domenica 20 dicembre 2015

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE n. 10 23-12-2015



IN EVIDENZA

LEGGE DI STABILITÀ. DALLA CAMERA ULTIME NOVITÀ SU DSU, RICERCATORI E PROFESSORI
Nella legge di Stabilità, giunta all’approvazione finale, sono una novità i 55 milioni in diritto allo studio (fondo integrativo per le borse di studio): erano 5 milioni al Senato, sono diventati 55 alla Camera. I ricercatori da assumere nel 2016 sono saliti a 1.200 dai 1.000 annunciati.
Con iI nuovo fondo per le 500 c.d. «cattedre del merito» si istituisce un nuovo canale di reclutamento dei professori, alternativo a quello attualmente in vigore, in deroga alle procedure di reclutamento previste dalla Legge n. 240/2010. Il nuovo fondo potrà servire a reclutare con chiamata diretta i professori universitari anche tra chi non ha in curriculum l'abilitazione nazionale e anche tra professori ordinari e associati già in servizio nelle università, seppur con l’obbligo di cambiare ateneo in caso di chiamata per la stessa fascia. La chiamata diretta, inoltre, potrà riguardare anche i ricercatori, che erano esclusi dal meccanismo nella vecchia versione. La commissione Bilancio della Camera ha così allargato le maglie del reclutamento straordinario dei professori universitari, che viene intitolato a Giulio Natta (premio Nobel per la chimica nel 1963). L'ampliamento della platea non cambia però la dotazione del fondo, che rimane ferma a 38 milioni nel 2016 e a 75 a partire dal 2017.
Accanto al Fondo Natta a Montecitorio è stato approvato un altro emendamento che dà il via a un piano straordinario parallelo, riservato al reclutamento di professori ordinari. A questo secondo progetto sono destinati 6 milioni nel 2016 e di 10 milioni l'anno dal 2017, per assumere i nuovi ordinari anche tra coloro che hanno conseguito la vecchia abilitazione, quella disciplinata dalla legge 210 del 1998. In questo modo, si perpetua la possibilità di far salire in cattedra i titolari delle vecchie abilitazioni, che secondo le previsioni originarie avrebbero dovuto avere una validità di tre anni e sono poi entrate in un meccanismo di proroghe continue. Un successivo emendamento ha chiarito che il piano straordinario per la chiamata di professori di prima fascia sarà emanato entro il 31 gennaio del 2016 e non di ciascun anno del biennio 2017-2018 come previsto dal testo approvato dalla commissione Bilancio. (Fonti: online-news.it 16-12-15; La Repubblica 16-12-15; IlSole24Ore 17-12-15 e 20-12-15)

IL MINISTRO GIANNINI INTERVISTATO SUI PROBLEMI DELL'UNIVERSITÀ IN PARTICOLARE NEL SUD
«C'è un lieve recupero di immatricolati come certifica l'Istat, ma non tale da farci recuperare nelle classifiche europee, peraltro dove si considera laureato chiunque faccia degli studi dopo la maturità mentre noi puntiamo alla laurea quinquennale, uno schema classico che ci deriva dalla storia del '900 e che non sempre oggi dà le risposte che servono. Anche i corsi biennali post diploma, che dobbiamo sviluppare di più, sono istruzione superiore».
«Non c'è alcun dubbio che la crisi economica si senta di più al Sud. La crisi pesa sulle famiglie e ha effetti sull'istruzione non obbligatoria. Ecco perché insisto sul fatto che dobbiamo offrire anche opzioni più brevi rispetto al 3+2 e orientate verso quanto ci chiedono gli stessi studenti: cioè una formazione che soddisfi la domanda di innovazione».
«La tutela del diritto allo studio nel nostro Paese è debole per quantità e gestita in modo inefficiente, soprattutto al Sud, anche se non solo nel Mezzogiorno. Nella legge di stabilità abbiamo dato un segnale con 212 milioni per questo capitolo di spesa. So che sarebbero serviti 300 milioni, ma intanto è un segnale. Però, ne convengo, va eliminata questa figura assurda dello "studente idoneo senza borsa". La mia proposta, da discutere nella Conferenza Stato-Regioni, è di lasciare alle Regioni la gestione di mense e alloggi e di spostare sulle università i fondi per le borse di studio. Abbiamo iniziato a parlarne nella conferenza di Udine organizzata dal Pd».
«In questa conferenza sono uscite buone idee per l'università. Il settore non ha bisogno di un'altra riforma, sarebbe incauto andare a cambiare mentre è appena andata a regime la riforma precedente. Vanno migliorati singoli aspetti e questo delle borse di studio ne è un ottimo esempio, peraltro con un meccanismo anche semplice».
«Sulla ripartizione delle risorse oggi il Mezzogiorno risente di tre fattori che indeboliscono l'alta formazione: due a carattere interno agli atenei e uno esterno. C'è un'inefficienza misurabile con i troppi studenti fuori corso. Non sto dicendo che sia un problema solo del Sud o di tutti gli atenei meridionali, però in generale ci sono più fuori corso al Sud. In Belgio se per due volte non si supera lo stesso esame si esce da quel corso di studi: non mi sembra un modello da seguire, non mi piacciono le soluzioni estreme, però qualcosa va fatto. Il secondo tema è la ricerca: sono la prima a sostenere che la valutazione va affinata, tuttavia c'è un gap Nord-Sud nei risultati che va superato dagli atenei. Mi rifiuto di pensare che la ricerca non si possa far bene ovunque. E qui veniamo al terzo fattore: la territorialità. Non c'è dubbio che sia difficile e anche meritorio fare alta formazione in un'area con le diseconomie del Mezzogiorno. Di questo si tiene conto nel calcolo del costo standard per studente. Ma non basta: nel Sud vanno create delle aree ad alta intensità d'innovazione, che oggi in Italia sono presenti a Milano, a Torino, in Friuli. Sui punti organico mi risulta che il Sud abbia una quota adeguata, considerando gli atenei in ordine con i bilanci. In ogni caso, lo sblocco totale del turnover per i ricercatori vale per tutti. Certo, non sono soldi cash e quindi ogni università dovrà agire in base ai propri bilanci. Vedremo cosa sapranno fare, ma è un'opportunità straordinaria». (Fonte: M. Esposito, intervista al ministro Giannini, Il Mattino 09-12-15)

UNA DISCRIMINAZIONE LESIVA ANCHE DELLA DIGNITÀ DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA
Nella legge di stabilità in discussione alla Camera non è più reiterato per il 2016 il blocco delle classi e degli scatti stipendiali della Docenza Universitaria, rimasto in vigore per cinque anni, dal 2011 al 2015. Non sono però riconosciuti gli effetti giuridici del quinquennio 2011-2015. Invece per tutti gli altri dipendenti pubblici il blocco è cessato fin dal 1° gennaio 2015 e gli effetti giuridici del periodo 2011-2014 sono stati riconosciuti. La discriminazione è lampante e lesiva anche della dignità della docenza universitaria, che non è spesa improduttiva da tagliare. E ciò a prescindere dal danno economico dei singoli, notevole soprattutto per i più giovani.
Per evitare equivoci e strumentalizzazioni, i Docenti precisano ancora una volta che non chiedono nessuna restituzione né arretrati per il quadriennio 2011-2014. E non chiedono neanche aumenti di stipendio: chiedono solo di poter percepire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre categorie del pubblico impiego, le retribuzioni che sarebbero spettate loro in assenza del blocco del quadriennio 2011-2014. (Fonte: C. Ferrero, Roars 10-12-15)

CLASSIFICA DEGLI SCIENZIATI ITALIANI PIÙ PRODUTTIVI MEDIANTE L’INDICE DI HIRSCH (H-INDEX). LE ECCELLENZE IN EMILIA-ROMAGNA
L’indice di Hirsch (h-index) è un valore che esprime sia la produttività di uno scienziato sia l'impatto che questa ha misurato in base alle citazioni ricevute. Questo indicatore è stato proposto nel 2005 dal fisico argentino Jorge Hirsch (da cui l'H) per valutare quanto uno scienziato ha pubblicato e quanto i suoi colleghi hanno ritenuto importanti le sue pubblicazioni. Ad esempio: un H di 30 significa che lo scienziato ha pubblicato almeno 30 articoli che sono stati citati almeno 30 volte ciascuno, in almeno altri 30 articoli scritti da altri scienziati.
Per entrare nella hit è necessario avere almeno un H di 30. In base alla classifica, il primo italiano è Carlo Maria Croce, oncologo sperimentale che lavora sia presso l’Università di Columbus, Ohio, sia presso l’Università di Ferrara, e che può vantare un H-index eccezionale (191). Secondo, ma non meno importante, è Alberto Mantovani, professore ordinario di Patologia generale e direttore scientifico dell'Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano), immunologo di fama internazionale, che ha un H index di 155.
Per l’Emilia Romagna, tra i primi con un indice di Hirsch pari o superiore a 100, emergono i fisici Concenzio Bozzi di Ferrara e Paolo Giacomelli di Bologna (entrambi al 31° posto con un H-index di 111), il medico Leonardo M. Fabbri di Modena (32° con un H-index di 110), i fisici Francesco Navarria e Lorenzo Bellagamba di Bologna (entrambi 35° con un H-index di 107), il chimico Vincenzo Balzani di Bologna (41° con un H-index di 101), e l’astrofisico Giovanni Zamorani di Bologna (42° con un H-index di 100).
Un motivo di vanto per l’Università di Modena e Reggio Emilia, e non solo per il primo classificato, è il prof. Leonardo M. Fabbri, pneumologo, che con un H-Index di 110 si classifica al 32° posto assoluto, e 3° in Italia nel campo della ricerca in medicina clinica. A seguire, troviamo infatti il prof. Andrea Cossarizza, ordinario di Patologia generale e immunologo, al 77° posto con un H index di 66, il prof. Clodoveo Ferri, reumatologo al 83° posto con un H-index di 60, e il prof. Antonello Pietrangelo, internista esperto di malattie rare del fegato, all’89° posto con un H-index di 54. (Fonte: quotidiano.net 09-12-15)

RAPPORTO RES 2015. UN’INDAGINE SULLE UNIVERSITÀ DEL NORD E DEL SUD
Il rapporto 2015 della Fondazione RES dal titolo “Nuovi divari. Un’indagine sulle Università del Nord e del Sud” riporta dati sconfortanti: crollo degli iscritti, scendono docenti e personale tecnico. In particolare, rispetto al 2004, nel 2014-15 gli immatricolati si sono ridotti di oltre 66.000, passando da circa 326.000 a meno di 260.000 (-20%); i docenti da poco meno di 63.000 a meno di 52.000 (-17%); il personale tecnico amministrativo da 72.000 a 59.000 (-18%); i corsi di studio sono scesi da 5634 a 4628 (-18%). L'obiettivo europeo di raggiungere il 40% di giovani laureati nel 2040 sembra decisamente lontano: l'Italia, infatti, si posiziona all'ultimo posto tra i 28 stati membri con il 23,9% (v. Tabella, da Roars 14-12-15)


"Questi numeri drammatici sono direttamente connessi anche al calo del fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO), che è diminuito del 22,5%, e alla mancanza di adeguati finanziamenti nel diritto allo studio. Basti pensare - afferma Campailla (LINK) - che i servizi del diritto allo studio si rivolgono solo al 10 % del totale degli universitari e, tra gli idonei a ricevere la borsa di studio, uno su quattro non la ottiene per mancanza di fondi. Anche i servizi mensa e alloggio sono carenti: solo il 2% degli studenti è assegnatario di un posto alloggio nelle residenze universitarie, mentre è disponibile un posto in mensa ogni 35 studenti iscritti".
"Il calo delle immatricolazioni, ad esempio, è differenziato per territori - prosegue il portavoce di LINK - ed è particolarmente intenso nelle Isole (-30,2%), nel Sud continentale (-25,5%) e nel Centro (-23,7%, specie nel Lazio); più contenuto al Nord (-11%). Anche gli abbandoni degli studi seguono una dinamica territoriale; dati recenti mostrano che una significativa quota di studenti abbandona i corsi universitari dopo il primo anno: il 12,6% al Nord, il 15,1% al Centro e il 17,5% al Sud".
"Il rapporto analizza anche il tasso di abbandono universitario che nel Sud si attesta al 17,5%, con punte del 25%, contro il 12% del Nord, spiega Dionisio (UDU). Tra le cause, oltre all’assenza e alla scarsa qualità dei servizi offerti, vi sono senza dubbio anche le carenze strutturali del diritto allo studio: le Regioni del Sud vi investono circa 40 € per studente, la metà del Nord. Al Sud gli studenti finanziano di tasca propria più del 50% del diritto allo studio. Anche la ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario ha contribuito ad aumentare la forbice tra atenei del Nord e atenei del centro-sud: questi hanno perso il 12%, con picchi di oltre il 20% nelle isole, contro il 4,3% perso dalle università del Nord". (Fonte: http://tinyurl.com/zd2r423 10-12-15)

ATTO DI INDIRIZZO DEL MIUR PER LE PRIORITÀ POLITICHE DEL PROSSIMO ANNO. I BUONI PROPOSITI PER LE UNIVERSITÀ
Dalla nota 38 del 30 novembre 2015 "Atto di indirizzo priorita politiche del MIUR per ricerca e università anno 2016" si riproducono di seguito le priorità inerenti all'università.
Priorità politica 9 - ORIENTAMENTO
Orientamento come politica attiva, disegnata e attuata in sinergia tra scuola università e mondo del lavoro. Percorsi di orientamento nel corso della scuola secondaria, come antidoto alla dispersione e al "fuori-corso".
Priorità politica 10 - DIRITTO ALLO STUDIO E MERITO
Studente e contesto territoriale al centro dell'investimento, aumentare il numero dei beneficiari di borse, rendere più efficienti I criteri d'assegnazione: valorizzare il merito.
Priorità politica 11 - ATENEI ATTRATTIVI
Rendere gli atenei competitivi: incentivare la vocazione settoriale di ciascuno, rafforzando gli strumenti per I'autonomia in coerenza con la propria missione.
Priorità politica 12 - INTERNAZIONALIZZAZIONE
Incentivare l'internazionalizzazione degli Atenei: attrarre capitale umano da altri paesi, mobilità globale di studenti e docenti, offerta formativa interdisciplinare, flessibile e a vocazione internazionale.
Priorità politica 13 - CAPITALE UMANO
Investire nei processi di ricambio della classe docente, garantire I'accesso agile alla carriera accademica e l'efficace copertura del turn over.
Priorità politica 14 - MOBILITÀ
Promuovere le politiche di mobilità dei ricercatori a tutti i livelli, favorendo e semplificando le procedure di "portabilità" dei progetti di ricerca, specie in raccordo con il sistema delle infrastrutture.
Priorità politica 15 - STATUS DEI RICERCATORI
Definire un nuovo status giuridico del personale di ricerca degli EPR, in sinergia con quanto avviene nelle Università, applicando l'apposita delega governativa e valorizzando ruolo e autonomia del ricercatori.
Priorità politica 17 - PROGRAMMA NAZIONALE DELLA RICERCA
Dare efficace attuazione alla strategia del Programma Nazionale della Ricerca e alla nuova programmazione comunitaria attraverso una sinergia virtuosa con Regioni e stakeholders del sistema ricerca.


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE. GLI EFFETTI NEFASTI DELLA PERDURANTE ASSENZA DI UNA LEGGE SULLA PROCEDURA
La giunta nazionale dell’USPUR ritiene che l’Abilitazione Scientifica Nazionale sia in un pericolosissimo stallo. Di fatto, i tempi tecnici non consentiranno un fattivo esame delle candidature prima della fine del 2016. In pratica, saranno trascorsi quasi tre anni dall’ultima procedura di valutazione. Rendiamo atto che l’impianto legislativo, col recente parere del Consiglio di Stato, sia pronto per l’operatività. Sfortunatamente, i molti distinguo, purtroppo non concordanti, sollevati da varie società scientifiche, ANVUR e CUN, sembrano frapporsi alla necessaria sintesi che dovrà confluire nel provvedimento finale. In questo momento l’assenza di una legge sta producendo effetti più nefasti di una cattiva legge. La maggior criticità riguarda le posizioni di ricercatore a tempo determinato di tipo senior (RTDb). Procedendo di questo passo c’è il rischio che qualcuno di loro si trovi a terminare il triennio senza che abbia avuto la possibilità di sottoporsi ad una procedura di abilitazione scientifica. Pertanto, Le chiedo di farsi parte attiva affinché tale procedura sia convertita in legge il prima possibile, ancorché con il testo proposto attualmente. Volendo introdurre degli emendamenti e/o correzioni, nulla vieta che essi possano essere legiferati in corso d’opera. (Fonte: Lettera inviata dal Segretario nazionale dell'USPUR M. Masi al ministro Giannini, 09-12-15)

ASN. CONTRARIA ALLA LEGGE LA PREVISIONE DI UNA MAGGIORANZA QUALIFICATA DEI QUATTRO QUINTI DEI COMMISSARI
La previsione di una maggioranza dei quattro quinti dei commissari per il conferimento dell’abilitazione non avrebbe alcun riscontro nella legge n. 240/2010, che pure detta i puntuali criteri ai quali il regolamento cui vengono demandate le modalità di espletamento delle procedure abilitative deve conformarsi. In questi ultimi, infatti (v. comma 3, lett. a, dell’art. 16 della legge n. 240/2010), il legislatore si limita a prevedere che l’attribuzione dell’abilitazione avvenga “con motivato giudizio fondato sulla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte”, senza fare cenno a maggioranze “qualificate”. Anzi, la previsione di queste ultime sarebbe in contrasto con la necessità – espressamente ribadita dal legislatore – che il giudizio collegiale sia “motivato”, giacché esso – quando i voti negativi sono solo due su cinque – rifletterebbe incongruamente l’opinione della minoranza della Commissione. Il regolamento emanato in esecuzione della predetta disposizione di legge (D.P.R. n. 222/2011) ha invece ritenuto di introdurre, per le deliberazioni delle Commissioni, la previsione di una maggioranza qualificata dei quattro quinti dei commissari (art. 8, comma 5). Siffatta previsione regolamentare, assolutamente innovativa rispetto a tutta la pregressa legislazione in materia di concorsi universitari, risulta in contrasto con quelle di legge. (Fonte: sentenza del 3-11-15, Sezione terza bis del TAR Lazio)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

CLASSIFICA 2015 "QS TOP 50 UNDER 50". LE MIGLIORI UNIVERSITÀ GIOVANI
Le Università asiatiche dominano la classifica 2015 "QS Top 50 under 50", pubblicata oggi su http://www.TopUniversities.com. La classifica, che rivela le migliori università al mondo con meno di 50 anni di età, vede le università di Singapore, Hong Kong e Corea tra i primi sei posti, di cui la metà sono di Hong Kong. Nanyang Technological University mantiene il primo posto a livello mondiale, seguita da HKUST e KAIST. L'Europa conta 24 tra le 50 migliori giovani università, mentre l'Asia 13. L'Australia è il paese più presente in questa classifica, con 8 università. Il Regno Unito e la Spagna ne hanno entrambe 5. La "top young university" dell'America Latina è l'Universidade Estadual de Campinas (Unicamp), che arriva undicesima. Nella classifica pubblicata sono state incluse anche le università oltre il cinquantesimo posto. Ciò ha consentito una maggiore rappresentanza delle università le cui performance nell'insegnamento e nella ricerca sono sempre più degne di nota. L'Università degli Studi di Roma Tor Vergata (posizione 50-60) è l'unica Italiana in classifica. Lo scorso anno occupava il 33° posto in classifica e la nuova posizione é stata determinata principalmente dall'evoluzione della metodologia del QS World University Rankings 2015/16. (Fonte: adnkronos 25-11-15)

UN AIUTO PER SCALARE LA CLASSIFICA DELLA REPUTAZIONE ACCADEMICA NEI QS WORLD UNIVERSITY RANKINGS
Urge individuare ottocento colleghi stranieri “di fiducia”, disposti a menzionare il nostro ateneo nel sondaggio sull’academic reputation condotto da Quacquarelli Symonds. Il rettore che manda questo SOS ai suoi dipartimenti sa bene che la posta in palio non è piccola, dato che l’esito di quel sondaggio determina la parte più importante (40%) del punteggio con cui QS calcola la sua classifica internazionale degli atenei. Sta accadendo in Italia e non è il primo caso. L’ateneo italiano che sta andando alla ricerca di “voti amici” per il sondaggio QS, è uno di quelli che ha deliberato sanzioni severe per i docenti che non collaboreranno alla VQR. Sanzioni ritenute necessarie anche in ragione del danno economico di immagine causato all’Ateneo da un possibile esito negativo della valutazione. Si vede che l’ANVUR e la VQR incutono più timore delle possibili indagini della QS Intelligence Unit e dell’eventuale declassamento nella classifica QS. (Fonte: Redazione Roars 22-12-15)


DOCENTI

RANKING DELLA IDEAS-REPEC. NOVE ECONOMISTI NATI IN ITALIA SUI CENTO TOTALI INDICATI
Nella classifica proposta da IDEAS-RePEc (ovvero l’indice delle ricerche in ambito economico e finanziario che si occupa del mondo accademico) figurano infatti ben nove economisti nati in Italia sui cento totali indicati. Un risultato di prestigio per il nostro Paese e in particolar modo per le donne, dal momento che due ricercatrici ‘under 40’, Raffaella Sadun e Veronica Guerrieri, occupano le posizioni di vertice. A guidare l’indice mondiale c’è invece l’economista ucraino Yuriy Gorodnichenko, professore associato presso la Berkeley University (California).
La pubblicazione del ‘ranking’ della IDEAS-RePEc era molto attesa dato che, a cadenza mensile, viene valutato il lavoro di ricerca dei principali economisti, prendendo in considerazione i ‘paper’ pubblicati e le citazioni ricevute da altri colleghi. Insomma, si tratta di un database nel quale si trovano alcuni dei nomi che nei prossimi anni diverranno un punto di riferimento nel campo delle analisi economico-finanziarie. In particolar modo, la classifica ha tenuto conto solamente degli economisti che vantano meno di dieci anni di presenza nell’archivio telematico di IDEAS. (Fonte:
BreakNotizie 11-12-15)

NON SARANNO PIÙ A CARICO DEL BILANCIO DEGLI ATENEI GLI SCATTI PER I DOCENTI UNIVERSITARI
Il Senato è riuscito a reperire la modica somma di 25 milioni per il 2016 e 30 per il 2017, per far fronte al pagamento degli scatti stipendiali, bloccati da cinque anni, a professori e ricercatori universitari. Se non ci saranno ulteriori sorprese, l’onere non sarà più a carico degli esangui bilanci degli Atenei, come era stato scritto nel disegno di legge di stabilità varato dal governo alcune settimane fa. Da sottolineare la pronta rivendicazione del risultato da parte del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone (Pd) e del senatore Raffaele Calabrò (Ncd-Udc). Quest’ultimo ha parlato di «fine della disparità di trattamento nei confronti dei professori universitari, unici ancora sottoposti al blocco selettivo degli scatti di anzianità». Peccato che abbia omesso di precisare che la patente disparità, determinatasi in passato anche col voto favorevole del suo partito, permane per quanto attiene al pregresso, per il quale non v’è stato alcun recupero, neppure giuridico, come invece era stato richiesto dalla stragrande maggioranza dei docenti, nel corso di numerose assemblee ed iniziative di protesta. (Fonte: R. Tomei, Il Foglietto 26-11-15)

UN INEDITO FRONTE DELLA PROTESTA DEI DOCENTI UNIVERSITARI
Per il blocco della valutazione della ricerca scientifica (Vqr) e per lo sblocco degli scatti stipendiali dei docenti si sono pronunciati ventuno senati accademici, 46 atenei coinvolti, 129 mozioni approvate. Le mozioni approvate da Nord a Sud, isole comprese, sono tre. Sono state votate dai dipartimenti e in alcuni casi dagli organi di governo degli atenei. La prima, cosiddetta «Ferraro», avrebbe ricevuto l’adesione di 20.000 docenti e ha lo scopo di «ottenere lo sblocco delle classi e degli scatti stipendiali con decorrenza 1° gennaio 2015» e cita la protesta contro la procedura ministeriale di valutazione dei «prodotti della ricerca», l’acronimo è Vqr. La seconda è la mozione «Semplici». Il testo si presenta più determinato e offre alcune tracce per ricostruire cosa è realmente accaduto nel deserto degli atenei in questi anni: «Sono sotto gli occhi di tutti alcuni effetti prodotti non dalla valutazione in quanto tale, ma dalle modalità con le quali è stata realizzata. La didattica è stata marginalizzata, gli incentivi sono stati concentrati sui prodotti della ricerca. Per chi aspira a “fare carriera” ogni ora trascorsa al servizio degli studenti appare come un’ora di tempo perso». La terza mozione è sottoscritta dalla Rete 29 Aprile e dal Conpass dei professori associati. Insieme alla Flc-Cgil hanno elaborato un testo che riprende la versione «Semplici» dove si ricorda l’allarme lanciato dalla CRUI sulla situazione degli atenei. L'articolo de Il Manifesto che riporta quanto sopra conclude che i docenti universitari hanno impiegato quattro anni per uscire dal congelatore e prendere parola. Ora sembra che il dado sia stato tratto. (Fonte: R. Ciccarelli, Il Manifesto 09-12-15)

DOCENTI UNIVERSITARI. DANNI DERIVANTI DAL MANCATO RICONOSCIMENTO GIURIDICO DEL PERIODO 2011-2015
I professori e ricercatori universitari chiedono solo di poter percepire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre categorie del pubblico impiego, le retribuzioni che sarebbero loro spettate in assenza del blocco del quadriennio 2011-2014. I danni del mancato riconoscimento giuridico sono i seguenti: 1) Perdita di 260 euro netti al mese, anche sulla tredicesima, finché si rimane in servizio: 3400 euro netti l’anno. Per un Docente con età di 55 anni una perdita complessiva di 51.000 euro. Per Docenti più giovani ancora di più. 2) Perdita di circa 12.000 euro netti, sempre in media, sulla buonuscita. 3) Perdita di 200 euro netti al mese, anche sulla tredicesima, sulla pensione: 2.600 euro netti l’anno. (Fonte: Prof. C. V. Ferraro 02-12-15)

I DOCENTI UNIVERSITARI VALUTATI E DISCRIMINATI
"Il pregiudizio sui docenti" così s'intitolava un articolo su Il Giorno del 6 dicembre. Che tale pregiudizio sia ingiusto lo dimostra quanto segue. Nel 2011 il Governo Monti introdusse il blocco delle classi e degli scatti stipendiali per i dipendenti pubblici, esclusi i magistrati. Con l'eccezione dei docenti universitari, il 1° gennaio 2015 il blocco è cessato per tutti i dipendenti pubblici con anche il riconoscimento degli effetti giuridici per il periodo 2011-2014. I docenti universitari (anche di atenei non statali), come diplomatici, magistrati, e militari, sono "personale non contrattualizzato", ossia non scioperano e non negoziano il loro stipendio, che aumenta solo per scatti di merito o anzianità. Nella legge di stabilità ora in discussione il blocco è abolito anche per i docenti, ma non vengono riconosciuti gli effetti giuridici del quinquennio 2011-2015. La discriminazione appare frutto di un ingiusto pregiudizio verso un'intera categoria evidentemente giudicata immeritevole e improduttiva, Si tenga invece presente che oggi un docente per raggiungere il vertice della carriera come professore ordinario deve aver superato cinque concorsi, a cominciare da quello per il Dottorato di ricerca. Da anni i docenti sono oggetto di una valutazione periodica della loro attività didattica e scientifica, che in teoria dovrebbe premiare i migliori anche in termini economici, ma il governo non ha mai attuato misure precise in proposito. (Fonte: M. De Leonardis, Il Giorno 06-12-15)

I DOCENTI UNIVERSITARI. UNA DISCRIMINANTE "PUNIZIONE"  
"La 'punizione' dei docenti universitari" così s'intitolava un articolo di Repubblica.it del 6 dicembre.
Nel seguito la ragione del titolo. Non occupano le stazioni e non bloccano le strade, e forse per questo della protesta dei docenti universitari si legge poco. Non solo, non hanno nemmeno interrotto lezioni ed esami, per non danneggiare gli studenti. La loro agitazione - almeno finora - si esprime attraverso mozioni approvate dai Senati accademici (ben 129 di 46 atenei), con una lettera al presidente della Repubblica firmata da oltre 14.000 docenti e con l'ostruzionismo alla VQR, la "valutazione della qualità della ricerca". A scatenare la protesta è una norma della Legge di stabilità, in cui, pur non rinnovando il blocco degli scatti e delle classi di stipendio rimasto in vigore dal 2011 al 2015, non vengono riconosciuti gli effetti giuridici di quanto sarebbe maturato nel quinquennio, come invece è stato fatto per tutti gli altri dipendenti pubblici, per i quali peraltro il blocco era già finito dall'inizio di quest'anno. E' difficile capire perché sia stata decisa questa discriminazione, visto anche che gli stipendi degli universitari non sono certo tra i più alti del pubblico impiego. Sembra quasi che ci si voglia accanire contro l'università, già colpita in questi anni da tagli pesanti e riduzione del numero dei docenti, con risultati non certo incoraggianti. (Fonte: C. Clericetti, Repubblica.it 06-12-15)

RETRIBUZIONI. LETTERA DEI DOCENTI UNIVERSITARI AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
14.000 docenti universitari hanno scritto una lettera al Presidente della Repubblica e oltre 20.000 hanno annunciato proteste, per chiedere che le classi e gli scatti stipendiali siano sbloccati a partire dal 1° gennaio 2015, la stessa data in cui sono stati rimossi blocchi analoghi per tutti gli altri dipendenti pubblici e che il quadriennio 2011-2014 sia riconosciuto ai fini giuridici, con conseguenti effetti economici solo a partire dallo sblocco delle classi e degli scatti dal 1° gennaio 2015, come avvenuto per tutti gli altri dipendenti pubblici. “Nella legge di stabilità – osservano i docenti - in discussione alla Camera non è più reiterato per il 2016 il blocco delle classi e degli scatti stipendiali della Docenza Universitaria, rimasto in vigore per cinque anni, dal 2011 al 2015, ma non vengono riconosciuti gli effetti giuridici del quinquennio 2011-2015. Invece per tutti gli altri dipendenti pubblici il blocco è cessato fin dal 1° gennaio 2015 e sono stati riconosciuti gli effetti giuridici del periodo 2011-2014. La discriminazione è lampante e lesiva anche della dignità: la Docenza non è spesa improduttiva da tagliare! E ciò a prescindere dal danno economico, notevole soprattutto per i più giovani. Per evitare equivoci e strumentalizzazioni i Docenti precisano che non chiedono nessuna restituzione né arretrati per il quadriennio 2011-2014. E non chiedono neanche aumenti di stipendio, ma solo di poter percepire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre categorie del pubblico impiego, le retribuzioni che sarebbero spettate loro in assenza del blocco del quadriennio 2011-2014”. (Fonte: ilVelino/AGV NEWS Roma 03-12-15)

SPESA COMPLESSIVA DELLE C.D. PENSIONI D'ORO: 5 MILIARDI DI EURO (5,3% DEL TOTALE PENSIONI CHE AMMONTA A 277 MILIARDI L'ANNO)
La spesa per le pensioni resta altissima e in aumento: nel 2014 si è incrementata dell'1,6% arrivando a oltre 277 miliardi di euro. Quanto incide su questa spesa l'ammontare delle c.d. pensioni d'oro? Poco meno di diecimila “paperoni” (9.190, lo 0,1% del totale) ricevono una pensione superiore ai 10.000 euro. Spesso suggeriti come il bancomat a cui attingere per risolvere tutta una serie di questioni, in realtà gli importi - individualmente elevati - a livello complessivo si fermano sotto il miliardo e mezzo di euro l'anno, pari allo 0,5% del totale. Aggiungendo i quasi 176.000 pensionati che ricevono assegni tra i 5.000 e i 10.000 euro (0,8% dei trattamenti) la spesa complessiva sfiora i 5 miliardi di euro (5,3% del totale). (Fonte: Il Gazzettino.it Economia 03-12-15)

INFORMAZIONI SULLE PENSIONI
Siamo tuttora in attesa di conoscere le decisioni che prenderanno il governo e il parlamento per quanto riguarda la normativa sulle pensioni e il ripristino degli scatti biennali (ora triennali) dello stipendio. Sembra certo, ormai, che l’ultima proposta INPS sulle pensioni sia stata accantonata perché presenterebbe aspetti negativi di rilevanza costituzionale e comporterebbe un aumento del disavanzo per importi stimati dall’INPS fra 1 e 3-4 miliardi da qui al 2025, il che vuol dire un maggior onere futuro a carico dei giovani.
Si informa inoltre che la rivalutazione delle pensioni per l’anno 2016 sarà pari a zero. È quanto prevede il decreto 19 Novembre 2015 del Ministero dell’Economia. Si tratta del decreto di cui all’art. 11, comma 1, di un altro decreto legislativo (n. 503/1992) per cui tutti gli anni, a cavallo della fine del mese di Novembre, il ministero fissa le percentuali di rivalutazione delle pensioni sulla base dell’inflazione. Il decreto dell’anno scorso prevedeva, per il 2015, un tasso provvisorio dello 0,3%, mentre ora viene stabilito quello definitivo, che è dello 0,2%. Quello provvisorio per il 2016, invece, è pari a zero. Quindi, gli assegni dei pensionati nel 2016 verranno abbassati dello 0,1% incassato in più durante il 2015, mentre non si applicherà nessuna indicizzazione ulteriore perché il tasso provvisorio 2016 è pari a 0. (Fonte: Segreteria nazionale USPUR 09-12-15)


DOTTORATO

BUROCRAZIA E DOTTORATO
I corsi di dottorato devono rispettare i bizzarri requisiti numerologici del Decreto MIUR “Regolamento recante modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per la istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati”: ci deve essere un collegio composto da almeno 16 docenti, di cui non più di 4 ricercatori, appartenenti al “macrosettore” disciplinare di riferimento, con documentati risultati di ricerca di livello internazionale conseguiti nei 5 anni precedenti; ci deve essere altresì, per ogni ciclo di dottorati da attivare, la disponibilità di un numero medio di almeno 6 borse di studio per corso di dottorato attivato, fermo restando che per il singolo ciclo di dottorato tale disponibilità non può essere inferiore a 4. 16, 4, 5, 6, 4: una buona sequenza da giocare al lotto, scaturita dalla perversa fantasia dei burocrati dell’ANVUR e impossibile da rispettare per un “macrosettore” che tutto è fuorché “macro”, ad esempio le Scienze della Terra. Eppure i docenti e ricercatori delle Scienze della Terra, decimati più di ogni altra area disciplinare dalle limitazioni sul turnover, ce l’avevano messa proprio tutta, dimostrando ragionevolezza e senso di responsabilità, quando si trattò di decidere i cosiddetti “macrosettori” all’interno dell’area disciplinare: scelsero infatti di fare un macrosettore unico coincidente con l’area 04 “Scienze della Terra”, in modo da evitare inutili barriere e semplificare la crescente burocrazia. I nuovi criteri ministeriali però hanno condannato lo stesso a morte certa i dottorati in Scienze della Terra. Purtroppo queste sono le conseguenze della folle scelta di concepire nel nostro Paese il dottorato come una sorta di posto di lavoro a tempo determinato, da assegnare tramite concorso pubblico. A ciò si sono poi aggiunte la burocrazia dell’accreditamento ministeriale, la numerologia anvuriana, i selvaggi tagli di borse e di posti, le utopiche e antistoriche sinergie a livello di Regione che assomigliano troppo a espressioni di provincialismo piuttosto che di regionalismo e, non ultima, la fantasia dei docenti nell’escogitare soluzioni stravaganti per venire a capo del rebus. (Fonte: N. Casagli, Roars 03-12-15)

PROGETTO PHD ITALENTS
980 imprese sono pronte ad accogliere giovani dottori di ricerca nell’ambito del progetto PhD ITalents, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e gestito da Fondazione CRUI, MIUR e Confindustria, con lo scopo di promuovere nuove forme di placement dei giovani ricercatori. La prima fase, dedicata alla raccolta di offerte da parte delle aziende, si è chiusa lo scorso 30 novembre con 1.136 posti offerti. Una grande adesione che si è concentrata principalmente su 3 delle 6 aree previste: ICT (48%), Salute e Scienze della vita (21%), Energia (14%). “Il progetto PhD ITalents realizza un importante matching che, da un lato, valorizza la fondamentale figura del ricercatore industriale e offre ai giovani talenti l’opportunità di affacciarsi al mondo produttivo restando in Italia; e, dall’altro, consente alle imprese di essere sempre più competitive, proprio puntando su R&I e sui giovani”, ha affermato Diana Bracco, vicepresidente Confindustria per la R&I. “Continuando a investire su questo modello, da qui al 2020 verranno inseriti circa 500 PhD nella parte più innovativa dell’industria italiana. Un segnale forte del nostro Paese che dimostra di avere fiducia nei giovani e nella loro capacità di fare ricerca”. (Fonte: corriereuniv.it 02-12-15)

COME SEMPLIFICARE IL DOTTORATO DI RICERCA DEPURANDOLO DA STRAVAGANZE BUROCRATICHE
La soluzione è (sarebbe) semplice e a portata di mano: guardare ai migliori modelli all’estero e fotocopiarli – senza aggiungere stravaganze burocratiche – e in particolare:
   - abolire cicli, accreditamento, limiti di accesso, collegi, attivazione, bandi, soprannumeri e soprannumerari, e tutte le incomprensibili sovrastrutture del dottorato all’italiana;
   - fare organizzare e gestire i dottorati dai Dipartimenti;
   - consentire l’ammissione al dottorato “a sportello”, senza condizionarla necessariamente all’assegnazione di borse di studio, a seguito di un semplice colloquio di valutazione, anche con modalità telematiche, e qui – sia chiaro – per “modalità telematiche” intendo l’email e le interviste su skype, non certo la PEC e le altre bizzarrie inusabili della “PA digitale”;
  - togliere ogni limite di durata e condizionare la concessione del titolo di dottorato alla pubblicazione dei risultati della ricerca a primo nome;
  - attribuire le risorse ministeriali per le borse di studio ai Dipartimenti consentendone l’autodisciplina per la ripartizione;
  - favorire in ogni modo l’assegnazione di borse di studio agli iscritti ai corsi di dottorato, con fondi di ricerca, sponsor e contributi esterni;
  - lasciar perdere i bizzarri progetti di sinergia fra Atenei regionali, perché sono solo inutili perdite di tempo e anche perché nessuno si è mai sognato di costringere Humboldt, Freie e Technische Universitäten di Berlino a fare un Doktorandenprogramm regionale solo per il semplice motivo che sono vicine e che bisogna fare economie di scala;
  - porsi l’obiettivo del raddoppio del numero di dottori di ricerca nei prossimi cinque anni, anche mediante l’individuazione di criteri premiali agli Atenei;
- ricordarsi sempre che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, e che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (artt. 33 e 34 della Costituzione della Repubblica);
  - cercare di fare le cose in modo giusto, razionale e, soprattutto, SEMPLICE.
Leonardo da Vinci: “La semplicità è la suprema sofisticazione”. (Fonte: N. Casagli, http://tinyurl.com/j6r95md 03-12-15)


FINANZIAMENTI

LA CORTE COSTITUZIONALE DOVRÀ PRONUNCIARSI SUI COSTI STANDARD CHE GRAVANO SULL'FFO DELLE UNIVERSITÀ
Investiti della questione dall'università di Macerata, i giudici amministrativi del Tar delle Marche hanno chiamato in causa la Corte costituzionale, sulla base dell'obiezione che il governo ha affidato a un decreto, firmato da MIUR e MEF, decisioni chiave sul finanziamento delle università che invece spettavano alla legge primaria. In questo modo, scrive il Tar nell'ordinanza, si è determinata «una delegificazione non prevista da alcuna norma in un ambito che investe, sia pure attraverso l'enunciazione di algoritmi e formule matematiche, scelte altamente politiche in termini di sviluppo del sistema universitario e di redistribuzione delle risorse economiche al suo interno». E' in causa la quota base dell'FFO che fino al 2013 era disciplinata da meccanismi di spesa storica e ora vede un peso crescente dei costi standard. Nel ricorso, l'università di Macerata non si oppone all'introduzione di un nuovo meccanismo di distribuzione dei fondi, ma contesta i suoi effetti giudicati «paradossali e perversi» con la riduzione nel caso di specie del 23% delle risorse statali. La delega data al governo dalla legge Gelmini del 2010, spiega il Tar, era «eccessivamente generica», il decreto attuativo ha stabilito le voci di costo ma non le modalità di misurazione, e il tutto è stato affidato ai provvedimenti ministeriali. Sarà la Consulta a decidere se la riserva di legge che la Costituzione (in particolare gli articoli 33 e 34) prevede per l'istruzione è stata violata da questa procedura. (Fonte: G. Trovati, IlSole24Ore 17-12-15)

FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO) 2015. DISTRIBUZIONE DELLA QUOTA "PREMIALE": IL 90% DEL GUADAGNO APPARTIENE A 5 REGIONI
La distribuzione dell'FFO 2015 prevede una quota c.d. premiale di 1.385.000.000 €, da distribuire sulla base di quattro indicatori: il 65% della quota premiale dipende dai risultati VQR, il 20% dipende da un indicatore di qualità delle politiche di reclutamento, mentre alla qualità del processo di internazionalizzazione è destinato il 7%, e alla qualità della didattica l’8%. Gli indicatori di performance degli atenei per ciascun aspetto sono costruiti in maniera differente. Alcuni derivano dalla complessa aggregazione di altri indicatori, altri sono più semplici, ma tutti gli indicatori sono correlati alla dimensione di ciascun Ateneo. Gli indicatori VQR e reclutamento (IRAS3 e IRFS1), infatti, sono costruiti in modo da tener conto della dimensione della struttura. L’indicatore di qualità della didattica rappresenta la percentuale di studenti in corso 2013/2014 con almeno 20 CFU nell’anno 2014. Poiché ogni Ateneo riceve il punteggio in base al numero di studenti “attivi” rapportato al totale degli studenti “attivi” italiani, l’indicatore dipende fortemente dalla dimensione dell’Ateneo. L’indicatore più “sganciato” dalla dimensione dell’Ateneo è quello relativo all’internazionalizzazione della didattica. Utilizzando il numero degli iscritti nell’anno accademico 2013/2014 come misura della dimensione di ciascun Ateneo, è facile verificare quanto ciascuna quota premiale dipenda dalla dimensione dell’Ateneo. L’indicatore maggiormente associato alla dimensione è quello relativo alla qualità didattica. Dalla comparazione tra la distribuzione effettiva della parte premiale dell'FFO e la distribuzione ipotetica basata solo sulla dimensione degli Atenei emerge che 32 Atenei (53%) guadagnano qualcosa rispetto alla semplice distribuzione dimensionale mentre 28 Atenei subiscono una perdita. In cifre, sono 147.858.333,65 € che si spostano tra i due gruppi rispetto alla distribuzione dimensionale. Benché Atenei grandi e piccoli siano sparsi tra le due categorie, sembra esserci una maggiore sofferenza negli Atenei con più iscritti: in termini di iscritti 2013/2014, sono 696.573 (46%) gli studenti che guadagnano qualcosa (rispetto alla distribuzione dimensionale) contro 827.222 che ci perdono. Una differenza più evidente tra Atenei che vincono o perdono è nella distribuzione territoriale: la maggioranza di “perdenti” è al Sud mentre i vincenti si trovano quasi tutti al Nord. Raggruppando gli Atenei per regione, appare chiaro che il 90% del guadagno appartiene a 5 regioni: Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia, Toscana. Il 95% della perdita è a carico di 5 regioni: Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. (Fonte: B. Bruno, Roars 03-12-15)

SPESA PUBBLICA PER L’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA. DATI DI UNA COMPARAZIONE INTERNAZIONALE
La comparazione internazionale, rispetto al finanziamento pubblico dell'istruzione universitaria, mostra un’Italia in affanno. Nemmeno il Governo Renzi è riuscito a recuperare il gap. Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone ai microfoni di “Radio Popolare”, giovedì sera in occasione della “Notte Bianca del diritto allo studio degli studenti universitari”, ha annunciato che con la Legge di Stabilità si arriverà a stanziare 8 miliardi sul capitolo. La differenza resterà enorme. Nel 2011 la spesa pubblica per l’istruzione universitaria in Italia ammontava, stando ai dati Ocse, allo 0,8% del Pil: una percentuale inferiore anche rispetto ai Paesi nei quali la componente privata del finanziamento è assai rilevante come Stati Uniti e Regno Unito (entrambi allo 0,9%). Una stima della spesa pubblica per l’istruzione universitaria per abitante mostra, che in anni recenti, ammonta a 332 euro in Germania; 305 euro in Francia; 157 euro in Spagna a fronte di 117 euro al Centro Nord dell’Italia e 99 euro in Meridione. A colmare questa mancanza di soldi sono le famiglie costrette ad intervenire. Nel finanziamento del sistema universitario italiano, stando ai dati Eurydice ripresi dalla Fondazione Res, la quota sopportata dalle famiglie italiane sul totale della spesa, nel 2011, era pari al 24,5%, un livello che pur essendo inferiore al Regno Unito è maggiore rispetto alla Francia, alla Spagna e all’Olanda e molti altri Stati europei. La Fondazione evidenzia che i “dati del Public Funding Observatory della European University Association mostrano che la contrazione del 21% in termini reali della spesa pubblica per l’università osservata in Italia tra il 2008 e il 2014 è superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei a parte Grecia, Ungheria e Regno Unito”. La legge di Stabilità 2016 attualmente in discussione aumenta di un miliardo lo stanziamento. È un’inversione di tendenza, ma certamente non di portata epocale. (Fonte: A. Corlazzoli, IlFattoQuotidiano.it 11-12-15)
   

LAUREE - DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE

IL TASSO DI OCCUPAZIONE CRESCE DI PIÙ TRA I LAUREATI. LO DIMOSTRA L'ISTAT
Tra i falsi miti negli anni della grande crisi economica ha avuto particolare "successo" l'idea che la laurea fosse diventata inutile: un pezzo costoso e faticoso, ma inefficace ai fini della ricerca del lavoro nel nostro Paese. Molte argomentazioni sono state spese (anche da apprezzati analisti) negli anni più recenti a sostegno di questa tesi: dalla presunta incapacità delle imprese italiane di attrarre e ricercare laureati, perché in media piccole e poco attrezzate per sviluppare ricerca e innovazione, alla più realistica incapacità del nostro mondo del lavoro di premiare titoli accademici di livello e competenze eccellenti, perché caratterizzato da una crescita delle carriere basata su cooptazione e fedeltà più che sul merito. Il comunicato ISTAT sui dati del terzo trimestre 2015 dà speranza ai ragazzi, e anche il consiglio implicito che studiare ha un valore: "Dopo il forte calo dell'occupazione giovanile in tutti gli anni della crisi, il numero di occupati di età 15-34 anni torna a crescere (56.000, +1,1% annuo)". I giovani rappresentano più della metà dei nuovi ingressi nell'occupazione, cioè quegli occupati che non avevano un lavoro un anno prima. È da considerare una scelta di comunicazione felice l'enfasi con cui l'ISTAT, commentando l'aumento dell'occupazione nel terzo trimestre del 2015, ha voluto "prendere posizione" sulla vexata questio: un elevato titolo di studio - ha scritto l'Istituto di Statistica nel suo rapporto ufficiale - si conferma un vantaggio nel mercato del lavoro, il tasso di occupazione cresce infatti di più fra i laureati, attestandosi al 75,7% (+0,8 punti sul terzo trimestre 2014) rispetto al 63,2% di quello dei diplomati e al 43,5% del tasso riferito a chi ha al più la licenza media (+0,7 e +0,5 punti, rispettivamente)». È dunque ancora evidente il vantaggio dei giovani laureati rispetto ai diplomati (anche se meno rilevante rispetto ai Paesi anglosassoni) nel livello di retribuzione del primo impiego e nella velocità di carriera. La riduzione del tasso di disoccupazione è invece diffusa rispetto ai diversi livelli di istruzione, mentre il tasso di inattività cresce solo tra quanti possiedono fino alla licenza media. (Fonte: Avvenire 12-12-15. Fonte 15-12-15)

CON IL 3+2 IL RISULTATO È STATO DI FAR DURARE ALMENO CINQUE ANNI CORSI CHE PRIMA NE DURAVANO QUATTRO
Nelle intenzioni originali, lo “split” tra lauree avrebbe dovuto uniformare il sistema italiano a quello delle università internazionali, dove il binomio triennale-magistrale si rispecchia nella ripartizione tra bachelor e master. Nei fatti, «l'unico risultato è stato di far almeno durare cinque anni – se non di più - corsi che prima ne duravano quattro. Quasi 6 studenti su 10 decidono infatti di proseguire con gli studi magistrali, proprio perché sono quelli che garantiscono un po' più di guadagno e prospettive occupazionali» spiega al Sole 24 Ore Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea ed ex rettore dell'Università di Bologna. Il termine di paragone con l'Europa non funziona, per un equivoco di fondo: in sistemi come il Regno Unito, dove pure crescono le iscrizioni ai master, il bachelor (triennale) viene considerato un programma già soddisfacente per la ricerca di impiego. Lo stesso non si può dire dell'Italia, come certifica il maggior grado di specificità offerta dai soli bienni magistrali. Come a dire: il primo livello dà le basi, il secondo il lavoro. «Sempre che il lavoro ci sia, visti i tassi di disoccupazione giovanile – fa notare Dionigi -. Se il 3+2 vuole avere un senso, allora le triennali dovrebbero essere tarate su percorsi davvero professionalizzanti, come già avviene nelle discipline sanitarie. In caso contrario, si nuoce solo al corso. Per alcune lauree, è stato un suicidio». Perché “non c'è 3 senza 2”. Il cortocircuito è semplice da spiegare. Uno studente in regola con il percorso della scuola dell'obbligo si immatricola a 19 anni. Se ha scelto un corso di laurea di primo livello, cioè un qualsiasi corso ad eccezione dei pochi che hanno conservato il ciclo magistrale (come Medicina o Giurisprudenza), l'età minima per ottenere il titolo è a 22 anni. Il problema è che le sola laurea triennale rischia di essere un handicap per la successiva ricerca di un impiego, non tanto nell'immediato quanto in vista di scatti di carriera o buone condizioni retributive sul lungo periodo. (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 27-11-15)

PROGETTO CRESCERE IN DIGITALE 2015
Per diffondere tra i giovani al di sotto dei 30 anni le competenze necessarie a ricoprire ruoli nelle nuove professioni legate al web è nato il progetto Crescere in digitale 2015, specificamente pensato per gli iscritti al programma Garanzia giovani. L’importanza di questa iniziativa è spiegata dai dati del Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e del Ministero del Lavoro: oltre 47.000 tra le assunzioni che le aziende avevano programmato per l’anno che volge al termine sono legate alle competenze digitali e di queste più del 60% richiedevano un’esperienza specifica nel settore. La scarsa diffusione di tali competenze, però, ha fatto sì che nel 16% dei casi le imprese abbiano avuto delle difficoltà a trovare profili in linea con quelli che intendevano reclutare, un tasso significativamente più alto rispetto a quello generale (10,1%). Le digital skills sono richieste particolarmente in Lombardia, Lazio e Piemonte. Il progetto Crescere in digitale 2015 mira a colmare il gap tra domanda ed offerta diffondendo tra i giovani le competenze che le imprese richiedono e faticano a reperire nel mercato del lavoro attraverso un programma in tre fasi: 50 ore di training online, laboratori sul territorio e più di tremila tirocini retribuiti nelle imprese. Il progetto Crescere in digitale 2015 è stato avviato quasi tre mesi fa e vanta già numeri importanti. Con quasi 36.000 giovani iscritti, oltre 200.000 ore di formazione erogate e già più di 2.600 ragazzi che hanno completato la formazione online, di cui oltre 2.000 hanno già superato il test e sono pronti a iniziare il tirocinio in una delle circa 900 aziende su tutto il territorio nazionale che hanno aderito al programma. (Fonte: universita.it 05-12-15)

DISALLINEAMENTO TRA ISTRUZIONE E PROFESSIONE (EDUCATIONAL MISMATCH). INDAGINE ISFOL PLUS 2014
Gli autori dell'articolo si soffermano sul fenomeno dell’educational mismatch, ovvero il disallineamento tra capacità possedute (livello d’istruzione o percorso formativo) e richieste (necessarie per svolgere il proprio lavoro). La stima è quanto mai complessa, sia in termini epistemologici che di misura: qui il disallineamento tra istruzione e professione è limitato al titolo di studio più alto conseguito, non alla tipologia.
L’indagine Isfol Plus 2014 consente, attraverso interviste dirette, di ottenere una definizione più accurata del fenomeno. Lo sheepskin effect, il cosiddetto effetto “pezzo di carta”: un diplomato su tre e un laureato su cinque ritengono che la loro attività lavorativa potrebbe essere svolta anche con un titolo di studio inferiore a quello da loro posseduto, sintomo di una domanda di lavoro generica e poco orientata alle professionalità. Tra i laureati prevale nettamente l’over-education  (18%) rispetto all’under-education (5,7%), confermando ancora la bassa domanda di lavoro qualificata espressa dal nostro sistema produttivo. Mentre tra i diplomati il fenomeno di under-education (18%) supera di poco quello dell’over-education (16%). Ciò denota una svalutazione del titolo di scuola secondaria superiore che, essendo sempre più comune, tende ormai a essere percepito come un livello di istruzione base. L’over-education è un fenomeno diffuso e multiforme. I livelli d’impiego del capitale umano sono tali da rendere inevitabile una riflessione più ampia sulla necessità di indirizzare le imprese verso produzioni di beni e servizi innovativi. Il versante pubblico può fare molto: dovrebbe aggiornare il sistema scolastico e formativo e sostenere la ricerca di qualità, ma anche dare sostegno in maniera selettiva alle imprese che innovano. Una riduzione dell’over-education altro non è che un recupero di efficienza del sistema scuola-lavoro. (Fonte: E. Mandrone, F. Pastore e D. Radicchia, lavoce.info 01-12-15)
Un commento di "pif": La questione è complessa e direi multi-dimensionale. Indubbiamente c'è una scarsa necessità di formazione qualificata vista la dimensione media delle nostre imprese e la scarsa ricerca. Secondo c'è un forte scollamento tra università e lavoro, le università tendono a dare una formazione a volte troppo teorica e poco orientata alla realtà lavorativa corrente con conseguente delusione da entrambe le parti. Faccio un esempio, io sono laureato in ingegneria, la formazione di base dell'università è di tipo progettista, mentre nella realtà serve l'ingegnere poli-funzionale con competenze economiche, di marketing ecc., insomma non c'è molto matching. Inoltre il mondo del lavoro cambia molto più rapidamente di come si adeguino i programmi, ci vorrebbe molta più integrazione. Quindi le riforme dovrebbero essere molto più concertate tra scuola e mondo del lavoro per far adeguare i due mondi meglio.
Nella tabella cinque indicatori: tre soggettivi (tratti da quesiti) e due oggettivi (sulla posizione relativa).

ISTRUZIONE TECNICA. GLI ISTITUTI TECNICI SUPERIORI (ITS) HANNO 4.000 ISCRITTI RISPETTO AGLI 880.000 DELLA GERMANIA E AI 116.000 DELLA FRANCIA
L'istruzione tecnica è una buona formazione per i giovani, è necessaria per le imprese e il mondo del lavoro ed è strategica per la competitività del Paese. Queste in sintesi le conclusioni, presentate a un convegno, del rapporto di ricerca di Treellle/Fondazione Rocca su: "Innovare l'istruzione tecnica secondaria e terziaria - per un sistema che connetta scuola, università e impresa" che mira a valutare l'impatto delle riforme introdotte nel 2008/2010 (Fioroni, Gelmini) sull'istruzione tecnica secondaria nonché sugli effetti dell'introduzione degli Its (Istituti Tecnici Superiori). Secondo il rapporto per realizzare una buona offerta di istruzione tecnica (a livello secondario e terziario) è necessario che il sistema connetta maggiormente scuola, università e mondo del lavoro. Inoltre occorre rilanciare, innovandola, l'istruzione tecnica secondaria che ha avuto un forte declino di iscritti fino a pochi anni fa e che ora si è stabilizzata sul 32% del totale degli iscritti dei vari ordini della scuola secondaria. A riguardo il rapporto formula una serie di proposte: istituire a livello nazionale Comitati settoriali permanenti con le Parti sociali; rafforzare l'autonomia gestionale degli istituti tecnici introducendo uno statuto speciale; aumentare e rendere effettiva la quota di autonomia curricolare su tutto il quinquennio; intensificare l'apprendimento delle lingue straniere, privilegiando l'inglese. In Italia, diversamente dagli altri Paesi europei, non esiste un'offerta intermedia di formazione tecnica tra la scuola e l'università che ha il monopolio dell'offerta d'istruzione terziaria. Per questa ragione è stato deciso l'avvio degli Istituti Tecnici Superiori (Its) non universitari. Oltre a colmare il vuoto di offerta fra scuola e università gli Its sono stati pensati per rispondere alle richieste del mercato di tecnici superiori; per una più veloce transizione al mondo del lavoro e per ridurre gli abbandoni dell'Università (40%). Ad oggi gli Its che fanno capo a Fondazioni di partecipazione di natura pubblico-privata sono 75 con 197 corsi attivati e circa 4.000 iscritti rispetto agli 880.000 della Germania e ai 116.000 della Francia. Il tutto a fronte di stanziamenti per il periodo 2012-2015 di 17 milioni di euro, di cui il 70% provenienti dal MIUR e il 30% dalle Regioni. Il risultato è che gli Its sono rimasti un settore di nicchia, con risorse insufficienti e quindi non in grado di risolvere l'anomalia italiana. (Fonte: http://tinyurl.com/gmfvwf2 novembre 2015)

PER QUOTA DI LAUREATI ITALIA IN CODA NELL'OCSE
L’Italia è scesa all’ultimo posto tra le nazioni OCSE per quanto riguarda la percentuale di popolazione laureata nella fascia 25-34 anni: 24% l’Italia contro il 41% della media OCSE. Il sorpasso è stato sancito ufficialmente dall’edizione 2015 del rapporto OCSE Education at a Glance. Fino all’anno scorso eravamo penultimi a pari merito insieme al Cile e davanti alla Turchia, due nazioni che quest’anno ci hanno superato. Per ricercarne le cause esaminiamo la spesa per laureato. Quella spagnola e francese sono il 170% di quella italiana, mentre quella tedesca e quella svedese sono più del doppio di quella italiana, rispettivamente il 201 e il 230%  Ed è di nuovo Education at a Glance 2015, rileva Redazione Roars, a mostrare che l’Italia raccoglie quello che semina. In rapporto al PIL, la spesa per istruzione universitaria italiana (0.9%) è penultima tra tutte le nazioni OCSE per cui sono disponibili i dati (media OCSE: 1,5% del PIL). Peggio di noi solo il Lussemburgo. (Fonte: http://tinyurl.com/qzzda88 03-12-15)


RAPPORTO OCSE EDUCATION AT A GLANCE 2015. PARZIALE FALLIMENTO DEL 3+2
I dati relativi all’istruzione terziaria nell’edizione 2015 di “Education at a Glance” riportano l’Italia notevolmente indietro rispetto agli altri stati membri dell'OCSE, con il tasso di laurea atteso oggi per i 25-34enni appena del 34% contro il 50% della media Ocse. Inoltre, solo il 62% di coloro tra i 25 e i 34 anni che hanno conseguito una laurea risulta occupato, con il paradosso di un tasso di occupazione più basso tra i laureati rispetto a chi possiede “solamente” un diploma di scuola superiore. Il rapporto Ocse ci permette di analizzare il “processo di Bologna” —la suddivisione a livello internazionale dei percorsi di laurea in due cicli—in un’ottica europea e, a sedici anni dalla sua introduzione, di tracciare un bilancio dell’effettiva riuscita del sistema 3+2 in Italia. Per quanto l’Italia presenti un numero percentuale di laureati magistrali superiore sia alla media Ocse che a quella Europea (15% tra i ragazzi di età compresa tra 25 e 34 anni), il parziale fallimento del sistema 3+2 è però evidenziato dal ristretto numero di universitari che decide di terminare il proprio percorso formativo dopo la laurea triennale (solo il 9% rispetto al 21% di media dei paesi Ocse). Inoltre i dati relativi all’occupazione riportano come solo il 68% di coloro che ottengono un titolo di laurea breve riesca ad inserirsi con successo nel mondo del lavoro rispetto all’80% di media Europea. (Fonte: E. Tricerri, 2duerighe.com 07-12-15)

   
RECLUTAMENTO

RICERCATORI. LE NUOVE ASSUNZIONI NEGLI ATENEI E NEGLI ENTI DI RICERCA
I numeri precisi sulle assunzioni arrivano dalla relazione tecnica annessa all’ultimo testo licenziato da Palazzo Madama che ha aggiunto diversi ritocchi al testo inviato da Palazzo Chigi. Dopo lo storno di una parte delle risorse (8 milioni nel 2016 e 9,5 nel 2017) in favore degli enti di ricerca il “contingente” di ricercatori di tipo b - quelli che dopo 3 anni possono ambire a salire il primo gradino della docenza - destinato agli atenei sarà di 861 unità, stimando «una ipotesi di trattamento stipendiale (costo annuo € 58.625) pari a circa il 120% del trattamento stipendiale iniziale del ricercatore a tempo pieno». Per quanto riguarda i costi da sostenere per i 500 docenti universitari di prima e seconda fascia (38 milioni per il 2016 e 75 dal 2017), questi saranno assunti per chiamata diretta anche dall’estero - almeno il 50% entro un anno dall’avvio del bando - con l’attribuzione «mediamente alla quarta classe stipendiale». La manovra prevede poi lo sblocco del turn over per i ricercatori di tipo a (quelli a tempo determinato) «con esclusivo riferimento agli atenei virtuosi (ovvero atenei che come previsto dal DPCM 31 dicembre 2014 abbiano un indicatore di spese di personale inferiore all'80% e un Indicatore di Sostenibilità economico finanziaria almeno pari a 1».  Per quanto riguarda il mini contingente di 215 ricercatori per gli enti di ricerca la relazione tecnica prevede che saranno assunti a partire dal marzo 2016, ma con una precisazione: «Gli oneri connessi all'attribuzione, ai ricercatori assunti ai sensi della presente norma, delle fasce stipendiali successive a quella di ingresso, previste dai Ccnl del Comparto della Ricerca e i conseguenti differenziali di costo, rimangono a carico dei bilanci dei singoli Enti ed Istituzioni di Ricerca». Sempre per gli enti di ricerca sarà possibile «continuare ad avvalersi - avverte la manovra - del personale con contratto di collaborazione coordinata e continuativa in essere alla data del 31 dicembre 2015, mediante l'attivazione – previa verifica di idoneità – di contratti di lavoro a tempo determinato». (Fonte: IlSole24Ore 24-11-15)

PIANO DI RECLUTAMENTO DI 85 RICERCATORI DI TIPO B
È stato pubblicato sul sito del MIUR il Decreto Interministeriale 10 dicembre 2015 n. 924, "Piano reclutamento di ricercatori di tipo b", trasmesso alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità e al competente Ufficio Centrale di Bilancio per il controllo preventivo di regolarità contabile. Sono 85 i posti da distribuire come si può vedere nella tabella che si trova nel pdf cliccabile in calce al decreto. (12-12-15)


RICERCA. RICERCATORI. VALUTAZIONE DELLA RICERCA

VQR 2011-2014. POLEMICHE E REAZIONI
La nuova VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca) sta suscitando polemiche e reazioni imprevedibili. Il confronto con la precedente edizione (periodo 2004-2010) sottolinea elementi di novità, ma anche criticità di non poco conto nel conteggio delle pubblicazioni scientifiche del singolo ricercatore e del Dipartimento a cui esso appartiene. I lavori parlamentari per la legge di stabilità hanno rafforzato le critiche alla VQR. La mancanza di politiche attive per il diritto allo studio, il ridimensionamento dell'FFO, i finanziamenti alla ricerca ridotti e una serie di questioni annose hanno portato i ricercatori a chiedersi: che senso ha sottoporsi a nuova valutazione della ricerca? (47 mozioni in 19 atenei. Renzi non ci ascolta? E allora noi congeliamo la nuova VQR - Roars, 6/11/2015). Da qui la protesta di ricercatori e interi dipartimenti che, a partire da metà ottobre 2015, sulla base della osservazione della CRUI dell'8 luglio 2015 che avvertiva Miur e Anvur di recuperare le risorse tagliate "per garantire la collaborazione del sistema universitario allo svolgimento del nuovo esercizio VQR 2011-2014", hanno discusso e approvato mozioni in cui affermano di non partecipare alla nuova tornata di valutazione. L'impatto delle mozioni di "disobbedienza" prodotte negli atenei (Sale la febbre: 84 mozioni in 37 atenei e ora anche il CUN raccomanda "stop-VQR!", Roars - 15/11/2015) ha spinto il CUN a chiedere la sospensione delle procedure della VQR al ministro Stefania Giannini (Raccomandazione dell'11 novembre 2015 firmata dalla vice presidente Carla Barbati). I motivi sono chiari: "per effetto delle numerose mozioni di protesta e delle dichiarazioni di non collaborazione...potrebbe essere inficiata la correttezza dei risultati di quest'ultima (la VQR 2011-2014) per l'incompletezza dei dati raccolti e la conseguente distorsione statistica", ritenuta necessaria "la partecipazione condivisa e collaborativa della comunità accademica". La scottante questione del "congelamento" della VQR (Perché la VQR deve essere congelata, Roars - 17/11/2015) passa ora al MIUR e all'ANVUR che, ad oggi, non hanno fornito alcun tipo di risposta alle critiche provenienti dalla comunità scientifica italiana. (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 23-11-15)

FONDI UE PER LA RICERCA. L'ITALIA RICEVE MENO DI QUANTO VERSA
Fino al 30 ottobre scorso su oltre 100 bandi per la ricerca già lanciati, l’Ue ha assegnato quasi 12 miliardi - 11,984 per l’esattezza - ai progetti presentati dai ricercatori dei Paesi Ue, e quelli coordinati cioè da un team italiano hanno incassato poco meno di 1 miliardo (940 milioni e 484mila euro): in pratica il 7,8% della torta complessiva. Eppure l’Italia oggi partecipa al bilancio dell’Ue con circa il 12% dei fondi complessivi (siamo i terzi finanziatori assoluti). Come dire che tra il dare e l’avere all’appello mancano più di 400 milioni. Al 30 ottobre scorso i centri di ricerca e le imprese della Germania di fondi ne hanno conquistati più del doppio dell’Italia: ben 2,231 miliardi. Anche l’Inghilterra incassa il doppio dei nostri fondi (1,8 miliardi). Al terzo posto di questa speciale classifica della ricerca europea c’è poi la Francia con 1,287 miliardi. Subito sotto il podio c’è la Spagna - che supera il nostro Paese rispetto al passato - con 1 miliardo e 37 milioni. E poi l’Italia con 940 milioni affiancata dall’Olanda (che contribuisce al bilancio Ue solo per il 3%) con 932 milioni. Un quinto posto a pari merito con un Paese molto più piccolo di noi che racconta i nostri ritardi su un terreno - quello della ricerca - cruciale per riguadagnare la crescita di cui abbiamo tanto bisogno. Ritardi dovuti anche soprattutto ai disinvestimenti dei vari Governi degli ultimi 10-15 anni - tra tagli ai fondi, blocco del turn over negli enti di ricerca e nelle università, credito d’imposta poco sostenuto - che ha prodotto un divario anche nelle risorse umane a disposizione. (Fonte: P. Almirante, tecnicadellascuola.it 07-12-15)

RICERCATORI. ARTeD CHIEDE CHE PER I NUOVI RTD-B DELLA LEGGE DI STABILITÀ 2016 LE UNIVERSITÀ DISPONGANO DEL DIFFERENZIALE DI RISORSE PER IL SUCCESSIVO PASSAGGIO A PROFESSORE ASSOCIATO
La Legge di Stabilità 2016 prevede un incremento di 55 milioni di euro del fondo di finanziamento ordinario delle Università (FFO) per l’anno 2016 e di 60 milioni annui a partire dal 2017, destinato all’assunzione di ricercatori (RTD tipologia B). ARTeD (Associazione Ricercatori a Tempo Determinato) ritiene sicuramente meritevole l’idea – più volte oggetto delle richieste dell’Associazione – di destinare una quota parte delle risorse alla creazione di posizioni RTD-B. Tuttavia, nella relazione tecnica del Governo di accompagnamento al DDL Stabilità è stabilito espressamente che l’assegnazione delle risorse alle Università rappresenta soltanto un “cofinanziamento” del futuro costo da Professore Associato previsto per i RTD-B che conseguano l’ASN. Il Governo afferma inoltre, altrettanto chiaramente, che “il differenziale di costo sarà coperto dalle singole università a valere sulle ordinarie facoltà assunzionali” (p. 124 della Relazione tecnica del Governo al DDL Stabilità). Ciò significa che gli Atenei potranno – in concreto – bandire posizioni RTD-B soltanto se avranno a disposizione il differenziale di risorse per il successivo passaggio a Professore Associato, in quanto le somme per il momento messe a disposizione dal Governo non coprono interamente il costo della stabilizzazione in ruolo del Ricercatore senior che, al termine del triennio contrattuale, sia in possesso della ASN. ARTeD chiede pertanto che le risorse messe a disposizione dalla L. di Stabilità siano incrementate al fine di coprire interamente il costo della stabilizzazione come Professore Associato del RTD-B che, al termine del triennio di contratto, sia in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale. (Fonte: Associazione ARTeD 27-11-15)

UN DECRETO LEGGE PER FINANZIARE CON 80 MLN UN PROGETTO SCIENTIFICO DELL'IIT IN AREA EXPO
Nell’ambito delle iniziative ... è attribuito all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) un primo contributo dell’importo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di  ricerca, sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni scientifiche interessate, da attuarsi anche utilizzando parte delle aree in uso a EXPO S.p.a. ove necessario previo loro adattamento. IIT  elabora un progetto esecutivo che è approvato con decreto del  Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze. (Fonte: Decreto Legge 25 novembre 2015, n. 185  Misure urgenti per interventi nel territorio. 15G00202. G.U. Serie Generale n. 275 del 25-11-2015).
Un commento di "indignato" su Roars: Come all’epoca tanti atenei hanno accettato IIT come finanziatore (per drenare fondi altrimenti direttamente indisponibili dallo Stato), ora accadrà lo stesso a Milano. La sofferenza del sistema è tale che ci sarà la corsa per diventare partner del progetto post-Expo/IIT. E il metodo – che è sbagliato in quanto negazione di qualsiasi selezione democraticamente science-based delle decisioni di finanziamento pubblico in materia di ricerca – verrà ancora una volta accettato.

BANDO PRIN 2015. INCONGRUENZA DELL'INAMMISSIBILITÀ DI RICERCATORI (RTD) A PRESENTARE PROGETTI DI RICERCA IN QUALITÀ DI COORDINATORI SCIENTIFICI
Ai sensi dell’art. 1, comma 4°, del bando PRIN 2015, il ruolo di coordinatore scientifico (o “principal investigator” – PI) può essere assunto da “un professore/ricercatore universitario a tempo indeterminato o ricercatore a tempo determinato di cui al comma 3, lettera b) dell’articolo 24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 che abbia ottenuto la valutazione positiva prevista dal comma 5 del medesimo articolo a seguito del possesso dell'abilitazione scientifica nazionale”. Ne segue pertanto che i RTD-Moratti e i RTD-A sono esclusi dalla possibilità di partecipare al bando PRIN 2015 in qualità di coordinatori scientifici. È previsto che i RTD-B possano assumere il ruolo di coordinatore scientifico, ma soltanto se già in possesso dell’Abilitazione scientifica nazionale e soltanto se siano stati valutati positivamente dall’Ateneo di appartenenza ai fini della chiamata come Professori Associati. Ciò significa che anche i RTD-B in attesa di partecipare alla prossima ASN o in attesa della valutazione dell’Università di appartenenza sono parimenti esclusi dalla possibilità di partecipare al bando PRIN 2015 in qualità di coordinatori scientifici.
Tali esclusioni determinano una paradossale incongruenza rispetto ai requisiti per il  conseguimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, come disciplinati dalla bozza di regolamento della nuova ASN elaborata dal MIUR. Infatti, la bozza di regolamento della nuova ASN prevede fra i titoli da possedere al fine del conseguimento dell’Abilitazione scientifica nazionale: 1) la direzione di un gruppo di ricerca caratterizzato da collaborazioni a livello nazionale e/o internazionale (All. A, n. 4, della bozza di regolamento ASN); 2) la responsabilità scientifica di progetti di ricerca internazionali e nazionali, ammessi al finanziamento sulla base di bandi competitivi che prevedano la revisione tra pari (All. A, n. 4 della bozza di regolamento ASN).
Se ne deduce che ai RTD-B, ai RTD-A e ai RTD-Moratti è richiesto di acquisire tali titoli ai fini di conseguire l’ASN; tuttavia – al tempo stesso – è impedito loro di partecipare ai bandi PRIN 2015 per poter conseguire i medesimi titoli.
ARTeD (Associazione Ricercatori a Tempo Determinato) chiede pertanto che il bando PRIN 2015 venga subito modificato, prevedendo la possibilità per i RTD-B, per i RTD-A e per i RTD-Moratti di presentare progetti di ricerca in qualità di coordinatori scientifici. (Fonte: Consiglio Direttivo di ARTeD 12-11-15)
  
DIS-COLL. NEGATA L'ESTENSIONE AGLI ASSEGNISTI DI RICERCA
Il 26 novembre, in occasione della discussione del Ddl Stabilità presso la XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, era stato approvato un emendamento a firma dei deputati Gribaudo, Damiano, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Di Salvo, Giacobbe, Incerti, Patrizia Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli e Zappulla, con cui si disponeva la proroga dell'indennità di disoccupazione per collaboratori coordinati e continuativi e a progetto (DIS-COLL) per il 2016. Al contempo, l'emendamento estendeva la DIS-COLL "anche ai titolari di assegni di ricerca di cui all’articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e all’articolo 51 della legge 27 dicembre 1997, n. 449". In base a queste finalità, era disposto lo stanziamento di 289 milioni di euro per l'anno 2016 e di 73 milioni di euro per l'anno 2017. Ma in seguito la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha bocciato la possibilità di estendere la DIS-COLL agli assegnisti di ricerca senza nemmeno esaminare l’ipotesi di ricomprendere dottorandi e borsisti e limitandosi a prorogare l’istituto per il 2016. Sono state ignorate quasi 9.000 firme e più di 2.750 e-mail inviate alla Commissione Bilancio della Camera, con cui i giovani ricercatori hanno chiesto invano a questa classe politica di rappresentarli. FLC CGIL, ADI, LINK, CRNSU e Rete29Aprile hanno rilanciato la campagna #perchénoino? (Fonte 15-12-15)

FONDI SENZA BANDO A RICERCHE SULLA SLA. IL CASO ARRIVA SU NATURE
L’“ira” dei ricercatori italiani arriva sulla rivista Nature per l’assegnazione senza bando, prevista nella legge di Stabilità, di 3 milioni alla sperimentazione clinica di fase II della terapia contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla). I fondi sono gli stessi un tempo previsti per Stamina. I politici italiani “hanno acceso la collera” dei ricercatori, che chiedono di modificare l’emendamento, scrive la rivista. ‘’Per troppi ricercatori italiani l’idea che alcuni progetti vengano finanziati a seconda del capriccio dei politici è purtroppo tristemente familiare”, scrive Nature, che ricorda quanto accadeva proprio un anno fa con la vicenda Stamina. Nel caso delle ricerche condotte dal gruppo sulla Sla, precisa la rivista, “non c’è alcuna traccia di illeciti”: la questione riguarda il modo in cui i fondi sono stati assegnati. “I politici italiani possono essere attratti da un progetto e decidere di finanziarlo”, osserva su Nature Marino Zerial, direttore dell’Istituto Max Planck di Biologia Molecolare a Dresda. “In quale altro Paese assistiamo a qualcosa di simile?”, si chiede Zerial. Eppure, rileva Nature, dopo la vicenda Stamina la Corte Costituzionale aveva stabilito che i finanziamenti pubblici per la ricerca non avrebbero dovuto essere assegnati “per semplice discrezione politica del legislatore”. Ancora una volta Nature rileva che sia ricercatori, sia le associazioni di pazienti sottolineano che non è in questione la correttezza scientifica, ma che “scarse risorse dovrebbero essere assegnate sulla base delle regole della più assoluta trasparenza". (Fonte: ANSA 02-12-15)

ACCORDO SU HUMAN TECHNOPOLE. COSTITUITO IL COMITATO GUIDA COMPOSTO DAI RETTORI DELLE TRE UNIVERSITÀ PUBBLICHE MILANESI
Tutti d'accordo sul progetto "Human Technopole" che dovrebbe sorgere sull'area Expo e trasformare Milano in un centro di eccellenza per migliorare la qualità della vita. È stato infatti costituito il Comitato guida per la stesura definitiva del piano dopo che nei giorni scorsi si è tenuta una riunione convocata dal ministro delle Politiche agricole con delega Expo Maurizio Martina alla quale erano presenti anche i rappresentanti di Regione Lombardia e Comune di Milano. A coordinare il comitato, composto dai rettori delle tre università pubbliche milanesi, sarà Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). I lavori dovranno essere presentati entro il 25 febbraio e saranno sottoposti anche alla valutazione di advisor scientifici indipendenti. L'istituto con sede a Genova è stato l'unico a presentare un'idea scientifica. Ovvero realizzare una struttura di ricerca di livello internazionale sfruttando l'alto potenziale di trasferimento tecnologico alle imprese di IIT e la capacità di creare start-up innovative e applicazioni di frontiera. (Fonte: Il Giornale 03-12-15)

BANDI DEL CONSIGLIO EUROPEO DELLA RICERCA (ERC). RICERCATORI ITALIANI CONQUISTANO IL SECONDO POSTO PER NUMERO DI GRANTS (31)
Anche in questo nuovo round di finanziamenti da parte dell'Erc, si ripete ancora una volta il film già visto negli anni precedenti. E cioè buone performance dei nostri ricercatori, ma cattive come sistema Paese: l’Italia infatti non attrae cervelli dall’estero, un po’ perché molti centri di ricerca non sono così attrattivi e un po’ perché gli stipendi sono più bassi che altrove (il ricercatore che sceglie un Paese deve anche optare per gli stipendi di quel Paese). Secondo le ultime tabelle dell’Erc che ha appena stanziato 429 milioni per finanziare con corposi starting grant (borse fino a 1,5 milioni) le ricerche a 291 giovani ricercatori che rappresentano l’eccellenza della scienza europea a guidare la classifica con 50 progetti finanziati sono i ricercatori tedeschi. Al secondo posto gli italiani con 31 grant e poi francesi e israeliani (anche alcune Paesi extra Ue partecipano) con 24 e a seguire olandesi e inglesi con 22 progetti. Fin qui la nazionalità dei ricercatori vincitori. Perché nella classifica dei Paesi più scelti per fare la ricerca al primo posto c’è l'Inghilterra con 48 progetti, seguita dalla Germania con 47, dall’Olanda con 32 e dalla Francia con 29. Solo al settimo posto c’è l'Italia con 18 progetti di ricerca, tutti di italiani che hanno deciso di restare nel proprio Paese per realizzare i loro studi. Nulla di strano fin qui. Dall’estero invece nessuno ha scelto l’Italia. E qui sta l’anomalia perché invece in Paesi come Inghilterra, Francia e Germania i ricercatori si dividono tra quelli che restano e gli altri ospitati dall’estero. (Fonte: Mar. B., Scuola24 07-12-15)

PERCHÉ SI FA RICERCA CON GLI ANIMALI
Grazie a chemioterapie efficaci che, prima di essere usate negli esseri umani, sono state sperimentate negli animali di laboratorio per controllarne la tossicità e l'efficacia, alcune malattie neoplastiche si possono oggi curare. Anche di questo hanno parlato gli esperti di sperimentazione animale, provenienti dai più importanti centri di ricerca europei, a Roma, durante il convegno della Basel Declaration Society. Si tratta di un gruppo di scienziati che, nel 2010, aveva scritto un documento per una maggiore trasparenza e comunicazione sull'uso degli animali di laboratorio. Gli scienziati riuniti a Roma hanno espresso preoccupazione per la crescente opposizione alla sperimentazione animale: se in passato fossero state applicate le norme che alcuni attivisti dei diritti degli animali vorrebbero introdurre oggi, e che mirano a limitare fortemente la possibilità di effettuare studi negli animali, non avremmo neppure gli anestetici che usano i dentisti per curarci i denti. Per non parlare degli analgesici che alleviano il dolore del cancro, i medicinali che controllano la nausea e tante altre conquiste della medicina. Quando, per esempio, i ricercatori scoprono nella cellula un nuovo gene che contrasta la proliferazione tumorale o che favorisce le metastasi, non possono stimolarlo o bloccarlo con un farmaco senza sapere prima quali altri molteplici ruoli lo stesso gene svolga nell'organismo. Per scoprirli servono i cosiddetti topi knock-out, creati apposta senza quell'unico gene: in questo modo è possibile scoprire le funzioni compromesse che dipendono dal gene in studio. E facile intuire che solo un organismo vivente, nella sua interezza, permette questo tipo di studio. I cosiddetti metodi alternativi, che utilizzano cellule o tessuti isolati, non sono in grado di rispecchiare questa complessità. Gli scienziati che impiegano animali non lo fanno a cuor leggero, come dimostra l'esistenza stessa della Basel Declaration e delle norme legali ed etiche per chi è costretto a ricorrere a questo tipo di sperimentazione. Gli animali sono assai tutelati, cercando di evitare loro sofferenze e di ridurne il numero al minimo indispensabile. Oltre alle doverose ragioni legali ed etiche, c'è un altro elemento che rende necessario tutelare ii benessere dell'animale: i dati raccolti da un animale stressato o maltrattato non sono attendibili. (Fonte: Notiziario AIRC dicembre 2015)

PROCEDURE MEPA. NON APPLICABILITÀ ALLE APPARECCHIATURE E AI GENERI DI CONSUMO STRETTAMENTE DEDICATI ALLA RICERCA
La gestione dei progetti di ricerca e dei relativi fondi non può essere soggetta a norme fatte per la manutenzione di un edificio, l’acquisto della cancelleria o delle forniture sanitarie.
Voglio essere breve e fornire, per quanto possibile, tutto il sostegno dell’USPUR al documento emerso dall’Adunanza CUN del 9 aprile 2014 che ben ha esaminato la normativa inerente all’obbligatorietà di sottostare alle procedure MePA. La normativa sancisce chiaramente che essa non si debba applicare alle università. Ebbene, di fatto, tale normativa è oggi ampiamente disattesa. Non metto in dubbio che essa debba essere usata per gli acquisti di “general spending”, ma la sua applicazione alle apparecchiature e ai generi di consumo strettamente dedicati alla ricerca è certamente non adeguata. Tali beni possiedono caratteristiche fortemente specifiche e di fatto sono reperibili da pochissimi fornitori. In quest’ambito, purtroppo, le amministrazioni degli Atenei hanno quasi generalmente scelto di adeguarsi all’interpretazione più restrittiva possibile della normativa, anche per quei casi in cui il finanziamento alla ricerca fosse stato accordato ad un ben predeterminato budget comprendente acquisti ben individuati a priori. Peraltro, le procedure così imposte causano notevoli ritardi che inducono effetti negativi nella rendicontazione dei progetti stessi, siano essi finanziati da enti pubblici o privati, che in termini estremi possono portare alla perdita di parte di tali finanziamenti. In quest’ambito, le università pubbliche italiane si trovano poi a competere ad armi non pari con istituti di ricerca, anch’essi nazionali, non soggetti a tali normative, che sempre più spesso sono usati dai docenti per la gestione dei fondi.
Pertanto, la Giunta dell’USPUR le chiede che ella si faccia parte attiva nel rendere efficace la normativa vigente circa l'esclusione degli Atenei statali dall'obbligo di ricorrere al MePA relativamente ai soli acquisti di beni e servizi che gravino su fondi di ricerca di natura pubblica o privata. (Fonte: Lettera inviata dal Segretario nazionale dell'USPUR M. Masi al ministro Giannini, 09-12-15)


SISTEMA UNIVERSITARIO. EVOLUZIONE E PROPOSTE DI RIFORMA

RIFLESSIONI ANTICIPATRICI DI ENNIO FLAIANO SULLA TRASFORMAZIONE DELL'UNIVERSITÀ
Andrea Lombardinilo ha il merito su Universitas 137 di riproporci il mordace pensiero anticipatore di Ennio Flaiano (1919-1972) sull'evoluzione dell'università. Lo studio come forma di intrattenimento, l’analfabetizzazione culturale come pratica diffusa; l’affermazione della burocrazia, l’incombere delle amministrazioni centrali, il sopravvento delle lingue straniere sull’italiano. Sono soltanto alcuni dei fenomeni degenerativi che Flaiano ha il coraggio di denunciare sul Corriere della Sera in una riflessione sociologica del dicembre 1959, in cui la satira sul malcostume italico si innesta su un senso di frustrazione per la parabola discendente di un paese che ha perso di vista la centralità dei valori tradizionali e che non riconosce più ai sistemi educativi una centralità un tempo indiscussa. Si tratta di un processo all’apparenza irreversibile. Flaiano sembra intuire la deriva normativa e tassonomica che oggi attanaglia gli atenei italiani, alle prese con riforme speculari e con procedure valutative che si risolvono in classifiche di merito, preziose ai giornali per decretare promossi e bocciati del sistema accademico. Si pensi del resto alle classifiche internazionali stilate dall’OCSE nei rapporti Education at a glance, laddove si denuncia il cronico deficit dell’Italia per investimenti in formazione, sviluppo e ricerca rispetto ai concorrenti europei. Flaiano anticipa l’immagine dell’università «malata e denigrata» del nostro tempo, incapace di reggere il passo dei mutamenti prodotti dalla globalizzazione. Gli effetti della rivoluzione studentesca testimoniano la cifra sociale del cambiamento, sospinto dall’espansione della base partecipativa, dall'evoluzione del mercato del lavoro e dalle nuove possibilità connettive del digitale. La formazione permanente è soltanto uno degli aspetti con cui l’uomo flessibile deve fare i conti in termini di aggiornamento professionale. Travolta dall’ansia riformistica e dalla crisi economica globale, l’università post-moderna sembra discendere direttamente dall’università addormentata descritta da Flaiano, la cui sagacia non risparmia alcun aspetto della vita sociale del suo tempo. I comportamenti accademici non fanno eccezione. Le ragioni vanno individuate (anche, ma non solo) nella rivoluzione generata dall’industria culturale mainstream, che anticipa di qualche decennio l’epopea in corso del digitale. La risposta dell’università italiana si traduce in un profluvio di norme che di fatto ostacolano, più che agevolare, il rinnovamento tanto invocato. In qualità di spettatore disincantato, Flaiano invita l’università a destarsi dal suo torpore: meno conservatrice e più reattiva, pena il declino. Le responsabilità ricadrebbero egualmente sulla politica, sui burocrati, sui professori, sugli stakeholder, cui Flaiano avrebbe certamente adattato uno dei suoi aforismi più noti: «Ha poche idee, ma confuse». (Fonte: A Lombardinilo, Universitas 137 ottobre 2015)

I DIPARTIMENTI BLOCCANO O NON LA RIFORMA GELMINI?
La legge Gelmini rischia di cadere sulla trincea dei dipartimenti, che non si è avuto il coraggio di abbattere, ma dietro la quale le “armate baronali” si stanno riorganizzando per riconquistare le posizioni perdute nelle chiamate in cattedra. Il consiglio di dipartimento nella sua composizione ristretta è costituito da ordinari e decide, in via esclusiva, sulla chiamata dei nuovi ordinari. Il consiglio semi-allargato è composto invece da ordinari e associati e decide sulla chiamata degli associati. Le scelte sono fatte in base ai rapporti di potere esistenti all’interno dei dipartimenti. Da una valutazione di carattere scientifico, si passa automaticamente a una sorta di conta degli amici e dei nemici, che fa vincere non i più bravi, ma i più abili nel creare alleanze politiche nelle facoltà. Insomma, i nuovi professori tornano a essere “nominati” in base a una elezione politica in cui gli unici aventi diritto al voto attivo sono i membri del consiglio ristretto. In questi termini argomenta Francesco Barone su la voce.info (11-12-15) nell'articolo "Così i dipartimenti bloccano la riforma dell’università".
Fra i commenti all'articolo da riportare in replica mi è parso più convincente quello di Alberto Rotondi: Qui si continua a ragionare ignorando i fatti. È normale che nella programmazione i più anziani ordinari, che non hanno conflitto di interessi a livello personale, siano quelli che pesano di più nella programmazione. È così in tutto il mondo. Però la mancanza di risorse falsa tutto il meccanismo. Il CdA mi ha dato un punto di personale da spendere per il reclutamento. Se prendo un esterno ho una posizione. Se promuovo degli interni bravi ho 2 o tre posizioni. Ho il Dipartimento senza personale che chiude i corsi e che vive sulle ore in più di didattica che fanno i ricercatori. Se ho tre ricercatori bravi che se non vengono promossi tirano i remi in barca, promuovo loro o chiamo un esterno più bravo chiudendo due corsi? E poi contano i corsi e le linee di ricerca del Dipartimento. Chiamo un interno un po' meno bravo ma che è leader di un gruppo di nanotecnologie che tira e pubblica o chiamo un esterno più bravo che studia teorie di campo con automi cellulari, ricerca che nessuno nel mio dipartimento fa? Facile cazzeggiare sui baroni, ma i fatti sono ben diversi. Quanto alla legge Gelmini, potrebbe anche essere una legge funzionante, ma in un paese normale che eroga le risorse minime all'università, non in questo contesto. (Fonte: lavoce.info 11-12-15)

PERCHÉ L’UNIVERSITÀ POSSA ADEGUARSI ALLE ISTANZE DELLA PROPRIA COMMITTENZA SERVE INNANZITUTTO CHE QUESTE ISTANZE CI SIANO
I problemi dell’università italiana non sono determinati né dalla qualità potenziale degli studi, né dal livello di preparazione del suo corpo docente e ricercatore: il nostro paese occupa il posto che dovrebbe occupare negli indicatori della produzione di conoscenza, e i suoi laureati di punta non si differenziano, nella capacità di inserirsi con profitto nell’economia globale della conoscenza, da quelli del resto d’Europa. Perché l’università possa adeguarsi alle istanze della propria committenza, non basta che un governo cali dall’alto, alla giacobina, nuovi ordinamenti e li imponga: serve innanzi tutto che queste istanze ci siano, e cioè che l’imprenditoria italiana si mostri in grado di assorbire un certo tipo di personale qualificato, e si mostri pronta a metterlo a frutto e a valutarne seriamente le doti in modo che i programmi di formazione possano cambiare e migliorarsi sulla base di aspettative espresse alla prova dei fatti. E per ottenere questo risultato bisogna che, tra università e paese, cambi più profondamente l’elemento che è attualmente più lontano, nei suoi standard di qualità e nelle sue dinamiche sociali, dai suoi omologhi nei contesti più compiutamente sviluppati, ovvero il paese. Servirebbe, insomma, costringere la nostra economia a produrre per la competizione internazionale, e quindi costringere i nostri centri produttivi ad avere davvero bisogno di attrezzarsi al meglio e di compiere scelte di qualità per sopravvivere. Ci vorrebbe un governo che, gradualmente ma con fermezza, eliminasse tutti i paracadute che finora salvano dal baratro chi è pericolante, e che non avesse paura di affrontare l’inevitabile malcontento diffuso di un paese in cui guardare in faccia alla realtà significherà, nel breve periodo, gettare tra gli stenti milioni di persone che passeranno dal percepire un reddito che non producono al mero (se sarà possibile erogarlo) sussidio statale. Uno scenario del genere è accettabile da un governo democratico che tiene alla propria pelle? No, ed ecco perché, per l’ennesima volta, si otterranno “risultati” nel modo più semplice: se università e paese, oggi come ieri, non sono connessi, a cambiare dovrà essere l’elemento più limitato e soprattutto più gestibile, perché debole, privo di ampie reti di supporto e di reazione agli attacchi e anzi tradizionalmente diviso al suo interno, fiaccato dalla cattiva stampa, e come se non bastasse quasi totalmente sotto controllo della regolazione pubblica e quindi più semplice da rivoltare come un calzino a scadenze periodiche. Prepariamoci dunque a un’altra “riforma” che si potrà dire di aver fatto per il gusto di sventolare un trofeo al pubblico, ma non diamo come al solito la colpa a Renzi per questa brutta abitudine. (Fonte: A. Mariuzzo, http://tinyurl.com/jfzjy7m 25-11-15)
   
RIFORME DELL'ISTRUZIONE MAI ATTUATE
Nell'articolo intitolato "Le riforme che (forse) non avremo" sul Corriere della Sera del 7 dicembre E. Galli della Loggia cita, tra le tante, anche le riforme dell'istruzione mai attuate: "Penso anche a riforme meno clamorosamente urgenti ma assolutamente necessarie, quali per esempio quella dei programmi scolastici, fermi a una stagione ideologica ormai tramontata, ovvero alla riforma altrettanto urgente negli studi universitari del sistema di laurea del tre+due, rivelatosi una vera catastrofe". (Fonte: E. Galli della Loggia, CorSera 07-12-15)

IL CAMBIAMENTO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO NEL RAPPORTO RES 2015 (ISTITUTO DI RICERCA SU ECONOMIA E SOCIETÀ IN SICILIA)
I dati e le evidenze presentate in questo Rapporto portano a concludere, senza timore di esagerare, che il sistema universitario italiano sta affrontando un cambiamento epocale, che ne ha già condizionato la struttura, e che potrebbe condizionarlo per decenni a venire. Ciò che si vedrà, infatti, è che le dinamiche che si sono determinate sono cumulative: tenderanno a ripetersi e ad amplificarsi nel futuro. Non vi è stata, cioè, una correzione di rotta una tantum, per quanto estremamente ampia e di direzione decisamente discutibile: si è messo in moto un processo – che senza necessità di alcun ulteriore intervento – porterà il sistema a trasformarsi radicalmente.
Un cambiamento di portata così ampia non scaturisce però da un organico disegno di riforma. Da una volontà esplicita, quantomeno annunciata pubblicamente. Da un progetto trasparente, che sia stato valutato con attenzione almeno dalle classi dirigenti del paese (se non da tutti i cittadini) e che sia stato oggetto di almeno parziali discussioni parlamentari. Di cui siano stati soppesati i pro e i contro, analizzate le conseguenze a medio e lungo termine. Scaturisce invece da un coacervo di norme e disposizioni attuative, di regolamenti, di decreti ministeriali tanto complessi nella forma quanto assai importanti nella sostanza. Un processo in larga misura oscuro, talmente complesso da sfuggire – in molti suoi aspetti – alla comprensione non solo dei cittadini o delle “classi dirigenti”, ma anche degli stessi più diretti interessati. Un processo in larghissima parte indipendente dalla politica,  ma che, allo stesso tempo, ha avuto una sostanziale continuità anche con esecutivi di colore ben diverso, sostenuti da partiti che nei loro (rari) documenti sull’istruzione superiore avevano espresso posizioni molto diverse: fra di loro – come è normale sia in democrazia – e rispetto a ciò che si veniva decidendo. Una sorta di pensiero unico implicito. Quale che sia l’opinione che ciascuno può avere sugli esiti che si stanno determinando, si tratta di un processo di decision-making certamente oscuro. (Fonte: G.  Viesti, http://www.resricerche.it/ dicembre 215)


STUDENTI

STUDENTI. PER GARANTIRE LA BORSA DI STUDIO A TUTTI GLI IDONEI È NECESSARIA UNA CORRESPONSABILITÀ FINANZIARIA DI STATO E REGIONI APPLICANDO IL D.LGS. 68/2012
Per il DSU (Diritto allo Studio Universitario) occorrerebbe almeno il doppio di quanto ora stanziato, ovvero circa 330 milioni di euro: questo è l’ammontare con cui lo Stato, si stima, nel 2014/15, avrebbe potuto finanziare la spesa per borse di studio e mobilità internazionale per una quota pari al 70%, in ciascuna Regione, al netto delle entrate da tassa regionale. In comparazione agli oltre due miliardi di euro spesi da Francia e Germania per il sostegno agli studenti, e al miliardo speso dalla Spagna, si tratta di bruscolini. Il calcolo delle risorse necessarie è stato fatto basandosi sul sistema attuale che interessa un numero di idonei pari al 10-11% della popolazione studentesca, dunque una porzione di studenti assai esigua che occorrerebbe ampliare e che invece, a seguito dell’introduzione della riforma ISEE, nel 2015/16, si ridurrà ulteriormente. Il d.lgs. 68/2012 all’art. 18, co. 1, prevede che le Regioni debbano contribuire a coprire il fabbisogno finanziario necessario a garantire il pieno successo formativo degli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, in misura pari ad almeno il 40 per cento dell’assegnazione relativa al fondo statale integrativo. Questa norma è rimasta inattuata perché non è mai stato emanato il decreto attuativo che deve definire i criteri e le modalità del riparto del fondo statale (art. 18, co. 4), sebbene si sarebbe dovuto fare entro 12 mesi dall’emanazione del d.lgs. 68/2012. Aumentare le risorse è una condizione necessaria ma non sufficiente per garantire a tutti la borsa di studio. È indispensabile riformare il sistema di finanziamento dando applicazione a quanto prevede il d.lgs. 68/2012, una corresponsabilità finanziaria di Stato e Regioni, perché altrimenti il rischio è che a fronte di un aumento delle risorse statali le regioni riducano le proprie, con l’esito che la figura dell’idoneo non beneficiario non scompaia mai. In conclusione, per il DSU (borse a tutti gli studenti idonei = 10-11%) occorre il doppio dei 162 mln (FSI = Fondo statale integrativo) della L. di stabilità e il decreto attuativo del d.lgs. 68/2012 (almeno 40% del FSI da Regioni). (Fonte: F. Laudisa, http://tinyurl.com/gvah2dc 23-11-15)
Tabella. DSU. Ammontare del Fondo statale integrativo (FSI) e delle entrate da tassa regionale a.a. 2005/06 - 2013/14.

STUDENTI ITALIANI ALL'ESTERO E STRANIERI IN ITALIA
Il numero di studenti italiani che studia all'estero è in costante crescita. Nel 2013 circa 46.000 studenti italiani risultavano iscritti in atenei di altri Paesi OCSE. Per contro le università italiane attirano pochi studenti stranieri: nello stesso anno meno di 16.000 studenti stranieri risultava iscritto nelle istituzioni italiane. Tuttavia le nostre università stanno tentando di superare questo problema: circa il 20% degli atenei ha proposto almeno un programma d'insegnamento in lingua inglese durante l'anno accademico 2013-2014 (rispetto al 43% in Germania e al 16% in Francia). (Fonte: ANSA 24-11-15)

IMMATRICOLAZIONI. IL SORPASSO DELLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE
Il record di matricole che dieci anni fa affollavano le aule di Giurisprudenza, Scienze politiche, Economia, Psicologia e Scienze della comunicazione (per citare i corsi più frequentati dell'area sociale) è solo un ricordo: in appena due lustri sono diminuite dal 41 al 34%. Mentre i futuri ingegneri e laureati in Matematica, Fisica, Chimica e Scienze biologiche sono schizzati dal 27 al 34% realizzando un inedito sorpasso, seppure per poche decine di unità. Stabili restano le immatricolazioni per i corsi dell'area sanitaria (Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Professioni sanitarie) e umanistica: Lettere, Storia, Filosofia. (Fonte: R.it 15-12-15)

IMMATRICOLAZIONI. UNA QUESTIONE MERIDIONALE
Le Università meridionali hanno perso 45.000 immatricolati negli ultimi 10 anni, mentre il Centro-Nord, dopo un’iniziale perdita, ha quasi superato la crisi di immatricolazioni. Globalmente, in Italia, 7 diplomati su 10 proseguono gli studi immatricolandosi all’Università, ma vi è un flusso migratorio di studenti dal Sud al Centro-Nord pari al 25% (dati da Rapporto ANVUR sullo Stato del sistema universitario). In totale, perciò, le Università del Sud riescono a “trattenere” poco più del 60% dei diplomati meridionali, mentre pochissimi studenti del Centro-Nord s'immatricolano nelle Università del Sud. Il sistema universitario del Centro-Nord, invece, oltre ai diplomati locali riesce ad attrarre altri 2 diplomati su 10 provenienti dal Sud. Un motivo rilevante – e inadeguatamente valutato – è rappresentato dalle scarse risorse del diritto allo studio e dalla distribuzione delle stesse. Di fatto, le Regioni che riescono a dare un maggiore numero di borse di studio, perché più ricche, ottengono di più dallo Stato, mentre quelle più povere ottengono di meno. Tale distribuzione di risorse attiva un circolo vizioso per il quale sempre più risorse vanno al Nord e sempre meno al Sud. A titolo esemplificativo, i fondi attribuiti nel 2014 a Lombardia e Campania, Regioni con eguale numero di potenziali studenti beneficiari, rendono plastico il quadro: la Lombardia ottiene quasi 18 milioni, e la Campania ottiene 5,5 milioni (DPCM 3 Luglio 2015). Ne consegue che il 76% dei 46.000 studenti capaci e privi di mezzi – ma senza borsa di studio – sono iscritti alle Università meridionali. (Fonte: A. Pujia, Roars 26-11-15)
   

VARIE

L'ENQA E L'ANVUR
In analogia con i sistemi di accreditamento e certificazione, anche in ambito di formazione esiste un sistema a cascata. L’ente che potremmo far corrispondere all’ECA (European Cooperation for Accreditation) è l’ENQA (European association for quality assurance in higher education). L’ENQA è l’organizzazione che ha lo scopo di mantenere e migliorare la qualità della formazione in Europa. Il documento di riferimento è «Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education Area» reperibile nel sito dell’associazione (http://www.enqa.eu). Esistono due livelli di iscrizione, full e associate, che prevedono una valutazione esterna ogni 5 anni. In sostanza, i full member rispondono a tutti i criteri dell’ENQA e quindi anche a quelli delle citate «Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education Area» (ESG), mentre gli associati (associates) invece sono quegli enti che pur rispettando tutti i criteri per la full membership, non sono classificati come agenzia nazionale. Infine, gli enti che non riescono a superare la valutazione esterna, o che semplicemente non desiderano essere valutati, possono iscriversi all’ENQA come affiliati (affiliates), senza diritto di voto. L'ANVUR, che essendo l’agenzia nazionale, potrebbe ambire allo status di full member, presumibilmente non ha superato la valutazione o ha fatto decorrere i termini (cfr http://www.roars.it/online/anvur-emarginata-dalleuropa-niente-membership-enqa/) e quindi dal 2013, quando è scaduta la condizione di Candidate membership, ossia di ente in valutazione, appare solo nell’elenco degli affiliati. (Fonte: B. Cenci Goga, Roars 27-11-15)

RAPPORTO OCSE SULL'ISTRUZIONE. DATI NEGATIVI PER L'ITALIA
L'ultimo rapporto OCSE dice che il 20% dei giovani italiani prende una "laurea completa" (+3% rispetto alla media) ma solo il 42% dei diplomati s'iscrive all'Università: una negatività che ci caratterizza al terzultimo posto dopo il Lussemburgo e il Messico. Ma non è l'unico dato negativo. Oltre ad attirare pochi studenti stranieri, nel 2012 le istituzioni dell'istruzione terziaria hanno speso 10.071 dollari statunitensi per studente: due terzi della spesa media Ocse. È lo 0,9% del Pil nazionale, con un leggero aumento rispetto al livello di spesa dello 0,8% registrato nel 2000. Meno di noi spende il Lussemburgo. Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti hanno dedicato intorno al 2% all'istruzione terziaria. A questo va ad aggiungersi che il 35% dei 20-24enni non ha un lavoro, non studia, né segue un corso di formazione: i cosiddetti NEET, la seconda percentuale più alta dei Paesi OCSE. Insomma, l'Italia si ritrova fanalino di coda in molte indagini del rapporto. Di segno positivo, secondo l'Ocse, è tuttavia l'accertamento che l'Italia ha chiuso il divario di genere nel tasso dei laureati: le donne costituiscono il 59% dei nuovi laureati. Resta però il gap sul fronte della docenza: le donne sono solo il 37% dei professori universitari (media OCSE 41%). (Fonte: Uninews24 24-11-15)

INDAGINE WEWORLD 2015. I NEET (NOT ENGAGED IN EDUCATION, EMPLOYMENT OR TRAINING) SONO 2,5 MILIONI IN ITALIA
Avvalendosi dei dati emersi dal rapporto ISTAT del 2014, l’associazione WeWorld, in collaborazione con il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e la rivista Animazione Sociale, ha realizzato la prima indagine organica su un fenomeno ormai sempre più diffuso, ma del quale ancora si parla troppo poco: quello dei giovani che non sono inseriti in alcun percorso formativo e nemmeno lavorano. L’indagine, il cui titolo è, non a caso, “Ghost” (cioè fantasma), analizza le proporzioni e le cause del fenomeno, sollecitando interventi – ormai non più procrastinabili – per affrontare la questione. I NEET [acronimo inglese di "Not (engaged) in Education, Employment or Training"] italiani sono 2 milioni e mezzo, cioè il 21 per cento della popolazione nazionale nella fascia d’età che va dai 15 ai 29 anni, e sono così tanti che l’Indagine WeWorld 2015 ci assegna il triste primato di Paese europeo che ne conta il tasso più elevato. Sono per la maggior parte donne e risiedono per lo più al Sud, dove la percentuale di giovani che non studiano né lavorano è del 35 per cento (al Nord sono meno del 20 per cento).
Il fenomeno è andato crescendo di anno in anno a partire dal 2007 al ritmo di un punto percentuale ogni 12 mesi. Questi dati, uniti a un tasso di disoccupazione giovanile che si attesta al 40 per cento, fanno sì che l’Italia sia fanalino di coda in Europa, ben lontana da Paesi quali il Regno Unito, la Francia e la Germania. A questi dati s'accompagna la constatazione che l'Italia negli ultimi anni ha fatto progressi importanti per creare programmi di istruzione terziaria che preparino gli studenti a un rapido ingresso nel mercato del lavoro con la creazione degli Its (Istituti tecnici superiori) che purtroppo sono ancora molto pochi (Fonte: universita.it 19-11-15)

367 SETTORI SCIENTIFICO-DISCIPLINARI SONO TROPPI?
In base al decreto ministeriale del 30 ottobre 2015, in Italia ci sono 367 settori scientifico-disciplinari (Ssd), raggruppati in 188 settori concorsuali (Sc), 88 macro-settori e 14 aree, e ogni ricercatore o professore afferisce a uno specifico settore disciplinare (e concorsuale).
I settori scientifico-disciplinari dovrebbero rispondere a criteri di omogeneità scientifica e didattica. La distinzione tra settori concorsuali non rappresenta solo una suddivisione burocratica senza conseguenze, ha ripercussioni pratiche sia per l’organizzazione della didattica sia per gli arruolamenti e gli avanzamenti di carriera. Ad esempio, se un docente insegna un corso al di fuori del proprio settore concorsuale non può essere considerato un docente “di riferimento” per la sostenibilità del corso di laurea in cui insegna. Non meno rilevanti le conseguenze per le carriere: le commissioni di valutazione per il reclutamento o le promozioni possono infatti bocciare un candidato appellandosi alla non pertinenza della sua produzione scientifica al settore disciplinare in cui è stato bandito il concorso. Un caso particolare è costituito dal macro-settore di Economia che comprende ben cinque settori concorsuali (in Germania l’intera area 13 – Economia, economia aziendale e statistica – comprende sei settori). Solo il 22 per cento dei candidati all’abilitazione scientifica nazionale ha fatto domanda in un unico settore (si tratta generalmente di candidati a bassa produttività scientifica), il 34 per cento ha fatto domanda in due settori disciplinari, il 24 per cento in tre, il 15 per cento in quattro e il 5 per cento in tutti e cinque i settori. Non solo nel macro-settore Economia ma anche in altri macro-settori molti candidati hanno fatto domanda per ottenere l’abilitazione in più di un settore concorsuale. Perciò è probabile che la distinzione tra settori scientifici disciplinari non risponda sempre a effettive differenze nel corpus della disciplina.
D’altra parte, se si esaminano i curriculum dei ricercatori e professori incardinati nei diversi settori, secondo gli autori dell'articolo si fa fatica a trovare differenze sostanziali sia nelle tematiche trattate che nelle metodologie utilizzate. Si ritiene perciò difficile pensare che senza tale dettagliata suddivisione per settori sarebbe stato problematico nominare commissioni competenti a valutare le pubblicazioni e i titoli presentati dai candidati. Nonostante ciò, non sono infrequenti i casi in cui la commissione valutatrice ha negato l’abilitazione sostenendo che la produttività scientifica del candidato (pur se di elevato profilo) non fosse pertinente al settore. (Fonte: M. De Paola, T. Jappelli e V. Scoppa, lavoce.info 24-11-15)

I PENSATOI INTELLETTUALI E L'UNIVERSITÀ. INTERVISTA A R. PRODI 
Nel dettaglio che presente e che futuro vede per i pensatoi bolognesi? «Mi pare che Prometeia abbia fatto una trasformazione compiuta e sia diventata un'azienda di consulenza aperta al mercato, anche internazionale. Nomisma ha avuto periodi difficili, ma adesso è in corso un tentativo di rilancio globale e internazionale che, sono fiducioso, avrà successo». Ma ha senso parlare ancora di politica industriale in Italia ora che la grande impresa sembra quasi scomparsa? «Ha senso più che mai perché la politica industriale è più necessaria che mai. È vero, non abbiamo più le grandi imprese, ma restiamo il secondo Paese industriale d'Europa dopo la Germania e molto prima di Francia e Spagna». E il destino del Mulino? «Di certo ha meno influenza di un tempo sulla politica nazionale. E anche uno strumento come la Rivista - che è stata un'esperienza straordinaria - è meno influente di un tempo». Perché la fine di questo modello bolognese? «In gran parte per il cambiamento dell'università, che in passato era il collante di tutti i docenti che contribuivano al così detto modello bolognese. Oggi ai professori universitari è richiesto di essere più specialisti e meno intellettuali, in senso lato. Cosi è venuto a mancare un fattore di fermentazione che in passato aveva dato i suoi frutti». Esperienza conclusa, quindi? «Spero proprio di no. Mi auguro che questi pensatoi non appartengano solo al passato, ma anche al presente e al futuro. Certo, quello di oggi è un mondo più frammentato, con problemi più difficili da comprendere, ma proprio per questo servono strumenti nuovi e forti». (Fonte: F. M., La Stampa 26-11-15)

ALLARME LANCIATO AL PARLAMENTO EUROPEO DAL CUN SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELL'ISTRUZIONE SUPERIORE IN ITALIA
Il Consiglio Universitario Nazionale, evidenziando che la mancanza di risorse di cui soffre l’università italiana pregiudica il raggiungimento degli obiettivi europei, lancia l’allarme in una lettera indirizzata alla Commissione cultura e istruzione del Parlamento Europeo: «Italy’s public expenditure on research and development is considerably lower than the average for OECD countries and has been cut drastically, especially since 2009. There has been a 20% reduction in academic and administrative staff numbers, and fewer researchers naturally mean a lower innovation potential. The low numbers of young Italians who actually graduate is also of concern, especially given the constant fall in University enrolments. Despite this, Italian researchers are acknowledged as performing well in comparison with Europe, but their low numbers preclude achievement of the objectives set for Italy in compliance with the principles set forth in the international agreements». La lettera del CUN fa riferimento al rapporto Internationalization of Higher Education commissionato dalla Commissione cultura e istruzione del Parlamento Europeo e allo Yerevan Ministerial Communiqué scaricabili dai seguenti link: Internationalisation of Higher Education , Yerevan Ministerial Communiqué. (Fonte: Redazione Roars 29-11-15)

LA NOTTE MOLTO NERA DEI MUSEI. ERRORI FATALI DI UNA RIFORMA
Su Il Mulino n. 6/2015 Tomaso Montanari presenta con il titolo "La notte dei musei e l'eclissi dell'articolo 9" una cruda rassegna degli "errori fatali" della cosiddetta riforma Franceschini (disposta dal Dpcm 171 del 29 agosto 2014, dettagliata dal Dm del 23 dicembre 2014 e in corso di applicazione durante il corrente 2015). Errori che, ad avviso dell'autore, sono essenzialmente tre.
Il primo è la separazione radicale, e direi violenta, tra tutela e valorizzazione: la prima lasciata alle soprintendenze, la seconda prospettata come unica mission dei musei. Ciò deriva dall'interpretazione, oggettivamente eversiva, della valorizzazione non come finalizzata all'aumento della cultura (come vuole - recependo il dettato costituzionale e le sentenze della Corte costituzionale - il Codice dei Beni culturali) ma invece come messa a reddito del patrimonio. Da qui l'idea di non occuparsi di luoghi improduttivi (implicitamente destinati all'estinzione: gli archivi e le biblioteche), e quella di sfilare venti supermusei (sette di prima classe, tredici di seconda) su cui concentrare risorse e attenzione. Errore nell'errore, la creazione di Poli regionali museali in cui gettare alla rinfusa tutto ciò che avanza (musei veri e propri, siti archeologici, monumenti), con l'unico criterio, brutalmente burocratico, della bigliettazione: se si paga è "valorizzazione", e dunque si va nel calderone dei Poli; se non si paga è tutela, e dunque si rimane nelle soprintendenze.
Il secondo errore radicale è aver scommesso tutto non sulle comunità scientifiche dei musei, ma sulla figura monocratica del direttore. Un errore che deriva da uno stato di fatto (quelle comunità scientifiche di fatto non esistono: e anche in alcuni dei venti supermusei lo staff si riduce letteralmente a due funzionari), ma anche da una prospettiva culturale neoautoritaria. Se, almeno, quei direttori fossero stati scelti in modo serio e trasparente la riforma avrebbe segnato un punto sul campo. Sono stati promossi a direttori di grandi, e a volte grandissimi musei, storici dell'arte che erano curatori di sezioni di musei di secondo o terzo ordine: nemmeno uno dei nuovi nominati ha avuto esperienze lontanamente comparabili alle responsabilità che si accinge ad assumere. In due casi estremi sono state scelte figure professionali dalle competenze remotissime, e francamente incomparabili alle enormi responsabilità in gioco.
Il terzo errore radicale che ha fatto sprofondare i musei nella notte attuale è la lottizzazione politica dei loro organismi scientifici, e dunque la connessa prefigurazione di una loro sostanziale devoluzione agli enti locali attraverso la trasformazione in fondazioni di partecipazione. L'articolo 12 del secondo capo del decreto ministeriale sull'organizzazione dei musei prevede che "il Comitato scientifico è composto anche da un membro designato dalla Regione e uno dal Comune ove ha sede il museo. Il coinvolgimento degli enti locali presenta innanzitutto evidenti tratti di incostituzionalità: il patrimonio storico e artistico è "della nazione" (art. 9 Cost.), e dunque non si capisce perché il Comune di Firenze debba influenzare la direzione culturale degli Uffizi più di quello di Milano, o la Regione Veneto determinare quella dell'Accademia di Venezia più della Regione Campania.
Ma c'è un aspetto ancora più grave, ed è l'idea stessa che alla politica - e non alla comunità scientifica - spetti la nomina degli scienziati (in questo caso cultori delle scienze storiche e storico-artistiche), in un processo che rischia di assimilare le direzioni dei musei al consiglio d'amministrazione della Rai. Queste modalità di reclutamento rappresentano il culmine della progressiva espulsione dalla guida del patrimonio culturale dei tecnici selezionati da altri tecnici sulla base delle regole della comunità scientifica. Un'espulsione che mira a evitare che il governo del patrimonio possa essere affidato a personalità d'intellettuali, i quali "anziché cedere alla continua insidia e alla tradizione delle tante trahisons", assumessero e mantenessero "ad ogni costo e in ogni caso la responsabilità dell'intervento mondano dello spirito critico». È un'evoluzione che, applicata ai musei italiani, compromette in modo ancora più radicale quella funzione civile del patrimonio culturale basata sull'indipendenza della conoscenza che è tipica della tradizione italiana, e che la nostra Carta costituzionale mette tra i principi fondamentali della comunità nazionale. In questo senso, la notte dei musei italiani rende ancora più evidente l'eclissi dell'articolo 9 della Costituzione. (Fonte: T. Montanari, Il Mulino 6/2015)

RACCOMANDAZIONE DEL CUN. TOGLIERE AI RETTORI LA COMPETENZA DISCIPLINARE
Nell'adunanza del 2 dicembre (Oggetto: Raccomandazione «In tema di giudizi disciplinari nei confronti dei professori e dei ricercatori universitari») il CUN raccomanda fortemente alla ministra Giannini di togliere ai rettori la competenza a decidere sui provvedimenti disciplinari nei confronti dei professori e dei ricercatori universitari, trasferendola a un unico organo nazionale “che assicuri la necessaria imparzialità dei giudizi e uniformità dei criteri di valutazione e di imputazione delle sanzioni disciplinari”. Secondo il CUN, aver affidato ai rettori "la competenza a valutare la fondatezza delle azioni disciplinari” non garantisce che sia mantenuta la “giusta distanza” tra chi valuta l’ipotesi di responsabilità disciplinare ed il contesto nel quale è scaturita l’azione disciplinare. E può generare irragionevoli disparità di trattamento per casi identici. È del tutto probabile, rileva Roars (08-12-15), che non sia una coincidenza che la raccomandazione CUN arrivi proprio nel momento in cui alcuni rettori hanno dato il via alla c.d. “VQR di polizia”, minacciando non meglio precisate sanzioni per chi aderisce alla protesta per la discriminazione stipendiale.


ATENEI. IT

ALLA BOCCONI E AL POLITECNICO DI MILANO LE MIGLIORI BUSINESS SCHOOL D’EUROPA
Università Bocconi e Politecnico di Milano sono state inserite nello speciale ranking stilato dal Financial Times sulle migliori business school d’Europa. La classifica europea è creata in base a parametri come l’opinione dei diplomati, la retribuzione che gli stessi diplomati conseguono dopo aver frequentato i corsi e l’esposizione internazionale della scuola.
La School of Management del Politecnico si è piazzata al 45° posto (l’anno scorso era 38esima). Presente nei ranking internazionali dal 2009, la Scuola è in classifica con Master Full Time MBA, Master Executive MBA, Master of Science in Ingegneria Gestionale, Programmi Executive ‘su misura' per le imprese, Programmi Executive Open per manager e professionisti. La School of Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria Gestionale e dal MIP, che è la business school dell’Ateneo milanese.
La Sda Bocconi sale invece di una posizione ed è settima in Europa. Il piazzamento è stato conseguito grazie ai risultati ottenuti dai programmi di Bocconi e Sda Bocconi nei ranking che ogni anno realizza il quotidiano britannico. Il Master of science in International management è salito al 9° posto al mondo mentre l’Mba è al 10° posto in Europa. L’Executive Mba si è collocato al 32° gradino in Europa e nella classifica dell’executive education la Business school ha conquistato il 10° posto nel vecchio continente. Non è inclusa nel calcolo del ranking dei ranking, infine, la classifica dei Master in Finance dove la Bocconi si è piazzata 9° posto al mondo. (Fonte: smartweek.it 09-12-15)

UNIBO. PRIMA TRA LE ITALIANE NELLA CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ PIÙ INFLUENTI SUL WEB. WIKIPEDIA RANKING OF WORLD UNIVERSITIES
La classifica, citata anche sulla MIT Technology Review, si chiama "Wikipedia Ranking of World Universities", e vede nei primi posti le Università di Oxford, Stanford, Yale, Cambridge, Harvard e Columbia. Ormai esistono classifiche universitarie che misurano di tutto: la qualità della didattica, quella della ricerca, il guadagno dei laureati, la reputazione e molto altro. Tra esse c'è anche il Wikipedia Ranking of World Universities 2015, che stabilisce quali siano gli atenei più influenti online. Prima tra le italiane è l'Università di Bologna, che si piazza al 26° posto. "Questa classifica - commenta sul Corriere della Sera Marco Roccetti, docente di Informatica all’Alma Mater - evidenzia il potere evocativo della narrazione che si fa sull’Università di Bologna. A differenza di altri ranking, questo genere di analisi tende infatti a far emergere il contesto sociale, economico e politico in cui si muove l’Ateneo. E il ruolo di primo piano assunto dall’Alma Mater è sicuramente legato ai suoi novecento anni di storia, senza dimenticare il suo importante rilievo internazionale".
(Fonte: uninews24.it 17-12-15)

UNIBO. ACCORDO CON LA SOUTH CHINA NORMAL UNIVERSITY
L'Università di Bologna e la South China Normal University hanno siglato un accordo di collaborazione firmato dal rettore dell'Alma Mater Francesco Ubertini e dal presidente della South China Normal University Hu Shejun. La South China Normal University ha sede a Guangzhou, capitale della provincia di Guangdong. È stata fondata nel 1933 e oggi conta circa 30.000 studenti iscritti. Grazie al nuovo accordo sarà possibile lo scambio di studenti tra l'Alma Mater e l'ateneo cinese, la mobilità di docenti e ricercatori e anche l'attivazione di progetti di ricerca congiunti. (Fonte: magazine.unibo.it 11-12-15)

UNIMORE. COLLABORA A HOLOCAR LA PRIMA TERAPIA AVANZATA A BASE DI CELLULE STAMINALI APPROVATA IN EUROPA
A partire dal prossimo anno arriverà sul mercato quello che è il primo prodotto in Europa a base di cellule staminali, per curare lesioni della cornea; un successo tutto emiliano (maturato dall’impegno di un colosso della farmaceutica di Parma e dell’Università di Modena e Reggio Emilia); un esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privata. C’è tutto questo dietro Holocar, la prima terapia avanzata a base di cellule staminali approvata in Europa e nata dalla collaborazione fra il Gruppo farmaceutico Chiesi (1,34 miliardi di fatturato nel 2014 e investimenti in R&D pari al 18% del fatturato) e ricercatori di fama come Michele De Luca e Graziella Pellegrini dell’Università di Modena e Reggio Emilia. È così che nel 2008 nasce lo spin off universitario Holostem Terapie Avanzate. Da una parte ricercatori dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Unimore), dall’altra un’azienda che nel 2014 – stando allo scoreboard della Ue – si è classificata prima fra le aziende farmaceutiche italiane per investimenti in ricerca e sviluppo e settima fra tutte le aziende italiane. Con Holocar si va, primi in Europa, sulle cellule staminali. Il trattamento consiste nel prelevare una piccola porzione di cellule staminali dall’occhio, fare crescere queste cellule in laboratorio e, non appena si forma un “foglio” cellulare, trapiantarlo nell’occhio danneggiato. Una speranza che arriva dal cuore dell’Emilia. (Fonte: A. Bio., IlSole24Ore My24 02-12-15)

GLI ATENEI EMILIANO-ROMAGNOLI NONOSTANTE IL TREND POSITIVO DI UNIBO E DI UNIMORE PERDONO 1.628 STUDENTI IN QUATTRO ANNI
Il Sole24Ore ha analizzato i dati (pubblici) degli iscritti al primo anno negli atenei statali italiani mettendo a confronto l'anno accademico 2010-11 con il 2014-15: il quadro che emerge è disastroso soprattutto per gli atenei del Sud, sempre più vuoti e alle prese con un profondo deficit di borse di studio (anche per chi ne ha diritto). Nella graduatoria di chi perde matricole, Parma occupa il secondo posto dietro Reggio Calabria: 36,19% di immatricolati in meno, con un forte calo che coinvolge soprattutto le (ex) facoltà dell'Area sociale (da 1.648 a 725, -56,9%) e di quella Scientifica (-41%). Anche Ferrara non se la passa bene: -13,59%, da 2.971 a 2.570 matricole nel giro di 5 anni, con un -3,49% iscritti all'Area sanitaria e -2,69% a quella Scientifica. Va meglio invece per Bologna che passa da 13.084 a 13.373 matricole (+2,29%), con trend positivo per tutte e quattro le aree disciplinari (sanitaria, scientifica, sociale, umanistica). Vola invece l'Università di Modena e Reggio Emilia che incassa un +9,9% a fronte di un salto da 3.553 a 3.905 nuovi iscritti, con un boom non solo nell'area scientifica (da 1163 a 1335, +14,9%), ma anche in quella sociale (da 1257 a 1430, +13%). Nonostante queste performance il sistema universitario regionale nel complesso perde 1.628 studenti, in linea con la media nazionale (-6,8%). (Fonte: Corriere Economia Emilia-Romagna 23-11-15)

SCUOLA NORMALE DI PISA. SCALA LE CLASSIFICHE E NELLE PHYSICAL SCIENCES È 38ESIMA AL MONDO
Secondo Times Higher Education, rivista inglese che ogni anno redige uno tra i ranking internazionali più autorevoli, la Scuola Normale di Pisa scala le classifiche e nel 2015-16, per quanto riguarda le Physical Sciences e le Arts&Humanities, raggiunge ottimi piazzamenti nel World University Ranking. La graduatoria, diffusa in questi giorni, monitora più di 800 istituzioni di 21 paesi. Nelle Physical Sciences la Normale risulta essere trentottesima a livello mondiale e unico ateneo italiano tra i primi cento (rispetto allo scorso anno, la Scuola è avanzata di due posizioni). Crescono tutti i parametri coinvolti nella valutazione: teaching, citation, research, industry income, international outlook. Per quanto riguarda le Arts&Humanities la Scuola è tra i soli tre atenei italiani classificati tra i primi cento e sessantesima a livello mondiale, dopo Sapienza di Roma (42esima posizione) e prima di Bologna (82esima).

L'UNIVERSITÀ ROMENA A ENNA. SECONDO IL MIUR È FUORI DALLE NORMALI PROCEDURE DI LEGGE
Sull'inaugurazione il 14 dicembre, a Enna, dell'anno accademico dell'Università romena 'Dunarea de Jos' di Galati, il ministro Giannini ha sottolineato che se "un'iniziativa si fa fuori dalle normali procedure c'è il sospetto che non abbia le carte in regola". Il ministro riconduce la questione alla "legge nazionale" che, ha ricordato, "impone il rispetto di criteri trasparenti condivisi, a tutela della qualità dell'istruzione: e nel caso in questione (corso di laurea in professione medico-sanitaria) - ha chiosato - mi permetto di aggiungere anche a tutela di un bene prezioso come la salute". Il Fatto Quotidiano intitola "Enna, tante diffide ma alla fine apre l'università rumena" con l'approvazione della Regione (in realtà un assessore si è detto favorevole e un altro si è espresso contro) sebbene il ministro Giannini abbia ribadito che "questa iniziativa si pone completamente fuori dalla legge, dai binari chiari e trasparenti che riguardano tutti gli atenei" e le lauree non saranno riconosciute "né da altro ateneo né da altra autorità pubblica". Recisa la posizione del MIUR, pubblicata sul proprio sito: "Si ritiene necessario informare studenti e famiglie che, anche a tutela della qualità degli studi universitari, l’attivazione di corsi universitari sul territorio nazionale da parte delle Università, italiane o estere, è consentita soltanto subordinatamente all’adozione di un provvedimento di accreditamento da parte del Ministero su conforme parere, fra l’altro, dell’Agenzia nazionale di valutazione - scrive il MIUR - Nessun accreditamento è stato concesso dal Ministero per l’attivazione a Enna di corsi in area medico-sanitaria alla sopraindicata Università Rumena, né tantomeno può essere destinataria di un simile provvedimento la citata Fondazione Proserpina s.r.l.". "Si evidenzia pertanto - prosegue la nota - che eventuali titoli rilasciati all’esito di tali corsi non avrebbero alcun valore né a fini accademici né a fini professionali e non potrebbero essere riconosciuti né da altro Ateneo né da altra Autorità pubblica", tuona il Ministero, che ricorda come lo stesso abbia già provveduto a diffidare l’Università  Dunarea de Jos Galati e la Fondazione Proserpina "e sta provvedendo, con la collaborazione anche dell’autorità giudiziaria, a ogni possibile azione al fine di ricondurre questa spiacevole situazione nell’alveo della legalità". (Fonte: ANSA 14-12-15; FQ 15-12-15; uninews24 15-12-15)


UE. ESTERO

LA CARTA EUROPEA DEI RICERCATORI. L'ATTUAZIONE IN ITALIA
Documento base dell'Unione Europea, la Carta europea dei Ricercatori costituisce l'unico, tuttora, con cui sono stabiliti per l'intera Europa principi e disposizioni riguardo alla figura del ricercatore. Vi sono riportati diritti e doveri della professione di ricercatore, indipendentemente dalla natura del suo impiego, sia che svolga attività autonoma sia che la sua attività lavorativa risulti inserita in un qualsivoglia organismo, pubblico o in una qualsiasi organizzazione privata. La Carta ha visto la luce il 22 marzo 2005. Ha registrato una presa di posizione da parte della CRUI il 7 agosto dello stesso anno, ma finora non era stata tradotta in disposizioni attuative di carattere cogente. Il Parlamento - nell'agosto scorso - nell'approvare la legge delega al Governo per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (7 agosto 2015, n. 124) ha introdotto talune non secondarie  disposizioni riguardanti l’attuazione in Italia della Carta europea. La delega conferita prevede che vengano emanate disposizioni di legge (art. 13) relative “alla libertà di ricerca e all’autonomia professionale” alla “portabilità dei progetti di ricerca e la relativa titolarità valorizzando la specificità del modello contrattuale del sistema degli enti di ricerca”. In vista dell’emanazione dei decreti delegati, che – nell’intento del Legislatore – modificheranno il rapporto di lavoro dei ricercatori, nonché la dislocazione dei dirigenti (art. 11) delle università e degli enti pubblici di ricerca, e che inevitabilmente incideranno anche sull’ordinamento degli enti o, quanto meno, sui loro procedimenti gestionali. (Fonte: http://tinyurl.com/gtmslqn 16-12-15)

IL FUTURO DEL PROCESSO DI BOLOGNA A EREVAN
Si è svolto ad Erevan, capitale dell'Armenia, il 14-15 maggio il nono incontro dei ministri dell’istruzione superiore dei 47 Paesi aderenti al Processo di Bologna. Anche il Rapporto 2015 sull’implementazione del Processo di Bologna restituisce un’immagine dei Paesi aderenti che evidenzia le criticità riscontrate sull’omogeneità dell’applicazione delle riforme: a fronte di alcuni progressi effettivi, esistono ancora alcuni Paesi in cui le riforme sono appena a livello sperimentale. Purtroppo la mancata attuazione delle riforme in alcuni Paesi compromette il funzionamento e la credibilità dello Spazio Europeo nel suo insieme. I Ministri si sono mostrati consapevoli di questo e hanno concordato sulla necessità che alla base dei rapporti nazionali ci siano una maggiore attenzione all’uso dei dati e misure più precise dei risultati raggiunti. Inoltre, verrà utilizzato lo strumento del peer learning e lo scambio di buone pratiche per offrire un supporto mirato a quei Paesi che incontrino difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi concordati.
A Erevan si è svolto anche il quarto Bologna Policy Forum, il momento di dibattito e confronto tra i Paesi che partecipano al Processo di Bologna, altri Paesi che ancora non vi aderiscono e i principali portatori di interesse, istituito nel 2009 per facilitare un dialogo globale. Il documento
conclusivo del Forum riafferma l’importanza cruciale dell’istruzione superiore e della cooperazione
accademica per lo sviluppo sociale e civile dei popoli, per il rafforzamento della democrazia
e la difesa dei diritti umani. Riprendendo concetti espressi anche nel Comunicato di Erevan,
il documento del Forum identifica alcune sfide ineludibili anche per i sistemi formativi, tra cui i cambiamenti demografici, la disoccupazione, il perdurare di stati di crisi economici e politici, il prevalere di preconcetti e stereotipi culturali, l’insufficienza del dialogo interculturale e l’aumento di atteggiamenti estremistici. Alla luce di questo complesso scenario, i partecipanti si sono impegnati
a sostenere il ruolo chiave dell’alta formazione nell’affrontare queste nuove sfide e nel creare una
società equa e sostenibile: «We will work with the academic community to develop the key role of higher education in meeting these challenges and creating the societies we want».
A livello italiano, in linea con gli obiettivi posti a Erevan per il prossimo futuro, si colloca un progetto
che la CRUI sta gestendo su incarico del MIUR (Direzione generale per lo Studente, lo Sviluppo e l’Internazionalizzazione della formazione superiore) nell’ambito del Programma Erasmus Plus: "Consolidating Higher Education Experience of Reform: norms, networks and good practice in Italy". Il progetto, avviato a fine 2014 per un periodo di 18 mesi, intende consolidare a livello nazionale le riforme dell’EHEA (European Higher Education Area), attraverso una serie di seminari tematici, in cui le università e le istituzioni Afam avranno l’opportunità di confrontarsi e dibattere i principali aspetti relativi all’innovazione del sistema e dei percorsi didattici in una prospettiva di attrattività internazionale. (Fonte: M. Cavallini, Universitas 137 ottobre 2015)

XI CONFERENZA DEI RICERCATORI ITALIANI NEL MONDO
Il 26 ed il 27 Febbraio 2016 si svolgerà presso l'Auditorium del Consolato Generale d’Italia a Houston, in Texas, l’Undicesima Conferenza dei Ricercatori Italiani nel Mondo. Organizzata dal COM.IT.ES. di Houston (che comprende gli Stati dell'Arkansas, Louisiana, Oklahoma e Texas), in collaborazione con il Consolato Generale d’Italia a Houston, la manifestazione prevede la partecipazione di personalità di spicco nei campi delle Scienze, delle Tecnologie, della Medicina e degli Studi Umanistici e le cui attività sono collegate all’Italia per il tramite della propria nazionalità o del settore di interesse o delle relazioni in essere con organismi italiani pubblici e privati.
Lo spirito che anche quest’anno muove l’iniziativa è quello di avvicinare i cittadini ai luoghi in cui si fa ricerca scientifica, per invertire la contrapposizione tra la cultura umanistica e quella scientifica e avvicinare sempre più questi due mondi. La Conferenza dei Ricercatori sarà aperta a tutta la comunità scientifica e non, e servirà ad accendere una luce sulla stato della ricerca dei Ricercatori Italiani negli USA. (Fonte: lavocedinewyork.com 14-12-15)

USA. LA CLASSIFICA DEI COLLEGE PIÙ VIVIBILI
Analizzare i dati disponibili sugli atenei americani, e riordinarli secondo criteri più appetibili per un giovane alle prese con la scelta della propria destinazione di studi, è il compito che si è dato l’AIER (American Institute for Economics Research). La classifica che ne è emersa prende in considerazione aspetti di vivibilità della città in cui insistono le università piuttosto che quelli legati agli investimenti o alle capacità di spesa degli atenei. Tasso di occupazione, numero di giovani impegnati in attività culturali, ma anche accessibilità degli spazi pubblici o numero di bar e ristoranti: questi alcuni dei criteri utilizzati dalla classifica riportata dal periodico americano Fortune.
I dati sono poi stati raggruppati a seconda della dimensione delle città (divise in tre fasce: quelle “big” con oltre 2,5 milioni di abitanti, le medie con abitanti tra 1 e 2,5 milioni, e le piccole con una popolazione tra i 250 mila e il milione di abitanti. Ne è risultato che San Francisco (e non la solita Boston delle varie Harvard o del Mit) è la città più idonea a svolgere i propri studi. A seguire nel comparto big ci sono Boston, Seattle, Denver, Houston, Minneapolis, Washington D.C., Dallas, San Diego, New York, Baltimore, Los Angeles, Atlanta, St. Louis e Tampa-St. Petersburg. Tra le città di medie dimensioni, vince ancora una californiana, San Josè, seguita da Austin, Pittsburgh, Raleigh, Salt Lake City, Portland, Nashville, Columbus, Grand Rapids, Milwaukee, Cincinnati, Buffalo, New Orleans, Cleveland, Kansas City, San Antonio, Indianapolis, Rochester, Hartford e Orlando. (Fonte: Corriereuniv.it 30-11-15)

TRA PAESI BRICS SIGLATO UN IMPORTANTE ACCORDO SU ISTRUZIONE SUPERIORE E RICERCA COLLABORATIVA
I paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno siglato Il 18 novembre 2015 un importante accordo sulla cooperazione nell'istruzione. L'accordo impegna i partner a sostenere progetti di ricerca congiunta, incoraggiare programmi post-graduate, dottorato e post-dottorato e la pubblicazione congiunta di risultati scientifici; include, inoltre, attività concernenti le politiche d'istruzione e formazione tecnica e professionale (TVET). L'accordo è conseguenza di un incontro tenutosi in Brasile nel 2014, in cui i paesi BRICS si sono accordati per rafforzare l'internazionalizzazione, la mobilità accademica e l'istruzione professionale e tecnica, e per garantire un'istruzione di qualità inclusiva ed equa. Ad ottobre 2015 si è svolto il BRICS Global University Summit al Moscow State Institute of International Relations, a cui hanno partecipato più di 400 rappresentati dalle principali università dei cinque Paesi. Sono state condivise esperienze e annunciate nuove iniziative per promuovere l'istruzione superiore. (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 10-12-15)


LIBRI
   
LA QUESTIONE MERIDIONALE DELL'UNIVERSITÀ
Autore: Mauro Fiorentino. Editoriale scientifica. 2015.
Quindici anni di storia politica dell’Università italiana sono passati al setaccio per analizzare con amara ironia, ma con estremo rigore metodologico, come un groviglio di interventi normativi e regolamentari ispirati da un vento proveniente da Nord abbia creato le condizioni per un inevitabile declino delle Università del Mezzogiorno. Artefice un percorso riformatore costruito all’insegna di meritocrazia ed efficienza declinate su realtà infondate o mal interpretate. Il tutto in nome di un liberismo anomalo nel quale i vincenti sono stati scelti a monte e nel quale il Nord si è organizzato
un bel regalo – cioè un’università più grande e più bella – che ha fatto pagare quasi totalmente al Sud, così come il Vincenzo di Massimo Troisi in Ricomincioda Tre fa pagare al fratello, praticamente per intero, il televisore da regalare a mammà. Con una brillante metafora, paradossale e controintuitiva, l’Autore dimostra cioè che nella recente storia universitaria italiana è stato rovesciato il principio di fraternità-equità che è alla base della sana e umana relazione ricco-povero che Troisi aveva magistralmente interpretato. Sia l’Autore – sia Adriano Giannola nella
sua acuta prefazione – sottolineano l’urgenza di una tempestiva vigilanza da parte di un Parlamento finora colpevolmente disattento, al fine di porre immediato rimedio alle gravi iniquità che stanno determinando una nuova emigrazione forzata che rischia di indurre ulteriori penalizzazioni, se non un irreversibile declino, delle regioni del Mezzogiorno. (Fonte: Il Mattino 05-12-15)