IN EVIDENZA
LA
RICERCA ITALIANA È SETTIMA PER IMPATTO SU SCALA MONDIALE
L'Italia nel 2013 ha investito l'1,26% del
Pil in Ricerca&Sviluppo, ben al di sotto della media Ue (2%) e degli
obiettivi di spesa fissati dall'Europa per il 2020 (3%). Tuttavia, come
risultato la ricerca italiana è settima per impatto su scala mondiale, sopra a
Paesi che hanno investito in proporzione anche più del doppio come Danimarca
(3,06%, 14esima) e Svezia (3,30%, 11esima).
Lo rivela il cosiddetto H Index, l'indicatore
che misura la produttività della ricerca con fattori come numero di
pubblicazioni e citazioni ricevute: secondo la classifica del portale di
indicatori SCImago Journal & Country Rank, il nostro Paese registra un
valore di 713 che lo conserva nella top 10 mondiale davanti a “concorrenti”
come Australia (644) e le stesse Svezia e Danimarca (614 e 518). Insomma: pochi
fondi e risultati brillanti? L'equazione non è così semplice. E presenta più
rischi che buoni segnali. Diversi criticano lo stesso H Index, contestato per
alcuni limiti come l'incapacità di cogliere le differenze tra settori
disciplinari o la parzialità delle classifiche che se ne possono ricavare. Ma
quello che emerge, in ogni caso, è che la ricerca italiana riesce a mantenere
standard di qualità e quantità elevati a fronte di finanziamenti ridotti. Un
dato positivo a prima vista, ma allarmante in prospettiva, se si considerano i
rischi sulla tenuta stessa del sistema e la sua – già debole – capacità di
influire sull'ecosistema economico. In primo luogo, la carenza di investimenti
è una delle molle all'ormai celebre “fuga” di italiani all'estero. Sono
soprattutto le risorse qualificate ad abbandonare il Paese. Ricercatori in
testa: «E questo è un disastro. Significa che formiamo bene gli studenti grazie
a una scuola secondaria molto forte e a università di eccellenza, ma il sistema
non è in grado di investire su professionalità con un certo grado di
qualifiche. La ricerca di qualità viene fatta, sì, ma spesso all'estero»
evidenzia Fabio Sdogati, ordinario di Economia internazionale al Politecnico di
Milano. (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore 07-01-16)
LE
IMMATRICOLAZIONI DANNO SEGNALI DI RIPRESA
Dopo dieci anni di
immatricolazioni in discesa, ovvero di due studenti in meno ogni dieci che sono
passati dalla maturità all’istruzione universitaria, i segnali indicano un
cambio di direzione. Repubblica ha chiesto a 77 singoli atenei i dati
aggiornati sulle immatricolazioni in corso. Cinquantotto hanno risposto
garantendo la comparazione con gli iscritti al primo anno della stagione
precedente. Il risultato è che trentotto (38) atenei risultano in crescita per
quanto riguarda le matricole e venti (20) sono ancora in calo.
Senza offrire numeri in
assoluto, è interessante tuttavia notare che diverse inversioni di tendenza si
registrano in università grandi, a partire dalla più grande di tutte. Sapienza
di Roma torna a crescere dopo un lungo periodo di depressione: al 29 dicembre
scorso ha registrato 18.034 nuovi studenti al primo anno, 223 in più (l'1,2%).
Va anche detto che il ritorno in positivo del gigante Sapienza sembra avvenire
a scapito degli altri due atenei romani di riferimento: Tor Vergata con 5.130
matricole registrate a inizio gennaio perde 314 studenti (-6,1%) e Roma Tre con
5.289 nuovi studenti al primo anno ne perde 304 (-5,7%). Cresce, ancora, un
ateneo privato come la Luiss.
Il polo di Milano – su
performance migliori anche nella scorsa stagione – nel 2015-2016 è tutto in
positivo. La Statale sale a 13.202 immatricolati (+0,8%), la Bicocca a 9.814
(+0,9%), la Cattolica a 8.308 (+3%). E così il Politecnico e le private Bocconi
e San Raffaele. Lo Iulm di Milano prende duecento matricole in più che
rappresentano, viste le dimensioni, quasi l'11%.
Cresce di poco Bologna,
crescono meglio Genova, Bergamo, Pavia. Ha un boom Modena-Reggio Emilia:
+12,3%. Parma è al top con un aumento delle matricole pari al 22.5%. É in positivo una grande università come Padova: le
immatricolazioni a inizio anno hanno raggiunto quota 11.365, +8,4%. E così
vanno meglio atenei medio-piccoli come Camerino e Macerata e atenei del Sud da
tempo in grave difficoltà. A Catania, a ieri, i nuovi iscritti al primo anno
erano 6.469, l'11,4% in più. Buoni risultati arrivano dal Politecnico di Bari,
dal Molise, dalla Federico II di Napoli, dalle università del Salento e di
Salerno. (Fonte: C. Zunino, inchieste.repubblica.it 14-01-16)
LA PROTESTA CONTRO LA VQR. DUE DIVERSE FAGLIE DI CONFLITTO
La VQR 2011-2014 (esercizio di
Valutazione della Qualità della Ricerca promosso dall'ANVUR) arriva alle battute
finali. Ma il malcontento non sembra placarsi, anzi. I detrattori stanno
attaccando, mentre l'Agenzia ha rinviato due volte la chiusura della prima fase
(selezione e invio dei prodotti che saranno sottoposti a valutazione): la prima
volta al 15 febbraio, la seconda a fine febbraio.
La protesta contro la
VQR che si sta diffondendo nelle università italiane – nota S. Semplici sul
corriere.it - non è l’azione corporativa di professori che rifiutano di essere
valutati. Sono i soldi dei cittadini a mantenere la libertà della scienza e del
suo insegnamento e i cittadini hanno il diritto di sapere che questi soldi sono
spesi bene. Questa protesta è anche responsabile, perché non ha colpito e non
colpisce gli studenti. Ciò detto,
occorre riconoscere onestamente l’esistenza di due diverse faglie di conflitto,
che in parte si sovrappongono e che occorre tuttavia tenere distinte.
La prima corrisponde
a un conflitto dei professori con il governo per una rivendicazione legittima e
chiaramente circoscritta. Il blocco degli scatti di anzianità, che
costituiscono una parte rilevante del trattamento economico dei docenti
universitari, così come degli altri lavoratori del pubblico impiego, è stato
applicato in questo settore in modo differenziato e prolungato rispetto a tanti
altri. E nessuno si è mai preoccupato di spiegare quali fossero le colpe
meritevoli di quella che molti percepiscono, oltre che come una punizione
incomprensibile, come una lesione alla dignità del proprio impegno e del
proprio lavoro. Questo è il vettore della protesta intorno al quale si è
raccolto il consenso più ampio: l’astensione dalla VQR, in questa prospettiva,
è uno strumento che non contesta, almeno apertamente e in linea di principio,
la sua natura, i suoi obiettivi e l’uso che viene fatto dei suoi risultati.
C’è però – prosegue S. Semplici - una protesta che ha un fine diverso e
che riguarda il rapporto fra le modalità con le quali la valutazione è stata
introdotta in Italia e la missione dell’università. Anche questa è
certamente una protesta contro il governo e contro il parlamento. Essa è però
al tempo stesso – e bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro
nome – il risultato di un conflitto fra professori. In gioco, in questo caso,
c’è proprio il rifiuto di «queste» modalità di valutazione della loro attività
(e non il rifiuto di una valutazione trasparente e rigorosa, a partire dal
controllo del rispetto da parte dei docenti dei loro doveri nei confronti degli
studenti), a causa degli effetti che esse hanno prodotto e che sono stati così
riassunti in una petizione che ha
già raccolto alcune centinaia di firme: «una politica di progressiva riduzione
delle già scarse risorse coperta dalla parole d’ordine del merito; l’erosione
del diritto allo studio e l’esasperazione di insostenibili squilibri fra le
diverse aree del Paese; la ricerca dell’eccellenza contrapposta al dovere
dell’equità; la competizione con ogni mezzo contrapposta alla solidarietà e
alla collaborazione che dovrebbero caratterizzare la vita dei nostri atenei; la
mortificazione dell’impegno nella didattica come pilastro irrinunciabile della
“missione” dell’università». (Fonte: S. Semplici, corriere.it 21-01-16)
COSTI
STANDARD. CONSEGUENZE COMPRESA LA POSSIBILE CHIUSURA DI CORSI DI STUDIO
Una recente sentenza del TAR
Lazio ha sollevato la questione dell’illegittimità del DM sui
Costi Standard per l’università. I giudici, in particolare, hanno lamentato
il fatto che l’introduzione, calata dall’alto, senza alcuna discussione
parlamentare (e pubblica), di astruse formule matematiche, ben lontano
dall’essere un mero intervento tecnico, possa arrivare a comportare in pochi
anni anche la chiusura di un ateneo. In un articolo su Roars B. Cappelletti
Montano spiega come le perplessità dei giudici sono pienamente fondate anche e
soprattutto da un punto di vista tecnico. Passa in rassegna alcuni degli errori
contenuti nelle formule utilizzate dal MIUR ed evidenzia quali gravi
paradossali conseguenze stanno comportando nella vita degli atenei. Fra queste,
la più clamorosa è la possibile chiusura di alcuni corsi di studio di area
scientifica (e non solo). (Fonte: B. Cappelletti Montano, Roars
18-01-16)
Tabella.
Classi di laurea penalizzate nella definizione delle numerosità massime per il
calcolo del costo standard (Fonte: Roars 18-01-16)
55,6 anni se l’attuale tendenza non dovesse
trovare dei correttivi. (Fonte: IlBo 21-01-16)
COME USCIRE DA UNA CRISI PIANIFICATA. VERSO UNA NUOVA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ?
Lo stato attuale e le
prospettive del sistema universitario nazionale sono stati al centro di un incontro,
con il titolo “Verso una nuova riforma
dell’università?”, organizzato il 19 gennaio a Roma presso la facoltà di
Economia della Sapienza e di cui si è letto notizia il 20 c.m. solo sul sito
Flc Cgil.
Punto di partenza dei
relatori (Alessandro Schiesaro, Gianfranco Viesti, Francesco Sinopoli) la
condizione di emergenza di un’università in stato di definanziamento prolungato
e di delegittimazione aggravata dalla sconcertante sfiducia dei governi che si
sono succeduti negli ultimi anni. Si è condiviso che “è un’assurdità comprimere
il sistema universitario: eppure è proprio questa la direzione della classe
dirigente”. Con la certezza ormai che il tentativo che si sta facendo sia
quello di ridurre l’investimento in conoscenza. Sembra una crisi pianificata, probabilmente
perché è lo stesso sistema produttivo a ritenere inutile spendere in conoscenza.
In fondo il sistema sta dimostrando che non gli occorrono persone istruite:
attualmente i nostri laureati o non lavorano o sono schiavi della precarietà. “È
come se in questi anni il sistema universitario avesse subito il passaggio di
un vero e proprio tsunami - ha argomentato Gianfranco Viesti - riducendosi di
1/5. È una cosa che non era mai successa in nessun Paese al mondo. Un
cambiamento epocale, che va fermato subito”. Difficile in queste condizioni
argomentare su quale università puntare. Quello che però tutti sembrano volere
è rimettere al centro il sistema conoscenza, senza il quale la stessa società è
impoverita. L’intervento finale del consigliere di Palazzo Chigi Marattin all’incontro
ha chiarito le intenzioni di almeno un certo ambiente governativo: le
università devono competere per le risorse e gli studenti, in quanto soggetti
di mercato; la differenziazione tra atenei è inevitabile; inutile guardare al
passato. Visioni queste alquanto distanti dai propositi dei relatori: garantire
il diritto allo studio, più investimenti, sbloccare l’ascensore sociale
potenziando l’università pubblica.
NECESSITÀ DI UNA CONTRORIFORMA DELL’UNIVERSITÀ
In un recente incontro
alla Sapienza i relatori si sono interrogati su quali basi impostare una nuova
riforma dell’università partendo dall’attuale situazione di emergenza che a
molti appare effetto di una crisi pianificata. In realtà, piuttosto che
riflettere su un’altra riforma (il titolo dell’incontro era
“Verso una nuova
riforma dell’università?”) ci si dovrebbe
concentrare sulla necessità di una controriforma. Infatti, dopo la riforma
Gelmini (L. 240/2010) è intervenuta un’ulteriore riforma (ancora in essere con
vari succesivi atti) che, come in questi giorni è documentato dalla Ragioneria
Generale dello Stato, ha contribuito a far calare il numero di docenti e ricercatori
da 59.921 a 49.565 (meno 17,3%) e ad aumentare a 51,3 anni l’età media dei
dipendenti universitari (che in mancanza di correttivi salirà a 55,6 anni nel
2019). Senza dimenticare: il blocco degli scatti di anzianità applicato come
un’incomprensibile punizione alla docenza universitaria in modo differenziato e
prolungato rispetto a tanti altri della PA; la chiusura di corsi di studio verosimilmente
accentuabile dall’applicazione del Costo standard unitario di formazione per
studente in corso; la contrazione del 22% del finanziamento pubblico
dell’università; l’istituzione nella L. di Stabilità 2016 di un nuovo canale di
reclutamento di professori e ricercatori a chiamata diretta in deroga alle procedure di reclutamento
previste dalla L. 240/2010; il calo degli investimenti nella ricerca
universitaria (349 milioni di euro in meno dal 2013 al 2014 secondo Eurostat);
un sistema di valutazione della ricerca controverso e teso a punire più che a
migliorare; il debole o assente contrasto legislativo allo “sbaraccamento”
giudiziario del numero chiuso nei corsi di Medicina. Se tutto questo non è una
riforma ... da controriformare, meglio rassegnarsi al declino dell’istruzione
superiore. (PSM 23-01-16)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ASN.
CONSIGLIO DI STATO. ILLEGITTIMO NEL DM “CRITERI E PARAMETRI” IL REQUISITO DELLA
MAGGIORANZA QUALIFICATA DEI 4/5 PER L’OTTENIMENTO DEL TITOLO
In un’ordinanza il Consiglio di
Stato si è pronunciato contro l’istanza cautelare richiesta dal MIUR in appello
avverso la sentenza Tar Lazio Sezione III BIS n. 12407/2015, nella quale si
ravvisano profili di illegittimità nel DM “criteri e parametri”, in particolare
per quanto riguarda il requisito della maggioranza qualificata dei 4/5 per
l’ottenimento del titolo di abilitazione
scientifica nazionale. Si ricorda che il requisito della maggioranza
qualificata è presente anche nella nuova bozza di Decreto. In carenza di un’indicazione legislativa di rango
primario appare illegittimo, come correttamente rilevato dal Tar, l'art. 8 del
D.P.R. 14 novembre 2011, n. 222, nella parte in cui ha stabilito che «la
commissione delibera a maggioranza dei quattro quinti dei componenti», posto
che appare peraltro contraddittorio richiedere a una commissione che abbia a
maggioranza deliberato l’idoneità di un candidato (come nel caso di specie) di
motivare compiutamente il diniego di idoneità (in ragione del mancato
raggiungimento del quorum qualificato). (Fonte: Redazione Roars 11-01-16)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
PERCHÉ
LE UNIVERSITÀ ITALIANE NON SVETTANO NELLE CLASSIFICHE MONDIALI
La notizia è sempre la stessa: le università
italiane sono nelle retrovie secondo la graduatoria annuale pubblicata da QS
(Quacquarelli Symonds), nota come QS World University Rankings.
Ai primi posti nel mondo troviamo, infatti,
in ordine: il Mit (Massachusetts Institute of Technology) che si riconferma in
vetta alla classifica per il quarto anno consecutivo, lo seguono a ruota
Harvard, Cambridge e Stanford. Fino all’ottavo posto troviamo atenei
anglosassoni, mentre al 9° c’è l’elvetica Eth. Tra le prime venti posizioni si
collocano anche due università di Singapore.
Per quanto concerne l’Italia il responso del
ranking è abbastanza deludente. L’unica nota positiva riguarda il Politecnico
di Milano, primo nella classifica internazionale al 187° posto ed in ascesa
nella classifica. Non male quindi come risultato, essere tra i primi 200 Paesi
del mondo. La seconda in graduatoria è l’Università di Bologna, 204esima,
mentre la Sapienza si colloca al 3° posto tra le italiane.
Perché? Alcuni studiosi attribuiscono le
basse posizioni ai numerosi scandali e corruzioni che hanno avuto risonanza
mondiale negli anni, altri agli scarsi fondi a disposizione e ai mancati
investimenti nelle tecnologie che rendono le nostre università e i suoi sistemi
tra i più antiquati del mondo. Degli esperti di ranking hanno poi rilevato che
uno dei problemi pratici risulta essere il fatto che la classifica QS attribuisce punteggi bassi a facoltà in cui
l’Italia eccelle. Inoltre è bene segnalare che la deludente situazione italiana
è dovuta anche – e soprattutto – ai cambiamenti nei criteri di valutazione
adottati da QS. Infine, la classifica si è concentrata su valori
dell’insegnamento, senza tenere conto della qualità dei laureati: bisogna,
infatti, dire che i risultati che emergono dalle misurazioni sulla preparazione
degli studenti sono molto diversi, dal momento che i laureati nostrani sono
piuttosto preparati. Spiegato tutto ciò, la situazione rimane, e si dovrebbe
cercare di intervenire per riportare le università italiane allo splendore
delle Universitas del passato. (Fonte: smartweek.it 20-01-16)
DOCENTI
STORIA
MODERNA. LA DISCIPLINA NEGLI ULTIMI OTTO ANNI HA PERSO IL 33% DI ORDINARI, IL
23% DI ASSOCIATI E IL 41% DI RICERCATORI
Dopo la metà degli anni 2000
si è toccato l’apice della numerosità del corpo docente accademico italiano
(62.000 unità nel 2007 e 62.783 nel 2009), in sincronia con l’aumento, avvenuto
negli anni precedenti, delle immatricolazioni e del numero di iscritti. Per i
fin troppo noti motivi, negli anni successivi la tendenza alla lenta crescita
sia del corpo professorale che di quello studentesco si è invertita, con gli
effetti di un generale ridimensionamento del sistema-università. Per quanto
riguarda la Storia moderna, se tra il 2002 e il 2008 il numero di ricercatori e
docenti di M-STO/02 era rimasto grossomodo costante, arrivando a contare nel
2007 370 strutturati, da questa data ad oggi la perdita è stata di 121 unità,
cioè del 32,7%. Tale perdita si differenzia tra le varie categorie della
docenza: se, come era prevedibile, per questioni anagrafiche è stata ampia tra
gli ordinari (-33%), è stata meno accentuata tra gli associati (-23%), anche
per gli effetti delle più recenti politiche di scorrimento delle carriere. La
diminuzione è stata invece considerevole tra i ricercatori, ridottisi in 8 anni
del 41%. Il blocco pressoché totale del turnover per il periodo di otto anni ha
così vanificato uno degli effetti auspicati al tempo dell’introduzione della L.
240/2010, cioè la creazione di una piramide del professorato composta da una
base larga di ricercatori e da un vertice aguzzo di ordinari. Se la diminuzione
degli storici dell’età moderna strutturati continuerà con il ritmo degli ultimi
otto anni nel 2031 non ci sarà più un docente o un ricercatore di questa
disciplina (Fonte: A. Zannini, http://tinyurl.com/z56f4gl 16-01-16)
UNIVERSITÀ. CALO DEL 17,3% DEI DOCENTI IN 7 ANNI
Dalla pubblicazione del conto annuale della
Ragioneria Generale dello Stato risulta che l’università ha subito un taglio
complessivo di 15.194 dipendenti dal 2007 al 2014, pari a oltre il 13% della
forza lavoro. Il rapporto della Ragioneria sottolinea come la riduzione operata
negli atenei sia, in proporzione, molto maggiore di quella media registrata
nello stesso periodo in tutto il pubblico impiego (poco più del 5%). Nel 2007
il totale dei dipendenti universitari era di 116.577 contro i 101.383 del 2014.
In particolare, il numero
di professori e ricercatori è calato da 59.921 a 49.565 (meno 17,3%), mentre
quello del personale tecnico-amministrativo è sceso da 51.215 a 47.161 persone
(meno 7,9%). La fortissima diminuzione
negli organici ha determinato l’aumento dell’età media dei dipendenti
universitari: da 49,3 anni (2007) a 51,3 (2014).
DIMINUZIONE
% TRA IL 2007 E IL 2015 DEL PERSONALE DOCENTE E RICERCATORE (INCLUSI I RICERCATORI
A TEMPO DETERMINATO) PER AREA CUN
Fonte:
www.cercauniversita.cineca.it.
PENSIONI.
IL PIANO BOERI
Sacrifici crescenti oltre i 5mila euro lordi. Poi
uscita flessibile in anticipo rispetto ai requisiti della legge Fornero, con
una penalizzazione massima dell'8,4%. La proposta era nei cassetti del governo
da mesi e ieri è stata resa pubblica, nel modo più ufficiale possibile, sul
sito dell'Inps. La proposta del presidente Tito Boeri si intitola: «Non per
cassa, ma per equità». L'intento è chiaramente prendere le distanze dalle
riforme dagli anni Novanta a oggi. Confermata l'impostazione che l'economista
rivendica da tempo: misure di sostegno per gli ultra 55enni che perdono il
lavoro (500 euro al mese). Poi fare virare le rendite previdenziali più alte
verso il sistema di calcolo contributivo, quello meno vantaggioso in vigore dal
1995. Il costo del «ricalcolo dei trattamenti in essere, inclusi vitalizi» lo
pagano le pensioni pari o superiori 7 volte il trattamento minimo. All'incirca
3.500 euro lordi al mese. Da questa soglia e fino a circa 5mila euro viene
richiesto un contributo dilazionato nel tempo fino a quando l'assegno non si
allinea con la versione quasi-contributiva studiata da Boeri. Il ricalcolo,
complesso, si basa sul rapporto tra il coefficiente di trasformazione vigente
per il contributivo e quello effettivamente applicato. Per le pensioni sopra 10
volte il minimo (quindi circa 5mila euro) il ricalcolo è immediato e non
dilazionato nel tempo. Dalle tabelle Inps la penalizzazione è minima per chi si
trova subito dopo la soglia (circa lo 0,2%) e arriva al 12,4 per cento oltre i
7mila euro lordi. Ricetta politicamente scomoda. Ma una parte del piano Boeri
che ha più possibilità di essere applicata c'è ed è quella che riguarda
l'uscita flessibile. Come previsto, è un ricalcolo quasi-contributivo degli
anni di anticipo rispetto alle norme vigenti, basato sempre su un rapporto tra
il coefficiente di trasformazione (sulla base del quale il montante
contributivo viene trasformato in una pensione) all'età del ritiro effettivo e
quello all'età di pensionamento normale.
L'Inps ha fornito tabelle con simulazioni delle
penalizzazioni. Al massimo, per un pensionando che ha iniziato a lavorare nel
'77, il taglio dell'assegno è dell'8,4%. Ma Giuliano Cazzola, esperto di
previdenza, non è d'accordo: «Vero per chi sceglie la flessibilità futura, ma
il taglio più pesante è per le pensioni già erogate e può arrivare fino al 30%.
Singolare che si calcoli retroattivamente una rendita. Chi è andato in pensione
con il retributivo non può essere considerato un fuorilegge scappato con la
cassa». (Fonte: A. Signorini, Il Giornale 06-11-15)
RETRIBUZIONI. SBLOCCO DAL 1° GENNAIO 2016, MA SENZA IL RICONOSCIMENTO
GIURIDICO DEGLI ANNI 2011-2015
Nella legge di stabilità licenziata dalla Camera nella notte di sabato 19 dicembre non c’è nulla di più, di quanto ci fosse già prima, riguardo allo sblocco delle classi e degli scatti: quindi sblocco dal 1° gennaio 2016 sì, ma senza il riconoscimento giuridico degli anni 2011-2015.
Quasi tutti i Parlamentari che abbiamo contattato ci hanno informati che gli emendamenti da loro presentati sono stati dichiarati inammissibili per copertura finanziaria inidonea o insufficiente. Eppure, come dicevo in altra e-mail, i soldi vengono fuori dalla sera alla mattina. Ci sono, ma non per noi. C’era in campo un miliardo di euro per la “cultura” e l’unica cosa buona che vedo per l’Università sono 50 milioni per il diritto allo studio. Per il resto, 300 milioni per dare 500 euro a tutti i diciottenni, che non avevano chiesto nulla (se li avessero destinati ancora al diritto allo studio avrei applaudito, dispiaciuto sì per i nostri stipendi, ma contento comunque per soldi spesi molto meglio), decine di milioni per Istituti di Ricerca fuori dall’Università (ma non siamo noi la sede primaria della ricerca? La si vuol portare fuori dall’Università?), per finanziare il CERN (affinché ci sia “un po’ di Italia nel mondo”: ma non ci siamo già noi dell’Università che, pur senza fondi per la ricerca, siamo classificati dall’OCSE all’ottavo posto al mondo?). L’Università è stata praticamente tagliata fuori da questo fiume di risorse, perché? (Fonte: C. Ferraro, Lettera a professori e ricercatori 20-12-15)
Nella legge di stabilità licenziata dalla Camera nella notte di sabato 19 dicembre non c’è nulla di più, di quanto ci fosse già prima, riguardo allo sblocco delle classi e degli scatti: quindi sblocco dal 1° gennaio 2016 sì, ma senza il riconoscimento giuridico degli anni 2011-2015.
Quasi tutti i Parlamentari che abbiamo contattato ci hanno informati che gli emendamenti da loro presentati sono stati dichiarati inammissibili per copertura finanziaria inidonea o insufficiente. Eppure, come dicevo in altra e-mail, i soldi vengono fuori dalla sera alla mattina. Ci sono, ma non per noi. C’era in campo un miliardo di euro per la “cultura” e l’unica cosa buona che vedo per l’Università sono 50 milioni per il diritto allo studio. Per il resto, 300 milioni per dare 500 euro a tutti i diciottenni, che non avevano chiesto nulla (se li avessero destinati ancora al diritto allo studio avrei applaudito, dispiaciuto sì per i nostri stipendi, ma contento comunque per soldi spesi molto meglio), decine di milioni per Istituti di Ricerca fuori dall’Università (ma non siamo noi la sede primaria della ricerca? La si vuol portare fuori dall’Università?), per finanziare il CERN (affinché ci sia “un po’ di Italia nel mondo”: ma non ci siamo già noi dell’Università che, pur senza fondi per la ricerca, siamo classificati dall’OCSE all’ottavo posto al mondo?). L’Università è stata praticamente tagliata fuori da questo fiume di risorse, perché? (Fonte: C. Ferraro, Lettera a professori e ricercatori 20-12-15)
DECRETO N. 202/2015, REGOLAMENTO RECANTE DETERMINAZIONE DEL TRATTAMENTO
ECONOMICO DEI DOCENTI DELLA SCUOLA NAZIONALE DELL'AMMINISTRAZIONE (SNA)
GU
n. 295 del 19-12-2015. Vigente al 03-01-2016.
SONO
GIURISDIZIONE DEL GIUDICE ORDINARIO LE CONTROVERSIE DI RICERCATORI E PROFESSORI
UNIVERSITARI
Le controversie instaurate da ricercatori e
professori universitari e aventi a oggetto il rapporto con Aziende e
Policlinici universitari, inerenti allo svolgimento presso questi di attività
assistenziale, esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo per
rientrare in quella del giudice ordinario quale giudice del lavoro. (Cons. di
Stato, Sez. III, 31 dicembre 2015, n. 5883)
DOTTORATO
CONDIZIONE OCCUPAZIONALE DEI DOTTORI DI RICERCA
In Italia, secondo stime Istat del 2014, a quattro anni dal conseguimento del titolo, la condizione
occupazionale varia in base all’ambito disciplinare in cui è stato conseguito
il dottorato. I dottori nelle Scienze matematiche e informatiche e
nell’Ingegneria industriale e dell’informazione presentano le percentuali di
occupazione più elevate (oltre il 97% a sei anni dal dottorato e oltre il 95% a
quattro anni). Viceversa, le percentuali più basse si riscontrano tra i dottori
nelle Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche (intorno
all’88%) e nelle Scienze dell’antichità, filologico-letterarie e
storico-artistiche, limitatamente alla coorte di dottori più recente (85,2%).
L’87% dei dottori occupati del 2010 svolge una professione consona al livello
di istruzione conseguito, perché impiegato nella ricerca tramite borse di
studio, assegni di ricerca, contratti a progetto, prestazioni occasionali.
Tutti impieghi a termine che abbassano il grado di soddisfazione sulla propria
condizione professionale, stimata in 7 punti su 10. Drammatica l’assenza
dell’industria e in particolare dei settori privati che investono in sviluppo e
innovazione. Una situazione che, di fatto, condanna l’Università a dei livelli
insostenibili di assorbimento delle risorse. Secondo il working paper di
Almalaurea “l’espansione del dottorato di
ricerca in Italia sembra caratterizzata da luci e ombre; in media, i dottori
svolgono lavori più coerenti con un titolo terziario, ma si trovano più spesso
in una situazione occupazionale instabile”. Questo quadro si traduce nel fatto
che un PhD nel nostro paese è spesso un laureato un po’ più vecchio che non
incide molto nell’economia locale. Anzi, crescendo la percentuale di dottori di
ricerca che vivono stabilmente all’estero (quasi il 13% a oggi secondo
l’Istat), lo Stato d’origine che ha investito in ricerca perde valore.
(Fonte: S. Campanella, galileonet.it 21-12-15)
DOTTORATO DI RICERCA. CONGEDO STRAORDINARIO E VALUTAZIONE DEL SERVIZIO
Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato
di ricerca è collocato a domanda in congedo
straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata
del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni
richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di
studio, o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il
trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte
dell'amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di
lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di
lavoro con l'amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due
anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del
secondo periodo. Quanto alla valutazione
del servizio (del personale docente della scuola), durante la frequenza dei
corsi di dottorato di ricerca, dobbiamo fare riferimento al CCNI relativo alla
mobilità (almeno quelli degli anni precedenti; non sappiamo in virtù della
legge n. 107/2015 come sarà il prossimo contratto per l’A.S. 2016/2017) e alla
tabella di valutazione titoli ad esso allegata. Ai sensi della detta tabella,
il personale docente di ruolo che abbia frequentato, ai sensi della legge
476/84, i corsi di dottorato di ricerca e al personale docente di ruolo
assegnatario di borse di studio da parte di amministrazioni statali, enti
pubblici, di stati o enti stranieri, di organismi o enti internazionali, è
riconosciuto il periodo di durata del corso o della borsa di studio come
effettivo servizio di ruolo e quindi valutato ai fini del trasferimento a
domanda e d’ufficio.
Il servizio non è, invece, valutato ai fini
dell’attribuzione del punteggio concernente la continuità del servizio nella
stessa scuola. (Fonte: N. Sabella e P. Pizzo, orizzontescuola.it 23-12-15)
DOTTORATO
DI RICERCA. VALUTATO COME 10 ANNI DI INSEGNAMENTO NELLA SCUOLA
Secondo orizzontescuola.it le
indiscrezioni sulla tabella di valutazione dei titoli per il prossimo concorso
a cattedra nelle scuole stanno suscitando rabbia e delusione. Una tabella
costruita con criteri fondati sulla discriminazione di coloro che
contribuiscono ogni giorno al funzionamento della scuola. La direzione sarebbe
quella di premiare tutti coloro che hanno un percorso pregresso di tipo universitario
e nessuna esperienza didattica con gli alunni. Un dottorato di ricerca vale
quanto 10 anni di insegnamento nella scuola. Un altro punto di sperequazione
denunciato è quello relativo alla disparità di valutazione dei titoli
abilitanti: TFA (Tirocinio formativo attivo) e PAS (Percorsi abilitanti
speciali). I PAS sono considerati di livello inferiore in quanto non è previsto
alcun punteggio (forse 2 punti....per i TFA fino a 10 punti). (Fonte: redazione
orizzontescuola.it 18-01-16)
FINANZIAMENTI
SUL
“COSTO STANDARD” IL TAR LAZIO SOLLEVA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONAlE
L’Università degli Studi di
Macerata, ritenendosi fortemente penalizzata dal nuovo sistema di ripartizione
del fondo di finanziamento ordinario (FFO) per le Università, applicato per la
prima volta nell’anno 2014, e ispirato al costo
standard per studente in corso, ha impugnato il decreto emanato dal
Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il
Ministro dell’Economia e delle Finanze in data 09 dicembre 2014 n. 893,
pubblicato sul sito del M.I.U.R. in data 17 dicembre 2014 e il decreto emanato
dal Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con
il Ministro dell’Economia e delle Finanze in data 04 novembre 2014 n. 815, con
il quale vengono individuati i criteri di ripartizione del Fondo di
Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università per l’anno 2014. Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis), visto l’art. 23
della legge 11 marzo 1953 n. 87, ha dichiarato rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale relativa. Ha sospeso il
giudizio e disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
(Fonte: Redazione Roars 15-01-16)
L'ITALIA
DISINVESTE NELL'UNIVERSITÀ
Nel rapporto 2015 “nuovi divari”, pubblicato
dalla Fondazione Res, si legge che l’Italia – nel giro di pochi anni – avrebbe
compiuto “un disinvestimento molto forte nella sua università, una
trasformazione opposta a quella in corso in tutti i Paesi avanzati che
continuano invece ad accrescere la propria formazione superiore”. Un esempio su
tutti: mentre in Italia il finanziamento pubblico dell’università si contraeva
del 22%, in Germania cresceva del 23%. Una questione di crisi economica, si potrebbe
dire. In realtà non sarebbe questa la ragione principale. La riduzione della
spesa e del personale universitario in Italia è stata molto maggiore rispetto
agli altri comparti dell’intervento pubblico: “Tra il 2008 e il 2013 – si legge
ancora nel rapporto – i docenti universitari si riducono del 15%, il totale del
pubblico impiego di meno del 4%”. Fermo restando che negli altri Paesi dell’Ue,
comunque colpiti dalla crisi, non si sono visti tagli così drastici nell’area
dell’istruzione superiore. Un sintomo di questa decrescita (o la diretta
conseguenza) è l’esiguo numero di laureati che l’Italia conta rispetto
all’obiettivo dell’Europa di avere entro il 2020 il 40% di giovani laureati.
“L’Italia – sottolinea il rapporto – nel 2014 è ferma al 23,9%”, collocandosi
all’ultimo posto tra i 28 stati membri. (Fonte: M. Sopelsa, IlBo 07-01-16)
ARTICOLO DI UN QUOTIDIANO VICINO AL GOVERNO CHE PUÒ SPIEGARE LA RATIO DELLE
RESTRIZIONI FINANZIARIE ALLE UNIVERSITÀ
Secondo L. Cancrini (Unità 20-12-15) serve un
discorso di riforma dell’intero sistema: cui un giorno o l'altro si dovrà porre
mano e di cui sembra importante cominciare a discutere adesso. La nostra
Università soffre tremendamente da sempre di un problema legato soprattutto
alla libertà che hanno i suoi massimi rappresentanti, i docenti ordinari e gli
associati, di esercitare accanto all'attività di insegnamento altre e più
lucrose attività. Altissimo ancora oggi – prosegue l’articolista - è il numero
dei professori di giurisprudenza, economia, lettere e medicina che dedicano
all'insegnamento una parte molto ridotta del loro tempo e che si occupano
soprattutto della loro professione. Senza nulla perdere però del potere che il
loro ruolo gli consente di continuare comunque ad esercitare dentro
all’Università. Con conseguenze estremamente importanti. La prima è quella che
riguarda il turnover. Gravando con stipendi alti sui bilanci delle loro
università i docenti di ruolo che non insegnano o insegnano pochissimo
impediscono l’assunzione dei docenti più giovani. Chi non vuole, chi ci tiene a
tenere aperti gli studi a lavorare nelle cliniche private, se insegna cose
importanti, continui a farlo ma a contratto, pagato per le ore che fa.
Riaprendo ai giovani che vogliono fare ricerca e insegnamento in Italia i posti
che loro lasceranno liberi. E a questo punto e solo a questo punto che avrà
davvero un senso dare i soldi alle nostre povere Università. (Fonte: L.
Cancrini, Unità 20-12-15)
LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA –
OCCUPAZIONE
PROFESSIONI
SANITARIE. QUI LA LAUREA BREVE FUNZIONA
Con tassi di occupazione che
si spingono sopra l'80% ad appena un anno dal conseguimento del titolo, hanno
una marcia in più le "vere" lauree triennali, la minoranza di corsi
calibrati secondo la logica originaria del 3+2: triennio finalizzato a
formazione e accesso all'impiego, biennio per specializzazioni e salto di
qualità nelle prospettive di carriera. La categoria è rappresentata soprattutto
dalle professioni sanitarie, il settore che aggrega corsi con boom di richiesta
come fisioterapia (nel 2015 quasi 29mila domande per poco più di 2mila
posizioni) e logopedia (circa 6.800 iscritti ai test per 688 posti
disponibili). Ma non mancano opportunità di tutt'altra estrazione, dagli
sbocchi immediati per i "triennalisti" di informatica alle
retribuzioni sopra la media che possono attendere i laureati in ingegneria
anche dopo il primo livello di studi. Quali sono i curricula che offrono più
sicurezze? Un report a cura di Angelo Mastrillo, segretario della Conferenza
nazionale dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, scatta una
fotografia sugli esiti dei 22 indirizzi che compongono il settore. In cima a
tutti spiccano tecniche audioprotesiche e igiene dentale: tasso di occupazione
dell'88% per entrambe nel 2013, poco sopra la media registrata da corsi come
podologia (87%), fisioterapia (84%) e logopedia (81%). L'exploit ci è spiegato
dallo stesso Mastrillo: «Siamo al primo posto, da anni, rispetto a tutti i
gruppi disciplinari. Perché? In quasi tutti i corsi del cosiddetto 3+2, gli
studenti sono costretti a svolgere anche il biennio. Da noi, invece, già la
laurea triennale ti dà un titolo sia qualificante che abilitante alla
professione». Basta dare un occhio al grado di "efficacia" della
laurea, la coerenza tra ciò che si è studiato e l'utilizzo delle proprie
competenze: le professioni sanitarie registrano una media di 93,8%, contro il
65,2% delle altre aree disciplinari. (Fonte: theteller.it 18-01-16)
IL VOTO MINIMO DI LAUREA NON CONTA PIÙ NEI CONCORSI
L'avvocato F. L. ha vinto un importante ricorso al
TAR Lazio. Un recente concorso indetto da Banca d'Italia per l'assunzione di 65
coadiutori recava tra i requisiti il conseguimento del titolo di laurea con un
voto minimo di 105/110. Ma la legge Madia per la riforma della PA, approvata
sul finire di quest'estate, ha messo fuori gioco i voti minimi come criteri di
sbarramento. Forse ricorderete come si fece un gran parlare di un emendamento
che proponeva di valutare in modo diverso, ai fini dei concorsi pubblici,
l'università di provenienza. Un emendamento che secondo la ministra Madia
doveva servire a riconoscere che "una laurea alla Sapienza non è lo stesso
che una laurea a un'università telematica", ma che è stato ritirato dopo
un bombardamento di polemiche. Quello che è passato è stato invece un altro
emendamento, voluto dal deputato Marco Meloni (PD), che prevedeva la
"soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la
partecipazione ai concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche
amministrazioni" (art. 17, comma 1d). Proprio facendo perno su questo
comma l'avvocato F. L. è riuscito a far ammettere al concorso il suo
ricorrente. (Fonte: http://uninews24.cybertronick.it/lazio 18-12-15)
LA GRANDE FUGA DAL SUD DI STUDENTI E GIOVANI LAUREATI
Uno
degli effetti più vistosi del futuro che ci sta assicurando la meritocrazia
all’italiana è la grande fuga dal Sud di giovani studenti e giovani laureati.
Ci sono certamente profonde ragioni storiche nell’arretratezza del Meridione,
già evidenti dall’unità d’Italia. Tuttavia, dopo innegabili miglioramenti dal
Dopoguerra, la situazione è peggiorata in maniera evidente dall’inizio della
crisi a oggi. In Italia il conto della crisi è stato pagato con un tasso di
disoccupazione che si è raddoppiato dallo scoppio della crisi finanziaria a
oggi, raggiungendo il 12,7% nel 2015. Il problema del Meridione, e dunque di
tutto il Paese, è che mentre il tasso di disoccupazione è del 9,5% al Nord,
raggiunge il 20,5% al Sud. Come effetto delle politiche in corso, questo
squilibrio ha, un’unica prospettiva: quella di aumentare. Il flusso di forza
lavoro qualificata da Sud a Nord è inesorabile così come l’impoverimento degli
atenei del Sud, che sembrano condannati a chiudere o a diventare una sorta di
licei di terz’ordine. Come scrive l’economista Gianfranco Viesti: “Negli ultimi
anni, l’investimento pubblico nell’istruzione universitaria nel nostro Paese si
è profondamente modificato. In estrema sintesi, tre sono stati i principali
cambiamenti: 1) una forte riduzione del suo ammontare; 2) una ripartizione
asimmetrica di questa riduzione fra le sedi universitarie e le grandi
circoscrizioni territoriali; 3) l’entrata in funzione di meccanismi di
allocazione delle risorse assai discutibili, che tendono ad avere un effetto
cumulato nel tempo. Tutto ciò può rapidamente portare, senza ulteriori
interventi, ad un ulteriore, drastico ridimensionamento di alcune sedi
universitarie o alla loro definitiva chiusura”. (Fonte: Redazione Roars,
Intervista apparsa su Voci Globali 03-01-16)
GIOVANI. UN LAUREATO SU DUE VORREBBE ANDARE ALL’ESTERO
Uno
studio dell'Associazione "Donne e qualità della vita", svolto su 1000
laureandi negli atenei italiani di età compresa fra i 24 e i 28 anni, ha
evidenziato che solo il 33% di loro pensa di riuscire a trovare un lavoro senza
dover lasciare famiglia e affetti, mentre sono pronti a varcare il confine, in
particolare, i laureati nel settore umanistico (59%) e quelli nel settore
scientifico (57%) e tecnologico (56%). Anche i neoarchitetti (49%) hanno
sfiducia nella possibilità di trovare un impiego. Meno pessimisti i laureati in
lingue e letterature straniere dei quali solo il 43% pensa di espatriare dopo
il diploma di laurea. A spingere i più giovani ad affrontare esperienze
all'estero c'è la poca meritocrazia del sistema italiano che è fattore decisivo
per il 67% del campione intervistato. Segue la voglia di confrontarsi con
realtà diverse (43%) e arricchire il proprio curriculum con esperienze
internazionali (per il 37%). Non ultima anche la volontà di studiare le lingue
nel 37% dei casi è un buon motivo per abbandonare il Belpaese. Tra quelli,
tanti, che vogliono espatriare, la metà circa conta prima o poi di tornare in
Italia. (Fonte: Avvenire 03-01-16)
EMIGRAZIONE
DI GIOVANI IN AUMENTO
Rispetto alla rilevazione del
2012 il numero degli italiani emigrati è cresciuto del 12,7 per cento, ma
quello di coloro che appartengono alla fascia d’età tra i 18 e i 39 anni è
aumentato del 34,4 per cento. In sostanza, più di 3 giovani (3,3 per
l’esattezza) ogni mille abitanti hanno abbandonato stabilmente il suolo patrio.
Il fenomeno dei giovani in fuga all’estero interessa soprattutto le città più
che i piccoli centri, ed è Milano a guidare la classifica delle partenze
(3.300), seguita da Roma (2.450), Napoli (1.885) e Torino (1.653). Il capoluogo
lombardo, tuttavia, è anche la città che ha fatto registrare l’incremento più
moderato, con un +451 partenze in confronto al 2012, rispetto al +829 di Roma e
Palermo e al +757 di Napoli. A scegliere di varcare i confini sono soprattutto
gli uomini (56 per cento) e, in generale, a partire sono per lo più soggetti
non sposati (59,1 per cento). (Fonte: M. Russo, universita.it 07-01-16)
I DATI
DI EUROSTAT SULLE DIFFICOLTÀ DEI NEOLAUREATI ITALIANI A TROVARE UN LAVORO.
Alessandro Laterza, editore, vicepresidente
della Confindustria, legge i dati di Eurostat sulle difficoltà dei neolaureati
italiani a trovare un lavoro. Perché l'Italia è in fondo alla classifica dei
neolaureati occupati? «Ci sono motivi congiunturali e motivi strutturali. Tra i
primi è evidente che la grande gelata dell'economia non abbia giovato
all'occupazione in generale e a quella giovanile in particolare, di cui i
laureati sono una parte. La crisi ha poi abbattuto in maniera selvaggia gli
investimenti. E c'è un connubio fisiologico tra università e investimenti. C'è
il blocco del turn over nella pubblica amministrazione: è un tema molto
rilevante che ha colpito direttamente le stesse università. Sono questi i
fattori che, insieme alla riforma delle pensioni, hanno frenato il mercato del
lavoro». Quali sono i motivi strutturali? «Intanto che abbiamo poca grande
impresa. Basti pensare che negli anni 60 avevamo 700 grandi imprese
manifatturiere che occupavano il 28 per cento della forza lavoro, oggi ne
abbiamo 350 che occupano il 10 per cento. La classe dimensionale delle imprese
è un fattore importante: servono le dimensioni per fare ricerca e sviluppo e
dunque occupare giovani laureati. Non dimentichiamo poi che siamo in una fase
di trasformazione dei servizi. L'esempio più eclatante è quello delle banche
oggi in forte ridimensionamento, ma un tempo sbocco per i nuovi laureati. C'è infine
una questione di fondo: lo 0,8 per cento del Pil all'università è troppo poco,
direi una quota vergognosa». (Fonte: r. ma., La Repubblica 07-01-16)
L’OCCUPAZIONE
DEI LAUREATI
Secondo i dati del 17°
Rapporto AlmaLaurea, consorzio che riunisce 72
atenei pubblici e che da tempo monitora lo stato di salute
dell'università, a 5 anni dalla laurea
magistrale (composta dalla laurea triennale più il percorso biennale di
specializzazione) hanno trovato lavoro 97 medici su 100 (anche se in questo
numero va inserito chi sta facendo i corsi di specializzazione, comunque
retribuiti), 95 Ingegneri, 90 laureati in economia, statistica o chimica, 88
matematici e fisici. La percentuale più bassa è per i laureati in
giurisprudenza (77%) e materie letterarie (75%). In media un ingegnere guadagna
1.693 euro al mese, un medico 1.593 euro, oltre 1.450 euro i laureati in economia
e nelle discipline scientifiche. Le facoltà scientifiche sono, e lo rimarranno
anche nel prossimo futuro, quelle che offrono migliori garanzie occupazionali.
A tre
anni dalla laurea secondo
AlmaLaurea l’occupazione dei laureati è del 75,7% (+0,4% rispetto al 2014), i
diplomati si fermano al 63,2% e solo il 43,5% di chi ha la licenza media trova
un lavoro. Un dato che contrasta con quello elaborato da Eurostat, secondo cui
solo il 52,9% dei laureati italiani fra i 20 e i 34 anni d’età lavora a tre anni
dalla fine degli studi, contro l’80,5% della media europea e il 93,1% della
Germania. Una divergenza che potrebbe essere spiegata con il fatto che la
grande maggioranza dei laureati triennali italiani proseguono con la laurea
magistrale e possono statisticamente risultare non occupati. (Fonte: Oggi
20-01-16)
DISPARITÀ TERRITORIALI E DI GENERE NELL’INSERIMENTO NEL
LAVORO
Secondo
il portavoce nazionale della Rete della Conoscenza, Riccardo Laterza "i dati confermano come gli studi
universitari favoriscano l’inserimento nel mercato del lavoro (a 4 anni dal
titolo lavora il 48,9% dei diplomati, contro il 63,9% dei laureati triennali e
il 75% dei laureati a ciclo unico), ma approfondendo le statistiche emergono
profonde disparità territoriali e di genere: i disoccupati con laurea triennale
superano il 20 % nel Mezzogiorno mentre si attestano sul 10 % al Nord, inoltre
le laureate hanno una relativa difficoltà rispetto agli uomini a trovare (o
mantenere) un’occupazione specie per alcuni gruppi disciplinari". (Fonte:
Uninews24 04-01-16)
RIORDINO
DELLE CLASSI DI CONCORSO. ACCESSO ALL'INSEGNAMENTO ANCHE A MOLTE DELLE CLASSI
DI LAUREA PRECEDENTEMENTE NON PREVISTE
Il Consiglio dei
Ministri ha approvato il 20 gennaio il riordino delle classi di concorso: tra
le varie novità, è previsto anche l'accesso all'insegnamento a molte delle
classi di laurea precedentemente non previste. L’adeguamento delle classi di
concorso ai nuovi ordinamenti universitari consentirà anche ad alcune categorie
di laureati finora escluse dall’insegnamento di materie coerenti con il loro
piano di studi di accedere agli specifici percorsi abilitanti. I laureati in scienze
politiche, ad esempio, potranno insegnare discipline giuridiche ed economiche
(a patto che possano vantare almeno 96 crediti universitari nel settore
scientifico disciplinare di riferimento), mentre i laureati in ingegneria
potranno insegnare matematica e scienze alle medie. (Fonte: corriere.it
21-01-16)
RECLUTAMENTO
CONTESTATA DALLA FLC CGIL LA NORMA SULL’ASSUNZIONE DI 500 “SUPERPROFESSORI”
ALL’UNIVERSITÀ
La contestata norma sull’assunzione dei cosiddetti
“superprofessori” inserita in Legge di stabilità viene, se possibile,
ulteriormente peggiorata con l’esplicitazione che si attiva un nuovo canale di
reclutamento, sperimentale, alternativo a quello attualmente in vigore, in
deroga alle procedure di reclutamento previste dalla Legge n. 240/2010, ed
esteso anche alla figura del ricercatore. Peraltro, nel nuovo testo è stabilito
che possono partecipare alla procedura concorsuale anche docenti già in ruolo
nella medesima fascia, introducendo una nuova procedura di mobilità del
personale docente. Quello che fino a qualche giorno fa era solo un sospetto, e
cioè che si stesse introducendo surrettiziamente un nuovo canale di reclutamento,
trova ora la sua conferma. Tra le novità approvate in Commissione Bilancio
anche quella relativa a un piano straordinario per la chiamata di professori
ordinari tramite un incremento del FFO di 6 milioni di euro nel 2016 e di 10
milioni di euro dal 2017. A questo piano straordinario potranno partecipare
anche coloro che hanno conseguito l’idoneità ai sensi della Legge n. 210/1998. (Fonte:
Flc Cgil 17-12-15)
ODG ALLA LEGGE DI STABILITÀ APPROVATO DAL GOVERNO SUI REQUISITI DI
ESPERIENZE ALL’ESTERO DEI DOCENTI ASSUNTI PER CHIAMATA DIRETTA
"Con l'approvazione di questo Ordine del giorno
(della deputata Laura Garavini) il Governo ha condiviso l'opportunità che una
parte di quei docenti universitari che verranno assunti a chiamata diretta,
presentino il requisito di esperienze di ricerca e di insegnamento all’estero.
Secondo il Ministero dell’Istruzione, meno del 3 % dei docenti operanti nelle
università italiane è di origine straniera. Inoltre, solo il 3,8 % degli
studenti iscritti alle università italiane sono stranieri, a fronte di una
media europea dell’8%. Dati come questi ci dicono che il sistema universitario
italiano ha urgente bisogno di internazionalizzarsi, avvicinandosi agli
standard europei. Ecco perché mi sono rivolta al Governo sollecitandolo a prevedere
una quota di docenti che vantino una significativa esperienza lavorativa in
enti di ricerca o in università straniere, siano essi italiani o stranieri.
Solo attraverso interventi di questo tipo, che vanno nella direzione di
incentivare la mobilità internazionale, possiamo raggiungere l’obiettivo di
svecchiare l’università italiana e di renderla più competitiva in Europa e nel
mondo”. (Fonte: www.aise.it 21-12-15)
DAI
RICERCATORI ERC AI SIR ITALIANI: ECCO CHI PUÒ AMBIRE ALLA CHIAMATA DIRETTA
DEGLI ATENEI
Tra le corsie preferenziali per ottenere una
cattedra per chiamata diretta ci sono innanzitutto i programmi di ricerca
dell’Erc (European Research Council). Chi ha conquistato un ambito grant può,
infatti, aspirare a fare il docente, di prima e seconda fascia (è il caso dei
consolidator o degli advanced grant dell’Erc rivolto ai cervelli più esperti).
O quantomeno - nel caso abbia vinto uno starting grant (la borsa dell’Erc
rivolta ai più giovani) o un consolidator grant - un posto da ricercatore (di
tipo b). Anche i vincitori dei programmi Ue di durata triennale «International
outgoing fellowship» o «Individual fellowship» delle azioni Marie Curie ma
«limitatamente al tipo Global fellowships» possono essere destinatari di
chiamata diretta come ricercatori di tipo b. (Fonte:
danilomarcattili.blogspot.it 20-01-16)
RICERCA. RICERCATORI
UNESCO SCIENCE REPORT 2015
Secondo l’indagine Unesco
Science Report 2015, nonostante la crisi finanziaria, fra il 2007 e il 2013 gli
investimenti in ricerca e sviluppo sono aumentati a livello globale di quasi un
terzo. Con un paradosso: molte nazioni fra le più ricche hanno, infatti,
apportato tagli a questo settore, mentre alcuni stati a basso reddito, come il
Kenya, hanno invece incrementato gli investimenti. Nello stesso periodo, il
numero totale dei ricercatori è aumentato di circa un quinto, arrivando alla
cifra di 7,8 milioni; con quasi i tre quarti degli studiosi che risultano
distribuiti in cinque aree geografiche principali: Unione europea (22,2%),
Cina, Russia, Stati Uniti e Giappone. Nel 2011 la Cina (19,1%) ha sorpassato
gli Stati Uniti (16,7%), mentre l’incidenza di Giappone e Russia (residuale
perché al di sotto dei dieci punti percentuali) è diminuita ulteriormente. Dei
quasi otto milioni di ricercatori, poco più di un quarto è composto da donne; e
questo nonostante sia femminile la maggioranza dei laureati (53%) e un 43% dei
dottori di ricerca. La diffusa e importante presenza femminile nell’educazione
universitaria non dà quindi vita ad altrettanta occupazione nella ricerca. Con
un po’ di sorpresa, le ricercatrici sembrano infatti affermarsi più facilmente
in America Latina e nei Caraibi (44%), come anche negli Stati Arabi (37%),
rispetto invece a un’Unione Europea che ospita ricercatrici solo per il 33% del
totale degli studiosi. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 14-12-15)
PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE IN ITALIA E NEL MONDO NEL RAPPORTO UNESCO
Dello stato della ricerca in Italia e nel mondo si è
occupata l’Unesco con il suo recente rapporto. Nel 2014 le pubblicazioni
scientifiche sono state 1.270.425. L’Unione Europea ha contribuito con 498
mila, le Americhe con 417 mila. Dopo tutto il vecchio continente si difende
bene. Se poi guardiamo più a fondo, scopriremo che in Europa il paese più
fecondo, un po’ a sorpresa, è la Danimarca, con 2.628 ricerche pubblicate per
milione di abitanti. L’Italia insegue a distanza, con 941. Ma bisognerebbe
valutare anche i finanziamenti e la qualità: per l’Italia i finanziamenti tra i
più bassi dell’area europea, migliore è la qualità misurabile con criteri
bibliometrici e buona la produttività per singolo ricercatore. Certo, guardando
alla povertà del precariato nei laboratori, va detto che se la ricerca sta
(relativamente) bene, i ricercatori stanno male.
In ogni caso, su scala globale sotto il cielo della
ricerca avanza la Cina. Già oggi produce il 19 per cento degli studi
pubblicati, e proiettando la tendenza attuale si stima che nel 2019 la Cina
sarà il Paese che investe di più in ricerca e sviluppo. Cresce anche l’Africa,
pur restando distante dai Paesi più avanzati: la produzione scientifica di
questo continente è aumentata del 60 per cento nel periodo 2008-2014. (Fonte:
La Stampa 21-01-15)
LA SPESA
PER LA RICERCA IN ITALIA
In un anno (dal 2013 al 2014)
sono calati di 349 milioni di euro gli investimenti nella ricerca universitaria
italiana. Ma il vuoto che preoccupa di più è nel settore privato. Nel 2014,
secondo gli ultimi dati resi noti da Eurostat, in Italia si sono spesi
complessivamente in ricerca 212 milioni in meno rispetto all’anno precedente:
un valore che include al suo interno le attività private, pubbliche, di imprese
non profit e – appunto – dell’università stessa. Ma se i primi due settori
registrano una qualche – modesta – crescita, sono proprio gli investimenti
destinati alla ricerca universitaria che invece risultano in calo, portando il
dato complessivo in territorio negativo (Vedi grafico).
Fra le nazioni con cui
vorremmo confrontarci, soltanto la Spagna devolve una fetta minore del proprio
Pil – per qualche decimale, infatti – alla ricerca. L’Italia registra valori
inferiori al Regno Unito, e comunque anche rispetto alla media europea, per non
citare Paesi che si collocano al di sopra di tale valore come la Francia, gli
Stati Uniti e la Germania. (Fonte: wired.it 15-01-16)
PRIN
(PROGETTI DI RICERCA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE)
Chiusa il 15 gennaio, la raccolta di progetti
per il bando PRIN (Progetti di Ricerca di rilevante Interesse Nazionale) ha
raccolto moltissime adesioni: sono 4.431 i progetti che dovranno contendersi i
92 milioni per la ricerca di base. Adesso spetterà al CNGR (Comitato Nazionale
dei Garanti per la Ricerca) selezionare i commissari per valutare le proposte:
18 per scienze della vita, 20 per scienze fisiche e ingegneria, 12 per scienze
umanistiche e sociali. (Fonte: M. Viola, Uninews24 20-01-16)
HUMAN TECHNOPOLE ITALY 2040. UN GRANDE CENTRO DI RICERCA
MULTIDISCIPLINARE
Renzi
ha presentato il progetto per il futuro dell'area che ha ospitato l'Expo 2015.
Sarà un grande centro di ricerca multidisciplinare guidato dall'Istituto
italiano di tecnologia (IIT). Si chiamerà Human
Technopole Italy 2040 e prevede un investimento di 150 milioni di euro
l'anno per dieci anni. Evaporata l'euforia dei primi cinque minuti per un
investimento faraonico in ricerca scientifica e tecnologica, almeno per gli
standard italiani, hanno cominciato ad accalcarsi le domande. Secondo quali
criteri è stato selezionato il progetto? Come mai veniva affidato a un solo
ente, che fino al giorno prima aveva sede a Genova? Perché proprio lo IIT e
non, che so, il CNR, l'ENEA, le Università dell'area milanese? E perché poi, a
ben vedere, veniva istituito un centro di ricerca che avrebbe convogliato nelle
disponibilità di un'unica direzione scientifica una dotazione complessiva di
150 milioni di euro l'anno, quando tutto il resto della scienza italiana
annaspa in condizioni disperate? Solo per rendere l'idea, il nuovo bando per i
Progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) prevede un finanziamento di
92 milioni di euro, spalmati su tre anni, con un tetto massimo di un milione a
progetto. Saggiamente Roberto Cingolati, direttore scientifico dell'IIT, è già
corso ai ripari, cercando collaborazione e consenso. In conclusione, saremmo
entusiasti di veder nascere nell'area di Expo un polo tecnologico con la
filosofia della Fraunhofer-Gesellschaft tedesca. sia pure con le debite
proporzioni. Ma ci piacerebbe vederlo nascere alla luce del sole e con il
contributo e la partecipazione di tutte le eccellenze della ricerca italiana,
che non sono poche. (Fonte: lescienze.it 01-12-15)
IL “TAGLIO” DEL DNA, LA SCOPERTA PIÙ IMPORTANTE DEL 2015
Il
“taglio” del Dna è una nuova tecnica che permette di attivare, disattivare o
sostituire geni con grande precisione e facilità. E' una sorta di nanochirurgia
genetica denominata Crispr, resa possibile da un 'nanobisturi' scoperto
anch'esso di recente. Al professore Franco Cervelli che nel 1996, nei
laboratori Fermilab, a Chicago, fu tra gli scopritori del Top Quark, l'ultimo
dei 'mattoncini' con cui è 'costruito' il nostro universo, è stato chiesto: Tra
le scoperte del 2015 che lei ci ha fatto conoscere, qual è la più importante
per il nostro futuro? Risposta: "Le montagne sono fatte di granelli di
sabbia. Non dimentichiamoci mai che ogni vero passo in avanti, anche se
piccolo, è importante. Quindi tutte le scoperte sono importanti. Detto questo
non c'è dubbio che la cosiddetta metodologia Crispr per tagliare il Dna e
disattivare e sostituire i geni è estremamente affascinante e promette sviluppi
rivoluzionari". Negli ultimi dieci mesi su questa tecnica ci sono state
oltre 50 pubblicazioni e la rivista Science la considera la svolta dell'anno
(Ansa). La tecnica di editing genomico Crispr/Cas era comparsa nella classifica
di Science già due volte. Prima nel 2012 e poi nel 2013. E ora quella
classifica l’ha scalata fino a posizionarsi al primo posto: Crispr/Cas si è
appena guadagnata il titolo di Breakthrough
of the Year per la redazione della rivista Science.
Tale tecnica è un sistema di chirurgia molecolare
attraverso cui è possibile modificare a piacimento il genoma di piante, batteri
e animali. Basterebbe citare alcuni studi in proposito: quello dei ricercatori cinesi
che sono riusciti ad applicare la Crispr/Cas per modificare il genoma di
embrioni umani e quello degli scienziati californiani che l’hanno usata per
creare la zanzara anti-malaria, come è stato ribattezzato l’insetto. Inoltre
sono stati creati maiali geneticamente modificati per i trapianti da animali a
uomo. Sono esempi delle enormi potenzialità e al tempo stesso delle
problematiche sollevate da una tecnica così potente come Crispr/Cas, che
ispirandosi a una sorta di sistema immunitario batterico permette ai
ricercatori di modificare a piacimento il genoma di qualsivoglia organismo.
Sostanzialmente, il cuore della tecnica è un complesso in grado di modificare
il modo mirato il Dna, che usa due componenti chiave: una molecola di Rna che
fa da guida, riconoscendo tratti specifici della sequenza (quella che si vuole
alterare) e una nucleasi (un enzima che taglia il Dna), Cas (ovvero
Crispr-ASsociated). Insieme Rna ed enzima legano e tagliano il Dna in maniera
specifica, e il complesso può essere modificato per eliminare e modificare geni
o per regolarne l’espressione. (Fonte: wired.it 17-12-16; quotidiano.net
02-01-16)
RICERCA. LA GESTIONE DELL’IIT (ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA)
Se si vuole essere in linea con gli standard
internazionali, è necessario che venga istituito un vero “board of trustee”,
completamente indipendente da IIT e su cui il suddetto non abbia la minima
capacità di influire, la cui composizione e scadenza sia quindi decisa su base
della sola competenza scientifica e gestionale dei suoi membri da una
istituzione dello Stato: Ministero della Ricerca, ANVUR, CUN o altro. Tale
organo dovrebbe automaticamente escludere qualsiasi ricercatore o membro
provenienti da qualsiasi istituzione e/o università abbia beneficiato di
qualsivoglia rapporto pregresso e/o finanziamento da parte di IIT, e dovrebbe
avere una non piccola componente di ricercatori di provenienza straniera. La
sua funzione dovrebbe essere quella di valutare il funzionamento dell’Istituto
utilizzando criteri chiari e science-based sia in termini di produttività
scientifica che di efficacia della sua governance, e tutti i suoi rapporti
dovrebbero essere resi pubblici. (Fonte: Redazione Roars
17-12-15)
I 10 MIGLIORI RICERCATORI DEL 2015 SECONDO NATURE
- Christiana Figueres. Ha tracciato la strada verso un nuovo patto globale sul clima.
- Junjiu Huang. Ha scatenato un dibattito globale con un esperimento per modificare i geni degli embrioni umani.
- Alan Stern. Ha messo a fuoco il pianeta nano, Plutone.
- Zhena Bao. Sta fondendo l’elettronica al corpo umano.
- Ali Akbar Salehi. Ha aiutato a mettere a punto un patto perché il programma nucleare iraniano rimanesse pacifico.
- Joan Schmelz. Un’astronoma che ha lavorato per smascherare un noto molestatore sessuale.
- David Reich. Ha aiutato a convertire la genomica dell’antichità da ricerca di nicchia a processo industriale.
- Mikhail Eremets. Detiene il record per l’elettricità senza resistenza.
- Christina Smolke. Ha prodotto gli oppioidi nel lievito.
- Brian Nosek. Ha lavorato alla riproducibilità nella scienza.
(Fonte: scienzaesalute.blogosfere.it 18-12-15)
RIVISTE SCIENTIFICHE. SISTEMI FRAUDOLENTI PER AGGIRARE LE BARRIERE DEL
SISTEMA DI PEER-REVIEW
La pressione a pubblicare tanto, in maniera veloce e
possibilmente su riviste ad elevato impact factor è particolarmente sentita in
Cina; non è un caso dunque che proprio da questo Paese arrivino i sistemi più
ingegnosi per aggirare le barriere del sistema di peer-review. Negli ultimi tre
anni sarebbero più di 250 gli articoli pubblicati in varie riviste scientifiche
e poi ritirati dopo aver scoperto che le revisioni da parte dei peer-review
erano taroccate. Un fenomeno nato in Cina, che si è andato allargando a macchia
d’olio grazie a ‘buchi’ nei sistemi di log-in delle riviste e a false identità
create apposta per aumentare il numero dei falsi revisori, ovviamente tutti a
favore di un autore truffaldino. Nel gennaio 2015 il COPE (Committee on
Publication Ethics) ha pubblicato sul suo sito la notizia che tutto questo
sistema di falsificazione delle revisioni potrebbe addirittura essere gestito
da agenzie ‘specializzate’ che non si limitano ad assistere gli autori nella
redazione degli articoli scientifici, ma addirittura offrono agli stessi
autori, ovviamente a pagamento, una serie di revisioni certamente favorevoli.
Insomma un prodotto chiavi in mano. Ovviamente questo sistema continuerà a
funzionare se i giornali insisteranno nel chiedere agli autori di fornire i
nomi di possibili revisori per le loro pubblicazioni. Una pratica piuttosto
comune nell’ambiente perché in ambito superspecialistico, gli autori sono
quelli che meglio di altri conoscono i colleghi in grado di dare un giudizio
qualificato su quel tipo di ricerca. Certo, alla luce di tutti questi scandali,
diversi giornali stanno abbandonando la pratica di chiedere all’autore di
suggerire lui dei peer-reviewer. Ma forse neppure questo basta a garantirsi
dalle frodi. (Fonte: quotidianosanita.it 18-12-15)
LETTERA APERTA DEL CRNSU AL MINISTRO GIANNINI SULLA LEGGE DI STABILITÀ
«Ci saremmo aspettati di trovare in Legge di
Stabilità: più investimenti per l’Università e la ricerca pubblica; la
distinzione tra risorse riservate all’assunzione di nuovo personale e quelle
riservate agli avanzamenti di carriera; lo sblocco del turnover e l’uscita
dalla logica dei punti organico; lo svincolo della possibilità di nuove
assunzioni dai risultati della VQR – un meccanismo che svantaggia gli atenei
già in difficoltà; ammortizzatori sociali per garantire un minimo di
continuità di reddito al personale non strutturato; incentivi all’assunzione
consistente di ricercatori in tenure track. E invece apprendiamo che, proprio
oggi, un emendamento che voleva riparare almeno in parte a una situazione incresciosa
– l’esclusione dalla DIS-COLL di tutti i precari della ricerca – è stato
bocciato. Un ulteriore segnale della poca considerazione fornita a noi, alla
ricerca e all’Università pubblica.» (Fonte: Lettera del Coordinamento
Ricercatrici e Ricercatori Non Strutturati Universitari – CRNSU 22-12-15)
DIS-COLL,
L’AMMORTIZZATORE SOCIALE PENSATO PER I LAVORATORI PRECARI (E DATO CHE LA RICERCA È LAVORO VERO ANCHE
PER GLI ASSEGNISTI DI RICERCA?)
Lo scorso marzo, in seno al Jobs Act, nasce
la DIS-COLL, un’indennità di disoccupazione rivolta a collaboratori coordinati
e continuativi (Co.Co.Co.) e a progetto (Co.Co.Pro.). La DIS-COLL è un
tentativo di tamponare le carenze del sistema di protezione sociale per quanto
riguarda i precari, che ormai sono una regola più che un’eccezione nel mondo
del lavoro, fornendo loro un piccolo reddito
per i mesi successivi alla scadenza del contratto, nel periodo
necessario a reinserirsi nel mondo del lavoro. Tuttavia, la lettera della legge
lasciava qualche margine di ambiguità sul fatto che certe figure restassero
dentro o fuori dal perimetro dei beneficiari. Tra queste, i ricercatori –
dottorandi, borsisti e assegnisti di ricerca – che pure versano i contributi
alla gestione separata INPS. Il 13 maggio 2015, la domanda di ADI e FLC –
“anche i ricercatori avranno diritto alla DIS-COLL?” – è stata pronunciata in
un’interrogazione parlamentare per bocca dell’on. Anna Ascani (PD). Il
destinatario della domanda, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, ha
risposto fin da subito “no”: a suo avviso, infatti, lo statuto giuridico di
dottorandi, assegnisti e borsisti di ricerca non sarebbe equiparabile a quello
dei collaboratori coordinati e continuativi, e di conseguenza “la situazione
dei soggetti [di cui sopra] non è assimilabile ai Co.Co.Co. che prestano la
loro attività nel contesto di un vero e proprio rapporto di lavoro” – casomai,
si può configurare come un momento di “preparazione” alla carriera accademica
vera a propria. Ossia la ricerca non è un lavoro.
Da
ultimo si è fatto vivo il MIUR tramite il sottosegretario Faraone, il quale, in
un primo tempo sostanzialmente d’accordo con il ministro Poletti, ha dichiarato poi su
facebook: "Per la vicenda DIS-COLL gli assegnisti di ricerca hanno
ragione. Per loro ci assumiamo l'impegno di prevedere adeguati ammortizzatori
sociali di cui possano beneficiare al termine del loro rapporto con l'ateneo.
Perché la ricerca è lavoro vero.
Anche quello che si svolge durante un assegno di ricerca". Il post di
Faraone su facebook continua assicurando che il Governo si starebbe impegnando
"ad eliminare la parola "precario" dal vocabolario
italiano", e in particolare sul versante della ricerca si prefigge di
ampliare gli sbocchi per i precari della ricerca: nelle università e nei centri
di ricerca, ma anche nella Pubblica Amministrazione e nelle scuole. Va però
notato come il discorso di Faraone verta
solo sugli assegnisti di ricerca: nessuna promessa invece per quanto concerne
dottorandi e borsisti. (Fonte: Uninews24 08-01-16)
PROVENIENTI DALLA RICERCA SU ANIMALI LE 5 SCOPERTE SUL CERVELLO PIÙ
IMPORTANTI NEL 2015
Anche nel 2015 sono numerosi gli studi scientifici
effettuati su animali che si sono rivelati necessari per la comprensione dei
meccanismi di funzionamento del cervello e delle cause delle malattie
neurologiche e psichiatriche più diffuse. Di seguito trovate una selezione dei
lavori neuroscientifici più importanti condotti su animali, pubblicati su
riviste scientifiche internazionali e riportati da PubMed. Si veda in dettaglio
> tinyurl.com/o85us7v (Fonte: M. Rosanova, Blastinnews 28-12-15)
SERVIZI
CLOUD PER 1 MLD DI DOLLARI A RICERCATORI UNIVERSITARI E NO-PROFIT DONATI DA
MICROSOFT
Satya Nadella, chief executive di Microsoft,
ha annunciato martedì una nuova iniziativa di Redmond finalizzata ad
assicurarsi che le risorse di cloud computing del colosso Usa siano al servizio
del bene pubblico. Microsoft Philanthropies, istituzione di recente creazione,
donerà 1 miliardo di dollari di Microsoft Cloud Services a società no-profit e
ricercatori universitari nei prossimi tre anni. Microsoft aveva chiuso in
flessione dello 0,84% la seduta di martedì a Wall Street. (Fonte:
finanza.lastampa.it 20-01-16)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA
VALUTAZIONE PER MIGLIORARE NON PER DISTRUGGERE
L’autore dell’articolo (A. Belelli, Roars 19-12-15) aveva
scritto in precedenza: “Si fa finta di valutare allo scopo di poter dire che le
università hanno avuto meno soldi per colpa del loro scarso valore
scientifico”. Non era un’opinione esclusivamente personale: molte Università,
la Conferenza dei Rettori, e recentemente anche il Consiglio Universitario
Nazionale, hanno raccomandato la sospensione della VQR per ragioni analoghe.
Alcuni lettori hanno interpretato il suo articolo come un rifiuto delle
valutazioni meritocratiche tout court. In generale l’autore pensa che la
valutazione abbia senso solo se è finalizzata al miglioramento del servizio
offerto al cittadino, non alla sua distruzione. Se un servizio (ad esempio: una
università) viene valutato e si scopre che funziona male, il problema che la
politica deve porsi è quello di migliorarlo, non di tagliargli i finanziamenti
a scopo punitivo fino a strangolarlo, come sta succedendo attualmente con il
sistema universitario italiano. Si può commissariarlo, se necessario, o
licenziare i dipendenti comprovatamente inadempienti, ma la distruzione del
servizio va a danno dei cittadini-utenti. Per valutare ai fini di scartare
qualcosa, occorre disporre di un eccesso del bene valutato, e questo non è il
caso delle università italiane che non bastano a coprire il fabbisogno di
laureati del Paese e ospitano una popolazione di docenti e ricercatori per
milione di abitanti che è la metà di quella degli altri Paesi sviluppati. In
secondo luogo, valutare allo scopo di scartare e distruggere, richiede che il
bene valutato sia facilmente sostituibile: lo si deve poter buttare via senza
rimpianto e produrre nuovamente senza gravi costi, e questo, di nuovo, non è il
caso della scuola e dell’università. (Fonte: A. Belelli, Roars 19-12-15)
REDAZIONE
ROARS CI SPIEGA COME SAREBBERO DOVUTE ANDARE LE COSE CON LA VQR (VALUTAZIONE
QUALITÀ RICERCA)
Che
ci sarebbe stata una nuova campagna VQR lo si sapeva da tempo, quindi diciamo
che non è capitata proprio fra capo e collo. Eppure si naviga a vista, vengono
fornite istruzioni a docenti e ricercatori che devono compilare le diverse
parti della scheda di presentazione delle pubblicazioni ma queste istruzioni
devono essere continuamente corrette perché la procedura viene aggiornata in
continuazione sotto gli occhi di tutti, creando confusione e sconcerto. Si
poteva fare diversamente? Certo che si! Si potevano consegnare le specifiche
che disegnano l’applicativo tutte in una volta e per tempo. Si potevano evitare
le astrusità bibliometriche. In questo modo docenti e ricercatori italiani
(almeno quelli a cui non è ancora passata la voglia di partecipare alla VQR)
non avrebbero avuto la sgradevole impressione di essere di fronte ad una
costruzione instabile, la cui robustezza è ancora tutta da provare. (Per
saperne di più > http://tinyurl.com/jnhlkhx 21-01-16)
SISTEMA UNIVERSITARIO - EVOLUZIONE E PROPOSTE DI RIFORMA
RIFORMA GELMINI. CHE COSA È MIGLIORATO PER IL
RECLUTAMENTO
Rispetto
ai concorsi locali che c’erano prima, la riforma Gelmini ha introdotto almeno
una valutazione di massima e la verifica di uno standard minimo per l’accesso
alla carriera di professore universitario. Gli scambi di favori fra baroni
erano all’ordine del giorno prima della Gelmini. Molte persone che con i
concorsi locali avrebbero vinto a man bassa, con la riforma Gelmini non hanno
ottenuto le abilitazioni o non hanno neppure fatto domanda. È altresì vero che
ci sono state differenze non trascurabili fra i diversi settori
scientifico-disciplinari. Alcuni settori, rifiutando l’uso di metri di
valutazione oggettivi e trasparenti, hanno applicato criteri discrezionali e
perciò discutibili, promuovendo non tanto (o non sempre) i più bravi, ma quelli
più vicini alla commissione, come è nella tradizione di tutti i concorsi
universitari italiani. Soprattutto i settori non bibliometrici hanno mantenuto un’eccessiva
discrezionalità che non sempre ha premiato i migliori. Altri settori ancora
hanno abbassato troppo l’asticella, promuovendo una percentuale troppo alta e
facendo così un grave torto ai più bravi in quel settore che sono stati
penalizzati dalla conseguente svalutazione del titolo di abilitazione. Lo
schema della riforma è molto migliorativo rispetto al passato, ma occorre anche
apportare dei correttivi. Uno di questi correttivi è capire meglio chi decide
quale fra gli abilitati di un dipartimento debba avere la precedenza, in specie
in un regime di risorse scarse. (Fonte: F. Pastore, lavoce.info 17-12-15).
Uno
dei commenti all’articolo: La riforma Gelmini, fra l'altro, ha comportato in
molte situazioni lo snaturamento della natura monodisciplinare dei
dipartimenti. Come si fa ad immaginare criteri "oggettivi e trasparenti"
validi attraverso un’eterogeneità di discipline? Si parla tanto di chiamate
esterne. Ebbene, con scatti bloccati, ricostruzioni di carriera abolite,
stipendi uniformi su tutto il territorio nazionale, chi volete che si sposti?
(A. Salanti 18-12-15)
L’UNIVERSITÀ COME DIFFICILMENTE DOVREBBE ESSERE
Marco Ventoruzzo su lavoce.info (L’università come dovrebbe essere)
sostiene: I problemi dell’università italiana si risolvono solo delineando
senza ipocrisie un mercato della formazione. Si deve pensare senza ipocrisie a
un sistema in cui le tasse universitarie rappresentino una percentuale più
significativa del budget degli atenei rispetto ai fondi pubblici, corretto da
un efficace sistema di vere borse di studio, anche imposto per legge, che
garantisca i meno abbienti meritevoli. Questo approccio ha dei costi. Alcuni
atenei potrebbero risultare economicamente non sostenibili e alcuni docenti
potrebbero non trovare una cattedra. Ma l’idea che ogni provincia debba avere
una sua università (con la finzione che siano in qualche misura tutte
equivalenti) e ogni abilitato un ufficio è ancor più irrazionale e costosa,
tanto per cominciare per i troppi laureati che finiscono in un call center con
in mano un pezzo di carta poco spendibile. (Fonte: M. Ventoruzzo, lavoce.info
23-12-15).
Alcuni commenti alla proposta di M. Ventoruzzo:
Quella di far pagare in modo differenziato
l'università a ricchi e poveri è un'ottima idea. Lo stesso vale per sanitá e
ospedali, sicurezza, trasporti pubblici (oggi Lapo Elkann paga il bus come il
disoccupato ecc. ecc.). Un’ottima idea. Ma esiste già e si chiama tassazione
progressiva. Chi più ha (redditi assets ecc.) più contribuisce a pagare i
servizi pubblici a sua disposizione. Inoltre la tassazione risolve un secondo
problema e cioè differenziare il prelievo in base al ritorno economico ottenuto
dall’istruzione superiore. (Sergio).
Tutto bello e tutto corretto, ma allora cosa serve
pagare le tasse in proporzione al proprio reddito? più guadagno e più pago e
allora perché ripetere il medesimo meccanismo anche per l’erogazione di un
servizio? Così si estorce altro denaro a chi produce ricchezza. (Serlio).
Non condivido nulla di questa proposta. Assume una
visione di università ottocentesca mentre oggi l'istruzione superiore non deve
formare solo le élites ovvero fare ricerca di eccellenza: siamo nella società
di massa! Non è un caso che nei sistemi avanzati vi sia un numero elevatissimo
di istituzioni di istruzione superiore (un’università in ogni provincia come
direbbe l'autore dell'articolo ed anche di più!). Non esiste alcun Paese in cui
funzioni un mercato puro della conoscenza. L'esempio americano spesso portato
ad esempio è assolutamente incompreso (studiare un po' di più per favore). Una
proposta lunare, empiricamente infondata e anche un po’ irresponsabile. (G.
Capano).
Idee molto valide e di buon senso, peccato che
l'istruzione sia un prodotto a qualità di fede e che non sia valutabile ex ante
(e nemmeno ex post per molti anni) dal consumatore, almeno con riferimento al
risultato utile per lui e per la società. In un contesto del genere la
disciplina del mercato non può funzionare correttamente e quindi la concorrenza
non è la soluzione del problema. (L. Munari).
Parafrasando quanto scrisse Sabino Cassese venti
anni fa: nessun professore universitario scriverebbe un rigo sul proprio
argomento di ricerca senza essersi documentato con attenzione, mentre ogni
professore universitario pensa di poter dire la sua sull'università solo sulla
base della sua esperienza personale. Un male diffuso. (G. Capano).
NORME PER L’UNIVERSITÀ NEL C.D. DECRETO MILLEPROROGHE
Si avvicina lo sblocco di duemila assunzioni di
docenti universitari, tutto questo grazie alla proroga fino al prossimo 31
dicembre 2016 riguardante l’utilizzazione degli organici non utilizzati nel
periodo compreso tra il 2010 e il 2014. È inoltre prorogato fino al 31 dicembre
2016 il termine per assunzioni di personale a tempo indeterminato relative alle
cessazioni verificatesi negli ultimi anni, nel rispetto dei vincoli previsti
dal turn over, da parte delle amministrazioni dello Stato, agenzie, enti
pubblici non economici ed enti pubblici previsti dall’articolo 70 del decreto
legislativo 165/2001 nonché da parte dei Corpi di polizia, del Corpo nazionale
dei Vigili del fuoco, delle Università statali e degli enti di ricerca con i
limiti di spesa previsti.
IPOTESI
DI CHIUSURA E RISANAMENTO DI ATENEI
Nella selezione dei neolaureati da assumere,
i datori di lavoro tengono molto conto anche dell’università di provenienza dei
candidati, palesemente privilegiando laureati presso atenei di alta qualità,
localizzati soprattutto al Nord. Penso che, se risultasse impossibile
eliminare, in tempi brevi, l’attuale rilevante divario qualitativo delle nostre
università, da cui deriva una non ulteriormente tollerabile discriminazione dei
laureati anche su base geografica, nel superiore interesse del Paese sarebbe
preferibile chiudere tutte quelle meno dotate; e, con i conseguenti risparmi,
finanziare gli studi degli universitari oggettivamente meritevoli residenti in
zone sacrificate, soprattutto quelli provenienti da famiglie meno abbienti,
presso le rimaste università di qualità, opportunamente potenziate utilizzando
anche soggetti capaci (docenti e non) provenienti dagli atenei chiusi. Gli
studenti universitari realmente promettenti, di qualunque latitudine e censo
(in realtà numericamente molto inferiori rispetto a quanti regolarmente
iscritti), e non inclini a recitare impunemente il ruolo di impenitenti
fuoricorso, rappresentano, infatti, una fondamentale ed irrinunciabile risorsa
per il futuro prossimo del nostro Paese. Contemporaneamente si dovrebbe avviare
una vera e concreta riqualificazione delle università sacrificate risanabili,
non escludendo incentivati ed interessati interventi privati, per reimmetterle
al più presto in un sistema universitario nazionale finalmente equilibrato,
moderno ed omogeneamente efficiente. (Fonte: G. Cama, da una lettera a Beppe
Severgnini, CorSera 09-01-16)
STUDENTI
DIRITTO ALLO STUDIO. INSUFFICIENTI I FONDI E RIDOTTA LA
PLATEA DI IDONEI CON LA NUOVA ISEE
Il
coordinatore nazionale dell'Unione degli Universitari, Jacopo Dionisio,
sottolinea come i 55 milioni aggiunti dalla Legge di stabilità al Fondo
integrativo statale (FIS) per le borse di studio siano un piccolo passo avanti,
ma di certo vanno considerati come una somma ancora troppo bassa. Anche per
quest'anno, pertanto, saranno numerosi gli idonei non beneficiari di borsa di
studio: migliaia di studenti non otterranno i benefici del diritto allo studio
nonostante rispettino i requisiti di reddito e merito per mancanza di fondi
sufficienti. Una piaga tutta italiana. "L'anno scorso 1/4 degli studenti
idonei non hanno ricevuto la borsa per mancanza fondi - ha spiegato Dionisio -
Gli stanziamenti del Governo sono nettamente insufficienti: basti pensare che Paesi
come Germania e Francia spendono circa 2 miliardi di euro sul diritto allo
studio". Ad aggravare il quadro quest'anno ci si è messa anche la riforma
dell'ISEE, una misura che ha drasticamente ridotto ai benefici del DSU (Diritto
allo studio universitario). Il rettore dell'Università Federico II e presidente
della CRUI Gaetano Manfredi ha sottolineato come in Italia si investa
pochissimo nella formazione universitaria, docenti compresi. "Investiamo
un terzo rispetto alla Germania, non si possono fare le nozze con i fichi
secchi. Abbiamo un grande problema salariale, 5 anni di blocco stipendio sono
devastanti, soprattutto sui più giovani”. (Fonte: Uninews24.it 04-01-16)
NUOVE AGEVOLAZIONI FISCALI DAL 2016 PER LE BORSE DI STUDIO
La Legge di Stabilità 2016 introduce alcune
agevolazioni fiscali e contributive per coloro che hanno borse di studio.
Il comma 50 dell’art. 1 della Legge di Stabilità
2016 stabilisce che “Per l’intera durata del programma «Erasmus+», alle borse
di studio per la mobilità internazionale erogate a favore degli studenti delle
università e delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e
coreutica (AFAM), ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7,
paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) n. 1288/2013 del Parlamento
europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, si applicano le esenzioni
previste all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 9 maggio 2003, n. 105,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11 luglio 2003, n. 170”.
Il comma 51 dell’art. 1 della Legge di Stabilità
inoltre introduce un comma 6-bis all’art. 6 della legge 30 novembre 1989, n.
398: “6-bis. Le somme corrisposte a titolo di borsa di studio per la frequenza
dei corsi di perfezionamento e delle scuole di specializzazione, per i corsi di
dottorato di ricerca, per lo svolgimento di attività di ricerca dopo il
dottorato e per i corsi di perfezionamento all’estero, erogate dalla provincia
autonoma di Bolzano, sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche
nei confronti dei percipienti”.
Il successivo comma 52 stabilisce che “Le
disposizioni di cui al comma 51 si applicano per i periodi d’imposta per i
quali non siano ancora scaduti i termini di accertamento e di riscossione ai
sensi della normativa vigente”. Ricordiamo che, fino all’entrata in vigore
della Legge di Stabilità 2016, quando la legge non prevede in maniera tassativa
l’esenzione, le borse di studio e gli assegni sono soggetti alla tassazione
Irpef come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (Fonte: A. Barbato,
job.fanpage.it 26-12-15)
UN MOTORE DI RICERCA PER TUTTA L’EUROPA PER TROVARE LA BORSA DI STUDIO
GIUSTA
Muoversi alla ricerca di una borsa di studio per
finanziare al meglio il proprio percorso formativo non è semplice. Le
informazioni sono difficili da raccogliere e avere una panoramica di insieme è
quasi impossibile. Una preziosa guida al mondo delle borse di studio arriva ora
da Bruxelles. Si tratta di un’utilissima piattaforma online che consente di
trovare la borsa di studio che si adatta alle nostre esigenze. La ricerca del
finanziamento giusto spazia tra i diversi Paesi europei e tra le tante facoltà.
Non sono pochi i mezzi che aiutano a pagarsi l’università o a fare esperienze
formative all’estero. Basti dire che in Europa il budget totale stimato per le
borse di studio si aggira attorno ai 27 miliardi di euro. Tradotto in posti
disponibili vuol dire più di 12mila assegni a disposizione degli studenti. Per
trovare quello giusto ora basterà andare sul portale “European funding guide” (http://www.european-funding-guide.eu) e navigare all’interno delle circa 12.320 opportunità di finanziamento
a disposizione degli studenti europei. (Fonte: lastampa.it 30-12-15)
NUMERO
CHIUSO A ODONTOIATRIA MANDATO ALL’ARIA DAL TAR
Provi il test di ingresso per il corso di
laurea in odontoiatria, ma non lo passi. Che fai? O abbandoni i tuoi sogni di
gloria in camice bianco oppure ritenti il test l'anno dopo, sperando di essere
più fortunato (e preparato). Ma ora esiste un metodo più sicuro: andare
all'estero per un anno e poi tornare in Italia. Passando dal Tribunale
amministrativo regionale. Questo il percorso che il Tar ha considerato
legittimo e che rischia di mandare al collasso i corsi di laurea a numero
chiuso.
Ricapitoliamo. Un pronunciamento della
Consulta a inizio 2015 ha dato anche agli studenti provenienti da atenei esteri
la possibilità di chiedere un trasferimento per accedere ai corsi a numero
programmato, previa valutazione del curriculum accademico. Con un limite:
qualora non ci fossero stati posti liberi, l'università italiana avrebbe potuto
rifiutare il trasferimento. Una recente sentenza del Tar ha però cambiato le
cose: i giudici hanno stabilito che due ragazzi avessero diritto ad entrare
direttamente al secondo anno di Odontoiatria alla Statale, nonostante
l'Università milanese avesse rifiutato la loro domanda. Il rischio ora, se il
Consiglio di Stato confermerà la decisione del Tribunale Amministrativo Regionale,
è che si crei un precedente al quale chiunque possa appellarsi: basterebbe
frequentare il primo anno all'estero e poi chiedere un già certo trasferimento
in Italia. E pronta è arrivata anche la protesta degli studenti: “Non è giusto
che solo chi ha le capacità economiche di andare a studiare all'estero, veda
poi riconosciuta la possibilità di rientrare nel sistema universitario italiano
bypassando la lotteria dei test, mentre altri studenti sono costretti a
sbattere contro la selezione iniziale”. E un professore spiega: “Faccio un
esempio: al sesto anno bisogna fare oltre 1100 ore di didattica clinica, cioè
attività clinica con i pazienti. Se di colpo ci trovassimo da 60 a 100 studenti
come potremmo seguirli tutti? Non avremmo abbastanza strumentazione. E neppure
abbastanza pazienti. Vorremmo avere chiarezza per poter dare il meglio di noi e
abbiamo necessità di avere adeguata programmazione e progettualità”. (Fonte:
Libero Milano 09-01-16)
VARIE
SELEZIONE DI PERLE UNIVERSITARIE 2015
- Secondo la Grande Guida Censis-Repubblica, l’Università Roma Foro Italico surclassa i Politecnici nella ricerca di ingegneria industriale e dell’informazione. Peccato che Roma Foro Italico non offra corsi di ingegneria. Va anche detto che qualche anno fa il CENSIS chiedeva 20.000 Euro agli atenei per partecipare alla calibrazione degli algoritmi di ranking che avrebbe poi usato per stilare le classifiche.
- Ai giorni nostri, invece di scrivere “Aspettando Godot”, Samuel Beckett avrebbe scritto “Aspettando ASN”. Il 13 febbraio Scuola24 (Sole 24 Ore) scriveva: «L’abilitazione a sportello – con domande che potranno essere presentate in ogni momento – partirà l’1 marzo di quest’anno». È finito l’anno e stiamo ancora aspettando che la “salsiccia dell’ASN“, venga cotta a puntino.
- È noto che le classifiche delle università sono volatili e si contraddicono a vicenda, ma quelle del Sole 24 Ore si avviano a battere ogni record. Quest’anno il Politecnico di Torino brillava al primo posto della classifica che misura l’occupazione dei laureati, ma in meno di 10 giorni sprofonda al 22esimo posto. Cosa è successo? Il 24 luglio Roars intitolava “Classifica Sole 24 Ore: un ‘aiutino’ e … voilà, la LUISS scavalca il San Raffaele”. Passano pochi giorni ed ecco che il Sole “ricalcola” le classifiche, riportando il San Raffaele al secondo posto degli atenei non statali, seppure a pari merito con la LUISS. Ma la pezza è peggio del buco, perché adesso è il Politecnico di Torino a subire un serio danno di immagine, derivante dall’adozione di un indicatore del tutto inadeguato.
- I criteri bibliometrici della VQR si basano sulla somma di percentili di indicatori bibliometrici. Ma da più di 20 anni si sa che i percentili «cannot be aggregated in any meaningful way». Un errore arcinoto, che, oltre a essere oggetto di quiz per le high school, è stigmatizzato in numerosi libri di testo e anche in articoli scientifici, secondo i quali «The only reason for using percentile ranks is ignorance, and it is questionable whether a defense of ignorance will be viable». (Fonte: G. De Nicolao, Roars blob 2015, 01-01-16)
TASSE E QUALITÀ DIDATTICA NELLE UNIVERSITÀ
Il principio che affermo – ribadisce M. Ventoruzzo
replicando ai commenti a un suo precedente articolo (lavoce.info 23-12-15) - è
semplicemente quello di legare maggiormente le sorti di un ateneo alla sua
capacità di attrarre studenti, tramite la reputazione dei suoi docenti e
ricercatori. Ciò non esclude naturalmente che oggi ci siano in Italia
eccellenti studiosi ed eccellenti studenti, che in Italia (con forse maggiori
difficoltà e sacrifici) o all’estero ottengono importanti risultati.
Il risvolto della medaglia è quello di chiarire agli
studenti che le università non sono tutte uguali, favorire la possibilità degli
studenti di scegliere il percorso di studi, e aumentare la flessibilità delle
università. Ciò richiederebbe che una percentuale maggiore del finanziamento
delle università derivi da una sana competizione, piuttosto che da decisioni
più o meno illuminate e sistemi più o meno funzionali, ma comunque burocratici
e “dall’alto”. Le tasse universitarie, per chi può, dovrebbero dunque avere una
qualche correlazione al livello di servizio offerto, cosa oggi sostanzialmente
impossibile anche per i vincoli legali imposti ai singoli atenei. Questo spiega
anche perché la tassazione generalizzata e progressiva (naturalmente
desiderabile) non è un buon sistema per correlare risorse che giungono agli
atenei con i servizi offerti. Essa richiede, infatti, un sistema redistributivo
gestito dallo Stato in cui dal centro si distribuiscono le risorse in base a
criteri spesso discutibili. Non ho però parlato di un mercato selvaggio e
spietato, bensì di un mercato regolato, in cui lo Stato avrebbe un ruolo nel
certificare una qualità minima dei docenti (come già fa tramite la ASN),
nell’imporre un sistema di borse di studio con effetti redistributivi, nel
disciplinare le informazioni da fornire agli studenti ad esempio sul tasso di
occupazione dei laureati di una specifica università, nel favorire anche
fiscalmente le donazioni private alle università, nel sostenere settori di
ricerca altrettanto importanti culturalmente e scientificamente, ma meno in
grado di attrarre studenti. (Fonte: M. Ventoruzzo, lavoce.info 29-12-15)
UN APPELLO: PER IL DIRITTO ALLO STUDIO E ALLA RICERCA
Si riproduce parzialmente una lettera-appello
comparsa su Il Manifesto il 22-01-16. Gli estensori di questa lettera-appello
(A. Arienzo, P. Bevilacqua, A. Carravetta, B. Catalanotti, U. M. Olivieri) e i
suoi sottoscrittori sono accomunati dal convincimento che l'Università italiana
vede il drammatico ridimensionamento della sua influenza sulla società. Negli
ultimi 7 anni, per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana,
l'Università ha perduto un quinto delle sue strutture organizzative e lavorative
e ha visto ridursi il numero degli studenti. Come emerge da una ricerca
condotta, tra gli altri, da Gianfranco Viesti per la fondazione Res, è
drammatico il generale calo delle immatricolazioni che assume le dimensioni di
un crollo al Sud: nel 2012 -16% rispetto al 2000-20011 in Sicilia, -19,8% in
Calabria, -21,9 in Sardegna. L'Università è stretta in una morsa mortale, tra
un'intollerabile riduzione delle risorse finanziarie e una soffocante
burocrazia. Si assiste al proliferare di disposizioni normative, di pratiche
inquisitive, di controlli amministrativi, volti ad accrescere la sua «resa»
economica, a diminuire i costi interni e a subordinare strettamente il processo
di formazione al mercato del lavoro e delle professioni.
L'Italia figura ultima dei Paesi OCSE per i
fondi destinati all'Università e alla ricerca con un misero 1% del PIL. Le
tasse d'iscrizione sono cresciute negli ultimi 7 anni del 51%: il più elevato
incremento a carico di studenti e famiglie verificatosi a livello mondiale.
Oggi l'accesso all'istruzione universitaria italiana è il più costoso d'Europa,
dopo quello di UK e Olanda; inoltre da noi il diritto allo studio è stato dl
fatto smantellato: solo il 7% degli studenti riceve una borsa di studio a
fronte del 27% in Francia e del 30% in Germania. Le risorse già insufficienti
sono quindi attribuite sulla base di due parametri: il costo standard
necessario alla formazione di ciascuno studente sul territorio nazionale, un
parametro del tutto inappropriato quando si deve finanziare la crescita
culturale del Paese, e la qualità della ricerca stimata attraverso il parametro
VQR (Valutazione della Ricerca), un elefantiaco sistema di valutazione che ha
creato una situazione di confusione montante e di conflittualità. Tra l'altro a
questo metodo di valutazione sono sottoposti docenti sotto-pagati e del tutto
privi, da anni, di fondi per la ricerca, cioè delle risorse minime per ottenere
i risultati per i quali sarebbero valutati. Il risultato è stato la
penalizzazione di risorse, aree disciplinari, atenei e territori, soprattutto
(ma non esclusivamente) al Sud.
VIZI
STORICI DI CUI NON SIAMO CAPACI DI SBARAZZARCI
È certamente vero tuttavia che l'Italia
nell'Ue è oggi l'esatto opposto della Gran Bretagna.
Mentre Londra, come diceva John Major, è un
pugile che si batte in una categoria superiore al suo peso, l'Italia partecipa
alla gara in una categoria nettamente inferiore alle sue potenzialità.
A chi dovremmo darne la colpa se non ad
alcuni vizi storici di cui non riusciamo a sbarazzarci? Non giova alla nostra
credibilità europea, ad esempio, il fatto che il Sud non riesca a spendere i
soldi stanziati dall'Europa per le sue regioni meno sviluppate. Non giova alla
nostra reputazione che tutte le principali statistiche nazionali segnalino
l'esistenza di due Italie a cui è quasi sempre impossibile applicare le stesse
norme politiche, economiche e civili. Vi è qualcuno davvero convinto, nel mondo
della politica italiana, che tutti questi problemi verrebbero risolti se il
Paese non fosse più membro dell'Unione Europea? (Fonte: S. Romano, CorSera
07-01-16)
QUANTO COSTA L’INEFFICIENZA DELLA PUBBLICA AMINISTRAZIONE
L'inefficienza
della nostra macchina pubblica continua ad avere "un impatto molto
negativo sull'economia del Paese, frenandone la ripresa". Secondo i dati
dell'associazione CGIA di Mestre, i debiti della PA nei confronti dei fornitori
ammontano a 70 miliardi di euro al lordo della quota ceduta dai creditori in
pro-soluto alle banche. Il deficit logistico-infrastrutturale "penalizza
il nostro sistema economico" per un importo di 42 miliardi l'anno; il peso
della burocrazia grava sulle PMI per 31 miliardi l'anno e "24 miliardi di
euro di spesa pubblica in eccesso non ci consentono di ridurre la nostra
pressione fiscale in media UE". Dalla CGIA sottolineano anche gli sprechi
e la corruzione presenti nella sanità, che "ci costano 23,6 miliardi di
euro l'anno". Da non sottovalutare, poi, "la lentezza della nostra
giustizia civile che costa al sistema Paese 16 miliardi di euro l'anno".
"E' verosimile ritenere che se recuperassimo una buona parte dei soldi
evasi al fisco, la nostra macchina pubblica funzionerebbe meglio e costerebbe
meno" sottolinea Zabeo. Analogamente, "è altrettanto plausibile
ipotizzare che se si riuscisse a tagliare sensibilmente la spesa pubblica,
permettendo cosi la riduzione di pari importo anche del peso fiscale, molto
probabilmente l'evasione sarebbe più contenuta, visto che molti esperti
sostengono che la fedeltà fiscale di un Paese è direttamente proporzionale al
livello di pressione fiscale a cui sono sottoposti i propri contribuenti".
(Fonte: P. Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi CGIA,
economia.ilmessaggero.it 11-01-16)
ATENEI. IT
UNIBA. RECUPERO DI FONDI TRAMITE L’INDIVIDUAZIONE DI PIÙ O MENO
CONSAPEVOLI FENOMENI DI EVASIONE CONTRIBUTIVA DEGLI STUDENTI
Nel bilancio dell'Università di Bari per il
2015 ci sono 4 milioni e 400mila euro in più. Fondi recuperati grazie al
protocollo d'intesa tra UniBa e Guardia di finanza per il coordinamento dei
controlli sulle posizioni reddituali e patrimoniali del nucleo familiare dello
studente che usufruisce di agevolazioni contributive. Denaro che confluirà
nell'avanzo di amministrazione per il 2016. Sottoscritto il 13 marzo 2014
l'accordo, secondo le prime stime, ha portato a un aumento di poco più dell'11%
sui 38 milioni di euro di previsione di bilancio per l'anno appena passato. Le
verifiche svolte e tuttora in atto, la capacità di ascolto e di guida dei
funzionari della Guardia di Finanza e dell'Università rivolte agli studenti
hanno evitato fenomeni più o meno consapevoli di evasione contributiva e
costituito un efficace fattore deterrente per chi fino a ieri (e anche domani)
provava a fare il furbetto. Una convenzione ha riguardato anche attività di
collaborazione tra i due Enti per contrastare fenomeni di evasione fiscale da
parte di terzi, con la prospettiva di tutelare gli studenti fuori sede in una
Bari che si candida a trasformarsi in città universitaria. Uno dei fenomeni più
ricorrenti è stato quello degli studenti dichiaranti residenza autonoma. Per
rientrare in tale fattispecie di categoria e godere di riduzioni sulla
tassazione, infatti, è necessario possedere un reddito minimo e risiedere in
una abitazione slegata dal nucleo familiare e che non deve neppure essere di
proprietà di uno dei componenti dello stesso. Capitava invece che uno studente
abitasse in casa comunque di proprietà di un familiare. E questo non dava
diritto a sconti sulla tassazione.
(Fonte: A. Montemurro, Gazzetta del
Mezzogiorno 22-01-16)
UNIBO. TOCCO DEL RETTORE E BANDIERA DELL’ALMA MATER “UCCELLATI” DAI
GOLIARDI
Il tocco del rettore e la bandiera dell’Alma Mater.
E’ un ‘bottino’ ghiotto quello che hanno nelle loro mani i goliardi delle
‘balle’ bolognesi: un bottino per riavere il quale Francesco Ubertini dovrà
sborsare il pagamento di un riscatto (rigorosamente in bacco, tabacco e venere
e mai in vil denaro). Ma soprattutto, il rettore dovrà accettare un gioco
ironico e auto-ironico le cui regole sono scandite da secoli di tradizione.
Tutto è cominciato il 14 dicembre: alcuni capi degli ordini goliardici (a
Bologna sono nove, in questa avventura si sono imbarcati in sette) hanno
contattato la segretaria di Ubertini, Angela Belluzzi, vicina al mondo della
goliardia. L’intenzione degli universitari con la feluca (ossia il tradizionale
berretto colorato a seconda delle facoltà frequentate) era di presentare al
rettore un papiro o lettera formale di benvenuto. Ma, si sa, l’occasione fa
l’uomo ladro. Proprio in quel momento, infatti, veniva consegnato il nuovo tocco
(il copricapo cilindrico tipico dei professori universitari) di Ubertini. Un
attimo di disattenzione generale, un gesto veloce e tanti saluti. Per questa
prima impresa, gli studenti hanno già presentato le loro richieste: la presenza
di Ubertini alla cerimonia di inizio della festa delle matricole che si tiene
ogni anno a maggio e il coinvolgimento dei goliardi agli eventi universitari.
Ieri, però, è arrivato il colpo grosso al termine della festa degli auguri in
rettorato. I Goliardi si sono trattenuti per un brindisi finale con il rettore
nella sala dell’Ottavo Centenario. E così la bandiera che porta le insegne
dell’Alma Mater, incustodita in un angolo, è finita a ingrossare il bottino.
Ora, però, l’asticella delle richieste si alzerà. E Ubertini è già stato
avvertito. «Siamo molto felici della risposta che abbiamo ricevuto – sorride
Criceto, il Magnus magister, ossia capo della goliardia bolognese, al secolo
Antonio Barbara –: il rettore si è detto molto contento di giocare con noi.
Anzi, ha aggiunto: ‘Che questo sia solo l’inizio’. E così sarà». (Fonte: e. z.,
ilrestodelcarlino.it 23-12-15)
UNIBO.
FORBES: FRANCESCA MIRRI LAUREATA IN
INGEGNERIA CHIMICA A UNIBO TRA I MIGLIORI CERVELLI UNDER 30 AL MONDO
A 28 anni, poco dopo aver completato il
dottorato di ricerca alla William Marsh Rice University (Texas), Francesca
Mirri nata a Bologna, laureata in Ingegneria Chimica all’Alma Mater, è stata
dichiarata dalla rivista Forbes non solo tra i 600 più talentuosi under 30 del
pianeta, ma addirittura una dei 30 migliori cervelli nel settore “Manifacturing
and Industry”. Merito di un filamento di nanotubi al carbonio che promette di
rivoluzionare il settore aeronautico sostituendo i tradizionali cablaggi in
metallo con un materiale dalle proprietà meccaniche insuperabili. (Fonte: Unibo
e Uninews24 19-01-16)
NAPOLI. IN COLLABORAZIONE CON L'UNIVERSITÀ FEDERICO II IL PRIMO CENTRO
DI SVILUPPO APP IOS DI APPLE IN EUROPA
L’amministratore delegato di Apple, Tim Cook,
a Roma durante una colazione di lavoro con il premier Matteo Renzi ha reso noto
il progetto del colosso Usa di aprire a Napoli il primo centro di sviluppo App
iOS d'Europa «per fornire agli studenti competenze pratiche e formazione». Ce
n'è un altro in Brasile, altri ne apriranno in giro nel mondo. Quello partenopeo
verrà realizzato in collaborazione con l'università Federico II. Il clima con
il governo è tornato cordiale grazie alla transazione che ha risolto i guai di
Apple con il fisco italiano: l'azienda ha versato all'erario 318 milioni, a
fronte di una presunta evasione fiscale sull'Ires di circa 879 milioni nei
bilanci dal 2008 al 2013. Il rettore della Federico II, Gaetano Manfredi, ha
spiegato: «Nella valutazione la Apple ha preso in considerazione il sistema
universitario, il potenziale offerto da studenti e laureati. Quello che nascerà
sarà un campus dove fare formazione aggiuntiva e incubare imprese. Coinvolgerà
differenti discipline, da quelle scientifiche alle umanistiche. Ha pesato
positivamente anche il fatto che Napoli è una città giovane, dove ci sono molte
startup. In quanto alla location, ci hanno chiesto di individuare un sito
vicino alla città e ai giovani. Potrebbe essere nell'area est, nell'ex Cirio di
San Giovanni, oppure ovest a Bagnoli o nell'ex area Nato». (Fonte: A. Pollice,
Il Manifesto 22-01-16)
UNIPR. AL PRIMO POSTO TRA GLI ATENEI
STATALI ITALIANI PER LA CRESCITA DI MATRICOLE
A comunicarlo una nota dell'ateneo, secondo
quanto pubblicato dalla ricerca condotta da “la
Repubblica”: l’analisi effettuata su 70 atenei italiani, sia pubblici che
privati (sui 77 totali), mostra, dopo dieci anni pressoché consecutivi di calo
di matricole del sistema universitario italiano, una crescita media, a
livello nazionale, del 3.2%. E tra gli Atenei spicca Parma, con un aumento
delle matricole pari al 22.5%.
POLIMI.
UN OSCAR DELLA RICERCA
L’International Neural
Networks Society Gabor Award è una sorta di premio Oscar alla ricerca in campo
ingegneristico. E per la prima volta è stato assegnato a un italiano: Cesare
Alippi, docente di Informatica al Politecnico di Milano. Il premio gli è stato
conferito «per gli eccezionali risultati ottenuti nel campo dell'ingegneria e
delle applicazioni delle reti neurali e dell'apprendimento nelle macchine». Ad
annunciarlo è stato lo stesso Politecnico: il premio verrà consegnato in
occasione del prossimo "World Congress on Computational Intelligence” (il
principale congresso del settore "Intelligenza Computazionale") a
Vancouver, in Canada, che si terrà a luglio. Il professor Alippi ha raccontato
che con il suo team sta lavorando alla possibilità di fornire alle macchine
funzionalità molto avanzate dell'intelligenza umana, come metodi in grado di
rilevare eventuali guasti che interessano i sensori e i meccanismi di
interazione con l'ambiente, prima che il problema indotto dal guasto arrivi
fino al processo decisionale. «Pensiamo cosa potrebbe accadere se dovesse
guastarsi il sensore che attiva l'airbag di un veicolo — spiega Alippi — così
da far credere alla centralina di controllo che si è manifestato un incidente».
Insomma, conclude, «ci troviamo davanti ad un’evoluzione tecnologica senza
precedenti, dove le architetture cognitive e su base neurale fanno e faranno
sempre più la differenza». (Fonte: Avvenire 19-01-16)
ROMA. LA PRESENZA DEI DOCENTI NON È UN AGGRAVIO DI COSTI ALL’UMBERTO I
«I professori universitari hanno lo stesso stipendio
degli altri che operano nel comparto ospedaliero: non vengono certo pagati 2
volte perché sono docenti e medici. Il 62% di quella retribuzione è a carico
dell'Università, mentre solo il restante 38% pesa sul bilancio del Policlinico.
Quindi la presenza dei docenti nelle corsie dell'Umberto I non rappresenta un
aggravio per le casse del sistema sanitario regionale ma, al contrario, è un
beneficio a basso costo ed un valore aggiunto». Tiene a precisarlo più volte il
rettore dell'Università Sapienza, Eugenio Gaudio, dopo la notizia sul Dossier
stilato dall'azienda ospedaliera dell'Umberto I contro quella che è stata
definita la «spesa per i professori universitari, che ammonterebbe a parecchie
centinaia di milioni di euro» e i presunti «privilegi riservati al personale
universitario, che compromettono il bilancio aziendale» a causa della duplice
funzione dei docenti-medici in servizio al Policlinico. A rivelare il Dossier è
stato il procuratore del Lazio presso la Corte dei Conti, Angelo Raffaele de
Dominicis, nella requisitoria che accompagna il giudizio di parificazione del
rendiconto regionale per l'esercizio 2014, di cui «Il Tempo» ha dato conto recentemente.
Rettore Gaudio, ma allora perché l'azienda ospedaliera scrive di
"privilegi riservati al personale universitario"? «Non c'è alcun
privilegio, credo ci sia stato solo un fraintendimento. Probabilmente quel
Dossier si riferisce ad alcuni casi di personale amministrativo, ma non medico.
Pochi casi, al massimo una decina, di amministrativi che credo siano stati
equiparati a dirigenti dopo alcune procedure, già sottoposte peraltro al vaglio
della magistratura. Il costo complessivo annuale di tutto il personale ammonta
a 190 milioni, di cui 119 a carico dell' Università e solo 71 sul bilancio del
Policlinico, che dunque si avvantaggia sia dell'operato dei nostri 704
medici-docenti, che dei restanti 1905 dipendenti amministrativi e
socio-sanitari, coprendo solo il 38% dei costi». (Fonte: A.
Sbraga, Il Tempo 30-12-15)
UE. ESTERO
UE. L'OCCUPAZIONE DEI GIOVANI LAUREATI
Tra
il 2008 e il 2014 la media di giovani occupati a tre anni dal titolo
nell'Unione europea è scesa di otto punti, dall'82% al 76%, mentre in Italia è
crollata di oltre venti punti dal 65,2% al 45%. Nello stesso periodo in
Germania la percentuale è cresciuta dall'86,5% al 90%, mentre in Francia è
passata dall'83,1% al 75%. Nel Regno Unito la percentuale è rimasta stabile
passando dall'83,6% all'83,5%. In genere i tassi di occupazione dei laureati
sono superiori a quelli dei diplomati (questi ultimi risentono del tipo di
diploma con un'occupabilità più alta per i titoli professionali), ma l'Italia è
all'ultimo posto in graduatoria nella percentuale di giovani laureati. Sempre
secondo le statistiche Eurostat, riferite al 2014, sui giovani nella fascia tra
i 30 e i 34 anni, gli italiani si collocano "dietro la lavagna" per
l'educazione terziaria con appena il 23,9% di laureati a fronte del 37,9% della
media Ue. Il dato è migliorato rispetto al 19,2% del 2008, ma meno di quanto
abbiano fatto in media gli altri Paesi Ue (la percentuale era al 31,2% nel 2008
ed è quindi cresciuta di oltre sei punti). (Fonte: IlSole24Ore 07-01-16)
OBIETTIVO EUROPEO STABILITO IN HORIZON 2020: RAGGIUNGERE
IL 40% DI LAUREATI ENTRO IL 2020
Al
professore Antonio Banfi, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Bergamo e fra i fondatori dell’Associazione
Roars, è stato chiesto: Per quali Paesi è ancora valido l’obiettivo europeo
stabilito in Horizon 2020, quello cioè di raggiungere il 40% di laureati entro
il 2020? Quali sono le esperienze più virtuose cui guardare? Risposta: Nel suo
complesso, l’UE punta a raggiungere almeno il 40% di laureati. Otto nazioni
hanno un target superiore al 40%. L’Italia, al contrario, non solo è tra le
dieci nazioni il cui target è inferiore al 40%, ma presenta il target più basso
dell’intera UE: 26-27%, partendo dal 21,7% del 2012. Un target decisamente meno
ambizioso di quello di altri Paesi come Malta (MT), Croazia (HR) e Slovacchia
(SK), il cui dato di partenza supera di poco quello italiano. Per avere un
raffronto internazionale, vale la pena di consultare le statistiche Eurostat.
Nel 2000, l’Italia pur essendo già nelle ultime posizioni, con il suo 11,6%
aveva una percentuale di laureati superiore a quella di Portogallo (11,3%),
Slovacchia (10,6%), Romania (8,9%) e Malta (7,4%). Il distacco dalla media EU27
(22,4%) era di 10,8 punti percentuali. Tredici anni dopo, nel 2011, pur essendo
salita al 22,4%, l’Italia è scivolata in ultima posizione e il distacco
rispetto alla media EU27 (37,0%) è salito a 14,6 punti percentuali. D’altronde,
nel decennio 2000-2010, l’Italia è stata l’unica nazione europea la cui spesa
(in termini reali) per l’istruzione non è cresciuta (fonte: Funding of
Education in Europe. The Impact of the Economic Crisis). (Fonte: Redazione
Roars 03-01-16)
DANIMARCA.
I 5 ATENEI MIGLIORI
Ben cinque Università in
Danimarca sono in evidenza nelle classifiche del Ranking Ufficiale Mondiale QS
2015-2016, che vede in testa in 69esima posizione l’università di Copenhagen,
fondata nel 1479, la più antica Istituzione in Danimarca. Seguono le altre
quattro migliori: l’università di Aarhus, l‘Università Tecnica della Danimarca
al 107° posto nella classifica QS, l’Università di Aalborg che si classifica al
356°posto nel Ranking QS, l’Università del Sud della Danimarca al 361° posto
dello stesso Ranking. Per maggiori informazioni vedi http://tinyurl.com/jz5cxuy. (Fonte: Uninews24 12-01-16)
FRANCIA. QUASI IL 60 % DEI GIOVANI NON RIESCE A PASSARE
AL SECONDO ANNO DI UNIVERSITÀ
Ce chiffre, issu du dernier rapport «Parcours et réussite aux diplômes
universitaires» du ministère de l'Enseignement supérieur aurait dû, année après
année, provoquer un «haut-le-coeur». Un de ceux qui permettent une prise de
conscience. Que nenni. Sur 177.228 étudiants inscrits pour la première fois en
licence en 2013, seuls 40% passent en deuxième année. Le constat est éloquent:
27% redoublent et 30% quittent l'université. Les jeunes bacheliers, alimentés
par le sacro-saint principe d'«accès pour tous à l'université», amplifient le
mouvement: 65 000 inscriptions supplémentaires ont été enregistrées à la fac en
2015. Pire, ils s'inscrivent massivement dans les filières dites sous tension,
avec plus de candidats que de places. Santé, droit, staps (activités physiques
et sportives) regroupent aujourd'hui 50% des demandes d'entrée en licence. Face
à cela, le gouvernement a entamé une réforme de sa procédure d'admission
postbac, obligeant les étudiants à choisir au moins une licence sans places
limitées, et à sélectionner les préférences au sein d'académies d'affectation,
pour proposer une alternative géographique aux universités les plus prisées.
Pour avancer plus que des demi-mesures, l'université française devra réaffirmer
le véritable sens du principe d'«accès pour tous à l'université». Si l'Etat
doit garantir à chacun l'accès à des études supérieures, il n'est pas tenu de
laisser les amphithéâtres se remplir d'étudiants dont une grande majorité
échouera dès la première année. (Fonte: Figaro Magazine 04-01-16)
FRANCIA.
IL RECLUTAMENTO DEI MAITRES DE CONFERENCES (MCF) E DEI PROFESSEURS DES
UNIVERSITÉS (PR) È CRITICATO PER LOCALISMO
Les débats qui
ont régulièrement lieu au sein de la communauté universitaire et au Parlement
ont montré, à travers les multiples prises de paroles et témoignages, que les
modalités de recrutements des Maîtres de Conférences (MCF) et des Professeurs
des Universités (PR) sont dysfonctionnelles. En cause notamment, le localisme
et les recrutements arrangés par des
comités de sélection ad hoc. Presque tous les observateurs appellent à
ce que ces modalités soient entièrement revues car elles pénalisent bon nombre
de candidats de valeur qui ne trouvent pas de poste faute d’appartenir au bon
réseau ou d’être le candidat «local». Le gouvernement a commandé un rapport
visant à réformer ces modalités. Par ailleurs, à une époque où la baisse des
postes publiés est de plus en plus significative et où dans ce que l’on appelle
les petites disciplines on est confronté pratiquement au néant, cela devient
particulièrement urgent. Si on a désormais décidé de se passer de certaines
disciplines, il faut au moins trouver des solutions pour celles et ceux qui sont déjà en poste. (Fonte: Una lettera ricevuta e
pubblicata da Roars 08-01-16)
GRAN BRETAGNA. IL POLITICALLY CORRECT STA MINACCIANDO LA LIBERTÀ DI
PENSIERO E DI ESPRESSIONE NELLE UNIVERSITÀ
Un gruppo di professori di Oxbridge, cioè di Oxford
e Cambridge, ha scritto una lettera aperta al Daily Telegraph per denunciare il
politically correct che sta uccidendo progressivamente la libertà di pensiero
ed espressione nelle università britanniche, indebolendone il ruolo di spazio
privilegiato del confronto delle idee. Il casus belli è la campagna indetta per
rimuovere la storica statua di Cecil Rhodes, ex alunno e benefattore dell'Oriel
College (tanti ragazzi si sono fatti strada grazie ai suoi soldi), perché
considerato l'ispiratore dell'apartheid in Sudafrica. Ma le sue colpe - fa
notare qualcuno - non ne cancellano i meriti a favore del progresso. Un
principio che può essere applicato anche a Lorenz in campo medico. O a
Heidegger in campo filosofico. O a Celine in campo letterario. Ironia della
sorte, e dimostrazione della stupidità insita nel politicamente corretto: l'ex
studente che ha lanciato la crociata per la rimozione della statua, il
sudafricano Ntokozo Qwabe, ha potuto studiare a Oxford grazie a una borsa di
studio finanziata dalla Fondazione Rhodes.
L'aspetto più inquietante della faccenda è che a
farsi promotori dell'autocensura basata sulla correttezza politica, ad Oxford,
non sono i professori, ma gli stessi studenti. (Fonte: L. Mascheroni, Il
Giornale 20-12-15)
GRAN BRETAGNA. A OXBRIDGE NUMERO TROPPO BASSO DI POSTI OFFERTI AI GIOVANI
SVANTAGGIATI
Una recente verifica, compiuta a livello
governativo, rivela che spesso gli studenti vengono selezionati sulla base del
loro reddito e, soprattutto, che ai ragazzi che provengono da aree meno ricche
e da famiglie meno colte non viene concessa la possibilità di seguire i corsi,
a dispetto del loro merito e dei loro risultati scolastici. A contestare questo
atteggiamento da parte delle due università storiche della Gran Bretagna,
Oxford e Cambridge, sono stati i componenti della commissione governativa per
la mobilità sociale e l’infanzia povera, che hanno anche inviato un ammonimento
ai vertici dei due atenei. L’attacco rivolto a Oxford e Cambridge riguarda il
fatto che, dati alla mano, solo il 2,2 per cento dei nuovi studenti proviene da
un ambiente caratterizzato da povertà sociale e culturale. Al di là del numero,
l’indagine mette in luce diversi aspetti. Anzitutto le due università
dovrebbero, in base alle proiezioni, aumentare la presenza di allievi
provenienti da scuole pubbliche del 24 per cento per Oxford e del 18 per cento
a Cambridge; ancora nei college di Oxbridge (la parola che fonde Oxford e
Cambridge in un’unica entità) il numero di posti offerti ai giovani
svantaggiati è rimasto troppo basso nonostante le raccomandazioni avanzate dal
governo e la percentuale riservata a chi arriva da scuole private e
costosissime è troppo alta. In particolare meno della metà dei posti
disponibili vengono destinati a ragazzi di provenienza «normale». I college
peggiori in questo senso sono quattro a Oxford (University College, St Peter’s,
Trinity e Christ Church) e uno a Cambridge, il Robinson. (Fonte: C. Belloni,
corriere.it/scuola/universita 21-12-15)
TURCHIA.
ARRESTO DI DOCENTI UNIVERSITARI CONDANNATO DALL’UNIONE EUROPEA
L'Unione europea ha condannato
il fermo di una ventina di docenti universitari in Turchia e ha denunciato il
"clima di intimidazione" nel Paese. Gli accademici arrestati ieri e
liberati alla fine della giornata avevano firmato una petizione per chiedere la
fine delle operazioni militari contro i ribelli curdi nel Sud-est della
Turchia. "Si tratta di uno sviluppo estremamente preoccupante", ha
dichiarato il portavoce Ue per gli affari esteri. (Fonte: askanews.it 16-01-16)
USA. I
DIPLOMATI PROVENIENTI DA FAMIGLIE A BASSO REDDITO CHE SI ISCRIVONO
ALL'UNIVERSITÀ SONO DIMINUITI DEL 10%
Barack Obama si è speso in
prima persona per un'ambiziosa campagna nazionale per l'aumento dei laureati,
con l'obiettivo di "riportare ancora una volta l'America nel 2020 ad avere
la più alta percentuale di laureati del mondo". L'appello si è tradotto in
una gara di generosità da parte di fondazioni, organizzazioni e fondi federali
che ha fatto lievitare il valore totale delle borse di studio da 82 miliardi di
dollari nel 2008 a 123 miliardi di dollari nell'anno accademico 2013-2014. Gli
ultimi dati dell'Ufficio statistico statunitense hanno fatto registrare, però,
una tendenza preoccupante: nello stesso periodo la quota dei diplomati
provenienti da famiglie a basso reddito che si iscrivono all'università è
diminuita di ben dieci punti percentuali, passando dal 56% del 2008 al 46% del
2014. Dove sono andati a finire tutti gli studenti meno abbienti? si chiedono i
ricercatori Chris Nellun e Terry Hartle in un articolo su The Presidency.
Nellun e Hartle propongono cinque possibili ipotesi: 1) il rapido aumento delle
rette universitarie, soprattutto in ambito pubblico, potrebbe aver portato
molti a ritenere di non potersi permettere l'università; 2) l'idea che il
valore economico dell'istruzione universitaria sia diminuito; 3) con la ripresa
economica gli studenti a basso reddito tentano di entrare nel mondo del lavoro
in misura maggiore rispetto a quelli più benestanti; 4) le iscrizioni
universitarie tendono a diminuire quando l'economia è in crescita, ed il calo
di iscrizioni nelle università private può avere avuto un impatto sproporzionato
sugli studenti più poveri. (Fonte: M. Boraccino, rivistauniversitas 15-12-15)
USA. L’OCCUPAZIONE DEI DOTTORI DI RICERCA (PHD GRADUATE)
Uno studio statunitense pubblicato su Science risponde al concreto e crescente
interesse dell’opinione pubblica e della politica su come l’attività di ricerca
finanziata contribuisce all’attività economica. Dall’analisi di 3197 PhD
graduate (dottori di ricerca) finanziati con borse di ricerca presso le
Università di Indiana, Iowa, Michigan, Minnesota, Ohio State, Purdue, Penn
State, e Wisconsin tra il 2009 e il 2011, sono emersi dati confortanti
per il pubblico statunitense. Infatti, coloro che hanno conseguito un dottorato
di ricerca rimangono in larga percentuale all’università, proseguendo nella
ricerca (57,1%), mentre in numero crescente sono assunti nel settore privato
dell’industria (38,7%), di cui un 17% presso imprese che fanno ricerca, sviluppo
e innovazione, e solo il 4,1% assume incarichi di governo. Inoltre, più del 20%
dei neo-dottori di ricerca rimane nello stato in cui operava, e circa il 13%
entro 80 Km dalle proprie università. Se nell’industria gli stipendi sono
mediamente più elevati di quelli all’università, in tutti i settori di lavoro,
i campi con i rendimenti maggiori sono matematica, informatica e ingegneria.
Mentre i guadagni dei PhD in biologia sono bassi, probabilmente per il fatto
che diventano ricercatori post-dottorato. (Fonte: S. Campanella, galileonet.it
21-12-15)
CILE. UNIVERSITÀ GRATUITA
La Camera e il Senato cileni hanno approvato la
legge che stabilisce la gratuità del sistema educativo a partire dal 2016. Un
provvedimento, quello del governo guidato da Michelle Bachelet, che interessa
178.000 universitari fra i più poveri, ma che potrà interessare tutti gli altri
studenti entro il 2020. La riforma educativa abolisce una volta per tutte
quella ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet, che ha obbligato le
università pubbliche ad autofinanziarsi e gli studenti a pagare migliaia di
dollari all’anno di tasse. (Fonte: uninews24 31-12-15)
LIBRI
L'ABBECEDARIO
DI MONTECITORIO. La Camera dei Deputati in un surreale dizionario dalla A alla
Z
Autore: Ilaria Capua. EDIBUS
Comunicazione s.r.l. 2016.
Ilaria
Capua, medico veterinario di formazione, virologo di fama internazionale,
conosciuta per i suoi studi sui virus influenzali, deputato, racconta le stranezze, le incongruenze e i
sorprendenti accadimenti che si verificano nel palazzo di Montecitorio. Usando
come asse portante l’alfabeto, descrive con ironia e un po’ di amarezza alcuni
aspetti della logistica, dell’organizzazione e delle dinamiche incomprensibili
e surreali che si verificano a Palazzo. L’occhio curioso ma severo di una donna
di scienza che non smette mai di sorprendersi, evidenzia i parallelismi fra il
comportamento animale e ciò che si verifica nell’aula o negli spazi comuni
della Camera dei Deputati. È un libro leggero, sorprendente e divertente che
dovrebbe farci riflettere perché, in fondo, la Camera, checché se ne dica, è
un po’ un’Italia in miniatura.
I deputati neofiti sono
persone normali, dice, ma alcuni vengono presto contagiati - come fosse un virus maligno - da una
maleducazione plateale, inscenata in aula per farsi riprendere da cameramen e
fotografi. Nel libro abbondano le analogie con il comportamento animale,
sopratutto di altri primati a proposito delle esibizioni dei maschi alfa,
volgarità riservate a una bella signora comprese. Anche se la voce
"Scienza" è fra le più
deprimenti del libro, la politica ignora la scienza e se ne occupa soltanto
quando può essere strumentalizzata per enfatizzare una posizione o per
accontentare un bacino elettorale. E di questo non si fa segreto. Da
vice-presidente della Commissione Cultura, Istruzione e Ricerca (adesso è in
quella delle Politiche Comunitarie), Ilaria è riuscita a "fare
qualcosa" con l'approvazione di tutti i partiti o quasi. Di recente sembra
diventato ancora più difficile. Per esempio, Renzi aveva annunciato a "Che
tempo fa" uno stanziamento di 50 milioni per il 2016 (75 a partire dal
2017) per la chiamata diretta di 500 professori universitari, ordinari e
associati, che si sono distinti per elevato merito scientifico. In Commissione,
Ilaria faceva approvare una piccola aggiunta: valutava il "merito
scientifico" delle eccellenze un comitato composto al 50% da stranieri,
come si usa nei Paesi sviluppati. Il governo pareva favorevole, poi ci
ripensava e proponeva un 30%, ma meglio che niente. Proposta bocciata in aula
dai deputati del PD. (Fonte: Presentazione dell’editore;
ocasapiens-dweb.blogautore.repubblica.it 13-01-16)
CATTIVI SCIENZIATI. La frode nella ricerca scientifica
Autore: Enrico Bucci. Addeditore 2015, 160 pg.
Quando ho iniziato a lavorare nel settore
dell’analisi dei dati biomedici ero convinto che la Scienza si autocorreggesse
e che i ricercatori fossero motivati nel dire sempre la verità. Nelle
discipline scientifiche ogni ricercatore ha fiducia e si appoggia ai risultati
ottenuti da altri per le proprie particolari indagini, il che era ciò che
intendevo fare, incrociando dati provenienti da fonti diverse e individuando
possibili risposte a problemi scientifici molto differenti.
Immaginate lo shock che ho provato quando, armato
della giusta tecnologia informatica, con il mio gruppo di collaboratori ho
trovato che nella letteratura scientifica corrente i tre peccati capitali della
frode scientifica – fabbricazione di dati ed esperimenti, loro falsificazione e
plagio – sono talmente diffusi da destare seria preoccupazione riguardo
all’affidabilità di ciò che crediamo di sapere. Ho cominciato a scrivere alle
riviste di settore per investigare su potenziali casi di frode, e ho finito con
il coinvolgere la polizia in qualche caso davvero preoccupante.
La frode nella ricerca scientifica non è una novità,
ma oggi viene praticata a livelli mai visti prima. Il risultato? La Scienza è
minacciata da un numero crescente di ricercatori disonesti che, perseguendo i
loro scopi personali, danneggiano la collettività.
In questo libro si racconta chi fa frode scientifica
e quali interessi persegue, si indagano le conseguenze della sottrazione di
fondi alla buona ricerca e si evidenzia il danno provocato allo sviluppo
economico del nostro Paese. (Fonte: Presentazione dell’autore riportata
dall’editore)