lunedì 11 dicembre 2017

INFORMAZIONI UNIVERSITARIE N. 6 12-12-17

IN EVIDENZA

NEGLI ATENEI C'È UN DEFICIT ETICO? L'ETICITÀ, IN PUNTA DI DIRITTO, NON SIGNIFICA NULLA SE NON SI CONVERTE IN REATO. E, PROPRIO PER EVITARE QUESTO, ESISTE LA LEGGE
Raffaele Cantone ha finora interpretato il suo ruolo senza i rigori giustizialisti a cui avrebbe teoricamente potuto essere sollecitato. Tanto per iniziare, il presidente dell’ANAC osserva che "negli atenei c'è un deficit etico". È vero? I professori sono per lo più corrotti? Perché loro sì e gli altri no, o meno? Domande che è lecito farsi, ma a cui non si può rispondere che in un solo e unico modo: i professori sono più o meno eticamente reprensibili quanto qualsiasi altra categoria. Non esiste una specificità dovuta alla professione o alla corporazione. Detto altrimenti, anche fra di loro ci sono sia le brave persone sia i farabutti. Come ovunque. Quel che non si capisce è perché un magistrato debba farsi "misuratore" dell'eticità diffusa in un ambiente o in una società. L'eticità, in punta di diritto, non significa nulla se non si converte in reato. E, proprio per evitare questo, esiste la legge. Che dovrebbe essere certa, rapida e puntuale. Cosa che in Italia non sempre, o forse quasi mai, è. Ora la terapia proposta da Cantone, e il suo modo di ragionare, mostrano in pieno come egli sia, come un po' lo siamo tutti noi, dietro questa mentalità regolistica e punitiva che non risolve i problemi. (Fonte: C. Ocone, huffingtonpost.it 29-09-17)
“Non credo che la corruzione si combatta con questo tipo di prevenzione, che previene poco o nulla. I problemi si prevengono conoscendoli, e la corruzione si conosce solo facendo le indagini, gli arresti e i processi, non controllando la regolarità delle pratiche amministrative e burocratiche”.
(Fonte: P. Davigo, intervistato da FQ 25-08-17)

RECLUTAMENTO. IL PROBLEMA DELLA CONVENIENZA AD ASSUMERE DOCENTI INTERNI
I processi di valutazione dovranno proseguire, seppur migliorati nei numerosi punti tuttora difettosi. Gli obiettivi della valutazione sono molteplici e uno emerge, per quanto interessa il reclutamento: assumere mediocri o addirittura somari deve divenire seriamente penalizzante per la struttura che li accoglie. A questo fine è essenziale che il costo dell’assunzione del meno bravo «interno» debba essere uguale a quello del bravo «esterno», mentre oggi è assai inferiore. Questa perversa conseguenza dell’autonomia finanziaria delle sedi ha favorito una endogamia accademica del tutto preoccupante: ormai i cinquantenni hanno fatto, in gran numero, tutta la carriera – laurea, dottorato, assegno di ricerca, ricercatore, associato, ordinario – nella stessa sede. E di conseguenza si è rarefatta, fino quasi a scomparire, la mobilità. La convenienza ad assumere in ogni caso gli interni – indipendentemente dal loro valore – che garantiscano comunque i numeri per la didattica, favorisce e sollecita evidentemente anche i «traffici» per la loro abilitazione.
Altra questione antica – e sulla quale di tanto in tanto viene focalizzata l’attenzione mediatica, seppure sempre in un quadro di forte spregio per l’università tutta, identificata in «baronie» per vero ampiamente minoritarie – è quella del rapporto con le attività professionali. Si dice che i danari delle ricche, ricchissime libere professioni collegate ad alcuni settori scientifico-disciplinari siano il motore di molto mercimonio accademico concorsuale, anche se a volte vi restano impigliati, con la conseguente volgare esposizione mediatica, stimatissimi tempopienisti. Se questa è una delle componenti del problema delle irregolarità nei reclutamenti, si trovi il coraggio di tagliare il nodo ambiguo, e in alcuni casi perverso, tra professione e ricerca/insegnamento. Se in qualche area disciplinare si giudica significativo e importante l’apporto didattico dello stimato professionista, gli si attribuiscano incarichi temporanei di insegnamento ma lo si tenga lontano dalla cooptazione delle nuove leve accademiche. (Fonte: G. G. Balandi, Il Mulino 11-10-17)

PREMI NOBEL. MANCANO IN ITALIA DA 10 ANNI. LISTA DEI NOBEL “SCIPPATI”
Un Nobel all'Italia manca ormai da dieci anni. In totale, sono 20 i premiati del nostro Paese, ma solo se includiamo anche i riconoscimenti assegnati per le discipline non scientifiche. Gli ultimi due scienziati italiani premiati sono Mario Capecchi, premio Nobel per la Medicina nel 2007 per i suoi studi sulle cellule staminali embrionali, e Riccardo Giacconi, premio Nobel per la Fisica nel 2002 per lo studio dell'Universo ai raggi X. Eppure di scienziati nostrani che meriterebbero l'onorificenza ce ne sono tanti altri e in diversi settori. Ad esempio, il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, considerato il "re dei neuroni specchio". Oppure l'immunologo Alberto Mantovani, per le sue scoperte in campo oncologico. E ancora Fabiola Gianotti, oggi alla guida del Cern di Ginevra, per i suoi esperimenti sulle particelle ad alta energia. Oppure i fisici Roberto Car e Michele Parrinello per aver sviluppato il metodo computazionale Car-Parrinello che ha profonde implicazioni in diversi settori, dalla fisica alla chimica e così via. Vi è poi una lunga lista di "mancati Nobel", alcuni davvero clamorosi. L'ultimo "furto" risale allo scorso anno, quando il chimico Vincenzo Balzani, è stato escluso dalla rosa dei vincitori del Nobel per la Chimica - Jean-Pierre Sauvage, Sir J. Fraser Stoddart e Bernard L. Feringa, definiti i "meccanici molecolari" - nonostante lo scienziato italiano abbia firmato decine di studi sui motori molecolari in collaborazione con due dei tre premiati. Poi c'è anche quello che è stato definito dalla stessa comunità scientifica come uno "scippo" ai danni del fisico Nicola Cabibbo, quando nel 2008 furono premiati con il Nobel della Fisica gli scienziati giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa per la scoperta della Matrice Cabibbo-Kobayachi-Maskawa (o matrice Ckm, dalle iniziali dei tre ricercatori). Sempre nel 2008 il Nobel per la fisica fu assegnato a Yoichiro Nambu, autore con l'italiano Giovanni Jona Lasinio di un'altra teoria fondamentale della fisica delle particelle. Anche in questo caso il Nobel andò solo a Nambu. Una vicenda simile coinvolse il maestro di Cabibbo, Bruno Touschek, escluso dal Nobel per la fisica del 1976, che fu assegnato a Richter e Ting per la scoperta della particella J-Psi, quando l'ideatore dell'anello di accumulazione alla base di quel risultato era stato lui. Di mancato Nobel per la fisica si può parlare anche nel caso di Luciano Maiani, che nel 1970 collaborò con i fisici Sheldon Lee Glashow e John Iliopoulos, elaborando un'estensione del modello a quark allora in auge, che prevedeva l'esistenza di tre quark. Il meccanismo si chiamava GIM, dalle iniziali dei tre autori, e prevedeva l'esistenza di un quarto quark, che e' stato scoperto sperimentalmente nel 1974. Ad essere premiato con il Nobel fu però Glashow nel 1979. C'è chi parla di Nobel mancato anche nel 2005, quando il farmacologo Alfredo Gorio fu escluso dal riconoscimento dato ai colleghi Satoshi Omura e William Campbell per la scoperta dell'avermectina. (Fonte: V. Arcovio, AGI 01-10-17)

LA BIBLIOMETRIA ITALIANA CRITICATA DA TRE PREMI NOBEL
Tre premi Nobel per la Fisica (Takaaki Kajita, Nobel 2015, Kip S. Thorne e R. Weiss, Nobel 2017), insieme ad altri otto scienziati di altissimo profilo, scrivono alla ministra dell’istruzione esprimendo una ferma condanna degli assurdi automatismi della valutazione della ricerca all’italiana, con un accorato appello a ripensare la strada intrapresa in solitaria dal nostro Paese. «Bibliometric analysis does indeed carry some useful information, but it is not internationally recognised to base hiring or promotion decisions on automatic algorithms, particularly if they end up comparing activities that are not comparable. Those decisions, in leading universities worldwide, are always based on a case - by - case examination by a competent panel of peers». (Fonte: https://tinyurl.com/yaqxyo46 03-10-17)

ISPD (INDICATORE STANDARDIZZATO DI PERFORMANCE DIPARTIMENTALE)
Ci eravamo dimenticati che l’indicatore standardizzato ISPD (indicatore standardizzato di performance dipartimentale che è alla base della procedura dei c.d. Dipartimenti di eccellenza) è una geniale trovata del 2014 frutto della collaborazione tra la CRUI e l’ANVUR. L’ISPD non è nato per i Dipartimenti di eccellenza (che ancora non erano saltati fuori dal cilindro magico), è stato invece concepito per fornire ai rettori uno “strumento matematicamente potente” per comparare i dipartimenti all’interno degli atenei. Il messaggio della CRUI e dell’ANVUR è il seguente: la VQR è il migliore esercizio valutativo esistente e deve essere utilizzato per finalità interne alle singole università. Le singole università rimangono formalmente libere di inventare procedure diverse, ma perché rinunciare a strumenti già pronti e potenti? Così si spiana la strada al dominio di un pensiero unico della cui robustezza è però lecito dubitare. Sul piano giuridico con l’ISPD e i dipartimenti di eccellenza, ci troviamo di fronte non solo ad una norma retroattiva, ma anche all’uso dei risultati della VQR per finalità diverse da quelle inizialmente concepite, allo scopo di aggirare l’autonomia delle singole università, attribuendo risorse direttamente dal Centro (il MIUR) alla più remota periferia (il Dipartimento). Il CUN nella nota del 18 luglio 2017 raccomandava alle università “la massima cautela nell’utilizzare i valori di ISPD. […], questo indicatore non può infatti essere impiegato come parametro sul quale basare direttamente ripartizioni proporzionali di risorse tra i propri dipartimenti”. Insomma, secondo il CUN, l’ISPD è un indicatore utile per esercizi valutativi nazionali, ma non può essere adoperato per finalità valutative interne agli atenei, in particolare con lo scopo di distribuire risorse tra dipartimenti. Il CUN non chiedeva un parere all’ANVUR, ma indicava una propria linea politica. A distanza di quasi tre mesi, senza essere stata interrogata, l’ANVUR decide di “rispondere” giungendo a conclusioni diametralmente opposte a quelle del CUN. Cosa c’è dietro tutto questo? L’ennesimo attentato all’autonomia delle università. Il messaggio della CRUI e dell’ANVUR è il seguente: la VQR è il migliore esercizio valutativo esistente e, quando corredato dagli opportuni e “potenti strumenti matematici” (come l’indicatore standardizzato), può (e deve) essere utilizzato per finalità interne alle singole università. (Fonte: R. Caso, Roars 20-10-17)

EURYDICE BRIEF: MODERNISATION OF HIGHER EDUCATION IN EUROPE. LA SINTESI ESPLORA LE REALTÀ DEL PERSONALE ACCADEMICO NEL PANORAMA DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE
La rete Eurydice della Commissione europea ha appena pubblicato la sintesi Eurydice Brief – Modernisation of Higher Education in Europe: Academic Staff – 2017. La sintesi esplora le realtà del personale accademico nel panorama dell’istruzione superiore, attualmente scenario di grandi cambiamenti.
Per quanto riguarda la distribuzione di genere, il personale accademico soffre di una certa preponderanza del genere maschile su quello femminile. Infatti, nonostante che negli ultimi 15 anni ci sia stato un tendenziale aumento della presenza femminile, la percentuale europea di presenza femminile rimane al 40%. Come in altri settori professionali, anche nell’istruzione superiore, nonostante l’aumento degli ultimi anni, le donne sono sottorappresentate ai livelli più alti della carriera. Un altro elemento di preoccupazione per i decisori politici di alcuni Paesi europei pare essere il ricambio generazionale. Infatti, se Bulgaria, Spagna, Italia, Slovenia, Finlandia e Svizzera, hanno un’alta percentuale (40%) di personale accademico di età compresa fra i 50 e i 64 anni, è vero anche che tutti i Paesi registrano percentuali relativamente basse di personale al di sotto dei 35 anni di età. Nelle istituzioni superiori il personale accademico viene assunto con contratti a tempo indeterminato e determinato o a contratto, ma il contratto a tempo è la modalità contrattuale più diffusa per il personale ai livelli iniziali della carriera accademica. La stabilità contrattuale e, di conseguenza, le garanzie legate ai contratti aumentano con l’avanzamento della carriera verso i livelli più alti della professione. L’instabilità contrattuale riguarda anche tutta una grande quantità di figure accademiche che non rientrano nelle carriere tradizionali (professori e ricercatori) che sono presenti in tutti i Paesi europei. È proprio quest’ultimo aspetto del doppio binario nella professione accademica al quale sono legate grosse differenze in termini di garanzie e condizioni contrattuali, che desta preoccupazione nei decisori politici in quanto rischia di rendere la professione accademica poco ambita. Questo, unito anche all’aspetto dell’età avanzata degli accademici in alcuni Paesi europei, potrebbe infatti portare a un problema di carenza di personale nei prossimi anni. Part-time accademico. Inesistente o raro in Grecia, Francia, Italia, Polonia e Romania, 60 - 80% in Germania, Latvia, Lithuania, Austria, Slovenia e Svizzera. (Fonte: E. Bartolini, https://tinyurl.com/y96tha5r 10-10-17)


ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE

ASN. TAR LAZIO, SENTENZA N. 10770 27-10-2017. NON BASTA IL SUPERAMENTO DEGLI INDICI BIBLIOMETRICI (MEDIANE) MA OCCORRE IL POSITIVO GIUDIZIO DI MERITO DELLE COMMISSIONI
In materia di procedura per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN), le commissioni, oltre agli indici bibliometrici (cd. mediane), sono chiamate a valutare anche numerosi altri profili e ciò in virtù di quanto previsto dall’art. 16 della legge n. 240/2010, in cui il legislatore ha chiarito che il conseguimento della abilitazione scientifica nazionale non si sarebbe potuto limitare ad una mera verifica del superamento degli indicatori bibliometrici (cd. mediane) misurate dall’Anvur. In particolare l’articolo 16, comma 3, nel delineare i principi generali sulla base dei quali l’Amministrazione avrebbe dovuto adottare il regolamento di attuazione riguardante i criteri di valutazione, alla lett. a) prevede espressamente che l’abilitazione si sarebbe dovuta basare su “un motivato giudizio fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte, ed espresso sulla base di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area disciplinare, definiti con decreto del ministro”. Quindi la stessa norma che ha introdotto l’abilitazione scientifica, ha stabilito espressamente che le commissioni avrebbero dovuto esaminare non solo le pubblicazioni scientifiche, ma anche i titoli e il contributo individuale alle attività di ricerca dei candidati.


CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI

LE UNIVERSITÀ PIÙ INNOVATIVE SECONDO REUTERS E CLARIVATE ANALYTICS
La Stanford University, nel cuore della Silicon Valley, in California, si conferma l’università innovativa per eccellenza. Per il terzo anno consecutivo è al primo posto nella top 100 mondiale stilata da Reuters, una classifica basata su dati e analisi provenienti da diversi indicatori, tra cui il numero di brevetti e le citazioni di lavori scientifici. La classifica è stata stilata in collaborazione con Clarivate Analytics e, per la cronaca, non annovera università italiane. Nelle prime dieci posizioni, il ranking resta pressoché invariato rispetto al 2016, con università grandi e ben consolidate tra Stati Uniti ed Europa Occidentale a farla da padrone. Al secondo e terzo posto ci sono, rispettivamente, il MIT e Harvard. Al quarto posto si è posizionata l’Università della Pennsylvania, in crescita rispetto all’ottava posizione dello scorso anno. Mentre al di fuori degli USA, l’università più quotata è la KU Leuven, in Belgio, al numero cinque della classifica. Guardando più a Est, invece, nelle top 20 ci sono solo due asiatiche, entrambe in Corea del Sud. Il numero di università cinesi in classifica è arrivato a tre e due di quelle già presenti in classifica nel 2016 hanno fatto grandi passi in avanti, salendo alla posizione 51 e 60, rispettivamente dalle posizioni 65 e 70 dello scorso anno.
(Fonte: Reuters Health 27-09-17)

EURYDICE, RETE PER L'ISTRUZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPEA, CONSIGLIA DI NON AFFIDARSI TROPPO AI RANKING INTERNAZIONALI IN CERCA DELLA MIGLIORE UNIVERSITÀ
È meglio non affidarsi troppo ai ranking internazionali in cerca della migliore università dove proseguire gli studi. Il sorprendente consiglio arriva da una fonte autorevole: Eurydice, il sito della Commissione europea che si occupa di istruzione. Titolo del suo focus: Le classifiche universitarie internazionali sono utili? Domanda legittima, perché, spiegano da Bruxelles, figurare ai primi posti nelle graduatorie stilate da un numero sempre maggiore di organizzazioni non è sempre garanzia di qualità. Negli ultimi anni la tendenza a mettere in ordine per qualità gli atenei di mezzo mondo è cresciuta notevolmente. Le classifiche più note sono tre: quella del periodico britannico Times Higher Education (The), la lista mondiale Qs World, stilata da Quacquarelli Symonds, azienda, anche questa inglese, specializzata in istruzione e studi all'estero, e quella dell'Università Jiao Tong di Shanghai. Secondo gli esperti della Commissione europea però, queste classifiche internazionali non dicono tutto. Anzi. «Ha senso collocare le università in un ordine di classifica, come le squadre di calcio in una lega?» si chiedono. «O sarebbe preferibile riconoscere che hanno ognuna qualità diverse dalle altre?». La ricerca di Eurydice ha dimostrato infatti che «le metodologie di classificazione sono opache e difficili da replicare. La qualità dei dati non può essere sempre verificata e alcune università potrebbero deliberatamente manipolarli». Un tema di riflessione per chi affida le proprie scelte a queste graduatorie. «In un sistema globale» commenta Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori italiani (Crui) «i ranking internazionali sono un potente strumento di marketing. Ma misurano realtà differenti e perciò sono intrinsecamente imperfetti». «Tra gli elementi di diversità» aggiunge Francesco Frati, rettore dell'Università di Siena, «un, aspetto non sempre considerato è il budget di ciascuna università. Spesso i buoni o cattivi risultati nella didattica e nella ricerca dipendono dalle risorse a disposizione». (Fonte: S. Intravaia, La Repubblica Venerdì 13-10-17)

NEW UNIVERSITIES OF SCIENCE AND TECHNOLOGY RANKINGS
U-Multirank has published its new Universities of Science and Technology Rankings, in collaboration with the Conference of European Schools for Advanced Engineering Education and Research or CESAER – a leading European group of universities of science and technology.
In total, 231 universities of science and technology are compared in the latest science and technology rankings. The top 25 universities in this ranking come from 12 countries, with the largest cohort from France with six (Telecom ParisTech, École Polytechnique, INP Grenoble Institute of Technology, ENS Lyon, ENS Paris and Claude Bernard University Lyon 1) and five from the United States (California Institute of Technology, Massachusetts Institute of Technology, Rensselaer Polytechnic Institute, Georgia Institute of Technology and Rockefeller University). (Fonte: http://www.universityworldnews.com 13-10-17)

CENTRE FOR WORLD UNIVERSITY RANKINGS (CWUR): SAPIENZA (84°, PRIMO DEGLI ITALIANI), PADOVA (164°), MILANO (169°), BOLOGNA (193°), TORINO (220°), FIRENZE (254°)
Sapienza di Roma conferma la propria posizione tra le prime università italiane e tra gli atenei di eccellenza nel mondo nelle più autorevoli classifiche universitarie internazionali uscite nel 2017, superando gli atenei di Padova e Milano. A dirlo è il Centre for World University Rankings (Cwur), un istituto di ricerca con sede negli Emirati Arabi che ogni anno stila una classifica delle migliori mille università a livello internazionale. E l'unico ateneo italiano a figurare tra le prime cento posizioni è proprio la Sapienza, che si piazza all'84 posto tra le migliori università del mondo. Tra i 48 atenei italiani presi in considerazione, seguono le università di Padova (164°), Milano (169°), Bologna (193°), Torino (220°), Firenze (254°).  Il ranking si basa su alcuni indicatori oggettivi, cioè che non tengono conto di sondaggi di opinione ma solo di dati verificabili. Ad esempio, sono stati presi in considerazione il numero degli occupati post-lauream in posizioni di rilievo, le pubblicazioni scientifiche apparse su riviste internazionali, la qualità della didattica e quella dell'insegnamento, valutate in base ai traguardi accademici raggiunti dagli ex studenti e al numero di premi e riconoscimenti ottenuti dai docenti. Un criterio, quest'ultimo, in cui la Sapienza svetta al 34esimo posto della classifica. (Fonte: Il Messaggero 18-10-17)

US NEWS AND WORLD REPORT’S 2018 BEST GLOBAL UNIVERSITIES RANKINGS. 1,250 EVALUATED: US 221 SPOTS, CHINA 136, JAPAN 76, UK 73, BD 58, FR 57, ITALY 52, SPAIN 46
United States universities have taken the top four spots in the US News and World Report’s 2018 Best Global Universities rankings, released on Tuesday. The US dominates with 221 spots out of the 1,250 institutions evaluated, followed by China with 136, Japan with 76, the United Kingdom with 73 and Germany with 58. The rest of the top 10 performing countries were France (57 institutions ranked), Italy (52), Spain (46), South Korea (44) and Australia and Canada (both with 33). Among emerging economies, Turkey (with 30) came close to the top 10 followed by Brazil with 29. India, Poland and Taiwan had 24 institutions in the ranking, but Russia managed only 15.
Listed in rank order, these countries performed the best in the following subject rankings:
Computer science: US, China, UK, Canada, Australia.
Economics and business: US, UK, Australia, Canada, China (tie), Netherlands (tie).
Engineering: US, China, UK, Canada, Italy.
Neuroscience and behaviour: US, Germany, UK, Canada (tie), France (tie), Netherlands (tie).
Overall, the US is the top-performing country in the subject rankings by a very large margin, accounting for 25.3% of all the ranked institutions in the 22 subjects. Next came the UK with 7.8%, China with 7.4%, Germany with 6.8% and Canada with 4.1%.  (Fonte: www.universityworldnews.com 24-10-17)


DOCENTI

LA CONDIZIONE DEL DOCENTE UNIVERSITARIO TRA DISCRIMINAZIONE, VALUTAZIONE E BUROCRATIZZAZIONE
Il docente universitario ha pagato, da una condizione sia chiaro relativamente tranquilla (però generalmente conquistata legittimamente con investimenti, meriti, valutazioni e profusione di intelligenza critica), più di ogni altra categoria pubblica la crisi di questi anni. Agganciato da sempre nel trattamento ai magistrati per la comune natura di argine verso ogni rigurgito settario, corporativo, massificante, autoritario (più ancora che con le garanzie giurisdizionali, con la preservazione del libero pensiero), si è visto poi, per decisione politica e con l'avallo dei tribunali, di soppiatto sganciato da questo simbolico, ma non solo simbolico, collegamento. In più il docente universitario ha perso allo stato, probabilmente con un trattamento ingiustificatamente discriminatorio e, diciamolo chiaramente, quasi punitivo, gli scatti di carriera che, peraltro, sarebbero diventati triennali e non più biennali. Di fatto gli stipendi sono assolutamente fermi da molti anni, mentre quelli dei magistrati per esempio sono sbloccati, e questo vuole dire che in termini reali si sono ridotti in modo non impercettibile In più ancora c'è la precarizzazione della docenza universitaria, in particolare i ricercatori, e il pensionamento del 50% dei docenti universitari (2007-2013, se non erro) è avvenuto senza turn over, prima bloccato per anni, poi sbloccato in misura del tutto insufficiente. La docenza continua ad essere articolata, a differenza di molti paesi simili a noi, in ben tre fasce (ricercatore, associato, ordinario) ciascuna delle quali prevede la conferma triennale, con la conseguenza che la fascia più ambita si consegue spessissimo dopo il cinquant'anni (sei ordinari under 40 censiti nel 2015!), spesso dopo i sessanta, e talora mai; come peraltro inevitabile, ma non sempre, come dovrebbe avvenire, per carenza di ambizione o demeriti. Docenti e giovani hanno più di qualche ragione per essere scontenti e qualche volta frustrati o demotivati, mentre vengono bombardati di convocazioni per commissioni, mail con scadenze, schede da compilare di valutazioni e autovalutazione che tolgono tempo prezioso e, nella migliore tradizione italiana, non approdato a nulla o quasi. A tale proposito, si ha la sensazione che la cultura della valutazione di tipo anglosassone, apprezzabilmente introdotta, non ha forse raggiunto ancora quella soglia critica da lasciar intravedere i suoi grandi benefici, mentre se ne scorgono molti piccole e, qualche volta, grandi difetti. La ricerca italiana nonostante ciò, è bene ribadirlo, resta ad un livello decisamente alto per le pubblicazioni e a un livello discreto per i brevetti, e si colloca, anche se in mancanza di cambiamenti è verosimile che avvenga ancora per poco, nel gruppo di testa mondiale. Ciò rappresenta un miracolo nelle condizioni date e qui illustrate. Basti dire che i colleghi dei grandi paesi con i quali ci confrontiamo guadagnano, negli atenei pubblici, generalmente il doppio, se non il triplo. Il legislatore gode di discrezionalità politica, nei limiti della Costituzione, ma il modo in cui tratterà l'Università italiana darà l'indice della serietà con cui intende affrontare la questione del declino del paese, che va ben oltre il ciclo economico. (Fonte: M. Plutino, huffingtonpost.it 29-09-17)  

IL CONTESTO INVESTIGATIVO DELL’OPERAZIONE SVOLTA DALLA GUARDIA DI FINANZA SU DOCENTI UNIVERSITARI È GRAVE QUANTO È GRAVE RAPPRESENTARE TUTTA L’UNIVERSITÀ ITALIANA COME UN SOTTOBOSCO DI CORRUZIONE
Il contesto investigativo dell’operazione denominata «Chiamata alle armi» ha preso le mosse dal tentativo di alcuni professori universitari di indurre un ricercatore universitario, candidato al concorso per l’Abilitazione Scientifica Nazionale all’insegnamento in Diritto tributario, a «ritirare» la propria domanda, per favorire un terzo soggetto in possesso di un profilo curriculare notevolmente inferiore, promettendogli che si sarebbero adoperati con la competente Commissione giudicatrice per la sua abilitazione in una successiva tornata. Gli approfondimenti investigativi hanno consentito di accertare sistematici accordi tra numerosi professori di diritto tributario - alcuni dei quali pubblici ufficiali in quanto componenti di diverse commissioni nazionali (nominate dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) per le procedure di abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento nel settore scientifico diritto tributario – “finalizzati a rilasciare le necessarie abilitazioni secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate a soddisfare interessi personali, professionali o associativi”. (Fonte: CorSera Roma 25-09-17)
Riteniamo gravissimo che, ancora una volta, singoli casi di cronaca – seppure gravi – vengano utilizzati per gettare discredito sull’intero sistema e sull’intero corpo docente, fatto di docenti e ricercatori che in condizioni difficili svolgono con dedizione il proprio lavoro. Cosa che non avviene mai, come è giusto che sia, per altre categorie. Ancor più grave ci sembrano le illazioni che accostano questo fatto di cronaca ai docenti che in queste settimane scioperano per un riconoscimento dell’equo trattamento stipendiale per il lavoro svolto in questi anni. Ancora una volta, pur di non affrontare i problemi veri e strutturali del sistema universitario si preferisce rappresentare l’Università italiana come un sottobosco di corruzione. E invece tutti i dati relativi alla produttività scientifica, alla qualificazione dei nostri laureati (compresi quei cervelli che cercano fortuna altrove) mostrano con chiarezza che le questioni da affrontare sono altre: dal sottofinanziamento del sistema, al finanziamento della ricerca di base; dal contrasto al precariato, all’ampliamento del diritto allo studio; dal rinnovo dei contratti, alla qualificazione e formazione di tutto il personale universitario; dal riconoscimento delle istanze salariali e giuridiche dei docenti, alle necessità di reclutamento di un numero adeguato di docenti per tutte le fasce; dal contrasto alla burocrazia, alla radicale messa in discussione dell’ANVUR e delle sue politiche. (Fonte: Flc Cgil 26-09-17)

SAPORE DI COMMISSARIAMENTO DELLA CLASSE DOCENTE ITALIANA NELL’ESERCIZIO DELLA SELEZIONE-RECLUTAMENTO
Il presidente dell’Anac Raffaele Cantone e la ministra dell’Università Valeria Fedeli introdurranno un responsabile anti-corruzione nelle commissioni dei concorsi universitari. La singolare iniziativa, annunciata per mezzo stampa, rientra in un «codice di trasparenza» al quale il Miur e l’Anac lavorano da mesi e che sarà presentato il 3 e 4 novembre nel corso di una «conferenza sull’università». Il custode dei concorsi, ribattezzato «responsabile della trasparenza e della prevenzione della corruzione», dovrebbe essere un «dirigente, anche lo stesso direttore generale», presumibilmente dell’ateneo di riferimento, e dovrà «dare garanzie di indipendenza dalla sfera politica e istituzionale» sostiene Fedeli. Oltre allo svolgimento dei concorsi, a questa figura amministrativa dovrebbe essere affidato il compito di sorvegliare sulla regolarità «degli incarichi esterni e sulle consulenze» ha aggiunto Cantone. Queste misure faranno parte del «piano anti-corruzione 2017» che prevederà anche un capitolo universitario. Entro la fine di ottobre Fedeli emanerà un «atto di indirizzo», non vincolante, che sarà inviato alle università. Toccherà a loro adottare le misure previste nel piano. Quest’ultima precisazione allontana dalle misure annunciate il sapore di commissariamento della classe docente italiana nell’esercizio di uno dei suoi principali poteri - quello battesimale, la trasformazione di un candidato a un concorso in un «pari». Il riconoscimento dell’autonomia degli atenei nell’applicazione delle nuove norme ridimensiona il giacobinismo «anti-casta» alla discrezionalità degli organi accademici e dell’autonomia dei settori disciplinari che definiscono le caratteristiche dei bandi e la tipologia delle cattedre messe a concorso. Se così non fosse, le iniziative di Cantone-Fedeli produrrebbero una situazione scoppiettante. Gli atenei potrebbero sollevare eccezioni oppure ricorrere ai Tar di tutto il paese. (Fonte: R. Ciccarelli, Il Manifesto 28-09-17)

DOPO L“ABILITOPOLI” E LA PROPOSTA DEL PRESIDENTE DELL’ANAC, SI RAMMENTA CHE GIÀ NEL 1972 LA CORTE COSTITUZIONALE AVEVA REPLICATO CHE LE COMMISSIONI GIUDICATRICI ERANO RAZIONALMENTE COMPOSTE ESCLUSIVAMENTE DAI PROFESSORI DELLE MATERIE PER LE QUALI ERA BANDITO IL CONCORSO A CATTEDRA
Dopo l“abilitopoli” deflagrata a Firenze, che ha interessato il SSD del diritto tributario italiano,  la proposta più dirompente per l’assetto universitario consolidato è senza dubbio quella avanzata dal presidente Cantone in un’intervista a Repubblica del 27 settembre. “Vorrei lanciare un’idea”, dice, tra l’altro, il presidente dell’anti corruzione, “In ogni commissione, per un’abilitazione, per un concorso, dovrebbe entrare una personalità esterna al mondo accademico. Perché non immaginare uno scrittore a giudicare, insieme agli altri, una prova di Letteratura italiana? Un medico, un ingegnere e un avvocato nelle loro discipline? Nessuno vuole sminuire il mondo accademico, ma la contaminazione è un valore. Non conosco una categoria più gelosa delle proprie libertà dei magistrati, eppure nelle commissioni di concorso in magistratura ci sono proprio i docenti universitari”.
Sembrerebbe un sasso lanciato nello stagno e una provocazione positiva. In realtà l’idea non è nuova, come potrebbe sembrare a prima vista, avendo costituito oggetto di dialettica giuridica e giurisprudenziale, ai massimi livelli, già nei primi anni settanta del secolo scorso. Qualche dubbio sull’eccessiva autoreferenzialità del corpo accademico si era manifestato, infatti, anche a quell’epoca, se è vero che nel 1972 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato aveva dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della normativa sui concorsi alle cattedre universitarie. Il Consiglio di Stato censurava che le commissioni fossero composte esclusivamente da professori universitari. In questo modo, a giudizio di quel Consesso, si poneva in essere un sistema strutturato in forma di autogoverno in contrasto con i principi costituzionali dell’imparzialità della pubblica amministrazione e dell’uguaglianza. Anche le norme che, all’epoca, non richiedevano la necessità di prefissare criteri di massima per la valutazione comparativa dei candidati, sollevava motivate perplessità nei giudici amministrativi. A quei rilievi replicò prontamente la Corte Costituzionale giudicandoli privi di fondamento. Le commissioni giudicatrici, secondo la Corte, erano razionalmente composte esclusivamente dai professori delle materie per le quali era bandito il concorso. Si trattava, infatti, di considerare la personalità scientifica dei candidati. Potere, questo, che non poteva essere conferito a persone non competenti nelle materie dei concorrenti. Un sistema del genere, infatti, non avrebbe garantito, a giudizio della Corte, quel buon andamento dell’Amministrazione, di cui il Consiglio di Stato era giustamente preoccupato. Non sarebbe stato in grado di assicurare scelte informate alla conoscenza della materia a concorso e del suo progresso. (Fonte: F. Matarazzo, Roars 03-10-17)

IL PARADOSSO DI CHI PROPONE DI PORRE RIMEDIO AL CONSOCIATIVISMO ACCADEMICO, SPESSO FONDATO SU LOTTIZZAZIONI POLITICHE, CON UNA "CABINA DI REGIA POLITICA"
A lanciare l'allarme, dalle pagine del Foglio, è stato il giudice emerito della Corte costituzionale Sabino Cassese. Il professore si è riferito in particolare all'irrefrenabile ascesa dell'Autorità nazionale anticorruzione presieduta dal magistrato Raffaele Cantone. Anche il cittadino più disinteressato, in effetti, fatica a negare il protagonismo assunto dall'Autorità dal 2014, anno di nomina dell'ex sostituto procuratore della Dda di Napoli. L'ultimo intervento del presidente dell'Anac è giunto, nel clima "emergenziale", nei riguardi del mondo dell'università e della ricerca, in seguito alla vicenda della combine tra docenti di Diritto tributario per il rilascio delle abilitazioni all'insegnamento ai propri allievi. Il giorno dopo lo scoppio del caso, Cantone era sulla prima pagina di Repubblica a illustrare la sua ricetta per porre rimedio ai mali dell'università italiana in qualità di presidente dell'Autorità anticorruzione, anche se nessun reato corruttivo era, ed è, ancora stato accertato dai giudici. C'è un istinto interventista che va al di là della lotta alla corruzione, e al di là anche della regolamentazione di storture accertate sul piano giudiziario. Un istinto che assume vesti moralizzatrici nel momento in cui si analizzano, come ha fatto Cassese, i contenuti del tanto sbandierato "Aggiornamento 2017 al Piano nazionale anticorruzione" predisposto dall'Anac per il settore universitario. Un testo in cui si fa riferimento (pag. 34) a una "necessaria istanza di vigilanza" del sistema universitario, e si propone (pag. 39) nientedimeno che una "cabina di regia politica", alla quale siano riconosciuti "compiti di indirizzo strategico sull'attività di ricerca del sistema Paese definendo, ad esempio, le principali destinazioni delle risorse pubbliche di finanziamento della ricerca". E' evidente il paradosso di chi propone di porre rimedio al consociativismo accademico, spesso fondato su lottizzazioni politiche, con una "cabina di regia politica". Ma al di là del merito, stupisce il modo con cui l'Anac anche in questo caso si spinga a dettare principi su tutte le fasi della procedura di ricerca, nonostante non ne abbia competenza (tantomeno quando l'inchiesta fiorentina, ancora da accertare, non sembra riguardare la ricerca in senso stretto). "E' un tipico esempio di come si possa estendere un potere anche se la norma non lo prevede - spiega la prof.ssa Torchia, tra i più illustri docenti di Diritto Amministrativo - L'Anac è titolare di moltissimi poteri di regolazione, vigilanza, controllo, sanzione che le sono stati attribuiti dalla legge. Ma il potere, si sa, non basta mai, e nessuno è più vorace di potere di un'autorità che non deve rispondere a nessuno di come lo esercita. Per estendere il suo potere anche a terreni che la legge non le attribuisce, l'Anac ha escogitato un espediente semplice: insegue le possibilità di corruzione. E poiché qualsiasi attività umana è sospettabile di ipotetica corruzione, non c'è attività umana che si possa sottrarre al censore anticorruzione, cioè l'Anac" (Fonte: Il Foglio 19-10-17)

LA GIORNATA DI UN PROFESSORE. 11 ORE DI ATTIVITÀ NONOSTANTE LO SCIOPERO
In un serrato racconto firmato da Nicola Casagli su Roars la giornata tipo di un professore in sciopero. Viene pubblicata nella consapevolezza che la partecipazione allo sciopero attesta già oggi il sostanziale successo del Movimento per la dignità della docenza universitaria. Uno sciopero andato decisamente a segno, che ha fin qui coinvolto il 20% circa degli aventi diritto alla partecipazione, raddoppiando il numero di quanti avevano sottoscritto il documento col quale la manifestazione di protesta era stata indetta.
La giornata del prof. Casagli inizia alle 8,30 e termina alle 19,30 con 11 ore di attività nonostante lo sciopero degli esami. Leggi qui l’intera giornata del professore in sciopero. (Fonte: N. Casagli, Roars 23-09-17)

COSTI E RETRIBUZIONI DEI PROFESSORI UNIVERSITARI
Rapporto Anvur sugli stipendi. I dati sono tratti dai conti consuntivi dei vari atenei raccolti dal Miur. E qui emerge un prima tendenza: i professori universitari costano oggi molto meno alla collettività rispetto al passato. In dettaglio, il costo medio per i docenti a tempo indeterminato in Italia è sceso da 91.348 euro nel 2008 a 83.033 euro nel 2014 ed è pari al 53,9% delle spese sostenute dalle università per pagare tutto il personale (era il 58,4% nel 2008): questa spesa è calata "sensibilmente", si legge nel rapporto, "per effetto congiunto dei pensionamenti che hanno coinvolto una quota ampia di professori ordinari, della riduzione degli avanzamenti di carriera (la quota di ordinari si è ridotta del 37% rispetto al 2006) e del blocco stipendiale". Dal 2011 al 2016, infatti, le buste paga dei professori universitari sono ferme a 3.300 - 4.000 euro per quanto riguarda i professori ordinari, 2.200 - 2.700 euro per gli associati e 1.300 - 1.700 euro per i ricercatori. (Fonte: Panorama 29-09-17)

I BARONI NON ESISTONO PIÙ. PROVA A SPIEGARLO GIOVANNI PASCUZZI SU ROARS
I docenti baroni non esistono più da un pezzo. Provo a spiegare perché.
Quale barone avrebbe permesso che un governo riservasse ai professori l’onta di dover essere l’unica categoria del pubblico impiego a non vedersi ripristinati gli scatti stipendiali sospesi (al punto da dover ricorrere ad una cosa plebea come lo sciopero)? Quale barone avrebbe accettato di essere sottoposto allo stesso codice di comportamento di tutti gli altri dipendenti pubblici, compresi quelli dei livelli più bassi? Quale barone avrebbe accettato di farsi imporre i temi e gli obiettivi di ricerca da una “cabina di regia”? Quale barone avrebbe accettato di essere valutato da una agenzia ministeriale che impone soglie, accreditamenti che spesso incappano nelle censure dei giudici amministrativi? Quale barone avrebbe accettato senza colpo ferire la riforma Gelmini che ha accresciuto i poteri dei direttori generali e dei rettori, riducendo il potere degli organi collegiali e, quindi, delle istanze dove i diversi baroni possono farsi i favori incrociati? Quale barone avrebbe accettato di vedere la propria baronia assoggettata alla logica aziendale con conseguente necessità di uniformarsi ad indicatori e standard decisi da altri?
Forse conviene chiarire che in queste considerazioni c’è molta ironia e che personalmente non rimpiango affatto l’Università dei baroni. Occorre però dire che il rimedio è peggiore del male. Nell’Università oggi lavorano tantissimi professori onesti che si trovano tra l’incudine di chi la vuole affossare (anche riproducendo comportamenti deteriori) e il martello rappresentato dagli “illuminati” che pretendono di avere la ricetta per riformarla. (Fonte: G. Pascuzzi, Roars 03-10-17)

TRA I PAESI SVILUPPATI, L’ITALIA È L’UNICO DOVE LA CARRIERA UNIVERSITARIA NASCE E MUORE IN POCHI METRI QUADRATI
Che modello si prospetta ai giovani per entrare nell’Università? La ricetta è semplice. Svolgere compiti di servizio presso le sedi locali onde acquisire crediti morali. Indi fare in modo che dette sedi trovino i fondi sufficienti per bandire un concorso. L’istituto del trasferimento è, di fatto, abrogato. Se la regola fosse stata applicata nel passato, Aristotele non avrebbe mai insegnato in Atene né Tommaso d’Aquino in Parigi. Si sta accettando passivamente un sistema che premia il burocrate astuto scoraggiando gli intellettuali appassionati ma disaccorti. La vergogna di oggi viene da lontano e ci porterà ancora più lontano, se non si azzera la schizofrenia di riformare le riforme con riforme sempre più deleterie e tutte sorrette da una vena ideologica che non accetta confutazioni né tampoco verifiche. Questa valanga di “modernizzazioni” ha affossato l’università italiana nel goffo tentativo di trasformarla in impresa economica, scimmiottando la moda che vuole l’istituzione accademica governata dal mercato. E che, rinnegando una missione millenaria, sta riducendo l’università pubblica ad una azienda municipalizzata dove il “capitale umano” diventa una voce della “spending review” e nulla più, sotto il controllo dei burocrati astuti in perenne bilico tra devolution e sovranismo, ma sempre alla ricerca di qualche strapuntino nelle istituzioni o nelle imprese. Tra i paesi sviluppati, l’Italia è l’unico dove la carriera universitaria nasce e muore in pochi metri quadrati, lo stesso spazio fisico e culturale dove ci si è laureati. Nessuno si adopera per sanare la ventennale ferita, madre di un profondo ristagno culturale. (Fonte: R. Rosso, FQ 03-10-17)

CONSIGLIO DI STATO 22-09, 4427. IN PROCEDURE DI VALUTAZIONE COMPARATIVA PER COPERTURA DI POSTI DI DOCENTE UNIVERSITARIO ONERE DI IMPUGNAZIONE RIDOTTO PERCHÉ NON È VERO CONCORSO
Nelle procedure di valutazione comparativa per la copertura di posti di docente universitario, il ricorrente non deve necessariamente censurare tutti i giudizi migliori conseguiti da altri candidati. È quanto afferma il Consiglio di Stato, Sezione VI, con la sentenza del 22 settembre 2017, n. 4427.Ciò perché, ha precisato la VI Sezione, la procedura selettiva in discorso non è di stampo concorsuale e, dunque, i lavori della commissione giudicatrice non esitano nella predisposizione di una vera graduatoria. (Fonte: M. Atelli, quotidianoentilocali.ilsole24ore.com 29-09-17)

SULLA CONTRATTUALIZZAZIONE DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA. RISPOSTA DI SPAGNOLO A SINOPOLI
La richiesta di contrattualizzazione della docenza appare figlia di una impostazione giuslavoristica che tiene poco conto del valore pubblico del sapere: si tratterebbe della risposta sbagliata ad un problema vero.  Capisco l’argomento tattico secondo cui la contrattualizzazione renderebbe più forte una categoria frammentata, ma vedo prevalere i rischi strategici di introiettare l’attuale assetto “aziendale” degli atenei: non si asseconderebbe così la tendenza ad una privatizzazione dei saperi? Se la sentirebbe la FLC di assumersi la responsabilità storica di abbattere il principale baluardo dell’indipendenza dei docenti, per consegnarli definitivamente a soffocanti logiche corporative?
Cosa è una università? Storicamente, le università sono delle comunità di studi, tra pari, in cui i docenti e i discenti formano una “repubblica” dedita alla conoscenza. L’autonomia non è un problema da cancellare, è il cuore dell’università. L’unità di didattica e ricerca ne è la cifra e non si ingabbia in mansioni che attengono invece ai ruoli amministrativi a supporto delle due funzioni precedenti. Interpreti e protagonisti dell’università sono i docenti e i ricercatori assieme agli studenti, mentre le amministrazioni devono sostenerli e accompagnarli. La distinzione funzionale tra docenti e amministrazione – che il sindacato tende erroneamente a percepire come conflitto mentre il conflitto sta nella guerra tra poveri –  va salvaguardata nel rispetto reciproco. La riforma Gelmini ha invece spostato peso decisionale dalla docenza all’amministrazione, al punto che un direttore generale è meglio retribuito di un rettore e di un professore. Il carico burocratico dei processi di controllo interni, delle valutazioni e della ricerca di fondi sta svilendo la funzione intellettuale della ricerca. L’autonomia si salvaguarda oggi con un progetto nazionale di investimento sulla ricerca, accompagnato da una più chiara distinzione tra percorsi professionalizzanti e percorsi di alta formazione culturale e di ricerca. Al contrario, la contrattualizzazione favorirebbe la prevalenza della didattica professionalizzante sulla ricerca di base e così cancellerebbe gli spazi di libertà assicurati dalla legge. Segnalo due argomenti che mi paiono decisivi. Il primo è di principio: lo status giuridico pubblicistico e la progressione stipendiale definita a priori hanno sin qui assicurato una complessiva autonomia della ricerca, la quale resta l’unica vera attrazione affinché i migliori cervelli guardino ancora all’università come un luogo per il quale possa valere la pena sacrificare anni di studio e di precariato. Il secondo, di carattere pratico, riguarda il significato possibile della contrattualizzazione in Italia. In presenza di una differenziazione marcata dei bilanci degli atenei, la contrattualizzazione riguarderebbe probabilmente soltanto le “mansioni”, imponendo condizioni uniformi di lavoro laddove invece la ricerca non si ingabbia in compiti e orari che è bene restino flessibili e diversi. Come assimilare i compiti e le presenze di un medico ospedaliero, un filosofo, un linguista e un fisico astronomico? Un buon ricercatore lavora soprattutto fuori dagli orari della didattica e delle prassi burocratiche, va all’estero, si aggiorna, va in biblioteca e in laboratorio. L’esito sarebbe o un eccesso di burocrazia o un eccesso di localismo. (Fonte: C. Spagnolo, Roars 11-10-17)

ANCHE I PROFESSORI UNIVERSITARI STRAORDINARI E TEMPORANEI (ART. 1 C.12 L 230/2005) POSSONO PARTECIPARE A PROCEDURE DI CHIAMATA INDETTE DAGLI ATENEI
L’accesso ai ruoli della docenza universitaria, di I e di II fascia, ha caratteristiche e peculiarità normative che lo rendono speciale rispetto all’accesso agli altri pubblici impieghi non privatizzati, fermo restando il rispetto dei principi costituzionali e di quelli fondamentali stabiliti dalla legge. Il sistema impostato dalla Legge n. 240/2010 prevede una procedura unica per l’assunzione, a tempo indeterminato, di nuovi docenti e per il trasferimento dei docenti già in servizio a tempo indeterminato presso astenei italiani. Secondo la sentenza 21 settembre 2017, n. 9878 del Tar Lazio, anche i professori universitari, straordinari e temporanei, di cui all’art. 1 comma 12 della Legge n. 230/2005 possono partecipare alle procedure di chiamata indette dagli atenei.


DOTTORATO

LA CLASSIFICA DEI DOTTORATI. A ROMA, BOLOGNA E PADOVA I DOTTORATI MIGLIORI
Una classifica spiega quali università abbiano i migliori dottorati. Sono il terzo livello di studi, massimo grado di istruzione universitaria nonché passaggio naturale e ultimo verso il lavoro accademico o comunque di ricerca. Il ministero dell'Istruzione in queste settimane ha inviato ai singoli atenei le tabelle - classifiche, appunto - che assegnano un punteggio alle strutture e ne giustificano il loro finanziamento (la torta dei dottorati di ricerca vale 133 milioni di euro, il 2 per cento dell'intero Fondo di finanziamento ordinario). L'indicatore finale - summa e media dei cinque parametri con cui si valutano le borse post-laurea -, dice che l'università migliore sui dottorati è la Sapienza di Roma con il 7,79 per cento nella media ponderata, poi Bologna con il 5,88 per cento, quindi Padova con il 5,66, quarta Roma Tor Vergata con il 4,36 per cento e quinta Genova (4,19). Seguono, appaiate, l'Università di Torino e il Politecnico di Milano. I cinque parametri con cui nel 2017 si sono valutati i "migliori dottorati per università" sono: la qualità della ricerca svolta dai membri del collegio dei docenti (i ricercatori scelti, su indicazione interna), criterio che da solo pesa per la metà. Quindi, il grado di internazionalizzazione delle ricerche (10 per cento), il livello di collaborazione con il sistema delle imprese (10 per cento), l'attrattività del dottorato (un ateneo capace di richiamare il dottorando che si è laureato altrove, per esempio: vale il 10 per cento) e il numero degli iscritti ai cicli di dottorato (20 per cento). (Fonte: C. Zunino, R.it Scuola 20-10-17)

DOTTORATO. PROPOSTE DI AUMENTO DELLE BORSE
Secondo i dati del Cineca (il Consorzio Interuniversitario senza scopo di lucro formato da 70 università italiane, 8 enti di ricerca nazionali e il Miur), in Italia nell’anno 2016/17 risultavano immatricolati 26.046 dottorandi, comprensivi delle Scuole Superiori, di cui 20.180 con borsa di studio di varia provenienza. Dal 2008 il numero di posti offerti è andato progressivamente riducendosi. L’introduzione di vincoli progressivamente più stringenti per l’accreditamento dei corsi ha ragionevolmente contribuito in modo significativo a questo fenomeno. In particolare, in seguito all’innalzamento al 75% del numero minimo di borse garantite sul totale dei posti disponibili, la quota di immatricolazioni di dottorandi non borsisti si è ridotta del 21,8%2 in due anni.
L’importo della borsa è fisso dal 2008. L’aliquota contributiva è passata dal 24,72% del 2008 al 33,23% nel 2017 e si assesterà nel 2018 al 34,23%. Un 9,5% in più di contributi che per un terzo ha gravato direttamente sui dottorandi. Anche solo per recuperare questo incremento occorrerebbe prima un aumento della borsa dagli attuali 13.638,47 euro a 14.935,49 euro, con un incremento netto mensile di 95,75 euro e un costo di 34 milioni di euro. Il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (Cnsu), nella sua adunanza del 15 novembre 2016 ha ribadito la necessità di un aumento della borsa di dottorato e ritenuto congrua una ridefinizione del lordo pari a 16.350,00 (+20%, 200 euro netti al mese). Secondo le proiezioni tale aumento costerebbe circa 71 milioni di euro. Vi è anche la proposta, meno onerosa (50 milioni di euro), dell’Associazione Dottorandi Italiani (Adi) di applicare un aumento che consenta ai dottorandi di raggiungere il minimale contributivo Inps. (Fonte: http://www.lettera43.it/it/articoli/economia/2017/10/13/universita-una-proposta-per-i-dottorandi-italiani/214523/ 13-10-17)


CULTURA DEL DIGITALE

IL PUNTO SULL’INSEGNAMENTO DEL FUTURO ALL’EDTECH FORUM
«Parlare di e-learning, insegnamento online, e di e-university non ha più senso. La prospettiva è cambiata. L’insegnamento in sé è il valore formativo che non deve essere anteposto allo strumento tecnologico. L’obiettivo è cucire addosso a ogni studente un’esperienza educativa disegnata con precisione». Leonardo Caporarello, professore SDA e direttore di Built, il centro dell’innovazione per l’insegnamento dell’Università Bocconi, spiega così una delle conclusioni chiave della seconda edizione di EdTech Forum, l’appuntamento sul futuro della business education. Passata l’ebbrezza (e la paura) dell’online come nuova forma di educazione universitaria, ci si sta rendendo conto che le sfide da affrontare passano soprattutto attraverso la preparazione degli stessi docenti. «Il nuovo EdTech Forum è stato un momento di confronto paritetico tra le più importanti università europee per fare il punto della situazione dell’insegnamento di alto livello e capire in quale direzione procedere», racconta il direttore di Built. Da una decina che erano nel primo meeting, sono passati a essere più di 50 i partecipanti a questo evento gratuito e ad adesione volontaria. «Avere la strumentazione adeguata è necessario ma non sufficiente. Bisogna insegnare ai professori come utilizzare le nuove tecnologie. Per questo, con il centro sull’innovazione riorganizzato dall’attuale rettore, abbiamo in programma corsi di formazione per il personale accademico della Bocconi», chiarisce il professor Caporarello. «Anche sapere parlare la lingua degli stakeholder diventa un tratto fondamentale nella preparazione dei docenti». La classe del futuro: come sarà? Ci sarà ancora la lavagna? O si farà lezione con un visore che proietta gli studenti in una realtà aumentata? E infine, il peer learning, ovvero lo scambio di conoscenze tra pari che si verifica soprattutto con chi ha già alle spalle un ampio bagaglio di conoscenze. «La sfida per noi docenti», conclude Caporarello, «è capire come integrare competenze e tecnologie». (Fonte: C. Colombo, La Stampa, 20-10-17)


LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE

ULTIMO RAPPORTO OCSE SULL’STRUZIONE
"Negli ultimi anni l'Italia ha fatto notevoli passi in avanti nel miglioramento della qualità dell'istruzione", ma forti sono le differenze nelle performance degli studenti all'interno del Paese, "con le regioni del Sud che restano molto indietro rispetto alle altre", tanto che "il divario della performance in 'Pisa' (gli standard internazionali di valutazione) tra gli studenti della provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico". Così l'Ocse nel rapporto sulla 'Strategia per le competenze'.
Pochi laureati, poco preparati e 'bistrattati' - "Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%", afferma ancora il Rapporto.  Inoltre "gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze" in lettura e matematica (26° posto su 29 paesi Ocse). Non solo, quelli che ci sono non vengono utilizzati al meglio, risultando un po' 'bistrattati'. L'Italia è "l'unico Paese del G7" in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine. (Fonte: ANSA 05-10-17)

LE 10 LAUREE CHE PERMETTONO DI TROVARE PIÙ FACILMENTE LAVORO. "CULTURA POLITECNICA". È LA SFIDA DI FRONTIERA PER LE NOSTRE UNIVERSITÀ. SONO TEMPI DI "HUMANIFACTURING"
Non sono poche le aziende che fanno enorme fatica a trovare personale specializzato da inserire nel proprio organico, di fatto questi posti restano vacanti nonostante ci siano tantissimi giovani disoccupati ma che non hanno le competenze per ricoprire questi ruoli. Di seguito vediamo quali sono le 10 lauree che permettono di trovare più facilmente lavoro:
indirizzo linguistico, traduttori e interpreti: difficili da trovare nel 69% dei casi;
ingegneria elettronica e dell’informazione: difficili da trovare nel 58,7% dei casi;
altri indirizzi di ingegneria: difficili da trovare nel 57,7% dei casi;
ingegneria industriale: difficili da trovare nel 50,2% dei casi;
scienza, matematica e fisica: difficili da trovare nel 40,9% dei casi;
economia: difficili da trovare nel 34,8% dei casi;
indirizzo chimico farmaceutico: difficili da trovare nel 27,1% dei casi;
insegnamento e formazione: difficili da trovare nel 25,2% dei casi;
scienze motorie: difficili da trovare nel 19,9% dei casi;
indirizzo sanitario: difficili da trovare nel 19,1% dei casi.
"Industry4.0", big data, cloud computing, robotica d'avanguardia, sistemi digital stanno modificando produzione, prodotti, lavoro. Lungo la prossima frontiera del futuro, la "meccatronica", cresce solo chi innova. Chi cioè sa mettere in campo risorse per una nuova "civiltà delle macchine", capaci di essere in linea con l'organizzazione digitale del lavoro e con le "connessioni" che già adesso segnano le nostre metropoli, tra dimensioni da "smart city" e sfide economiche e culturali da "sharing economy. Robotica a misura umana. E nuove scelte da "economia civile". "Ingegneri filosofi" e "ingegneri poeti", abbiamo scritto più volte in questo blog. "Cultura politecnica". È la sfida di frontiera per le nostre università e le nostre imprese: più laureati, migliori e meglio trattati. La sfida dello sviluppo è concentrata sull'utilizzo delle intelligenze. Sono tempi di "humanifacturing", scrive Luca De Biase su IlSole24Ore, parlando dei progetti di una delle migliori multinazionali italiane, Comau, con un efficace neologismo di sintesi tra "humanities", le competenze umanistiche a cominciare dalla filosofia e delle "scienze del bello" e "manifacturing", la straordinaria vocazione italiana alla manifattura di qualità. (Fonte: miuristruzione.it 12-10-17)

LE LAUREE CHE FANNO TROVARE LAVORO E IL PROBLEMA DELL’ORIENTAMENTO PER SCEGLIERE IL CORSO DI LAUREA
È diventato un investimento sicuro per il futuro studiare ingegneria, infermieristica, fisioterapia, tecniche di radiologia medica, ostetricia: si trova lavoro e si guadagna di più. Il tasso di occupazione è superiore al 90% e le retribuzioni vanno dai 1.717 euro per gli ingegneri ai 1.509 euro per le professioni sanitarie. Li seguono, a breve distanza, i laureati in ambito economico-statistico, scientifico, chimico e architettura. Maglia nera, invece, per gli psicologi, i letterati e gli insegnanti che oltre ad avere più difficoltà a trovare un impiego, non raggiungono neanche i 1.200 euro al mese. La fotografia scattata da AlmaLaurea è chiara, eppure la scelta degli studenti va spesso in un'altra direzione: nell'anno accademico 2015/2016 (dati Ministero Istruzione) il 52,8% delle nuove matricole si è concentrato proprio nelle macro-aree disciplinari che faticano a offrire opportunità di lavoro adeguate: l'ambito sociale (33,8%) e umanistico (19%). Che cosa non funziona? Secondo gli esperti del settore manca un percorso ragionato che aiuti i ragazzi a identificare l'università più idonea nell'ottica di trovare un impiego: «L'orientamento è diventato il problema dell'Italia; gli studenti non scelgono consapevolmente, le famiglie spendono soldi e il Paese si indebolisce», dice Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea. Inoltre Dionigi sostiene che in questi anni le università hanno svolto un'opera di supplenza, ma non basta: «In Italia manca una vera politica di orientamento, che significa anche stabilire il numero esatto di medici, laureati in lettere e in ingegneria necessari alle nostre esigenze. Le istituzioni cominciano a sentire il problema, ma si dovrebbe fare molto di più». (Fonte: C. Barone, A&F 02-10-17)

LE LAUREE PIÙ RICHIESTE DALL’INDUSTRIA
I titoli più richiesti dalle industrie sono laurea in architettura e ingegneria edile-architettura (14%), scienze economico-aziendali (11%), ingegneria meccanica (10%), ingegneria gestionale e civile (entrambe 6%). A seguire, con valori sotto al 5%, laureati in ingegneria elettronica, farmacia, ingegneria per l’ambiente e il territorio, giurisprudenza, biologia, ingegneria aerospaziale, ingegneria chimica e scienze dell’economia. I tempi di inserimento una volta conseguita la laurea sono in media di sei mesi. Nell’industria metalmeccanica e meccanica di precisione sono occupati soprattutto ingegneri meccanici (25%), economisti (13%) e ingegneri gestionali (10%). Nell’edilizia vanno per la maggiore i laureati di architettura e ingegneria edile (53%) e ingegneria civile (20%).
Per chimica ed energia troviamo i laureati in farmacia e farmacia industriale (12%) e scienze economico-aziendali (10%), ma anche in ingegneria meccanica, biologia e ingegneria chimica (tutti al 6%) e scienze chimiche e ingegneria gestionale (entrambe al 5%). A cinque anni dal titolo il 69% di chi è occupato nell’industria ha un contratto a tempo indeterminato il 52 per cento. La quota sale all’86% tra i laureati inseriti nel ramo della metalmeccanica e meccanica di precisione, mentre scende al 32% per chi opera nell’edilizia. (Fonte: orizzontescuola.it 10-10-17)

EDUCATION AT A GLADE 2017 DELL’OCSE. I DIPLOMATI TECNICI E PROFESSIONALI LAVORANO SUBITO E PIÙ DEI LAUREATI
I diplomati presso un istituto tecnico o professionale trovano lavoro più facilmente, anche se non si tratta di lavoro a lungo termine. E’ quanto emerso dall'Education at a Glade 2017 dell’Ocse, che è stato presentato alla Luiss di Roma analizzando i sistemi educativi di 34 Paesi nel mondo utilizzando dati del 2012, 2014 e, per alcuni indicatori, del 2016, non includendo, dunque, gli anni della Buona Scuola. Come riporta Italia Oggi, la maggior parte dei giovani italiani sono iscritti a un percorso di studi superiore a indirizzo tecnico-professionale, il 42%, contro il 33% che ha scelto un liceo: il 16% in più della media Ocse. Un comparto che garantisce buoni tassi di occupazione per i giovani: ben il 68% dei 25-34enni, sensibilmente superiore sia ai quello dei liceali (49%) sia a quello dei laureati (64%). (F. De Angelis, Tec Scuola 19-09-17)

LA RIFORMA DELL’ISTRUZIONE PROFESSIONALE
La riforma dell’istruzione professionale, entrata in vigore il 31 maggio con il decreto legislativo 61/2017, nasce con molte ambizioni: rendere più definita e articolata l’offerta didattica, collegarla più saldamente alla domanda, in buona parte insoddisfatta, proveniente da settori strategici come l’artigianato, il turismo, la sanità, l’agricoltura, ma anche personalizzare la formazione dei giovani grazie a spazi di autonomia e progetti ad hoc che gli istituti potranno elaborare per valorizzare la capacità individuali. La riforma partirà nell’anno scolastico 2018/2019 con le nuove prime classi, e vedrà attivare progressivamente le classi successive, fino ad essere a regime, sostituendo completamente il vecchio ordinamento, nel 2022/23. La didattica si baserà su due canali, differenziati ma permeabili: l’istruzione professionale, lunga un quinquennio, sarà curata da scuole statali e paritarie; l’istruzione e formazione professionale (nome simile ma programma distinto) sarà invece responsabilità delle istituzioni accreditate da Regioni e Province autonome, e permetterà di conseguire una qualifica (dopo tre anni) o un diploma (dopo quattro). Per quanto diversi, i percorsi saranno inseriti in un sistema unitario, quello della Rete nazionale delle scuole professionali, e consentiranno agli studenti, a certe condizioni e secondo criteri da definire in Conferenza Stato-Regioni, di passare da un canale all’altro. (Fonte: M. Periti, IlBo 11-09-17)

IL CUN REPLICA A UN ARTICOLO SULLA RIFORMA DEL 3 + 2
Abbiamo letto con interesse, scrivono la presidentessa e un consigliere del CUN, l’articolo di Salvo Intravaia sul (presunto) flop della riforma 3+2, pubblicato il 2 settembre (su la Repubblica, Ndr) accanto ad altri interventi dedicati al tema. Apprezziamo l’attenzione dedicata all’Università, ma sentiamo l’obbligo di segnalare che i dati presentati nell’articolo portano a una conclusione opposta a quella indicata nel titolo: i laureati sono in aumento, non in calo. Uno degli obiettivi della riforma 3+2 era innalzare il numero di giovani in possesso di un titolo di studio universitario attraverso l’introduzione di un percorso di laurea triennale, sufficiente a dare una preparazione di alto livello, anche se non necessariamente specializzata od orientata alla ricerca. Ebbene: come riportato nell’articolo, nel 2000 abbiamo avuto 144.000 laureati vecchio stile e nel 2016 abbiamo avuto 175.000 laureati triennali. In altre parole, rispetto al 2000, nel 2016 ben 21.000 giovani in più hanno conseguito un titolo di studio di livello universitario, con un aumento di oltre il 20%. Inoltre, l’età media dei laureati triennali 2016 (fonte: rapporto Almalaurea 2017) è di 24,9 anni, contro un’età media di 27,6 anni dei laureati vecchio stile del 2000. Con l’introduzione del 3+2 abbiamo dunque più giovani in possesso di un titolo di studio universitario, ottenuto in media con 2,7 anni di anticipo rispetto ai loro colleghi del 2000. (Fonte: C. Barbati e M. Abate, IlBo 05-09-17)

CARENZA DI MEDICI DI MEDICINA GENERALE CAUSA MASSIVO PENSIONAMENTO E  RIDOTTO N.RO DI MEDICI CON IL TITOLO ANCHE PER IL NON ADEGUAMENTO DEL N.RO DI BORSE REGIONALI
La situazione odierna della carenza in medicina generale è figlia della totale assenza di programmazione nel garantire risorse adeguate all’iter formativo post-laurea, in considerazione del massivo pensionamento di medici di medicina generale e del troppo ridotto numero di medici che hanno conseguito il titolo richiesto dalle norme nazionali ed europee per accedere agli incarichi.
Gli studi demografici effettuati a riguardo dimostrano che ampie fasce di popolazione mancheranno del medico di famiglia. Dai dati forniti dal ministero della salute al 2013 circa il 65% dei medici in convenzione aveva già 27 anni di anzianità di laurea, mentre di fatto non si è mai definito un sostanziale adeguamento del numero di borse regionali stanziate annualmente per il Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale. La conseguenza sarà un numero di medici drammaticamente insufficiente a colmare quel gap, che impone oggi delle soluzioni imminenti e che viene ancor più gravato a motivo delle condizioni contrattuali in cui versano i giovani medici in formazione, che spesso si trovano a dover rinunciare alla borsa vinta per necessità. Il corsista in formazione, a fronte del percepimento di una borsa di studio equiparata a reddito da lavoratore dipendente, assoggettata a IRPEF e mai adeguata negli anni al crescente costo della vita, oltre che soggetta a totale incompatibilità professionale con altre forme d’attività dall'altra parte non gode di tutele quali la malattia, le ferie, la maternità. (Fonte: quotidianosanita.it 25-09-17)

PERCHÈ I LAUREATI ITALIANI IN MATERIE SCIENTIFICHE HANNO OTTIME CHANCE ALL'ESTERO
I laureati italiani in materie scientifiche hanno ottime chance all'estero "perché i programmi sono ottimi. Un laureando italiano, a parità di impegno, è molto più preparato di un coetaneo americano. Negli Stati Uniti i corsi universitari sono meno specialistici. Lì la vera formazione dei ricercatori avviene più tardi, nei cinque anni del dottorato. In Italia anche un laureato è pronto a intraprendere una carriera nel mondo della scienza. Ma questo patrimonio rischia di depauperarsi, se non investiamo di più per mantenere i laboratori all'avanguardia e non prestiamo più attenzione all'orientamento. I liceali non hanno alcuna bussola al momento di iscriversi in una facoltà. Invece ci vorrebbe un periodo lungo - anche un intero semestre - per affacciarsi nelle università e capire cosa si desidera fare. L'abbandono prima della laurea è un problema per la società e a volte anche un dramma individuale per i ragazzi". (Fonte: F. Ferroni, R.it 09-10-17

UN CIRCOLO VIZIOSO AL RIBASSO PER QUEL CHE RIGUARDA LA FORMAZIONE
La motivazione degli stravolgimenti in atto nelle politiche dell’istruzione è di formare personale che si possa rapidamente adeguare a un sistema produttivo a bassa intensità tecnologica, che a sua volta non richiede dal sistema formativo competenze qualificate, generando in tal mondo un circolo vizioso al ribasso per quel che riguarda la formazione: altro che economia della conoscenza! In questa situazione la spesa pubblica in ricerca e sviluppo è vista come uno spreco che va ridotto: esattamente quello che hanno fatto i governi nell’ultimo decennio. In questa maniera si è preferito puntare su un’economia basata sulla competitività del costo del lavoro piuttosto che puntare a una economia che guardi alla competitività tecnologica.
Solo con un coordinamento tra politiche della formazione, di ricerca e sviluppo e politiche industriali volte a potenziare la presenza di settori tecnologicamente innovativi si potrà evitare all’Italia di andare incontro ad una emarginazione dal contesto competitivo internazionale, e dunque a una regressione economica ancora più marcata di quella cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Delle politiche, cioè, che invece di puntare a formare manodopera di basso livello formativo per lavori a basso costo, ripunti a formare quelle capacità di conoscenza che rappresentano l’unico potenziale di uno sviluppo solido, come ci insegnano non solo gli Stati Uniti e la Germania ma da qualche tempo anche la Cina che ha triplicato l’investimento in ricerca e sviluppo in un decennio. (Fonte: F. Sylos Labini, Roars 08-10-17)

I TEMPI PER LA TESI DI LAUREA. IL RECORD È DETENUTO DAI LAUREANDI IN MEDICINA O ODONTOIATRIA, CHE IMPIEGANO IN MEDIA 8,6 MESI
I tempi per la tesi di laurea sembrano essersi accorciati negli anni: mentre nel 2002 i laureati impiegavano in media 8,4 mesi per elaborare la tesi, nel 2016 i laureati di primo livello dedicano in media 3,6 mesi, i laureati di secondo livello (magistrali biennali e a ciclo unico) 6,8 mesi.  Esistono, però, delle evidenti differenze tra le varie aree disciplinari. Guardando ai dati totali che sommano i tempi impiegati per la tesi di primo livello e la tesi di secondo livello, cioè per la specialistica, il record è detenuto dai laureandi in Medicina o Odontoiatria, che impiegano in media 8,6 mesi. Seguono con numeri altrettanto alti la facoltà di Architettura e l’area Chimico-Farmaceutica che, per l’elaborato finale, richiedono rispettivamente 6,4 e 6,2 mesi. Ci sono facoltà, la maggior parte, che si mantengono sotto i 6 mesi: Giurisprudenza (5,9), Lettere (5,8), Psicologia (5,3), Biologia, Geologia, Agraria e Veterinaria (5,2 mesi) ed ancora Professioni sanitarie (5,0). Fortunatamente, ci sono anche aree disciplinari in cui la tesi è un passaggio ben più veloce: detengono il record positivo Economia e Statistica, dove occorrono appena 3,6 mesi, ma ci sono tempi relativamente brevi anche per Educazione fisica (4,0); Ingegneria (4,2); Politico-sociale (4,5); Scientifico e linguistico (4,6). Certamente, esistono differenze tra lauree triennali e magistrali della stessa area disciplinare. Per  quanto riguarda Geologia e Biologia, ad esempio, la tesi di primo livello porta via solamente 3,1 mesi, mentre quella di secondo livello ne occupa in media 8. Si tratta delle facoltà col differenziale più ampio. Poco cambia per Agraria e Veterinaria: 3,5 mesi per la tesi triennale, 8 per quella magistrale. Stessa storia  per Architettura: 3,5 mesi per l’elaborato di primo livello, 8,2 per quello di secondo. Seguono sulla stessa linea d’onda anche Chimica e Farmacia: 3,2 mesi per la prima, 7,5 per la seconda. Lo stesso vale per Psicologia: 3,5 mesi per la tesi standard, 7,5 per quella specialistica. Si evince già da qui che ad allungare i tempi totali siano le magistrali. Le tesi per le triennali sono decisamente più veloci. (Fonte: catania.liveuniversity.it 20-10-17)


RECLUTAMENTO

SELEZIONE DEI DOCENTI. L’USPUR, INVECE DI UN INASPRIMENTO DELLE PROCEDURE EX-ANTE, RICHIEDE UN DRASTICO CONTROLLO EXPOST DEGLI ESITI DELLA PROCEDURA
A fronte di spinte (come quelle dell’ANAC, nota di PSM) che richiedono procedure di controllo ancora più complesse, l’USPUR ritiene che ormai la disciplina concorsuale abbia fatto il suo tempo. La procedura concorsuale è tipica del nostro paese. Nelle altre accademie il percorso di selezione della docenza è fatto tutto a livello locale con al più procedure di selezione preliminari analoghe alla nostra abilitazione scientifica nazionale. L’USPUR quindi, invece di un inasprimento delle procedure ex-ante, richiede un drastico controllo expost degli esiti della procedura di selezione. Oggi questo controllo è ancora marginale all’interno delle procedure della Valutazione della Qualità della Ricerca i cui indici sono poi impiegati per la distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario nei diversi atenei. Solo una responsabilizzazione della selezione del corpo docente che trovi riscontro nei fondi assegnati al singolo dipartimento (e quindi ai singoli atenei) potrà spingere verso procedure di reclutamento

È PROPRIO LA RICERCA CHE RENDE INDISPENSABILE LA COOPTAZIONE
Il problema dei concorsi universitari è un problema che non risolveremo fino a quando all’università saremo costretti a “cooptare mediante concorso”. Costretti a praticare un ossimoro da una percezione errata del lavoro accademico. Il professore universitario insegna e fa ricerca. È la ricerca il grande discrimine, la caratteristica peculiare, la grande differenza con i docenti delle scuole primarie e secondarie (ai quali non vogliamo togliere nulla, perché sono proprio loro a gettare le basi sulle quali noi costruiamo). Ed è proprio la ricerca che rende indispensabile la cooptazione: un ateneo, un dipartimento deve poter scegliere il tipo di competenza che serve perché i ricercatori non sono intercambiabili. È un concetto difficile da assimilare per chi non conosce le università del mondo o è legato a una visione burocratica della docenza.
Comunque, per migliorare il reclutamento senza rimettere tutto in discussione, è possibile agire da subito nell’ambito della normativa attuale su due “fondamentali”: mobilità e trasparenza.
Per incentivare la mobilità (e contrastare i rapporti di fedeltà accademica) è sufficiente eliminare l’oggettivo vantaggio economico per le casse degli atenei derivante dalla promozione di interni. Meglio ancora se si renderà vantaggioso chiamare ricercatori e professori da altre sedi con risorse ad hoc di mobilità e di installazione.
Per elevare il livello di trasparenza dei momenti concorsuali basta esporre i CV dei candidati – come le partecipazioni di matrimonio - in modo che tutti possano rendersi conto di quali competenze sono a confronto (e non si tiri fuori la privacy: sono concorsi per ruoli pubblici), chiedere referenze, e chiamare tutti i candidati a svolgere seminari pubblici dipartimentali. Chi partecipa potrà porre domande e valutare le risposte che riceve. Le commissioni decideranno in piena autonomia ma con maggiore accountability. (Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 06-10-17)

NON SERVE COMPLICARE CON GRAVOSE E INUTILI PRATICHE BUROCRATICHE IL PROCESSO DI RECLUTAMENTO
I concorsi universitari non impediscono imbrogli e abusi, e spesso servono solo a nasconderli. Nei sistemi universitari che funzionano bene, i dipartimenti sono liberi di assumere o promuovere i professori selezionandoli nel modo che preferiscono; e i giudici non hanno motivo di ingerirsi in queste decisioni. Chi le prende infatti ha incentivi forti a scegliere i candidati migliori sapendo bene che se sbaglia paga caro l'errore in termini di qualità e quantità di studenti, di finanziamenti privati e pubblici, di reputazione. In quei sistemi, si fa in modo che lo Stato e il mercato rendano vantaggiosa solo la scelta ritenuta davvero migliore; e i concorsi sono molto più seriamente selettivi dei nostri, ma scevri da regole procedurali imposte. Perché allora non seguire questi esempi, anche loro imperfetti ma che danno risultati migliori? Aboliamo il valore legale della laurea, dando agli studenti le risorse per premiare con le loro scelte le facoltà migliori. Consentiamo agli atenei di finanziarsi in base alla qualità e alla reputazione della loro ricerca. A quel punto le università che si scelgono professori scadenti dovranno chiudere per mancanza di fondi, non per l'intervento dei giudici. (Fonte: A. Ichino, CorSera 27-09-17)

SOLUZIONI PER IL RECLUTAMENTO
La prima è la cooptazione da parte degli ordinari di un settore sulla base di curriculum che comprenda ogni aspetto menzionato e con referenze firmate dai colleghi. Qualche corso di dottorato già lo fa. In questo caso la presentazione/sponsorizzazione è pubblica e ogni scelta viene intestata a qualcuno che ne sarà responsabile davanti alla comunità scientifica. Certo si rischierà l'effetto "cupola" ma sarà almeno una cupola nota che dovrà misurarsi con la comunità scientifica internazionale.
La seconda è quella americana. Le università (anche quelle statali) godono di vera autonomia e nominano una commissione che valuta i candidati. I tre migliori vengono invitati a presentarsi, a tenere una conferenza dove si sottopongono alle domande dei colleghi del corso di studio o del dipartimento, a passare del tempo con i colleghi (gli americani giustamente pensano che nel merito di un collega rientri anche la sua capacità di lavorare con gli altri). Alla fine, ciascun membro del dipartimento vota democraticamente. Unica regola: non si può insegnare dove si è fatto il dottorato. Certo, ci saranno comunque pressioni e accordi, ma saranno molto più difficili. (Fonte: G. Maddalena, Il Foglio 29-09-17)

RECLUTAMENTO. SCEGLIERE TRA GLI ABILITATI SENZA ULTERIORE CONCORSO
Il nostro Paese ha, negli ultimi anni, realizzato due riforme importanti del sistema universitario. La prima è l’introduzione di un sistema di valutazione della qualità della ricerca, che valuta la produzione scientifica dei professori di tutte le università. La seconda è il meccanismo della Abilitazione scientifica nazionale (Asn), una procedura che, appunto, abilita i candidati alla professione di professore universitario, ma senza assegnare un posto di lavoro. Saranno poi le singole università a scegliere tra gli abilitati, ma sempre attraverso un ulteriore concorso. La Asn fa sì che lo Stato possa operare un controllo sulla professione di professore universitario, impedendo a chi non ha i titoli di accedervi. La valutazione della qualità della ricerca consente, sempre allo Stato, di verificare se le persone assunte nel ruolo dei professori e delle professoresse sono state all’altezza del ruolo, potendo poi punire l’Università che ha reclutato persone non all’altezza del ruolo. Perché, quindi, non eliminare i concorsi locali? Le università potrebbero selezionare gli abilitati con procedure finalmente in linea con quelle delle migliori università al mondo, scegliendo la miglior professionalità per le proprie esigenze didattiche e scientifiche. Consentire alle università libertà nella definizione degli stipendi (sia chiaro, sempre nei limiti del proprio bilancio) consentirebbe poi alle università di competere liberamente per il reclutamento dei migliori scienziati, anche all’estero. (Fonte: P. Perata, IlSole24Ore 06-10-17)

NON RIFORMARE DI NUOVO I CONCORSI MA ASSEGNARE AI DIPARTIMENTI UNA PARTE SOSTANZIALE DEI FONDI SECONDO LA QUALITÀ DELLA RICERCA E DELLA  DIDATTICA
Ogni dieci anni l'università italiana è vittima di un attacco di amnesia collettiva ed entra in fibrillazione per riformare i concorsi, illudendosi che cambi qualcosa. Ci sono sei reazioni tipiche:  "Il nucleo dell'università italiana è sano". "Abbiamo fiducia nella magistratura". "Cambiamo i concorsi". "Ci vuole un cambiamento di mentalità". "Ci vogliono regole più stringenti". "La colpa è della scarsità di risorse". Quest’ultima è esattamente la logica perversa di chi sostiene che bisogna inondare di opere pubbliche la Sicilia per sconfiggere la mafia. Ma se la mafia uccide per un appalto da un milione di euro, cosa farà per un appalto da cento milioni di euro? Quasi nessuno vuole sentire parlare dell'unica soluzione possibile: assegnare una parte sostanziale (e non infinitesima come ora) dei fondi secondo la qualità della ricerca e dell'insegnamento di ogni dipartimento, in base a giudizi di esperti internazionali. In questo sistema saranno i colleghi stessi del barone che gli impediranno di tramare per assumere un candidato inadeguato, perché alla lunga ciò si rifletterà sulle risorse disponibili a tutti ì membri di quel dipartimento. È un meccanismo che può benissimo essere applicato anche alle università pubbliche, come mostra l'esempio inglese. Ma è una soluzione che quasi nessuno vuole, perché obbliga, questa sì, a cambiare mentalità e modo di lavorare. (Fonte: R. Perotti, La Repubblica 02-10-17)

PROCEDURE DI RECLUTAMENTO. IN VISTA NUOVE PROCEDUFE ASTRATTE E ASTRUSE
Senza un'etica diffusa, e strumenti che facciano rispondere in pieno i valutatori delle loro scelte, qualsiasi procedura è permeabile. Ma le procedure previste dalla legge Gelmini sono facilmente aggirabili e manipolabili come può accadere anche nell'uso d'indici di produttività quantitativi apparentemente neutri. Indici che potrebbero dimostrarsi tutt'altro che imparziali: basti pensare che gruppi di ricerca numerosi possono accrescere il proprio impatto citazionale, oppure – nei settori non bibliometrici – il ruolo decisivo che hanno assunto le riviste di fascia A (e i relativi comitati scientifici). Si sbaglierebbe quindi a interpretare quanto accaduto in questi giorni (l'inchiesta della Procura di Firenze, che vede indagati per corruzione alcune decine di docenti di un intero settore disciplinare) come il risultato dell'insufficiente automaticità o misurabilità delle procedure di valutazione e selezione. In questo quadro, risulta paradossale che si invochi un'ulteriore agenzia esterna, l'Anac guidata dal magistrato Cantone, per introdurre nuove procedure ancora una volta astratte dalle prassi internazionali e talvolta astruse, come quelle proposte nel recente Piano Nazionale Anticorruzione. L'idea di avere membri esterni nelle commissioni ricorda il fallimentare tentativo di inserire studiosi esteri della prima Asn, dando per scontato che, anche nei settori più vicini alle professioni, questi "esterni" siano più indipendenti e immuni a pressioni illegittime. Queste soluzioni non solo non intervengono sui rischi di manipolazione dei concorsi, ma rendono ancor più opachi e confusi i processi di reclutamento. (Fonte: F. Sinopoli, huffpost 29-09-17)

IL RETTORE SIA INVESTITO ANCHE DELLA RESPONSABILITÀ DI GARANTIRE CHE LE PROCEDURE DI RECLUTAMENTO SIANO LEGITTIME E SIANO LEGALI
Il professore Gianluca Maria Esposito, Ordinario di Diritto Amministrativo e Direttore della Scuola anticorruzione dell'Università di Salerno, lancia, nel corso di una intervista all'agenzia Dire, una proposta: "Il Rettore diventi il garante della legalità nelle università e in particolare nelle procedure concorsuali. Perché il sistema procedimentale e decisorio parte dal basso - chiarisce il professore ma finisce esattamente con una scelta finale che spetta al Rettore come capo degli organi accademici". Continua: "I dipartimenti propongono attraverso la programmazione una serie di obiettivi di chiamata, di reclutamento, nei diversi settori scientifico-disciplinari. Queste proposte vanno al vaglio degli organi accademici, quindi del Senato e soprattutto del Consiglio di amministrazione, che oggi dopo la riforma Gelmini è il vero organo di governo dell'Università. Il Senato e il Consiglio sono presieduti dal Rettore, quindi da colui - precisa - al quale spetta la scelta, nel rispetto della programmazione che nasce dal basso, anche sulle procedure di reclutamento dei professori universitari. Proprio in relazione a questo svolgimento e a questo andamento del procedimento di formazione dei programmi, e quindi dei successivi concorsi da professore, a mio giudizio è assolutamente fondamentale che il Rettore sia investito anche della responsabilità di garantire che le procedure di reclutamento siano legittime e siano legali". (Fonte: R. A. Scarico, cronachedellacampania.it 30-09-17)


RICERCA

IL GOTHA DELLA FISICA FONDAMENTALE MONDIALE DENUNCIA: L'ITALIA STA TAGLIANDO FUORI DALL'UNIVERSITÀ PROPRIO I LEADER DEI PROGETTI INTERNAZIONALI DI FRONTIERA PER LA RILEVAZIONE DI ONDE GRAVITAZIONALI
Lo scorso 14 agosto, il rilevatore di onde gravitazionali Virgo di Cascina, Pisa, ha catturato il passaggio di onde gravitazionali, le increspature dello spazio-tempo previste dalla Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein e intercettate per la prima volta negli Usa nel settembre 2015, dai due rilevatori del progetto Ligo, gemelli di Virgo. Un successo epocale per la scienza, che "dà l'avvio a un settore nuovo: l'astronomia gravitazionale" ha detto al Fatto Helios Vocca dell'Università di Perugia, tra i responsabili di Virgo. Proprio quando il progetto Virgo raccoglie gli onori internazionali, una lettera indirizzata alla ministra per l'Università e la Ricerca Valeria Fedeli, e firmata dal gotha della fisica fondamentale mondiale, denuncia come l'Italia stia tagliando fuori dall'università proprio i leader dei progetti internazionali di frontiera per la rilevazione di onde gravitazionali. Le regole fissate dall'Agenzia per la Valutazione dell'Università e della Ricerca (Anvur) per accedere al ruolo di professore universitario — le cosiddette mediane — non consentono ai ricercatori diretti da Stefano Vitale, fisico dell'Università di Trento, a capo dell'esperimento Lisa Pathfinder dell'Agenzia Spaziale Europea, di ottenere l'abilitazione necessaria a partecipare ai concorsi. Eppure dopo un ventennio di ricerca, nel 2016 Lisa Pathfinder ha mostrato che è possibile costruire un rilevatore di onde gravitazionali spaziale, milioni di chilometri più lungo ed estremamente più sensibile dei rilevatori terrestri del progetto Ligo-Virgo. Secondo Fernando Ferroni, presidente dell'Istituto Italiano di Fisica Nucleare, "il criterio che utilizza l'Anvur, è senz'altro sbagliato per quanto riguarda il settore della fisica fondamentale". (Fonte: L. Vendemiale, FQ 29-09-17)

RICERCA UNIVERSITARIA, ITALIANI AL TOP MA FUORI DALL'ITALIA
La qualità della nostra ricerca è altissima, come dimostra la gara per aggiudicarsi i 13 miliardi garantiti dall’European Research Council (Erc)  per il periodo 2014-2020. All'Italia costano 900 milioni all'anno, e ne tornano appena 600. Gli "starting grant ” - che offrono ai giovani ricercatori con un’esperienza di 2-7 anni dalla fine del dottorato 1,5 milioni di euro da spendere in 5 anni - sono andati a oltre 400 promettenti studiosi. Gli italiani sono 43, il 10% del totale, ma meno di uno su due lavora ancora nel nostro Paese (19). I fondi di categoria superiore, gli “advanced grant”  messi a bando per «i leader di ricerche consolidate» , vanno invece a 16 ricercatori, di cui 12 ancora in attività nella Penisola. Per nazionalità dei vincitori insomma siamo quasi sempre sul podio in Europa.  L’associazione Scienza in Rete ha calcolato che dal 2007 i cervelli italiani si sono aggiudicati complessivamente 420 bandi, con il picco di 63 nel 2015. . In termini di pubblicazioni per numero di ricercatori e per fondi spesi, la performance è generalmente migliore rispetto a Germania e Francia. (Fonte: Redazione Business People 27-09-2017)

TRE SCIENZIATI AUTOREVOLI GIUDICANO IL METODO VALUTATIVO BIBLIOMETRICO ITALIANO
Sul metodo valutativo bibliometrico ecco i commenti di tre autorevoli biologi, membri dell’Accademia Nazionale delle Scienze USA. Franklin Stahl, professore emerito all’Università di Eugene, Oregon: “In brief, it is a nightmarish system. There is no perfect way of judging, but this is about the worst I have seen.” Mary-Lou Pardue, professore emerito al Massachusetts Institute of Technology: “It seems to me that this system is so artificial that it should appeal only to those who do not know enough about the science to make judgements based on real value”. Daniel L. Hartl, professore emerito all’Harvard University: “Anyone who claims to have developed a methodology for evaluation of research based on a journal’s impact factor or a researcher’s number of citations, supposedly “objective” and “certifiable” criteria, has an invalid concept of how science really works and what impact one’s research actually has on the field”. (Fonte: P. Dimitri, Roars 12-10-17)

MILLIONS OF ARTICLES MIGHT SOON DISAPPEAR FROM RESEARCHGATE, THE WORLD’S LARGEST SCHOLARLY SOCIAL NETWORK
Last week, five publishers said they had formed a coalition that would start ordering ResearchGate to remove research articles from its site because they breach publishers' copyright. A spokesperson for the group said that up to 7 million papers could be affected, and that a first batch of take-down notices, for around 100,000 articles, would be sent out “imminently”.
Meanwhile, coalition members Elsevier and the American Chemical Society have filed a lawsuit to try to prevent copyrighted material appearing on ResearchGate in future. The complaint, which has not been made public, was filed on 6 October in a regional court in Germany. (ResearchGate is based in Berlin). It makes a “symbolic request for damages” but its goal is to change the site’s behaviour, a spokesperson says. (Fonte: R. Van Noorden, 10-10-17)

SIAMO TROPPO SPOSTATI VERSO LA COMPETITION-DRIVEN SCIENCE
Quante volte noi stessi ci siamo chiesti, o ci siamo sentiti chiedere, se sia davvero utile finanziare la ricerca di base? «Mentre mi documentavo, mi sono imbattuto in uno scritto di Abraham Flexner, un educatore statunitense che nel 1939 si era posto, appunto, questa domanda. E aveva risposto nella maniera classica, ovvero: la scienza di base è sicuramente utile perché, fra cento anni, troveremo delle applicazioni di quello che stiamo studiando oggi. Per esempio: senza le equazioni di Maxwell non avremmo avuto la radio. Fin qui possiamo essere d’accordo, ma problema è porsi la domanda al presente, vale a dire: qual è, oggi, la scienza veramente utile? Dunque ho provato a capire quali siano i driver, le forze propulsive della scienza». E quali sono? «Quella classica è la curiosità, l’ambizione di conoscere. Ma ultimamente è emerso in modo deciso un altro driver: la competizione. Mi sono così messo a studiare i pro e i contro di entrambe queste forze propulsive, a vedere cosa producono e cosa non producono. La mia conclusione è che oggi, probabilmente, siamo troppo spostati verso la competition-driven science, e dovremmo cercare di tornare verso la ambition-driven science». (Fonte: F. Fiore, media.inaf.it 10-10-17)

ESPERIMENTO CUORE (CRYOGENIC UNDERGROUND OBSERVATORY FOR RARE EVENTS) PER INDIVIDUARE SPERIMENTALMENTE (SEMPRE CHE ESISTA) IL COSIDDETTO NEUTRINO DI MAJORANA
Si è appena acceso, sotto 1.400 metri di roccia, nei Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, uno dei frigoriferi più potenti mai concepiti e sviluppati dall’essere umano. È in grado di raggiungere temperature molto vicine allo zero assoluto (-273 °C) e fa parte dell’esperimento Cuore, acronimo di Cryogenic Underground Observatory for Rare Events): una collaborazione scientifica internazionale cui partecipano oltre 150 ricercatori provenienti da Italia, Cina, Francia, Spagna e Stati Uniti che ha come obiettivo primario quello di individuare sperimentalmente (sempre che esista) il cosiddetto neutrino di Majorana, una particella teorizzata, ça va sans dire, da Ettore Majorana negli anni ’30 e che finora è sfuggita a tutti i tentativi di osservazione. (Fonte: Wired 24-10-17)


SISTEMA UNIVERSITARIO

COM’È NATA L’UNIVERSITÀ PUBBLICA E STATALE. LA STORIA PRESTIGIOSA DELLA PRIMA UNIVERSITÀ DEL MONDO OCCIDENTALE: LO STUDIUM BONONIENSIS
Era il Medioevo, poco dopo l’anno Mille, quando a Bologna nacque lo Studium, di fatto la prima Università del Mondo occidentale. Per la precisione essa ebbe origine nel 1088 a seguito dell’incontro di insigni studiosi di diritto (glossatori) che furono chiamati (senza concorso) a commentare gli antichi Codici del Diritto Romano. Di Diritto Tributario invece non volevano nemmeno sentir parlare. L’Università di Bologna fu istituita come Libera e Laica organizzazione fra Studenti, che sceglievano e finanziavano in prima persona i docenti attraverso un sistema di raccolta delle donazioni, di fatto il primo modello di crowdfunding. Pare che qualcuno avesse proposto di selezionare i professori con le soglie del B-index, un complicatissimo algoritmo per il calcolo delle citazioni delle pubblicazioni. Fu condannato all’esilio perpetuo a Roma dalle parti di Viale Trastevere. Gli studenti erano legati tra loro da un giuramento di appartenenza e sceglievano liberamente i loro Rettori. Ogni associazione (nationes) forniva ai propri membri varie forme di protezione e privilegi ed era incaricata del reclutamento dei docenti in piena Libertà e Autonomia.
Qualcuno oggi la chiamerebbe Casta baronale. A partire dalla fine del XV secolo lo Stato (cioè il Comune di Bologna) provvedeva uno stipendio per i docenti che entravano così a far parte dei Collegi dei Dottori relativi alla propria disciplina. Nasceva così l’Università pubblica e statale.
Anche allora c’erano evidentemente i settori scientifico-disciplinari, ma non in numero spropositato come oggi (367), bensì solo undici: diritto, logica, astronomia, medicina, filosofia, aritmetica, retorica, grammatica, teologia, greco e ebraico per l’internazionalizzazione. Nel 1158 l’Imperatore Federico Barbarossa promulgò la Constitutio Habita con cui l’Università venne tutelata come luogo di ricerca e di studio, indipendente e autonomo da ogni altro potere. Pare che all’art.33 della Costitutio ci fosse scritto “L’Arte e la Scienza sono Libere e Libero ne è l’insegnamento”, ma era in Tedesco e nessuno più lo capì in seguito. Forse risale proprio ai tempi del Sacro Romano Impero l’origine del termine Barone, che in antico germanico significa “guerriero” o “uomo libero”, mentre in tempi più recenti ha assunto ben altre accezioni. Nel XVI secolo vennero istituiti i primi insegnamenti di “Magia Naturale” – ovvero ciò che conosciamo oggi come ANVUR – ma solo a fini scientifici perché nessuno si sognava di applicare tale controversa disciplina al reclutamento dei professori. Nello stesso periodo l’Università divenne un centro di Eccellenza per l’Algebra, perché nel frattempo Gerolamo Cardano aveva scoperto la formula matematica per il calcolo dell’Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale (ISPD), anticipando di secoli l’ANVUR e persino Gauss. Nel XVIII secolo il Papa Benedetto XIV elargì all’Università di Bologna molti doni di materiale scientifico e incoraggiò l’Arte e la Scienza in vari modi. (Fonte: N. Casagli, Roars 06-10-17)

RAPPORTO NUMERICO TRA DOCENTI E PERSONALE TECNICO-AMMINISTRATIVO NELLE UNIVERSITÀ STATALI
Un’interessante tabella, curata dalla FLC di Perugia, sul rapporto negli Atenei Statali tra personale docente e personale tecnico amministrativo, utilizza dati pubblicati dal Ministero dell’Economia e riferiti al 31 dicembre 2015. La tabella prende in considerazione il solo personale a tempo indeterminato. Sono pertanto non compresi, ad esempio, i ricercatori di tipo a) e b) e il personale tecnico amministrativo a tempo determinato. Rapporto non docenti/docenti: superiore a 1 in 36 atenei, inferiore a 1 in 33 atenei. Vedi tabella https://tinyurl.com/y9y55ldp (Fonte: Flc Cgil 19-09-17)

UNA RIFORMA UNIVERSITARIA CON L’OBIETTIVO DI CONCILIARE UNA GESTIONE PRIVATISTICA CON LA NATURA PUBBLICA DELL’ISTRUZIONE
Sul Menabò di etica ed economia Marco Valente discute la proposta di Luigi Marattin sull’uscita dell’Università dalla Pubblica Amministrazione elaborata con l’obiettivo di conciliare una gestione privatistica con la natura pubblica dell’istruzione. Valente contesta il fondamento teorico della proposta, sostenendo, in particolare, che l’ipotesi di superiorità del mercato nel caso dei servizi offerti dalle università non è giustificata dalla teoria. Inoltre, egli avanza proposte alternative che considera più pragmatiche e in grado di assicurare gli stessi obiettivi. E conclude: l’università ha bisogno urgente di interventi, ma non di grandi cambiamenti ispirati a visioni ideologiche non supportate né dall’esperienza né dalla logica, e destinati a ridurre all’irrilevanza la gran parte gli atenei pubblici. Serve invece che il sistema universitario, componente insostituibile del progresso economico e sociale di un paese, riceva l’attenzione politica e le risorse finanziarie di cui necessita. (Fonte: M. Valente, Menabò di etica ed economia 14-03-17, Roars 05-09-17)

UNA TRACIMANTE E ORMAI IRREFRENABILE “DERIVA INDICATORIA” HA PRESO POSSESSO DELL’UNIVERSITÀ
Nel volgere di pochi anni le Università sono state travolte dalla logica degli indicatori;
il concetto di indicatore ha a che fare con la misurazione di qualcosa. Ma non bisogna dimenticare che non tutto può essere ricondotto a fenomeni che possono essere misurati. In più esistono fenomeni che non solo non sono misurabili, ma non sono nemmeno osservabili, cionondimeno, appunto, esistono e svolgono ruoli fondamentali; gli indicatori sembrano avvolti da un alone di «oggettività». Ma non c’è bisogno di scomodare l’epistemologia del ‘900 per ricordare che non esiste fenomeno osservato senza un osservatore e non esiste una misurazione sulla quale non influisca il soggetto che misura ovvero il punto di osservazione; la scelta degli indicatori non è mai neutra. I risultati cambiano sensibilmente sulla base dell’indicatore scelto. La classifica delle Università italiane stilata dal Sole 24 ore ha una peculiarità: può essere “personalizzata”. Collegandosi al sito ciascuno può “dosare” i diversi indicatori (ottenendo, di volta in volta, una classifica diversa); la scelta degli indicatori retroagisce sui comportamenti. Se si ricevono risorse maggiori quando gli studenti completano il corso di studio nei tempi previsti, può scattare qualche comportamento opportunistico. Se si considerano più importanti le pubblicazioni su riviste rispetto alle monografie si può arrivare a governare gli stili di riflessione di una intera branca del sapere; gli indicatori appartengono alla logica della misurazione quantitativa. Ma l’Università non produce unità di prodotto, ma qualcosa di molto più impalpabile e anche di molto più importante. Questa logica sta snaturando l’Università; la rincorsa al rispetto degli indicatori sta minando la stessa possibilità di produrre pensiero critico e innovativo: l’indicatore è lo standard, mentre l’innovazione è ciò che, per definizione, è fuori dallo standard; l’Università deve perseguire l’innovazione. Invece si assiste a un morbido adattamento a queste nuove logiche. (Fonte: G. Pascuzzi, Roars 26-09-17)

LA RIFLESSIONE PUBBLICA NON PUÒ LIMITARSI ALL'ENNESIMA GEREMIADE SULL'ENNESIMO SCANDALO
Occorre innanzitutto chiedersi come mai le presunte panacee di questi ultimi otto anni non abbiano funzionato, dalla riforma Gelmini (approvata nel 2010 a colpi di fiducia), riforma che avrebbe dovuto scardinare il potere dei "baroni" e che invece ha verticalizzato il potere nelle università, agli algoritmi e alle "misure oggettive" dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), che avrebbero - secondo le promesse - dovuto creare un paradiso di meritocrazia in terra e che, invece, a quanto pare hanno solo modificato le modalità della corruzione, non la sostanza. E' evidente che un intero approccio, basato sull'accentramento del potere e su una montagna di regole e formalismi, ha mancato il bersaglio e andrebbe ripensato da zero. Perché non si discute del sistema universitario nello stesso modo in cui si ragiona, per esempio, di sistema sanitario nazionale, di Forze Armate o di Forze dell'Ordine, ovvero, valutando il sistema nel suo complesso? Solo così è possibile dare un contesto a qualsiasi fenomeno, inclusi quelli di malcostume o di illeciti. E quando volessimo ragionare di prestazioni, il sistema universitario italiano come si confronta coi sistemi francese, inglese, tedesco, ecc.? Se lo facessimo, scopriremmo che l'Università italiana si colloca solidamente e sistematicamente tra le prime dieci al mondo per la ricerca; e se normalizzassimo questo risultato per le risorse investite (l'Italia è il penultimo paese OCSE per finanziamento pubblico all'Università), sarebbe addirittura la prima al mondo. (Fonte: J. C. De Martin, La Repubblica 27-09-17)

ATENEI COMPETITIVI CHE ATTRAGGANO STUDENTI IN GRADO DI PAGARE RETTE ADEGUATE
La mancanza di concorrenza tra istituti universitari, fa si che i professori (e soprattutto i rettori) possano dimenticarsi della necessità di avere un ateneo competitivo che attragga studenti in grado di pagare rette adeguate e imprese desiderose di finanziare ricerche (consentendo così più borse di studio per i giovani meritevoli ma senza mezzi). Diventa naturale farsi influenzare dalla fedeltà quando la minor competenza (intesa sia come produzione scientifica sia come capacità di formare) non ha molta importanza. Oxford e Cambridge, forti dei loro 8 secoli di storia ma in grado di attrarre finanziamenti, donatori e studenti, e di premiare i propri docenti, sono quest’anno numeri 1 e 2 della classifica mondiale stilata dal Times. Senza ANAC. (Fonte. A. De Nicola, La Repubblica 01-10-17)

DA UNA LETTERA ALLA MINISTRA FEDELI IN DIFESA DELL’UNIVERSITÀ PUBBLICA
Le rilevazioni statistiche indicano le Università italiane come molto produttive dal punto di vista della quantità e qualità delle pubblicazioni scientifiche, un’alta soddisfazione degli studenti e buone prospettive di lavoro ottenute grazie al titolo di studio ottenuto. Purtroppo però considerando invece i dati che dipendono in modo diretto dalle politiche e dagli investimenti dei governi siamo ultimi o nelle ultime posizioni a livello europeo: abbiamo un basso numero di ricercatori in proporzione al PIL e alla numerosità della popolazione, un basso numero di laureati, uno dei peggiori rapporti numerici docenti/studenti in Europa, un investimento in Università e ricerca in proporzione al PIL molto limitato, stipendi inferiori soprattutto in entrata a quelli riconosciuti in Europa per le medesime attività, un precariato che si protrae per troppi anni, una copertura eccessiva attraverso figure precarie delle attività di ricerca, didattiche e tecnico amministrative, tasse universitarie alte e investimenti per il diritto allo studio troppo limitati ... Le chiediamo di intervenire per quanto di sua competenza presso il Consiglio dei Ministri per ottenere una maggiore attenzione e adeguati finanziamenti per il sistema universitario del nostro paese, prima che gli effetti delle politiche di disinvestimento dell’ultimo decennio portino l’Università oltre il ciglio del baratro su cui si trova. (Fonte: Lettera aperta alla Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 03-10-15)

TRE MOSSE PER RIFORMARE L’UNIVERSITÀ SECONDO “RICERCA PRECARIA”
La prima mossa infatti è a costo zero: vincolare almeno la metà dei punti organico – le risorse che ogni anno il ministero distribuisce agli atenei e che permettono di investire in personale – per l’assunzione di nuovi ricercatori. La seconda mossa non solo è a costo zero, ma garantisce una riduzione di spesa e una semplificazione burocratica. Si tratta di costruire un percorso unico di accesso alla carriera universitaria, con un primo contratto da ricercatore a tempo determinato di tipo A di tre anni, ottenuto dopo la partecipazione a un concorso di selezione pubblica (come accade attualmente), a cui far seguire un secondo triennio da ricercatore di tipo B, garantendo sin da subito una programmazione finanziaria adeguata. Successivamente, dopo il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale e un’ulteriore valutazione potrà avvenire l’entrata in ruolo come professore associato. Infine, la terza mossa, che un costo ce l’ha – 250 milioni di euro, il 3,5% del finanziamento ordinario annuale – ma che davvero potrebbe cambiare il profilo dell’università italiana: un piano serio di reclutamento per 5.000 nuovi ricercatori, che compensi parzialmente il calo di personale degli ultimi dieci anni dando una risposta al precariato accademico. (Fonte: FQ 11-10-17)

PARERE DELL’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO IN MATERIA DI PATROCINIO DELLE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
“.... questa Avvocatura, come del resto ha già avuto modo di evidenziare in altra occasione, è dell’avviso che il nuovo assetto delle Istituzioni Universitarie derivato dall’entrata in vigore della L. 168/1989 in realtà non ha prodotto alcuna modifica della previgente disciplina normativa concernente specificamente il patrocinio legale delle Università desumibile dall’art. 56 del T.U. 1592/1933. Quest’ultima norma, ancor prima dell’entrata in vigore del T.U. 1611/1933 in tema di rappresentanza e difesa dell’amministrazione nei giudizi, sul presupposto che le Università, pur avendo propria personalità giuridica e autonomia amministrativa (cfr. art. 1 comma terzo del T.U. 1592/1933) erano senza dubbio amministrazioni statali imponeva alle medesime di farsi rappresentare e difendere dall’Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi sempreché non si trattasse di contestazioni contro lo Stato. E' da escludere che l’entrata in vigore della legge 168/89 abbia potuto comportare l’abrogazione del surricordato art. 56 del T.U. 1592/1933 e fatto venir meno il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore degli Atenei”. Infatti manca nella suddetta legge qualsiasi disposizione con cui si è inteso procedere alla abrogazione della previgente normativa.


STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO

IL NUMERO CHIUSO ALL'UNIVERSITÀ È DEL TUTTO LEGITTIMO E NON IN CONTRASTO CON I PRINCIPI DELLA CONVENZIONE EUROPEA
La questione centrale del numero chiuso o programmato resta quella di sempre, ovvero se l'introduzione di un numero limitato di iscrizioni sia legittimo oppure in contrasto con il diritto allo studio garantito dalla nostra Carta costituzionale oltre che dalla normativa comunitaria. Inutile ricordare che in merito a tale problematica vi sono state numerose sentenze del Consiglio di Stato a partire dal 2008, della Corte costituzionale e finanche della Corte europea dei diritti dell'uomo che, seppure con diversi approcci motivazionali, hanno stabilito che il numero chiuso all'università è del tutto legittimo e non in contrasto con i principi della Convenzione europea. Vi è ormai una diffusa consapevolezza che l'istruzione, nonostante la sua indiscussa importanza, non essendo un diritto assoluto può soggiacere a talune limitazioni rappresentate, per l'appunto, da una sua regolamentazione in linea con le prescrizioni della Carta fondamentale. Una più compiuta tutela del diritto allo studio, diversamente da quanto si vorrebbe far credere, non passa attraverso l'abrogazione del numero chiuso bensì garantendo una effettiva e altamente qualificata formazione universitaria, soprattutto a favore dei numerosi ragazzi che nonostante il loro desiderio e capacità, risultano penalizzati in quanto economicamente impossibilitati a perseguirlo. (Fonte: G. Villanacci, CorSera 01-10-17)

GLI EFFETTI DELLO STOP DEL TAR AL NUMERO CHIUSO NEI CORSI DI LAUREA UMANISTICI DELLA STATALE DI MILANO
Alla Statale di Milano è boom di immatricolazioni nelle facoltà umanistiche, in particolare Lettere, Beni culturali e Lingue. Il numero degli studenti è iniziato a crescere all’indomani dello stop del Tar al numero chiuso. L’eccesso si registra nelle facoltà di Lettere (a iscrizioni ancora aperte  gli iscritti sarebbero già 615, più dei posti messi a bando, 580), Beni Culturali (673 iscritti a fronte di un tetto previsto di 530) e Lingue (già 868 matricole, con il limite che era fissato a 650). Il numero chiuso adottato dall’università meneghina aveva ricevuto l’ammonimento da parte del Tar del Lazio che indicava in un investimento statale maggiore, e non in meno università, la soluzione. Per i soldi promessi dal Ministero bisognerà aspettare la finanziaria di fine ottobre e le lezioni sono iniziate.
“Gli studenti fanno lezione seduti sui gradini, il numero di immatricolazioni è già troppo alto e crescerà ancora, i corsi di Lettere e Beni Culturali sono a rischio chiusura, così come quello di Lingue – commenta al Corriere della Sera il rettore Gianluca Vago – Come avevamo previsto. Il test d’ingresso era e resta necessario”. (Fonte: corriereuniv.it 09-10-17)

GLI STUDENTI ITALIANI CHE HANNO GIÀ FALLITO IL TEST DI MEDICINA SI RIVOLGONO ALLE PRINCIPALI UNIVERSITÀ DI BULGARIA ED ALBANIA
Gli studenti italiani che hanno già fallito il test di medicina si rivolgono, da qualche anno, alle principali università di Bulgaria ed Albania, dove è comunque presente la prova d’ingresso ma più abbordabile, a detta degli stessi. Per la maggior parte dei partecipanti, si tratta di un ulteriore tentativo per non perdere un anno; inoltre, data la crescente diffusione del “fenomeno”, aumentano anche i gruppi organizzati di studenti con partenza dalle grandi città italiane, spesso capeggiati da un tutor. Unico ostacolo, in questo caso, sarebbe rappresentato dalle rette universitarie: a Tirana, la cattolica “Nostra Signora del buon consiglio” è tra le mete più gettonate, pur presentando tasse annuali che si aggirano sugli 8.000 euro; la cifra non è per niente irrisoria ma tra i vantaggi vi è anche una convenzione con l’Università di Roma – Tor Vergata, che consente ai docenti di quest’ultima di insegnare presso l’ateneo albanese. I numeri evidenziano una crescita importante di questa autentica “migrazione” studentesca: si è passati dai 100 studenti del 2015 ai 500 del 2016 relativamente al numero dei concorrenti per il test di medicina. Il percorso accademico, comunque, è pur sempre difficile, senza escludere la possibilità di perdere l’anno in caso di scarso rendimento. Anche per questo, sono più di un centinaio all’anno gli studenti italiani che chiedono poi il trasferimento in Italia. Per la Bulgaria, tra i nomi più gettonati dagli studenti italiani, figura la “Medical University of Sofia”, dove la retta si aggira sempre sugli 8.000 euro annuali; per la selezione, è sufficiente una buona preparazione liceale. (Fonte: L. Simbolo, FQ 16-07-17)

DAL 2002 A OGGI IL N.RO DEI FUORI CORSO È PASSATO DAL 67% AL 36%, MIGLIORAMENTO PERÒ SOLAMENTE PER ALCUNI CDS COME MEDICINA 16%, PROFESSIONI SANITARIE 20%
Sebbene i dati mostrino come negli ultimi quindici anni gli universitari italiani abbiano fatto registrare percorsi di laurea sempre più brevi, tuttavia un numero non irrilevante di giovani fatica ancora, e non poco, a conseguire il titolo di studio nei tempi sperati. Dal 2002 a oggi, infatti, il numero dei fuori corso negli atenei italiani è passato dal 67% al 36%, un dato senza dubbio incoraggiante, se non fosse che questo miglioramento riguarda solamente alcuni corsi di studio, lasciando scoperti molti altri. Se tra le facoltà “virtuose” spiccano Medicina, con un tasso di ritardatari di appena il 16% (solo qualche mese in più rispetto alla durata legale), Professioni sanitarie (con il 20% di tempo in più), Psicologia ed Educazione Fisica, i corsi di laurea che finiscono per diventare quasi un “parcheggio” per un gran numero di studenti sono Giurisprudenza, Architettura e Lettere. I dottori di area giuridica, in effetti, impiegherebbero circa il 52% del tempo in più rispetto alla durata legale del corso, impiegando, in questo modo, almeno otto anni per discutere la tesi a dispetto dei cinque previsti dall’ordinamento. Non vanno meglio gli studenti di Architettura e di area letteraria, i quali accumulerebbero un ritardo pari al 45%, impiegando circa sette anni per il conseguimento della laurea. Questi, tuttavia, non sono gli unici dipartimenti affetti dall’annoso tarlo dei fuori corso, considerato che anche gli studenti di Ingegneria e Scienze Matematiche impiegherebbero almeno un paio d’anni in più del previsto per laurearsi. (Fonte: D. Guglielmino, http://catania.liveuniversity.it 11-10-17)

Tabella. Laureati 2016. Indice di ritardo alla laurea per gruppo disciplinare (valori medi).


LE MIGRAZIONI SUD – CENTRO NORD.
I flussi da Sud a Nord non sono certo una novità nella storia patria ma i numeri che circolano giustificano un allarme che sarà ribadito nei prossimi giorni dal Rapporto annuale della Svimez. Se infatti già negli anni che corrono dal 2002 al 2015 il saldo migratorio netto di laureati segnava -198 mila, la tendenza si va rafforzando e coinvolge adesso anche i diplomati delle scuole medie superiori che vanno ad immatricolarsi negli atenei del Centro Nord.
Viesti polemizza: «Non discuto il valore di quelle università (del Centro Nord) ma spesso il loro prestigio è costruito anche attraverso buone campagne sui mezzi di comunicazione e robusti investimenti di marketing». A determinare il tutto, secondo l’economista barese, concorrono più fattori: l’ampiezza dell’offerta formativa, la maggiore qualità percepita di alcune università del Nord ma soprattutto i canali che esse offrono per incontrare la domanda di lavoro dei laureati. «Negli ultimi anni c’è stato uno spostamento degli studenti più verso Milano e Torino a danno del Lazio e della Toscana. Da cosa è dipeso? Da uno scadimento delle università del Centro o dal fatto che gli sbocchi di lavoro sono più forti al Nord? La risposta è facile». E un’ulteriore dimostrazione secondo Viesti la si rintraccia esaminando i dati dei laureati del triennio. Nel 2008-2014 l’11% dei meridionali e il 15% degli universitari delle Isole aveva scelto di prendere la successiva laurea magistrale al Nord, ora questi numeri sono saliti (e quasi raddoppiati) al 19 e al 29%. La tesi finale è semplice: non è tanto la variazione della qualità dell’insegnamento a spostare i numeri ma l’aumento delle differenze nel mercato del lavoro. (Fonte: D. Di Vico, CorSera 30-10-17)


VARIE

PAPA FRANCESCO E L’UNIVERSITÀ, DOVE COGLIE UN POTENZIALE INEDITO PER LA DECLINAZIONE DI UN UMANESIMO CONTEMPORANEO.
All’università, soprattutto quella italiana, che ha fatto del laicismo un suo cavallo di battaglia, il papa si rivolge come ad amici; amici cari a lui, e alla Chiesa che rappresenta, perché nell’università Francesco coglie un potenziale inedito per la declinazione di un umanesimo contemporaneo, rivendicando per le generazioni più giovani un «diritto alla speranza». Che è poi il diritto a legami duraturi che non si consumano e non possono essere commercializzati. Di qui l’invito a uscire, resistendovi, da ogni logica mercantile del sapere. Il sapere non commerciabile, che non si genera come servitù dell’idolo del denaro, è «custodia della cultura».
«Perché il sapere che si mette a servizio del miglior offerente, che giunge ad alimentare divisioni e a giustificare sopraffazioni, non è cultura. Cultura – lo dice la parola – è ciò che coltiva, che fa crescere l’umano». In questo camminare tra i secoli, congiungendo origini e presente, Francesco ha sottolineato in maniera particolare la figura del diritto: «L’Università è sorta qui per lo studio del diritto, per la ricerca di ciò che difende le persone, regola la vita comune e tutela dalle logiche del più forte, dalla violenza e dall’arbitrio. È una sfida attuale: affermare i diritti delle persone e dei popoli, dei più deboli, di chi è scartato, e del creato, nostra casa comune».
In questo breve discorso alla comunità universitaria bolognese non si fa fatica a ritrovare tutti i temi maggiori che stanno a cuore a Francesco fin dall’inizio del suo ministero petrino. Temi che si radicano nella fede e nell’esperienza cristiana, sui quali però nessuno ha l’esclusiva – nemmeno la Chiesa. Francesco è in cerca di amici per stringere alleanze cordiali a custodia creativa dell’umanesimo europeo. (Fonte: M. Neri, Il Mulino 12-10-17)

MIUR E ANVUR NON EFFETTUANO ATTIVITÀ DI VALIDAZIONE SUI DATI BIBLIOGRAFICI
Della qualità dei dati bibliografici su cui MIUR e ANVUR applicano i loro algoritmi possiamo dirci soddisfatti? I dati bibliografici dovrebbero essere validati, cioè ne dovrebbe essere controllata la qualità. Invece gli atenei alimentano il sito LoginMIUR senza grandi attività di validazione, e senza standard di riferimento in merito alla loro completezza. MIUR e ANVUR a loro volta non effettuano attività di validazione su questi dati. Le soglie per la ASN, le cravatte bibliometriche della VQR, il FFARB e chissà cosa altro sono calcolati su dati non certificati né localmente né centralmente. Adesso molti atenei hanno acquistato, su sollecitazione CRUI e a caro prezzo, il software per la riproduzione degli algoritmi anvuriani prodotto dalla università della Basilicata. Quel software promette di automatizzare tutto, anche ciò che ANVUR non aveva pensato di automatizzare. Ci hanno riferito che la CRUI ha sollecitato gli atenei che hanno aderito alla iniziativa a “bonificare” i propri dati perché nei dati degli atenei sono presenti molte anomalie “tali da poter influenzare negativamente le valutazioni”. E anche ANVUR chiede ai ricercatori di segnalare eventuali duplicazioni. (Fonte: Red.ne Roars 21-09-17)

LA CORRUZIONE NEGLI ATENEI CON L’ALIBI DELLA FUGA ALL’ESTERO DEI NOSTRI RAGAZZI NON C'ENTRA ASSOLUTAMENTE NULLA
Un paese che lascia alla magistratura anche la valutazione delle scelte che riguardano una parte considerevole della sua classe dirigente (alla quale appartengono i docenti universitari) è oggettivamente entrato in una spirale di non ritorno. Soprattutto se la decisione di valutare il merito attraverso l’anticorruzione diventa l’ennesimo presidio di legalità morale che giustifica un fatto che in altre parti del mondo fa parte della vita reale: la scelta dei nostri figli di studiare o lavorare all’estero. La corruzione negli Atenei con l’alibi tutto italiano della fuga all’estero dei nostri ragazzi non c'entra assolutamente nulla. Continuare ad alimentare questo pericoloso mainstream giustifica un dato che non ha eguali nel mondo occidentale: in Italia 2,3 milioni di ragazzi non vanno a scuola e non lavorano. E non è colpa né della crisi economica né dei baroni. L'Italia, che è al 43esimo posto nel mondo per indice di attrattività, ha perso appeal negli anni a causa anche a causa di una deriva antindustriale (la fabbrica è sporca e cattiva), che dagli inizi degli anni Settanta ha smantellato prima a livello ideologico e poi materialmente i luoghi che consentivano alle Università di fare ricerca e produrre innovazione (Giulio Natta per esempio vince il Nobel studiando a Milano, non nella Silicon Valley). Se a questo aggiungiamo la parcellizzazione degli Atenei in ogni angolo del Paese, perché accanto a un ospedale era bene che le città italiane avessero anche una Università per produrre laureati di cui il mercato ormai non sa più che farsene, abbiamo la quadratura del cerchio. (Fonte: S. Canciotta, Il Foglio 27-09-17)

AGENZIE (ANVUR, ANAC) CHE DOVEVANO AVERE UN RUOLO PURAMENTE STRUMENTALE SI SONO ESPANSE SU TERRENI IMPROPRI
La valutazione con metodi bibliometrici sta diventando sempre più dannosa e le contraddizioni insite nella debolezza scientifica di questa pratica esplodono sempre di più. Una pretesa neutralità vorrebbe superare (ovviamente senza minimamente riuscirci) tutti gli elementi non aggirabili di discrezionalità e soggettività insiti nella valutazione. In realtà il problema dell’ANVUR è la totale mancanza di un mandato politico che ne delimiti i compiti. Le metodologie finiscono per definire implicitamente un mandato politico che chiaramente esonda dai compiti attribuibili ad una agenzia. La stessa cosa accade con ANAC dove un intero capitolo dell’ultima relazione, non si limita ad evidenziare alcune problematiche, ma riscrive una riforma di sistema (di natura molto centralistica) che ovviamente è compito del parlamento e non del dr. Cantone. La debolezza (nel senso di assenza di pensiero politico) delle attuali forze rappresentate in parlamento, il loro sostanziale abbandono di una elaborazione strategica ha finito per consentire ad agenzie che dovevano avere un ruolo puramente strumentale di espandersi su terreni impropri. Ovviamente questo comporta da un lato il pericolo di una potenziale penetrazione di lobbies trasversali, ma anche, nei casi migliori, una politica generata da una visione illuministica di singoli, assolutamente impropria poiché non sono definiti e definibili gli elementi di legittimazione. (Fonte: p. marcati, commento ad articolo di A. Baccini, Roars 05-10-17)

LA CERTIFICAZIONE SULLA CONOSCENZA DELLA LINGUA LATINA (CLL) SI STA DIFFONDENDO NEGLI ATENEI ITALIANI E ANCHE STRANIERI
«Si piglia gioco di me, che vuol ch'io faccia del suo latinorum?» sbottava contro don Abbondio il manzoniano Renzo, primo nemico ufficiale della cosiddetta lingua morta. Eppure quella stessa lingua, eterna dannazione di liceali immersi tra le pagine del dizionario Castiglioni e Mariotti perduti nella consecutio di Tacito, riemerge dalle ceneri come l'Araba Fenice rischiando di diventare materia di colloqui di assunzione. Assunzione, beninteso, non presso civiche biblioteche o musei archeologici ma aziende multinazionali o società di consulenza. Il paladino più convinto dell'equiparazione del latino alle lingue moderne, al punto da averne ottenuto la certificazione al pari degli esami First, Esol, Ielts e Toefi o Goethe, è il professor Guido Milanese, docente della Facoltà di Scienze Linguistiche all'Università Cattolica di Milano. sMilanese sta già raccogliendo i frutti di una battaglia che solo in Lombardia ha portato oltre mille studenti all'iscrizione per l'ottenimento del CLL, acronimo che sta per Certificato di competenza della Lingua Latina. «Il latino che interessa a noi contemporanei è la lingua radicata dall'Impero romano in tutta Europa e che ha mantenuto la sua contemporaneità - soprattutto negli studi filosofici - fino ai tempi di Giambattista Vico. Sotto il profilo culturale si tratta dell'unica vera radice comune d'Europa». Il latino non vuole morire: ora fa più bello il curriculum. L'idioma dei romani conquista gli atenei d'Europa. Adesso è certificato. E conquista le aziende americane. (Fonte: M. Marzo, Il Giornale 11-10-17)

UNA MANINA MISTERIOSA È INTERVENUTA PER CAMBIARE LA VOCE "ELENA CATTANEO" DI WIKIPEDIA
Una manina misteriosa è intervenuta per cambiare la voce "Elena Cattaneo" di Wikipedia, la libera enciclopedia web a cui tutti possono dare il loro contributo. L'operazione è quella che in gergo si chiama cherry picking, piccoli interventi qua e là nel testo, ma con il chiaro intento di mettere in cattiva luce il personaggio descritto dal lemma, cioè la docente e ricercatrice Elena Cattaneo, una delle scienziate italiane più note all'estero, che proprio per i suoi meriti scientifici è stata nominata senatore a vita. Gli interventi della manina misteriosa disseminano nel testo, che racconta la prestigiosa carriera della scienziata italiana, piccole segnalazioni fastidiose, scritte in modo da apparire negative. Sono nove brevi interventi, per un totale di 1.840 caratteri. Ma di chi era, la manina maliziosa? La struttura partecipata di Wikipedia permette di risalire a tutti coloro che intervengono nel testo. Ed ecco allora subito scoperta una misteriosa "Rosetta95", entrata il 1° dicembre 2016 in Wikipedia per fare nove interventi e aggiunte pari a 1.840 caratteri. Chi è "Rosetta95"? Una ulteriore ricerca l'ha svelata: è una dottoressa che lavora presso Iit nell'ufficio comunicazione e rapporti con i media. È intervenuta - miracoli della tracciabilità di Wikipedia - tra le 15 e le 16 di giovedì 1° dicembre, dunque in orario di lavoro. In violazione delle regole di trasparenza per contribuire all'enciclopedia web, che impongono, in casi come questo, una dichiarazione di conflitto d'interessi, perché "Rosetta95" ha scritto di Iit essendo una dipendente di Iit. (Fonte: G. Barbace, Il Fatto Quotidiano 19-10-17)

IL BLOG NON PUÒ ESSERE CONSIDERATO UNA TESTATA GIORNALISTICA
Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero «diario in rete». Nel Web 2.0 e nel gergo di Internet, un blog è un particolare tipo di sito web in cui i contenuti vengono visualizzati in forma anti-cronologica (dal più recente al più lontano nel tempo). In genere il blog è gestito da uno o più blogger, o blogghista, che pubblicano, più o meno periodicamente, contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post, concetto assimilabile o avvicinabile ad un articolo di giornale (Wikipedia).
La pubblicazione di fatti ed opinioni su di un “blog”, anche se ricorrente nel tempo, risulta legata al più generale principio di libera manifestazione del pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21 primo comma Cost). (TAR del Lazio, sentenza numero 9841/2017). Il blog non può essere considerato una testata giornalistica e quindi non è registrato al tribunale né iscritto al Roc. Per il TAR del Lazio, come si legge nella sentenza sopra citata, si tratta solo di un'agenda in rete, in quanto in esso difettano i requisiti di periodicità e necessarietà delle pubblicazioni. Il blog, insomma, non può essere assimilato a un giornale online, in quanto quest'ultimo è necessariamente curato da professionisti dell'informazione ed è caratterizzato da una periodicità fissa di raccolta, analisi e commento delle notizie. Il blog, invece, non è per forza curato da giornalisti e non necessariamente è aggiornato periodicamente. Pertanto, al blog non si applicano neanche le tutele di cui al terzo comma dell'articolo 21 della Costituzione, in base al quale "si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili". Di conseguenza, si può sequestrare un blog senza alcuna particolare limitazione e ciò anche se esso è curato da un giornalista iscritto all'Ordine. (Fonte: V. Zeppilli, studiocataldi.it 03-10-17)


UNIVERSITÀ IN ITALIA

UNIBA. AL QUARTO POSTO NEL RANKING CWUR PER PSICOLOGIA SPECIALE
Ulteriore, prestigioso riconoscimento per l’Università di Bari. Il Center for World University Rankings (CWUR), istituzione dell’Arabia Saudita, pubblica annualmente una classifica delle Università; nel 2017 per la prima volta è stata predisposta una classifica per i migliori dieci Atenei in diversi campi di ricerca utilizzando degli indicatori bibliometrici desunti dalla banca dati di Clarivate Analytics (in precedenza Thomson-Reuters).
La presenza degli Atenei italiani in queste classifica è limitata, con prevalenza delle Università del mondo anglosassone e dell’Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea del Sud), e nel settore scientifico della Psicologia speciale l’Università di Bari, unico Ateneo italiano in graduatoria in tale ambito scientifico, si colloca al quarto posto nel Mondo a pari merito con la Louisiana State University (USA). (Fonte: italpress.com 04-10-17)

UNIBO. RANKING THE: SUL PODIO ANCHE TRA I SUBJECT
L'Università di Bologna si conferma tra i migliori atenei mondiali e italiani anche nel ranking per subject stilato da Times Higher Education. Se la classifica generale indicava l'Alma Mater come migliore università italiana dopo le scuole superiori di Sant'Anna e Normale di Pisa, anche andando a vedere i piazzamenti nelle macro-aree scientifiche Unibo resta saldamente sul podio.
A livello nazionale, l'Università di Bologna è prima in Italia nel settore delle Social Sciences, al secondo posto per Law e per Arts & Humanities, al terzo posto nel campo Business & Economics.
Il punteggio complessivo dell’Ateneo è passato quest'anno a 50,6, salendo dai 47,6 punti dell'anno passato. E in particolare per la didattica l’Ateneo bolognese si colloca nell’1% degli atenei al mondo, conquistando la posizione 140. (Fonte: Unibomagazine 05-10-17)

UNIBOCCONI. NELLA CLASSIFICA SU BUSINESS ED ECONOMICS DEL RANKING DEL TIMES HIGHER EDUCATION SI COLLOCA AL 9° POSTO IN EUROPA E AL 27° NEL MONDO
Nella classifica relativa all’area disciplinare di Business & Economics del World University Rankings by Subject, pubblicato dal Times Higher Education, una valutazione articolata delle principali attività della Bocconi, dalla didattica alla ricerca alla proiezione internazionale, porta l’ateneo a collocarsi al 9° posto in Europa e al 27° nel mondo. Il ranking ha preso in considerazione 200 università che sono state valutate sulla base di 13 indicatori di performance raggruppati in 5 aree di attività: qualità e prestigio della didattica (incluso un survey sulla reputazione presso accademici di tutto il mondo), volume e reputazione della ricerca (in parte basato anche esso su un survey di accademici), numero di citazioni per valutare l’impatto della ricerca, l’outlook internazionale (in termini di docenti, studenti e ricerca) e il knowledge transfer (la collaborazione con l’industria in termini di ricerca e consulenza). (Fonte: viasarfatti25.unibocconi.it 05-10-17)

UNIBO È NATIONAL COORDINATOR DEL RANKING SULLA SOSTENIBILITÀ
L'accordo è stato firmato a Bologna in occasione del primo workshop nazionale dedicato a GreenMetric, la classifica indonesiana che valuta le politiche green delle università. L'Università di Bologna è National Coordinator di GreenMetric, il ranking indonesiano che valuta l'impegno e le politiche adottate dalle università in tema di rispetto dell'ambiente e sostenibilità. Il nuovo ruolo per l'Alma Mater arriva grazie ad un accordo sottoscritto dal rettore Francesco Ubertini e da Riri Fitri Sari, Chairperson di GreenMetric. Attivo dal 2010, GreenMetric misura l’approccio green di un ateneo a 360 gradi in termini di infrastrutture, spazi verdi, consumi energetici, gestione dei rifiuti e trasporti, senza dimenticare eventi, attività didattiche e di ricerca realizzate su rispetto dell'ambiente e sostenibilità. Nell'ultima edizione di GreenMetric l’Università di Bologna si è classificata al 71° posto a livello mondiale sui 516 atenei partecipanti alla rilevazione, scalando 54 posizioni rispetto all'anno precedente. E a livello italiano, l'Alma Mater è passata dal terzo al secondo posto tra i 17 atenei in classifica. (fonte: magazine.unibo.it 03-10-17)


UE. ESTERO

EU. EUROPE SHOULD HAVE "AT LEAST 20 "EUROPEAN UNIVERSITIES"
By 2024, the French president said, Europe should have "at least 20" of what he called "European universities", offering students the chance to "study abroad and take classes in at least two different languages". These European universities will help to "create a sense of belonging" that will be the "strongest cement for Europe", a later press release argued. The details may not be quite as grand as the rhetoric. These universities would not be new, a spokeswoman for the president clarified. They would be a "network of existing universities, but they will have to introduce important changes to work better together", and allow students a "change of country and university each year, within the network, with a common curriculum", she said. (Fonte: timeshighereducation.com 15-10-17)

FRANCE. BIOMEDICAL-RESEARCH AGENCY ACCUSED OF ATTEMPTING TO UNDERMINE AUTONOMY OF UNIVERSITY–HOSPITAL GROUPS.
Scientists were shocked earlier this month when the government unexpectedly postponed a call for applications to create a new crop of medical-research clusters just days before the closing date, and said that it would slash the budget earmarked for the project. Government ministers said that they were delaying the project because they wanted to change the way these autonomous clusters are governed. But scientists contacted by Nature say they suspect that behind the decision is an effort by INSERM, France’s biomedical-research agency, to exert control over the institutes.
The idea of creating the clusters, known as Instituts Hospitalo-Universitaires (IHUs), was introduced in 2009 to boost translational medical research, bringing together universities, teaching hospitals, research agencies and industry. Based on public–private partnerships, they enjoy much autonomy and are mostly free from government and research-agency bureaucracy. The first six IHUs — in Paris, Bordeaux, Marseilles and Strasbourg — were approved in 2010 and received total funding of €850 million (US$1 billion). The clusters have been widely hailed as a successful model, and a second call for applications — open to any group of institutions that wanted to apply — was due to close on 12 October. But in a press release on 2 October, the government announced that the deadline for the call would be postponed to an unspecified date. It also said that only two new IHUs would be funded, instead of the three initially planned, and that the total budget would be halved to €100 million. Nineteen applications had been made.
In letters sent to the government last week, and to President Emmanuel Macron on 23 October, 14 applicants said they were “appalled” or “bewildered” by the sudden and drastic changes to the funding and to the terms of the selection process. (Fonte: B. Casassus, Nature|News Sharing 24-10-17)

GERMANY. ENTRY LIMITS IN MEDICINE NOW A CONSTITUTIONAL ISSUE
A German administrative court has called on the country’s Federal Constitutional Court to decide whether the numerus clausus entry restrictions for medicine at universities are unconstitutional.
Germany’s health system is suffering from a lack of physicians for patient care, especially in rural areas. More doctors are being recruited from abroad. There are various reasons for the insufficient number of physicians available to the health system. While Germany has never had so many medical graduates before, many of them seek to pursue a career in industry, above all in the pharmaceuticals branch, or prefer to engage in research. Growing numbers of women graduates have resulted in an increase in the share of part-time work in the health sector.
Also, doctors are having to cope with an ever-greater administrative work burden. Finally, many graduates look for better pay and better working conditions in other countries. So having more medical graduates does not necessarily benefit the patient.
Whereas places to study are rising slightly each year, they cannot keep pace with the growing number of applicants. More than 43,000 young people competed for a total of just 9,200 places to study medicine at universities this winter semester.
Applications are submitted to the Stiftung für Hochschulzulassung, an agency that cooperates with the Federal Employment Agency and is responsible for the allocation of study places in entry-restricted subjects.
The numerus clausus system is based on the average of marks in the Abitur certificate of higher secondary education, with 20% of study places allocated to those with at least an excellent average mark. A further 20% go to those who applied in the past and have waited long enough. Universities are free to decide to whom they give the remaining 60%.
A ruling by the Federal Constitutional Court would also affect other subjects with entry restrictions, such as pharmacy, dental medicine and veterinary medicine. However, it could take several months for the court to decide on the matter. (Fonte: M. Gardner, universityworldnews.com 06-10-17)

MAGHREB. IL SECONDO HUB ACCADEMICO AFRICANO DOPO QUELLO DEL SUDAFRICA
Nelle nazioni del Maghreb – Algeria, Libia, Marocco e Tunisia – in particolare, il francese e l’arabo rimangono le lingue dominanti. Qui si impernia il secondo hub accademico africano che, seppur con una capacità d’attrazione molto minore rispetto al Sudafrica, ospita circa 18.000 studenti africani stranieri. Grazie a una politica di supporto alla formazione universitaria, il Marocco è divenuto infatti negli ultimi anni una destinazione sempre più appetibile. Secondo i dati del ministero marocchino per l’università, la ricerca e la formazione, gli africani che hanno scelto di studiare in Marocco vengono soprattutto dalla Mauritania, dal Senegal, Costa D’Avorio, Mali, Guinea e Gabon, ma – a sorpresa - anche dal Kenya e dalla Nigeria. Sono cresciuti senza sosta negli anni: erano 1.040 nel 1994, 5.000 nel 2004 e superano i 18.000 oggi. Secondo l’Agenzia di cooperazione internazionale marocchina, ossia l’ente che regola la collaborazione internazionale in tema di formazione e cultura, la crescita delle iscrizioni straniere alle università è il risultato di una politica ad hoc, che ha stretto accordi con diverse nazioni africane con il preciso obiettivo di reclutare studenti fuori dai propri confini. Inoltre, questi accordi prevedono non solo programmi di scambio per studenti ma anche per insegnanti, manager e dirigenti scolastici. Sulla via dell’allineamento all’offerta didattica internazionale sta la partnership fra otto università marocchine, sia pubbliche che private, per il lancio di la piattaforma online gratuita MarMooc presumibilmente in ottobre 2019. (Fonte: C. Mezalira, IlBo 26-09-17)

RUSSIA. WORLD-CLASS UNIVERSITIES PROJECT CHANGES STRATEGY
The Russian Ministry of Education and Science plans to drastically cut the number of participants in the state’s ‘5-100’ programme aimed at developing world-class universities – in order to improve its chances of achieving its objectives, according to recent statements of the Minister of Education and Science Olga Vasilyeva. Vasilyeva is planning to redistribute RUB30 billion (US$524 million) – the remaining sum for the programme – among six domestic universities, instead of the previously planned 21. (Fonte: www.universityworldnews.com 14-10-17)

TURCHIA. AL 30 APRILE 2017 I LICENZIAMENTI ACCADEMICI HANNO RAGGIUNTO IL NUMERO DI 5.295
Nel gennaio 2016, 2.212 accademici che lavoravano o facevano ricerca in Turchia hanno firmato un appello che chiedeva al governo turco di porre fine alla guerra nella regione curda. Questa dichiarazione auspicava una soluzione pacifica della questione curda, esistente da decenni,  che consentisse agli osservatori internazionali di monitorare la situazione nelle città curde e nelle città distrutte dalle forze di sicurezza. Da quel momento, i firmatari, noti come Accademici per la Pace, sono stati sottoposti a vendette ed attacchi  punitivi ordinati dal presidente Recep Tayyip Erdoğan e realizzati congiuntamente dal governo e dalle istituzioni universitarie. Gli Accademici per la Pace sono stati accusati di tradimento per aver invitato il governo turco a porre fine alla violenza contro i propri cittadini. Sotto le direttive del presidente, il governo, i servizi di sicurezza, il Consiglio di istruzione universitaria e i rettori universitari si sono coalizzati per far pagare ‘un prezzo pesante’ agli Accademici per la Pace. La campagna di linciaggio è ancora in corso e, finora, ha  condotto a una serie di inchieste penali e amministrative, a detenzioni, licenziamenti, alla revoca di passaporti e divieti di espatrio, negazione del diritto alla pensione ed esclusione dal mercato del lavoro attraverso la compilazione di una lista nera. In seguito al raffazzonato tentativo di colpo di stato del luglio 2016 e lo stato di emergenza che ne seguì, con il pretesto di individuare  i fedeli del movimento di Fethullah Gülen ex partner del regime AKP (il quale era anch’esso stato  implicato nelle violazioni degli standard e delle libertà accademiche in Turchia), gli attacchi politici all’università e all’intero settore dei servizi pubblici in Turchia hanno raggiunto un livello senza precedenti. Al 30 aprile 2017, i licenziamenti accademici hanno raggiunto il numero sconcertante di 5.295. La campagna di linciaggio contro gli Accademici per la Pace è una grave violazione delle norme internazionali sull’autonomia, sulla libertà accademica e la libera produzione di conoscenza nell’università. (Fonte: Red.ne Roars 01-10-17)

UK. THE ASSESSMENT OF ACADEMIC WORK. THE OPINION OF LINCOLN ALLISON: AN EXERCISE IN FUTILITY
In terms of the good of universities, I remain, root and branch, an opponent of all forms of unnecessary assessment of academic work. This is not a fundamentalist objection. I don’t believe there is anything immoral about research assessment. My objection is, instead, consequentialist, and starts with what seems to me to be an immediate empirical observation that the official assessment of the value of academic work is bound to do far more harm than good (except, perhaps, if a government department wants to spend £50 million on researching the options for energy policy: in that unusually important case, the best experts should compete for the job). The most fundamental objection to research assessment, however, is the sheer waste of human time and effort involved: all the energies of highly intelligent men and women that go into judging and strategising for a zero-sum game that is quite unnecessary. Then there is all the effort of 200,000 academic staff spent on producing research that, in most cases, is going to be read by almost nobody, and that will have zero impact on a world that would be a better place if they simply concentrated on teaching – or, for that matter, if they looked after their children better or went fishing more often. The amounts of money quoted as being distributed by research assessment – the sum is normally put in the low billions – are, frankly, trivial by the standards of this appalling waste of human resources. In effect, the UK decided to imitate the Soviet Union at roughly the time of its demise by establishing a set of production targets for goods that nobody wants. When it comes to ideas, it is only a tiny sliver of the very best that matter and, to quote Hume, the incentive of “literary fame” is quite enough to motivate such production. I may have left universities as an employee more than a dozen years ago, but I frequently return and I observe that the modern REF continues to have the same effect as the old RAE: it makes everyone unhappy. (Fonte: https://www.timeshighereducation.com/features/research-assessment-exercise-futility 05-10-17)

UK. UNIVERSITIES GENERATE A KNOCK-ON IMPACT OF NEARLY £100 BILLION
UK universities now generate a knock-on impact of nearly £100 billion (US$131 billion) for the UK economy and support close to a million jobs throughout the United Kingdom, according to new figures published by Universities UK. The vice-chancellors’ body’s latest study on the impact of the higher education sector on the economy – produced for Universities UK by Oxford Economics – found that universities now support more than 940,000 jobs in all parts of the UK, equivalent to 3% of all employment. In total, UK universities, together with their international students and visitors, generated £95 billion of gross output in the economy in 2014-15. The gross value added contribution of universities’ own operations to gross domestic product or GDP, at £21.5 billion (US$28 billion), is larger than that made by a number of sizeable industries. It is 22% greater than that produced by the entire accountancy sector and almost 50% more than the contribution of the advertising and market research industry. (Fonte: universityworldnews.com 17-10-17)

USA. L’UNIVERSITÀ DI BERKELEY SPENDE 900 MILA DOLLARI PER GARANTIRE SICUREZZA NELLE CONFERENZE
Il budget dell’università di Berkeley per il 2016-2017, alla voce "sicurezza", è lievitato fino a 900 mila dollari. E' il costo che l'ateneo ha dovuto sostenere per i molti comizi di giornalisti e intellettuali conservatori. Veicoli, uomini, barriere, assicurazioni in caso di incidenti gravi: è quello cui un campus in America deve oggi stanziare per garantire il normale svolgimento di una conferenza controversa. Per lo show del giornalista Ben Shapiro, conservatore e antitrumpiano, Berkeley ha chiamato in servizio gran parte degli ufficiali impiegati solitamente nei dieci campus che fanno parte del sistema dell'Università della California. Alla fine, Berkeley ha garantito lo svolgimento della conferenza e un dibattito pubblico, un fatto che dovrebbe essere considerato normale in una università. Nove manifestanti sono stati arrestati, tra cui quattro che intendevano introdurre armi. Ma resta un paradosso. Mezzo secolo fa, a Berkeley, la Nuova sinistra avviò il movimento per il Free Speeeh, che ha avuto tanti meriti. Nel 2017 un altro tipo di sinistra usa la violenza e le minacce per intimidire la libertà di parola. A qualunque costo. Il Wall Street Journal in un editoriale lo chiama "il costo della libertà di parola". (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 22-09-17)


LIBRI. RAPPORTI. SAGGI

DOPO MARCONI IL DILUVIO. EVOLUZIONE NELL'INFOSFERA
Autore: Gabriele Falciasecca. Ed. Pendagron , 2016.
Come si sono sviluppate le tecnologie dell’informazione? Cosa rappresentano oggi per la nostra società? Sono le domande a cui vuole rispondere Gabriele Falciasecca nel suo ultimo libro, Dopo Marconi il diluvio - Evoluzione nell’infosfera, edita da Pendragon, che conta su un’introduzione di Stefano Ciccotti. “Partendo da una riflessione sul concetto stesso di informazione - si legge sulla quarta di copertina - il volume analizza lo stretto intreccio che esiste tra il piano biologico e quello tecnologico. In una prima fase, infatti, le tecnologie hanno cercato di aiutare l’uomo a fare meglio ciò che già fa in modo naturale. Poi, via via, lo scenario è mutato. Le ‘macchine’ che abbiamo creato ci stanno cambiando, cambiano il nostro modo di gestire le attività economiche, di relazionarci con gli altri e il nostro rapporto con l’ambiente, ora più che mai un intreccio di naturale e artificiale che è capace di influenzarci e, a nostra insaputa, di manipolarci”. “E’ dunque necessario analizzare questo nuovo contesto per  individuare le opportunità e i rischi prodotti dal ’diluvio’ di tecnologie dell’informazione e della comunicazione - conclude la sinossi - non esitando a trarre le conseguenze, anche quando ciò porta fuori dallo stretto ambito tecnico”. (Fonte: F. Callegati, www.nottedeiricercatori-society.euc 25-09-17)

UNIVERSITÀ FUTURA. TRA DEMOCRAZIA E BIT
Autore: Juan Carlos De Martin, Ed. Codice 2017. Pg. 235.
Un saggio che prende l'avvio dalle principali sfide, non più procrastinabili, del pianeta oggi, come ambiente, geopolitica, tecnologia, economia e democrazia. "A differenza di qualsiasi altra istituzione al mondo -, afferma Drew Faust, presidente della Harvard University - le università fanno proprio lo sguardo lungo, coltivando quel tipo di prospettiva critica che guarda molto al di là del presente". Con questo assunto gli atenei italiani avrebbero sconfinate praterie di potenzialità per poter affrontare sfide globali per agire sul locale di un paese che pare navigarea vista in ogni ambito; dalla solidità e credibilità delle istituzioni alla rappresentanza politica. L'autore evoca però anche il fantasma di un'università obbligata a rinunciare alla sua vocazione di "educazione" (nel senso pieno del termine) per assoggettarsi alla "pressione sovra-adattiva" di poteri che, volente o nolente, le permettono di vivere.
Abbiamo di fronte cinque sfide da cui dipende il futuro dell'umanità: ambientale, tecnologica, economica, geopolitica e democratica. Sfide a cui si aggiunge, per noi italiani, quella rappresentata dal futuro sempre più incerto del nostro paese. Su quali principi dovrebbe basarsi l'università per aiutare la società ad affrontare questi problemi? Più in generale, cosa potrebbe fare per le persone e la conoscenza? Quali metodi, quali aspetti è bene che restino invariati, e quali potrebbero invece beneficiare della rivoluzione digitale? Dopo oltre vent'anni focalizzati sugli aspetti economici della missione dell'università, è ora di riscoprirne le radici umaniste e di portarle nel ventunesimo secolo. Juan Carlos De Martin propone un'idea di università pensata per tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese, in particolare per i ragazzi e le ragazze nati all'inizio del millennio. (Fonte: E. Reguitti, Fq  27-09-17; presentazione dell’editore 27-09-q17)

LA REVOCA DEGLI AMMINISTRATORI NELLE FONDAZIONI UNIVERSITARIE (TRA DIRITTO SOSTANZIALE E QUESTIONI DI GIURISDIZIONE)
L'oggetto delle riflessioni svolte nel presente contributo ruota, fondamentalmente, intorno a una questione di giurisdizione – connessa alla tematica della nomina e (più in particolare) della revoca di amministratori di una fondazione universitaria – ma evoca anche, necessariamente, uno spazio di riflessione assai più considerevole, che – sotto svariati profili – si pone al crocevia tra diritto civile, sostanziale e processuale, e diritto amministrativo, anch'esso sostanziale e processuale. Prima di entrare nel merito della questione sono probabilmente opportune, peraltro, alcune avvertenze preliminari: intanto, poiché si farà frequentemente richiamo al tema delle fondazioni universitarie, è bene avvertire da subito che si intende qui fare riferimento non già alle fondazioni di cui all'art. 16 del D.L. n. 112/08 (norma che riguarda la facoltà di trasformazione delle Università pubbliche oggi esistenti in fondazioni di diritto privato); ma, più in particolare, alle fondazioni di cui all'art. 59, comma 3, L. n. 388/00: il riferimento è, cioè, alle fondazioni di diritto privato (le quali trovano poi la loro disciplina di dettaglio nel D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254) costituite dalle Università pubbliche al fine dello «svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca», in ogni caso «nell'osservanza del criterio della strumentalità rispetto alle funzioni istituzionali, che rimangono comunque riservate all'Università».
Sommario: 1. Premessa. Delimitazione dell'indagine – 2. Nomina e revoca di amministratori negli enti a partecipazione  pubblica:  l'orientamento  giurisprudenziale  corrente. –3. Il  riferimento  della  soluzione corrente anche alle fondazioni universitarie. Possibili considerazioni critiche: a) sul versante civilistico. –4. Segue: b) e su quello pubblicistico. –5. Il rapporto tra l'Ente pubblico di riferimento (Università) e il soggetto (formalmente privato) strumentale(fondazione). –6. La connotazione tipicamente pubblicistica delle fondazioni universitarie alla luce della normativa di riferimento. –7. I riflessi processuali (in tema di giurisdizione) della ricostruzione proposta.
(Fonte: F. Gigliotti, federalismi.it https://tinyurl.com/yab5noo6 )

E SE NON FOSSE LA BUONA BATTAGLIA? SUL FUTURO DELL'ISTRUZIONE UMANISTICA
Autore: Claudio Giunta. Ed. Il Mulino, collana "Intersezioni". Pg. 312. 2017
In Mio figlio professore, anno 1946, il bidello Aldo Fabrizi, diventato padre, annuncia che da grande il figlio farà «er professore de latino». Ben pochi genitori, oggi, direbbero una cosa del genere. Il libro parte da questa constatazione per riflettere sul futuro dell’istruzione umanistica. Lo fa avanzando alcune proposte sul modo in cui questa istruzione si potrebbe riformare, a scuola e all’università; e interrogandosi su alcune questioni cruciali: se il canone umanistico che ha formato le generazioni passate ha ancora un senso e un’utilità; se è possibile comunicarlo non a un’élite di studenti ma a una massa; e se insomma la trasmissione di quel sapere corrisponde davvero alla «buona battaglia» che molti insegnanti ritengono di combattere, o se invece è tutta un’illusione, una favola che ci raccontiamo per non dover ammettere che le cose che una volta credevamo vere e importanti non lo sono più. (Fonte: presentazione dell’editore)