammesso lo studente dovrà soddisfare una serie di prerequisiti stabiliti dalle facoltà.
Chi poi volesse continuare un percorso diverso da quello consigliato può farlo frequentando dei corsi di perfezionamento che possono durare fino a un anno. “È un modo di fare una selezione senza ammetterlo”, sostiene Lila le Bas, la presidente della principale associazione studentesca francese, l’UNEF. Interpellato sulla questione dai media francesi, Macron ha dichiarato: “Faremo in modo che la gente smetta di credere che l’università sia la soluzione per tutti. E non estrarremo più la gente a sorte”. (Fonte: catania.liveuniversity.it  31-10-17)

PORTOGALLO. NUOVO REGOLAMENTO DELL’AGENZIA DI VALUTAZIONE FCT
«La valutazione della qualità scientifica […] si concentrerà sulla qualità piuttosto che sulla quantità. In questo contesto, le unità saranno chiamate ad identificare la produzione scientifica che considerano più significativa, piuttosto che all’esibizione di elenchi completi di pubblicazioni o riferimenti a indicatori bibliometrici […] La valutazione presuppone ciò che è raccomandato in memorandum e documenti come la Dichiarazione di San Francisco della Società di biologia cellulare americana sulla valutazione dell’attività di R&S del dicembre 2012, e le Raccomandazioni della Commissione su Deutsche Scientific Self-Regulation in Science Forschungsgemeinschaft (DFG) del settembre 2013, e tiene conto delle obiezioni all’utilizzo diretto di indicatori bibliometrici espresse nel “Manifesto di Leida sull’uso delle metriche nella valutazione scientifica” dell’Aprile 2015. Ciò al fine di  consolidare nella comunità scientifica portoghese il concetto che l’impatto accademico, scientifico, sociale, economico, delle pubblicazioni scientifiche è molto più importante del loro riflesso negli indici bibliometrici o della sede di pubblicazione.» Sono frasi tratte dal nuovo regolamento varato dal direttivo dell’agenzia nazionale per il finanziamento e la valutazione del sistema della scienza e della tecnica. A rinsavire e ad allinearsi con gli standard internazionali non è però l’ANVUR, bensì l’FCT, l’agenzia portoghese Fundação para a Ciência e a Tecnologia. (Fonte: Roars 21-12-17)

UK. STUDENTI STRANIERI E IMMIGRATI RENDONO 10 VOLTE QUEL CHE COSTANO
Una infografica pubblicata dal Financial Times rappresenta l’apporto degli studenti e degli immigrati (dall’Unione europea e non) all’economia britannica. Ben 23 miliardi di sterline a fronte di 2,3 miliardi di costi stimati. (Fonte: Il Sole24Ore 11-01-18; London Economics)






































USA. UNEQUAL SALARIES AND 37 DIFFERENT DESIGNATIONS FOR POSTDOCTORAL WORKERS
A group of scientists is calling for United States institutions to sort out their chaotic postdoc system, which sees workers receive unequal salaries and training opportunities simply because of their job titles. There are 37 different designations for postdoctoral workers in the US – 36 too many, says a team of biomedical researchers, writes Katrina Kramer for Chemistry World. Postdocs often struggle with poor job security and hourly earnings often below minimum wage. What should be a time of training often becomes a permanent arrangement in which postdocs continue working under changing designations. To make matters worse, postdocs working at the same institution often have disparate salaries and benefits. (Fonte: universityworldnews.com 03-11-17)

USA. PRESTITI STUDENTESCHI. IL PROBLEMA DEL RECUPERO CREDITI
Fu iI presidente L. Johnson nel 1965 a introdurre i prestiti studenteschi, decisivi nel permettere l’accesso ai college a tanti studenti meritevoli ma senza il capitale necessario a pagarsi gli studi. L’idea era semplice e ha funzionato per decine di anni: banche e finanziatori autorizzati (poi dal 2010, direttamente ed esclusivamente il governo federale) fornivano allo studente i soldi necessari all’iscrizione e al mantenimento per tutti gli anni di studio. Una volta laureati e ottenuto un lavoro in linea con la laurea ottenuta, quegli stessi studenti si impegnavano per 10 o 20 anni a ripagare interamente il debito a tassi di interesse ridotti. Già dalla metà degli anni Novanta però, qualcosa è iniziato ad andare storto. La crescita dei salari si è interrotta, il costo della vita è aumentato e sempre meno laureati sono riusciti a raggiungere gli standard qualitativi sperati al momento dell’iscrizione all’università. Di conseguenza, meno laureati sono riusciti a restare al passo con la restituzione del prestito. Già 20 anni fa, il ‘buco’ nelle casse federali e degli enti privati prestatori era superiore al miliardo di dollari. Si decise quindi di mettere in atto politiche più aggressive di recupero crediti. A oggi ben 20 stati americani sospendono le licenze lavorative o la patente a chi non è in regola con il pagamento del proprio debito studentesco. L’effetto è spesso paradossale: professionisti che non riescono a pagare i propri debiti vengono puniti perdendo il lavoro, eliminando quindi ogni possibilità residua di riprendere i pagamenti. La questione sta, finalmente, attraendo anche l’attenzione della politica locale e nazionale. Nel 2015, in Montana, una legge bipartisan ha vietato la revoca delle licenze di lavoro e lo stesso è accaduto lo scorso anno sia in New Jersey che in Oklahoma. La situazione si è definitivamente complicata quando le autorità governative si sono sostituite a banche e assicurazioni nell’emissione del credito. Senza l’intermediazione degli attori finanziari classici, il recupero crediti si è trasformato in una ‘guerra’ tra ex studenti debitori e tutti gli altri contribuenti. (Fonte: M. Morini, IlBo 21-11-17)

CHINA. CHINA HAS OVERTAKEN THE USA IN TERMS OF THE TOTAL NUMBER OF SCIENCE PUBLICATIONS BUT USA RANKED THIRD AND CHINA FIFTH FOR THE MOST HIGHLY CITED PUBLICATIONS
For the first time, China has overtaken the United States in terms of the total number of science publications, according to statistics compiled by the US National Science Foundation (NSF). The agency’s report, released on 18 January, documents the United States’ increasing competition from China and other developing countries that are stepping up their investments in science and technology. Nonetheless, the report suggests that the United States remains a scientific powerhouse, pumping out high-profile research, attracting international students and translating science into valuable intellectual property.
The shifting landscape is already evident in terms of the sheer volume of publications: China published more than 426,000 studies in 2016, or 18.6% of the total documented in Elsevier’s Scopus database. That compares with nearly 409,000 by the United States. India surpassed Japan, and the rest of the developing world continued its upward trend. But the picture was very different when researchers examined where the most highly cited publications came from. The United States ranked third, below Sweden and Switzerland; the European Union came in fourth and China fifth. The United States still produces the most doctoral graduates in science and technology, and remains the primary destination for international students seeking advanced degrees — although its share of such students fell from 25% in 2000 to 19% in 2014, the report says. The United States spent the most on research and development (R&D) — around US$500 billion in 2015, or 26% of the global total. China came in second, at roughly $400 billion. But US spending remained flat as a share of the country’s economy, whereas China has increased its R&D spending, proportionally, in recent years. (Fonte: www.nature.com 09-01-18)




LIBRI. RAPPORTI. SAGGI

SALVARE L’UNIVERSITÀ ITALIANA
Autori: Gilberto Capano, Marino Regini e Matteo Turri. Ed. Il Mulino 2017.
Il tema, che grazie a recenti indagini empiriche sta finalmente uscendo dai confini angusti degli addetti ai lavori, è qui affrontato, mettendo insieme le diverse competenze degli autori, con un approccio interdisciplinare, in quanto ritenuto indispensabile per capire meglio i problemi e disegnare soluzioni coerenti ed efficaci. Proprio di contro alla molteplicità di dati che emergono dalle indagini sopra richiamate, gli autori denunciano innanzitutto una “relativa povertà delle interpretazioni che circolano nel dibattito pubblico”, che appare imbrigliato tra opposte posizioni/narrazioni, esito di aprioristiche convinzioni, divise tra l’ostilità preconcetta al cambiamento e l’apertura fideistica a ogni novità.
Gli autori dichiarano che il loro intento è, invece, quello di proporre una interpretazione della situazione, “indubbiamente preoccupante”, dell’Università italiana, fondata su alcune soluzioni chiare e comprensibili anche ai non addetti ai lavori. Nello specifico, il volume si articola in tre parti. La prima, introduttiva, ripercorre i principali aspetti della crisi e mostra come questa sia la conseguenza di una serie di cause, in primis e soprattutto l’assenza di una chiara strategia-paese sull’Università e dell’incapacità della classe dirigente di guidarne l’evoluzione. Successivamente, vengono esaminate le colpe dei diversi attori operanti nel settore: gli atenei e i professori, ma anche il modo in cui il dibattito sull’Università si è andato sviluppando intorno a parole-chiave come “mercato, competizione, gestione manageriale, eccellenza, merito, valutazione”. Un dibattito che ha registrato una divaricazione netta fra gli alfieri della logica neoliberale, da un lato, e soprattutto gli umanisti, dall’altro, che, richiamandosi ai valori della sinistra tradizionale, tendono a contrapporsi a ogni processo di trasformazione. (Fonte: A. Spera, Il Mulino 23-11-17)

OGNI GIORNO. TRA SCIENZA E POLITICA
Autori: Elena Cattaneo, José De Falco, Andrea Grignolio. Ed. Mondadori. Collana Saggi 2016. 216 pg.
Elena Cattaneo, biologa famosa in tutto il mondo per i suoi studi sulla corea di Huntington, una malattia neurologica causata da un gene mutato, non dimenticherà mai le parole dell'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando nel 2013 le annunciò la decisione di nominarla senatrice a vita. Da allora la sua esistenza è profondamente mutata e la sua attività scientifica si è arricchita di una funzione pubblica e istituzionale fondamentale per poter restituire alla scienza, troppo spesso bistrattata e abbandonata a se stessa, un ruolo di primo piano nel nostro Paese. Lo testimoniano le pagine di questo libro, in cui l'autrice racconta i primi tre anni trascorsi in aula, affrontati con la stessa dedizione riservata al lavoro di ricerca in laboratorio, ma soprattutto con lo stesso metodo e gli stessi principi, nella salda convinzione che «i valori scientifici dell'oggettività, oltre all'allenamento al pensiero critico, avrebbero reso migliore il mio apporto al paese come senatrice». Abituata al lavoro di squadra, Elena Cattaneo è affiancata da un gruppo di esperti con competenze in diversi ambiti, dal diritto parlamentare ai rapporti con le istituzioni e con gli istituti scientifici. L'obiettivo è fornire al legislatore un materiale affidabile e comprensibile, che possa metterlo nelle condizioni ottimali per decidere, aiutandolo a orientarsi nei dibattiti parlamentari, talvolta confusi, come la discussione intorno agli OGM che, lungi dall'essere risolta, ancora oggi attende una valida e motivata risposta. In attesa dell'auspicata creazione di una vera e propria Agenzia Nazionale della Ricerca, in grado, tra l'altro, di porre il governo al riparo da possibili nuovi abbagli, come nel caso della frode del tristemente noto «caso Stamina». Con spirito combattivo e profondo impegno civile, Elena Cattaneo sottolinea attraverso la sua esperienza quanto sia necessario in Italia un dibattito sui grandi temi che si avvalga del supporto della comunità scientifica: «Finché qualcuno non mi dimostrerà, dati e prove alla mano, che esiste uno strumento migliore del metodo scientifico, io continuerò a usarlo e a battermi perché fatti, trasparenza e condivisione entrino nelle scelte politiche e nelle decisioni sull'uso delle risorse dei cittadini». (Fonte: www.ibs.it/ 2016)

SCIENZA E TECNOLOGIA. CHE COSA HA FATTO L’EUROPA?
Autore: Sergio Bartalucci. Ed. Aracne, Sett. 2017, 248 pg.
La ricerca scientifica rappresenta oggi la terza voce di spesa nel bilancio dell’Unione Europea, per un totale di 80 miliardi di euro per il periodo 2014–2020. Ma quale è stato l’impatto sulla società e sull’economia europee della ricerca promossa, gestita e finanziata dall’UE? C’è stato un vero progresso in termini scientifici e tecnologici (nuove scoperte, invenzioni, avanzamenti significativi nella conoscenza, ecc.)? Vale la pena investire ancora nella ricerca targata UE? Perché l’Italia ha performance tanto al di sotto della media europea? È possibile recuperare questo divario in tempi brevi? L’autore, non un esperto di dinamiche socioeconomiche ma uno scienziato “informato dei fatti”, risponde almeno in parte a queste fondamentali domande. (Fonte: Presentazione dell’editore, Sett. 2017)

LE PROFESSIONI NELL’UNIVERSITÀ. Un primo studio sulla presenza e sul ruolo delle libere professioni in ambito accademico
Ed. ANVUR 2017,.167 pg.
Almeno in alcune sue parti, l’Università è anche scuola che prepara alla professione nel senso più nobile del termine, e non a caso Professional Schools sono chiamate nel mondo anglosassone alcune delle nostre tradizionali e più importanti ex-facoltà, come quelle di legge. Ma molti altri sono i corsi strettamente legati a professioni spesso costituite in Ordini dai quali giungono richieste di implementare nei corsi, ma anche nelle scuole di specializzazione, gli aspetti professionalizzanti veri e propri. È quindi evidente l’interesse di ciascuna università, e del sistema universitario nel suo complesso, ad assicurarsi i migliori esponenti del mondo delle professioni liberali e a garantire il miglior loro insegnamento possibile. Ci siamo perciò chiesti, scrivono i curatori del rapporto, se per valorizzare il contenuto professionale di vaste aree dell’Università basti la valutazione della ricerca e della didattica, o non sarebbe invece opportuno affiancargli anche una specifica valutazione della presenza e della qualità delle professioni nell’Università, prendendo in considerazione non solo la capacità e il livello professionale di docenti e ricercatori, e la formazione ricevuta dagli studenti, ma anche per esempio l’esperienza dei tirocini professionalizzanti, ecc. Vista la tradizionale lettura, purtroppo in parte giustificata, del rapporto tra attività professionale, insegnamento e ricerca come rapporto anche conflittuale, il problema è naturalmente spinoso e di non facile soluzione, e richiede pertanto un approccio innovativo. L’ANVUR ha inteso perciò avviare con prudenza ma anche con determinazione uno studio di questo rapporto che permetta di capire se è possibile impostarlo su basi nuove e virtuose, e in caso attraverso quali strumenti si possa cominciare a sperimentare in questa direzione. (Fonte: Presentazione del rapporto, 2017)

A UNIVERSITY EDUCATION
By David Willetts, Oxford University Press, 2017. 480 pp.
I have an exceptionally bad habit – dog-earing the pages of books when I come across a telling point or a particularly juicy piece of information. I had to call a halt to this behaviour while reading “A University Education”. My copy was coming to resemble a concertina. Such is the measure of this book. It is truly an expanse. Here, in among its 469 pages, lie chapters on the tangled groves of research and scholarship, the purple glens of university innovation, the verdant pastures of undergraduate education, and, depending on your viewpoint, the enlightened or malevolent mountain range of government policies. Add to that all the other excursions knitted into the book’s fabric – from early years learning, through the health benefits of going to university, to the history of the University Grants Committee – and the net result is a volume that will provide you with all manner of insights into the peculiar trajectory of the English higher education system. (Fonte: timeshighereducation.com 23-11-17)