IN EVIDENZA
RIFORMA UNIVERSITARIA
IN ARRIVO. IPOTESI SUI TEMI CARDINE
Ad oggi non vi sono documenti ufficiali, ma intenzioni e
linee guida emergono sotto forma di dichiarazioni e interviste. A cominciare
dal premier, che ha affermato che il 2015 sarà “anno costituente” per gli
atenei. Cosa significa? Secondo le interpretazioni più accreditate, a breve
dovrebbe essere pubblicato un dossier sulle priorità del governo per
l’università. Alla presentazione del testo dovrebbe seguire una fase di ampia
consultazione, anche online, tra tutti i soggetti interessati: il processo
dovrebbe condurre, dopo l’estate, alla redazione di un disegno di legge.
Ma quali saranno i temi cardine del progetto di riforma
dell’università? Per ora si possono avanzare delle ipotesi che si basano su ciò
che premier, ministro e altri esponenti politici di primo piano hanno
dichiarato. Il disegno si basa sulla concessione agli atenei di un’autonomia
fortemente rafforzata, che passerebbe attraverso la progressiva esenzione del
mondo accademico dalle norme che governano la pubblica amministrazione. A
Bologna Renzi ha affermato che non è accettabile che un ateneo soggiaccia “alle
stesse regole di un piccolo Comune”, o che sia il Tar “a decidere sull’accesso
ai corsi di laurea”. Gli ha fatto eco il sottosegretario Faraone, che ha
sintetizzato così il rapporto ideale tra atenei e vincoli legislativi: “Alla
politica spetta stabilire gli obiettivi, stanziare le risorse e valutare i
risultati. Poi basta”. Lo stesso ministro Giannini ha detto che “obiettivo del
governo”, sia pure a lungo termine, è scorporare il lavoro nelle università dai
vincoli del pubblico impiego. Come questo si tradurrebbe per i docenti
strutturati, ai quali non si applicano i contratti collettivi, è da scoprire.
Ma il primo pensiero del ministro va, per sua ammissione, a tutto il precariato
che coopera a didattica e ricerca: dai docenti a contratto, esplosi di numero
negli ultimi anni, a borsisti, assegnisti, collaboratori. L’idea non certo
dissimulata è quella di unificare tutte le forme di lavoro temporaneo di
didattica e ricerca negli atenei in una sola tipologia contrattuale, che
dovrebbe legare la flessibilità a maggiori garanzie. Il problema sarà capire
quali saranno i confini di questa azione, e se si estenderà anche alle due
nuove figure di ricercatori a tempo determinato (di tipo A e B) previste dalla
legge Gelmini. Si è ipotizzato (da ultimo nelle parole della senatrice Puglisi)
di “semplificare il percorso per arrivare in cattedra con un contratto a tutele
crescenti”, che preveda “step di valutazione”: sarebbe auspicabile, invece, una
tipologia ad hoc, che tenga conto delle peculiarità del lavoro universitario e
della necessità di individuare parametri di presenza, produttività e risultati
conciliabili con l’autonomia necessaria. Ma la bozza della Buona Università,
oltre a prospettare l’introduzione di una versione accademica del Jobs Act,
pone un tetto invalicabile per la contribuzione studentesca. Gli atenei non
potranno più fare cassa sulle tasse universitarie che nell’ultimo decennio sono
cresciute in media del 63 per cento. Vista la situazione economica di molte
università, che solo grazie all’incremento delle tasse sono riuscite a mandare
avanti la didattica e la ricerca, se non si procedesse a un ampliamento del
Fondo di finanziamento ordinario (FFO), la possibilità di assumere rimarrebbe
solo teorica. (Fonte: M. Periti, IlBo 13-04-2015; FQ 22-04-2015)
QS WORLD UNIVERSITY
RANKING 2015 PER AREA DI STUDI E LE UNIVERSITÀ ITALIANE
QS World University Ranking giudica la reputazione
accademica, la reputazione degli insegnanti e il livello della ricerca
scientifica. Da poco QS ha pubblicato un aggiornamento della sua classifica
degli atenei del mondo per area di studi. Ecco quindi quali sono le università
che in Italia hanno guadagnato la pole position tra le concorrenti per area di
studi:
ARTE E DESIGN: POLITECNICO Dl MILANO - Per l'area arte e
design, è il Politecnico di Milano a guadagnarsi la 11esima posizione mondiale,
e arriva primo in Italia.
INFORMATICA: POLITECNICO DI MILANO – Di nuovo il Politecnico
di Milano, che per le scienze informatiche arriva 43° tra le università
mondiali e strappa il primato italiano.
ARCHITETTURA: POLITECNICO DI MILANO - Il Politecnico di
Milano eccelle anche per l'area di Architettura e scienze delle costruzioni. 14°
nel mondo, è primo in Italia.
BIOLOGIA: UNIVERSITA' DI MILANO - Per l'area delle scienze
biologiche ancora Milano (Università Statale) guadagna il primo posto in Italia
collocandosi tra le prime 150 università mondiali.
BUSINESS E MANAGEMENT: BOCCONI - Per quest'area la Bocconi
di Milano straccia la concorrenza italiana e conquista la 7a
posizione tra le università di tutto il mondo.
COMUNICAZIONE: UNIVERSITÀ DI BOLOGNA - Scendiamo a Bologna
per lo studio della comunicazione e dei media. L'Alma Mater Studiorum è prima
in Italia e si colloca tra le prime 150 nel panorama mondiale.
ECONOMA: BOCCONI - Per le scienze economiche l'Università
Bocconi di Milano non ha rivali. Dopo il primato per Business e Management
conquista il podio anche per Economia. Nel rating mondiale arriva 17esima.
INGEGNERIA ELETTRONICA: POLITECNICO TORINO - Il Politecnico
di Torino la spunta sul POLIMI e raggiunge la prima posizione. Tra le
università mondiali trova un ottimo 36° posto.
INGEGNERIA MECCANICA: POLITECNICO MILANO - Per l'area di Ingegneria
Meccanica, invece, è di nuovo il PoliMI a eccellere tra le università italiane
e arriva 22° nel ranking internazionale.
GIURISPRUDENZA: ROMA LA SAPIENZA - La storica facoltà di
Giurisprudenza de La Sapienza di Roma si conferma la migliore d'Italia e, in
campo internazionale, si colloca tra le prime 150.
MEDICINA: UNIVERSITÀ DI MILANO - Per l'area medica è l'Università
Statale di Milano ad aggiudicarsi la prima posizione ed è tra le prime 100
mondiali.
SCIENZE POLITICHE E STUDI INTERNAZIONALI: ISTITUTO
UNIVERSITARIO EUROPEO - L'Istituto Universitario Europeo è la migliore
università italiana per gli studi politici, sociali e internazionali.
L'università toscana raggiunge i primi 100 atenei internazionali.
PSICOLOGIA: UNIVERSITÀ DI BOLOGNA - Per gli studi di
Psicologia è l'Alma Mater Studiorum l'università giudicata vincente tra le
avversarie italiane. L'università bolognese è inoltre tra le prime 100 nel
mondo. (Fonte: http://www.skuola.net/orientamento-universitario-news/migliori-atenei-area.html 07-05-2015)
FINANZIAMENTI. FFO IN
ARRIVO CON LIEVE DIMINUZIONE COMPLESSIVA MA CON FONDI TRIPLICATI PER LA
MOBILITÀ DEI PROFESSORI TRA ATENEI E LE CHIAMATE DI DOCENTI DALL’ESTERO
Parte in anticipo rispetto al passato l’iter per
l’assegnazione alle Università statali del Fondo di finanziamento ordinario
(FFO). Il decreto con i criteri di ripartizione (6,9 i miliardi stanziati) è
stato inviato alla Conferenza dei Rettori (CRUI) per il primo dei pareri previsti
per legge. Seguiranno quello del Consiglio universitario nazionale (CUN);
quello del Consiglio Nazionale degli studenti universitari (CNSU) e quello
dell’ANVUR, l’Agenzia di valutazione del sistema universitario. “Quest’anno
assegneremo i fondi alle università in tempi più congrui: entro giugno –
sottolinea il Ministro Stefania Giannini – Prima dell’estate gli Atenei avranno
certezza delle risorse di cui disporranno per il loro funzionamento. Abbiamo triplicato
i fondi, dai 3,5 milioni del 2014 ai 10 di quest’anno, per la mobilità dei
professori tra atenei e per le chiamate di docenti dall’estero. La quota di
risorse distribuite in base alla premialità passa dal 18% al 20% del Fondo: si
tratta di 170 milioni in più da assegnare a chi ha i migliori risultati nella
ricerca e nella didattica, a chi favorisce la mobilità degli studenti e la
partecipazione ai programmi Erasmus”.
L’FFO 2015 prevede una quota base (4,9 miliardi) che sarà
ripartita per il 75% su base storica e per il 25% (era il 20% nel 2014) in
relazione al costo standard per studente. A disposizione ci sono poi 1,385
miliardi da distribuire in base alle performance degli atenei: i risultati
della ricerca scientifica pesano per il 65%, quelli delle politiche di
reclutamento per il 20%, i risultati della didattica per il 12%, la capacità di
favorire la mobilità degli studenti e la partecipazione a programmi di studio
all’estero per il 3%. 5 milioni serviranno a finanziare l’assunzione di
ricercatori a tempo determinato di tipo B per il triennio 2015-2017. Ci sono
poi 65 milioni per il ‘Fondo giovani’, che sostiene soprattutto la mobilità
internazionale, e 125 milioni destinati alle borse post lauream. Nessuna
università potrà registrare una diminuzione delle risorse superiore al 2%
rispetto al 2014 (il limite era il 3,5% un anno fa). Non viene fissato alcun
limite per il miglioramento dei risultati. (Fonte: http://tinyurl.com/qhasdzu
08-05-2015)
PENSIONI. UNA TASSA
DI EQUITÀ?
Tito Boeri, presidente dell’Inps, alla domanda se l’Inps
proporrà un ricalcolo delle pensioni con il metodo contributivo da cui trarre
le risorse per un reddito minimo per i pensionati nel limbo fra i 55 e i 65
anni, che poi sono in altre parole gli esodati, cui l’Inps lo aveva già
promesso l’anno scorso, non rinuncia a un po’ di giustizialismo: “Se dovessero
esserci esigenze finanziare, all’interno del sistema previdenziale, potremmo
anche prenderla in considerazione ma solo per le pensioni alte, molto alte. Non
per fare cassa, ma per ragioni di equità”. Nonostante sia professore e a quanto
riferisce Roberto Mania lo chiamino anche a parlare nelle università americane,
Tito Boeri non si rende conto dell’intrinseca ingiustizia delle sue parole. Non
essendo ancora una colpa mortale avere uno stipendio alto, specie trattandosi
di lavoratori dipendenti seppur di alto grado che non possono avere evaso
nemmeno un penny, ai percettori di pensioni alte (a parte i casi scandalosi
peraltro causati da decisioni del Parlamento, non dei pensionati) va il
corrispettivo di quanto hanno versato per una vita, talvolta di meno. Nel caso
dell’Inpgi, la previdenza dei giornalisti, che ha anticipato tutti sulla via
della prudenza, le pensioni più alte corrispondono fino alla metà delle ultime
retribuzioni. Ora però il giustizialismo di Tito Boeri non è soddisfatto e
vuole aggiungersi al Fisco, introducendo una tassa di equità che non è prevista dall’ordinamento italiano e che
è stata già bocciata dalla Corte Costituzionale. (Fonte: T. Boeri, presidente
Inps intervistato da R. Mania per La Repubblica, www.blitzquotidiano.it
14-04-2015)
LA DIRETTRICE DEL
CERN FABIOLA GIANOTTI: PIÙ IDEE E MENO BUROCRAZIA PER FAR RIPARTIRE L'ITALIA
Professoressa Gianotti, ma come è vista dalla Svizzera
questa Italia così complicata? «L'Italia ha una burocrazia molto pesante e
snellire le procedure non potrebbe che portare beneficio allo sviluppo
economico ma anche all'iniziativa del singolo. II Cern ne è un esempio». Che
organizzazione avete? «Siamo una macchina leggera, con poca burocrazia e una
semplificazione della gerarchia. L'autorità viene dalle idee e non dai gradi.
L'idea brillante di un giovane di 26 anni viene premiata. Tutto funziona per merito».
Magari con scienziati al posto di politici e burocrati le cose migliorerebbero?
«Se la mettiamo cosi: "scienziati o burocrati", allora dico
scienziati. La verità è che ci vogliono politici in gamba». E nel frattempo le
menti fuggono all'estero. «Abbiamo molte menti eccellenti poco valorizzate. Al
Cern l'Italia ha un ruolo fondamentale, basti pensare che 4 direttori su 16
sono italiani. E non è un caso. II problema dell'Italia è quello di riuscire a
mantenere l'eccellenza nel campo della fisica delle particelle che si e
costruita nei decenni e nasce negli anni 30 con i colleghi di via Panisperna.
Però la mancanza di fondi e di posti per i giovani, il precariato, sono aspetti
che rischiano di mettere in pericolo questa posizione. I giovani sono costretti
o ad abbandonare la ricerca o ad andare all'estero». Quanto investe l'Italia
nel Cern? «Un miliardo di franchi. L'equivalente tra tutta la popolazione
italiana di un cappuccino pro capite. Mentre ricordo che gli obiettivi
scientifici del Cern sono ambiziosissimi e richiedono lo sviluppo di tecnologie
di punta in moltissimi settori che vengono trasferite alla società». Un
esempio? «L'esempio più famoso è il web che fu inventato al Cern nel 1989 per
facilitare lo scambio di informazioni tra gli scienziati coinvolti nei progetti
del Cern e che poi ha cambiato il modo in cui la società accede
all'informazione. È vero che se il web non fosse stato inventato al Cern
qualcun altro lo avrebbe fatto, ma questo qualcun altro ci avrebbe messo un
brevetto e tutti dovremmo pagare. Per fortuna è arrivato prima un ente di
ricerca in fisica finanziato da denaro pubblico europeo i cui risultati
appartengono all'umanità. Altri esempi? II metal detector, la risonanza
magnetica, la Adroterapia con fasci di protoni che rappresenta una delle
terapie più innovative e di maggiori prospettive in campo oncologico». (Fonte:
La Stampa 14-04-2015)
RICERCA. PERCHÉ
L'ITALIA HA SEMPRE PORTATO A CASA MOLTO MENO DI QUANTO METTE NEL FONDO COMUNE
EUROPEO
Mettiamo nel fondo comune per la ricerca europea molto più
di quanto i nostri scienziati riescano a recuperare. Che può apparire
paradossale per un Paese in cui finanziamenti alla ricerca sono in costante
declino (oggi circa l'1,3% del Pil contro il 2,4 della media Ocse). Lo
confermano i primi numeri di Horizon 2020, il programma di finanziamento della
ricerca europea che stanzia 78,6 miliardi di euro in sette anni (2014-2020). I
progetti italiani hanno un basso tasso di successo: il 18%, a fronte del 26% dei belgi, del 25%
di Olanda e Francia, del 24% della Germania. Per di più ogni nostro progetto
rende in media trecentomila euro e spiccioli, la metà di uno tedesco. In
totale, pur contribuendo al bilancio Eu per il 13%, vediamo entrare solo l'8%
di quanto destinato alla ricerca. Per Alberto Mantovani, direttore scientifico
dell'istituto Humanitas, quei numeri non solo non sono una sorpresa, ma non
esiste nemmeno il paradosso di un Paese in declino che continua a declinare.
Anzi. «È sempre stato così: l'Italia ha sempre portato a casa molto meno di
quanto mette nel fondo comune europeo. Del resto, abbiamo smesso di investire
in ricerca da un pezzo, adesso non possiamo più pensare di essere competitivi».
Ma i nostri ricercatori sono davvero cosi scarsi? «Niente affatto: qui non è in
gioco la competitività dei ricercatori italiani, ma del sistema della ricerca
italiana nel complesso. Se guardiamo altri indicatori, vediamo infatti un'altra
realtà. I nostri ricercatori sono pochi: sono quattro ogni mille abitanti, meno
della metà della media degli altri Paesi europei. Ma sono molto produttivi.
Nell'area lombarda (quella che conosco meglio) siamo, in proporzione, anche più
produttivi dei tedeschi». E allora il problema qual è? «Che l'investimento
italiano è scarso e di bassa qualità. Noi non abbiamo mai fatto scelte
strategiche come quella di puntare sulle università migliori, come la Germania
o la Cina. Guardate gli Erc dove i nostri ricercatori se la giocano benissimo
(siamo secondi dopo i tedeschi), ma la maggior parte di loro (26 su 46) lavora
all'estero. Da gennaio 2014, con Horizon 2020 sono partiti 2399 progetti. Il
Paese col maggior numero di partecipazioni è il Regno Unito, ma chi riceve più
soldi è la Germania. Anche la Spagna se la cava bene (326 milioni di euro
contro i nostri 289). Ma noi siamo terzi per numero di domande, e ventesimi per
numero di approvazioni». Perché mettiamo tanti soldi nella ricerca europea?
«Non facciamo l'errore di pensare che quelli nel fondo europeo per la ricerca
siano soldi persi. Noi abbiamo bisogno dell'Europa e se ci chiudiamo sbagliamo
due volte. Dobbiamo invece leggere quei numeri come un allarme: fare scelte
strategiche, investire di più in ricerca, diventare attrattivi, premiare i più meritevoli».
Non potremmo cominciare a richiamare i cervelli fuggiti? «Ma non bastano i
soldi per farli rientrare! Il problema è sempre quello: ci vuole un sistema
efficiente e capace di premiare il merito. Cioè quando richiamo in Italia
qualcuno devo dargli laboratori, persone, prospettive». (Fonte: S. Bencivelli,
La Repubblica 13-04-2015)
VALIDITÀ E
SIGNIFICATO DEI RANKING INTERNAZIONALI
Che significato attribuire ai numerosi ranking esistenti nel
mondo? E come giudicarne la validità?
Uno studio su un grosso set di ranking mondiali, di
derivazione accademica o privata, su scala mondiale e locale e anche per
settori di specializzazione svolto dalla professoressa Ellen Hazelkorn, Policy
Advisor per l'Autorità dell'Alta Formazione in Irlanda, ha realizzato un report
globale su tutti i ranking già nel 2010 ed è tornata a farlo alla fine del
2014. Secondo il rapporto non si possono usare ranking in modo esclusivo,
perché ognuno prende certi aspetti a criterio, né si possono per questi motivi
usare per destinare fondi, magari continuando a finanziare le élites,
incentivando immagini e comportamenti e ignorando i bisogni di settori più ampi
del mondo dell'educazione e della società intera. È urgente assicurarsi che i
ranking siano allineati con valori nazionali e obiettivi, abbiano scopi chiari,
riconoscano le diversità delle istituzioni universitarie, ognuna con missioni e
scopi propri. Infine è necessario assicurarsi che gli indicatori siano
disegnati e scelti in modo adeguato e misurino preferibilmente, là dove
possibile, gli outcomes derivanti dalle scelte più che gli input (cioè la
qualità dei servizi). Il tutto avendo bene in mente che i ranking sono
strumenti limitati, che hanno conseguenze ancora non ben comprese. (Fonte: N.
Sabatini, Sussidiario.net 13-04-2015)
XV CONGRESSO NAZIONALE U.S.P.U.R. Venerdì 22-05-2015.
ROMA
“Accreditamento
periodico. Università del futuro”
Organizzato da Unione
Sindacale Professori e Ricercatori Universitari
Università Cattolica
del Sacro Cuore. Centro Congressi. Sala Italia. Largo Francesco Vito 1. Roma.
Presentazione
Bisogna affermare il
merito all’interno della pubblica amministrazione e imporre il diritto-dovere
alla valutazione, sistema, questo, che ha messo le radici anche in Italia e sta
crescendo in un clima accettato e alimentato da tutti. Senza l’affermazione del
merito continueremmo ad assistere, impotenti, ad una costante perdita di
qualità dell’intero sistema della formazione e all’impoverimento del capitale
umano. La necessità, quindi, di una forte azione comune per fare crescere il
merito. Il “Meritometro” mostra che l’Italia ha molto lavoro da fare per
risalire la scala della meritocrazia. A tale scopo l’ANVUR ha predisposto
criteri ed indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico delle sedi
universitarie e dei corsi di studio, nonché per la valutazione periodica delle
Università, con cadenza quinquennale per le sedi e almeno triennale per i corsi
di studio, il tutto con la partecipazione attiva dei gruppi di valutazione
costituiti in ogni sede universitaria. Per meglio armonizzare tale azione con
le altre, che pure necessitano per una “buona” università del futuro, occorre
un intervento del Governo che dovrà fare seguito a una doverosa campagna di
ascolto, coinvolgimento e partecipazione. Occorrerà intervenire per un
miglioramento degli indici di regolarità e buon esito nei percorsi universitari
degli studenti con la riduzione drastica dei fuori corso e degli studenti che
abbandonano gli studi, del tempo per la preparazione della tesi di laurea, il
miglioramento dell’orientamento, (collegamento con le scuole secondarie), la
necessità di rendere la laurea triennale un titolo subito spendibile e,
pertanto, efficiente collegamento con il mondo produttivo. L’Università non
deve essere l’unica sede possibile per la formazione terziaria. Occorrerà
accrescere il numero degli ITS, dare sostegno alle scuole di specializzazione
post-laurea professionalizzanti, incentivare l’attività di aggiornamento
professionale.
Occorrerà aumentare il
sostegno al diritto allo studio con incentivi agli atenei che immatricolano
studenti capaci e meritevoli, privi di mezzi e quindi esentati dalla
contribuzione studentesca. Serve un testo unico per l’eliminazione delle tante
norme burocratiche inutili e dannose. Eliminazione del parcheggio per i dottori
di ricerca promuovendoli in altri ambiti professionali e prevedendo una
maggiore considerazione del titolo nei concorsi pubblici e, in particolare,
nella scuola. Eliminazione del precariato che coopera a didattica e ricerca
(docenti a contratto, borsisti, assegnisti, collaboratori). Rivedere il
percorso per arrivare in cattedra. Concessione agli atenei di un’autonomia
rafforzata con l’esenzione del mondo accademico dalle norme che governano la
P.A.: Non è accettabile che un ateneo soggiaccia alle stesse regole di un
piccolo Comune.
Programma
09.00 Prof. Antonino
Liberatore
Segretario Nazionale
U.S.P.U.R.
Apertura dei lavori e indirizzi di saluto
09.15 On. Prof.ssa
Stefania Giannini
Ministro Istruzione,
Università, Ricerca
09.30 Prof. Stefano
Fantoni
Presidente ANVUR
“Strategie del merito”
10.00 Prof. Andrea
Lenzi
Presidente Consiglio
Universitario Nazionale
“Ultime notizie dal CUN”
10.30 Prof. Eugenio
Gaudio
Rettore Università di
Roma “La Sapienza”
“La costruzione di una ‘nuova’ carriera
universitaria”
11.00 Prof. Alessandro
Figà Talamanca
Università di Roma “La
Sapienza”
“Università del futuro”
11.30 Prof. Romano
Lazzeroni
Università di Pisa –
Accademico dei Lincei
“Reclutamento-Valutazione”
12.00 Interventi e
Proposte.
13.30 Termine del
Congresso.
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ABILITAZIONE
SCIENTIFICA NAZIONALE. TROPPO POCHE LE TORNATE
A proposito di ASN, riepiloghiamo gli antefatti: ci avevano
garantito una tornata di abilitazione all’anno. Per ora ne abbiamo avute solo
due in quasi cinque anni, e forse al termine del quinquennio vedremo partire la
terza. Troppo poco per Atenei progressivamente decimati dai pensionamenti e
bisognosi di rinnovamento; troppo poco per chi si impegna ogni giorno a
migliorare il proprio profilo scientifico e chiede di essere valutato in modo
tempestivo, coerente e periodico. Troppo poco anche per un caso felice e del
tutto eccezionale come quello dell’Alma Mater, dove le precedenti tornate di
abilitazione sono state messe a frutto con centinaia di chiamate, mentre
altrove – dove i bilanci sono molto meno sani, i punti organico assegnati molto
minori e le procedure molto più lente – solo una parte risibile degli abilitati
ha conosciuto la promozione, e una parte ancora minore di chi non è già in
ruolo ha conosciuto qualche forma di stabilizzazione. Questo chiediamo
all‘Agenzia Nazionale di Valutazione delle Università e della Ricerca (ANVUR) e
al Governo: tempestività, chiarezza, stabilità, periodicità certa, coerenza.
Tempestività, perché ritardi ulteriori non possono essere
tollerati: il reclutamento di chi fa ricerca e didattica non è questione di
carriera individuale, è una priorità del Paese. Chiarezza e stabilità, perché
finché non avremo un quadro definito, consistentemente migliorato e sicuro nel
tempo, nessuno potrà programmare con fiducia il proprio lavoro né sapere a
quali obiettivi deve mirare per essere riconosciuto nel proprio valore.
Periodicità certa, perché i continui ritardi dell’inizio e del termine di ogni
procedura non sono in alcun modo accettabili. Coerenza, perché ricercatrici e
ricercatori non possono essere sottoposti a continue e difformi procedure di
valutazione, che spesso non garantiscono qualità e sottraggono tempo proprio
alla ricerca. (Fonte: G. Fiorentini, http://tinyurl.com/ow8s9jm
18-04-2015)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
VALUTARE L'IMPATTO
DELLA PRESENZA DI UNA UNIVERSITÀ SUL TERRITORIO
Partendo dagli outcomes come indicatori prende le mosse uno
studio (How the labour market evaluates Italian Universities) finanziato dalla
Banca d'Italia e relativo a un metodo di valutazione dell'efficacia dei
percorsi universitari. Il lavoro si situa in un orizzonte limitato (solo
nazionale) e non ha il problema di creare un ranking, ma di approfondire un
metodo per la valutazione. Gli autori, Vincenzo Mariani e Emanuele Ciani,
ricercatori in economia che hanno affrontato più volte temi legati al mondo del
lavoro e ai sistemi di alta formazione, hanno affrontato la realizzazione di un
metodo basato su un modello econometrico che prenda in considerazione un
importante outcome della formazione universitaria: l'occupabilità dei laureati
e i loro salari, discutendo varie alternative per valutare il contributo dei
singoli atenei ai risultati occupazionali dei loro laureati e distinguendolo da
altri fattori di contesto (come l'eterogeneità nei mercati locali del lavoro).
Nel lavoro, perciò, per qualità della singola università si intende la
differenza fra la condizione occupazionale di un laureato dell'ateneo rispetto
ai laureati in altri atenei, a parità di caratteristiche individuali (percorso
di studio, background familiare e altre caratteristiche sociodemografiche) e
di fattori di contesto (qualità del mercato locale del lavoro nell'area di
residenza). Un aspetto importante che emerge è che la peggior performance dei
laureati in atenei del Mezzogiorno è in larga misura spiegata dalle peggiori
prospettive occupazionali dei mercati locali del lavoro su cui si affacciano
queste università.
In definitiva emerge la necessità di valutare l'impatto
della presenza di una certa università sul territorio piuttosto che di imporre
immagini schematiche che definiscano la qualità del servizio di formazione
calandole dall'alto. (Fonte: N. Sabatini, Sussidiario.net 13-04-2015)
CLASSIFICAZIONI DELLE
UNIVERSITÀ. L’EFFETTO DISTORSIVO SULLE POLITICHE ACCADEMICHE LOCALI E NAZIONALI
Che le classifiche QS, di Shanghai e di Times Higher
Education siano fatte in modo professionale non è così scontato: della prima
circola un’esilarante Top Ten degli svarioni più famosi, le falle metodologiche
della classifica di Shanghai sono state oggetto di un impietoso articolo
scientifico (Should
you believe in the Shanghai Ranking?), mentre la classifica Times Higher
Education si è resa famosa per aver collocato Alessandria d’Egitto al quarto
posto mondiale, davanti a Stanford, Rice ed Harvard nella classifica 2010 del
Research impact.
A chi abbia seguito il dibattito nazionale sull’università
degli ultimi anni, a partire da Mariastella Gelmini fino alle ultime
dichiarazioni del Primo Ministro sulle università di serie A e serie B, non può
essere sfuggito che ruolo abbiano avuto le classifiche nel consolidare presso
il pubblico l’idea che le università italiane siano in gran parte di bassa
qualità e inefficienti. La spirale di tagli, limitazioni al turn-over e
congelamenti degli stipendi dovrebbero farci esitare ad accreditare la metafora
di un leale campionato di calcio che perdiamo perché siamo particolarmente
spreconi e lazzaroni. Una metafora che finisce per oscurare completamente
quello che realmente dicono le statistiche sulla spesa, i costi e la
produttività (Università:
miti, leggende e realtà – Collector’s edition!). A questo va aggiunto
l’effetto distorsivo sulle politiche accademiche locali e nazionali, che oramai
viene evidenziato anche negli studi elaborati per il Parlamento Europeo: higher
education institutions have stronger incentives to put performance ahead of
social access and favour investments in activities that will improve their
position in the rankings, rather than in core areas such as teaching and
learning. (Fonte: http://tinyurl.com/jw5elvk 10-04-2015)
869 UNIVERSITÀ DI 70
PAESI CLASSIFICATE DA U-MULTIRANK
Un nuovo sistema Ue di classificazione che non si limita a
stilare una classifica dei “top”, ma esamina ogni ateneo a seconda di
determinati indicatori. Si tratta di U-Multirank, uno strumento, consultabile
tramite il sito web, lanciato oggi a Bruxelles e finanziato dall’Unione Europea
con 2 milioni fino al 2015. Sono 869, molti dei quali mai considerati finora,
gli atenei classificati, in oltre 70 paesi, fra i quali 31 italiani. La
piattaforma online classifica le prestazioni delle università con voti da A,
molto buono, a E, debole, secondo 30 indicatori raggruppati in cinque aree:
insegnamento e apprendimento, coinvolgimento degli organi locali, trasferimento
delle conoscenze, internazionalizzazione e ricerca. Tra le italiane inserite
nelle classifiche ranking, l’Università di Trieste, dal punto di vista del
coinvolgimento di partner imprenditoriali e amministrativi, si aggiudica tre A
per i progetti di ricerca, la visibilità delle pubblicazioni e la percentuale
di studenti laureati che lavorano nella regione. Debole invece nel numero di
tirocini forniti a livello locale. La Bocconi di Milano, nel settore della
ricerca, ha un ottimo rilievo internazionale (A), al pari di università come
Harvard negli USA e Cambridge in Inghilterra, ma è scarsa nel coinvolgimento di
partner industriali (D). (Fonte: La Stampa 13-05-2015)
QS WORLD UNIVERSITY
RANKINGS CLASSIFICA LE MIGLIORI UNIVERSITÀ NEL MONDO
L’Italia si colloca all'ottavo posto come nazione presente
nella classifica delle migliori università nel mondo, stilata dal Qs World
University Rankings. Con 35 atenei presenti conquista 246 posizioni nelle varie
classifiche per area di studi, che rappresenta il 3% del totale: in Europa solo
la Germania precede il nostro Paese. Positivi i risultati complessivi, visto
che in 32 casi i nostri atenei hanno perso terreno, ma in 97 casi mantengono le
posizioni, e in 71 casi migliorano e in 46 lo conquistano. Soddisfatta la
Cattolica, che non solo si conferma dentro le prime 100 posizioni nel settore
filosofico, e nelle prime 150 per economia e giurisprudenza. Complessivamente
l'ateneo cattolico conquista dieci presenze (erano 4) nelle graduatorie entro
il 200° posto. Tra gli atenei italiani da segnalare il 7° posto della Bocconi
nell'area business e il 10° del Politecnico di Milano nel Design. La Sapienza
di Roma è 22a in fisica, e l'Università di Bologna 46a in
lingue moderne. La Statale di Milano è nella fascia 51-100 in ben quattro
discipline. (Fonte: E. Lenzi, Avvenire 29-04-2015)
DOCENTI
SUL POTERE
DISCIPLINARE NEI CONFRONTI DEI DOCENTI UNIVERSITARI
Dal punto di vista sostanziale, circa l’attuale quadro
sanzionatorio si fa riferimento, per espresso rinvio operato e dall’art. 12
della Legge 18 marzo 1958, n. 311[2] e dall’art. 10, comma 2 della c.d. legge
Gelmini, agli artt. 87 e ss del r.d. 31
agosto 1933, n. 1592. Si appalesano, pertanto, dal punto di vista funzionale
tre tipologie di sanzioni: 1) la censura; 2) le sanzioni con efficacia
sospensiva, cui vanno ascritte la sospensione dall’ufficio e la sospensione dallo
stipendio fino ad un anno; 3) le sanzioni con efficacia espulsiva della
revocazione e della destinazione senza perdita del diritto a pensione e
assegni. Due precisazioni: accessoria all’irrogazione di una sanzione con
efficacia sospensiva e ad applicazione automatica è quella prevista dall’art.
89, comma 2, del r.d. 1592 del 1933, come modificato dall’art. 5 della legge 16
gennaio 2006, 18, in forza della quale il docente universitario sanzionato non
può per dieci anni solari essere nominato Rettore di Università o direttore di
Istituzione universitaria; circa la sanzione della destituzione con perdita del
diritto a pensione o ad assegni, prevista dal n. 5 dell’art. 87 r.d. del 31
agosto 1933, n. 1592, si ritiene che la stessa non sia più irrogabile per
effetto dell’abrogazione operata dall’art. 1 della Legge 8 giugno 1966, n. 494.
Proceduralmente, la c.d. legge Gelmini ha determinato un decentramento del
procedimento sanzionatorio a livello di singolo Ateneo, rispetto al precedente
regime, laddove la funzione disciplinare risultava allocata presso il C.U.N. I
commi 1° e 2° dell’art. 10 della legge 240/2010 s.m.i. prevedono, infatti, per
l’irrogazione della censura (art. 88 del citato t.u. del 1933) una competenza
esclusiva del Rettore dall’istruttoria alla conclusione del procedimento; per
contro, circa l’irrogazione di sanzioni con efficacia sospensiva o espulsiva, è
prevista la costituzione di un Collegio di disciplina presso ogni Ateneo,
secondo modalità definite dallo statuto, competente a svolgere la fase istruttoria
dei procedimenti disciplinari e ad esprimere in merito parere conclusivo. Nel
dettaglio al Rettore spettano l’avvio del procedimento disciplinare e la
conseguente istruttoria, sulla base della quale qualificare la natura e
l’entità dell’illecito disciplinare, ai fini della trasmissione o meno di una
proposta motivata al Collegio di disciplina.
(Fonte: F. Canullo, www.lavocedeldiritto.it/
12-04-2015)
SUL POTERE DI
DISPORRE LA DECADENZA DALLE CARICHE ACCADEMICHE
L’art. 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 attribuisce al
Senato Accademico delle Università il potere di proporre al corpo elettorale
con maggioranza di almeno due terzi dei suoi componenti una mozione di sfiducia
al rettore non prima che siano trascorsi due anni dall'inizio del suo mandato.
La norma introduce per la prima volta negli statuti dei singoli Atenei un
principio di elaborazione giurisprudenziale (si veda Consiglio di Stato, sez.
V, 30 novembre 2007, n. 6137; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 1 dicembre 1990, n.
919), che è quello del contrarius actus. Il suddetto principio costituisce, al
contempo, un fondamento di democrazia dell’istituzione accademica e un limite
all’esercizio autoritario del potere di disporre la decadenza dalle cariche
accademiche. Competente all’esercizio del potere in questione non è l’autorità
che formalmente adotta il provvedimento di proclamazione e nomina, sibbene il
corpo elettorale, che ha espresso il proprio libero orientamento nell’ambito di
una valida competizione elettorale. Per quanto concerne la posizione del
Rettore, la norma sulla sfiducia rappresenta un’applicazione immediata del
nuovo status di autonomia, di cui, oramai, le Università godono nei confronti
del Ministero, che trova il proprio fondamento e nell’art. 33 della
Costituzione e nella legge del 9 maggio 1989, n.68, in forza della quale le Università non sono più organi dello
Stato, ma enti pubblici autonomi. Proprio con l’approvazione della legge
240/2010 s.m.i. si assiste ad un procedimento di rilevante marginalizzazione
del Ministero, quanto meno sul piano istituzionale, nei confronti delle singole
Università, che mal si concilia con la persistenza di una norma che, per
contro, riserva al Ministro rilevanti poteri di revoca della carica di vertice
di un Ateneo. In conclusione, è necessario che ogni singola Università, tenuto
conto della propria natura di ente autonomo, adegui i propri statuti e
regolamenti al nuovo quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento,
disciplinando e contemperando con i necessari e dovuti contrappesi, le
procedure di revoca e sostituzione di una carica eletta, nonché i poteri
d’intervento del decano nella fase revocatoria, prevedendo, al contempo,
l’eccezionalità di organi ad acta, il cui utilizzo sia limitato a garantire la
continuità delle mere funzioni gestionali. (Fonte: L. Canullo, www.lavocedeldiritto.it 25-02-2015)
FLUSSI DEI DOCENTI E
RICERCATORI 2007-2013
Su La Repubblica Federico Fubini c’informa che “i nostri
giovani studiano per una vita nelle scuole pubbliche, fin dalle elementari. Poi
trovano un posto in Germania, Regno Unito, Brasile. Uno spreco enorme
nell’indifferenza”. Con un rapido conto si calcola che il capitale umano
rappresentato da “il laureato emigrante” è costato allo Stato 23 miliardi ed è
regalato agli altri paesi. La conclusione è che “così l’Italia manda via
qualcosa che costa e vale più delle sue autostrade o ferrovie”.
Qualche semplice dato: (1) Il sistema universitario e della
ricerca italiano è storicamente sotto-finanziato rispetto agli altri paesi
europei. (2) La riforma Gelmini, combinata con la legge 133/2008, ha comportato
un taglio ulteriore del 20% che si è tradotto in una diminuzione del 90% del
reclutamento, del 20% del totale dei docenti e del 100% dei progetti di
ricerca. (3) In assenza di una politica industriale e con un tessuto produttivo
formato da “imprese di piccole dimensioni, poco innovative, poco esposte alla
concorrenza internazionale e gestite da imprenditori con basso titolo di
studio” non ci sarà mai nessuna richiesta di personale con alta formazione.
Si veda il grafico
per i flussi dei docenti e ricercatori 2007-2013. (Fonte: F. Sylos Labini,
Roars 22-04-2015)
FINANZIAMENTI
UN PARERE SUL DECRETO PROVVISORIO DI
RIPARTIZIONE DEL FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO
«Prendo atto con
favore della circostanza che quest’anno, a differenza degli ultimi anni, L’FFO
arriverà a fine maggio: è una cosa assolutamente fisiologica, ma rappresenta un
miglioramento, avendo ben in mente gli anni precedenti quando la somma arrivava
a dicembre inoltrato, a fine esercizio, impendendo una qualsiasi programmazione
– commenta il Rettore dell'Università di Padova Giuseppe Zaccaria – . Ma rispetto
al 2014 c’è una riduzione della somma complessiva del finanziamento di 87
milioni di euro: di per sé non è taglio rilevantissimo, ma dobbiamo partire dal
fatto che in altri Paesi, come Germania e Francia, si destina l’1% del PIL
all’Università, mentre in Italia dal 2009 ad oggi si è scesi da 0,49 a 0,42%
del PIL stesso: ogni taglio è quindi ulteriore impoverimento di risorse già
insufficienti per l’Università. Osservo poi questo paradosso: il sistema
universitario è l’unico comparto della Pubblica Amministrazione in cui si è
fatta una valutazione della premialità su base di merito e si è affermata la logica
dei costi standard, e ciò nonostante è il comparto su cui il Governo continua a
sottrarre risorse. Siamo gli unici valutati e gli unici impoveriti. Entrando
nel merito del decreto, faccio tre osservazioni. L’aumento della ripartizione
in quota premiale, che passerà dal 18 al 20% delle risorse del fondo, è
positivo come è da valutare favorevolmente il sia pur lieve aumento del peso
del parametro didattica. Giudico invece negativamente la riduzione, rispetto
all’anno scorso, del peso del parametro di internazionalizzazione e la
riduzione del Fondo per le borse post lauream, che scende da 148 a 126 milioni
di euro. Abbiamo dato un parere, come CRUI, complessivamente favorevole ai
criteri di ripartizione, ribadendo però le criticità che ho appena ricordato».
(Fonte: G. Zaccaria, rettore di UNIPD, 07-05-2015)
LAUREE. DIPLOMI. FORMAZIONE POST LAUREA. OCCUPAZIONE
LA LAUREA FA TROVARE
LAVORO E GUADAGNARE DI PIÙ
Smettiamo di considerare la laurea solo un inutile pezzo di
carta. Secondo il rapporto AlmaLaurea, a un anno dalla laurea trova lavoro il
66% dei laureati triennali e il 70% di quelli magistrali. Solo le lauree a
ciclo unico registrano un calo di occupazione: trova lavoro solo il 49% di chi
la detiene, contro il 57% del 2012 e il 60% del 2011. Ma chi riesce ad essere
assunto ha una stabilità lavorativa maggiore rispetto agli altri titoli di
studio, siano essi anche lauree triennali e magistrali. Per le lauree a ciclo
unico la stabilità è salita di due punti percentuali rispetto all'ultimo
rapporto AlmaLaurea. In ogni caso, a cinque anni dalla laurea, qualunque essa
sia, le probabilità di trovare un impiego aumentano e arrivano al 90%. La
laurea aumenta la possibilità di trovare lavoro e di avere stabilità, ma anche
di guadagnare di più. Seppur non significativamente, gli stipendi ad un anno
dei laureati sono in aumento e superano, anche se di poco i 1000 euro. Per
l'esattezza, chi ha una laurea triennale, dopo un anno guadagna mediamente 1013
euro, chi ha una magistrale 1065 euro e chi una a ciclo unico 1024 euro.
(Fonte: La Stampa 16-04-2015)
CINQUE LAUREE
FACILITANO L’OCCUPAZIONE
Tra tutte le aree di studio ve ne sono alcune che rendono
più facile la ricerca del lavoro per gli studenti che le frequentano. Di
seguito le 5 lauree che danno più sbocchi a cinque anni dal titolo.
1. Medicina. Tasso di occupazione a cinque anni dal titolo:
97%. Retribuzione media: 1.593 euro.
2. Ingegneria. Tasso di occupazione a cinque anni dalla
laurea: 95%. Retribuzione media: 1.693 euro.
3. Economia e statistica. Tasso di occupazione a cinque anni
dalla laurea: 90%. Retribuzione media: 1.487 euro.
4. Chimica - farmaceutica. Tasso di occupazione a cinque
anni dalla laurea: 90%. Retribuzione media: 1.475 euro.
5. Scienze (matematica-fisica). Tasso di occupazione a
cinque anni dalla laurea: 88%. Retribuzione media: 1.471 euro.
(Fonte: Rapporto di AlmaLaurea sulla situazione
occupazionale dei laureati, www.forexinfo.it
17-04-2015)
PROFESSIONI
SANITARIE. LAUREE E LAVORO
Nel XVII Rapporto AlmaLaurea il confronto con le precedenti
rilevazioni ad un anno evidenzia, dopo anni di incessante contrazione, una
sostanziale tenuta del tasso di occupazione per i laureati triennali e per i
magistrali biennali, e ciò indipendentemente dalla condizione lavorativa al
momento della laurea. Ma per i laureati a ciclo unico il quadro è leggermente
diverso (-8 punti nel tasso di occupazione rispetto alla rilevazione 2013, -30
punti rispetto a quella di cinque anni prima). “In questo contesto - spiega il
Rapporto - i laureati magistrali a ciclo unico rappresentano una realtà molto
particolare”, Ad esempio, “il 2014 evidenzia la situazione anomala dei laureati
in medicina e chirurgia, i quali hanno visto il posticipo dei termini
concorsuali (da luglio, nel 2013, a dicembre, nel 2014) per l’accesso alle
scuole di specializzazione, oltre che una riduzione dei posti a bando. Ne è
risultato un aumento della quota di laureati che non lavorano e che sono alla
ricerca attiva di un impiego”. Ad un
anno dal titolo, la maggiore stabilità lavorativa è registrata fra gli occupati
veterinari e medici (riguarda, rispettivamente, il 59 e il 49% degli
intervistati; per entrambi in aumento rispetto alla precedente rilevazione), e
ciò si associa soprattutto all’ampia diffusione di attività a carattere
autonomo (54 e 46%, rispettivamente, contro il 26% registrato per il complesso
della popolazione in esame). A cinque anni dal conseguimento del titolo, il
livello di stabilità raggiunto dai laureati magistrali a ciclo unico è molto
alto, e ciò si verifica in quasi tutti i gruppi disciplinari: supera il 79% tra
architetti, farmacisti e giuristi e raggiunge l’85% tra i veterinari. Rispetto
alla precedente rilevazione a cinque anni, la stabilità lavorativa registra una
leggera contrazione in particolare tra gli architetti e i farmacisti
(rispettivamente -2 e 1,5 punti percentuali); risulta pressoché invariata per i
laureati degli altri gruppi disciplinari. (Fonte: quotidianosanità.it 22-04-2015)
SPECIALIZZAZIONI
MEDICHE. LE BORSE SARANNO 6.600
Saranno circa 6.600 le borse per le scuole di specializzazioni
mediche per il 2015. Il lungo confronto delle ultime settimane tra i ministeri
dell'economia, università e salute si è dunque concluso con una boccata di
ossigeno per gli aspiranti alla formazione post-universitaria: circa 1600
contratti totali in più di quelli previsti originariamente. Ad annunciarlo il
ministro dell'istruzione, università e ricerca, Stefania Giannini, intervenendo
ieri in audizione al Senato. «Si tratta, ha detto la Giannini, «di un risultato
importante che va incontro all'esigenza di diminuire la forbice fra
il numero dei laureati e i posti nelle specializzazioni.
Grazie ad un lavoro intenso per il reperimento delle risorse condotto dal Miur,
in collaborazione con il Mef, e per il quale ringrazio il ministro Pier Carlo
Padoan, siamo riusciti a portare le borse a 6 mila». A queste si aggiungeranno
le borse delle Regioni, circa 600, che sono però ancora in via di definizione.
(Fonte: B. Pacelli, ItaliaOggi 07-05-2015)
LAUREATI IN MEDICINA
ALL’ESTERO CHE ESERCITANO IN ITALIA
ln Italia, per accedere agli studi di Medicina, argomenta R.
Mora presidente dell'Ordine dei medici di Verona, occorre superare una severa
selezione. E abbiamo il numero chiuso: 10.000 posti a Medicina e 670 a
Odontoiatria. I delusi, chi cioè non supera i test d'ammissione, si rivolgono
allora all'estero: Spagna, dove vanno in prevalenza i figli di papà, Portogallo
e soprattutto Romania. Oggi ci sono circa 500 italiani iscritti a Odontoiatria
e 800 a Medicina nelle Università della Romania. ltaliani che dopo la laurea
potranno esercitare nel loro Paese perché così ha stabilito l'Europa. E poi ci
sono quelli che studiano Medicina in Albania, che per esercitare in Italia
devono trovare un'Università che riconosca il loro titolo, richiedendo al
limite un periodo di integrazione. Ostacolo non insormontabile, poiché l'Università
Tor Vergata di Roma ha aperto una sua succursale a Tirana. Ufficialmente per
formare i futuri medici albanesi, ma di fatto otto iscritti su dieci sono
italiani. Che medici arriveranno in Italia nei prossimi anni? Già adesso,
aggiunge il presidente dell'Ordine, cominciano a essere numerosi i medici che
esercitano in Italia senza aver conseguito la laurea nel nostro Paese. Succede
ad esempio a Verona: nel 2013 il 15% dei nuovi iscritti, fra medici e
odontoiatri, non aveva una laurea italiana. Questi numeri, conclude Mora,
dovrebbero indurre il ministero dell'Università a rivedere i numeri della
programmazione, falsati da quelli degli studenti all'estero. Si sta perpetuando
una truffa ai danni dei nostri giovani seri, che non cercano scorciatoie in
Spagna o in Romania. La mia idea personale è che si debba regolare a livello
europeo l'accesso agli studi di Medicina, affidando a ogni Paese una sua quota.
(Fonte: R. Mora, L’Arena 23-04-2015)
UN CORSO DI STUDI IN
VIDEOGIOCHI
Il Romics è uno degli eventi più seguiti dagli appassionati
del mondo dei videogiochi e dei fumetti. Come ogni anno si svolge a Roma e come
sempre è molto alta la partecipazione sia di addetti ai lavori che di tanti
curiosi, che prendono parte al festival. Quest’anno c’è un’occasione speciale,
Link Campus University e VIGAMUS Academy presentano il corso di studio per i
professionisti del gaming. Un padiglione del Romics è interamente dedicato a
tutti gli interessati alla laurea in videogiochi, dove è possibile trovare
tutte le informazioni necessarie per intraprendere il percorso di studio in
questa materia tanto innovativa. La laurea in videogiochi presentata da Campus
University e VIGAMUS Academy è un percorso formativo universitario a tutti gli
effetti, dedicato ai futuri addetti al settore dell’intrattenimento
elettronico. La laurea fornisce tutti gli insegnamenti giusti per lavorare con
uno degli strumenti più importanti del nostro tempo, internet e il web. Il
corso triennale in Comunicazione digitale è a numero chiuso, sono disponibili
infatti solo 35 posti l’anno. L’interesse è stato così alto che il corso ha
raggiunto il boom di iscrizioni solo dopo 8 mesi dall’apertura del nuovo Anno
Accademico 2015-2016. (Fonte: www.skuola.net/news/notizie-universita
10-04-2015)
RETRIBUZIONI
RIFORMA DELLE
PENSIONI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Con le nuove norme, chi raggiunge l'età per la pensione,
cioè superati i 66 anni, non potrà più lavorare. In più, se l'amministrazione
pubblica lo ritiene necessario, il lavoratore potrà essere mandato in pensione
non appena raggiunge l'anzianità necessaria per il pensionamento. Queste novità
sono già legge e sono contenute nella circolare del ministro della Pubblica Amministrazione,
Marianna Madia: tale circolare è stata firmata a febbraio e pubblicata in
Gazzetta Ufficiale il 4 maggio. Fanno eccezione i magistrati, i professori
universitari e i primari, i quali godranno di un'uscita dal lavoro più soft.
Ricordiamo che il pensionamento diventerà, dunque, obbligatorio quando si
raggiunge l'anzianità di 42 anni e sei mesi per gli uomini e di 41 anni e sei
mesi per le donne, limiti aumentati di quattro mesi a partire dal 1° gennaio
2016. Il provvedimento riguarderà all'incirca 5.700 dipendenti. La
cancellazione del trattenimento in servizio, invece, riguarda la
"vecchiaia": non si potrà lavorare oltre i 66 anni e tre mesi (66
anni e sette mesi dal 1° gennaio 2016). L'uscita dal lavoro sarà più morbida
per i magistrati che potranno rimanere sul lavoro per ulteriori 5 anni,
beneficio che verrà eliminato al termine del 2015. Magistrati, professori
universitari e primari hanno anche il limite massimo di età per la pensione più
alto: 70 anni e non devono sottostare ai pensionamenti d'ufficio. (Fonte: http://tinyurl.com/q462ap5 maggio 2015)
UN ALTRO COLPO A
SCOPPIO RITARDATO CONTRO I “PENSIONATI D’ORO”
L'Inps ha emanato la circolare che spiega come saranno
ricalcolati gli assegni diventati troppo "pesanti" in seguito
all'applicazione della riforma Fornero. A prevederlo è la legge di Stabilità
dello scorso dicembre, ma l'operazione parte solo ora. Così chi nel frattempo
ha ricevuto più del dovuto dovrà restituirlo. Colpiti soprattutto magistrati,
docenti universitari e burocrati con stipendi alti.
Una parte dei pensionati che a fine carriera avevano
retribuzioni particolarmente alte si vedrà decurtare l’assegno e dovrà anche
restituire i soldi in più ricevuti da gennaio a oggi. È l’effetto del ricalcolo
delle pensioni previsto dalla Legge di Stabilità 2015 e per il quale l’Inps ha
solo venerdì scorso diffuso le linee guida operative. Il risultato, secondo le
simulazioni de Il Sole 24 Ore, sarà che, per esempio, un magistrato andato a
riposo a fine 2014 a 60 anni, con un’anzianità contributiva di 42 anni e 10
mesi e una retribuzione media pensionabile di 110mila euro, si vedrà ridurre il
trattamento da 88.690 a 86.534 euro l’anno. Allo stesso modo, un docente
universitario classe 1946 che abbia lasciato il lavoro a settembre 2014 dopo
aver versato contributi per 40 anni e 8 mesi e con una retribuzione media
pensionabile di 65.960 euro subirà un taglio di oltre 500 euro rispetto ai
50.940 annui cui avrebbe avuto diritto in precedenza. E ad entrambi lo Stato
chiederà indietro quanto “indebitamente corrisposto” nel corso del 2015. “Indebitamente”
non per colpa loro, si intende, ma a causa del ritardo con cui la circolare è
stata emanata.
Un passo indietro: la novità deriva dall’applicazione del
comma 707 della manovra varata dal governo Renzi lo scorso dicembre. Quel comma
stabilisce che “in ogni caso, l’importo complessivo del trattamento
pensionistico non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con
l’applicazione delle regole di calcolo vigenti” prima della riforma Fornero di
fine 2011, che ha esteso il sistema contributivo anche ai lavoratori che il 31
dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi e fino allora si vedevano
calcolare la pensione sulla base delle regole del vecchio sistema retributivo.
(Fonte: www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/12
)
LO STOP ALLA
RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI È INCOSTITUZIONALE
La norma che, per il 2012 e il 2013, ha stabilito, «in
considerazione della contingente situazione finanziaria», che sui trattamenti
pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps (da 1.217 euro
netti in su) scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che
adegua le pensioni al costo della vita, è incostituzionale. Lo ha deciso la
Corte Costituzionale, bocciando l'art. 24 del decreto legge 201/2011 in materia
di perequazione delle pensioni. Che cosa succederà adesso? Il Governo si dovrà
adeguare, cercando le risorse necessarie. Le pensioni, nel biennio 2012-2013,
dovrebbero essere rivalutate in base alla disciplina precedente: al 100% per gli
importi fino a tre volte il minimo, al 90% per la parte eccedente e fino a
cinque volte il minimo, al 75% per la quota superiore. I dettagli su calcoli e
restituzione saranno messi a punto dall’Inps, d’intesa con il Governo.
Beninteso, una volta scovato un bel gruzzolo di miliardi. Il blocco
dell'indicizzazione delle pensioni scattato con il Salva Italia e ora bocciato
dalla Consulta ha toccato una platea di circa 6 milioni di persone, ovvero
quante sono quelle con un reddito da pensione superiore a 1.500 euro mensili
lordi, secondo gli ultimi dati dell'Istat sulla previdenza, aggiornati al 2013.
Lo stop alla perequazione ha infatti interessato gli assegni superiori a tre
volte il minimo (circa 1.500 euro al mese). Guardando alle percentuali si
tratta di oltre il 36% del totale degli oltre 16,3 milioni di pensionati
italiani. Nel dettaglio, i pensionati d'oro, che superano i diecimila euro
mensili, sono solo circa 12 mila (lo 0,1%). (Fonte: My24 30-04-2015)
DIS-COLL, LA NUOVA
INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE. INCERTA L'INCLUSIONE DI ASSEGNISTI DI RICERCA,
DOTTORANDI E BORSISTI DELL'UNIVERSITÀ E DEGLI ENTI
Lunedì 27 aprile 2015, è uscita la circolare INPS che rende
operativa la DIS-COLL, la nuova indennità di disoccupazione rivolta a co.co.co.
e co.co.pro. Grande era l'attesa per questa circolare e per i chiarimenti che
avrebbe dovuto fornire sui beneficiari dello strumento. Nelle pieghe
dell'interpretazione del DLgs 22/15 istitutivo della DIS-COLL da parte
dell'istituto di previdenza, infatti, si gioca l'inclusione, oppure no, di
qualche centinaio di migliaio di persone.
La Circolare, però, non chiarisce i nodi principali: sono
ammessi oppure no i parasubordinati che versano alla gestione separata INPS, ma
hanno un contratto nominalmente diverso dal co.co.co. e co.co.pro.? E per
quanto riguarda i comparti della conoscenza: sono ammessi oppure no assegnisti
di ricerca, dottorandi e borsisti dell'Università e degli Enti di Ricerca?
Queste domande, sorte all'indomani dell'approvazione del Decreto, rimangono
identiche oggi. La Flc Cgil ha richiesto un chiarimento definitivo all'INPS
rispetto ai beneficiari della DIS-COLL che preveda l'inclusione di assegnisti
di ricerca, dottorandi e borsisti dell'Università e degli Enti, così come delle
altre tipologie contrattuali iscritte in via esclusiva alla Gestione separata
INPS. (Fonte: Flc Cgil 29-04-2015)
RICERCA. RICERCATORI. VALUTAZIONE DELLA RICERCA
PIANO NAZIONALE PER
LA RICERCA (PNR)
Il Piano nazionale per la ricerca (PNR) è approdato in
Consiglio dei ministri. Il documento, che, di fatto, programma economicamente e
strutturalmente gli investimenti nella ricerca del nostro Paese, presenta una
serie di novità: innanzitutto nella durata che per la prima volta è settennale,
cosi da adeguarsi alle direttive di raccordo con l'Unione europea sia per il
piano di investimenti previsti sia per le specializzazioni interne che saranno
12 e coincideranno con quelle del piano Horizon 2020 (Programma europeo per la
ricerca).
Le aree di sviluppo prioritarie, come si legge nella bozza
del Ministero, saranno tre: aereospazio, agrifood e fabbrica intelligente, che
sono le aree individuate per la specializzazione nazionale intelligente, ovvero
quegli ambiti di ricerca dove è possibile sviluppare una concentrazione di
investimenti e risorse tesi all'innovazione industriale, anche da parte dei
privati. II secondo segmento riguarda il settore ad "alto
potenziale", ovvero quegli ambiti dove il nostro Paese, rispetto agli
altri stati dell'Unione, ha particolari competenze e peculiarità (chimica
verde, patrimonio culturale, creatività e design made in Italy e sviluppo della
filiera marittima); il terzo segmento è rappresentato dalle aree in transizione
(smart city and communities, tecnologie per gli ambienti di vita), che hanno
visto una buona vitalità nell'ultimo triennio, ma che hanno bisogno del
sostegno della domanda per la creazione di nuove fette di mercato per
l'innovazione. L'ultimo segmento riguarda gli ambiti consolidati come salute,
energia e trasporti, che necessiteranno di un’individuazione di settori
specifici in cui destinare le risorse. Un documento molto corposo che cerca di
ridisegnare, innovando il complesso assetto della ricerca italiana e che ha
come obiettivo l'impiego di 6 miliardi di euro da qui fino al 2016. Queste
risorse saranno attinte per un terzo dal bilancio del Miur, andando a pescare
dai fondi per il Piano operativo nazionale per la ricerca (circa 2,2 miliardi
di euro) e la parte rimanente sarà attinta dal Programmi Regionali (Por) e dal
programma europeo Horizon 2020. II Piano nazionale della ricerca approderà
intorno al 20 aprile al Cipe (Comitato Interministeriale per la programmazione
economica) e verrà esaminato in tutte le sue voci di spesa, con oltre 14 mesi
di ritardo, una costante che al momento ci allontana molto dagli standard
europei. (Fonte: M. Coccia, Il Messaggero 20-04-2015)
RICERCATORI.
NECESSARIO UN PIANO STRAORDINARIO DI ASSUNZIONE
"In Italia è necessario un Piano straordinario di assunzione
dei ricercatori, perché ne abbiamo un numero bassissimo rispetto all'Europa".
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio nazionale delle ricerche Luigi
Nicolais, a margine dell'inaugurazione del Polo delle nanotecnologie di Lecce.
"Ho insistito su questo punto con il Governo attuale, ma anche con quelli
precedenti - ha precisato Nicolais - perché in Italia abbiamo 4 ricercatori su
1.000 occupati mentre la media europea è 7, i tedeschi hanno superato 8, nel
Nord Europa addirittura si è arrivati a 17". "Nel Cnr, per esempio - ha proseguito
Nicolais - abbiamo 8.000 ricercatori a tempo indeterminato, ma anche 3.000 a
tempo determinato, che sono bravi come gli altri. Non chiediamo una stabilizzazione
ma l'opportunità di farli partecipare a un concorso, affinché siano valutati
per quello che valgono. Siamo certi che questo aiuterebbe fortemente le nostre
strutture di ricerca". (Fonte: AGI 07-05-2015) .
QUALE PREVIDENZA PER
I RICERCATORI AI TEMPI DEL JOBS ACT?
Dopo il susseguirsi delle varie riforme universitarie (legge
240/2010 in particolare), la crescente mancanza di risorse dedicate alla
ricerca ha portato ad una progressiva precarizzazione del sistema
universitario. Attualmente l’organico accademico è costituito prevalentemente
da figure non strutturate: titolari di borse di studio, dottorandi, assegnisti
di ricerca e ricercatori a tempo determinato (RTD). In particolare gli
Assegnisti di Ricerca, nonostante siano inquadrati come lavoratori
parasubordinati, hanno l’obbligo di iscriversi alla Gestione separata INPS
pagando un’aliquota contributiva del 30% sul loro reddito annuo (già piuttosto
esiguo). A fronte di questo oneroso obbligo contributivo non corrisponde però
un adeguato riconoscimento in termini di diritti e tutele. La normativa attuale
non prevede, infatti, alcun ammortizzatore sociale sotto forma di sussidio di
disoccupazione che possa sostenere il ricercatore allo scadere del proprio
contratto, in attesa di accedere ad un percorso lavorativo successivo.
Nell'intervento di riordino del sistema degli ammortizzatori sociali (DLgs 22
del 4 marzo 2015) è stata istituita la DIS-COLL, un’indennità di disoccupazione
per collaboratori coordinati e continuativi e a progetto. Stando alla lettera
del decreto rischiano di rimanere esclusi dalla fruizione della DIS-COLL tutti
gli altri parasubordinati iscritti alla gestione separata INPS. Tra questi
assegnisti di ricerca, dottorandi e borsisti: oltre 50.000 soggetti, sottoposti
a identico regime previdenziale rispetto a co.co.co. e co.co.pro., che hanno
forme contrattuali specifiche di Università ed Enti di Ricerca.
Verrà applicato il “Jobs act” alla figura dei giovani
ricercatori non strutturati? I punti dirimenti
sono principalmente due: in primo luogo, l’estensione anche per gli
Assegnisti di Ricerca del diritto di ricevere, al termine della propria
attività, il sussidio di disoccupazione Dis-Coll in vigore da 1 maggio 2015,
come accade per i lavoratori collaboratori coordinati e continuativi e a
progetto. In secondo luogo, è stato dibattuto l’adeguamento delle misure di
welfare sociale con l’incremento delle tutele e dei diritti durante il periodo
di attività (e.g. indennità di malattia, infortuni, congedo parentale). L’INPS
(cui si sono rivolti ricercatori non strutturati di Pisa) ha comunicato di non
avere ancora alcuna indicazione ministeriale dal punto di vista operativo e ha
dichiarato l’incapacità di incidere essendo materie di competenza politica.
Dunque un’interpretazione estensiva dell’INPS di tale norma non sembra essere
all’orizzonte. E tutto questo nonostante le aliquote previdenziali versate alla
Gestione Separata dell’INPS da parte di tutti i parasubordinati (collaboratori
e non) coincidano. (Fonte: http://tinyurl.com/k86xwvd 22-04-2015)
RICERCA. PROTESTE DEI
RICERCATORI PER LE MOZIONI ANTI-SPERIMENTAZIONE ANIMALE
L´Assemblea del Senato ha approvato, in testi modificati, 4
mozioni (2 di M5S e 2 del Pd) che impegnano il Governo alla promozione della
cultura contro i maltrattamenti degli animali. I contenuti, che prevedono, fra
l´altro, paletti alla sperimentazione animale a scopo di ricerca, sono
fortemente osteggiati dalla comunità scientifica, che ribadisce ancora una
volta come i test sugli animali siano al momento "ancora necessari e
insostituibili". Tra gli scienziati contrari alle mozioni, intervenuti a
una conferenza stampa organizzata per esprimere il dissenso della comunità dei
ricercatori, ci sono gli esponenti del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica
rappresentato dal farmacologo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario
Negri di Milano. Insieme alla scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo e
altri ricercatori che "per l´ennesima volta devono difendere la
razionalità scientifica contro un’iniziativa di stampo animalista tesa a
rendere impossibile la ricerca con gli animali", il Gruppo 2003 - spiega l’associazione
- ha rinnovato le ragioni che rendono la sperimentazione animale "ancora
necessaria e benefica per i farmaci e le terapie che se ne possono trarre.
Malattie come Hiv, epatite C ed altre, mortali fino ad alcuni anno orsono, ora
sono divenute croniche (Hiv) o eradicabili (epatite C) grazie alla ricerca
sugli animali". "Non è vero - ha argomentato Garattini - che dallo
studio degli animali non si possano desumere risultati che valgono anche per
gli uomini. E non è neppure vero che i metodi alternativi la possano al momento
soppiantare. La complessità dei sistemi biologici necessita di prove su specie
animali. Porre ulteriori ostacoli alla sperimentazione animale in Italia in
questo ci allontanerebbe dall´Europa e dalla possibilità di essere competitivi
nella ricerca biomedica e nelle sue positive ricadute". "Ci uniamo
alle altre associazioni e ai ricercatori che hanno partecipato alla conferenza
stampa - ha concluso – nell’invitare il Governo e tutti i partiti che hanno a
cuore il Paese ad appoggiare politiche più lungimiranti in linea con l´Europa e
i Paesi più avanzati nella ricerca scientifica". (Fonte: http://www.panorama.it/ 06-05-2015)
RICERCA. ACRITICHE
MACCHINE BUROCRATICHE STANNO
COSTRINGENDO LA RICERCA LIBERA E DI BASE IN SPAZI SEMPRE PIÙ ANGUSTI
Sempre più spesso siamo chiamati a riempire database di ogni
genere, con informazioni sempre più dettagliate e a volte deliranti sulla
nostra attività, redigere documenti in cui più che il contenuto è l’impaginazione
a determinare uno spreco di tempo inaccettabile. Siamo sollecitati a scrivere
progetti per ottenere fondi che non si avrà mai il tempo di utilizzare
proficuamente per condurre le nostre ricerche, anche qualora venissero
assegnati, perché sottomesso un progetto se ne scrive un altro, riducendo
spesso il nostro lavoro a un orribile esercizio di copia incolla. Agenzie
specializzate vengono consultate non solo o non tanto per avere una valutazione
sulla validità della ricerca che si propone e sull’opportunità di finanziarla
perché realmente e potenzialmente utile alle società che tali ricerche in
definitiva finanziano, ma per farsi insegnare quali sono le parole chiave, le
frasi “precotte” da utilizzare, gli annunci accattivanti e l’impostazione grafica
che i nostri progetti devono includere per “meritare” l’attribuzione di fondi.
Agenzie probabilmente nate come effetto collaterale di un’estrema
burocratizzazione del mondo della ricerca e credo pagate su fondi delle
università e degli enti di ricerca, fondi che potrebbero forse essere spesi
meglio per la ricerca o per nuove posizioni. I criteri bibliometrici da soli
hanno indotto da tempo ad assumere e suggerire comportamenti oserei dire
fraudolenti: più o meno sofisticati meccanismi di autocitazione o citazione tra
colleghi, pubblicazioni definite “covert duplicate publications”, inutile
frammentazione di lavori in più articoli per aumentare il numero di
pubblicazioni. E ciò che forse è più grave, queste acritiche macchine
burocratiche stanno costringendo la ricerca libera e di base in spazi sempre
più angusti. Non si ha più il tempo di dedicarsi all’intima comprensione dei
problemi perché la pubblicazione non è più l’epilogo naturale di una ricerca di
cui si vuole far partecipe la comunità, ma il fine unico e solo da perseguire
comunque ed in ogni caso. (Fonte: A.
De Francesco, http://www.unipd.it/ilbo/fuffa-non-e-scienza
01-04-2015)
RICERCA. SULLE
COMMISSIONI PER LA SELEZIONE DEI DIRETTORI DEGLI ISTITUTI DI RICERCA DEL CNR
Uno dei motivi addotti per il massiccio ricorso ad esperti
esterni nelle Commissioni (è fuori discussione che il CNR ha bisogno di
competenze esterne) è il presunto conflitto di interessi dei ricercatori,
mentre gli esterni sarebbero “indipendenti” e quindi garantirebbero un sereno
giudizio. Niente di più erroneo. In primis non si capisce perché nel caso
dell’università, in cui le cariche sono elettive tra i “pari”, non vale il
conflitto di interessi – lo stesso vale per l’INFN. In secundis, tra i
commissari sono ben visibili cordate universitarie che hanno il chiaro
interesse a determinare i destini degli Istituti del CNR, che spesso vengono
utilizzati come strutture tecniche e per posizionarvi propri membri. In
tertium, conflitti di interessi sono ben visibili nel nostro caso: per esempio
un membro di Commissione è stato chiamato a svolgere una funzione dirigenziale
al MIUR e la vigilanza ministeriale è incompatibile con l’autonomia dell’ente.
In quartiis, pur apprezzando la disponibilità dei membri delle Commissioni a
contribuire al bene della scienza e del paese, andrebbe chiarito qual è il
motivo per cui stimati e indaffarati professionisti (che costano ai propri
datori di lavoro centinaia di euro al giorno e che in non pochi casi svolgono
attività professionale retribuita) si rendono disponibili a dedicare al compito
assegnato giornate di lavoro, a spostarsi dalla propria sede, a rischiare di
essere coinvolti nei ricorsi dei candidati, senza ricevere alcun compenso
economico. Sarebbe dunque opportuno che il consiglio di amministrazione del
CNR, come direbbero gli inglesi, “go back to the drawing board”, e formasse
commissioni rispettose della dignità dei ricercatori del CNR e che non siano
affette da conflitti di interesse; ciò anche per evitare contenziosi simili a
quelli dell’Abilitazione scientifica nazionale. (Fonte: G. Sirilli, http://tinyurl.com/p6nvybd 09-04-2015)
IMORTANZA DELLA
RICERCA E DELL’INNOVAZIONE SULLA COMPETITIVITÀ ECONOMICA DI UNA NAZIONE
Un gruppo di colleghi fisici dell’Istituto dei Sistemi
Complessi del CNR ha sviluppato un nuovo metodo, chiamato selective predictability scheme, per eseguire delle previsioni in
economia, che s’ispira al metodo degli analoghi. Questo metodo si basa sui dati
riguardanti i flussi delle esportazioni di ogni Paese tra il 1995 e il 2010.
L’evoluzione economica di ogni nazione è tracciata all’interno di un piano
bidimensionale, dove si confronta una variabile monetaria – il PIL – con una variabile
non-monetaria – la Fitness – per un
arco temporale di circa una ventina d’anni. La Fitness è una variabile che
tiene conto della competitività economica di una nazione misurando, al
contempo, il livello di diversificazione e di complessità dei prodotti
esportati da ogni Paese.
La conclusione di questo studio è che le nazioni che
cresceranno di più nel prossimo decennio sono quelle che si sono preoccupate di
aumentare la loro Fitness, prima che il PIL, come dimostrato dalle loro
traiettorie seguite negli anni passati: ovvero i Paesi che si sono occupati di
meglio rafforzare il proprio sistema industriale, della ricerca e
dell’innovazione. Per questo motivo, come conseguenza di un consistente aumento
di Fitness, tali nazioni hanno avuto accesso a mercati via via sempre più
esclusivi, e quindi sempre più remunerativi. Questo ha fatto sì che a un certo
punto anche il loro PIL, prima basso se paragonato al valore della Fitness,
abbia iniziato a crescere, e continuerà a farlo per altri dieci anni, come
mostrano chiaramente le traiettorie di tali nazioni – almeno fino a quando non si raggiungerà una
sorta di equilibrio tra valore di PIL e di Fitness. I Paesi che continueranno a
crescere per almeno un altro decennio sono dunque quelli che hanno accumulato
un bonus in termini di competitività economica che ancora non si è tradotto in
un proporzionale aumento di PIL. Da questo modello emerge, ad esempio, che Cina
e India continueranno a crescere stabilmente per almeno altri dieci anni,
raggiungendo un PIL complessivo di 26 trilioni di dollari nel 2022; un
risultato in controtendenza rispetto a previsioni economiche standard. (Fonte:
F. Sylos Labini, http://tinyurl.com/pf7w4l6 12-04-2015)
LA FRODE SCIENTIFICA.
COME SI È EVOLUTA
Da sempre anche gli scienziati, non tutti ovviamente,
commettono scorrettezze o frodi: per esempio falsando i dati o plagiando
ricerche effettuate da colleghi. Un caso eclatante è stato quello del
britannico Andrew Wakefield, autore di una delle più gravi frodi in ambito
scientifico, la correlazione tra vaccini e autismo, risultata infondata e in
realtà costruita a tavolino. Internet però ha cambiato le forme di
comunicazione della ricerca, e con esse le forme di frode o di condotta
eticamente scorretta. Inoltre le nuove forme di valutazione, per esempio le
metriche che calcolano le pubblicazioni o le citazioni, hanno alimentato
comportamenti il cui obiettivo è soddisfare le metriche stesse, e non produrre
ricerca di qualità. Mario Biagioli, professore di storia, legge e studi sociali
sulla scienza all’Università della California a Davis, riflette su che cosa
significhi oggi pubblicare e valutare la ricerca scientifica e quali siano i
confini legali ed etici dei comportamenti assunti dai ricercatori o dalle
università. Oggi la frode è anche attuata da ricercatori che non cercano la
fama ma vogliono solo costruirsi un curriculum gonfiato che rispetti le
aspettative delle valutazioni numeriche. Se una commissione di valutazione si
limita ad analizzare il curriculum, può essere favorevolmente impressionata
dalla sua lunghezza senza sapere che le pubblicazioni sono in realtà frodi o
plagi. Di recente abbiamo saputo dell’esistenza di gruppi di riviste che
formano cerchie che si accordano per scambiarsi peer review e citarsi a
vicenda: anche le riviste sono soggette a pressioni per aumentare il proprio
impact factor. Molti atenei lavorano con statistici che decidono come
presentare i propri dati per adattarli, o almeno massimizzarne la simbiosi con
i parametri usati da alcuni ranking diventati importanti, come quello del Times
Higher Education o lo Shanghai Ranking. (Fonte: F. Biagioli, da un’intervista
pubblicata nel numero 560 di Le Scienze, aprile 2015)
RICERCA. IL CAVALLO
DI TROIA CHE HA SCOPERCHIATO LE FALLE DELLE RIVISTE ON LINE
La molecola X, estratta dal lichene Y, inibisce la crescita
delle cellule tumorali Z. È lo schema di un articolo-esca inventato di sana
pianta e firmato da un autore inesistente che la rivista Science ha inviato a
304 riviste online open access per testarne l’attendibilità e la qualità
divulgativa. Risultato? Ben 157 lo hanno accettato ad occhi chiusi, senza
verificarne la validità, e un editore ha persino chiesto 3100 dollari per la
pubblicazione. Il cavallo di troia, inviato da Science ai meno proibitivi
competitor online, serviva a scoperchiare le falle di un sistema in cui la
qualità spesso passa in secondo piano, a vantaggio della quantità. Esistono al
giorno d’oggi ben 21.100 riviste scientifiche che in un anno pubblicano qualcosa
come due milioni di articoli a fronte di una popolazione mondiale di più di 10
milioni di ricercatori. La corsa ai finanziamenti costringe spesso i
ricercatori a pubblicare frettolosamente i dati raccolti, publish or perish
(pubblica o muori) a scapito della precisione. Piero Bianucci sul quotidiano La
Stampa, spiega che: “Il problema della validazione dei risultati scientifici,
dovuto all’enorme numero di articoli, è aggravato dal proliferare delle riviste
online e dal fenomeno dell’auto pubblicazione (senza controlli) in anteprima”.
Il meccanismo è circolare: lo scienziato deve produrre articoli per avanzare di
carriera. Contano numero di paper pubblicati e il prestigio della rivista,
oltre al numero di volte che l’articolo è citato dai colleghi negli anni
successivi. Tutti dati che servono a calcolare il h-factor, cioè quanto è bravo
un ricercatore. Le riviste, a loro volta, si sono evolute verso un diverso
modello di finanziamento, facendo pagare i costi ai ricercatori che chiedono di
pubblicare il loro lavoro. È questo il modello delle cosiddette riviste Open
Access, che non guadagnano in base al numero degli abbonamenti, ma in base al
numero degli articoli pubblicati. Di qui il tentativo della rivista Science,
tra le più autorevoli e costose al mondo, di smascherare quegli editori Open
Access che cedono alla tentazione di tirare su soldi facili, pubblicando
articoli di dubbia qualità. Ma forse, se l’esperimento avesse coinvolto anche
riviste tradizionali, il risultato non sarebbe stato molto diverso. (Fonte: www.blitzquotidiano.it 13-04-2015)
CLASSIFICAZIONE DELLE
RIVISTE SCIENTIFICHE: UN'APPLICAZIONE DEL SINDACATO DELLA DISCREZIONALITÀ
TECNICA
Il Consiglio di Stato ha ritenuto viziata da difetto di istruttoria
la classificazione di merito in fascia B di una rivista scientifica, ai fini
della valutazione dell'impatto della produzione scientifica dei candidati e
degli aspiranti Commissari per l'abilitazione scientifica nazionale, in assenza
della predeterminazione ex ante di criteri e canoni tecnici che garantissero
l'uniformità e la verificabilità del metro di giudizio adottato. (Fonte:
Consiglio di Stato Sentenza, Sez. VI, 25/03/2015, n. 1584)
RICERCA. PROMUOVERE
UNA «VALUTAZIONE DELLA VALUTAZIONE»
L'idea di valutazione come "novità assoluta" nel
mondo accademico italiano: da questo elemento ha preso le mosse il terzo
incontro promosso dall'Interconferenza nazionale dei Dipartimenti in
collaborazione con il CNSU (Consiglio nazionale degli studenti universitari) e
con la partecipazione della rivista online ROARS (Return on academic research),
svoltosi a Roma il 25 marzo 2015 e dal titolo "La valutazione nel sistema
universitario. Elementi per un bilancio".
Di miglioramenti sostanziali derivanti dal sistema di
valutazione ha parlato il presidente dell'ANVUR, Stefano Fantoni, con
particolare riferimento al Rapporto 2013, in cui si rileva il
sottofinanziamento del 20% al quale è stato sottoposto il sistema universitario
negli ultimi quattro anni. Fantoni ha ribadito come, nonostante le molte
critiche ricevute, l'atteggiamento dei docenti nei confronti delle attività di
valutazione sia stato «fortemente collaborativo».
Di parere opposto Luciano Modica (già Presidente Crui e
Sottosegretario Miur), che ha ripercorso la storia della valutazione, spiegando
come dal 1995, anno in cui fu coniato il "trinomio"
autonomia-valutazione-responsabilità, sia diminuita l'autonomia degli atenei e,
di conseguenza, sia diventato più critico fare valutazione. Modica riconosce
all'Anvur il merito di aver avviato il processo di diffusione della cultura
della valutazione, ma rileva che il risultato è stato più legato all’attuazione
di parametri quantitativi e bibliometrici, mentre gli obiettivi della
valutazione dovrebbero consistere nell'informare e nel migliorare.
Sulla stessa lunghezza d'onda Alessandro Figà Talamanca (già
consigliere CUN), che ha criticato non solo la cultura bibliometrica introdotta
dall'Anvur, ma anche la classificazione delle riviste scientifiche, destinata
ad assumere grande rilevanza nelle scelte dei ricercatori e a rafforzare il
dominio degli editori principali, che rischia un «effetto autoritario sulla
libertà della scienza e della cultura».
Nelle conclusioni, Mario Morcellini (Portavoce
dell'Interconferenza e Prorettore della Sapienza alla comunicazione
istituzionale), ha richiamato la necessità di promuovere, anche se a distanza
di pochi anni, una «valutazione della valutazione», prendendo atto delle
«difficoltà di fare un'informata analisi sistematica del processo storico alle
spalle». (Fonte: A. Lombardinilo, rivistauniversitas 14-04-2015)
RICERCA. PROGETTI
VINCITORI DEGLI ERC CONSOLIDATOR 2014
L'European Research Council ha pubblicato la lista dei
progetti vincitori degli ERC Consolidator 2014, progetti di particolare
rilevanza a cui hanno accesso ricercatori con almeno 7 anni di esperienza dopo
il dottorato e un eccellente curriculum scientifico. Tre gli ambiti di
intervento dei progetti: Fisica ed Ingegneria (48% dei progetti vincitori); Scienze
Biomediche (31%); Scienze Sociali, Lettere e Studi Umanistici (21%). Il paese
con il maggior numero di progetti vincitori è il Regno Unito (86), seguito da
Germania (66), Francia (53), Spagna e Olanda (32). Premiati specialmente i
ricercatori tedeschi (69) e francesi (44), che lavorano nelle varie istituzioni
europee. In totale gli italiani premiati sono stati 29. Come paese l'Italia è
al sesto posto con sedici progetti vincitori presentati da ricercatori operanti
nelle università nazionali, 10 nel campo della Fisica e dell'Ingegneria e tre a
testa per gli altri due settori. Il Politecnico di Milano ha il numero più alto
di progetti vincitori (4), seguito da Milano Bicocca e Bocconi (2). Gli altri
progetti appartengono a ricercatori delle seguenti istituzioni: Università di
Pavia, Università di Milano, Università di Trento, Sapienza Università di Roma,
Politecnico di Torino, Università di Firenze, Fondazione Istituto Italiano di
Tecnologia e INFN - Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Ogni progetto verrà
finanziato con un importo totale di 2,75 milioni di euro per una durata massima
di 5 anni. (Fonte: D. Gentilozzi, La Stampa, 01-04-2015)
RICERCA. SUPERARE LA
DISTINZIONE TRA UNIVERSITARI CON STATO GIURIDICO E SCIENZIATI
"CONTRATTUALIZZATI" DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA
Non un’altra agonia di voci e rumori di (inutili, dannose e
malfatte, inutili e dannose perché malfatte) riforme degli enti di ricerca come
quelli con cui ultimamente quasi ogni Governo (finora gli ultimi due ne erano
esenti) ci ha colpito o ha tentato di farlo! Ciò di cui la ricerca italiana ha
bisogno non è una “rivoluzione pazzesca”, ma una quieta tranquillità che ci
lasci lavorare come da sempre facciamo, con risultati riconosciuti per consenso
internazionale. Se si volesse estremizzare solo un pochino, si potrebbe dire,
parafrasando quanto diceva nel 1949 Gustavo Colonnetti, esule antifascista,
politico DC e presidente del CNR “[la ricerca italiana] ha bisogno solo di una
riforma, un aumento del suo bilancio”. Aggiungerei il reclutamento e la
progressione del personale di ricerca. Di certo ciò di cui abbiamo bisogno non è
un intervento pazzesco nel senso di insensato, di basato su dati mancanti e
percezioni errate, magari provenienti proprio da quegli alti burocrati
ministeriali che dovrebbero essere il primo target della vostra azione. Ora, da
una parte, esiste una cattiva stampa (forse in malafede, sicuramente sbagliata)
in materia di Università e Ricerca che genera una cattiva pubblica opinione. Da
un'altra, quando si parla e si pensa male della Pubblica Amministrazione, si
pensa all'ambiente dei ministeri romani, a uffici pieni di alti burocrati o di
fannulloni brunettiani. Ma da un’altra parte ancora si dimentica che fanno
parte della Pubblica Amministrazione cose che hanno assai poco a che fare nel
modo di lavorare e organizzarsi con uffici impiegatizi (anche ben funzionanti).
Tra questi (e parlo da cittadino e utente) molti servizi pubblici quali scuola
e sanità (gli insegnanti non sono impiegati, medici e infermieri non sono
impiegati). Tra questi vi sono gli scienziati degli enti di ricerca che, come i
colleghi universitari, non sono impiegati. Perciò la ricerca italiana avrebbe
veramente bisogno del superamento della distinzione tra universitari con stato
giuridico e scienziati "contrattualizzati" degli EPR, superamento che
non è mai stato tentato seriamente (salvo forse un tentativo abortito ai tempi
del ministro della Ricerca Ruberti). Inoltre riconoscere che gli enti di
ricerca non sono “uffici come gli altri”, che sono affini all’Università con
cui richiederebbero uno status comune, e soprattutto che non vanno accorpati
arbitrariamente secondo il ghiribizzo di “oscuri estensori”! Ma coinvolgendo il
personale scientifico in una fase costituente. (Fonte: L. Chiappati, http://sax.iasf-milano.inaf.it
05-05-2015)
RICERCA. IL DECALOGO DEL
LEIDEN
MANIFESTO FOR RESEARCH METRICS
L’anno scorso, durante il convegno STI 2014, la comunità
degli scientometristi sembra essersi improvvisamente resa conto dei danni
collaterali e delle distorsioni create da un cattivo o maldestro uso degli
indici bibliometrici prodotti e messi a disposizione dalla comunità stessa. E,
verificato che i buoi erano scappati, ha provato a chiudere il recinto con un
decalogo pubblicato su Nature che sta rimbalzando in tutte le liste di discussione.
Il “Leiden
Manifesto for research metrics” contiene 10 principi rivolti a chi utilizza
le metriche per scopi valutativi e parte proprio da una preoccupazione
crescente rispetto al loro uso scorretto:
Come scientometristi, scienziati sociali e amministratori
della ricerca, abbiamo osservato con crescente preoccupazione il pervasivo uso
scorretto degli indicatori nella valutazione delle performance scientifiche.
I 10 principi che si propongono di fornire indicazioni per
porre rimedio alle storture create ovunque nel mondo dall’introduzione
maldestra della bibliometria sono tutti egualmente importanti. Li citiamo qui
sotto, rimandando alla lettura dell’articolo per una loro trattazione più
approfondita.
1. La valutazione quantitativa deve supportare il giudizio
qualitativo.
2. Misurare le prestazioni in relazione alla missione di
ricerca dell’istituzione, del gruppo o del ricercatore.
3. Salvaguardare l’eccellenza nella specifica ricerca locale.
4. Mantenere aperto, trasparente e semplice il processo di
acquisizione dei dati e quello di analisi.
5. Consentire ai valutati di verificare i dati e l’analisi.
6. Tenere conto delle differenze tra aree disciplinari nelle
pratiche di pubblicazione e citazione.
7. Basare la valutazione dei singoli ricercatori su un
giudizio qualitativo del loro portafoglio scientifico.
8. Evitare finta concretezza e falsa precisione.
9. Riconoscere gli effetti sistemici della valutazione e
degli indicatori.
10. Verificare regolarmente la qualità degli indicatori ed
aggiornarli.
(Fonte: Redazione Roars 28-04-2015)
RIFORMA UNIVERSITARIA
UN’ALTRA RIFORMA
UNIVERSITARIA IN ARRIVO. ANTICIPAZIONI SU UNA PRIMA BOZZA
Dopo gli annunci a Repubblica tv del ministro Giannini
("contratto università distinto dalla pubblica funzione"), ora
sull'attesa "riforma dell'università italiana" c'è una prima bozza.
Nell'incipit c'è, appunto, "il Contratto unico per l'università", che
non significherebbe uscire dalla pubblica amministrazione, ma dare la
possibilità al mondo accademico di non rispondere -
viste le sue particolarità - a una serie di vincoli stringenti richiesti
al resto dell'impiego pubblico. Nelle nuove carte i vincoli oggi presenti sono
definiti nel dettaglio. Un rettore per affidare un incarico a un esterno deve
chiedere un parere preventivo alla Corte dei conti, e perde almeno sei mesi.
Gli strumenti che il singolo ateneo deve comprare li decide il ministero.
L'acquisto di un biglietto aereo per mandare un docente a un convegno deve
passare dalla centrale unica Consip, costerebbe certo meno prendere un volo
online. Via - dice la bozza della riforma - i limiti
stringenti sui viaggi e la formazione. Il punto è che, spiega la senatrice
Francesca Puglisi, "bisogna ridare autonomia vera agli atenei, imporre meno
regole dal centro". Lo "sblocca università" farà saltare - per
esempio - il fermo del turnover dei docenti che ha
asfissiato fino al 2012 i dipartimenti e ancora oggi li stringe parecchio: i
docenti pensionati a lungo sono stati sostituiti in media uno su cinque, poi
uno su tre. Via il meccanismo per cui ogni ateneo non può assumere se le spese
del personale superano l'80 per cento dei costi totali e via i faticosi
"punti organico": tutti meccanismi contabili di reclutamento che
hanno prodotto l'invecchiamento precoce delle università italiane. (Fonte: C.
Zunino, La Repubblica 17-04-2015)
RIFORMA UNIVERSITARIA
IN ARRIVO. COMFERME ALLA PRIMA BOZZA
Nell'articolo di Repubblica (v. nota precedente) vengono
fornite diverse anticipazioni sui contenuti di una prima bozza di riforma
universitaria. A breve distanza di tempo da questo articolo alla Redazione di
Roars è pervenuto dal PD un file pdf intitolato “La
buona universita' e la buona ricerca”, il cui contenuto sembra
corrispondere alle anticipazioni di Repubblica. In particolare, nel documento
pervenuto a Roars si dice, come riportato anche su Repubblica, che per la
ricerca versiamo all'Unione europea sei miliardi e, a causa del numero
minoritario dei nostri ricercatori (150 mila contro i 510 mila tedeschi), ne
recuperiamo solo quattro. Sotto la denominazione di "contratto unico a
tutele crescenti" si ritrova "il Contratto unico per l'università"
di cui scrive Repubblica. Coincide anche "Lo Sblocca Università", non
solo come termine, ma anche come lista di intoppi burocratici: il parere
preventivo alla Corte dei conti per gli incarichi ad esterni, l’obbligo ad
usare Consip (con l'identico esempio dell'acquisto on-line del biglietto
aereo), i limiti sui viaggi e la formazione. Un altro punto che combacia è la
necessità di restituire autonomia agli atenei. Combacia anche l'abolizione del blocco del turn-over e dei punti
organico. Una possibile differenza riguarda la "fuoriuscita dalla pubblica
amministrazione". Nel documento viene formulato il seguente proposito:
Restituire autonomia agli Atenei con l’uscita dell’università̀ dal campo di
applicazione del diritto amministrativo (cioè dalla pubblica amministrazione).
Nell'articolo di Repubblica, invece, si mettono le mani avanti: c'è, appunto,
"il Contratto unico per l'università", che non significa uscire dalla
pubblica amministrazione, (Fonte: Redazione Roars 18-04-2015)
BUONE INTENZIONI PER
LA “BUONA UNIVERSITÀ”
Il Documento di economia e finanza 2015 contiene uno
specifico capitolo sull’istruzione: è l’1/16 del Programma nazionale di
riforma, che riassume il quadro delle politiche innovative in corso di
attuazione e le priorità future. La parte del documento che interessa è
“Istruzione e ricerca: il Paese riparte dalla conoscenza”.
Per le università emergono novità di rilievo. La logica di
fondo (progressivo ampliamento dei criteri meritocratici grazie all’aumento
delle quote di finanziamento basate su risultati valutabili) è ancorata ad
alcuni obiettivi precisi. Si dichiara che a regime la quota premiale del Fondo
di finanziamento ordinario, che nel 2014 è stata di 1 miliardo e 215 milioni
(pari al 18% delle risorse disponibili), dovrà salire al 30%; contestualmente,
l’incidenza sulla quota base del criterio dei “costi standard per studente”,
attualmente al 20%, salirà al 100%. Si prospetta quindi (almeno nelle
intenzioni) un completo superamento dei criteri di finanziamento “storici”,
legati ai fondi assegnati negli anni precedenti, e l’affermazione di un sistema
di assegnazione totalmente basato sui risultati. Ulteriore novità è l’impegno
ad applicare “analoghe misure” sia per gli enti pubblici di ricerca (cui oggi è
destinata una “quota premiale” inferiore al 10%) che per gli Afam
(conservatori, accademie, istituti per il design). Sempre in rapporto agli
incentivi meritocratici per gli atenei, il Def accenna a generici “interventi”
sulle università che non raggiungano gli obiettivi di qualità nel reclutamento
del personale.
La volontà di “accrescere il tasso degli immatricolati” e di
diffondere meccanismi che “premino l’impegno degli studenti” è legata
all’approvazione dei “Livelli essenziali delle prestazioni”, che rendano
omogenea “la platea dei servizi agli studenti offerti dai singoli territori”:
per l’università si prospetta quindi una definizione di standard quantitativi e
qualitativi analoga a quella esistente per la sanità. Molte promesse anche sul
terreno dell’internazionalizzazione: si dichiara che le risorse disponibili
verranno assegnate in via prioritaria agli atenei che aumenteranno il tasso di
studenti che partecipano ai programmi di mobilità e che conseguono all’estero
molti crediti formativi; si guarderà inoltre al tasso di laureati che abbiano
compiuto esperienze all’estero prima del conseguimento del titolo. Il tutto da
coordinare con gli obiettivi europei, che stabiliscono un minimo del 20% di
studenti che realizzino esperienze di mobilità entro il 2020.
“Entro il 2015” è annunciata la pubblicazione del nuovo
Programma nazionale per la ricerca. Viene prospettato il completamento del
sistema dei Cluster tecnologici nazionali, aggregazioni di imprese, atenei e
istituzioni pubbliche e private che operino in settori innovativi. Per quanto
concerne la valorizzazione della ricerca nelle università, il Def si concentra
sul potenziamento delle chiamate dirette per docenti che lavorino all’estero e su
una nuova procedura selettiva che assegni ogni anno “almeno un centinaio di
posizioni triennali a tempo determinato” (di più non è dato sapere). Il
documento si chiude con i dottori di ricerca, e precisamente con la promozione
di “dottorati innovativi” che si basino su progetti internazionali e
interdisciplinari. È prevista, infine, la creazione di canali specificamente
dedicati all’inserimento professionale dei neodottori di ricerca.
(Fonte: M. Periti, IlBo 15-04-2015)
STUDENTI
STUDENTI. EUROPEAN FUNDING GUIDE
Si riporta una e-mail di Mira Maier, Executive Director
of ITS Initiative For Transparent Study
Grants, indirizzata al redattore di INFO UNIVERSITARIE.
“I am the founder of a non-profit initiative responsible for the EU-funded student finance portal European
Funding Guide (www.european-funding-guide.eu). On this platform, we
help students in 16 EU countries access more than 12,000 scholarship programs
and other forms of financial aid, worth a total of 27 billion Euros. Therefore
I would greatly appreciate it if you would help us reach out to students to
inform them about the European Funding Guide. As you may know, financial
difficulties are still the number one reason for students aborting or never
even starting a higher education course. To address this problem, we - together
with the European Commission - have created the largest online-platform in the
EU for finding financial aid: www.european-funding-guide.eu. For this task,
we have researched and categorized over 12,000 scholarships, grants and awards
across the whole EU worth more than 27 billion Euros per year. The platform is
completely free of charge and can be used by students at the bachelor, masters
and doctoral level. The site also includes information about scholarships (for
example, the most common myths, such as: not all scholarships are granted
on a merit or need-base) with the help of currently more than 6,880
supporters. I would be very pleased if you would take a look at our portal
and inform your users about us; for instance on your homepage, through a
newsletter, or by other means. If you are interested in helping us spread the
word about our platform, I am more than happy to send you supporting materials
such as text or email templates. Best regards, Mira Maier”
(Fonte: maier@european-funding-guide.eu aprile 2915)
TASSE UNIVERSITARIE.
SI ACCENDE IL DIBATTITO IN EUROPA
Secondo alcuni, l'introduzione o l'aumento delle tasse
sarebbero la naturale conseguenza della crisi finanziaria. Sempre più esempi,
tuttavia, dimostrano il mancato nesso tra i due eventi: in molti casi aumentare
o introdurre le tasse universitarie costituisce parte di un pensiero politico
basato sul consumismo, più che una possibile via per risolvere la crisi
economica. Altri evidenziano come le tasse nascano da una necessità dettata
dalla politica stessa che sta spingendo il mondo universitario a trasformare
gli studenti in clienti.
Se il compito dell'università è di insegnare ed essere al
servizio della società nella sua interezza, un comune pregiudizio è quello
secondo cui far pagare le tasse agli studenti consentirebbe di aumentare i
finanziamenti per l'istruzione. Nella realtà accade sovente proprio il
contrario: nei sistemi che prevedono le tasse universitarie diminuisce il
finanziamento pubblico, in modo sostanziale in molti paesi, e il denaro
raccolto viene unicamente impiegato in attività e progetti volti ad aumentare
il prestigio e la reputazione degli atenei. Si guadagnano posizioni nei ranking
internazionali, ma non si migliora la qualità dell'istruzione. All'inizio del
2015 l'ESU - European Students' Union - ha rilasciato una dichiarazione
ufficiale sulla revisione di medio termine delle strategie EU2020 e ET2020.
Uno dei punti su cui appare perentorio il monito dell'ESU è
la richiesta alla Commissione europea di non incoraggiare il ricorso alle tasse
universitarie come opzione per finanziare l'istruzione superiore. Le tasse, che
vengono definite come "nocive per l'accesso all'istruzione superiore",
porterebbero a un decremento nella mobilità sociale e ad un aumento del debito
studentesco. Inoltre, secondo la dichiarazione, non rientrerebbero in un ambito
di stretta competenza della Commissione. (Fonte: E. Cersosimo,
rivistauniversitas marzo 2015)
STUDENTI. RIDUZIONE DEGLI IMMATRICOLATI
Poco più di due anni
fa, nella sua dichiarazione “Le emergenze del
sistema” il CUN osservava che il numero degli immatricolati
nelle università italiane aveva subito un calo di circa 58.000 unità, non
troppo distante dal numero di iscritti presso un grosso ateneo come
l’Università Statale di Milano. A distanza di due anni, gli immatricolati sono
diminuiti ulteriormente di circa 10.000 unità nel 2012/2013, per riconfermarsi
attorno a 270.000 nel 2013/2014. Se disaggreghiamo i dati dell’ultimo decennio
su base geografica, il numero di immatricolati nel Centro-Sud ha subito una
riduzione del 25.9 e del 29.9%. Un dato che non sorprende, se teniamo conto che
Nord e Centro hanno mediamente erogato borse verso il 90% degli idonei, mentre
al Sud questa percentuale scende sotto il 60%. La situazione fin qui
descritta è tutt’altro che rosea e le scelte di politica universitaria effettuate
nel recente passato non fanno che presagire un ulteriore peggioramento per il
futuro. Come interpretare, infatti, la retorica del merito se non come uno
strumento per dare il colpo di grazia a quegli atenei che, tra immatricolazioni
in calo, organici ridotti e budget sempre più tagliati, sono già oggi in
difficoltà? Se in linea di principio si può certamente essere d’accordo sul
principio “chi sbaglia, paga”, tuttavia nel caso delle università si
cerca di far pagare alla collettività gli errori di una ristretta cerchia di
persone. La “quota premiale” del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), ad
esempio, dovrebbe servire a premiare gli atenei più virtuosi. Qui sorge il
paradosso. Infatti, se di premio deve trattarsi, la logica vorrebbe che fosse qualcosa
che si aggiunge all’ordinario. Nella retorica del merito, invece, questo punto
di vista si inverte ed il premio viene erogato a saldo zero per le casse
statali, ovvero con risorse sottratte agli altri atenei dal normale FFO.
Quindi, se da un lato alcuni atenei vengono premiati, dall’altro molti vengono
pesantemente puniti e la punizione, più che essere riservata ai responsabili di
eventuali azioni sconsiderate, viene diretta contro gli studenti e le
popolazioni delle aree degli atenei colpiti, entrambi del tutto incolpevoli. È merito
questo? (Fonte: D. Delle Side, Roars 23-04-2015)
UNIVERSITÀ SENZA
TASSE AGLI STUDENTI NEL NORD EUROPA
Nel Nord Europa l'istruzione superiore viene considerata non
solo un bene economico, ma anche un diritto civile e un servizio pubblico a
vantaggio dello sviluppo dell'intera società, tendenzialmente senza oneri per
il singolo. I cinque Paesi del Nord Europa - Svezia, Danimarca, Norvegia,
Finlandia e Islanda - dedicano una parte
significativa del PIL al sistema di finanziamento della popolazione
universitaria (nel 2012 è stato superiore allo 0,2% in Norvegia, Svezia e
Islanda), che è parte importante del social welfare. Oltre alla mancata
tassazione, è attivata un'efficace rete di aiuti finanziari, basata
essenzialmente sui prestiti (totali e parziali) e sulle borse di studio. La
Danimarca ha il sistema più favorevole dei prestiti: vengono concessi
finanziamenti per 12 mesi l'anno (equivalente a $ 18.900) per la durata massima
di 6 anni - di cui va ripagato soltanto il 33% al termine degli studi. Svezia,
Islanda e Norvegia concedono il beneficio soltanto per 10 mesi l'anno, mentre
la Norvegia ne estende la durata ad un massimo di 8 anni e concede, a
determinate condizioni, il 40% dell'ammontare a fondo perduto sotto forma di
grants. Sono ovunque generalizzate anche forme di aiuto aggiuntivo per gli
studenti con figli e forti riduzioni per coloro che restano nella casa paterna
(in Svezia solo il 2% vive con i genitori dopo i 30 anni). (Fonte: A. Lorenzi,
rivistauniversitas 31-03-2015)
STUDENTI CINESI IN
ITALIA
Numerosissimi ragazzi cinesi vengono a studiare da noi
grazie ai programmi Marco Polo e Turandot stilati di comune accordo tra i due
governi. Quest'anno siamo arrivati a 4 mila pre-iscrizioni alle università
italiane da parte di giovani cinesi e complessivamente negli anni tra il 2008 e
iI 2015 sono stati 20 mila a candidarsi. Sommati ai giovani immigrati di
seconda generazione che sono andati all'università si può calcolare che
nell'arco di dieci anni siano stati 33 mila i cittadini cinesi che hanno
frequentato i nostri atenei di cui 3.800 si sono già laureati. (Fonte: D. Di
Vico, Corsera Università 21-04-2015)
VARIE
LA CERTIFICAZIONE
LINGUISTICA LATINA
In contemporanea in Liguria, in Lombardia e a Ferrara Il 28
aprile 2015 si è svolta la sessione della Certificazione linguistica latina
(Cll), dove centinaia di studenti dei licei, su base volontaria e in maniera
gratuita, hanno sostenuto un test di lingua un po' come succede per le lingue
moderne. Come si sa, l'istruzione classica sta attraversando una profonda crisi
non solo in Italia, ma un po' in tutta Europa: per citare solo un recentissimo
esempio, professori e studenti della celeberrima università della Sorbona hanno
manifestato negli scorsi giorni insieme contro l'ultima riforma scolastica
imposta dalla ministra francese dell'Istruzione, Najat Vallaud-Belkacem:
tagliare le ore curricolari di greco e latino nelle scuole superiori,
annacquandone l'insegnamento in corsi pluridisciplinari di taglio più
storico-culturale. In Francia, 520mila alunni scelgono, a differenza del
sistema scolastico del nostro Paese, latino e greco che sono materie opzionali,
mentre i nostri ragazzi si iscrivono sempre meno al liceo classico e
preferiscono l'opzione dello scientifico con scienze applicate, ovvero senza il
latino. Nel paese culla dell'Impero romano e patria del Rinascimento e sede
dell'istituzione plurimillenaria della Chiesa cattolica (se si eccettua un
settantennio circa della cosiddetta cattività avignonese, in Francia...), oltre
a numerosi convegni per gli addetti ai lavori e alle riflessioni di
giornalisti, occorre segnalare una promettente iniziativa che si sta spargendo,
piano piano, a macchia di leopardo per tutta la Penisola. La Certificazione
linguistica latina (Cll) è promossa dalla Consulta Universitaria degli Studi
Latini, che è l'associazione dei docenti universitari del settore scientifico
disciplinare. Lo scopo è valorizzare le eccellenze nell'ambito dei percorsi di
istruzione della scuola secondaria di secondo grado e per favorire nelle scuole
superiori, specie nei licei, una maggiore attenzione strumenti della
valutazione e della certificazione delle competenze, sia in vista dell'iscrizione
degli studenti a facoltà universitarie e sia al fine di stimolare la lettura e
lo studio degli autori classici e di promuovere la diffusione delle civiltà
classiche nelle loro espressioni linguistiche, letterarie, filosofiche,
artistiche e giuridiche. Speriamo che, data l'accoglienza positiva della Cll
nelle regioni italiane, che testimonia la vitalità della cultura classica, il
protagonismo dei docenti, la sensibilità delle istituzioni, si vada — dopo
questa fase di sperimentazione e di rodaggio sul campo — verso un modello
unitario e condiviso da poter erogare su tutto il territorio nazionale. Per ora
la Cll, offerta in due livelli, ovvero base e avanzato, agli studenti che
vogliono accertare il livello del proprio apprendimento della lingua
ciceroniana, vale come credito per la prova di maturità se deliberato dal
consiglio di classe.
(Fonte: M. Ricucci, ilsussidiario.net 10-05-2015)
SUL CONTROLLO DI
LEGITTIMITÀ IMPOSTO DALLA CORTE DEI CONTI SUI CONTRATTI DI COLLABORAZIONE
COORDINATA E CONTINUATIVA DELLE UNIVERSITÀ
La sentenza 172/2010 della Corte costituzionale, a seguito
di un ricorso della Regione Veneto
stabilisce che il controllo preventivo di legittimità si applica ai soli
atti delle Amministrazioni statali e non già di tutte le Amministrazioni
pubbliche. La norma, pertanto, non trova applicazione nei confronti delle Università che, come gli Enti Locali
richiamati espressamente nella pronuncia, rientrano nel novero delle Amministrazioni Pubbliche non statali.
Sono però trascorsi ben 5 anni e i contratti di collaborazione delle Università
sono ancora soggetti a questa bizantina procedura che crea lentezze,
burocrazia, frustrazione e impedimenti. Chissà perché non è cambiato nulla dopo
la sentenza della Consulta?
L’applicazione estensiva e generalizzata del controllo
preventivo di legittimità a tutti gli incarichi di studio, consulenza e ricerca
delle Università – come poi si è effettivamente realizzata – è frutto di
un’interpretazione distorta della normativa. Tale applicazione è chiaramente in
palese contrasto con le finalità del legislatore: se su un progetto che prevede
un budget specifico per contratti esterni non si dà corso a tali contratti,
l’Università non recupera fondi per risanare il proprio bilancio ma deve
restituire i fondi al finanziatore. Il risultato è che, limitando i contratti
esterni per esempio su un progetto europeo, reintegriamo il bilancio della
Commissione Europea e non certo quello dell’Università. Viceversa, partecipando
a progetti che prevedono anche l’utilizzo di incarichi esterni, l’Università
riceve un utile per il proprio bilancio attraverso le ritenute, l’Erario ne
riceve comunque un beneficio in termini di contributi fiscali e previdenziali,
per non parlare poi del fatto che, magari, l’incaricato potrebbe anche produrre
qualcosa di utile alla Società con l’attività di ricerca commissionata, addirittura
persino occupandosi di Cappadocia ellenistica. Ma quest’ultimo punto pare
proprio il più difficile da far comprendere fuori dall’Università. In tutto il
mondo la ricerca si fa con i progetti, con i finanziamenti esterni e con
ricercatori a contratto a tempo determinato. E’ quindi del tutto inappropriato
applicare alla ricerca, in modo acritico e indifferenziato, misure di controllo
della spesa e del precariato concepite per contrastare abusi in altri settori
della Pubblica Amministrazione. Forse la reale motivazione dietro tutto questo
è che così le Università potranno assumere qualche amministrativo in più per
fare le fotocopie e qualche ricercatore in meno per sviluppare cultura e
innovazione. (Fonte: N. Casagli. http://tinyurl.com/n45elkn 13-04-2015)
ISTANTANEA (TRISTE)
DEL NOSTRO SISTEMA UNIVERSITARIO
Negli ultimi anni il sistema universitario italiano è stato
interessato da molteplici interventi sul piano della governance, del
funzionamento, dell’organizzazione dell’offerta formativa, del reclutamento.
L’ultimo in ordine cronologico risale al 2010 ed è stato accompagnato dalla
riduzione in meno di tre anni del 15% del fondo di funzionamento ordinario a
cui ha fatto da corollario una fortissima limitazione del turn over. L’opinione
di chi scrive è che tali scelte, definite convenzionalmente “riforme”, per
ragioni diverse abbiano inciso negativamente sull’offerta formativa, indebolito
la capacità di ricerca, cronicizzato il ricorso al lavoro precario,
pregiudicando la funzione pubblica e la missione istituzionale dell’università
proprio in una particolare congiuntura che avrebbe richiesto la sua completa
realizzazione. Oggi il nostro paese si colloca ben al di sotto della media
europea per finanziamenti all’università, per numero di studenti iscritti e
laureati, per numero di ricercatori e dottori di ricerca in rapporto alla
popolazione. La spesa cumulativa per studente universitario ci vede sedicesimi
su 25 nazioni considerate; il corpo docente dell’università è diminuito del
22% negli ultimi dieci anni. I corsi nella medesima percentuale. Gli iscritti
delle nostre università al primo anno erano 338.482 nell’anno accademico
2003-04 e si sono ridotti a 260.245 nell’anno accademico 2013-14. In compenso,
le tasse di iscrizione sono aumentate in media del 50%, passando da 632 a 948
euro per anno e diventando tra le più alte in Europa. Come risulta dal
rapporto dell’OCSE “Education at a Glance” abbiamo solo il 21% di laureati
nella fascia 25-34 anni, occupando il trentaquattresimo posto su 37 nazioni. Un
indicatore che rimane stabile da alcuni anni in Italia, mentre continua a
crescere in tutto il resto del mondo. In Corea del Sud hanno raggiunto il 64%
nel 2011 (erano il 37% nel 2000 e meno del 10% nel 1980). In Giappone sono il
59%, in Canada e in Russia il 57%, in Gran Bretagna il 47%, in Francia il 43%.
Negli ultimi dieci anni l’università ha espulso più di 93 ricercatori precari
su 100, ed è riuscita a superare il definanziamento solo attivando altri
contratti precari: mediamente tra i 13 e i 30 per ogni singolo ricercatore in
meno di dieci anni. Il nostro corpo accademico è composto oggi per il 48,35%
da docenti e ricercatori strutturati e per la restante parte da assegnisti di
ricerca (17,4%), dottorandi (28,1%), ricercatori a tempo determinato (6,2%).
Nel 2014 ci sono stati 2324 pensionamenti, mentre sono stati attivati solo 141
contratti a tempo determinato in tenure track. (Fonte: F. Sinopoli, n. 1 di Italianieuropei 2015 )
E’ NATA L’ASSOCIAZIONE
ITALIANA PER LA PROMOZIONE DELLA SCIENZA APERTA (AISA ONLUS)
Lo scorso 3 marzo 2015 è stata costituita a Trento
l’Associazione Italiana per la Promozione della Scienza Aperta (AISA Onlus). Da
qualche giorno è on-line il sito web dell’associazione http://bfp.sp.unipi.it/aisa/
presso il quale saranno via via segnalate tutte le iniziative. Sul sito web è
possibile reperire informazioni per aderire e sostenere l’associazione: http://bfp.sp.unipi.it/aisa/?page_id=15.
CONTRASTI TRA IL
MINISTRO GIANNINI E IL PD SU UNIVERSITÀ PRIVATE E TELEMATICHE
La senatrice Francesca Puglisi, responsabile scuola e
università del Partito democratico, e Stefania Giannini, ministro
dell'Istruzione, non si trovano in accordo sulle università private (e
telematiche). II ministro ha appena abbassato il livello dei requisiti
richiesti, alle università private appunto, per la concessione dell'accredito
pubblico. La senatrice le ha scritto, in un'interpellanza parlamentare, che
sbaglia. Perché il livello medio degli atenei italiani che lavorano in modalità
Mooc è già sufficientemente compromesso e perché procedendo verso il basso alla
fine il ministero delle Finanze toglierà anche gli ultimi finanziamenti al
settore. Sì, la Puglisi ha chiesto al ministro perché con un decreto del 27
marzo scorso lei abbia abbassato "in via transitoria" il numero
minimo di presenza di docenti e più in generale i requisiti richiesti per
l'accreditamento dei corsi di laurea. Da adesso, e fino al 2018, gli atenei
privati e telematici possono far ricorso a docenti non strutturati - ovvero
professori a contratto - fino a un terzo del numero previsto, e pure a
professori incaricati pagati da imprese, fondazioni, soggetti esterni.
Nell'interrogazione parlamentare si parla esplicitamente di scambio tra
"salvaguardia dell'offerta e qualità della stessa" e si chiede al
ministro se queste recenti scelte non rischino di favorire "una nuova
proliferazione di corsi che non dispongono della necessaria dotazione di
risorse umane e materiali" perpetuando "la manifesta insufficienza
della dotazione di professori di alcuni atenei, in particolare i telematici, a
discapito degli studenti". E contro il decreto ministeriale "abbassa
livello" si è schierato l'Anvur, l'ente di valutazione universitario che,
consapevole dei rischi di tenuta di alcune realtà, aveva comunque chiesto aiuti
possibili solo in casi eccezionali. Invece, scrive Francesca Puglisi, "II
decreto ha esteso la possibilità di deroga all'insieme dei corsi esistenti e
non solo ai corsi che rischiavano la chiusura a causa del blocco del
turnover" e non ha previsto restrizioni all'apertura di corsi aggiuntivi
"per quegli atenei che, non disponendo del numero minimo di professori e
ricercatori, si avvalgono di docenti non incardinati, eventualmente privi di requisiti
di qualità come il possesso dell'abilitazione scientifica nazionale".
(Fonte: La Repubblica 23-04-2015)
SINDACATI E ART. 27
DELLA COSTITUZIONE
Ecco cosa dice l’articolo 97 della Costituzione: “Art. 97. I pubblici uffici sono organizzati
secondo disposizioni di legge, in modo
che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le
attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso,
salvo i casi stabiliti dalla legge.”
A quel che sembra, dal loro proclama, i sindacati (tutti)
stanno difendendo questo articolo per l’università. Ma sono stati proprio i
sindacati a promuovere a partire dagli anni settanta la contrattualizzazione
dei pubblici dipendenti in aperta violazione dei principi costituzionali. Cioè
il superamento dell’art. 97 della costituzione andava bene finché i sindacati
ritenevano di poter essere gli arbitri della “deregulation”. (Fonte: A. Figà
Talamanca, Roars 02-05-2015)
IPERTROFIA NORMATIVA
E ANSIA TASSONOMICA ATTANAGLIANO GLI ATENEI
La missione dell’efficienza perseguita dalla legge 240/2010
si è tradotta in un profluvio di decreti attuativi che hanno non solo
contribuito a congestionare la già complessa macchina burocratica degli atenei
(gravati peraltro da una costante riduzione di attrattività), ma anche a
incrementare l’ipertrofia normativa che scandisce da oltre un decennio il
cammino dell’innovazione universitaria, segnata dal disorientamento della
politica e dal ridimensionamento delle risorse. Sullo sfondo, l’inesorabile
perdita di appeal socio-culturale (oltre che formativo) e il preoccupante
deficit di rappresentatività istituzionale, che gli organi di governo del
sistema non potranno colmare in assenza di una chiara strategia di sviluppo. Ad
acuire la tendenza all’ipertrofia normativa contribuisce la missione
autorizzativa dell’Anvur, cui il Miur ha delegato lo svolgimento delle previste
attività di valutazione. Si pensi soltanto alle azioni introdotte dal Dm
47/2013 per migliorare la qualità dei corsi di laurea, i cui margini di manovra
sul piano della docenza si scontrano con l’irrigidimento dei requisiti minimi e
con la sequenza delle scadenze imposte dalle schede SUA (dei corsi di studio e
della ricerca), che a loro volta devono recepire le indicazioni delle
Commissioni paritetiche docenti-studenti (altra novità della legge 240/2010).
Maggior controllo e migliore qualità: sembra questa la
ricetta per il cambiamento studiata dall’Anvur, che in breve tempo ha investito
settori strategici della vita universitaria, compresi il reclutamento, la
ricerca, la didattica, il dottorato. Tutto questo nel segno di un’ansia
classificatoria che si è palesata anche a livello mediatico. Si pensi
all’ottimo riscontro ottenuto dal Rapporto sullo stato del sistema
universitario e della ricerca 2013, che fornisce una mappatura della qualità della
formazione e della ricerca in Italia: un’utile fotografia della nostra
formazione accademica, con relativi promossi e bocciati.
L’articolo integrale “Tra ansia di classifica e ipertrofia
normativa” di A. Lombardinilo a pg. 43 di Universitas 135 si legge qui.
ATENEI. IT
POLIMI TRA LE PRIME
100 UNIVERSITÀ AL MONDO IN 10 AREE DI RICERCA
Per la prima volta il Politecnico di Milano, secondo la
classifica QS by Subject 2015, figura tra le prime 100 università al mondo in
tutte le 10 aree di ricerca che lo caratterizzano: Art & Design Art; Civil
& Structural Engineering; Architecture and Built Environment; Computer
Science & Information Systems; Electrical & Electronic Engineering;
Mechanical, Aerospace and Manufacturing
Engineering; Chemical Engineering; Physics & Astronomy; Mathematics;
Materials Sciences; Business & Management Studies.
In particolare, il prestigioso ranking pone il Politecnico
di Milano all’undicesimo posto al Mondo in Art & Design Art, al tredicesimo
in Civil & Structural Engineering e al quattordicesimo in Architecture and
Built Environment. In altre tre aree (Computer Science & Information
Systems; Electrical & Electronic Engineering; Mechanical Engineering),
l’Ateneo è tra le prime cinquanta università del Mondo. (Fonte: www.affaritaliani.it 30-04-2015)
POLITO SI INSERISCE
NELLA TOP100 DI U-MULTIRANK
L’Unione Europea ha presentato i risultati di U-Multirank:
non una vera classifica ma una valutazione analitica che offre alle singole
università una lettura dei propri punti di forza e delle criticità. Si tratta
del più grande ranking al mondo che, anche con l’uso di database internazionali
come pubblicazioni e brevetti, ha individuato 31 indicatori, a ciascuno dei
quali è stato assegnato un punteggio che va da A (massimo) ad E. U-Multirank è
un organismo indipendente finanziato per svolgere questa attività nel triennio
2013-2016. Nel Multirank 2015, solo l’8% degli Atenei esaminati ha ottenuto più
di 10 A – “Very Good”; tra questi c’è il Politecnico di Torino, fra oltre 1.200
istituti di formazione di 83 Paesi valutati nella classifica, comprese anche le
più importanti università americane come il MIT, Harvard e Berkeley. Il
Multirank valuta cinque aspetti: didattica (“teaching and learning”), ricerca
(“research”), trasferimento tecnologico (“knowledge transfer”),
internazionalizzazione (“international orientation”) e rapporti con il Territorio
(“regional engagement). Nel complesso l’Ateneo ha raggiunto 14 “Very Good” (uno
in più rispetto allo scorso anno). Significativo il punteggio sul “Knowledge
Transfer”, in cui il Politecnico di Torino ha ottenuto 6 A su 8 indicatori.
(Fonte: E. Lisa, La Stampa 14-04-2015)
UNIBO. SGOMBERATA
L'AULA C OCCUPATA DA 26 ANNI
Era diventata una leggenda l'occupazione dell'aula C di
Scienze politiche, quasi sicuramente la più longeva nella storia delle
contestazioni studentesche italiane, visto che era cominciata oltre un quarto
di secolo fa: correva l'anno 1989 e a Bologna si agitava il movimento della
Pantera, quando un gruppo di studenti prese possesso per la prima volta degli
spazi al numero 8 di strada Maggiore, nel cuore di Bologna. Poi i ragazzi si
sono avvicendati per motivi anagrafici e l'occupazione è mutata, anzi, nel '95
è stata persino regolarizzata con una sorta di convenzione fra ateneo e
studenti che stabiliva le modalità d'uso dell'aula. Infine sono arrivati gli
anarchici e col tempo, soprattutto negli ultimi anni, la situazione è
degenerata. Ieri mattina all'alba tutto questo è finito con l'intervento della
polizia: i funzionari della Digos hanno dato esecuzione al sequestro dell'aula
C richiesto dalla procura di Bologna e autorizzato dal tribunale del riesame.
L’Alma Mater, ha dichiarato: «Le decisioni della magistratura si eseguono e
tutti le devono rispettare». (Fonte: F. Giubilei, La Stampa 12-05-2015)
UE. ESTERO
FRANCIA. LO STATO HA
RICHIESTO A 11 UNIVERSITÀ E A 25 ÉCOLES D'INGÉNIEURS 100 MLN DELLE LORO RISERVE
PER INTEGRARE LE DOTAZIONI DELLE ALTRE
L'Etat a demandé
cette année à onze universités et à vingt-cinq écoles d'ingénieurs de puiser
100 millions d'euros dans leurs réserves pour aider au financement des
dotations 2015 de l'ensemble des établissements de l'enseignement supérieur.
Ces dotations ont été notifiées lundi 27 avril, avec plusieurs mois de retard,
au Conseil national de l'enseignement supérieur et de la recherche (Cneser).
L'instance consultative a rejeté en bloc la répartition des dotations par
établissement. «En huit ans de Cneser, je n'ai jamais vu ça, indique M. Christofol. Mais M.me
Vallaud Belkacem n'était même pas là, alors qu'il s'agissait de la dotation des
universités pour 2015, et que nous
attendions cela
depuis quatre mois... L'enseignement supérieur n'est plus une priorité de ce
gouvernement. La seule voix que la ministre écoute est celle des étudiants. A
eux, elle donne des bourses car elle craint une mobilisation». (Fonte :
Le Monde 29-04-2015)
GERMANIA. UNA NOTA
SUL SISTEMA ACCADEMICO
La concezione delle lezioni da noi comunemente intesa,
impartite da un professore posto dietro una cattedra, separato tanto
formalmente quanto sostanzialmente dai propri alunni, è pressoché sconosciuta
in terra teutonica, dal momento che la fase più rilevante della formazione è
data piuttosto dai seminari, considerati momento cardine dell’apprendimento:
essi sono tenuti sia dai professori che dai dottorandi, a seconda del proprio
settore, hanno ad oggetto temi specifici e fanno capo a uno più ampio e
articolato, detto Modulo. All’interno di ogni Modulo vengono proposti diversi
seminari, della durata di un semestre ciascuno, tra i quali lo studente può
liberamente scegliere, cimentandosi prima dell’inizio del semestre successivo nella
stesura di una tesi, tra le 15 e le 20 pagine, che ne dimostra la
frequentazione e la partecipazione “attiva”. Cooperazione, ruolo pionieristico
nello sviluppo della ricerca, rapporto diretto tra professore e alunno e una
variegata lista di servizi per lo studente. Questi i tratti essenziali che
caratterizzano il sistema accademico tedesco, che individua nella promozione di
nuovi talenti il motore per fornire un influsso positivo alla società e
all’economia. (Fonte: FQ 14-04-2015)
USA. TASSO DI DISOCCUPAZIONE
PER I NEO-LAUREATI
La più recente edizione del rapporto “Hard Times” prodotto
dal Center on Education and the Workforce ha trovato che il tasso di
disoccupazione per i neo-laureati, indipendentemente dalle loro alma mater, è
più basso tra chi ha completato i propri studi nel settore dell’agricoltura e
delle risorse naturali (4,5%), nelle scienze (5%) e nell’educazione (5,1%). Ed
è più elevato tra gli architetti (10,3%) e chi ha lauree nel settore delle arti
(9,5%). Diverso il profilo dei redditi. A guadagnare di più sono i
neo-ingegneri, che con 57.000 dollari l’anno in media portano a casa quasi il
doppio di chi ha solo un diploma di scuola superiore. Gli psicologi, gli
assistenti sociali e, ancora una volta, gli artisti, incassano solo una media di
31.000 dollari l’anno, appena 1.000 dollari in più dei lavoratori che non hanno
frequentato, o non hanno finito, l’università. “Se prendiamo Scienze
dell’educazione – dice Anthony Carnevale, direttore del Center on Education and
the Workforce di Georgetown University – come laurea non porta a grandi
guadagni, ma più o meno assicura un impiego di qualche genere. In ogni caso,
andare a Princeton non fa molta differenza, una volta che si diventa insegnanti
di scuola si ha lo stesso reddito di tutti gli altri colleghi”. Questa
differenziazione nei guadagni generati dalle varie lauree è un fenomeno
relativamente nuovo, degli ultimi tre decenni circa. “Prima degli anni Ottanta,
le lauree producevano tutte guadagni simili – dice Carnevale – Poi dal 1983
circa abbiamo visto aumentare sia il “premio” universitario (ovvero la
differenza tra i redditi dei laureati e quelli dei non-laureati) sia il gap tra
specializzazioni”. A livello prettamente di reddito, piuttosto che laurearsi in
Arte moderna o Psicologia, a un giovane americano conviene ottenere un diploma
breve ma tecnico e studiare poi Picasso o Freud nel proprio tempo libero. “Oggi
negli Stati Uniti si può prendere un certificato di un anno in aree come il
riscaldamento, la ventilazione e l’aria condizionata e guadagnare il 25% in più
del laureato medio”, dice Carnevale. È importante sottolineare che questo
ragionamento non vale più quando si considerano gli studi post-laurea, che sono
diventati pressoché obbligatori per i neo-laureati provenienti dalle facoltà meno
remunerative. “Ci sono oggi lauree che non bastano più a guadagnarsi da vivere,
settori dove i requisiti minimi includono perlomeno un master” – dice
Carnevale. (Fonte: V. Pasquali, IlBo 14-04-2015)
USA. LE PROSPETTIVE
DI REDDITO DEI NEO-LAUREATI RISPETTO AL COSTO DELLE TASSE UNIVERSITARIE
In termini di prospettive di impiego e guadagno, è molto più
importante la materia che si studia che non l’università che si frequenta.
Infatti, oggigiorno, piuttosto che aspettare con ansia la pubblicazione della nota
classifica annuale delle migliori università americane prodotta da US News
& World Report, tutta centrata sul loro prestigio, conviene piuttosto
consultare quella redatta parallelamente dalla società di consulenza Payscale,
che guarda invece al ritorno sull’investimento universitario (ROI), ovvero le
prospettive di reddito dei neo-laureati rispetto al costo delle tasse
universitarie da loro pagate. Al primo posto si piazza così l’Harvey Mudd
College di Claremont in California, seguito dal California Institute of
Technology di Pasadena, sempre in California e dal Stevens Institute of
Technology a Hoboken in New Jersey. La prima Ivy ad apparire nel ranking, e
l’unica nella top ten, è Princeton, cui tocca così suo malgrado di essere
affiancata ad atenei, assai meno in voga e decisamente poco “cool” ma
altrettanto, se non più, qualificanti come il Babson College di Boston e la
Colorado School of Mines di Golden in Colorado. Non per niente si dice ‘non
giudicare un libro dalla copertina’. (Fonte: V. Pasquali, IlBo 14-04-2015)
CUBA. LE UNIVERSITÀ
NEL RUOLO DI AMBASCIATRICI DI UN NUOVO CORSO
“Le relazioni internazionali per noi sono fondamentali”,
afferma Gustavo Cobreiro Suárez, rettore dell’università dell’Avana, nei giorni
scorsi a Padova dopo un tour italiano che lo ha portato a incontrare i
rappresentanti di vari atenei e istituzioni. “Prendiamo la mobilità
internazionale: senza questa oggi non è possibile fare università di buon
livello – continua il rettore –. Per questo
nel 2014 abbiamo avuto oltre 1.100 missioni all’estero su un totale di circa
1.700 docenti. 444 sono gli accordi bilaterali in corso, a cui si aggiungono
262 progetti internazionali”. Una politica che riguarda anche gli studenti
stranieri presenti all’UH: oggi oltre 5.500 su un totale di 60.000. Negli
ultimi anni le relazioni accademiche hanno rappresentato per Cuba un canale
aperto con il mondo e in particolare con gli USA, nonostante l’embargo
proclamato da Kennedy a partire dal 1962. Il recente clima di distensione
sembra favorire, dopo anni di crisi economica, la ricerca di partner
internazionali con cui stringere o rinsaldare rapporti politici e commerciali
in Europa e, perché no, negli Stati Uniti. Con le università nel ruolo di
ambasciatrici di un nuovo corso. La voglia di guardare al futuro è, infatti,
palpabile: anche per chi lavora in un settore che, come l’istruzione pubblica,
è da sempre tra i più aperti all’esterno e rappresenta, assieme all’assistenza
sanitaria, uno dei fiori all’occhiello del governo cubano. “Oggi l’indice di
alfabetizzazione è del 99,8% – dice orgogliosamente il rettore (confermato dal
World Factbook della Cia. In Italia è il 99%, ndr) –. Nel 1959 c’erano tre
università, oggi 60. 54.373 i laureati dello scorso anno: il 22% della forza
lavoro”. Un sistema che comunque mostra affaticamento, se è vero che
ultimamente ci sono stati significativi tagli di bilancio e le nuove iscrizioni
sono sensibilmente calate dalle oltre 700.000 di pochi anni fa a 173.298
dell’anno accademico 2014/2015. (Fonte: D.M.D.A., IlBo 27-04-2015)
OCSE . RAPPORTO “THE
ABC OF GENDER EQUALITY IN EDUCATION: APTITUDE, BEHAVIOUR AND CONFIANCE"
A marzo 2015 l'OCSE ha pubblicato il Rapporto "The ABC
of Gender Equality in Education: Aptitude, Behaviour and Confiance", sui
progressi registrati dagli Stati membri per colmare i divari di genere nel
settore formativo universitario. L'indagine evidenzia come, nonostante i
significativi passi in avanti degli ultimi vent'anni, esistano ancora numerosi
ostacoli da superare.
Se all'inizio del XXI secolo la popolazione adulta dei Paesi
OCSE annoverava mediamente una maggior presenza di laureati maschi, già nel
2012 le femmine hanno superato numericamente i colleghi. La tendenza è ancora
più evidente tra i giovani di età inferiore ai 25 anni, come è in crescita il
numero delle donne che partecipano a programmi di ricerca di alto livello. Le
donne sono ancora sottorappresentate nello studio universitario della
matematica, delle scienze fisiche, dell'ingegneria e dell'informatica, che
rientrano poco (5%) nelle loro aspirazioni giovanili di carriera: sempre nel
2012, in media, solo il 14% delle immatricolate ha scelto studi scientifici
rispetto al 39% dei nuovi studenti. La mancata predilezione per queste
discipline, secondo i risultati dell'Indagine PISA (Programme for International
Student Assessment), non è determinata da differenze attitudinali innate, ma
piuttosto da pregiudizi di genere di genitori, docenti e datori di lavoro, che
hanno influenzato scelte precoci di studio o di lavoro. (Fonte: L. Moscarelli, rivistauniversitas
30-04-2015)
DECRESCITA DELLA
QUOTA DI STUDENTI INTERNAZIONALI NELLE ISTITUZIONI UNIVERSITARIE
Un piano di riforma che, attraverso il reinvestimento di una
maggiore tassazione degli studenti internazionali non UE, ponga al centro la
qualità dell'istruzione superiore, favorendo l'attrattività: queste le proposte
contenute all'interno del rapporto “Investir dans l'Internationalisation de
l'Enseignement Supérieur”, redatto da Stratégie de la France. Secondo i dati
UNESCO la Francia, pur avendo occupato nel 2012 la terza posizione
nell'accoglienza degli studenti esteri (271.000 unità pari al 6,8% della
mobilità mondiale globale), avverte la necessità di adottare strategie
innovative per mantenere la sua quota di mercato in un ambito globalizzato
sempre più competitivo e guidato dal migliorato tenore di vita nei Paesi
emergenti. A livello mondiale si avverte, infatti, una progressiva decrescita
della quota di studenti internazionali nelle istituzioni universitarie: negli
USA è scesa dal 20,8% del 2005 al 18,55 del 2010; nello stesso quinquennio, nel
Regno Unito dall'11,2% del 2005 al 10,7% del 2010; in Francia dall'8,4% del
2005 al 6,8% del 2010; in Germania dal 9,2% del 2005 al 5,2% del 2010; in
Italia dal 2,3% del 2005 all'1,9% del 2010; in Australia dal 6,3% del 2005 al
6,2% del 2010. Tendenze opposte solo in Russia (dal 3,2% del 2005 al 4,3% del
2010) e Cina (dall'1,8% al 2,2%). (Fonte: M.L. Marino, rivistauniversitas
21-04-2015)
LIBRI. RAPPORTI
EUA MEMBERS’
PARTICIPATION IN U-MULTIRANK: EXPERIENCES FROM THE FIRST ROUND
Autori: Tia Loukkola e Rita Morais. European University
Association 2015.
The first results of U-Multirank (UMR), a multi-dimensional ranking of
higher education institutions
produced with seed funding from the European Commission, were unveiled
on 13 May 2014. EUA has followed the development of U-Multirank since its
beginning, most recently through membership in the Advisory Board. UMR has also
been discussed by EUA’s governing bodies on a number of occasions and these
discussions have demonstrated that a great variety of views on UMR exist among
universities and their representatives: while some have great expectations of
UMR and believe in its values, others have expressed major concerns about the
initiative. Therefore, it was concluded that EUA should remain vigilant and
monitor the project, but without taking a clear stand in favour or against it.
After the launch of the first UMR results, the EUA Board found that a short
membership consultation would be useful. This would be an opportunity to ask
universities about their experiences with UMR, not only their expectations or
views on how the initiative might work. Thus, the secretariat carried out a
short survey of individual EUA members in early autumn 2014. The results of the
study are presented in this report.
Il Rapporto
EUA Members' Participation in U-Multirank: experiences from the first round
analizza le esperienze effettuate e le opinioni espresse da un campione di
istituzioni partners dell'EUA, che hanno partecipato alla prima edizione di
U-MULTIRANK, il ranking multidimensionale, promosso e finanziato con 2 milioni
di euro dalla Commissione europea per accrescere la trasparenza del settore
universitario e fornire uno strumento di valutazione indipendente agli
amministratori e ai decisori politici.
La maggioranza degli intervistati (58%) è rimasta
soddisfatta della presentazione dei dati forniti ed è stato mostrato interesse
a future partecipazioni al progetto anche da buona parte di quelle istituzioni
che in un primo momento sono rimaste alla finestra in attesa di valutare gli
esiti della prima consultazione. Non a caso, U-MULTIRANK 2015 - presentato a
fine marzo - comprende 1200 istituzioni di istruzione superiore, 900 in più
rispetto al primo round. La Francia fa la parte del leone, occupando ben 6
posizioni tra le 27 Istituzioni di istruzione superiore, che hanno totalizzato
l'eccellenza nei quattro relativi indicatori (mobilità studentesca, mobilità
dello staff accademico, pubblicazioni congiunte internazionali e dottorati
internazionali). Seguono l'Austria (con 4 Università), il Belgio e i Paesi
Bassi (entrambi con 3), la Svezia e l'Irlanda (2), la Danimarca, l'Ungheria, la
Norvegia, la Slovenia e il Regno Unito (1). Soltanto 11 delle migliori
classificate in U-Multirank figurano anche tra le prime 200 del ranking
internazionale del Times Higher Education (THE). Per l'Italia la migliore
posizionata (29° posto) è l'Università di Bologna, oltre la centesima posizione
Trieste e Politecnico di Milano e ancor più distanziati Politecnico di Torino, Camerino,
Trento e Genova. (Fonte: EUA e M.L. Marino, marzo 2015)
SHOULD YOU BELIEVE IN
THE SHANGHAI RANKING? AN MCDM VIEW
Autori:
Jean-Charles Billaut, Denis Bouyssou, Philippe Vincke. http://tinyurl.com/nbtx7nh 05-10-2009.
This paper proposes a critical analysis of the “Academic Ranking of
World Universities”, published
every year by the Institute of Higher Education of the Jiao Tong
University in Shanghai and more commonly known as the Shanghai ranking. After
having recalled how the ranking is built, we first discuss the relevance of the
criteria and then analyze the proposed aggregation method. Our analysis uses
tools and concepts from Multiple Criteria Decision Making (MCDM). Our main
conclusions are that the criteria that are used are not relevant, that the
aggregation methodology is plagued by a number of major problems and that the
whole exercise suffers from an insufficient attention paid to fundamental
structuring issues. Hence, our view is that the Shanghai ranking, in spite of
the media coverage it receives, does not qualify as a useful and pertinent tool
to discuss the “quality” of academic institutions, let alone to guide the
choice of students and family or to
promote reforms of higher education systems. We outline the type of work
that should be undertaken to offer sound alternatives to the Shanghai ranking. (Fonte:
abstract degli autori)
IL PUNTO ORGANICO:
UNA STORIA ITALIANA
Autore: Paolo
Rossi. A
Journal on Research Policy & Evaluation 3 (2015).
Il sistema universitario italiano sembra ormai paralizzato e
incapace di esprimere una strategia di programmazione e sviluppo per i prossimi
anni, cruciali per il mantenimento della posizione di
relativo prestigio che la nostra formazione superiore e la
nostra ricerca ancora conservano nel panorama internazionale (checché ne
pensino disinformati e malevoli detrattori e pennivendoli di
ogni risma)*. Tra i molti problemi che ci assillano, quello
del reclutamento e delle carriere può apparire, all’osservatore superficiale,
il più autoreferenziale e corporativo, ma è purtroppo uno tra i più
ineludibili, perché l’Università è fatta soprattutto di persone, che devono
essere brave e motivate, e se non lo sono il sistema è votato allo sfacelo. Ma
i bravi trovano più facilmente spazio fuori dai confini nazionali, e quelli che
restano, per mantenere la propria motivazione, devono pur vedere qualche
prospettiva di miglioramento della propria condizione se, come avviene per la
maggior parte degli interessati, la posizione attuale è largamente inadeguata
in rapporto al lavoro svolto e all’impegno richiesto. A determinare la paralisi
del reclutamento (dai 62 mila docenti di fine 2006 siamo passati agli attuali
51.800) concorrono da un lato le normative, continuamente cangianti e sempre
più restrittive, e d’altro canto la disponibilità delle risorse finanziarie, in
gran parte largamente ridotta dai continui “tagli”, ma fortemente limitata
anche da un criterio di calcolo delle quote spendibili consistente nella
conversione del valore monetario in “Punti Organico”.
Comprendere la storia del “Punto Organico” è dunque
interessante non soltanto per i pochi
“addetti ai lavori” che ne possono trarre spunti di
meditazione sulle difficoltà che possono nascere
dall’uso e dall’abuso di una normativa tanto rigida nelle
intenzioni quanto interpretabile in modo
arbitrario, all’atto della sua applicazione. Il testo
completo può essere letto qui.
(Fonte: abstract dell’autore)
*I dati SCImago mostrano che
l’Italia si colloca all’ottavo posto nel mondo non solo per numero di documenti
scientifici prodotti ma anche per numero di citazioni ricevute, malgrado il
numero comparativamente limitato di ricercatori.
ELEMENTI PER
UN’ANALISI TERRITORIALE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO ITALIANO
Autore: Gianfranco Viesti. Fondazione RES. Istituto di
Ricerca su Economia e Società in Sicilia. Working Papers RES. 02/2015. Pp. 88.
Questo testo mira ad effettuare un’analisi delle principali
caratteristiche del sistema universitario italiano in chiave territoriale, e
contemporaneamente, per quanto possibile, in comparazione internazionale.
Quanto – e per quali caratteristiche – è differenziato il sistema universitario
italiano nelle sue articolazioni regionali? Più specificamente: quanto, e per
quali aspetti, il sistema universitario meridionale è diverso rispetto a quello
delle regioni del CentroNord? Per quali versi, e in base a quali indicatori, si
può sostenere che il sistema universitario meridionale sia peggiore rispetto
alla media nazionale, e ancor più, rispetto alla situazione internazionale? Lo
studio non fornisce una compiuta risposta a questi interrogativi. Si tratta,
infatti, del primo di alcuni lavori preliminari alla redazione del Rapporto
Annuale 2015 della Fondazione, dedicato all’università italiana; il Rapporto
sarà predisposto per fine 2015 e mira a contenere una più sistematica analisi e
soprattutto una sintesi e interpretazione dei grandi cambiamenti degli ultimi
anni, da cui trarre anche implicazioni per le politiche universitarie. Testo
completo qui.
AL LIMITE DELLA
DOCENZA. Piccola antropologia del professore universitario
Autore: Stefano Pivato. ed. Donzelli 2015, pp. VI-122.
L'intento dell'autore, secondo alcuni recensori tra cui G.
N. su IlBo (“Università e chiacchiere da bar”), sembrerebbe quello di
salvaguardare la maggior parte dei professori e dei ricercatori che riesce, con
grande passione, sacrificio e abnegazione, a produrre eccellenti ricerche e a
preparare in maniera adeguata gli studenti, che costituiscono il “futuro” del
nostro Paese. Ma l'autore insiste su un atto di denuncia che, al tempo stesso, difficilmente
potrebbe interpretarsi come un gesto d’amore nei confronti dell'università. Comunque,
“Al limite della docenza” lascia al lettore un’impressione di occasione
sprecata: possibile che per descrivere il funzionamento di un sistema che
coinvolge quasi due milioni di persone non si potesse trovare di meglio dei
cliché sui professori assenteisti o su quelli caricaturali? Secondo gli ultimi
dati del MIUR disponibili l’università italiana aveva due anni fa 53.446
docenti di ruolo (ora diminuiti a causa dei pensionamenti e delle non
sostituzioni), oltre a 26.857 docenti a contratto, personale
tecnico-amministrativo per un totale di 59.827 lavoratori e, infine, qualche
migliaio di altri collaboratori diversamente inquadrati.
Tutto questo è un pezzo importante del Paese, un luogo di
ricerca e di produzione di cultura, una speranza per il futuro: se ne potrebbe
parlare cercando di andare al fondo dei problemi? Invece di presentare
caricature dei professori lontane dalla realtà interpretabili non nel senso di
casi sporadici ma di un generale malcostume. Generalizzare fa crescere il
margine di errore, dando una rappresentazione molto parziale della realtà.
Qualche esempio tra quelli illustrati dall’autore: C'è il professore “Come sto
io?” che, se ti incontra per i corridoi, non ti chiede come stai, ma inscena un
monologo, sciorinando tutti i suoi prestigiosi risultati accademici. Troviamo
poi i prof. “Litigo, dunque sono”, per cui “litigare è una forma assoluta per
certificare la propria presenza; e magari, giustificare la propria assenza”.
Queste assurde poco credibili creature caricaturali si possono forse trovare in
qualche oscuro periferico dipartimento conosciuto solo dall’autore. Si può
essere certi che nessuno conosce e nessuno gli invidia questa nicchia
ambientale al limite della fantasticheria dove allignano figure di tendenziali psicopatici.
Far credere, o anche solo far sospettare, che si tratti di ambienti diffusi nel
nostro mondo universitario sconfina nella maldicenza gratuita. Incomprensibile
poi che se ne renda responsabile un autore docente di Storia contemporanea e
già rettore di università. (PSM maggio 2015).