martedì 6 settembre 2016

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N.RO 6 06-09-16



IN EVIDENZA

TRA IL 1996 E IL 2014 I RICERCATORI ITALIANI HANNO PUBBLICATO 1.200.000 LAVORI, COLLOCANDOSI IN OTTAVA POSIZIONE A LIVELLO MONDIALE
L'Italia ottiene risultati positivi in termini di produzione scientifica nonostante le scarse risorse destinate alla ricerca. Tra il 1996 e il 2014 i ricercatori italiani hanno pubblicato 1.200.000 lavori, collocandosi in ottava posizione a livello mondiale. Se poi si considera il rapporto tra numero di pubblicazioni scientifiche (database Scopus) e risorse finanziarie destinate all’attività di ricerca nel settore pubblico si osserva un aumento per l’Italia da 8,33 a 9,75 lavori per unità di spesa tra il 2011 e il 2014 (vedi rapporto ANVUR 2016). Una dinamica significativa, che supera quella di Francia e Germania, anche se non raggiunge quella di Spagna e Regno Unito. I risultati sono buoni anche per quanto riguarda il rapporto tra numero di pubblicazioni e numero di ricercatori nel settore pubblico, benché in questo caso la produttività rimanga sostanzialmente invariata nell’arco temporale considerato. Risultati positivi si osservano anche rispetto ad altri indicatori di produttività scientifica. Ad esempio, analizzando le pubblicazioni nelle migliori riviste (top 1 per cento) della distribuzione mondiale dell’indicatore di impatto SNIP (Source Normalized Impact per Paper) si trova che l’Italia, a partire dal 2011, si colloca al di sopra della media mondiale, superando anche in questo caso Germania e Francia. Se si considerano le pubblicazioni nella fascia top 5 per cento, l’Italia presenta valori superiori alla media mondiale già a partire dal 2005. (Fonte: M. De Paola e T. Jappelli, lavoce.info 02-08-16)

CERN DI GINEVRA: OLTRE 2.200 RICERCATORI ITALIANI
Oltre 2.200 ricercatori italiani, dei quali 287 funzionari inquadrati nell’organizzazione internazionale su un totale di 2.531 dipendenti. Italiana la direttrice Fabiola Gianotti. Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni si è recato il 22 agosto in visita al CERN di Ginevra nel centro leader a livello internazionale per lo studio della fisica delle particelle. “Sono fiero e sorpreso per il contributo importante dell’Italia alla ricerca scientifica” in termini di quantità di ricercatori coinvolti e di collaborazione con l’industria italiana, ha detto Gentiloni sottolineando sia la dimensione europea del CERN, sia la sua importanza a livello globale, con ricercatori che provengono da numerosi Paesi non europei, attratti da un centro che costituisce un polo di eccellenza nel campo della ricerca fondamentale. (Fonte: OnuItalia.com 22-08-16)

MEDICINA. QUANTI DUBBI (E ASSURDITÀ) SUI TEST D’INGRESSO. Il TANTO AGOGNATO (DA NOI) “SISTEMA FRANCESE” LO STANNO ABBANDONANDO PROPRIO I FRANCESI  
Caro direttore,
è ormai un dato certo che, anno dopo anno, aumentano le iscrizioni ai test d'ingresso di Medicina e non solo. Come è possibile emergere sul mercato del lavoro senza una laurea? Normale dunque che ci si iscriva ai test delle facoltà che più di altre offrono, finiti gli studi, un lavoro sicuro. La facoltà di Medicina resta sempre una garanzia. Ogni anno però ritorna il tema scottante: sono così necessari questi test d'ingresso? Lo abbiamo capito: il ricorso al numero chiuso da parte delle università serve soprattutto a ridurre gli studenti che si laureano fuori corso. Tuttavia non penso che sia la soluzione più giusta blocccare uno studente al primo anno di università. Voglio dire, la selezione "naturale" arriverà nel corso dei sei anni. Come per la facoltà di giurisprudenza, dove al termine dei cinque anni gli studenti si dimezzano. Penso che sia stato un bene ampliare la concorrenza a livello nazionale. Non tutte le famiglie possono però permettersi di mantenere anche i figli fuori città. Insomma pensiamoci. Stipare in un aula più di 2.000 studenti per i test è veramente necessario? (Fonte: F. D., Lettera al direttore, Libero Milano 25-08-16).
I test assomigliano più a un rischiatutto che a una vera scrematura basata su competenze, conoscenze e attitudini, oltre che sulle motivazioni, che spingono migliaia di giovani a mettersi in gioco. Il gioco è piuttosto crudele, per non dire sadico. Non è in discussione la necessità di selezionare né il numero chiuso. Forse la soluzione sta in un primo anno universitario aperto a tutti e una selezione per l'accesso al secondo, come fanno i francesi, evidentemente meno sadici di noi. (Fonte: W. Passerini, La Stampa 05-09-16).
E' il test di medicina ... il più atteso per l'altissima richiesta di iscrizione e per i posti che, rispetto allo scorso anno, sono diminuiti di 306 unità: gli iscritti al test sono ben 62.695, 2.056 in più dell'anno scorso, per 9224 posti. Otterrà un banco per aspiranti medici meno del 15% dei candidati. (Fonte: L. Loiacono, Il Messaggero 05-09-16).
E stipare tutti gli studenti (62.695 quest’anno per Medicina) in aule e laboratori insufficienti a contenerli è didatticamente sostenibile e congruo per una laurea con finalità inerenti alla salute pubblica? E dove sarebbero i docenti disponibili e idonei per esaminare questi 62.695 studenti alla fine del primo anno di Medicina? L’articolista de La Stampa, prima di scrivere il “gioco è piuttosto crudele, per non dire sadico” a proposito del nostro test d’ingresso, dovrebbe leggere l’ultimo articolo in merito su Le Figaro (26-08-16) dove in Francia” la sélection des étudiants pourrait etre avancée à l'entrée du master 1 (bac +4) et non plus à l'entrée du master 2 (bac +5)” cioè non più alla fine ma all’inizio del primo anno (come da noi), dato che in quel Paese si sono accorti che il loro sistema (il tanto decantato da noi “sistema francese”) ha tanti lati negativi al punto che “le Conseil d’Etat a confirmé le 10 février que la sélection entre les deux années de master ne reposait sur aucune base légale” (L. Buratti, www.lemonde.fr 16-05-16). (Nota di PSM).

RANKING REUTERS DELLE 100 UNIVERSITÀ PIÙ INNOVATIVE D'EUROPA
Nel Ranking Reuters delle 100 università più innovative d'Europa, ossia più impegnate nel trasferimento tecnologico e con maggior numero di idee brevettate, primeggia il Politecnico di Milano che si classifica al 42°posto, la Statale si qualifica al 52°, ma è la prima italiana tra gli atenei generalisti. Le altre Università italiane entrate nella classifica sono la Sapienza di Roma (72°), l'Università di Bologna (79°) e infine l'ateneo di Padova, al 98°posto. La Statale di Milano si è guadagnata la sua posizione con 22.000 pubblicazioni scientifiche negli ultimi tre anni, oltre 1.000 progetti di ricerca attualmente in corso, 61 brevetti tra 2008 e 2013, 16 spin-off attivi. Inoltre l'Università di Milano è l'unico ateneo italiano a far parte della LERU, la League of European Research Universities. La classifica è stata stilata identificando 170 tra università ed enti di ricerca europei che hanno pubblicato il maggior numero di articoli nelle riviste scientifiche indicizzate dal 2009 al 2014, rilevate dal Thomson Reuters Web of Science Core Collection database. (Fonte: askanews 22-06-16)

CORTE COSTITUZIONALE. LE CONDIZIONI PER LA LEGITTIMA PREVISIONE DI UN CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ PER LE PENSIONI DI ELEVATO IMPORTO: MISURA CONTINGENTE, STRAORDINARIA E TEMPORALMENTE CIRCOSCRITTA
Nella sentenza n. 173 del 13 luglio 2016 della Corte costituzionale si legge che “il prelievo istituito dal comma 486 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 (norma impugnata) non è configurabile come tributo non essendo acquisito allo Stato, nè destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti esodati. Il contributo, dunque, deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà ‘forte’, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato”. Tuttavia, sostiene la sentenza, anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza. In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum.
Tale misura rispetta il criterio di proporzionalità e, in ragione della sua temporaneità, non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio per i titolari di pensioni più elevate, ossia quelle il cui importo annuo si colloca tra 14 a 30 e più volte il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad aliquote crescenti (del 6, 12 e 18 per cento).
In questi termini, l’intervento legislativo di cui al denunciato comma 486, nel suo porsi come misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, supera lo scrutinio “stretto” di costituzionalità. (Fonte 14-07-16)

FUGA DEI CERVELLI. IL PROBLEMA RETRIBUZIONI
Ma scherziamo? Nessuno affronta il vero problema della ricerca in Italia: gli stipendi bassissimi rispetto alla media dei Paesi sviluppati e i contratti da precari. Un assegnista che prende 1400 €/mese (netti, e per di più senza contributi pensione) li spende tutti per pagarsi l’affitto e mangiare. Se gli date il 50% in più quando è all’estero per 3 mesi, con quei 700 €/mese dovrebbe sopravvivere in USA? Scherziamo? Portate gli stipendi e la normativa italiana ai livelli medi occidentali e vedrete che non scappa più nessuno, anzi comincerà a venire gente in Italia a fare ricerca. (Fonte: commento di DBA all’articolo “Ricercatori, fughe estere e borse di studio” su Corsera-Blog 21-07-16)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

ASN. I VALORI SOGLIA DELL’ANVUR CRITICATI DAL CUN
Da un parere di 8 pagine, reso nell’adunanza plenaria del 26 luglio scorso e indirizzato al MIUR, emerge la certezza che il CUN non è affatto soddisfatto della proposta avanzata dall’ANVUR sui valori soglia, preordinata a “rivisitare” il procedimento per conseguire l’ASN, già oggetto di “diffusi contenziosi”. I valori soglia, secondo il CUN, così come ora rivisti, tendono a essere, per entrambe le fasce, troppo alti, rischiando perciò di escludere persone scientificamente valide, fino al punto di non ammettere alla procedura di abilitazione soggetti già abilitati nelle tornate precedenti. Il CUN non condivide nemmeno lo scorporo di taluni settori scientifico-disciplinari, effettuato sulla scorta di ragioni culturali e non su basi meramente statistiche, con ingiustificabili differenziazioni tra prima e seconda fascia. Sicché urge l’individuazione non ambigua e la conseguente validazione delle pubblicazioni rilevanti ai fini del calcolo degli indicatori. Il Consiglio si diffonde, poi, a esaminare le problematiche dei settori bibliometrici e non bibliometrici, chiedendo esplicite spiegazioni al MIUR attraverso un’auspicata nota di quest’ultimo, rilevando, in particolare, “un sostanziale innalzamento del valore soglia dell’indicatore relativo agli articoli in riviste di fascia A, e in parte anche dell’indicatore relativo alle pubblicazioni scientifiche, e un abbassamento dell’indicatore relativo alle monografie”. Il CUN segnala inoltre sui valori soglia modalità di calcolo in contrasto con quanto stabilito nel DM 120/2016 e osserva che l’abilitazione scientifica nazionale non è una procedura di preselezione di natura comparativa quale risulterebbe intrinsecamente essere qualora la determinazione dei valori soglia avvenisse sulla base di percentili. Al contrario, nel documento di accompagnamento dell’ANVUR  emerge che le scelte sono state effettuate quasi esclusivamente sulla base di analisi ed elaborazioni statistiche, producendo effetti paradossali: «Ad esempio, in diversi settori il numero dei lavori per anno necessario per superare la soglia fissata per l’abilitazione alla seconda fascia è maggiore di quello necessario per superare la soglia per l’abilitazione alla prima fascia (in alcuni casi avvicinandosi al doppio)». In conclusione, il CUN “esprime una forte preoccupazione” sulle proposte dell’ANVUR e ribadisce che i valori soglia devono essere fissati sulla base di pareri informati e motivati, fondati su principi di ragionevolezza e significatività e su criteri di adeguatezza. (Fonte: Roars 07-07-16; R. Tomei, Ilfoglietto.it  28-07-16)

ASN. DOCUMENTO DI RETE29APRILE SULLE SOGLIE PER L’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
Se il MIUR avesse anche solo l’intenzione di far svolgere all’ANVUR il ruolo che le compete si sarebbe dovuto occupare, prima di ogni altra considerazione, della pubblicazione sistematica dei dati riguardanti la ricerca, cioè l’insieme dei prodotti scientifici di tutti i ricercatori impegnati nelle istituzioni nazionali. La pubblicazione di questi dati, si ricorda, è prevista da una legge addirittura precedente la 240/2010, ed è al fondamento dei concetti stessi di valutazione e “merito” sui quali la legge è basata. Solo fornendo la possibilità a chiunque lo desideri di valutare le scelte dell’ANVUR rispetto all’intera distribuzione delle pubblicazioni, l’Agenzia potrà acquisire quella credibilità che errori materiali e scelte arbitrarie non le hanno mai permesso di acquisire. (Fonte: un passo del documento del Coordinamento della Rete29Aprile 22-07-16)

ASN 2.0. LA PROCEDURA APPARE UN GIGANTE DAI PIEDI DI ARGILLA
Alla fine l’ASN 2.0 è arrivata, carica degli stessi difetti di quella che l’aveva preceduta. Anzi, forse peggio. Infatti, i filtri quantitativi non solo sono stati mantenuti, ma irrigiditi, poiché essi sono ora vincolanti anche per i candidati. In più le cosiddette soglie, sostitutive delle mediane, ma alla fine dei percentili stabiliti ad libitum dall’Agenzia che infatti già conosce il numero dei commissari sorteggiabili per ogni S.C. (e dunque immaginiamo, i loro nomi), sono state calcolate in modo opaco ancora una volta, sembra di capire, sulla base dei dati “sporchi” contenuti nel loginmiur: dell’anagrafe della ricerca si sono infatti perse le tracce, così come del tentativo fallimentare di sostituirla con Orcid. Insomma, ancora una volta la procedura appare un gigante dai piedi di argilla, piena di falle (nei prossimi mesi avremo modo di renderne conto) e del tutto discutibile. Nel caldo agostano essa è piombata su di una semi-addormentata accademia italiana, le cui reazioni – per una volta vivaci – sono state bellamente ignorate, così come nel cestino è finito un pur argomentato e ragionevole parere CUN. (Fonte: A. Banfi e A. Bellavista, Roars 22-08-16)


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

CLASSIFICAZIONE DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE NELL’ACADEMIC RANKING OF WORLD UNIVERSITIES 2016 (ARWU)
Nell’Academic Ranking of World Universities 2016 (ARWU) la Sapienza è alla 163esima posizione con un punteggio totale di 19.23, unica università italiana nel range 151-200 insieme con l’università di Padova in 183esima posizione con un punteggio di 18.19. Seguono nel range 201-300 il Politecnico di Milano e le università di Bologna, Firenze, Statale di Milano e Pisa. Gli indicatori presi in esame dall’ARWU sono rigorosi e comprendono premi Nobel e riconoscimenti accademici ricevuti, qualità della ricerca (paper pubblicati e ricercatori più citati) e le performance rispetto al numero degli iscritti. In particolare sono 6 i parametri su cui si basa la classifica: premi internazionali di ex studenti (10%) o di ricercatori della singola Università (20%), le citazioni di pubblicazioni scientifiche in Thomson-Reuters (20%), le pubblicazioni «Nature & Science» (20%), le pubblicazioni tecnologico-sociali (20%). Questi parametri sono poi correlati con lo staff accademico, dando un ulteriore parametro di produttività pro-capite (10%). (Fonte: Milano online
15-08-16)

IL CENTRE FOR WORLD UNIVERSITY RANKING CLASSIFICA 1000 ATENEI
Il ranking del Centre for world university ranking, che elenca i primi mille atenei mondiali e comprende 48 atenei italiani, si avvale, per le proprie misurazioni, di otto indicatori: la qualità della pubblica istruzione; il tasso di occupazione degli ex studenti; la qualità della docenza; le pubblicazioni; l'influenza; il numero di citazioni sulle riviste; il "broad impact"; e, infine, il numero di brevetti internazionali depositati. Come l'anno scorso, il primato assoluto è stato conquistato da Harvard, mentre Stanford è al secondo posto. La migliore delle europee è Cambridge (quarto posto). Nella classifica italiana, dopo La Sapienza (al 90° posto), ci sono le università di Padova (157° posto nella classifica mondiale) e di Milano (171° posto), seguite dagli atenei di Bologna (198°), Torino (211°), Firenze (251°), Federico II di Napoli (254°), Pisa (285°), Genova (291°), Roma Tor Vergata (306°). (Fonte: M. B., Il Sole24Ore 11-07-16)

LE 10 MIGLIORI UNIVERSITÀ NEL MONDO SECONDO IL TIMES HIGHER EDUCATION
La classifica dei migliori atenei del mondo viene stilata ogni anno dal Times Higher Education per cui, di anno in anno, si possono vedere le ascese di nuove università o il peggioramento di altre, semplicemente confrontando le informazioni fornite dalle classifiche annuali.
Per il 2014-2015 in una classifica di 400 posizioni, di seguito riportiamo le prime dieci. Al primo posto e secondo posto vi sono due atenei americani, la Caltech (California Institute of Technology), e la celebre Università di Harvard. Al terzo posto la storica Università di Oxford, seguita dall’Università di Stanford e ancora, in posizione cinque, da un’altra Università storica, quella di Cambridge. Americane anche la sesta, settima ed ottava Università, rispettivamente il MIT (Massachusetts Institute of Technology), l’Università di Princeton e l’Università di California Berkeley. In pari posizione, al nono posto, seguono l’Imperial College di Londra e l’Università di Yale. (Fonte: finanza.com 09-05-16)

LE MIGLIORI UNIVERSITÀ EUROPEE 2016 SECONDO THE TIMES HIGHER EDUCATION  
La vetta della classifica delle migliori università d’Europa è quasi interamente occupata da atenei dell’UK. Sul podio, infatti, ci sono: l’Università di Oxford (al primo posto), quella di Cambridge (al secondo) e l’Imperial College London (al terzo posto). Il dominio britannico è interrotto dall’ETH Zurich, università svizzera che si conquista il quarto posto delle migliori università. Dopodiché, fino all’ottava posizione, ci sono ancora atenei britannici. Ma non se la cavano male anche Germania e Paesi Bassi che piazzano, rispettivamente, 4 e 3 università nelle prime 20 d’Europa. (Fonte)
   
AREA LETTERARIO-UMANISTICA ATENEI PRIVATI 2016. CLASSIFICA CENSIS
È l’Università San Raffaele di Milano a guidare la classifica Censis per l’area letterario - umanistica atenei privati 2016, la graduatoria che valuta la qualità dei corsi di laurea triennale afferenti alle classi di Beni Culturali (L-1), Discipline delle Arti Figurative, della Musica, dello Spettacolo e della Moda (L-3), Filosofia (L-5), Lettere (L-10), Storia (L-41), Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali (L-43). Il primo posto dell’ateneo meneghino è frutto dell’eccellente 110 che s’è meritata la progressione di carriera degli iscritti e del 95 assegnato ai rapporti internazionali, che hanno portato a una media di 102,5 punti. A far compagnia al San Raffaele sul podio della classifica Censis area letterario - umanistica atenei privati 2016 ci sono la LUMSA, in seconda posizione con un punteggio medio di 99 punti, e la Cattolica, terza con 91. Per l’università romana il fiore all’occhiello è l’internazionalizzazione (106/110) e il punto debole la progressione di carriera (92), mentre è esattamente il contrario per la concorrente milanese, che brilla quanto a regolarità negli studi dei propri iscritti, meritandosi il punteggio pieno (110), ma difetta in termini di mobilità internazionale in entrata e in uscita (72). (Fonte: universita.it 04-08-16)


DOCENTI

SELEZIONE DEI PROFESSORI UNIVERSITARI. LE ATTUALI CRITICITÀ
Paola Potestio, su IlSole24Ore del 27-06-16, si sofferma sull'evoluzione delle regole nella selezione della docenza universitaria. A proposito delle quali, afferma, nessun vero bilancio è stato fatto finora e i cui più recenti esiti continuano a destare perplessità. Dopo breve rassegna delle regole precedenti (ministri Berlinguer, Moratti, Mussi) arriva alle regole odierne, fissate dall’ampia riforma del sistema universitario del 2010 (ministro Gelmini). Si istituisce di nuovo un'abilitazione scientifica nazionale, ma senza vincoli sulla numerosità degli idonei. Si prevedono, quindi, concorsi banditi dalle università e soggetti a regolamenti predisposti dagli stessi atenei. La prima, laboriosa, tornata delle abilitazioni è stata bandita nel 2012 e i dichiarati idonei manterranno l’abilitazione per un periodo di sei anni (per alcuni settori la scadenza giunge al 2021).
II sistema adottato si espone a diversi rilievi critici, sostiene Potestio. Un'abilitazione senza alcun vincolo sul numero degli idonei mal si concilia con realistici piani di crescita. II concreto operare delle commissioni per le abilitazioni può creare ulteriori distorsioni. Per esempio, nell'area di economia, nella fascia dei professori ordinari il rapporto tra abilitati e domande nella prima tornata e stato di circa il 44% nel settore economia politica, ma di ben il 69% nel settore politica economica. E’ difficile pensare che questo divario sia dipeso da differenze nella qualità dei candidati; è più realistico supporre gradi diversi di selezione. II secondo rilievo riguarda l’utilità di un vaglio ripetuto: l’abilitazione prima e il concorso presso l’ateneo poi. Se la selezione della prima fase è adeguata, perché non lasciare agli atenei la facoltà di scegliere subito l'idoneo che si ritiene meglio corrisponda agli interessi della struttura?
Come non ipotizzare che iI concorso presso l'università, con una commissione composta da due commissari interni all'ateneo e tre membri esterni nominati dallo stesso ateneo, abbia ottime chances di raggiungere questo medesimo risultato? Perché impegnare tempo e risorse per ciò, cosa che la predisposizione e l’attuazione del concorso richiede? Se, d'altro canto, la selezione della prima fase ha avuto debolezze, la natura in larga misura locale del concorso può non garantire che la scelta fatta dall'università compensi un'eventuale generosità della prima selezione.
Dati interessanti emergono dal Rapporto ANVUR 2016 sullo stato dell'università: il 50% dei bandi, a seguito della prima tornata di abilitazione, sono fatti con accesso riservato al personale interno dell'università e il 41% con accesso riservato a tutti, mentre accesso riservato a esterni e chiamate dirette rappresentano percentuali piccolissime dei bandi fatti. L'ambiguità dei bandi riservati ai soli interni - tra esigenze di protezione di competenze molto specifiche ed esigenze molto generiche di protezione degli interni - contribuisce a chiarire una certa fragilità dell'attuale insieme di regole. Certo, il possibile scenario di idonei deboli protetti da bandi per soli interni e idonei forti messi in competizione da bandi aperti potrebbe esser fonte di pesanti distorsioni. Una considerazione conclusiva. Il richiamato susseguirsi delle regole è, in sostanza, girato intorno al dilemma tra autonomia degli atenei nella scelta dei docenti e garanzie di una selezione indipendente. II dilemma forse non ha soluzione. Prescindendo comunque da ciò, i due livelli di giudizio con cui lo schema attuale tenta di sciogliere il dilemma potrebbero essere utilmente corretti, tentando di rendere più uniforme e limitato il primo livello e semplificando od opportunamente vincolando il secondo. (Fonte: P. Potestio, IlSole24Ore Commenti 27-06-16)

DOCENTI. MAGGIORE FLESSIBILITÀ PER ASSUMERLI
La miniriforma del 2014 (abilitazione scientifica nazionale riveduta e corretta) appare nel complesso un'occasione mancata, che ha bloccato il sistema per oltre due anni togliendo all'ASN il necessario carattere di opportunità annuale "inderogabile" previsto dalla legge istitutiva. Soprattutto, le modifiche di dettaglio hanno impedito di ragionare a largo respiro sul futuro dell'abilitazione, concepita come reazione alle storpiature dei concorsi locali a idoneità multipla istituiti nel 1998 e soprattutto come presupposto indispensabile del piano straordinario per la promozione ad associato di un ampio numero dei ricercatori a tempo indeterminato. Peccato che del piano, dopo la prima tranche, si siano dimenticati tre governi consecutivi, dimezzandone quindi la portata e lasciando irrisolto il problema. L'abilitazione, invece, resta, anche se in prospettiva sarebbe meglio che lasciasse il posto a scelte responsabili da parte dei singoli atenei, magari proprio sulla base di alcuni criteri di giudizio concordati a livello nazionale. Rispetto a qualche anno fa esistono oggi meccanismi di valutazione che dovrebbero indurre e spesso, purtroppo non sempre, inducono le università a scegliere o promuovere i propri docenti attribuendo il giusto peso alla ricerca scientifica: una parte cospicua dei fondi statali è attribuita sulla base della qualità della ricerca, e un parametro misura specificamente il contributo dei neoassunti e neopromossi. I tempi sono maturi, insomma, per avviare il sistema italiano verso una maggiore flessibilità e snellezza. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 24-08-16)

PIANO STRAORDINARIO 2016 PER LA CHIAMATA DI PROFESSORI DI PRIMA FASCIA
Con la pubblicazione, dopo la registrazione da parte della Corte dei conti, del decreto MIUR-MEF n. 242 dell’8 aprile 2016 (“Piano straordinario 2016 per la chiamata di professori di prima fascia” (http://tinyurl.com/jn8cbsu)), parte ufficialmente la procedura per il reclutamento straordinario di professori di I fascia, come previsto dal comma 206 della legge n. 208/2015, che ha disposto un incremento del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (Ffo) di 6 milioni di euro nel 2016 e di 10 milioni annui dal 2017. Il predetto decreto stabilisce che le procedure di reclutamento, da effettuarsi non oltre il 31 dicembre 2016, devono avvenire nel rispetto degli articoli 18, comma 1, e 29, comma 4, della legge 240/2010, mentre il riparto delle risorse assegnate ai singoli atenei, risultante dalla tabella allegata al suddetto decreto, è stato effettuato sulla base dei “Punti Organico” disponibili, che tengono conto della numerosità dei soggetti in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale per la I fascia ovvero dell'idoneità ai sensi della legge 3 luglio 1998, n. 210. (Fonte: F. Scotti, ilfoglietto.it 23-06-16)

VALUTAZIONE DEI DOCENTI DA PARTE DEGLI STUDENTI
Agli studenti universitari italiani è richiesto da qualche anno di compilare dei questionari anonimi sulla valutazione del corso (Opinioni degli Studenti, OpiS). La Facoltà di scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’università “Sapienza” di Roma ha valutato la propria didattica in un modo innovativo. Piuttosto che cercare “l’eccellenza”, in altre parole quei docenti davvero bravi, ha cercato invece di individuare la “pessimenza”, cioè i corsi che presentassero delle criticità. L’articolo che descrive questa valutazione è stato pubblicato da Gianluca Sbardella, Francesco Sebastianelli, Carlo Mariani, Vincenzo Nesi e Andrea Pelissetto sulla rivista scientifica Roars Transactions. Lo scopo principale non è stato “puniamo i docenti cattivi”, ma piuttosto di capire perché i loro corsi fossero giudicati negativamente. Si potrebbe pensare che i docenti con i punteggi più bassi sono semplicemente quelli più severi con i voti. In realtà, gli studenti sono molto più obiettivi di quello che si possa credere, e sono interessati alla propria formazione. Rispettano molto di più un docente severo che svolga il proprio lavoro con passione piuttosto che uno di “manica larga” che non trasmetta nulla. Se la riposta alla domanda riguardante le presenze in aula del docente è “decisamente no”, questo evidenzia una criticità che deve essere affrontata con la persona, invece se gli studenti sono insoddisfatti dall’aula (es. troppo piccola) questa è una questione organizzativa. La permanenza da parte di un docente nella fascia problematica per più anni non può essere ignorata. Quando si parla dell’università, molti sottolineano aspetti negativi specifici che sicuramente esistono, ma che in pratica riguardano solo una piccola parte dei docenti. Le condotte errate di alcuni ricadono però su tutta l’istituzione, se non altro perché l’università pubblica italiana ha pochi strumenti per affrontarle e ancora di meno per riconoscerli. Rendere pubblica una valutazione metodologicamente solida è un valido deterrente contro i “comportamenti sbagliati”. Affermano gli autori dello studio: “Senza attribuire valore sacrale a tali suggerimenti, bisogna affermare il dovere di rispondere con puntualità alle critiche, analizzandole con serietà”. Le schede OpiS sono diffuse in tutta Italia: perché non utilizzarle per una valutazione seria e basata su uno studio scientifico, piuttosto che lanciarsi in pseudo valutazioni tipo alcune della ricerca? (Fonte: M. Bella, Roars e FQ 29-06-16)

INAMISSIBILITÀ DEI DOCENTI A CONTRATTO AI CONCORSI UNIVERSITARI RISERVATI AGLI “ESTERNI”
Il Consiglio di Stato, con la sentenza della Sesta Sezione del 12 agosto 2016, n. 3626, ha posto fine alla delicata questione dell’ammissibilità, ai concorsi per professore universitario riservati agli esterni, dei cd. contrattisti. Il problema riguarda la riserva di un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo che la Legge Gelmini riserva «alla chiamata di coloro che nell'ultimo triennio non hanno prestato servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca ovvero iscritti a corsi universitari nell'università stessa» (art. 18, c. 4 della l. 30 dicembre 2010, n. 240). (Fonte: M. Gnes, Quotidiano giuridico 24-08-16)


E-LEARNING

UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Nel 2004 nasceva la prima, l’università telematica Guglielmo Marconi; oggi sono arrivate a 11. Quali sono le lauree offerte dalle università telematiche? Un terzo è composto da lauree economiche, statistiche e giuridiche; poi vengono storia, filosofia, psicologia; poi ancora scienze politiche e sociologia, infine le ingegnerie, a conferma della forte connotazione professionale di chi si iscrive. I corsi attivi sono 72, di cui 41 per le lauree triennali e 31 lauree magistrali. Ogni anno vi sono mediamente 5 mila matricole. Gli studi e le lezioni sono on line, mentre gli esami avvengono in presenza di una commissione esaminatrice. Il fenomeno delle università telematiche potrebbe crescere ulteriormente, per dare un contributo alla guerra delle competenze, che vede il nostro paese ai livelli più bassi, sia per numero complessivo di laureati (26% contro la media europea del 40%) sia per numero di adulti coinvolti in attività di formazione continua (poco più del 7% contro una media europea dell'11%). Sul fronte normativo le università telematiche attendono da una decina d'anni l'emanazione di un decreto attuativo che ne consolidi il regolamento, un Dpcm anziché una serie di decreti a vista. Il valore della laurea è lo stesso di quello delle altre università; i requisiti di accreditamento sono addirittura più rigidi, per la presenza di piattaforme tecnologiche; la partecipazione di docenti di ruolo è raddoppiata negli ultimi quattro anni (da 106 a 199), mentre la quota di ricercatori e straordinari a tempo determinato è triplicata (da 188 a 585). (Fonte: W. P., La Stampa 25-07-16)

L'UTILIZZO DEGLI E-BOOK PER LO STUDIO SCIENTIFICO NELLE UNIVERSITÀ
Un report sull'utilizzo degli e-book per lo studio scientifico nelle università è stato pubblicato a metà giugno 2016 da Athena Università, la banca dati dei testi adottati negli atenei italiani. I dati, riferiti all'anno accademico 2015/2016 evidenziano come le adozioni di libri di testo in formato digitale abbiano sfiorato il 50% nell'area umanistica e linguistica (35,8% solo a Lettere e Filosofia). L'area di Ingegneria e delle Scienze si è fermata al 30%, mentre il settore giuridico-economico non ha superato il 25%. Il primo editore italiano di libri di testo in ebook è Laterza (157 titoli), seguito da Mondadori (128) e Carocci (78). L'Alma Mater Studiorum di Bologna è l'università che adotta il maggior numero di testi in formato digitale (13%), seguita dalla Statale di Milano e dall'Università di Padova. Gli studi scientifici, per il momento, non sono a favore dell'apprendimento digitale. In base a un progetto di ricerca sviluppato nel 2014 da Anne Mangen (University of Stavanger) e Jean Luc Velay (Aix-Marseille Université), l'assimilazione di un testo letto su ebook sarebbe decisamente più bassa rispetto alla lettura su carta, perché il libro tradizionale permetterebbe al lettore di toccare con mano l'avanzamento nella lettura e questo potrebbe contribuire al consolidamento di ciò che ha letto (Cognitive implications of new media, in "Johns Hopkins Guide to Digital Media", pp. 72-77). (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 24-06-16)


FINANZIAMENTI

FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO) 2016.  AUMENTANO LE COMPONENTI PREMIALI
Il decreto FFO 2016 prosegue il percorso tracciato da tempo dalla normativa sui finanziamenti universitari: di anno in anno il meccanismo tradizionale, in cui l’assegnazione di fondi è basata su criteri di spesa storica (si replica la somma attribuita in precedenza), cede il passo sempre più a criteri premiali, destinati a incidere su quote rilevantissime del fondo e, in prospettiva, a diventare la regola principe per ogni assegnazione.
L’importo complessivo è praticamente invariato rispetto al 2015, ammontando a 6 miliardi 919 milioni. Si conferma invece l’aumento delle componenti premiali del fondo. Quest’anno la voce principale della quota base (la parte tradizionalmente “non meritocratica”) scende a 4 miliardi 579 milioni, con un decremento di oltre 227 milioni rispetto al 2015 (quasi 5 punti percentuali). Di questa somma, sale al 28% (+3%) la parte assegnata in base al “costo standard per studente in corso”, il criterio adottato a partire dal 2014 che considera i costi sostenuti da ogni ateneo in proporzione all’offerta formativa e agli studenti in regola con la durata del proprio corso. Un parametro destinato a incidere sempre di più nell’attribuzione della quota base. Ritocco all’ingiù, invece, per la somma destinata alle istituzioni a ordinamento speciale (gli atenei specializzati in attività di ricerca) e alle università per stranieri: si passa dai 102,5 milioni del 2015 agli attuali 99,8.
In aumento consistente la quota premiale: 1 miliardo 605 milioni, pari a oltre il 23% del totale (l’anno scorso era il 20%, pari a 1 miliardo 385 milioni). Stavolta però, come si accennava, il decreto non entra nel merito della suddivisione del “premio”, che verrà definita con un atto successivo. Viene comunque stabilito che ogni università non potrà vedersi ridotto il finanziamento complessivo (quota base più premiale) di oltre il 2,25% rispetto al 2015. Tra le altre voci importanti, i fondi per il reclutamento: per la chiamata di professori di seconda fascia sono stanziati 171 milioni 748mila euro; per i ricercatori di tipo “b” il totale degli stanziamenti è di 52 milioni. Il fondo per le borse post lauream sale a 135 milioni 435mila euro: di questi, un massimo del 10% potrà essere destinato ad assegni di ricerca. Anche in questo caso l’assegnazione è di tipo premiale. Il 40% del fondo verrà distribuito tra gli atenei in base alla qualità della ricerca dei docenti del corso di dottorato, secondo i criteri della Vqr. Per l’utilizzo dei fondi per le borse post lauream il decreto precisa che almeno il 60% dell’importo dovrà essere utilizzato da ogni ateneo in programmi per dottorati innovativi, quelli che nell’ambito del Programma nazionale della ricerca 2015/2017 sono destinati a sviluppare la collaborazione con aziende e partner esterni alle università. 59 milioni 200mila euro, infine, sono previsti per il sostegno agli studenti (tutorato, attività integrative, laboratori, attività scientifiche) e per favorirne la mobilità (i dottorati innovativi internazionali assorbiranno almeno il 10% di questa voce). (Fonte: M. Periti, IlBo 18-07-16)

FINANZIAMENTI PUBBLICI ALL’UNIVERSITÀ RIDOTTI DEL 22,5% DURANTE LA CRISI
Dal 2004 ci sono circa 66mila matricole in meno. Questo significa che, in media, un diplomato su due sceglie di non proseguire gli studi. Nel Sud meno del 20% dei giovani consegue il diploma di laurea ed è proprio qui che si registra maggiormente il crollo delle iscrizioni all’università. Tra l’altro, i giovani che decidono di continuare a studiare sempre più spesso scelgono di farlo nelle università del Centro e del Nord. La verità è che l’istruzione è stata probabilmente uno dei primi ambiti a risentire in modo evidente della crisi economica globale esplosa dal 2008. Da lì, infatti, tutte le personalità note nel mondo dell’economia, persino i premi Nobel, anno dopo anno hanno indicato come possibile via per la ripresa quella dell’investimento nell’istruzione. E se più o meno tutti i paesi d’Europa hanno cercato di mettere in pratica il suggerimento, l’Italia è riuscita ad andare anche questa volta, inspiegabilmente, contro tendenza: siamo gli unici in tutta Europa ad aver tagliato le risorse durante la crisi, riducendo del 22,5% il finanziamento pubblico alle università. (G. Mirimich, Tecnica della Scuola 20-06-16)

PARERE DEL CUN SULL’FFO 2016
Il Consiglio Universitario Nazionale sullo «Schema di decreto recante i criteri per il riparto del Fondo di finanziamento ordinario delle Università per l’anno 2016» ha espresso in data 25-05-16 parere complessivamente favorevole, a condizione che si attenui l’effetto dell’applicazione del modello del costo standard, che siano minimizzati i margini di variazione nelle assegnazioni del FFO ai singoli Atenei e che sia stabilita una data certa per la ripartizione della quota premiale e perequativa.

FINANZIAMENTI PUBBLICI ALL’ISTRUZIONE SUPERIORE NELLA UE. L’ITALIA IN CODA  CON LO 0,3% DEL PIL
L'analisi Eurostat sulla spesa governativa divisa per funzioni secondo la Classification of the Functions of Government (COFOG) evidenzia mediamente una spesa europea complessiva per l'istruzione pari al 4,9% del PIL (invariata rispetto al 5% del 2006), di cui l'1,5% destinato alla scuola dell'infanzia e alla primaria, l'1,9% alla scuola secondaria e lo 0,8% all'istruzione superiore. Nel complesso un bilancio praticamente rigido, in gran parte destinato alle spese fisse e obbligatorie, atteso che mediamente il 60% è destinato alla retribuzione dello staff e dei docenti, il 5% alle prestazioni sociali, il 5% ai trasferimenti alle istituzioni private e il 7% alle strutture edilizie.
I Paesi più virtuosi sono Islanda (7,7% del PIL), Danimarca (7,2%), Finlandia (6,4%) e Belgio (6,3%), che proprio nei maggiori finanziamenti alla formazione hanno visto un tunnel di uscita dalle difficoltà contingenti. All'opposto le percentuali più basse sono in Italia (4,1%), che precede solo Romania, Spagna, Bulgaria e Slovacchia (3% PIL) e totalizza la peggiore posizione riferita all'incidenza percentuale della spesa per l'istruzione sull'intero bilancio (7,9% rispetto a oltre il 15% in Lettonia, Lituania e Islanda). Se l'Italia risulta in linea con la media nell'istruzione primaria, è in coda per la spesa pubblica per l'istruzione superiore (0,3% del PIL), preceduta da Lussemburgo (0,4%), Regno Unito (0,5%) e Romania (0,6%) in un’ideale classifica capeggiata da Finlandia (1,9%), Danimarca (1,7%) e Islanda (1,6%). Non va meglio per i finanziamenti alla cultura dove l'Italia si pone al penultimo posto (0,7% del PIL rispetto all’1% media UE), precedendo solo la Grecia. (Fonte: L. Moscarelli, rivistauniversitas 14-06-16)

I RETTORI: PIÙ FONDI, MENO BUROCRAZIA, LAUREE PROFESSIONALIZZANTI
A lanciare il grido d’allarme sul decadimento del sistema universitario è il presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori), Gaetano Manfredi. Lo fa da Udine che, il 2 luglio, accoglie 50 rettori provenienti da altrettanti atenei italiani. Da Udine, la città della conoscenza, i rettori italiani dettano la linea per la prossima riforma universitaria che, come sottolinea il presidente della CRUI, non potrà essere fatta a costo zero. Il Governo deve investire sull’università, il vero motore di sviluppo del Paese. «In un momento in cui il ruolo degli atenei è diventato cruciale per affrontare il post crisi, è indispensabile diffondere le competenze tra i giovani». Partirà da questo dato di fatto la riflessione dei 50 rettori italiani che da tempo discutono con il sistema produttivo per capire in quale direzione devono andare. «Critichiamo la troppa burocrazia - anticipa Manfredi - e chiediamo più fondi per il diritto allo studio e le lauree professionalizzanti che devono accompagnare i giovani verso una riconversione rapida». Ma non è ancora tutto perché in questo momento il tema più urgente da affrontare è quello della sanità. «La sanità universitaria - ricorda Manfredi - è una punta di diamante e va opportunamente sostenuta sia sul fronte delle terapie avanzate, sia su quello della conoscenza». È un patrimonio che rischiamo di perdere. Il motivo è presto detto: «Se chiediamo ai nostri docenti di fare la stessa attività degli ospedalieri saranno ospedalieri. Questo non significa che devono astenersi dall’assistenza, ma i cittadini devono sapere che, in questo caso, la qualità del servizio è destinata a calare. La ricerca in sanità è ottima, ma corriamo il rischio di perderla». (Fonte: G. Pellizzari, Messaggero Veneto 02-07-16)

IL GOVERNO SCONFESSA UN IMPEGNO DEL PD APPROVATO DAL PARLAMENTO SU AGGIORNAMENTO COSTO STANDARD DEL FFO
Soltanto lo scorso 29 giugno la Camera ha approvato a schiacciante maggioranza la mozione del Pd con la quale si impegnava il governo “a valutare la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente”. Con il decreto del 6 luglio sui Criteri di ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per l’anno 2016, invece, non solo non è stata prevista alcuna ridefinizione del computo del costo standard per la formazione dello studente in corso, allo scopo di fornire un sostegno agli atenei in funzione delle diverse esigenze territoriali, ma, addirittura, è stato stabilito un aumento del peso nel riparto (3%), pari al 28% della quota base di 4.725.milioni di euro. (Fonte 10-08-16)


LAUREE. DIPLOMI. FORMAZIONE POST LAUREA. OCCUPAZIONE

IL VALORE DELLE LAUREE IN BASE A UNA ELABORAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI MILANO SUI DATI EXCELSIOR
Una laurea, anche se breve, resta una laurea e nella caccia a quella che poi sarà la prima occupazione della vita, conta. La tendenza è confermata nei dati nelle previsioni occupazionali 2015. Complessivamente, infatti, oltre un quarto (28%) delle assunzioni previste dalle imprese milanesi riguardano laureati, oltre 15mila su 54mila. Non poco. Anche se in un caso su sette non è stato facile trovare la figura professionale richiesta con difficoltà a reperire laureati in Statistica (difficili due assunzioni su tre) seguiti dagli ingegneri elettronici e dell'informazione (33,5%) e i laureati in Medicina e Odontoiatria (28%). C'è tutto un fiorire di corsi e di specializzazioni ma le lauree che danno ancora maggior sicurezza di trovar lavoro restano ancora quelle «classiche» come Economia e commercio ed Ingegneria che a Milano sono le più richieste. Economia «vale» nel 35% dei casi, Ingegneria elettronica e dell'informazione nel 14% dei casi, Ingegneria industriale (8%) e altri indirizzi di ingegneria (6%), lauree sanitarie e paramediche (6%). La situazione emerge da un'elaborazione della Camera di commercio di Milano sui dati Excelsior - sistema informativo permanente sull’occupazione e la formazione realizzato dalle Camere di Commercio, con il coordinamento di Unioncamere nazionale e il sostegno del Ministero del Lavoro e dell'Unione Europea - e relativi alle previsioni di assunzioni delle imprese e Milano e provincia nel 2015. (Fonte: A. Rizzo, Il Giornale Milano 10-07-16)

SUL RIORDINO DEGLI STUDI GIURIDICI
Sul Giornale di Diritto Amministrativo 2/2016 è apparso lo scritto di Carla Barbati “Il riordino degli studi giuridici” di cui si riproduce il seguente passo: “In Italia si dibatte della configurazione assegnata dal DM 25 novembre 2005 alla classe di laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza e della scelta, in esso accolta, di delineare un percorso atto ad assicurare conoscenze quanto più omogenee in tutti i corsi. Un esame limitato dal confronto con un disegno caratterizzato da una rigidità che non trova corrispondenze in altre classi di laurea. Soprattutto, condizionato dal presupposto sul quale si basa, quello di una formazione giuridica risultante dalla  somma delle conoscenze espresse dalle diverse branche del diritto, identificate con ventuno settori scientifico-disciplinari. Le riflessioni che si sviluppano sono in tal modo assorbite da considerazioni orientate, quasi a farne il proprio centro, dalla fungibilità o per converso dall’indispensabilità dei saperi in essi racchiusi, declinata anche nei termini quantitativi del numero di crediti normativamente garantiti a ciascun SSD. Sullo sfondo resta il disegno d’insieme dell’istruzione superiore in area giuridica, entro il quale è in cerca di nuova definizione anche il terzo ciclo della formazione, consegnato a scuole di specializzazione il cui debole rendimento è uno dei tanti indicatori di un rapporto con i contesti che merita di essere ripensato”. (Fonte: Roars 26-06-16)

L’ACCESSO AI CORSI DI MEDICINA
Dal MIUR fanno sapere che in questi due anni sono stati aperti tavoli con le università per discutere di possibili modifiche al modello di accesso. Dichiarazioni che suonano come una mezza ritirata rispetto all'ipotesi ventilata più volte dalla ministra Giannini di introdurre anche in Italia un “sistema alla francese” che prevede iI libero accesso alla facoltà di medicina per il primo anno, ma con un esame di sbarramento al secondo. Un tema che ha sollevato non pochi dubbi, ad esempio tra i rettori preoccupati dagli effetti di un'iscrizione di massa a Medicina. Lo scorso anno gli aspiranti camici bianchi che hanno affrontato II test sono stati oltre 60mila per circa 9.500 posti. Cosa accadrebbe se potessero immatricolarsi tutti? Spiega Eugenio Gaudio, rettore della Sapienza: "Per realizzare il c.d. sistema francese (peraltro molto autorevolmente criticato in patria. Nota di PSM) ci vuole però un investimento importante. Avremmo, infatti, bisogno di un numero sette volte superiore a quello attuale sul fronte di professori e aule". Su un punto sono comunque tutti d'accordo: la necessità di migliorare l'attuale modalità di accesso. La Conferenza dei presidi di Medicina propone, ad esempio, di introdurre un test a risposta multipla che contempli anche l'aspetto psicoattitudinale del candidato, insieme alla valutazione del curriculum di scuola superiore. (Fonte: S. Di Palma, Repubblica A&F 11-07-16)

PROGETTO LAUREE PROFESSIONALIZZANTI
Un asso nella manica degli atenei italiani - per superare i ritardi del nostro Paese nel collegamento tra formazione e mondo del lavoro - è la messa a punto di percorsi di primo livello più professionalizzanti, dove finora solo per quelli di area sanitaria ci sono buoni risultati sul mercato del lavoro (il 62% ha un'occupazione a un anno dal titolo triennale, contro una media generale del 26,9/%). Il cantiere è aperto sul «Progetto lauree professionalizzanti» ideato dalla Conferenza dei rettori, che dal 2017 dovrebbe vedere il debutto di corsi capaci di rispondere a quell’esigenza di tecnici che richiede il mercato e che spesso non si trovano a causa di un sistema formativo non adeguato. Secondo il Cedefop, istituto di ricerca economica della Commissione Ue, si tratta di due milioni di opportunità occupazionali per tecnici intermedi nei prossimi 10 anni. Un'iniziativa che potrebbe curare anche un altro grande male di cui soffre il mercato del lavoro italiano, quello della sovraistruzione: il plotone di "overeducated" e "mismatched" - i troppo istruiti o con un curriculum non corrispondente al lavoro svolto - negli anni della crisi si è allargato sempre più con 300mila laureati tra 25 e 34 anni che hanno un titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto per svolgere il lavoro attuale (in crescita di circa il 4% rispetto al 2008). (Fonte: F. Barbieri, IlSole24Ore 20-06-16)

LANCIARE LAUREE PROFESSIONALIZZANTI
I dati di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati ci dicono che il 55% dei laureati triennali prosegue con la laurea magistrale, ritenuta essenziale per avere maggiori possibilità occupazionali e, a conferma dell'irrisolto e fondamentale problema del diritto allo studio, non va sottaciuto il fatto che a proseguire col biennio sono i giovani che provengono da ambienti familiari avvantaggiati. Dei restanti laureati di primo livello (45%), a un anno dalla laurea sono occupati il 67%: di questi, il  42% ha una stabilità contrattuale, il 50% utilizza le competenze specifiche e coerenti con il titolo di studio e ha un guadagno netto di 1.079 euro mensili. Che il Paese non abbia creato adeguatamente lavoro, è evidente; che le lauree di primo livello non abbiano pienamente raggiunto lo scopo è altrettanto evidente: e qui, l'ambiguità della legge si è coniugata con alcune cattive pratiche accademiche. Allarma poi il confronto con gli altri Paesi europei, Germania in testa, dove è vistoso, oltre che vincente, il modello delle Fachhocschulen: 880mila iscritti a fronte di 1,6 milioni di studenti delle università; in Italia, invece, contiamo 1,7 milioni di universitari a fronte di soli 4.500 studenti degli Istituti tecnici superiori (Its). E’ evidente che scontiamo un duplice deficit e ritardo: il mancato collegamento tra formazione e mondo del lavoro, e la carenza di titoli di primo livello davvero professionalizzanti. Tra questi, infatti, si vede l'affermazione decisa ma solitaria delle professioni sanitarie, seguite, ma con modeste percentuali di impiego, dalle lauree in scienze e tecnologie informatiche, scienze del turismo, disegno industriale, giuristi di impresa. Benvenuta e meritoria, pertanto, l'iniziativa «Progetto Lauree professionalizzanti» messa recentemente in campo dalla Conferenza dei rettori che prevede - in linea con gli esempi e i modelli europei, soprattutto tedesco e francese - lauree professionalizzanti che contemplino: «canali paralleli o differenziati rispetto al canale accademico tradizionale; 2. un rapporto privilegiato con il mondo del lavoro e degli enti territoriali; 3. l'apprendimento articolato tra aula, laboratorio e pratica». (Fonte: I. Dionigi, IlSole24Ore 04-07-16)

LAUREA PROFESSIONALIZZANTE PER PERITI INDUSTRIALI
La sperimentazione di una laurea triennale professionalizzante per periti industriali inizierà nel 2017 con alcuni progetti pilota, solo in alcuni atenei e per poche classi di laurea (a partire dalla L9 - ingegneria industriale). L’obiettivo è creare un canale parallelo alla laurea triennale attuale che possa formare operativamente gli iscritti per la futura professione. La laurea professionalizzante per perito industriale mira anche a creare nuove opportunità di lavoro per i professionisti tecnici dei prossimi anni. Secondo un dossier elaborato dal Centro studi Opificium-Cnpi nel prossimo decennio ci saranno più di 2 milioni di opportunità occupazionali per profili tecnici di vario tipo, ma la cui quota più significativa sarà nel campo dell’ingegneria. Le lauree triennali in ingegneria però, spiega il Dossier Opificium-Cnpi, sono inadeguate a soddisfare la domanda. A più di 15 anni dalla sua introduzione, continuano, infatti, ad essere identificate come il primo step del percorso quinquennale, venendo meno all’obiettivo iniziale di creare un percorso universitario professionalizzante. E sempre più ingegneri con laurea triennale decidono di proseguire gli studi: erano l'80,8% nel 2004 e sono l’87,5% nel 2014. (Fonte 06-07-16)

ASCESA DEL DOUBLE DEGREE
Dopo il calo di matricole, la penuria di risorse, l'eccessivo proliferare di corsi troppo di moda ma con poche chance occupazionali, le università italiane provano a invertire la rotta mettendo in campo per il prossimo anno accademico oltre 4.600 corsi, tra primo livello (più di 2.250), secondo livello (circa 2.050) e ciclo unico (318). Nel ventaglio di proposte, che in valore assoluto non si discostano di molto dagli anni accademici precedenti, a spiccare è l'ascesa dei double degree, percorsi di studio che permettono di laurearsi in Italia, ma anche in un ateneo straniero. Qualche esempio? Lingue e civiltà orientali a Roma e a Pechino o Banking and finance a Milano e negli States: il tutto con un unico corso di studi. La possibilità viene offerta da 56 atenei (oltre la metà del totale), il 25% in più rispetto a cinque anni fa. E i corsi di questo genere sono 549, aumentati di oltre l'80% rispetto al 2012/13. I vantaggi ripagano l'investimento fatto: le esperienze di studio all'estero svolte durante gli studi sono carte vincenti per entrare nel mondo del lavoro. Secondo AlmaLaurea, a un anno dal titolo le possibilità di trovare lavoro sono più alte del 10% rispetto ai coetanei rimasti a studiare in patria, grazie a diversi jolly: potenziamento delle lingue straniere, varietà di studi, network di contatti costruito durante i soggiorni internazionali. Possibilità che salgono ulteriormente se viene svolto uno stage curricolare (+14% di chance in più). (Fonte: F. Barbieri, IlSole24Ore 20-06-16)

PERCORSI DI STUDIO PIÙ PROFESSIONALIZZANTI?
Sono in molti a chiedere a scuola e università percorsi di studio più professionalizzanti. Ma il progressivo accorciamento del ciclo di vita di tecnologie e conoscenza rende presto obsolete competenze così costruite. La questione di fondo è che con il progressivo accorciamento del ciclo di vita delle tecnologie e della conoscenza, il tasso di obsolescenza delle competenze professionalizzanti è notevolmente aumentato e crescerà in futuro.
Contenuti professionalizzanti nell'università? Scusate ma non è già così? Uno specializzato in medicina non può fare il medico? Un ingegnere informatico o delle tlc non può lavorare in una società che si occupa di tlc o software? Non hanno le competenze adeguate, non sono in grado di apprendere in poco tempo ciò di cui l'azienda in cui lavorano detiene il know-how, magari in forma esclusiva? Forse bisognerebbe specificare di cosa si sta parlando. La triennalizzazione doveva servire a questa presunta necessità di professionalizzazione per i bisogni delle imprese. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: un fallimento. Qualcuno ricorda che la percentuale di manager italiani con la terza media è superiore a quella dei laureati? Oppure che il 20% delle imprese produce l'80% del fatturato, o meglio che lo 0,3% delle imprese quasi il 30%? Forse le nano imprese di questo paese hanno deciso di competere sui prodotti a basso VA, quindi con lavoro unskilled, e dei laureati non hanno bisogno. Che sia una scelta suicida e senza futuro è chiaro, meno chiaro è a cosa dovrebbe adeguarsi l'università. (Fonte: F. Ferrante e commento di “marcello”, lavoce.info 24-06-16)

RAPPORTO ISTAT. CONFERMATO IL RUOLO DELL'ISTRUZIONE SUPERIORE QUALE FATTORE PROTETTIVO DALLA CRISI OCCUPAZIONALE
Il 24° Rapporto ISTAT 2016 analizza e misura le trasformazioni sociali del Paese, offrendone una chiave di lettura attraverso le cinque generazioni che si sono succedute dal 1926 ai giorni nostri. L'istruzione e la partecipazione al mercato del lavoro sono state caratterizzate negli anni dai profondi mutamenti seguiti alla maggiore scolarizzazione e all'accrescimento delle competenze, facendo in modo che le generazioni più giovani fossero sistematicamente più istruite di quelle più anziane. Il vantaggio occupazionale, conquistato dalle generazioni più anziane con l'investimento in istruzione, non coinvolge quelle più giovani. La generazione dei millennials, entrata nella vita adulta a partire dal 2000 in concomitanza con il periodo economicamente più difficile, è quella che sta pagando più di ogni altra le conseguenze più dolorose: nel 2015 il 70,1% dei giovani in età 25/29 anni e il 54,7% delle donne nella stessa fascia di età vive ancora in famiglia e, nonostante l'aumento diffuso della scolarizzazione e l'allungamento dei tempi formativi, stenta a trovare un'occupazione, al punto che cresce la quota (42,6%) di coloro che sono decisi a trasferirsi all'estero. Per il 2015 l'ISTAT ha evidenziato un'attenuazione della forte caduta dell'occupazione giovanile, mentre viene confermato ancora una volta il ruolo della formazione - in particolare dell'istruzione superiore - quale fattore protettivo dalla crisi occupazionale (calo di occupabilità del 2,2% per i  laureati tra il 2008 e il 2015, rispetto al 3,6% che ha interessato i possessori della licenza media). A tre anni dal conseguimento del titolo, il 72,0% dei laureati è occupato e oltre la metà (53,2%) ha trovato un'occupazione caratterizzata da un contratto standard, altamente qualificata e di durata superiore agli otto mesi. L'ISTAT non manca di individuare rischi per il futuro. Un esercizio statistico riferito al decennio 2015/2025 evidenzia come, in assenza di idonei provvedimenti, le dinamiche demografiche siano destinate ad un miglioramento piuttosto modesto del grado di utilizzo dell'offerta di lavoro. (Fonte: M. L. Marino, rivistauniversitas 14-06-16)

QUANTO VALE IL TITOLO DI STUDIO UNIVERSITARIO NEL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO
JobValue, la società di consulenza manageriale specializzata nei sistemi di risorse umane, ha pubblicato il rapporto "Quanto vale il titolo di studio universitario nel mercato del lavoro italiano", nel settore di analisi JobPricing sul mercato delle retribuzioni italiane. La scelta tra università statale o non statale favorisce quest'ultima tipologia. Aver frequentato un'università non statale fa ottenere un ritorno economico superiore del 17% rispetto a chi ha frequentato un'università statale e del 4% rispetto a chi ha studiato in un politecnico. Aver frequentato un'università del Nord significa guadagnare mediamente il 13% in più rispetto a chi ha studiato al Sud. Milano e Roma si contendono le università da frequentare per avere in seguito una retribuzione media di alto livello tra i 25 e i 34 anni. In ordine, i primi cinque posti sono occupati da: Università Bocconi, Politecnico di Milano, Università Cattolica, LUISS - Guido Carli e Università "Tor Vergata". Le università non statali si confermano una scelta "vincente" non solo per la retribuzione di partenza dei laureati, ma anche per le opportunità di carriera in termini di inquadramento contrattuale che si può raggiungere: Bocconi, Luiss e Cattolica sono anche le tre università (tutte non statali) in cui la retribuzione annua lorda cresce in modo maggiore nella prima fase della carriera, mentre per Siena, Milano Statale e Ca' Foscari di Venezia l'aumento è significativo nella seconda parte della carriera (35-44 anni). (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 20-06-16)

CONFERENZA ARABO-EUROPEA SULL'ISTRUZIONE SUPERIORE (AECHE)
Nell'Università di Barcellona si è svolta dal 25 al 27 maggio 2016 la terza Conferenza arabo-europea sull'istruzione superiore (AECHE) sul tema "Opportunità e sfide per le università arabe ed europee nello svolgimento della propria missione sociale". Lanciata nel 2013 quale piattaforma per la cooperazione e lo scambio dell'istruzione superiore arabo-europea, AECHE ha riunito più di 200 rettori e altri rappresentanti accademici provenienti principalmente dai paesi arabi e dall'Europa.
Uno di punti focali della conferenza è stato la risposta delle università ai rifugiati: la Technical University di Berlino, ad esempio, sostiene l'importanza di inserirli negli atenei in tempi brevi, a patto che ci sia il sostegno dei finanziamenti pubblici. La NGO Kiron e l'Università di Kassel collaborano per consentire agli studenti l'iscrizione a corsi online gratuiti, mentre la Central European University di Budapest sostiene i giovani nel conseguimento di competenze linguistiche e trasversali necessarie per l'occupazione e l'istruzione. Gli atenei possono avere anche un ruolo fondamentale nell'agevolarne l'inserimento e l'integrazione con gli altri studenti attraverso la collaborazione reciproca, come evidenziato dall'Università di Anversa e la St Joseph University in Libano, e mediante il coordinamento sia a livello nazionale che locale, secondo lo European Municipalities Network di Cipro. Nel corso della Conferenza sono state presentate anche le misure in preparazione e quelle messe in campo dall'Unione Europea, quali i meccanismi di finanziamento per sviluppare partnership e reti di collaborazione nella ricerca. È previsto a breve il lancio di un bando di gara da 11,5 milioni di euro su questioni di stretta attualità come i fattori chiave della migrazione, le skill per i rifugiati, le politiche e le misure d'integrazione. (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 23-06-16)

CORSI IN LINGUA INGLESE. IL PRORETTORE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELL’UNIBO: NON BASTA TRADURRE I CORSI PER RENDERLI INTERNAZIONALI
Quando si parla degli handicap nell'attrattività delle nostre università, gli indiziati più comuni sono due: la scarsità di programmi in lingua inglese e un costo medio delle rette più elevato di quelli fissati nel resto d'Europa, dalla Francia alla Scandinavia. Nel dettaglio? Il portale Universitaly stima un totale di 245 corsi universitari in lingua inglese in 52 atenei, con il predominio degli atenei che si rivolgono di più a matricole ed exchange students internazionali: più di 20 solo al Politecnico di Milano, 18 all'Università degli studi di Bologna e 8 alla Bocconi, senza contare l'offerta di master e corsi post lauream. Numeri in ascesa, ma ancora indietro rispetto ai 700 programmi in lingua inglese della sola (e più piccola) Danimarca, i 1.262 della Francia e i 1.801 della Germania. Anche più sfavorevole, in proporzione, il confronto sui costi. La media delle tasse universitarie previste in Italia viaggia poco sopra i 1000 euro. Una cifra imparagonabile alle rette stellari delle università britanniche, ma comunque ben al di sopra della cifra tonda richiesta nei Paesi già citati sopra: zero. In Danimarca, come anche in Svezia e Finlandia, gli studenti Ue possono iscriversi gratuitamente ai corsi di laurea triennali (bachelor) e magistrali (master). In Francia le tasse per un corso triennale in un ateneo pubblico viaggiano su una media di 190 euro l'anno, in Germania sono state abolite le rette per le lauree di primo livello e – se si è frequentato il triennio nella stessa università – anche per i master. Alessandra Scagliarini, prorettore alle Relazioni internazionali dell'Università di Bologna: non basta “tradurre” i corsi, serve una regia. Insomma: basterebbe aumentare l'offerta di corsi in inglese e diminuire i costi di ingresso, sulla scia di quanto è stato fatto in Germania? Alessandra Scagliarini invita a non cadere nella semplificazione di un rapporto diretto tra corsi in inglese ed internazionalità. «Non basta tradurre un corso in lingua inglese per renderlo “internazionale” ed ugualmente efficace. Il metodo d'insegnamento anglosassone è differente dal nostro, i docenti necessitano quindi di un fattivo supporto e le strutture di risorse dedicate all'internazionalizzazione dei corsi – dice Scagliarini -.  Probabilmente non tutti gli atenei sono in grado di mettere in campo queste risorse in periodo di importanti tagli al fondo di funzionamento e al turn over». (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 10-07-16)

BINI SMAGHI: IL MECCANISMO ISTRUZIONE-FORMAZIONE È DEFICITARIO SU TUTTA LA LINEA
Analisi impietosa quella di Lorenzo Bini Smaghi, economista e banchiere, oggi presidente della Societé Generale a Parigi: «Una gran parte del Paese non si è modernizzata, non ha saputo cogliere le sfide della globalizzazione, non è riuscita a premiare la meritocrazia, è tuttora appesantita da una diffusa corruzione». «Dal lato dell'offerta potenziale, come si dice nel gergo tecnico, l'Italia presenta tassi di crescita fra i più bassi dell'area euro». Ma cos'è che si è guastato in modo cosi apparentemente irreparabile? «C'e innanzitutto un problema di produttività. Che non cresce da anni e non da segni di risollevarsi, per molti motivi: il sistema produttivo è frammentato, diviso in miriadi di piccole imprese che difficilmente reggono i ritmi internazionali, il meccanismo istruzione-formazione è deficitario su tutta la linea, dal numero delle lauree scientifiche alla diffusione di Internet, i contratti di lavoro non danno importanza al fattore produttività». (Fonte: La Repubblica 13-07-16)

RIMETTERE AL CENTRO DEI PERCORSI UNIVERSITARI LA STORIA DEL PROCESSO D’INTEGRAZIONE EUROPEA
Una spia della debolezza della storia dell’integrazione europea nella realtà accademica italiana è dedotta dalle difficoltà di penetrazione e dalla scarsa visibilità di cui attualmente gode nelle due principali associazioni “di categoria” degli storici, quella dei contemporaneisti (SISSCO) e degli internazionalisti (SISI) - in termini di interventi a convegni, panel, tesi di dottorato – nonostante la (per fortuna) progressiva consapevolezza della rilevanza svolta dal processo d’integrazione europea nel determinare l’evoluzione e le trasformazioni interne di uno Stato membro. Queste difficoltà si traducono, di fatto, in una sorta di disincentivo al proseguimento degli studi nell’ambito della storia dell’integrazione europea. I dottorati in storia sono sempre più spesso accorpati in tematiche diverse (si potrebbe dire, con una battuta, “dagli etruschi all’Isis”) o per atenei diversi: solo lo “storico” dottorato di Pavia resiste, ma non più come corso autonomo, bensì come curriculum interno a un percorso molto più ampio. Ne consegue che anche i giovani ricercatori che si occupano di storia dell’integrazione europea difficilmente riescano a proseguire nella carriera accademica o, non di rado, finiscano per “occuparsi di altro” perché più (cinicamente) utile in termini di riconoscimento del lavoro svolto per i concorsi e per le abilitazioni scientifiche nazionali.
La Brexit potrebbe rappresentare un’opportunità per rimettere al centro dei percorsi universitari legati alla storia e alle scienze politiche la storia del processo d’integrazione europea. A trarre beneficio da questo rinnovato approccio sarebbe non solo l’Università italiana, ma anche diverse realtà professionali - come quelle legate al giornalismo e ai nuovi media, alla scuola, agli enti locali - che si confrontano quotidianamente con l’Ue e le sue crisi, e che potrebbero trovare nelle Università partner preziosi per strutturare al meglio una formazione professionale di alto profilo, interdisciplinare, reciprocamente arricchente. (M. Piermattei, mentepolitica 16-07-2016)

BIOINGEGNERIA. VERSO IL RICONOSCIMENTO SCIENTIFICO E GIURIDICO IN ITALIA E IN EUROPA
Le università italiane in cui è attivo il corso di laurea in Bioingegneria sono 11 - Politecnici di Torino, di Milano e delle Marche, Sapienza e Campus Bio-Medico a Roma, Università di Genova, di Padova, di Pisa, di Bologna - sede di Cesena, di Cagliari e di Napoli Federico II. All'estero, le top universities in questo campo sono Harvard, Sheffield e il Politecnico federale di Zurigo.
La bioingegneria rientra nel campo della biomedical technology ed è una disciplina a vocazione multidisciplinare e tecno-sociosanitaria: dall'integrazione di ingegneria, scienze biomediche e pratica clinica sviluppa nuove conoscenze e tecniche, procedimenti avanzati di health care, dispositivi medici innovativi, telemedicina, mezzi e metodi sanitari più efficaci. Poiché l'Italia non riconosce la figura dell'ingegnere biomedico e clinico, è nato recentemente il Comitato promotore per il riconoscimento giuridico delle attività accademiche, scientifiche e delle professioni di ingegnere biomedico e clinico. (Fonte: A. Soave, rivistauniversitas 07-07-16)

LA DOMANDA DI LAUREATI NELLE IMPRESE
Secondo uno studio della società di consulenza McKinsey il 40% della disoccupazione giovanile non dipende dal ciclo economico ma da scelte di formazione sbagliate. Studi come questo enfatizzano molto il lato dell’offerta di laureati più che la loro domanda. Non sempre però l’approccio è corretto. Il ragionamento andrebbe capovolto o almeno affrontato da entrambi i lati. Se le imprese non chiedono laureati non c’è neppure l’offerta. E la domanda di laureati, soprattutto in materie scientifiche, proviene il larga misura da grandi imprese di cui l’Italia non abbonda. Per rendersi conto di come ormai neppure le lauree più quotate aprano automaticamente la porta di carriere adeguate basta leggere alcuni numeri raccolti dal Censis. I lavoratori italiani “sotto inquadrati”, ossia che svolgono mansioni più semplici rispetto al loro livello formativo, sono quasi il 20% del totale. In tutto più di 4 milioni di persone, il 41% delle quali laureate. Tra questi risultano sotto inquadrati il 44% dei laureati in scienze sociali e in materie umanistiche ma anche il 57% dei laureati in economia o statistica e il 33% degli ingegneri. Questo non significa che l’istruzione non (ri)paghi e non faciliti l’accesso al mondo del lavoro. Ma troppo spesso lo fa in misura inferiore a quello che dovrebbe o che chi si impegna nello studio spererebbe. In ogni caso studiare conviene. Secondo il Centro Studi di Confindustria conquistare una laurea aumenta del 40% le probabilità di trovare un impiego rispetto a chi ha solo un diploma. (Fonte: M. Del Corno, Il Fatto Quotidiano 20-08-16

UN GRANDE PAESE CON POCHI LAUREATI
In termini di popolazione l'Italia è un grande Paese dell'Unione, paragonabile a Francia, Gran Bretagna e Germania. Ma se guardiamo alla popolazione dei laureati siamo un piccolo Paese, paragonabile all'Olanda per dimensioni. Se poi guardiamo alla popolazione dei nuovi laureati siamo demograficamente ancora più piccoli e destinati a diventarlo sempre di più: caso praticamente unico fra i Paesi a reddito medio-alto, le iscrizioni all'università sono diminuite negli ultimi anni. A metà del prossimo decennio la Cina o lo Zimbabwe potrebbero avere più laureati dell'Italia sul totale della popolazione. Difficile così compensare con l'aumento di produttività il declino della demografia italiana. Come iniziare a rimediare? Forse guardando alla radice del problema. Purtroppo per un giovane oggi decidere di studiare non è in apparenza economicamente molto razionale, e ancora meno lo è per una giovane. Secondo stime dell'OCSE (Education at a Glance, 2015) alla fine della sua vita una donna italiana che si laurea avrà guadagnato, al netto di tutto, in media circa 50 mila euro in più rispetto a una diplomata delle superiori: quando questa donna sarà alle soglie della pensione, avrà potuto pagarsi una stanza in più in un appartamento di una grande città. È un rendimento della laurea pari alla metà della media dei Paesi europei. Per un uomo italiano questo rendimento è maggiore, ma sempre di un terzo sotto alle medie europee. Forse dovremmo ripartire da qua. Soffriamo di un problema di lungo periodo, servono soluzioni sullo stesso orizzonte. (Fonte: F. Fubini, CorSera Sette 26-08-16)


RETRIBUZIONI

PENSIONI. LEGITTIMO PER LA CONSULTA IL PRELIEVO DI SOLIDARIETÀ SUGLI IMPORTI PIÙ ALTI
La Corte Costituzionale ha respinto le varie questioni di costituzionalità relative al contributo, che scade nel dicembre di quest’anno, sulle pensioni di importo più elevato: il prelievo è stato quindi ritenuto legittimo perché adottato in un periodo di profonda crisi. La Corte ha escluso la «natura tributaria» del prelievo di solidarietà, è stato fatto notare, ritenendolo «un contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema». Come si ricorderà, il contributo di solidarietà era previsto dalla legge di Stabilità 2014 per un triennio sui trattamenti pensionistici superiori a 14 volte il trattamento minimo Inps. Nella norma esaminata dalla Corte, ad essere toccati sono gli assegni da 14 a oltre 30 volte il minimo Inps, con una quota progressiva del 6% per gli importi da 91.343 a 130.358 euro lordi annui; del 12% per gli assegni da 130.358 a 195.538 euro; del 18% da 195.538 euro in su. Un meccanismo inserito nella finanziaria 2014 varata dal governo Letta. Il prelievo vale per un triennio, scade a dicembre e per ora non è stato rinnovato. A "impugnare" queste misure con 6 diverse ordinanze, sono state varie sezioni regionali della Corte dei Conti sulla scorta dei ricorsi presentati da ex dirigenti dello Stato e di enti pubblici e privati, ex docenti universitari, ufficiali delle forze armate e tanti ex magistrati. Per tentare di dimostrarne l'irragionevolezza, i loro avvocati hanno fatto leva su una precedente sentenza della Corte Costituzionale. (Fonte: CorSera 06-07-16).
Un commento di “rossini” a margine di un altro articolo (su ilgiornale.it dello 06-07-16): “Sulle pensioni tutti pagano l'IRPEF, che è un’imposta PROGRESSIVA che, oltre i 75mila euro, arriva fino al 43%. Con le addizionali regionali e comunali si arriva al 50%. Aggiungere il contributo straordinario progressivo significa aggiungere progressività a progressività. E questa è una pura prepotenza. Dire, come fa la C. Cost., che il contributo straordinario non ha natura tributaria è una prepotenza ancora più insopportabile”.

CORTE COSTITUZIONALE. LE CONDIZIONI PER LA LEGITTIMA PREVISIONE DI UN CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ PER LE PENSIONI DI ELEVATO IMPORTO: MISURA CONTINGENTE, STRAORDINARIA E TEMPORALMENTE CIRCOSCRITTA
Nella sentenza n. 173 del 13 luglio 2016 della Corte costituzionale si legge che Il prelievo istituito dal comma 486 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 (norma impugnata) non è configurabile come tributo non essendo acquisito allo Stato, nè destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti “esodati”. Il contributo, dunque, deve operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà “forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori che devono essere oggetto di attenta ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato.
Tuttavia, sostiene la sentenza, anche in un contesto siffatto, un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza. In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una tantum.
Tale misura rispetta il criterio di proporzionalità e, in ragione della sua temporaneità, non si palesa di per sé insostenibile, pur innegabilmente comportando un sacrificio per i titolari di pensioni più elevate, ossia quelle il cui importo annuo si colloca tra 14 a 30 e più volte il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad aliquote crescenti (del 6, 12 e 18 per cento).
In questi termini, l’intervento legislativo di cui al denunciato comma 486, nel suo porsi come misura contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, supera lo scrutinio “stretto” di costituzionalità. (Fonte 14-07-16)

UN PROFESSORE ORDINARIO A FINE CARRIERA PERCEPISCE COME STIPENDIO LORDO MENO DELLA METÀ DI QUELLO DI UNA GIORNALISTA RAI PARCHEGGIATA SENZA INCARICO
Caro direttore,
sono un docente universitario alla fine di una bella carriera, molto gratificato per le responsabilità e le mansioni svolte e che ancora svolge come "formatore e ricercatore". Molto meno gratificante è invece il compenso. Un professore ordinario a fine carriera prende, come lordo, meno della metà di quello che è lo stipendio lordo dell'ultima giornalista (che non ha incarichi) indicata nella Lista della settimana del numero 31 di Gente. Inoltre gli stipendi di tutti gli universitari sono stati gli unici bloccati per cinque anni, senza riconoscimento di anzianità giuridica. Spenda, se può, qualche parola a favore di tutti coloro che lavorano con passione, nonostante tutto.
Alfredo Anglani
Caro Alfredo,
lo stipendio al quale ti riferisci è quello di Carmen Lasorella: 200 mila euro lordi (ed è parcheggiata senza incarico). Se ti può consolare, ti fa compagnia il premier Matteo Renzi, che guadagna molto meno dei vertici Rai (114 mila euro lordi). Resta il fatto che il discorso degli stipendi in Italia andrebbe affrontato con serietà da governo e sindacati. Anche per dare il giusto valore a tutti quelli che, come te, dopo anni e anni di studi hanno la responsabilità di una cattedra importante. (Fonte: Lettera al direttore di Gente e risposta 30-08-16)

FUGA DEI CERVELLI. IL PROBLEMA RETRIBUZIONI
Ma scherziamo? Nessuno affronta il vero problema della ricerca in Italia: gli stipendi bassissimi rispetto alla media dei Paesi sviluppati e i contratti da precari. Un assegnista che prende 1400 €/mese (netti, e per di più senza contributi pensione) li spende tutti per pagarsi l’affitto e mangiare. Se gli date il 50% in più quando è all’estero per 3 mesi, con quei 700 €/mese dovrebbe sopravvivere in USA? Scherziamo? Portate gli stipendi e la normativa italiana ai livelli medi occidentali e vedrete che non scappa più nessuno, anzi comincerà a venire gente in Italia a fare ricerca. (Fonte: commento di DBA all’articolo “Ricercatori, fughe estere e borse di studio” su CorSera-Blog 21-07-16)

OCCUPAZIONE E RETRIBUZIONE DEI LAUREATI
In base a uno studio sui redditi compiuto da Bankitalia, nel nostro Paese, i cittadini in possesso di una laurea percepiscono un reddito annuale netto superiore del 20% rispetto ai diplomati. Non solo: i laureati hanno anche il 10% in più delle possibilità di chi ha interrotto gli studi dopo il diploma di trovare un lavoro. Secondo un’indagine pubblicata da AlmaLaurea sui laureati magistrali a un anno dal titolo il differenziale occupazionale è pari a 21 punti percentuali: al Nord è occupato il 74% mentre al Sud il 53%, il tasso di disoccupazione è al 17% al Nord e al 36% al Sud. Dal punto di vista delle retribuzioni, a un anno dalla laurea, guadagnano di più i laureati del Nord, con 1.290 euro mensili di stipendio rispetto ai 1.088 dei colleghi del Mezzogiorno. Allargando l’orizzonte temporale, a cinque anni dal conseguimento del titolo, al Nord lavorano 89 laureati su 100, al sud 74 su cento, mentre il tasso di disoccupazione si attesta al 12%. I dati forniti da AlmaLaurea mostrano inoltre che “migliorano anche le retribuzioni: al Nord si attestano a 1.480 euro mensili netti, mentre al Sud arrivano a 1.242 euro. Cresce anche l’efficacia: il titolo risulta molto efficace o efficace per il 55% degli occupati al Nord e per il 59% degli occupati nel Mezzogiorno”. Scendendo nel dettaglio, ecco la classifica delle lauree che, a cinque anni dalla laurea (magistrale) assicurano una retribuzione più alta in base al XVIII Rapporto di AlmaLaurea: Ingegneria: 1.705 euro; Settore Scientifico: 1.614 euro; Chimico-farmaceutico: 1.562 euro; Medico (professioni sanitarie): 1.552 euro;  Geo-biologico: 1.326 euro; Politico-sociale: 1.320 euro; Agrario e Veterinaria: 1.300 euro; Architettura: 1.256 euro; Giuridico: 1.209 euro; Linguistico: 1.203 euro; Letterario: 1.117 euro; Insegnamento: 1.093 euro; Educazione Fisica: 1.059 euro;  Psicologico: 980 euro. (Fonte: F. Patanè, international business time 12-08-16)

RETRIBUZIONI E INCENTIVAZIONE DEL MERITO
Lo stipendio dei professori universitari è bloccato da anni. Non è chiaro il motivo di questa punizione «a pioggia», a fronte di continue dichiarazioni di valorizzazione del merito. In queste settimane sono state rese note le soglie di produzione scientifica che i singoli docenti devono superare per entrare in commissioni che valutano candidati alle abilitazioni a ruoli superiori. Scopro che posso fare domanda per far parte delle commissioni, sempre che la mia produzione scientifica superi la soglia. La supera. Ma non farò domanda. Andare in commissione significa far fronte a procedure bizantine in cui domina la compilazione meticolosa di verbali. E questa sarebbe l'incentivazione del merito? Mi aspettavo qualcosa tipo: questa è la lista di chi supera le soglie, da questa saranno estratti i commissari per le abilitazioni e per chi supera i livelli di qualità lo stipendio sarà sbloccato. Chi è sotto non andrà in commissione e il suo stipendio resterà bloccato. Mi aspetterei anche di più. Chi è sotto le soglie minime di qualità, oltre a non poter giudicare i candidati alle promozioni, non dovrebbe avere accesso ad alte cariche, come Rettore, Direttore di Dipartimento, Senatore Accademico. Per queste cariche l'asticella dovrebbe essere superiore rispetto alle semplici abilitazioni. Invece questi limiti non esistono, con il paradosso che a dirigere un'Università ci sia chi non è ritenuto idoneo a giudicare chi aspira a cariche superiori. Il «premio» per chi supera le soglie qualitative è di poter fare domanda per assolvere adempimenti burocratici. (Fonte: F. Boero, La Stampa 20-08-16)


RICERCA. RICERCATORI

TRA IL 1996 E IL 2014 I RICERCATORI ITALIANI HANNO PUBBLICATO 1.200.000 LAVORI, COLLOCANDOSI IN OTTAVA POSIZIONE A LIVELLO MONDIALE
L'Italia ottiene risultati positivi in termini di produzione scientifica nonostante le scarse risorse destinate alla ricerca. Tra il 1996 e il 2014 i ricercatori italiani hanno pubblicato 1.200.000 lavori, collocandosi in ottava posizione a livello mondiale. Se poi si considera il rapporto tra numero di pubblicazioni scientifiche (database Scopus) e risorse finanziarie destinate all’attività di ricerca nel settore pubblico, si osserva un aumento per l’Italia da 8,33 a 9,75 lavori per unità di spesa tra il 2011 e il 2014 (vedi rapporto ANVUR 2016). Una dinamica significativa, che supera quella di Francia e Germania, anche se non raggiunge quella di Spagna e Regno Unito. I risultati sono buoni anche per quanto riguarda il rapporto tra numero di pubblicazioni e numero di ricercatori nel settore pubblico, benché in questo caso la produttività rimanga sostanzialmente invariata nell’arco temporale considerato. Risultati positivi si osservano anche rispetto ad altri indicatori di produttività scientifica. Ad esempio, analizzando le pubblicazioni nelle migliori riviste (top 1 per cento) della distribuzione mondiale dell’indicatore di impatto SNIP (Source Normalized Impact per Paper), si trova che l’Italia, a partire dal 2011, si colloca al di sopra della media mondiale, superando anche in questo caso Germania e Francia. Se si considerano le pubblicazioni nella fascia top 5 per cento, l’Italia presenta valori superiori alla media mondiale già a partire dal 2005. (Fonte: M. De Paola e T. Jappelli, lavoce.info 02-08-16)

PROGRAMMA "FARE RICERCA IN ITALIA"
Lo scorso 2 agosto il MIUR ha pubblicato la comunicazione sulla procedura, di prossimo avvio, per la prima tranche dell’intervento “Fare ricerca in Italia”. Questo programma, ampio e ambizioso, vorrebbe creare le condizioni affinché i migliori ricercatori si cimentino nelle competizioni bandite dallo European Research Council (ERC) e assicurare che un numero crescente di vincitori nei bandi dell’ERC venga in Italia o ci rimanga per svolgere la propria ricerca nelle università o negli enti pubblici di ricerca italiani. Dai dati forniti dalla Commissione europea, emerge che nel periodo di programmazione di Horizon 2020, su 1.594 proposte presentate all’ERC in cui fossero state prescelte host institution localizzate in Italia, sono stati stipulati finora solo 103 contratti. Di questi, solo 5 hanno come host institution un’istituzione localizzata nel Mezzogiorno d’Italia. Il MIUR destinerà circa 19,6 milioni di euro a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione per migliorare la performance dei ricercatori, attrarre nel nostro Paese un numero crescente di ricercatori italiani e stranieri di eccellenza, e rafforzare così il sistema della ricerca nazionale. (Fonte: MIUR)

PROPOSTA MINISTERIALE PER I PRECARI DELLA RICERCA NEGLI IRCCS E IZS
Nel secondo tavolo tecnico tenutosi presso il Ministero della Salute e riguardante le criticità dei precari della Ricerca IRCCS (Istituti di Ricerca a carattere Scientifico e Sanitario) e IZS (Istituti Zooprofilattici Sperimentali), il direttore generale della ricerca e dell’innovazione in sanità, Giovanni Leonardi ha esposto ai presenti la nuova proposta ministeriale, che prevede l’inserimento del ricercatore in tre gruppi di classificazione: il ricercatore iniziale, il ricercatore esperto ed infine il senior. Per i senior dopo i primi 2 anni sarà possibile richiedere il passaggio al SSN. La nuova proposta esposta al tavolo tecnico prevede un contratto a tempo determinato di 10 anni, con possibile rinnovo per ulteriori 5 e valutazioni annuali per il passaggio a livelli economici superiori. La proposta ministeriale concede anche la mobilità tra vari istituti, il tutto mantenendo anzianità e livello. E’ stato poi chiarito che chi già è ricercatore a contratto atipico, secondo la proposta, verrà inserito d’ufficio nella piramide dei 15 anni, mentre chi entrerà successivamente, svolgerà un concorso per poterne far parte. Finché non entrerà in vigore la nuova normativa però, varranno i contratti atipici in essere anche oltre il 01/01/17. (Fonte: Nursind 02-07-16)

LA RICERCA SANITARIA E IL PRECARIATO
La segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino, ha scritto una lettera aperta alla titolare del dicastero della Salute, Beatrice Lorenzin, a proposito della sua proposta per affrontare il drammatico problema della precarietà, troppo presente nel settore sanitario e negli istituti zooprofilattici. Secondo la Sorrentino la proposta prevede tre passaggi che determinano una precarietà stabile e lunga 15 anni. Al termine di questa spinta 'flessibilità' la sola proposta 'concreta' rimane una chimera legata alla dotazione organica e alle risorse. Dopo 15 anni di assoluta precarietà, insomma, non c'è alcuna prospettiva certa. Ad essere coinvolti in questo processo sono circa 3.500 ricercatori negli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e negli IZS (Istituti Zooprofilattici Sperimentali) impegnati in progetti di ricerca ai quali non si offrono soluzioni in termini di continuità occupazionale. La proposta, continua Sorrentino, non risolve la questione drammatica della precarietà, tema per altro che coinvolge tutta la sanità. Al contrario, si opera un processo di stabilizzazione della precarietà stessa. Condivide che c'è un’urgenza da affrontare immediatamente, ovvero quella che dal prossimo primo gennaio 2017 non sarà più possibile ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative. Una misura che rischia di produrre danni gravissimi al funzionamento degli IRCSS e degli IZS e, quindi, alla ricerca sanitaria tutta. L'urgenza è condivisa ma non la soluzione proposta, insiste Sorrentino, e il tema va affrontato coinvolgendo tutti i soggetti - Regioni, Ministero e Organizzazioni sindacali - all'interno del percorso per il rinnovo del contratto nazionale. (Fonte 21-06-16)

ILARIA CAPUA, UNA SCIENZIATA, UNA VIROLOGA VETERINARIA D’ECCELLENZA, “ALLONTANATA” DALL’ITALIA
Ventisei mesi dopo esser stata sbattuta in prima pagina dall’Espresso sotto il titolo «Trafficanti di virus», dove veniva additata tra i protagonisti di un’inchiesta sui business infami sulla pelle di persone innocenti, Ilaria Capua, fino a due anni fa un vanto della scienza italiana, ha appena ricevuto la notizia che il giudice per l’udienza preliminare di Verona l’ha prosciolta «perché il fatto non sussiste». No, non voleva diffondere il virus per fare soldi dall’offerta di un vaccino. Un verdetto giunto al termine di un’indagine partita da Roma e spacchettata un po’ qua un po’ là per finire, a Verona, tra le mani del pm Maria Beatrice Zanotti. Meglio tardi che mai, dice il proverbio. E forse per lei è così. Troppo tardi per l’Italia, però. Troppo tardi per la nostra ricerca scientifica. Troppo tardi per un Paese che, come ha scritto Paolo Mieli a proposito di questa vicenda di giustizia paralizzata quindi ingiusta, «detesta la scienza» ... La «nostra» ricercatrice, la prima ad avere isolato il virus H5N1 (la «nasty beast», cioè la brutta bestia, dell’influenza aviaria umana), la prima a dire no alle offerte milionarie delle case farmaceutiche per mettere (gratis!) la sua scoperta a disposizione su «GenBank» di tutti gli scienziati del mondo tra lo stupore ammirato di colleghi e giornalisti scientifici, la prima donna e primo ricercatore sotto i sessant’anni a vincere il «Penn Vet World Leadership Award» cioè il riconoscimento più importante del pianeta per le discipline veterinarie, non è più «nostra». Se n’è già andata. Da tre settimane. A dirigere un dipartimento d’eccellenza all’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida. (Fonte: G. A. Stella, CorSera 06-07-16)

ENTI DI RICERCA AUTONOMI E ATENEI IRRETITI DALLA BUROCRAZIA
All’affermazione di principio del premier, l’università «deve uscire dal perimetro della Pa», non sono seguite per ora proposte articolate, ma è stata già messa in pratica, di fatto, con la decisione di affidare il progetto Human Technopole all’IIT (Istituto italiano di tecnologia) per le vie brevi, anzi brevissime, senza coinvolgere le università se non nel ruolo di comparse. In nessun sistema universitario avanzato un progetto di tali dimensioni sarebbe stato messo in mano ad un soggetto unico senza valutazione, senza comparazione e senza un approfondito studio di fattibilità. Per contro Renzi avrà probabilmente temuto che il Technopole diventasse la Salerno-Reggio Calabria della ricerca italiana: una replica, per esempio, del caso Genova, dove università, aziende ed enti locali dibattono da dieci anni se e come utilizzare 140 milioni già stanziati per trasferire Ingegneria. O avrà immaginato l’assunzione dei ricercatori impantanarsi tra Tar e Consiglio di Stato. Se non si interviene in modo organico sul sistema, però, si rischia la polarizzazione tra due estremi destinati ad allontanarsi sempre di più, una strada già percorsa con esiti deludenti tra 2001 e 2006: da un lato un piccolo nucleo di enti, come IIT e alcune università ad ordinamento speciale, lasciati liberi di muoversi in autonomia più o meno completa; dall'altro la massa degli atenei, irretiti da norme e cavilli quasi sempre escogitati da altri ministeri e per altri settori della pubblica amministrazione. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 05-07-16)

ENTI DI RICERCA. PARERE SINDACALE SU BOZZA GOVERNATIVA CHE PROPONE LO STATO GIURIDICO DEI  RICERCATORI E TECNOLOGI
La Legge 7 agosto 2015 n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) all’art. 13, prevede l’emissione di decreti delegati relativi agli enti di ricerca. A gennaio 2015 la Conferenza dei Presidenti degli Enti di Ricerca (CoPER) ha inviato al Governo i suoi input. Altri input sono stati inviati da altri sindacati. Ad aprile è circolata una “bozza riservata” di fonte governativa, disponibile p.es. su siti sindacali. A seguito di tale bozza i rappresentanti eletti dal personale (ai sensi dei rispettivi statuti) nei Consigli di Amministrazione di alcuni Enti Pubblici di Ricerca hanno inviato il 20 maggio una lettera alle Ministre: “La bozza accoglie un 50% delle proposte avanzate dai Presidenti degli Enti in materia di semplificazione burocratica, accoglie in linea di principio il concetto da tempo richiesto dall’ANPRI di dare uno stato giuridico a Ricercatori e Tecnologi (R&T) (in questo senso non si tratta di una ‘uscita dalla Pubblica Amministrazione’, anzi!) ma lo fa in maniera confusa, e purtroppo porta avanti della ‘analogia con l’Università’ solo l’aspetto più preoccupante e deteriore … ossia la messa ad esaurimento della terza fascia degli R&T a tempo indeterminato, lasciando solo le due fasce di Primi Ricercatori e Dirigenti di Ricerca (equivalenti a professori associati e ordinari). La bozza prevede, per il futuro, dei concorsi per il reclutamento di ricercatori a tempo determinato con un meccanismo tenure track. Ma ignora che attualmente gli R&T di terza fascia (spesso non giovani a causa della  carenza endemica di concorsi di avanzamento) rappresentino negli Enti oltre il 70% del personale di ricerca di ruolo (per tacere del precariato esistente sia come R&T a TD che come assegnisti e borsisti), ossia molto di più di quanti siano nell’Università (33%) dove la riforma Gelmini ha introdotto una simile messa ad esaurimento. (Fonte: Redazione Roars 07-07-16)

PROGETTI DEL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO PER GLI INVESTIMENTI IN RICERCA
Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, in una videointervista, ha delineato un percorso in cui, dopo la presentazione del piano su Industria 4.0, arriverà una legge di stabilità fortemente orientata al rilancio degli investimenti produttivi, a partire da quelli in ricerca. Nel campo della ricerca ha citato l'individuazione di alcune eccellenze, nei Politecnici, per costruire degli innovation hub (pochi) in cui concentrare le risorse. Come misure più efficaci ha messo in conto i superammortamenti, la "nuova Sabatini" in versione allargata, il credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo che va trasformato da incrementale in strutturale (calcolato sul volume totale della spesa, ndr). (Fonte: ilSole24Ore 16-07-16)

BILANCIO SOCIALE 2015 DI AIRC E FIRC. OLTRE 104 I MILIONI DESTINATI ALLA RICERCA ONCOLOGICA
Oltre 104 i milioni destinati alla ricerca oncologica, quasi 5 mila ricercatori coinvolti, al lavoro su 615 progetti di ricerca in 107 istituzioni. Sono i principali numeri pubblicati nel bilancio sociale 2015 di AIRC e FIRC (l’Associazione e la Fondazione italiana per la ricerca sul cancro). Il 50% dei finanziamenti è stato destinato proprio ai progetti di ricerca e 15 milioni sono andati ai programmi di oncologia e di clinica molecolare: queste sono le due voci del bilancio che hanno ottenuto le maggiori attenzioni, senza dimenticare però i quasi 12 milioni di euro che sono stati assegnati ai giovani sotto forma di borse di studio in Italia e all’estero o finanziamenti per gli studi. Un traguardo che è stato possibile raggiungere grazie ai contributi forniti da 4 milioni e mezzo di sostenitori, 800 mila soci e 20 mila volontari. I risultati sono state le oltre 1.500 pubblicazioni scientifiche sulle principali riviste scientifiche e specializzate internazionali firmate dai ricercatori che hanno potuto effettuare i loro studi e sperimentazioni grazie al sostegno ottenuto da AIRC e FIRC.

EUROSTAT FA IL PUNTO SULL’INCREMENTO DEL LIVELLO DI ISTRUZIONE DELLA POPOLAZIONE E DI INVESTIMENTO NELLA RICERCA
Gli obiettivi fissati nel 2010 dal Consiglio europeo per l’Italia, traguardi che devono essere raggiunti entro il 2020, sono far salire l’investimento in ricerca fino all’1,53% del Pil, aumentare al 26% la percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni, ridurre sotto il 16% la quota di studenti che abbandonano le superiori prima di aver completato gli studi. Ma se sugli ultimi due il target è praticamente raggiunto, è sul primo che rimane ancora molto da lavorare. Il Consiglio europeo ha preso il 2008 come periodo di riferimento: in quell’anno poco meno di uno studente su cinque lasciava le superiori senza aver conseguito il relativo titolo di studio. La richiesta è quella di ridurre questa percentuale al 16% entro il 2020. E, sotto questo profilo, l’Italia viene promossa: già nel 2014 la quota si era ridotta al 15%, per poi scendere ancora al 14,7% l’anno successivo. Insomma, obiettivo raggiunto e superato. Altra questione, l’aumento del numero dei laureati. La richiesta specifica è quella di far salire la quota di popolazione laureata nell’età compresa tra i 30 ed i 34 anni oltre il 26%. In questo caso il traguardo non è ancora raggiunto, ma manca davvero poco: nel 2015 il 25,3% delle persone tra i 30 ed i 34 anni aveva conseguito una laurea.
La nota dolente riguarda in definitiva l’investimento in ricerca. L’Europa chiede all’Italia di portare l’investimento in questo settore all’1,53% del prodotto interno lordo entro il 2020. Nel 2008, anno di riferimento per gli obiettivi fissati dall’Ue, la quota destinata a R&D era pari all’1,16% del Pil. Nel 2014 siamo arrivati all’1,29%, risultato che segna però un passo indietro rispetto all’1,31 dell’anno precedente. (Fonte: P. Almirante, Tecnica della Scuola su dati Eurostat riportati da wired.it 22-07-16)

PRIMA DEL 2020 TUTTE LE RICERCHE FINANZIATE DALL’EUROPA DOVRANNO ESSERE OPEN ACCESS
Prima del 2020 tutte le ricerche finanziate dall’Europa dovranno essere Open Access. La decisione epocale del Competitiveness Council annullerà la ragione di esistere della pirateria scientifica. Ecco come potrebbe cambiare tutto. Fino ad ora era una richiesta generica senza una tempistica precisa, ma, venerdì 27 maggio, il Competitiveness Council europeo (che riunisce i ministri di ricerca, innovazione, commercio e industria della UE) ha deciso che entro il 2020 tutti i risultati ottenuti con finanziamenti europei dovranno essere Open Access da subito. Ovviamente ci sono diversi mezzi per rendere pubblici i propri articoli. Si può ricorrere a database aperti dove si possono depositare i testi degli articoli dopo che sono stati pubblicati da riviste più o meno prestigiose, oppure ricorrere a riviste “open access”, dove il costo di pubblicazione è coperto degli autori e nulla è chiesto ai lettori. Purtroppo, però, nel mondo dell’open access sono poche le riviste di grande impatto mentre sono moltissime quelle di infima qualità pronte a pubblicare ogni schifezza pur di incassare le spese di pubblicazione. Il Competitiveness Council non ha detto quale strada intenda supportare, ma sicuramente si tratta di una decisione epocale, definita “a life-changing move”. Rendere tutti i lavori pubblicamente disponibili annullerà la ragione di esistere della pirateria scientifica, ma sarà anche un problema non facilmente gestibile dalle case editrici classiche che dovranno cambiare il loro modello di business. (Fonte: P. Caravero, Scienza in rete 08-08-16)

DECRETO "SBLOCCA ENTI" PUBBLICI DI RICERCA APPROVATO DAL CdM
Meno burocrazia e più autonomia per favorire la competitività degli enti pubblici di ricerca: lo ha rilevato la ministra Stefania Giannini, commentando l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del decreto c.d. 'sblocca-enti' (“Schema di decreto legislativo recante semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca”), che semplifica l'attività dei 21 Enti pubblici di ricerca (EPR), 14 dei quali sono vigilati dal MIUR. In base al decreto gli enti pubblici di ricerca avranno per la prima volta un riferimento normativo comune, con un sistema di regole più snello e calibrato alle esigenze del settore. Il decreto prevede inoltre il recepimento della carta Europea dei ricercatori per garantire più libertà di ricerca, portabilità dei progetti, valorizzazione professionale, sistemi di valutazione adeguati. Gli enti pubblici di ricerca vengono inoltre svincolati dal ricorso obbligatorio al mercato elettronico per gli acquisti di attrezzature scientifiche, vengono eliminati i controlli preventivi sui contratti per esperti e collaboratori professionali, e vengono introdotte regole più flessibili per le spese di missione. Per assumere ricercatori e tecnologi, italiani e stranieri, soprattutto giovani, gli enti non dovranno più attendere l'autorizzazione del ministero competente nè avere posti liberi nella pianta organica. Come accade già per le università, gli enti che hanno risorse per farlo potranno assumere liberamente, entro il limite dell'80% del proprio bilancio. Unico vincolo sarà il rispetto del budget. Il decreto favorisce infine mobilità dei ricercatori, portabilità dei progetti di ricerca e rientro dei cervelli.
Il Presidente della Repubblica vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri ha trasmesso alla Camera dei Deputati lo “Schema di decreto legislativo recante semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca” il cui testo si può leggere qui anche con commenti. (Fonte: ANSA 25-08-16; ANPRI 27-08-16)


RICERCA. VALUTAZIONE DELLA RICERCA

I PRINCIPALI MEDIA SCIENTIFICI SI ALLEANO CONTRO IL METODO PIÙ USATO NEL MONDO PER VALUTARE LE RICERCHE E I RICERCATORI
I direttori di riviste e società autorevoli, come Nature, Science, Public Library of Science, National Academies of Science ed European Molecular Biology Organization, hanno pubblicato un articolo-manifesto per spiegare che l’Impact Factor («fattore di impatto»), l’indice che a livello internazionale misura la qualità della ricerca, non ha alcun valore reale. L’inusuale presa di posizione è stata pubblicata il 5 luglio sul sito www.biorxiv.org e ha fatto parecchio rumore nel dibattito internazionale. Un Impact Factor superiore a 5 rappresenta un ottimo valore. Le riviste più scadenti annaspano poco sopra lo zero. Nature e Science, le reginette del club, hanno un Impact Factor superiore a 30. Questi numeri, però, sono medie degne dei polli di Trilussa. Secondo i dati presentati nell’articolo su biorxiv.org, gli Impact Factor sono determinati da una piccola percentuale di ricerche molto citate, mentre la maggior parte degli articoli, anche sulle riviste più autorevoli, ottiene pochissime citazioni. Basta allora un pugno di articoli e un po’ di marketing per far impennare l’indice. Dato che proviene dai primi della classe (i principali media scientifici), la presa di posizione rappresenta un vero ammutinamento.
Il malcontento contro l’Impact Factor circola da tempo nei laboratori. Sempre più ricercatori si lamentano per l’abuso di questi parametri quantitativi, adottati non solo per giudicare le riviste ma anche quando si tratta di assegnare finanziamenti o favorire carriere. Secondo i critici, le citazioni contano ormai più dei contenuti. Le ricerche più popolari mettono in secondo piano quelle più coraggiose ma meno conosciute, e la stessa fine fanno i ricercatori. Riducendo tutto a un semplice numero, infine, si crea l’illusione che scienziati e ricerche in campi diversi possano essere misurati con un unico metro in maniera oggettiva.
In Italia, anche in futuro, i commissari di valutazione per l’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale, non dovranno nemmeno leggere gli articoli scientifici dei candidati, ma applicare solo metodi bibliometrici,  a differenza di quanto avviene negli altri Paesi. «Come se in un concorso enologico i sommelier non assaggiassero il vino» ha scritto Alberto Baccini, economista all’Università di Siena. (Fonte: Il Manifesto 22-07-16)

DOCUMENTO DELL’ACCADEMIA DEI LINCEI “SULLA NECESSITÀ DI UNA VALUTAZIONE STRAORDINARIA DELL’IIT”
“Considerata la recente decisione di affidare all’IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) un ruolo guida di un’impresa di grandissima importanza come lo Human Technopole, questa Commissione (Commissione dell’Accademia dei Lincei per i problemi della ricerca) ritiene che – essendo passata una decina d’anni da quanto l’IIT è diventato operativo – sia necessaria una valutazione straordinaria a tutto tondo per giudicare l’efficacia del modello di organizzazione dell’IIT come modello per sviluppare la ricerca italiana. Questa valutazione straordinaria dovrebbe essere fatta anche mediante site visit, sia studiando in dettaglio i bilanci, la struttura del management, la realizzazione concreta delle convenzioni universitarie, sia stimando il rapporto tra costi finanziari e benefici scientifici, paragonandolo a quello di altre istituzioni italiane. In particolare sarebbe importante valutare: • l’ingente accantonamento di risorse finanziarie; • la composizione di un Consiglio (di amministrazione) in cui sono assenti scienziati attivi nei campi di interesse dell’IIT, accompagnato da un Comitato Esecutivo in cui gli scienziati attivi nei campi di interesse dell’IIT sono in minoranza; • una politica di scarsa comunicazione, sia alla comunità scientifica che a un pubblico più vasto, di aspetti molto rilevanti della vita dell’Istituto: principalmente, ma non solo bilancio, verbali delle riunioni degli organi e delle commissioni per le assunzioni, rapporti di valutazioni …”. (Fonte: documento dell’Accademia dei Lincei pubblicato da Roars 20-07-16)


SISTEMA UNIVERSITARIO

UNIVERSITÀ. ASPETTI CRITICI DELLA SUA DIMENSIONE, DELLA SUA ARTICOLAZIONE TERRITORIALE, DELLA SUA QUALITÀ E DELLA “QUOTA PREMIALE” DESTINATALE DAL FFO
Gianfranco Viesti, docente di Economia applicata all’Università di Bari, ha coordinato un ampio Rapporto di ricerca realizzato dalla Fondazione Res (Università in declino. Un’indagine sugli atenei, da Nord a Sud, Donzelli, 2016) da cui sono tratti i dati riportati successivamente in un articolo su Il Mulino 3/2016. Di questo articolo sono di seguito segnalati in sintesi i punti ritenuti salienti.
Rispetto al momento di massima dimensione (databile fra il 2004 e il 2008), al 2014-15, il fondo di finanziamento ordinario (FFO) delle università è diminuito, in termini reali, del 22,5%; gli immatricolati di oltre 66.000 unità (–20%); i docenti di circa 11.000 (–17%); il personale tecnico amministrativo di circa 13.000 (–18%); i corsi di studio sono passati da 5.634 a 4.628 (–18%). Non ha paragoni negli altri Paesi colpiti dalla crisi, se non con il radicale, e assai controverso, processo di privatizzazione in corso in Inghilterra; e va comparato con aumenti anche sensibili registrati altrove, a partire dalla Germania. La spesa pubblica per l’istruzione universitaria per abitante ammonta, in anni recenti, a 332 euro in Germania, a 305 in Francia e a 157 in Spagna, a fronte di un valore di 117 euro per il Centro Nord e di soli 99 per il Mezzogiorno. L’Ue si è data l’obiettivo, al 2020, di avere il 40% di giovani (30-34 anni) laureati. L’Italia è nel 2014, al 23,9%: questo la colloca all’ultimo posto fra i 28 Stati membri.
Le nuove regole di governo del sistema stanno disegnando una differenziazione sempre più forte fra sedi più e meno dotate (in termini finanziari, di docenti, di studenti, di relazioni con l’esterno). Il FFO, in forte contrazione, a partire dal 2009 è stato suddiviso in una «quota base» e in una «quota premiale». La quota base è stata decrescente in valore assoluto e come peso sul totale; è passata, a valori correnti, dai 6,7 miliardi del 2008 ai 4,9 del 2015. Una parte crescente del FFO (fino al 20% del totale nel 2015, cioè quasi 1,4 miliardi) è stata allocata secondo criteri «premiali». La loro definizione è stata assolutamente discutibile. Nell’insieme ha seguito indirizzi opposti a quelli raccomandati dalla European University Association (EUA). L’EUA suggerisce di non aumentare eccessivamente la “quota premiale”: in Italia è arrivata ad un peso che non si ritrova in nessun altro Paese europeo, con l’eccezione del Regno Unito. Suggerisce di allocare su base premiale solo stanziamenti aggiuntivi. L’opposto di ciò che è accaduto in Italia; la quota determina solo una diversa modulazione, fra le sedi, dei tagli. Le regole premiali sono state imposte unilateralmente dal MIUR; e misurano comportamenti del passato, quando non era prestabilito quali fossero le metriche di giudizio. I criteri sono cambiati vorticosamente: fra il 2008 e il 2015 sono stati utilizzati 23 indicatori diversi, che sono cambiati – in misura rilevante – tutti gli anni (tranne uno).
L’Italia sta disinvestendo con particolare intensità nelle regioni più deboli sempre più; con una «serie A» a cui non vengono destinate risorse aggiuntive, ma che le sottrae all’altra componente del sistema. Con una «serie B» destinata, già nel medio periodo, a strutturarsi su un insieme di atenei destinati prevalentemente all’erogazione di una didattica di base, con meno insegnamento avanzato (corsi magistrali e dottorati) e meno attività di ricerca. Con la «serie A» tutta concentrata in un triangolo di 200 chilometri di lato con vertici Milano, Bologna e Venezia (e qualche estensione territoriale a Torino, Trento, Udine); e la serie B che copre il resto del Paese.
Una terza e ultima preoccupazione attiene alla qualità del sistema e delle sue componenti. Aree disciplinari di lunga tradizione, specie negli studi umanistici, si stanno fortemente ridimensionando e sono a rischio di deperimento. Vi è anche il rischio che la qualità della didattica diventi meno importante, dato che le sorti finanziarie delle istituzioni e di carriera dei singoli sono venute sempre più a dipendere dalla capacità di pubblicare articoli scientifici; con la possibilità di un’implicita marginalizzazione delle attività di docenza. Secondo Sabino Cassese, «i ricercatori hanno già cominciato ad apprestare e a presentare le proprie ricerche in funzione delle misurazioni e presto saranno pronti anche a ricercare in funzione delle misurazioni» (‘L’Anvur ha ucciso la valutazione, viva la valutazione’, il Mulino, n. 1/2013, pp. 73-79). (Fonte: vedi il primo paragrafo di questa nota)

UNIVERSITÀ. NON USCIRE DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE MA RIENTRARE NEL REGNO DEL BUON SENSO AMMINISTRATIVO
Può un sistema universitario moderno funzionare tra tanti lacci, lacciuoli, cavilli e pandette? No, non può. Ogni anno, quando escono i risultati delle competizioni ERC, si scatena la giaculatoria nazionale sul fatto che molti giovani italiani vincitori di questi preziosi grants dell’European Research Council già lavorano da tempo in Paesi dove concorsi, finanziamenti, promozioni si risolvono in università, non in tribunale, e in settimane, non in anni. Lacrime di coccodrillo, però, fintanto che non si affronta sul serio il problema di fondo, senza scorciatoie. D’altronde, sia chiaro, se l’ERC avesse sede in Italia incasserebbe una sconfitta al TAR dopo l’altra, perché le sue modalità di selezione sarebbero inesorabilmente dichiarate illegittime. Più che “uscire dalla Pa” (come ha affermato il premier) occorre quindi rientrare, ma presto, nel regno del buon senso, a beneficio però di tutti e non solo di pochi. Non è difficile. Si potrebbe cassare subito l’infausta norma che rialloca su base nazionale i fondi per assunzioni e promozioni; proseguire eliminando il controllo preventivo della Corte dei Conti sulle spese degli atenei e una serie di micronorme vessatorie: resterebbero in piedi solo i pochi e semplici vincoli sul pareggio di bilancio e sul controllo complessivo delle spese per il personale che servono a evitare le follie del passato. A quel punto si potrebbe davvero metter mano a una semplificazione più profonda del sistema nella sua interezza, a partire proprio da una riflessione sull’abilitazione e sui meccanismi di governo degli atenei. L’alternativa è un futuro schizofrenico in cui lo Stato regola o troppo o troppo poco, ma mai il giusto. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 05-07-16)

NUOVO PIANO TRIENNALE DI SVILUPPO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO PER IL 2016-2018
La ministra dell'Università e della Ricerca Stefania Giannini ha firmato il nuovo Piano triennale di sviluppo del sistema universitario per il 2016-2018. Gli atenei avranno più autonomia nella costruzione dei percorsi di laurea, per programmare la didattica in modo innovativo e flessibile e avvicinare di più l'offerta formativa alle esigenze degli studenti. Saranno incentivate l'internazionalizzazione dei corsi, l'assunzione di ricercatori e la chiamata diretta di vincitori di programmi ERC (European Research Council). Cambio di passo anche nella distribuzione dei fondi premiali: dal 2017 il 20% delle risorse sarà attribuito sulla base di parametri indicati dalle università all'interno di un paniere ministeriale. Organici: ciascun ateneo avrà facoltà di assunzione, con copertura nazionale del turnover al 60% rispetto al 50% attuale e garanzia di una quota fissa minima del 30% del suo turnover. (Fonte: Secolo XIX 09-08-16)            

DA DOVE VENGONO I MALI DEL SISTEMA EDUCATIVO
A partire dagli anni settanta, il sistema educativo è stato influenzato dalle trasformazioni culturali e sociali seguite al 1968. Ma c'era di più. C'era un atteggiamento complessivo che impediva alla classe politica di fronteggiare quelle trasformazioni con politiche volte a salvaguardare l'efficienza delle istituzioni educative. Ad esempio, quale fu la reazione della DC al '68? (con quale misura riformatrice scelse di confrontarsi con quegli eventi?). Fece la scelta peggiore: la pura e semplice liberalizzazione degli accessi, una misura che, non essendo accompagnata da altre riforme, forse contribuì a stemperare le tensioni ma di sicuro non favorì l'efficienza dell'istituzione universitaria. (Fonte: A. Panebianco, CorSera Sette 18-08-16)


STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO

STUDENTI. LE REGIONI E L’INNALZAMENTO DELLE SOGLIE DI REDDITO PER ACCEDERE ALLE BORDE DI STUDIO
La Toscana è solo l’ultima delle Regioni in ordine di tempo a innalzare le soglie del reddito per ampliare la platea di studenti che potranno ambire ad un contributo per pagarsi l’università: dopo la decisione del ministero di innalzare i tetti dei redditi, su pressing degli universitari, per recuperare il 20% delle borse «perdute», molte amministrazioni regionali si sono adeguate ai nuovi livelli e hanno anche introdotto altri accorgimenti per aiutare il diritto allo studio. Ma non tutte. Secondo le ricostruzioni dell’Unione degli universitari, le soglie sono state già aumentate in Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Abruzzo, Regioni dove potranno fare la domanda gli studenti con al massimo 23 mila euro di ISEE (l’indicatore di benessere economico) e 50 mila di ISPE (che valuta il patrimonio immobiliare): si tratta dei nuovi livelli stabiliti dal governo. Miglioramenti anche in Veneto (23 mila di ISEE, 35 mila di ISPE) e Sardegna (20.000 ISEE e 50.000 ISPE). Mancano gli atti conclusivi nelle Marche (21 mila ISEE e 38 mila ISPE) e in Umbria: anche qui le soglie dovrebbero essere innalzate al massimo, cioè 23 mila euro di ISEE e 50 mila di ISPE. L’abbassamento drastico dei tetti di reddito per chiedere la borsa di studio aveva ridotto non solo i beneficiari, ma anche i potenziali candidati: da 135 mila idonei nell’anno accademico 2014/15, si era passati ai 107 mila del 2015/2016, escludendo quasi 30 mila ragazzi che, pur non avendo mutato la propria condizione contrattuale, secondo i nuovi parametri non avevano ottenuto una borsa di studio per i nuovi criteri. Ma non tutte le Regioni hanno recepito la novità. (Fonte: V. Santarpia, CorSera 07-07-16)

ERASMUS ED ERC DOPO LA BREXIT
Tra gli effetti della Brexit si prospetta l'uscita dal programma europeo per l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport, noto come Erasmus+, attivato con il regolamento n. 1288/2013. Che è un successo per le strutture universitarie britanniche che accolgono dagli altri Paesi Ue 27.401 studenti a fronte di 15.610 giovani inglesi partiti per fare un'esperienza di mobilità all'estero. Sul totale degli studenti in ingresso nel Regno Unito, il 25% degli studenti Erasmus arrivati nelle università britanniche è francese, il 16% proviene dalla Germania, il 15,4% dalla Spagna e l'8,5% dall’Italia. Un flusso a beneficio degli studenti con zero costi di iscrizione, una borsa di studio, l’integrazione di più sistemi universitari e lo svolgimento di esami in più sedi, che poi confluiscono nel titolo dello Stato di origine. Se fino all’avvio della procedura di recesso tutto continuerà a funzionare come al solito, dopo i cambiamenti saranno inevitabili. È possibile, però, che siano di minore portata rispetto ad altri settori. Questo perché già oggi il programma Erasmus+, operativo dal 2014 al 2020, è aperto anche a Stati terzi, sia a quelli che fanno parte dello spazio economico europeo come Norvegia, Islanda e Liechtenstein, sia a Paesi candidati all’adesione come Turchia ed ex Repubblica di Macedonia. Non solo. Con Erasmus Mundus le frontiere si allargano e così gli spazi per gli studenti Ue di andare a studiare in un altro Paese. Considerando che l’Erasmus è una delle poche immagini di un’Europa che funziona. Integrata almeno negli studi è difficile dire addio a un meccanismo che porta benefici simultaneamente a studenti e strutture universitarie.
Contraccolpi gravi sulla ricerca e l’innovazione potrebbero arrivare dall’uscita dal sistema dello European Research Council (ERC). Proprio le università inglesi sono le principali beneficiarie di ricercatori impegnati in ricerche di eccellenza e innovative che si avvalgono dei fondi ERC. Nel 2015, il Regno Unito era in vetta alla classifica dei Paesi che hanno ricevuto più fondi per effetto dei progetti approvati (62), seguito dalla Germania. In questo settore, quindi, il danno è proprio alle strutture inglesi perché il sistema di ripartizione di fondi è basato sulle sedi in Stati membri e non sulla nazionalità dei ricercatori (già oggi possono essere extra Ue). (Fonte: M. Castellaneta, IlSole24Ore 30-06-16)

STUDENTI STRANIERI ISCRITTI
Secondo gli ultimi dati MIUR a disposizione, negli atenei italiani si contavano 70.339 iscritti stranieri nel 2014-2015: un quarto dei 271.399 della Francia, un terzo dei 206.986 della Germania e appena 13mila in più dei Paesi Bassi, aumentati oltre quota 57.500 nonostante le ovvie differenze di popolazione. Il bilancio è in crescita rispetto ai poco più di 30mila registrati nel 2003, ma resta lontano dai target che si sono posti da tempo i nostri vicini di casa europei. Soprattutto ora, con i contraccolpi della Brexit e la possibilità di intercettare il flusso di studenti spaventati dal rincaro delle rette nei college anglosassoni. Uno studio dell'agenzia di promozione London&Partner ha evidenziato come gli studenti internazionali generino un “tesoretto” di 3 miliardi di sterline l'anno in entrate alla sola Londra. Una cifra che potrebbe riversarsi al di fuori della City, in compagnia di un fattore che va oltre la contabilità pura: il capitale umano di talenti che studiano, si laureano e restano a lavorare nel Paese che li ha formati. (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 10-07-16)

STUDENTI. RIASSEGNAZIONE DEI POSTI RIMASTI LIBERI RISERVATI AGLI EXTRACOMUNITARI NELLE FACOLTÀ CON ACCESSO A NUMERO PROGRAMMATO
E’ in corso la riassegnazione dei posti rimasti liberi riservati agli extracomunitari nei corsi universitari con  accesso a numero programmato. Il Consiglio di Stato, infatti, sta continuando ad accogliere i ricorsi presentati a seguito della chiusura della graduatoria per i corsi di laurea in medicina e chirurgia, odontoiatria e medicina veterinaria. A renderlo noto, l'Unione degli universitari, tramite una nota con la quale ha fatto sapere che il Collegio, a seguito della Camera di consiglio che si è svolta nei giorni scorsi, ha ritenuto fondate le richieste dei ricorrenti dell'UDU, che reclamavano l'assegnazione del numerosi posti ancora disponibil. Nel dettaglio, oltre ai posti rimasti vuoti a seguito dalla chiusura della graduatoria effettuata dal MIUR, sui quali è stata disposta istruttoria e che si stimano in diverse centinaia, sono rimasti vacanti anche moltissimi posti del contingente riservato agli studenti non comunitari residenti all'estero. Questi ultimi non vengono ridistribuiti tra gli studenti comunitari lasciando i posti fruibili ma non assegnati. (Fonte: ItaliaOggi 16-07-16)

STUDENTI. ORIENTAMENTO PER LA SCELTA DEL CORSO DI LAUREA
La scelta del corso di laurea ha conseguenze non meno importanti rispetto a quella se intraprendere o no gli studi universitari. In un momento di profondo cambiamento delle figure professionali richieste sul mercato del lavoro, la capacità di orientare i giovani a prepararsi per il futuro ha un ruolo fondamentale per mitigarne gli effetti indesiderati. È però anche un compito difficile perché è necessario non solo capire quali saranno le competenze richieste dalle imprese, ma anche comprendere quali variabili incidono maggiormente sulla scelta degli studenti e intervenire su di esse. Di sicuro, un ruolo rilevante è svolto dalla percezione della propria abilità: difficilmente uno studente sceglierà di iscriversi a ingegneria se ritiene di non avere competenze e attitudini che gli permetteranno di affrontare con successo quel particolare percorso di studio. Una buona formazione di base consentirà agli studenti di fare scelte meno influenzate dal timore di non farcela a cimentarsi in discipline ritenute più difficili. Se alcune competenze risultano di particolare importanza, allora sarà bene incominciare a costruirle già a partire dalla scuola primaria. Importanti sono anche le informazioni di cui dispongono gli studenti circa l’offerta formativa delle università, i rendimenti attesi delle diverse lauree, le probabilità di abbandono. Interventi tesi a migliorare le competenze degli studenti e a migliorare la comunicazione tra famiglie, scuole e università, non solo permetterebbero agli studenti di fare scelte più libere e consapevoli, ma servirebbero anche a combattere le diseguaglianze poiché, secondo alcuni studi, queste politiche hanno un effetto positivo soprattutto sugli individui con background sociale più debole. (Fonte: M. De Paola e V. Scoppa, lavoce.info 19-07-16)


VARIE

SCI-HUB E LA "PIRATERIA SCIENTIFICA"
28 milioni di download in sei mesi, da una piattaforma che conta quasi 50 milioni di documenti. È Sci-Hub, uno dei maggiori siti web a livello mondiale da cui scaricare gratuitamente articoli scientifici, aggirando la necessità di pagare gli editori che di quegli articoli detengono i diritti. Inutile dire che si tratta di un sistema illegale, contro il quale si è mosso Elsevier e che alimenta il mercato della “pirateria scientifica”. John Bohannon in un articolo su Science fornisce le dimensioni del fenomeno. Contatta direttamente Alexandra Elbakyan, la giovane neuroscienziata che nel 2011 ha creato la piattaforma, la quale estrapola i dati e li rende disponibili. Da settembre 2015 a febbraio 2016 dei 28 milioni complessivi, sottolinea Bohannon, 4,4 milioni di download provengono dalla Cina, 3,4 milioni dall’India, più di 2,6 dall’Iran. Seguono Russia e Stati Uniti. Un quarto delle richieste di articoli arrivano dai 34 Paesi dell’Organisation for Economic Cooperation and Development (OECD), segno che non sono solo le ragioni economiche, negli Stati più poveri, a spingere in questa direzione. Il traffico, anzi, è particolarmente intenso in alcune università statunitensi ed europee, dove si suppone che l’accesso alle riviste scientifiche sia più facile grazie anche agli abbonamenti istituzionali. Sono stati contati a livello mondiale 3 milioni di indirizzi IP e ciò significa che il numero di chi si serve di Sci-Hub è molto maggiore, dato che nelle università ad esempio le persone che condividono le stesse risorse informatiche sono molte. Se si guarda all’Italia, ci si accorge che il sito non è sconosciuto. Solo per dare qualche numero esemplificativo, nella città di Padova in sei mesi i download sono stati 6.371, a Milano 24.172 (senza contare tutto l’hinterland milanese), a Roma 42.981. Chi ricorre alla piattaforma o ad altri siti pirata dichiara di farlo principalmente perché non ha accesso alle riviste (51%), per opporsi ai profitti degli editori (23%), ma anche perché il sistema è più semplice di quello proposto dalle biblioteche o dagli editori (17%). (Fonte: M. Panetto, IlBo 01-08-16)

ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA E PUBBLICHE RELAZIONI
Alla governance di IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) qualche mese fa la redazione di Roars ha posto dieci domande . La redazione di Roars non ha mai ricevuto risposta malgrado alcune di queste domande siano state discusse anche dal rapporto della senatrice Cattaneo. In una intervista al sito Motherboard, che ha approfondito la questione Human Technopole, è stato chiesto di nuovo a IIT una risposta alle domande di Roars. Così il giornalista racconta la replica di IIT: «Ho chiesto a Stefano Amoroso, addetto alle pubbliche relazioni presso l’IIT, se fosse a conoscenza delle dieci domande di Roars e la sua risposta è stata: le risposte sono informazioni disponibili sul sito IIT.it. Alcune di esse sono senza ratio, oppure da rivolgere ai ministeri vigilanti». In calce all’articolo G. Pastore ha commentato: Vertici IIT e “responsabile” dovrebbero imparare da zero cosa vuol dire “pubbliche relazioni”. Ma da persone così contigue al mondo politico italiano sarebbe difficile aspettarsi un atteggiamento meno arrogante. (Fonte: Redazione Roars 21-06-16)

CINECA. LE DOMANDE DI ROARS DOPO UNA MANIFESTAZIONE DEI DIPENDENTI
Cosa sta succedendo al Cineca? E’ possibile che un organismo pubblico finanziato con il denaro dei contribuenti possa agire indisturbato, senza trasparenza, generando episodi come quello appena accaduto (http://www.roars.it/online/tag/cineca/, Il Resto del Carlino 15-07-16), che dimostra un atteggiamento intollerabile di censura? Perché i vertici di Cineca non vogliono che vengano diffuse informazioni e sanzionano i dipendenti che esprimono le proprie opinioni? Quali e quante sono le persone che hanno lasciato il consorzio da quando è iniziata l’epurazione dei vertici? Che ruolo ricoprivano e che profilo avevano? Quale politica del personale è stata adottata per salvaguardare le professionalità elevate? Quali danni subiranno gli atenei a causa di una politica del personale che porta come conseguenza rilevanti perdite fra coloro che dovrebbero occuparsi di innovazione, di tecnologie avanzate e di servizi informatici complessi ed essenziali per gli atenei consorziati? (Fonte 18-07-16)

NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NON SI PUÒ CONTINUARE A LAVORARE OLTRE L’ETÀ PENSIONABILE
La Corte Costituzionale ha dato il semaforo verde al decreto Madia, convertito poi in legge nel 2014. La Consulta ha bocciato le ‘pretese’ anti-costituzionali presentate in particolare per alcuni docenti universitari e avvocati dello Stato, spiegando: “Il decreto favorisce il ricambio generazionale”. La legge Madia abolisce il trattenimento in servizio anche oltre il limite d’età che dà la possibilità di andare in pensione. Quindi, per il pubblico impiego lo stop bisogna farlo risalire al 31 ottobre 2014, mentre una deroga è stata concessa ai magistrati, con scadenza fissata alla fine di quest’anno. La sentenza della Consulta ha il numero 133 e dice: “La norma che prevede l’eliminazione del trattenimento in servizio si inserisce tra le misure volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti pubblici e costituisce un primo intervento, peraltro puntuale e circoscritto, di un processo laborioso, destinato a dipanarsi in un arco temporale più lungo, volto a realizzare il ricambio generazionale del settore”. (Fonte 22-07-16)

DATI OCSE SULLA SCUOLA
Il pil pro capite e la spesa per studente italiani sono in linea con la media dell'OCSE (il pil pro capite in Italia è di Usd 32.110 rispetto a una media Ocse di 33.732 e la spesa per studente è di 84.416 rispetto a una media Ocse di Usd 83.382). Pertanto, coloro che sostengono che nel nostro paese si spende per la scuola meno che negli altri paesi industrializzati dicono sciocchezze. In Italia, solo il 17% dei 35-44enni ha una qualifica di livello terziario (universitario) rispetto a una media Ocse del 34%. Insomma, l'analisi compilata dall'Ocse è una radiografia né benevola né malevola della scuola italiana. Ricordiamo che molti insegnanti e molte organizzazioni di studenti si sono opposti ai test e, anzi, li combattono: è la scelta dell'asino che non vuole essere valutato proprio per non «far conoscere» la sua asinaggine. C'è un dato però che manca e che aiuterebbe a comprendere sino in fondo i fenomeni che percorrono i nostri plessi scolastici: si tratta delle differenze Nord/Centro/Sud/Isole degli esami di ammissione nelle università italiane più accreditate nella classifica internazionale degli atenei (Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Padova, etc). Negli ambienti universitari si parla di una falcidia degli studenti che provengono dalle scuole medie superiori del Sud e delle Isole, a dimostrazione che i 100 su 100 distribuiti a piene mani (per esempio in Puglia) non corrispondono a preparazioni spiccate. (Fonte: D. Cacopardo, ItaliaOggi 30-08-16)

I LICEI BREVI AL VIA
Nelle prossime settimane il ministro dell'Istruzione firmerà il decreto che darà il via libera alla creazione di altre 60 prime classi di scuole superiori 'brevi'. La sperimentazione si allargherà a partire dall'anno scolastico 2017-2018. Il diploma sarà conseguito dagli studenti in corso dopo quattro anni di studi, a 18 anni, come già accade in Inghilterra, Francia, Spagna e negli istituti tecnici tedeschi. Al momento, la sperimentazione coinvolge 11 scuole, 6 pubbliche e 5 paritarie, tra cui il San Carlo di Milano, il Visconti di Roma e l'Esedra di Lucca. Cinque al Nord, due al Centro e quattro al Sud. Per candidarsi, le scuole dovranno dimostrare la qualità della propria offerta formativa, specie sul piano dell'innovazione, dell'utilizzo delle tecnologie e delle attività di laboratorio. Inoltre, peserà molto il potenziamento, fin dal terzo anno, del Clil, cioè l'insegnamento di una disciplina in lingua straniera e un percorso di alternanza scuola - lavoro. (Fonte: v.p., QN 30-08-16)


ATENEI. IT

CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE LA REPUBBLICA-CENSIS - LE MIGLIORI UNIVERSITÀ ITALIANE 2015-2016
Tra gli atenei con più di 40mila iscritti è nettamente in cima alla classifica l'università di Bologna, grazie soprattutto alla qualità dei suoi servizi digitali. Seguono Padova e Firenze. L'università di Pisa si piazza invece ai piedi del podio, insidiata dalla "Sapienza" di Roma e da quelle di Palermo e Torino. La statale di Milano è solo ottava.
Perugia e Pavia: sono queste le città in cui si possono trovare i migliori atenei di grandi dimensioni (tra i 20mila e i 40mila iscritti). Terza l'università della Calabria di Cosenza; più staccate Parma, Genova, Cagliari e Verona. Arrancano quelle delle grandi città come "Tor Vergata" a Roma e la "Bicocca" di Milano.
Per quel che riguarda le università considerate piccole (numero di iscritti tra 10mila e 20mila) spicca l'ateneo di Trento, quello che ottiene il punteggio più alto tra tutte le università d'Italia; buoni risultati anche per Siena, Sassari e Trieste.
Molti preferiscono studiare in atenei dal numero contenuto di iscritti, sperando di riuscire a orientarsi meglio e di essere seguiti di più nella didattica. L'università di Camerino, in questo, sembra essere una garanzia, piazzandosi nettamente in testa tra gli atenei con massimo 10mila iscritti. Più staccate altre realtà di provincia come Foggia, Macerata e Teramo.
La classifica Repubblica-Censis ha voluto mettere in una casella a parte i politecnici, forse per la particolarità dell'insegnamento, che li differenzia da tutte le altre università. In questo settore la medaglia d'oro va a quello di Milano, seguito da quello di Venezia. Più giù Torino e Bari. (Fonte)

CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE SECONDO THE TIMES HIGHER EDUCATION
Quali sono le migliori università italiane secondo il Times Higher Education Magazine? La migliore università italiana è la Normale di Pisa che conquista il 50° posto, seguita dalla Scuola Sant’Anna di Pisa al 90°. E le altre? In totale sono ben 19 gli atenei italiani presenti tra i top 200 d’Europa e si trovano quasi tutti nel Nord Italia. Ma ecco allora la classifica delle università italiane che è possibile ricavare da quella del Times Higher Education Magazine: 19 Università di Roma3 18 Università di Roma Tor Vergata 17 Università di Modena e Reggio Emilia 16 Politecnico di Torino 15 Università di Verona 14 Università di Milano Bicocca 13 Università di Firenze 12 Università di Pavia 11 Università di Napoli Federico II 10 Università di Torino 9 Università di Milano Statale 8 Università di Trieste 7 Università di Padova 6 Università di Roma La Sapienza 5 Università di Bologna 4 Politecnico di Milano 3 Università di Trento 2 Scuola Superiore Sant’Anna 1 Scuola Normale Superiore di Pisa
(Fonte)

UPO. LA SCUOLA DI MEDICINA AL SECONDO POSTO SU 44 SCUOLE
La Scuola di Medicina dell'Università del Pie­monte Orientale (UPO) si è classificata al secondo posto, in Italia, su 44 scuole, come produttività scientifica; i dati sono del Censis e si riferisco­no al biennio 2015-2016. Il traguardo raggiunto è solo uno dei tanti che l'hanno caratterizzata negli anni re­centi. La Scuola, presieduta dal professor Giorgio Bellomo, coordina l’intera offerta for­mativa nel campo medico, delle professioni sanitarie e delle biotecnologie dell'UPO, e si articola nel Dipartimen­to di Medicina Traslazionale (DIMET), diretto dal professor Gian Carlo Avanzi, a voca­zione essenzialmente clinica, e nel Dipartimento di Scien­ze della Salute (DISS), diretto dal professor Umberto Dian­zani, a vocazione essenzial­mente biologica. La sede di attività principale della Scuo­la è l'Azienda Ospedaliero­-Universitaria Maggiore della Carità di Novara, cui si ag­giunge una presenza minore nella sede ospedaliera dell'Asl di Vercelli. La Scuola di Me­dicina conta circa 100 docen­ti e ricercatori e oltre 100 tra dottorandi, borsisti e asse­gnisti di ricerca. Il rapporto studenti/docenti è pari a 28, contro una media nazionale superiore a 30. L'Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Univer­sitario e della Ricerca (ANVUR) ha dato un ottimo giudizio dei due dipartimenti. DIMET si è posizionato al 3° posto su 91 nelle Scienze Mediche, mentre DISS si è posizionato al 14° posto su 99 nell'Area della Scienze Biologiche. (Fonti: Censis e Anvur, giugno 2016)


UE. ESTERO

L’ERC (CONSIGLIO EUROPEO DELLA RICERCA) NEL 2017 AVRÀ A DISPOSIZIONE 1,8 MILIARDI DI EURO
Per i bandi del prossimo anno l’ERC - il Consiglio europeo della ricerca - avrà a disposizione 1,8 miliardi di euro, il budget più alto da quando si è insediato nel 2007. Fondi così cospicui non si vedevano dal 2013, quando le risorse a disposizione raggiunsero la cifra record di 1,75 miliardi. Secondo le stime dell’ERC saranno 1070 i cervelli che beneficeranno direttamente dei bandi 2017 sfruttando le ambitissime borse (i Grant) che valgono ognuna fino a 2,5 milioni di euro. A cui si aggiungeranno 6500 tra post doc, dottorandi e altri giovani che faranno parte dei gruppi di ricerca che saranno costituti dai vincitori dei Grant. In tutto saranno dunque almeno 8000 i ricercatori coinvolti. Per partecipare ci sarà tempo fino al 18 ottobre prossimo. Il secondo bando - «Consolidator Grant» - è destinato a ricercatori che stanno entrando nel pieno della loro carriera con fondi cospicui (fino a 2 milioni di euro a progetto) per le loro ricerche. Il bando mette in palio 575 milioni per circa 320 ricercatori e si aprirà il 20 ottobre per chiudersi il 9 febbraio del 2017. Il 16 maggio del prossimo anno si aprirà invece la hall «Advanced Grant» - quella che premia con maxi borse da 2,5 milioni di euro i migliori ricercatori senior d'Europa - che ha a disposizione 567 milioni e si chiuderà il 31 agosto del 2017 finanziando circa 245 borse. Infine con il bando «Proof of concept» - che ha tre scadenze durante l’anno - l’ERC finanzierà quegli scienziati che hanno già vinto borse di ricerca del Consiglio europeo della ricerca e che vogliono portare le loro idee sul mercato, coprendo aspetti come i costi della proprietà intellettuale, lo sviluppo tecnico del progetto e le ricerche di mercato. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 27-07-16)

IL TERZO LIVELLO D’ISTRUZIONE (UPPER SECONDARY) IN EUROPA
In Europa tra tante formule diverse c’è una costante: quasi ovunque, le scuole equivalenti ai nostri licei (o istituti superiori) non durano più di quattro anni. Ma è molto difficile fare confronti a partire dal concetto italiano di “scuola secondaria di secondo grado”, perché in Europa la struttura dell’istruzione ha delle sue peculiarità in ogni Paese, quindi cicli e gradi non corrispondono. Molto meglio, quindi, usare la classificazione internazionale ISCED 1997, creata dall’Unesco proprio per risolvere questo problema. L’Unesco individua sette livelli di istruzione, che vanno dallo zero (scuola per l’infanzia) al sesto (gli studi finalizzati a formare i ricercatori). Una revisione dei livelli ISCED ha portato, nel 2011, a definire nove livelli complessivi, senza però mutare quelli che analizzeremo. Il livello che a noi interessa è il terzo (“upper secondary”), che identifica il ciclo preuniversitario o finalizzato a formare “competenze professionali rilevanti”. Vediamo anzitutto, a prescindere dalla durata del ciclo nei vari Paesi, a che età gli studenti europei lo terminano. Fatte anche qui le doverose eccezioni (alcuni ordinamenti sono molto complessi e ramificati), l’Unione si divide in due gruppi principali: da una parte l’ex Europa dell’Est, i Paesi nordici e l’Italia, in cui il ciclo si conclude a 19 anni; dall’altra gli stati dell’Europa occidentale, in cui il diploma si consegue a 18. La Germania è a metà strada (le scuole di questo livello terminano a 18 o 19 anni a seconda dell’indirizzo scelto). Se dunque tentiamo di riassumere un panorama molto variegato, e cerchiamo di trovare aspetti comuni, possiamo dire che una maggioranza di Paesi prevede una “scuola media” che si protrae fino ai 15/16 anni (momento che spesso coincide col termine della scuola dell’obbligo) cui segue un triennio o quadriennio di “scuola superiore” che si conclude, ovunque, a 18 o 19 anni di età.
In conclusione, rispetto al modello italiano, la maggioranza dei componenti dell’Unione opta per un secondo livello (“lower secondary”) che rispetto alle nostre scuole medie triennali è spostato in avanti, e si estende fino ai 15 o 16 anni contro i nostri 14; invece, ad essere abbreviato praticamente ovunque è, rispetto al nostro quinquennio superiore, il terzo livello (“upper secondary”), che dura in genere 3 o 4 anni, e si conclude a 18 o 19 anni a seconda dell’area europea analizzata (un’esigua minoranza di Stati prevede una durata biennale o di cinque anni come in Italia). (Fonte: M. Periti, IlBo 13-05-16)

EUA. CONTRO LA SOSPENSIONE DI MIGLIAIA DI DOCENTI UNIVERSITARI TURCHI
L’European University Association (EUA) si è mobilitata contro le misure adottate dal presidente turco Erdogan all’indomani del tentativo di golpe. Il documento sottoscritto dall’associazione degli atenei europei e dalla CRUI, la Conferenza dei rettori delle università italiane, condanna “le azioni che stanno colpendo i diritti civili dei singoli e delle collettività”. “In particolare - prosegue il documento - vengono mortificate le libertà di ricerca, insegnamento, autogoverno per lunga tradizione proprie delle Università ed essenziali alla loro vita. Già nell’immediato, le misure del Governo turco provocano gravi danni alle collaborazioni oggi attive e stabilite grazie a un lungo percorso ispirato a valori che oggi vengono negati”. Ad oggi (21 luglio) sarebbero 15.200 i professori sospesi, mentre il Consiglio per l’Istruzione Superiore (YÖK) ha ordinato le dimissioni di alte cariche delle università (1176 da quelle statali e 401 da quelle gestite da fondazioni. (Fonte: Primapress 21-07-16)

FRANCIA. FORTE AUMENTO DEI LAUREATI
La Francia segna il record di laureati nel 2016 con un indice dell’88,5%, superando così anche la buona performance del 2014. Obiettivo della legge di riforma transalpina è il 90%, recuperando così i ritardi che si erano accumulati sino al 2010. Saranno, dunque, circa 635 mila i nuovi laureati che usciranno dalle università francesi secondo il dato diffuso in questi giorni dal Ministero dell’Education. La lettura del dato, secondo gli analisti, è non solo nel nuovo piano di studi più contemporaneo messo a punto da Najat Vallaud-Belkacem, la 40enne ministra emigrata dal Marocco che ha infranto gli stereotipi razzisti con lo slogan “una scuola per tutti”, ma è anche la forte preoccupazione della crescita dei livelli di disoccupazione in fasce di popolazione meno professionalizzate. (Fonte: Primapress 10-07-16)

FRANCIA. LA SELECTION DES ETUDIANTS POURRAIT ETRE AVANCEE A L'ENTREE DU MASTER 1 (BAC +4) ET NON PLUS A L'ENTREE DU MASTER 2 (BAC +5)
Pour certains au gouvernement, ce serait aujourd'hui «le bon moment» pour faire avancer le dossier de la sélection des masters universitaires, car les esprits «se sont ouverts sur la question». Dans l'entourage de Thierry Mandon, secrétaire d'État à l'Enseignement supérieur et à la Recherche, on estime qu'une «loi» pourrait clore ce feuilleton juridique qui traine depuis des années, mais on reste prudent: «Rien ne sera fait si on ne trouve pas un accord avec les différentes parties, Conférence des présidents d'université, représentants étudiants.» D'après des discussions datant du mois de juin, la sélection des étudiants pourrait etre avancée à l'entrée du master 1 (bac +4) et non plus à l'entrée du master 2 (bac +5). Les recalés se voyant proposer d'autres diplómes «car il n'est pas question qu'ils ne puissent pas poursuivre leurs études», souligne-t-on. Le gouvernement avait bien tenté quelque chose pour éviter une multiplication des recours administratifs. Le 27 mai 2016, un décret dressant la liste des M2 sélectifs pour la rentrée 2016 était publié. Un texte législatif semble désormais incontournable, car ce décret semble insuffisant. Notamment aux yeux des présidents d'université. Pour Manuel Tunon de Lara, président de l'université de Bordeaux, favorable à une sélection à l'entrée du Ml, «on est arrivé au bout d'un système. Le problème, c'est que dès que le mot sélection apparaft, on en revient à des combats d'arrière-garde. Il est pourtant tout à fait possible de proposer à un étudiant en licence de biologie, refusé en neurosciences, un dipléme alternatif de biogénétique, par exemple». (Fonte : Le Figaro 26-08-16)

GB. I VICE RETTORI DI UNIVERSITÀ INGLESI INUTILMENTE SI SONO OPPOSTI ALLA BREXIT
I vice rettori di un centinaio di università del Regno Unito hanno firmato una lettera aperta contro l'uscita del Paese dall'Unione Europea, mettendo in guardia sul fatto che essa danneggerebbe l'istruzione, diminuirebbe le opportunità per i britannici e minerebbe la posizione di leader in scienza e innovazione. II testo è firmato dai vice rettori di quasi tutti gli atenei del Paese, che si definiscono gravemente preoccupati. Tra i firmatari ci sono i responsabili delle università di Oxford, Cambridge, Durham e Bristol. “La permanenza nell'Ue sostiene le università britanniche nell'attrarre le menti più brillanti di tutta Europa, il che rinforza la ricerca universitaria e l'insegnamento e contribuisce alla crescita economica”, si legge nella lettera. Gli accademici mettono in guardia anche sul fatto che l'uscita creerebbe “un ambiente difficile per l'investimento ad ampio spettro nell'educazione superiore e nella ricerca”. (Fonte: Avvenire 22-06-16)

GB. HORIZON2020 DOPO BREXIT
Dopo Brexit tremano anche le università inglesi che verranno private di 1,2 miliardi di sterline che ogni anno Bruxelles rilasciava a favore degli istituti universitari britannici. Un fondo che è destinato a diminuire notevolmente e che potrebbe provocare non pochi danni alla ricerca e conseguentemente la fuga dagli atenei di molti studiosi provenienti da tutta Europa. Il programma
Horizon2020, che finanzia la ricerca sia nelle aziende private che nelle università, finirà tra quattro anni, dopodiché, per gli atenei inglesi sarà davvero difficile. Solo tra il 2007 e il 2013 Bruxelles ha erogato 7 miliardi di euro. (Fonte: Il Mattino, 02-07-16)

GB. ALLARME PER L’ERASMUS DOPO LA BREXIT
La Gran Bretagna dopo aver scelto l'addio all'Europa rischia di vedere anche i suoi studenti e le università esclusi dal celebre programma Erasmus. E' l'allarme lanciato sulle pagine dell'Observer da Ruth Sinclair-Jones, che dirige nel Regno Unito l'interscambio degli studenti europei e parla di un ''momento di grande incertezza''. Non solo i giovani britannici potrebbero venir esclusi da importanti periodi di formazione all'estero ma gli atenei del Regno finirebbero col subire cospicui tagli di fondi alle loro finanze, fondamentali ad esempio per la ricerca. Al momento, sempre stando a Sinclair-Jones, non ci sono ancora conseguenze dirette, ma ''sul lungo periodo, la situazione è del tutto incerta'', e già dall'anno prossimo ci potrebbero essere drastici cambiamenti. Secondo i dati diffusi dall'Observer, si contano 120 mila studenti dai Paesi Ue nelle università del Regno Unito e di questi 27.400 appartengono al programma Erasmus che paga attraverso borse di studio le loro rette. (Fonte: ANSA 24-07-16)

GB. COMBINARE ISTITUZIONE E CORSO DI LAUREA PER LA MIGLIORE CORRELAZIONE LAUREA-GUADAGNI
Secondo ricercatori dell’Institute for Fiscal Studies conviene dirottare i propri interessi accademici verso le materie più redditizie: sarà dunque utile iscriversi a medicina, economia e giurisprudenza. Al limite, lingue straniere. E comunque, l’università conviene scegliersela bene perché - dice la ricerca - nella correlazione laurea-guadagno c’è una variazione più considerevole fra le istituzioni accademiche in cui ci si laurea che fra le materie di studio scelte. Pertanto, se ce lo si può permettere l’iscrizione va fatta alla University of Cambridge, che garantisce un futuro stipendio annuo al di sopra del 50 percentile, con punte sopra al 90 (corrispondente a 121.400 sterline annue). Combinando istituzione e corso di laurea, conviene trasferirsi a Londra e frequentare Imperial College, London School of Economics o Kings College, che sono specializzati nell’offrire lauree proprio nei campi più redditizi. Ma poiché per accedere a questi tre istituti è necessario poter pagare rette molto alte e permettersi di vivere in una delle città più costose d’Europa, va da sé che sia pure necessario avere le spalle ben coperte da un reddito famigliare di tutto rispetto. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 22-07-16)

GERMANIA. L’UNIVERSITÀ TEDESCA STAREBBE SOSTANZIALMENTE RINUNCIANDO ALLA CULTURA COME PERNO INTORNO A CUI ARTICOLARE LE PROPRIE VARIE ATTIVITÀ
In molti modi e per varie ragioni l’università europea non è più padrona del suo destino, non decide più di sé, ma si trova invischiata in una congiuntura che la fa essere sempre di più una macchina etero-diretta: non ha più la mano sulla barra del timone che decide del suo corso. Intorno a questo è calato un grande silenzio, come se si trattasse di un fato tanto implacabile quanto del tutto coerente alla logica dei tempi. E, pertanto, cosa su cui non vale la pena di spendere una parola.
Circoscrivo queste mie riflessioni a un luogo e a un tema solo. Il luogo è il mondo universitario tedesco, perché è quello in cui mi sono formato e che meglio conosco dall’interno. Il tema è quello di una quasi ossessiva orientazione esclusiva al lavoro, almeno qui in Germania, di tutto il comparto formativo: iniziando dal liceo e passando poi attraverso l’università. Da qui la scelta di ridurre di un anno gli studi liceali, anticipando la maturità, per consentire un più rapido inserimento nelle attività lavorative. E, conseguentemente, una visione degli studi universitari in chiave prettamente funzionale alla loro applicabilità immediata nel lavoro futuro, che incombe imminente con la sua aura allettante di una promessa di successo e benessere economico inesauribile. Tutto questo con ricadute di cui scarichiamo i costi esistenziali sulle generazioni future. Tra il processo di Bologna, che ha trasformato l’architettura degli studi universitari in una sorta di prolungamento del modello liceale, e questa pressione ossessiva verso l’attività lavorativa, l’università tedesca sta sostanzialmente rinunciando alla cultura come perno intorno a cui articolare le proprie varie attività. La cultura, questo essere indefinibile, sfuggente, ma così prezioso per la formazione dell’umano all’avventura di vivere, paga il prezzo della sua non immediata fruibilità; perdendosi nei meandri curricolari ossessivamente orientati alla loro spendibilità remunerativa nel lavoro che verrà. (Fonte: M. Neri, Il Mulino 3/206 05-07-16)

GERMANIA. L’ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE
In Germania il sistema di istruzione “upper secondary” è complesso e ricco. Costituisce il naturale proseguimento di un livello precedente ad esso collegato ed altrettanto variegato. Una ricchezza che si traduce anche in una grande flessibilità, che permette frequenti passaggi da un indirizzo all’altro nel corso dello stesso ciclo. Ciclo inferiore e superiore coprono la fascia d’età che va dai 10 ai 18 o 19 anni. In genere il ciclo superiore inizia a 16 anni e si conclude a 18 o 19, a seconda del percorso scelto. La scuola principale per gli studi generali è la Gymnasiale Oberstufe, che costituisce la parte finale (dai 16 ai 18-19 anni) del Gymnasium. Nella stessa fascia d’età c’è il biennio (16–18 anni) della Fachoberschule: un primo anno di lezioni teoriche e tirocini, un secondo anno di materie professionalizzanti. C’è anche la Berufsfachschule, una scuola per la fascia 16–19 anni orientata al mondo del lavoro, che lascia ampio spazio alla pratica professionale. Vi sono poi molte varianti, anche specifiche dei singoli Länder (gli Stati federati della Germania). (Fonte: M. Periti, IlBo 13-05-16)

SVIZZERA. OPPOSIZIONI ALLA PROPOSTA DI TRASFORMARE PARTE DELLE BORSE DI STUDIO UNIVERSITARIE IN PRESTITI NEL CANTONE TICINO
«Le borse di studio non si toccano». E' questo il messaggio lanciato oggi dal Partito Socialista, che si oppone alla proposta di trasformare parte delle borse di studio universitarie in prestiti. La proposta di PLR, PPD e Lega è definita «inaccettabile» dai socialisti che annunciano battaglia. Infatti, secondo i socialisti questo tipo di misura di risparmio «riduce le opportunità di accesso a studi superiori ai giovani ticinesi dei ceti meno abbienti» in un contesto economico e sociale «che vede già una riduzione delle buone prospettive professionali anche per i giovani ben formati». L'ipotesi riguarda chi segue un percorso di studi universitari triennali, «visto che l'accordo intercantonale vigente impedisce che venga applicata anche ad altri studenti». (Fonte 26-08-16)

A PROPOSITO DELLA REPRESSIONE DELLA LIBERTÀ ACCADEMICA COME IN TURCHIA
«L’educazione ‘liberale’ libera la mente dalle catene dell’abitudine e della tradizione, formando persone in grado di operare con sensibilità e prontezza come cittadini del mondo», scrive Seneca nel De ira: è questa la straordinaria potenza del pensiero critico, che è tanto temuta da ogni regime illiberale, proprio perché, in quanto esercizio di verità, e «compito per definizione infinito», non può che apparire al potere, agli automatismi e all’opacità dei suoi processi decisionali, «una tecnica di disturbo» (Edward Said). Come donne e uomini del mondo universitario, dobbiamo oggi ribadire con forza e con orgoglio il significato dell’universitas: “università” non è altro che una totalità che è sempre in divenire, che si fa cioè continuamente attraverso la libera produzione e circolazione del sapere, e attraverso il confronto aperto e spesso produttivamente conflittuale delle idee e delle tesi. Una protesta unitaria di tutto il mondo universitario che richiami al valore formativo del pensiero critico sarebbe un momento di assunzione consapevole del nostro compito di docenti e ricercatori, e della forza e dell’importanza che questo compito ha: difendere il diritto al sapere contro la repressione e la violenza. (Fonte: Redazione Roars 07-08-16)

USA. LA SPESA IN SCIENZA E TECNOLOGIA
Gli Stati Uniti d’America si confermano nel 2016 il paese che investe di più al mondo in scienza e tecnologia (R&S). Alla fine di quest’anno, prevedono gli esperti della rivista R&D Magazine, che dal 1959 redige ogni anno un suo accreditato Global R&D Funding Forecast, gli investimenti americani in R&S saranno pari al 2,77% del Prodotto interno lordo (Pil) e raggiungeranno l’inedita cifra di 514 miliardi di dollari: il 3,4% in più rispetto al 2015 (il 2,0% al netto dell’inflazione). Vedi Tabelle A, B, C. (Fonte: Scienza in rete 05-08-16)

TABELLA A. Spesa in R&S negli ultimi tre anni (in miliardi di dollari)

2014
2015
2016
USA
485
497
514
Cina
344
373
396
Giappone
163
165
167
Germania
103
107
109
Corea del Sud
64
75
77
Totale    Mondo
1803
1883
1948

 
TABELLA B. Investimenti USA in R&S per fonte nel 2016 (in miliardi di dollari)

Spesa assoluta
% rispetto al totale
Governo federale
131,3
25,5
Industria
338,4
65,8
Università
18,3
3,6
Altra spesa pubblica
6,5
1,3
No-profit
19,5
3,8
Totale
514
100

TABELLA C. Le 10 università USA che investono di più in R&S (in milioni di dollari)


R&S
Da fonte federale
% da fonte
federale
1.
Johns Hopkins
2169
1539
71
2.
Univ. Michigan,
Ann Arbor
1375
610
44
3.
Univ. Washington, Seattle
1193
660
56
4.
Univ. Wisconsin, Madison
1124
440
39
5.
Univ. California,
San Diego
1076
566
53
6.
Univ. California,
San Francisco
1043
574
55
7.
Harvard Univ.
1013
459
45
8.
Duke Univ.
993
454
46
9.
Univ. NC,
Chapel Hill
973
442
45
10.
Univ. California,
Los Angeles
967
481
50


LIBRI

NON AVERE PAURA DI SOGNARE. DECALOGO PER ASPIRANTI SCIENZIATI
Autore: Alberto Mantovani. Ed. La Nave di Teseo, Collana Le Onde, 2016. Pg. 150.
Quando l'astronauta Neil Armstrong lasciò la prima impronta dell'uomo sulla Luna, la sua voce entrò in tutte le case: "Un piccolo passo per un uomo, un grande salto per l'umanità". La scienza, d'altronde, si racconta attraverso le intuizioni delle menti geniali che la illuminano, lasciando nell'ombra i "piccoli passi" che portano un giovane studente a diventare un grande scienziato. Alberto Mantovani, noto immunologo (il ricercatore italiano più citato al mondo), raccoglie in questo libro dieci regole per coltivare il sogno di molti ragazzi. Scorrendo questi consigli - che parlano di passione e rispetto, creatività e apertura al mondo, che invitano a non temere la fatica e ad ascoltare gli altri - si scopre pagina dopo pagina una guida per realizzare se stessi anche al di fuori del mondo della ricerca, nel lavoro e nella vita. «Un giovane può e deve avere l'ambizione di migliorare il mondo e un ricercatore può farlo in diversi modi. Prima di tutto attraverso il progresso scientifico, poi con il superamento, in nome della scienza, di divisioni che caratterizzano il mondo politico, infine contribuendo — specie se si fa ricerca medica — a colmare il gap nell'assistenza sanitaria fra le diverse parti del mondo. Per questi scopi è fondamentale la condivisione: con i colleghi e verso la società. Affrontare un problema in biologia e medicina richiede che si mettano insieme più competenze, che devono essere combinate per raggiungere un risultato rilevante. È successo e sta succedendo in questo campo quello che è accaduto in fisica: il passaggio da una ricerca condotta dal singolo laboratorio a una big science che richiede integrazione. Chi sceglie di fare il ricercatore può quindi prendere parte a una grande impresa collettiva con ricadute su molti piani». (Fonte: libreriauniversitaria.it; CorSera 31-08-16)

LA SCIENZA GIORNO PER GIORNO (1861-2015)
Autore: Mirella Delfini. Ed. Clichy, Collana Les Halles, 2016. Pg. 180.
Dal giorno dell'Unità d'Italia fino alla notte di Natale del 2015, l'elenco completo dei momenti nei quali il pensiero scientifico dell'uomo ha permesso all'umanità di progredire, di rendere la propria vita diversa. Tutto spiegato con precisione scientifica e ricchezza di dati, ma anche con la semplicità della divulgazione intelligente. Un libro che insegna senza annoiare, che racconta la nostra storia da un punto di vista inconsueto, che regala insieme distrazione e saggezza. Mirella Delfini, tra le più note e amate divulgatrici scientifiche, conduce per mano i giovani e i meno giovani sul lungo percorso che va dal Big Bang fino a oggi, arrivando a una conclusione: l'essere umano non è sapiens sapiens, ma stupidus stupidus. Una cronologia completa e appassionante sul progresso umano. Un libro di storia, un saggio scientifico, un inconsueto, divertente, inclassificabile libro reference. (Fonte: libreriauniversitaria.it )

L’INFINITO TRA PARENTESI. STORIA SENTIMENTALE DELLA SCIENZA DA OMERO A BORGES
Autore: Marco Malvaldi. Ed. Rizzoli, 2016. Pg. 252.
Malvaldi comincia sempre dalla poesia. Ognuno dei dieci capitoli in cui è articolato il testo è preceduto di volta in volta da una manciata di versi tratti dall’Odissea di Omero o dall’Inferno di Dante, o da interi componimenti, come la Ballata di Ernesto Regazzoni, Un lettore di Jorges Luis Borges, Vento e bandiere di Eugenio Montale. Su questi componimenti l’autore indugia per qualche momento, ma non per vezzo stilistico. Quasi senza accorgersene il lettore saltella dalla poesia alla scienza e viceversa, come se l’una fosse intimamente legata all’altra. Così ci troviamo a camminare nel deserto, in mezzo alla sabbia, a scorgere il “volto smangiato”, le “ciglia aggrottate” il “labbro corrugato” della statua di Ozymandias nella poesia di Percy Bysshe Shelley, ci scopriamo a riflettere sullo scorrere inesorabile del tempo. Una pagina dopo siamo all’università del Queensland in Australia, dove John Mainston segue uno degli esperimenti più lunghi della storia, la dimostrazione che la pece pur sembrando solida è in realtà liquida. E impariamo che ad alcuni liquidi serve molto tempo per muoversi. La poesia dunque introduce, intuisce, anticipa, in un gioco di rimandi con la scienza. Non ha importanza che il lettore sia digiuno di questi argomenti: Malvaldi lo accompagna, con uno stile a tratti sfrontato, irriverente e sempre senza fronzoli, a scoprire personaggi, luoghi, ingranaggi. Il filo del suo ragionamento è preciso e puntuale, come quello dello scienziato, e partecipato, “sentimentale”, come ogni poeta che si rispetti, perché i due aspetti sono comunque essenziali. (Fonte: dalla recensione di M. Panetto, IlBo 22-08-16)

LUMPEN ITALIA. IL TRIONFO DEL SOTTOPROLETARIATO COGNITIVO
Autore: Davide Miccione. IPOC, Milano, 2015.
Si è affermata una nuova figura di indigenza cognitiva, quella propria dello “ignorante ipermoderno”, di chi antisocraticamente “non sa mai di non sapere”, non si accorge neanche di essere ignorante e scambia il proprio digiuno culturale per la massima realizzazione del sapere. Tale nuova specie umana, che si diffonde sempre più, è analizzata, descritta ed accuratamente postillata in tutte le sue manifestazioni nel libro di Davide Miccione. Non è facile riassumerlo, perché sono molti i motivi, gli esempi, gli argomenti che esso tratta, non fosse che per il metodo utilizzato, prevalentemente fenomenologico. F. Coniglione su Roars  cerca di darne una presentazione muovendosi sul sottile e pericoloso crinale tra esposizione e interpretazione, una sorta di personale riflessione dialogante col testo e da esso ispirata.

RISCHIO E PREVISIONI. CHE COSA LA SCIENZA CI DICE SULLA CRISI
Autore: Francesco Sylos Labini. Collana Sagittari Laterza, 2016.
La crisi economica sta cambiando la struttura della nostra società, introducendo disuguaglianze insormontabili, marginalizzando le energie più giovani, soffocando la ricerca scientifica e così inibendo anche la possibilità di sviluppare quelle idee e tecnologie innovative che potrebbero contribuire a guidarci fuori dalla crisi stessa. La scienza può però fornire degli strumenti chiave non solo per la comprensione dei problemi alla radice della crisi attuale, ma può anche suggerire soluzioni possibili e originali. Economisti e politici hanno bisogno di adottare una mentalità scientifica. Ecco come la scienza può aiutarci a capire la crisi economica e può fornirci soluzioni originali. Ogni giorno ci viene ripetuto che esistono delle leggi di mercato, la domanda e l’offerta, che non possono che condizionare le nostre vite. Queste norme appaiono come ‘naturali’ quanto la legge di gravità, e gli economisti, utilizzando equazioni e modelli matematici, sono percepiti come gli scienziati destinati a comprenderle e a interpretarle. Ma veramente possiamo fidarci delle previsioni dell’economia come di quelle della fisica? Ancora di più: l’economia è davvero una scienza? Il sistema economico è ancora descritto come costantemente caratterizzato dalla ricerca di una condizione di equilibrio stabile. A questa prospettiva, che rispecchia i limiti e le idee della fisica dell’Ottocento, l’autore contrappone le intuizioni offerte dalla fisica moderna prendendo in considerazione i recenti sviluppi sullo studio dei sistemi caotici e complessi. (Fonte: recensione dell’editore 06-08-16)