IN EVIDENZA
LEGGE DI
STABILITÀ. DALLA CAMERA ULTIME NOVITÀ SU DSU, RICERCATORI E PROFESSORI
Nella legge di Stabilità, giunta all’approvazione finale, sono una novità
i 55 milioni in diritto allo studio (fondo integrativo per le borse di studio):
erano 5 milioni al Senato, sono diventati 55 alla Camera. I ricercatori da
assumere nel 2016 sono saliti a 1.200 dai 1.000 annunciati.
Con iI nuovo fondo per le 500 c.d. «cattedre del merito» si istituisce un
nuovo canale di reclutamento dei professori, alternativo a quello attualmente
in vigore, in deroga alle procedure di reclutamento previste dalla Legge n. 240/2010.
Il nuovo fondo potrà servire a reclutare con chiamata diretta i professori
universitari anche tra chi non ha in curriculum l'abilitazione nazionale e anche
tra professori ordinari e associati già in servizio nelle università, seppur
con l’obbligo di cambiare ateneo in caso di chiamata per la stessa fascia. La
chiamata diretta, inoltre, potrà riguardare anche i ricercatori, che erano
esclusi dal meccanismo nella vecchia versione. La commissione Bilancio della
Camera ha così allargato le maglie del reclutamento straordinario dei
professori universitari, che viene intitolato a Giulio Natta (premio Nobel per
la chimica nel 1963). L'ampliamento della platea non cambia però la dotazione
del fondo, che rimane ferma a 38 milioni nel 2016 e a 75 a partire dal 2017.
Accanto al Fondo Natta a Montecitorio è stato approvato un altro
emendamento che dà il via a un piano straordinario parallelo, riservato al
reclutamento di professori ordinari. A questo secondo progetto sono destinati 6
milioni nel 2016 e di 10 milioni l'anno dal 2017, per assumere i nuovi ordinari
anche tra coloro che hanno conseguito la vecchia abilitazione, quella disciplinata
dalla legge 210 del 1998. In questo modo, si perpetua la possibilità di far
salire in cattedra i titolari delle vecchie abilitazioni, che secondo le
previsioni originarie avrebbero dovuto avere una validità di tre anni e sono
poi entrate in un meccanismo di proroghe continue. Un successivo emendamento ha
chiarito che il piano straordinario per la chiamata di professori di prima
fascia sarà emanato entro il 31 gennaio del 2016 e non di ciascun anno del
biennio 2017-2018 come previsto dal testo approvato dalla commissione Bilancio.
(Fonti: online-news.it 16-12-15; La Repubblica 16-12-15; IlSole24Ore 17-12-15 e
20-12-15)
IL MINISTRO
GIANNINI INTERVISTATO SUI PROBLEMI DELL'UNIVERSITÀ IN PARTICOLARE NEL SUD
«C'è un lieve recupero di immatricolati come certifica l'Istat, ma non
tale da farci recuperare nelle classifiche europee, peraltro dove si considera
laureato chiunque faccia degli studi dopo la maturità mentre noi puntiamo alla
laurea quinquennale, uno schema classico che ci deriva dalla storia del '900 e
che non sempre oggi dà le risposte che servono. Anche i corsi biennali post
diploma, che dobbiamo sviluppare di più, sono istruzione superiore».
«Non c'è alcun dubbio che la crisi economica si senta di più al Sud. La
crisi pesa sulle famiglie e ha effetti sull'istruzione non obbligatoria. Ecco perché
insisto sul fatto che dobbiamo offrire anche opzioni più brevi rispetto al 3+2
e orientate verso quanto ci chiedono gli stessi studenti: cioè una formazione
che soddisfi la domanda di innovazione».
«La tutela del diritto allo studio nel nostro Paese è debole per quantità
e gestita in modo inefficiente, soprattutto al Sud, anche se non solo nel
Mezzogiorno. Nella legge di stabilità abbiamo dato un segnale con 212 milioni
per questo capitolo di spesa. So che sarebbero serviti 300 milioni, ma intanto
è un segnale. Però, ne convengo, va eliminata questa figura assurda dello
"studente idoneo senza borsa". La mia proposta, da discutere nella
Conferenza Stato-Regioni, è di lasciare alle Regioni la gestione di mense e
alloggi e di spostare sulle università i fondi per le borse di studio. Abbiamo
iniziato a parlarne nella conferenza di Udine organizzata dal Pd».
«In questa conferenza sono uscite buone idee per l'università. Il settore
non ha bisogno di un'altra riforma, sarebbe incauto andare a cambiare mentre è appena
andata a regime la riforma precedente. Vanno migliorati singoli aspetti e
questo delle borse di studio ne è un ottimo esempio, peraltro con un meccanismo
anche semplice».
«Sulla ripartizione delle risorse oggi il Mezzogiorno risente di tre
fattori che indeboliscono l'alta formazione: due a carattere interno agli
atenei e uno esterno. C'è un'inefficienza misurabile con i troppi studenti
fuori corso. Non sto dicendo che sia un problema solo del Sud o di tutti gli
atenei meridionali, però in generale ci sono più fuori corso al Sud. In Belgio
se per due volte non si supera lo stesso esame si esce da quel corso di studi: non
mi sembra un modello da seguire, non mi piacciono le soluzioni estreme, però
qualcosa va fatto. Il secondo tema è la ricerca: sono la prima a sostenere che
la valutazione va affinata, tuttavia c'è un gap Nord-Sud nei risultati che va
superato dagli atenei. Mi rifiuto di pensare che la ricerca non si possa far
bene ovunque. E qui veniamo al terzo fattore: la territorialità. Non c'è dubbio
che sia difficile e anche meritorio fare alta formazione in un'area con le
diseconomie del Mezzogiorno. Di questo si tiene conto nel calcolo del costo
standard per studente. Ma non basta: nel Sud vanno create delle aree ad alta
intensità d'innovazione, che oggi in Italia sono presenti a Milano, a Torino,
in Friuli. Sui punti organico mi risulta che il Sud abbia una quota adeguata,
considerando gli atenei in ordine con i bilanci. In ogni caso, lo sblocco
totale del turnover per i ricercatori vale per tutti. Certo, non sono soldi
cash e quindi ogni università dovrà agire in base ai propri bilanci. Vedremo
cosa sapranno fare, ma è un'opportunità straordinaria». (Fonte: M. Esposito,
intervista al ministro Giannini, Il Mattino 09-12-15)
UNA
DISCRIMINAZIONE LESIVA ANCHE DELLA DIGNITÀ DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA
Nella legge di stabilità in discussione alla Camera non è più reiterato
per il 2016 il blocco delle classi e degli scatti stipendiali della Docenza
Universitaria, rimasto in vigore per cinque anni, dal 2011 al 2015. Non sono
però riconosciuti gli effetti giuridici del quinquennio 2011-2015. Invece per
tutti gli altri dipendenti pubblici il blocco è cessato fin dal 1° gennaio 2015
e gli effetti giuridici del periodo 2011-2014 sono stati riconosciuti. La
discriminazione è lampante e lesiva anche della dignità della docenza
universitaria, che non è spesa improduttiva da tagliare. E ciò a prescindere
dal danno economico dei singoli, notevole soprattutto per i più giovani.
Per evitare equivoci e strumentalizzazioni, i Docenti precisano ancora
una volta che non chiedono nessuna restituzione né arretrati per il quadriennio
2011-2014. E non chiedono neanche aumenti di stipendio: chiedono solo di poter
percepire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre categorie del pubblico
impiego, le retribuzioni che sarebbero spettate loro in assenza del blocco del
quadriennio 2011-2014. (Fonte: C. Ferrero, Roars 10-12-15)
CLASSIFICA DEGLI
SCIENZIATI ITALIANI PIÙ PRODUTTIVI MEDIANTE L’INDICE DI HIRSCH (H-INDEX). LE
ECCELLENZE IN EMILIA-ROMAGNA
L’indice di Hirsch (h-index) è un valore che esprime sia la produttività
di uno scienziato sia l'impatto che questa ha misurato in base alle citazioni
ricevute. Questo indicatore è stato proposto nel 2005 dal fisico argentino
Jorge Hirsch (da cui l'H) per valutare quanto uno scienziato ha pubblicato e
quanto i suoi colleghi hanno ritenuto importanti le sue pubblicazioni. Ad
esempio: un H di 30 significa che lo scienziato ha pubblicato almeno 30
articoli che sono stati citati almeno 30 volte ciascuno, in almeno altri 30
articoli scritti da altri scienziati.
Per entrare nella hit è necessario avere almeno un H di 30. In base alla
classifica, il primo italiano è Carlo Maria Croce, oncologo sperimentale che
lavora sia presso l’Università di Columbus, Ohio, sia presso l’Università di
Ferrara, e che può vantare un H-index eccezionale (191). Secondo, ma non meno
importante, è Alberto Mantovani, professore ordinario di Patologia generale e
direttore scientifico dell'Istituto Clinico Humanitas di Rozzano (Milano),
immunologo di fama internazionale, che ha un H index di 155.
Per l’Emilia Romagna, tra i primi con un indice di Hirsch pari o
superiore a 100, emergono i fisici Concenzio Bozzi di Ferrara e Paolo
Giacomelli di Bologna (entrambi al 31° posto con un H-index di 111), il medico
Leonardo M. Fabbri di Modena (32° con un H-index di 110), i fisici Francesco
Navarria e Lorenzo Bellagamba di Bologna (entrambi 35° con un H-index di 107),
il chimico Vincenzo Balzani di Bologna (41° con un H-index di 101), e
l’astrofisico Giovanni Zamorani di Bologna (42° con un H-index di 100).
Un motivo di vanto per l’Università di Modena e Reggio Emilia, e non solo
per il primo classificato, è il prof. Leonardo M. Fabbri, pneumologo, che con
un H-Index di 110 si classifica al 32° posto assoluto, e 3° in Italia nel campo
della ricerca in medicina clinica. A seguire, troviamo infatti il prof. Andrea
Cossarizza, ordinario di Patologia generale e immunologo, al 77° posto con un H
index di 66, il prof. Clodoveo Ferri, reumatologo al 83° posto con un H-index
di 60, e il prof. Antonello Pietrangelo, internista esperto di malattie rare
del fegato, all’89° posto con un H-index di 54. (Fonte: quotidiano.net
09-12-15)
RAPPORTO RES
2015. UN’INDAGINE SULLE
UNIVERSITÀ DEL NORD E DEL SUD
Il rapporto 2015 della Fondazione RES dal titolo “Nuovi divari.
Un’indagine sulle Università del Nord e del Sud” riporta dati sconfortanti:
crollo degli iscritti, scendono docenti e personale tecnico. In particolare,
rispetto al 2004, nel 2014-15 gli immatricolati si sono ridotti di oltre
66.000, passando da circa 326.000 a meno di 260.000 (-20%); i docenti da poco
meno di 63.000 a meno di 52.000 (-17%); il personale tecnico amministrativo da
72.000 a 59.000 (-18%); i corsi di studio sono scesi da 5634 a 4628 (-18%).
L'obiettivo europeo di raggiungere il 40% di giovani laureati nel 2040 sembra
decisamente lontano: l'Italia, infatti, si posiziona all'ultimo posto tra i 28
stati membri con il 23,9% (v. Tabella, da Roars 14-12-15)
"Questi numeri drammatici sono direttamente connessi anche al calo
del fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO), che è diminuito
del 22,5%, e alla mancanza di adeguati finanziamenti nel diritto allo studio.
Basti pensare - afferma Campailla (LINK) - che i servizi del diritto allo
studio si rivolgono solo al 10 % del totale degli universitari e, tra gli
idonei a ricevere la borsa di studio, uno su quattro non la ottiene per
mancanza di fondi. Anche i servizi mensa e alloggio sono carenti: solo il 2%
degli studenti è assegnatario di un posto alloggio nelle residenze
universitarie, mentre è disponibile un posto in mensa ogni 35 studenti
iscritti".
"Il calo delle immatricolazioni, ad esempio, è differenziato per
territori - prosegue il portavoce di LINK - ed è particolarmente intenso nelle
Isole (-30,2%), nel Sud continentale (-25,5%) e nel Centro (-23,7%, specie nel
Lazio); più contenuto al Nord (-11%). Anche gli abbandoni degli studi seguono
una dinamica territoriale; dati recenti mostrano che una significativa quota di
studenti abbandona i corsi universitari dopo il primo anno: il 12,6% al Nord,
il 15,1% al Centro e il 17,5% al Sud".
"Il rapporto analizza anche il tasso di abbandono universitario che
nel Sud si attesta al 17,5%, con punte del 25%, contro il 12% del Nord, spiega
Dionisio (UDU). Tra le cause, oltre all’assenza e alla scarsa qualità dei
servizi offerti, vi sono senza dubbio anche le carenze strutturali del diritto
allo studio: le Regioni del Sud vi investono circa 40 € per studente, la metà
del Nord. Al Sud gli studenti finanziano di tasca propria più del 50% del
diritto allo studio. Anche la ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario
ha contribuito ad aumentare la forbice tra atenei del Nord e atenei del
centro-sud: questi hanno perso il 12%, con picchi di oltre il 20% nelle isole,
contro il 4,3% perso dalle università del Nord". (Fonte: http://tinyurl.com/zd2r423
10-12-15)
ATTO DI
INDIRIZZO DEL MIUR PER LE PRIORITÀ POLITICHE DEL PROSSIMO ANNO. I BUONI
PROPOSITI PER LE UNIVERSITÀ
Dalla nota 38 del 30 novembre 2015 "Atto
di indirizzo priorita politiche del MIUR per ricerca e università anno 2016"
si riproducono di seguito le priorità inerenti all'università.
Priorità politica 9 - ORIENTAMENTO
Orientamento come politica attiva, disegnata e attuata in sinergia tra
scuola università e mondo del lavoro. Percorsi di orientamento nel corso della
scuola secondaria, come antidoto alla dispersione e al "fuori-corso".
Priorità politica 10 - DIRITTO ALLO STUDIO E MERITO
Studente e contesto territoriale al centro dell'investimento, aumentare
il numero dei beneficiari di borse, rendere più efficienti I criteri
d'assegnazione: valorizzare il merito.
Priorità politica 11 - ATENEI ATTRATTIVI
Rendere gli atenei competitivi: incentivare la vocazione settoriale di
ciascuno, rafforzando gli strumenti per I'autonomia in coerenza con la propria
missione.
Priorità politica 12 - INTERNAZIONALIZZAZIONE
Incentivare l'internazionalizzazione degli Atenei: attrarre capitale
umano da altri paesi, mobilità globale di studenti e docenti, offerta formativa
interdisciplinare, flessibile e a vocazione internazionale.
Priorità politica 13 - CAPITALE UMANO
Investire nei processi di ricambio della classe docente, garantire I'accesso
agile alla carriera accademica e l'efficace copertura del turn over.
Priorità politica 14 - MOBILITÀ
Promuovere le politiche di mobilità dei ricercatori a tutti i livelli,
favorendo e semplificando le procedure di "portabilità" dei progetti
di ricerca, specie in raccordo con il sistema delle infrastrutture.
Priorità politica 15 - STATUS DEI RICERCATORI
Definire un nuovo status giuridico del personale di ricerca degli EPR, in
sinergia con quanto avviene nelle Università, applicando l'apposita delega
governativa e valorizzando ruolo e autonomia del ricercatori.
Priorità politica 17 - PROGRAMMA NAZIONALE DELLA RICERCA
Dare efficace attuazione alla strategia del Programma Nazionale della
Ricerca e alla nuova programmazione comunitaria attraverso una sinergia
virtuosa con Regioni e stakeholders del sistema ricerca.
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ABILITAZIONE
SCIENTIFICA NAZIONALE. GLI EFFETTI NEFASTI DELLA PERDURANTE ASSENZA DI UNA
LEGGE SULLA PROCEDURA
La giunta nazionale dell’USPUR ritiene che l’Abilitazione Scientifica Nazionale
sia in un pericolosissimo stallo. Di fatto, i tempi tecnici non consentiranno
un fattivo esame delle candidature prima della fine del 2016. In pratica,
saranno trascorsi quasi tre anni dall’ultima procedura di valutazione. Rendiamo
atto che l’impianto legislativo, col recente parere del Consiglio di Stato, sia
pronto per l’operatività. Sfortunatamente, i molti distinguo, purtroppo non
concordanti, sollevati da varie società scientifiche, ANVUR e CUN, sembrano
frapporsi alla necessaria sintesi che dovrà confluire nel provvedimento finale.
In questo momento l’assenza di una legge sta producendo effetti più nefasti di
una cattiva legge. La maggior criticità riguarda le posizioni di ricercatore a
tempo determinato di tipo senior (RTDb). Procedendo di questo passo c’è il
rischio che qualcuno di loro si trovi a terminare il triennio senza che abbia
avuto la possibilità di sottoporsi ad una procedura di abilitazione
scientifica. Pertanto, Le chiedo di farsi parte attiva affinché tale procedura
sia convertita in legge il prima possibile, ancorché con il testo proposto
attualmente. Volendo introdurre degli emendamenti e/o correzioni, nulla vieta
che essi possano essere legiferati in corso d’opera. (Fonte: Lettera inviata
dal Segretario nazionale dell'USPUR M. Masi al ministro Giannini, 09-12-15)
ASN. CONTRARIA ALLA LEGGE LA PREVISIONE DI
UNA MAGGIORANZA QUALIFICATA DEI QUATTRO QUINTI DEI COMMISSARI
La previsione di
una maggioranza dei quattro quinti dei commissari per il conferimento
dell’abilitazione non avrebbe alcun riscontro nella legge n. 240/2010, che pure
detta i puntuali criteri ai quali il regolamento cui vengono demandate le
modalità di espletamento delle procedure abilitative deve conformarsi. In
questi ultimi, infatti (v. comma 3, lett. a, dell’art. 16 della legge n.
240/2010), il legislatore si limita a prevedere che l’attribuzione
dell’abilitazione avvenga “con motivato giudizio fondato sulla valutazione dei
titoli e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del
contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte”, senza fare
cenno a maggioranze “qualificate”. Anzi, la previsione di queste ultime sarebbe
in contrasto con la necessità – espressamente ribadita dal legislatore – che il
giudizio collegiale sia “motivato”, giacché esso – quando i voti negativi sono
solo due su cinque – rifletterebbe incongruamente l’opinione della minoranza
della Commissione. Il
regolamento emanato in esecuzione della predetta disposizione di legge (D.P.R.
n. 222/2011) ha invece ritenuto di introdurre, per le deliberazioni delle
Commissioni, la previsione di una maggioranza qualificata dei quattro quinti
dei commissari (art. 8, comma 5). Siffatta previsione regolamentare,
assolutamente innovativa rispetto a tutta la pregressa legislazione in materia
di concorsi universitari, risulta in contrasto con quelle di legge. (Fonte:
sentenza del 3-11-15, Sezione terza bis del TAR Lazio)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
CLASSIFICA 2015 "QS TOP 50 UNDER
50". LE MIGLIORI UNIVERSITÀ GIOVANI
Le Università
asiatiche dominano la classifica 2015 "QS Top 50 under 50",
pubblicata oggi su http://www.TopUniversities.com.
La classifica, che rivela le migliori università al mondo con meno di 50 anni
di età, vede le università di Singapore, Hong Kong e Corea tra i primi sei
posti, di cui la metà sono di Hong Kong. Nanyang Technological University
mantiene il primo posto a livello mondiale, seguita da HKUST e KAIST. L'Europa
conta 24 tra le 50 migliori giovani università, mentre l'Asia 13. L'Australia è
il paese più presente in questa classifica, con 8 università. Il Regno Unito e
la Spagna ne hanno entrambe 5. La "top young university" dell'America
Latina è l'Universidade Estadual de Campinas (Unicamp), che arriva undicesima. Nella classifica
pubblicata sono state incluse anche le università oltre il cinquantesimo posto.
Ciò ha consentito una maggiore rappresentanza delle università le cui
performance nell'insegnamento e nella ricerca sono sempre più degne di nota. L'Università degli
Studi di Roma Tor Vergata (posizione 50-60) è l'unica Italiana in classifica.
Lo scorso anno occupava il 33° posto in classifica e la nuova posizione é stata
determinata principalmente dall'evoluzione della metodologia del QS World
University Rankings 2015/16. (Fonte: adnkronos 25-11-15)
UN AIUTO PER SCALARE LA CLASSIFICA DELLA
REPUTAZIONE ACCADEMICA NEI QS WORLD UNIVERSITY RANKINGS
Urge individuare
ottocento colleghi stranieri “di fiducia”, disposti a menzionare il nostro
ateneo nel sondaggio sull’academic reputation condotto da Quacquarelli Symonds.
Il rettore che manda questo SOS ai suoi dipartimenti sa bene che la posta in
palio non è piccola, dato che l’esito di quel sondaggio determina la parte più
importante (40%) del punteggio con cui QS calcola la sua classifica
internazionale degli atenei. Sta accadendo in Italia e non è il primo caso.
L’ateneo italiano che sta andando alla ricerca di “voti amici” per il sondaggio
QS, è uno di quelli che ha deliberato sanzioni severe per i docenti che non
collaboreranno alla VQR. Sanzioni ritenute necessarie anche in ragione del
danno economico di immagine causato all’Ateneo da un possibile esito negativo
della valutazione. Si vede che l’ANVUR e la VQR incutono più timore delle
possibili indagini della QS Intelligence Unit e dell’eventuale declassamento
nella classifica QS. (Fonte: Redazione Roars 22-12-15)
DOCENTI
RANKING DELLA
IDEAS-REPEC. NOVE ECONOMISTI NATI IN ITALIA SUI CENTO TOTALI INDICATI
Nella classifica proposta da IDEAS-RePEc (ovvero l’indice delle ricerche
in ambito economico e finanziario che si occupa del mondo accademico) figurano
infatti ben nove economisti nati in Italia sui cento totali indicati. Un
risultato di prestigio per il nostro Paese e in particolar modo per le donne,
dal momento che due ricercatrici ‘under 40’, Raffaella Sadun e Veronica
Guerrieri, occupano le posizioni di vertice. A guidare l’indice mondiale c’è
invece l’economista ucraino Yuriy Gorodnichenko, professore associato presso la
Berkeley University (California).
La pubblicazione del ‘ranking’ della IDEAS-RePEc era molto attesa dato
che, a cadenza mensile, viene valutato il lavoro di ricerca dei principali
economisti, prendendo in considerazione i ‘paper’ pubblicati e le citazioni
ricevute da altri colleghi. Insomma, si tratta di un database nel quale si
trovano alcuni dei nomi che nei prossimi anni diverranno un punto di
riferimento nel campo delle analisi economico-finanziarie. In particolar modo,
la classifica ha tenuto conto solamente degli economisti che vantano meno di
dieci anni di presenza nell’archivio telematico di IDEAS. (Fonte:
BreakNotizie 11-12-15)
NON SARANNO PIÙ A CARICO DEL BILANCIO DEGLI
ATENEI GLI SCATTI PER I DOCENTI UNIVERSITARI
Il Senato è
riuscito a reperire la modica somma di 25 milioni per il 2016 e 30 per il 2017,
per far fronte al pagamento degli scatti stipendiali, bloccati da cinque anni,
a professori e ricercatori universitari. Se non ci saranno ulteriori sorprese,
l’onere non sarà più a carico degli esangui bilanci degli Atenei, come era
stato scritto nel disegno di legge di stabilità varato dal governo alcune
settimane fa. Da sottolineare la pronta rivendicazione del risultato da parte
del sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone (Pd) e del senatore Raffaele
Calabrò (Ncd-Udc). Quest’ultimo ha parlato di «fine della disparità di
trattamento nei confronti dei professori universitari, unici ancora sottoposti
al blocco selettivo degli scatti di anzianità». Peccato che abbia omesso di
precisare che la patente disparità, determinatasi in passato anche col voto
favorevole del suo partito, permane per quanto attiene al pregresso, per il
quale non v’è stato alcun recupero, neppure giuridico, come invece era stato
richiesto dalla stragrande maggioranza dei docenti, nel corso di numerose assemblee
ed iniziative di protesta. (Fonte: R. Tomei, Il Foglietto 26-11-15)
UN INEDITO
FRONTE DELLA PROTESTA DEI DOCENTI UNIVERSITARI
Per il blocco della valutazione della ricerca scientifica (Vqr) e per lo
sblocco degli scatti stipendiali dei docenti si sono pronunciati ventuno senati
accademici, 46 atenei coinvolti, 129 mozioni approvate. Le mozioni approvate da
Nord a Sud, isole comprese, sono tre. Sono state votate dai dipartimenti e in
alcuni casi dagli organi di governo degli atenei. La prima, cosiddetta
«Ferraro», avrebbe ricevuto l’adesione di 20.000 docenti e ha lo scopo di
«ottenere lo sblocco delle classi e degli scatti stipendiali con decorrenza 1°
gennaio 2015» e cita la protesta contro la procedura ministeriale di
valutazione dei «prodotti della ricerca», l’acronimo è Vqr. La seconda è la
mozione «Semplici». Il testo si presenta più determinato e offre alcune tracce
per ricostruire cosa è realmente accaduto nel deserto degli atenei in questi
anni: «Sono sotto gli occhi di tutti alcuni effetti prodotti non dalla
valutazione in quanto tale, ma dalle modalità con le quali è stata realizzata.
La didattica è stata marginalizzata, gli incentivi sono stati concentrati sui
prodotti della ricerca. Per chi aspira a “fare carriera” ogni ora trascorsa al
servizio degli studenti appare come un’ora di tempo perso». La terza mozione è
sottoscritta dalla Rete 29 Aprile e dal Conpass dei professori associati.
Insieme alla Flc-Cgil hanno elaborato un testo che riprende la versione
«Semplici» dove si ricorda l’allarme lanciato dalla CRUI sulla situazione degli
atenei. L'articolo de Il Manifesto che riporta quanto sopra conclude che i
docenti universitari hanno impiegato quattro anni per uscire dal congelatore e
prendere parola. Ora sembra che il dado sia stato tratto. (Fonte: R.
Ciccarelli, Il Manifesto 09-12-15)
DOCENTI
UNIVERSITARI. DANNI DERIVANTI DAL MANCATO RICONOSCIMENTO GIURIDICO DEL PERIODO
2011-2015
I professori e ricercatori universitari
chiedono solo di poter percepire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre categorie del pubblico impiego, le retribuzioni
che sarebbero loro spettate in assenza del blocco del quadriennio 2011-2014. I
danni del mancato riconoscimento giuridico sono i seguenti: 1) Perdita di 260
euro netti al mese, anche sulla tredicesima, finché si rimane in servizio: 3400
euro netti l’anno. Per un Docente con età di 55 anni una perdita complessiva di
51.000 euro. Per Docenti più giovani ancora di più. 2) Perdita di circa 12.000
euro netti, sempre in media, sulla buonuscita. 3) Perdita di 200 euro netti al
mese, anche sulla tredicesima, sulla pensione: 2.600 euro netti l’anno. (Fonte:
Prof. C. V. Ferraro 02-12-15)
I DOCENTI UNIVERSITARI VALUTATI E
DISCRIMINATI
"Il pregiudizio sui docenti" così
s'intitolava un articolo su Il Giorno del 6 dicembre. Che tale pregiudizio sia
ingiusto lo dimostra quanto segue. Nel 2011 il Governo Monti introdusse il blocco
delle classi e degli scatti stipendiali per i dipendenti pubblici, esclusi i
magistrati. Con l'eccezione dei docenti universitari, il 1° gennaio 2015 il
blocco è cessato per tutti i dipendenti pubblici con anche il riconoscimento
degli effetti giuridici per il periodo 2011-2014. I docenti universitari (anche
di atenei non statali), come diplomatici, magistrati, e militari, sono
"personale non contrattualizzato", ossia non scioperano e non
negoziano il loro stipendio, che aumenta solo per scatti di merito o anzianità.
Nella legge di stabilità ora in discussione il blocco è abolito anche per i
docenti, ma non vengono riconosciuti gli effetti giuridici del quinquennio
2011-2015. La discriminazione appare frutto di un ingiusto pregiudizio verso
un'intera categoria evidentemente giudicata immeritevole e improduttiva, Si
tenga invece presente che oggi un docente per raggiungere il vertice della
carriera come professore ordinario deve aver superato cinque concorsi, a
cominciare da quello per il Dottorato di ricerca. Da anni i docenti sono
oggetto di una valutazione periodica della loro attività didattica e
scientifica, che in teoria dovrebbe premiare i migliori anche in termini economici,
ma il governo non ha mai attuato misure precise in proposito. (Fonte: M. De
Leonardis, Il Giorno 06-12-15)
I DOCENTI
UNIVERSITARI. UNA DISCRIMINANTE "PUNIZIONE"
"La 'punizione' dei docenti universitari" così s'intitolava un
articolo di Repubblica.it del 6 dicembre.
Nel seguito la ragione del titolo. Non occupano le stazioni e non
bloccano le strade, e forse per questo della protesta dei docenti universitari
si legge poco. Non solo, non hanno nemmeno interrotto lezioni ed esami, per non
danneggiare gli studenti. La loro agitazione - almeno finora - si esprime
attraverso mozioni approvate dai Senati accademici (ben 129 di 46 atenei), con
una lettera al presidente della Repubblica firmata da oltre 14.000 docenti e
con l'ostruzionismo alla VQR, la "valutazione della qualità della
ricerca". A scatenare la protesta è una norma della Legge di stabilità, in
cui, pur non rinnovando il blocco degli scatti e delle classi di stipendio
rimasto in vigore dal 2011 al 2015, non vengono riconosciuti gli effetti
giuridici di quanto sarebbe maturato nel quinquennio, come invece è stato fatto
per tutti gli altri dipendenti pubblici, per i quali peraltro il blocco era già
finito dall'inizio di quest'anno. E' difficile capire perché sia stata decisa
questa discriminazione, visto anche che gli stipendi degli universitari non
sono certo tra i più alti del pubblico impiego. Sembra quasi che ci si voglia
accanire contro l'università, già colpita in questi anni da tagli pesanti e
riduzione del numero dei docenti, con risultati non certo incoraggianti.
(Fonte: C. Clericetti, Repubblica.it 06-12-15)
RETRIBUZIONI. LETTERA DEI DOCENTI
UNIVERSITARI AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
14.000 docenti
universitari hanno scritto una lettera al Presidente della Repubblica e oltre
20.000 hanno annunciato proteste, per chiedere che le classi e gli scatti
stipendiali siano sbloccati a partire dal 1° gennaio 2015, la stessa data in cui sono stati rimossi blocchi analoghi per tutti gli
altri dipendenti pubblici e che il quadriennio 2011-2014 sia riconosciuto
ai fini giuridici, con conseguenti effetti economici solo a partire dallo
sblocco delle classi e degli scatti dal 1° gennaio 2015, come avvenuto per tutti gli altri dipendenti pubblici. “Nella legge
di stabilità – osservano i docenti - in discussione alla Camera non è più
reiterato per il 2016 il blocco delle classi e degli scatti stipendiali della
Docenza Universitaria, rimasto in vigore per cinque anni, dal 2011 al 2015, ma
non vengono riconosciuti gli effetti giuridici del quinquennio 2011-2015.
Invece per tutti gli altri dipendenti pubblici il blocco è cessato fin dal 1°
gennaio 2015 e sono stati riconosciuti gli effetti giuridici del periodo
2011-2014. La discriminazione è lampante e lesiva anche della dignità: la
Docenza non è spesa improduttiva da tagliare! E ciò a prescindere dal danno
economico, notevole soprattutto per i più giovani. Per evitare equivoci e
strumentalizzazioni i Docenti precisano che non chiedono nessuna restituzione
né arretrati per il quadriennio 2011-2014. E non chiedono neanche aumenti di
stipendio, ma solo di poter percepire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre
categorie del pubblico impiego, le retribuzioni che sarebbero spettate loro in
assenza del blocco del quadriennio 2011-2014”. (Fonte: ilVelino/AGV NEWS Roma
03-12-15)
SPESA COMPLESSIVA DELLE C.D. PENSIONI D'ORO:
5 MILIARDI DI EURO (5,3% DEL TOTALE PENSIONI CHE AMMONTA A 277 MILIARDI L'ANNO)
La spesa per le
pensioni resta altissima e in aumento: nel 2014 si è incrementata dell'1,6%
arrivando a oltre 277 miliardi di euro. Quanto incide su questa spesa
l'ammontare delle c.d. pensioni d'oro? Poco meno di diecimila “paperoni”
(9.190, lo 0,1% del totale) ricevono una pensione superiore ai 10.000 euro.
Spesso suggeriti come il bancomat a cui attingere per risolvere tutta una serie
di questioni, in realtà gli importi - individualmente elevati - a livello
complessivo si fermano sotto il miliardo e mezzo di euro l'anno, pari allo 0,5%
del totale. Aggiungendo i quasi 176.000 pensionati che ricevono assegni tra i
5.000 e i 10.000 euro (0,8% dei trattamenti) la spesa complessiva sfiora i 5
miliardi di euro (5,3% del totale). (Fonte: Il Gazzettino.it Economia 03-12-15)
INFORMAZIONI
SULLE PENSIONI
Siamo tuttora in attesa di conoscere le decisioni che prenderanno il
governo e il parlamento per quanto riguarda la normativa sulle pensioni e il
ripristino degli scatti biennali (ora triennali) dello stipendio. Sembra certo,
ormai, che l’ultima proposta INPS sulle pensioni sia stata accantonata perché presenterebbe
aspetti negativi di rilevanza costituzionale e comporterebbe un aumento del
disavanzo per importi stimati dall’INPS fra 1 e 3-4 miliardi da qui al 2025, il
che vuol dire un maggior onere futuro a carico dei giovani.
Si informa inoltre che la rivalutazione delle pensioni per l’anno 2016
sarà pari a zero. È quanto prevede il decreto 19 Novembre 2015 del Ministero
dell’Economia. Si tratta del decreto di cui all’art. 11, comma 1, di un altro
decreto legislativo (n. 503/1992) per cui tutti gli anni, a cavallo della fine
del mese di Novembre, il ministero fissa le percentuali di rivalutazione delle
pensioni sulla base dell’inflazione. Il decreto dell’anno scorso prevedeva, per
il 2015, un tasso provvisorio dello 0,3%, mentre ora viene stabilito quello
definitivo, che è dello 0,2%. Quello provvisorio per il 2016, invece, è pari a
zero. Quindi, gli assegni dei pensionati nel 2016 verranno abbassati dello 0,1%
incassato in più durante il 2015, mentre non si applicherà nessuna
indicizzazione ulteriore perché il tasso provvisorio 2016 è pari a 0. (Fonte:
Segreteria nazionale USPUR 09-12-15)
DOTTORATO
BUROCRAZIA
E DOTTORATO
I corsi di dottorato devono rispettare i
bizzarri requisiti numerologici del Decreto MIUR “Regolamento recante modalità
di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per la
istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati”: ci deve
essere un collegio composto da almeno 16 docenti, di cui non più di 4
ricercatori, appartenenti al “macrosettore” disciplinare di riferimento, con
documentati risultati di ricerca di livello internazionale conseguiti nei 5
anni precedenti; ci deve essere altresì, per ogni ciclo di dottorati da
attivare, la disponibilità di un numero medio di almeno 6 borse di studio per
corso di dottorato attivato, fermo restando che per il singolo ciclo di
dottorato tale disponibilità non può essere inferiore a 4. 16, 4, 5, 6, 4:
una buona sequenza da giocare al lotto, scaturita dalla perversa fantasia dei
burocrati dell’ANVUR e impossibile da rispettare per un “macrosettore” che
tutto è fuorché “macro”, ad esempio le Scienze della Terra. Eppure i docenti e
ricercatori delle Scienze della Terra, decimati più di ogni altra area
disciplinare dalle limitazioni sul turnover, ce l’avevano messa proprio tutta,
dimostrando ragionevolezza e senso di responsabilità, quando si trattò di
decidere i cosiddetti “macrosettori” all’interno dell’area disciplinare:
scelsero infatti di fare un macrosettore unico coincidente con l’area 04
“Scienze della Terra”, in modo da evitare inutili barriere e semplificare la
crescente burocrazia. I nuovi criteri ministeriali però hanno condannato lo
stesso a morte certa i dottorati in Scienze della Terra. Purtroppo queste sono
le conseguenze della folle scelta di concepire nel nostro Paese il dottorato
come una sorta di posto di lavoro a tempo determinato, da assegnare tramite
concorso pubblico. A ciò si sono poi aggiunte la burocrazia dell’accreditamento
ministeriale, la numerologia anvuriana, i selvaggi tagli di borse e di posti,
le utopiche e antistoriche sinergie a livello di Regione che assomigliano
troppo a espressioni di provincialismo piuttosto che di regionalismo e, non
ultima, la fantasia dei docenti nell’escogitare soluzioni stravaganti per
venire a capo del rebus. (Fonte: N. Casagli, Roars 03-12-15)
PROGETTO
PHD ITALENTS
980 imprese sono pronte ad accogliere
giovani dottori di ricerca nell’ambito del progetto PhD ITalents, finanziato
dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e gestito da
Fondazione CRUI, MIUR e Confindustria, con lo scopo di promuovere nuove forme
di placement dei giovani ricercatori. La prima fase, dedicata alla raccolta di
offerte da parte delle aziende, si è chiusa lo scorso 30 novembre con 1.136
posti offerti. Una grande adesione che si è concentrata principalmente su 3
delle 6 aree previste: ICT (48%), Salute e Scienze della vita (21%), Energia
(14%). “Il progetto PhD ITalents realizza un importante matching che, da un
lato, valorizza la fondamentale figura del ricercatore industriale e offre ai
giovani talenti l’opportunità di affacciarsi al mondo produttivo restando in
Italia; e, dall’altro, consente alle imprese di essere sempre più competitive,
proprio puntando su R&I e sui giovani”, ha affermato Diana Bracco, vicepresidente
Confindustria per la R&I. “Continuando a investire su questo modello, da
qui al 2020 verranno inseriti circa 500 PhD nella parte più innovativa
dell’industria italiana. Un segnale forte del nostro Paese che dimostra di
avere fiducia nei giovani e nella loro capacità di fare ricerca”. (Fonte:
corriereuniv.it 02-12-15)
COME
SEMPLIFICARE IL DOTTORATO DI RICERCA DEPURANDOLO DA STRAVAGANZE BUROCRATICHE
La soluzione è (sarebbe) semplice e a
portata di mano: guardare ai migliori modelli all’estero e fotocopiarli – senza
aggiungere stravaganze burocratiche – e in particolare:
-
abolire cicli, accreditamento, limiti di accesso, collegi, attivazione, bandi,
soprannumeri e soprannumerari, e tutte le incomprensibili sovrastrutture del
dottorato all’italiana;
- fare organizzare e gestire i dottorati dai
Dipartimenti;
-
consentire l’ammissione al dottorato “a sportello”, senza condizionarla
necessariamente all’assegnazione di borse di studio, a seguito di un semplice
colloquio di valutazione, anche con modalità telematiche, e qui – sia chiaro –
per “modalità telematiche” intendo l’email e le interviste su skype, non certo
la PEC e le altre bizzarrie inusabili della “PA digitale”;
-
togliere ogni limite di durata e condizionare la concessione del titolo di dottorato
alla pubblicazione dei risultati della ricerca a primo nome;
-
attribuire le risorse ministeriali per le borse di studio ai Dipartimenti
consentendone l’autodisciplina per la ripartizione;
-
favorire in ogni modo l’assegnazione di borse di studio agli iscritti ai corsi
di dottorato, con fondi di ricerca, sponsor e contributi esterni;
-
lasciar perdere i bizzarri progetti di sinergia fra Atenei regionali, perché
sono solo inutili perdite di tempo e anche perché nessuno si è mai sognato di
costringere Humboldt, Freie e Technische Universitäten di Berlino a fare un
Doktorandenprogramm regionale solo per il semplice motivo che sono vicine e che
bisogna fare economie di scala;
-
porsi l’obiettivo del raddoppio del numero di dottori di ricerca nei prossimi
cinque anni, anche mediante l’individuazione di criteri premiali agli Atenei;
- ricordarsi sempre che l’arte e la scienza
sono libere e libero ne è l’insegnamento, e che i capaci e meritevoli, anche se
privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi
(artt. 33 e 34 della Costituzione della Repubblica);
-
cercare di fare le cose in modo giusto, razionale e, soprattutto, SEMPLICE.
Leonardo da Vinci: “La semplicità è la
suprema sofisticazione”. (Fonte: N. Casagli, http://tinyurl.com/j6r95md
03-12-15)
FINANZIAMENTI
LA CORTE
COSTITUZIONALE DOVRÀ PRONUNCIARSI SUI COSTI STANDARD CHE GRAVANO SULL'FFO DELLE
UNIVERSITÀ
Investiti della questione dall'università di Macerata, i giudici amministrativi
del Tar delle Marche hanno chiamato in causa la Corte costituzionale, sulla
base dell'obiezione che il governo ha affidato a un decreto, firmato da MIUR e
MEF, decisioni chiave sul finanziamento delle università che invece spettavano
alla legge primaria. In questo modo, scrive il Tar nell'ordinanza, si è
determinata «una delegificazione non prevista da alcuna norma in un ambito che
investe, sia pure attraverso l'enunciazione di algoritmi e formule matematiche,
scelte altamente politiche in termini di sviluppo del sistema universitario e
di redistribuzione delle risorse economiche al suo interno». E' in causa la
quota base dell'FFO che fino al 2013 era disciplinata da meccanismi di spesa storica e ora
vede un peso crescente dei costi standard. Nel ricorso, l'università di Macerata non si oppone
all'introduzione di un nuovo meccanismo di distribuzione dei fondi, ma contesta
i suoi effetti giudicati «paradossali e perversi» con la riduzione nel caso di
specie del 23% delle risorse statali. La delega data al governo dalla legge Gelmini
del 2010, spiega il Tar, era «eccessivamente generica», il decreto attuativo ha
stabilito le voci di costo ma non le modalità di misurazione, e il tutto è
stato affidato ai provvedimenti ministeriali. Sarà la Consulta a decidere se la
riserva di legge che la Costituzione (in particolare gli articoli 33 e 34)
prevede per l'istruzione è stata violata da questa procedura. (Fonte: G.
Trovati, IlSole24Ore 17-12-15)
FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO) 2015.
DISTRIBUZIONE DELLA QUOTA "PREMIALE": IL 90% DEL GUADAGNO APPARTIENE
A 5 REGIONI
La distribuzione
dell'FFO 2015 prevede una quota c.d. premiale di 1.385.000.000 €, da
distribuire sulla base di quattro indicatori: il 65% della quota premiale
dipende dai risultati VQR, il 20% dipende da un indicatore di qualità delle
politiche di reclutamento, mentre alla qualità del processo di
internazionalizzazione è destinato il 7%, e alla qualità della didattica l’8%.
Gli indicatori di performance degli atenei per ciascun aspetto sono costruiti
in maniera differente. Alcuni derivano dalla complessa aggregazione di altri
indicatori, altri sono più semplici, ma tutti gli indicatori sono correlati
alla dimensione di ciascun Ateneo. Gli indicatori VQR e reclutamento (IRAS3 e
IRFS1), infatti, sono costruiti in modo da tener conto della dimensione della
struttura. L’indicatore di qualità della didattica rappresenta la percentuale
di studenti in corso 2013/2014 con almeno 20 CFU nell’anno 2014. Poiché ogni
Ateneo riceve il punteggio in base al numero di studenti “attivi” rapportato al
totale degli studenti “attivi” italiani, l’indicatore dipende fortemente dalla
dimensione dell’Ateneo. L’indicatore più “sganciato” dalla dimensione
dell’Ateneo è quello relativo all’internazionalizzazione della didattica.
Utilizzando il numero degli iscritti nell’anno accademico 2013/2014 come misura
della dimensione di ciascun Ateneo, è facile verificare quanto ciascuna quota
premiale dipenda dalla dimensione dell’Ateneo. L’indicatore maggiormente
associato alla dimensione è quello relativo alla qualità didattica. Dalla comparazione tra la distribuzione
effettiva della parte premiale dell'FFO e la distribuzione ipotetica basata
solo sulla dimensione degli Atenei emerge che 32 Atenei (53%) guadagnano
qualcosa rispetto alla semplice distribuzione dimensionale mentre 28 Atenei
subiscono una perdita. In cifre, sono 147.858.333,65 € che si spostano tra i
due gruppi rispetto alla distribuzione dimensionale. Benché Atenei grandi e
piccoli siano sparsi tra le due categorie, sembra esserci una maggiore
sofferenza negli Atenei con più iscritti: in termini di iscritti 2013/2014,
sono 696.573 (46%) gli studenti che guadagnano qualcosa (rispetto alla
distribuzione dimensionale) contro 827.222 che ci perdono. Una differenza più
evidente tra Atenei che vincono o perdono è nella distribuzione territoriale:
la maggioranza di “perdenti” è al Sud mentre i vincenti si trovano quasi tutti
al Nord. Raggruppando gli Atenei per regione, appare chiaro che il 90% del
guadagno appartiene a 5 regioni: Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia, Toscana. Il
95% della perdita è a carico di 5 regioni: Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria
e Sicilia. (Fonte: B. Bruno, Roars 03-12-15)
SPESA PUBBLICA
PER L’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA. DATI DI UNA COMPARAZIONE INTERNAZIONALE
La comparazione internazionale, rispetto al finanziamento pubblico
dell'istruzione universitaria, mostra un’Italia in affanno. Nemmeno il Governo
Renzi è riuscito a recuperare il gap. Il sottosegretario all’Istruzione Davide
Faraone ai microfoni di “Radio Popolare”, giovedì sera in occasione della
“Notte Bianca del diritto allo studio degli studenti universitari”, ha
annunciato che con la Legge di Stabilità si arriverà a stanziare 8 miliardi sul
capitolo. La differenza resterà enorme. Nel 2011 la spesa pubblica per
l’istruzione universitaria in Italia ammontava, stando ai dati Ocse, allo 0,8%
del Pil: una percentuale inferiore anche rispetto ai Paesi nei quali la
componente privata del finanziamento è assai rilevante come Stati Uniti e Regno
Unito (entrambi allo 0,9%). Una stima della spesa pubblica per l’istruzione
universitaria per abitante mostra, che in anni recenti, ammonta a 332 euro in
Germania; 305 euro in Francia; 157 euro in Spagna a fronte di 117 euro al
Centro Nord dell’Italia e 99 euro in Meridione. A colmare questa mancanza di
soldi sono le famiglie costrette ad intervenire. Nel finanziamento del sistema
universitario italiano, stando ai dati Eurydice ripresi dalla Fondazione Res,
la quota sopportata dalle famiglie italiane sul totale della spesa, nel 2011,
era pari al 24,5%, un livello che pur essendo inferiore al Regno Unito è
maggiore rispetto alla Francia, alla Spagna e all’Olanda e molti altri Stati
europei. La Fondazione evidenzia che i “dati del Public Funding Observatory
della European University Association mostrano che la contrazione del 21% in
termini reali della spesa pubblica per l’università osservata in Italia tra il
2008 e il 2014 è superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei a parte
Grecia, Ungheria e Regno Unito”. La legge di Stabilità 2016 attualmente in
discussione aumenta di un miliardo lo stanziamento. È un’inversione di
tendenza, ma certamente non di portata epocale. (Fonte: A. Corlazzoli,
IlFattoQuotidiano.it 11-12-15)
LAUREE - DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE
IL TASSO DI
OCCUPAZIONE CRESCE DI PIÙ TRA I LAUREATI. LO DIMOSTRA L'ISTAT
Tra i falsi miti negli anni della grande crisi economica ha avuto
particolare "successo" l'idea che la laurea fosse diventata inutile:
un pezzo costoso e faticoso, ma inefficace ai fini della ricerca del lavoro nel
nostro Paese. Molte argomentazioni sono state spese (anche da apprezzati
analisti) negli anni più recenti a sostegno di questa tesi: dalla presunta
incapacità delle imprese italiane di attrarre e ricercare laureati, perché in
media piccole e poco attrezzate per sviluppare ricerca e innovazione, alla più
realistica incapacità del nostro mondo del lavoro di premiare titoli accademici
di livello e competenze eccellenti, perché caratterizzato da una crescita delle
carriere basata su cooptazione e fedeltà più che sul merito. Il comunicato
ISTAT sui dati del terzo trimestre 2015 dà speranza ai ragazzi, e anche il
consiglio implicito che studiare ha un valore: "Dopo il forte calo
dell'occupazione giovanile in tutti gli anni della crisi, il numero di occupati
di età 15-34 anni torna a crescere (56.000, +1,1% annuo)". I giovani
rappresentano più della metà dei nuovi ingressi nell'occupazione, cioè quegli
occupati che non avevano un lavoro un anno prima. È da considerare una scelta
di comunicazione felice l'enfasi con cui l'ISTAT, commentando l'aumento
dell'occupazione nel terzo trimestre del 2015, ha voluto "prendere posizione"
sulla vexata questio: un elevato titolo di studio - ha scritto l'Istituto di
Statistica nel suo rapporto ufficiale - si conferma un vantaggio nel mercato
del lavoro, il tasso di occupazione cresce infatti di più fra i laureati,
attestandosi al 75,7% (+0,8 punti sul terzo trimestre 2014) rispetto al 63,2%
di quello dei diplomati e al 43,5% del tasso riferito a chi ha al più la
licenza media (+0,7 e +0,5 punti, rispettivamente)». È dunque ancora evidente
il vantaggio dei giovani laureati rispetto ai diplomati (anche se meno
rilevante rispetto ai Paesi anglosassoni) nel livello di retribuzione del primo
impiego e nella velocità di carriera. La riduzione del tasso di disoccupazione
è invece diffusa rispetto ai diversi livelli di istruzione, mentre il tasso di
inattività cresce solo tra quanti possiedono fino alla licenza media. (Fonte:
Avvenire 12-12-15. Fonte 15-12-15)
CON
IL 3+2 IL RISULTATO È STATO DI FAR DURARE ALMENO CINQUE ANNI CORSI CHE PRIMA NE
DURAVANO QUATTRO
Nelle intenzioni originali, lo “split” tra
lauree avrebbe dovuto uniformare il sistema italiano a quello delle università
internazionali, dove il binomio triennale-magistrale si rispecchia nella
ripartizione tra bachelor e master. Nei fatti, «l'unico risultato è stato di
far almeno durare cinque anni – se non di più - corsi che prima ne duravano
quattro. Quasi 6 studenti su 10 decidono infatti di proseguire con gli studi
magistrali, proprio perché sono quelli che garantiscono un po' più di guadagno
e prospettive occupazionali» spiega al Sole 24 Ore Ivano Dionigi, presidente di
AlmaLaurea ed ex rettore dell'Università di Bologna. Il termine di paragone con
l'Europa non funziona, per un equivoco di fondo: in sistemi come il Regno
Unito, dove pure crescono le iscrizioni ai master, il bachelor (triennale)
viene considerato un programma già soddisfacente per la ricerca di impiego. Lo
stesso non si può dire dell'Italia, come certifica il maggior grado di
specificità offerta dai soli bienni magistrali. Come a dire: il primo livello
dà le basi, il secondo il lavoro. «Sempre che il lavoro ci sia, visti i tassi
di disoccupazione giovanile – fa notare Dionigi -. Se il 3+2 vuole avere un
senso, allora le triennali dovrebbero essere tarate su percorsi davvero
professionalizzanti, come già avviene nelle discipline sanitarie. In caso
contrario, si nuoce solo al corso. Per alcune lauree, è stato un suicidio». Perché
“non c'è 3 senza 2”. Il cortocircuito è semplice da spiegare. Uno studente in
regola con il percorso della scuola dell'obbligo si immatricola a 19 anni. Se
ha scelto un corso di laurea di primo livello, cioè un qualsiasi corso ad
eccezione dei pochi che hanno conservato il ciclo magistrale (come Medicina o Giurisprudenza),
l'età minima per ottenere il titolo è a 22 anni. Il problema è che le sola
laurea triennale rischia di essere un handicap per la successiva ricerca di un
impiego, non tanto nell'immediato quanto in vista di scatti di carriera o buone
condizioni retributive sul lungo periodo. (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore
27-11-15)
PROGETTO CRESCERE IN DIGITALE 2015
Per diffondere tra
i giovani al di sotto dei 30 anni le competenze necessarie a ricoprire ruoli
nelle nuove professioni legate al web è nato il progetto Crescere in digitale
2015, specificamente pensato per gli iscritti al programma Garanzia giovani.
L’importanza di questa iniziativa è spiegata dai dati del Sistema Informativo
Excelsior di Unioncamere e del Ministero del Lavoro: oltre 47.000 tra le
assunzioni che le aziende avevano programmato per l’anno che volge al termine
sono legate alle competenze digitali e di queste più del 60% richiedevano
un’esperienza specifica nel settore. La scarsa diffusione di tali competenze,
però, ha fatto sì che nel 16% dei casi le imprese abbiano avuto delle
difficoltà a trovare profili in linea con quelli che intendevano reclutare, un
tasso significativamente più alto rispetto a quello generale (10,1%). Le
digital skills sono richieste particolarmente in Lombardia, Lazio e Piemonte.
Il progetto Crescere in digitale 2015 mira a colmare il gap tra domanda ed
offerta diffondendo tra i giovani le competenze che le imprese richiedono e
faticano a reperire nel mercato del lavoro attraverso un programma in tre fasi:
50 ore di training online, laboratori sul territorio e più di tremila tirocini
retribuiti nelle imprese. Il progetto Crescere in digitale 2015 è stato avviato
quasi tre mesi fa e vanta già numeri importanti. Con quasi 36.000 giovani
iscritti, oltre 200.000 ore di formazione erogate e già più di 2.600 ragazzi
che hanno completato la formazione online, di cui oltre 2.000 hanno già
superato il test e sono pronti a iniziare il tirocinio in una delle circa 900
aziende su tutto il territorio nazionale che hanno aderito al programma.
(Fonte: universita.it 05-12-15)
DISALLINEAMENTO
TRA ISTRUZIONE E PROFESSIONE (EDUCATIONAL
MISMATCH). INDAGINE ISFOL PLUS 2014
Gli autori dell'articolo si soffermano sul fenomeno dell’educational mismatch, ovvero il disallineamento tra capacità possedute (livello
d’istruzione o percorso formativo) e richieste (necessarie per svolgere il
proprio lavoro). La stima è quanto mai complessa, sia in termini epistemologici
che di misura: qui il disallineamento tra istruzione e professione è limitato
al titolo di studio più alto conseguito, non alla tipologia.
L’indagine Isfol Plus 2014 consente, attraverso
interviste dirette, di ottenere una definizione più accurata del fenomeno.
Lo sheepskin effect, il cosiddetto effetto
“pezzo di carta”: un diplomato su tre e un laureato su cinque ritengono che la
loro attività lavorativa potrebbe essere svolta anche con un titolo di studio
inferiore a quello da loro posseduto, sintomo di una domanda di lavoro generica
e poco orientata alle professionalità. Tra i laureati prevale nettamente l’over-education (18%) rispetto all’under-education (5,7%),
confermando ancora la bassa domanda di lavoro qualificata espressa dal nostro
sistema produttivo. Mentre tra i diplomati il fenomeno di under-education (18%)
supera di poco quello dell’over-education (16%). Ciò denota una svalutazione
del titolo di scuola secondaria superiore che, essendo sempre più comune, tende
ormai a essere percepito come un livello di istruzione base. L’over-education è
un fenomeno diffuso e multiforme. I livelli d’impiego del capitale umano sono
tali da rendere inevitabile una riflessione più ampia sulla necessità di
indirizzare le imprese verso produzioni di beni e servizi innovativi. Il
versante pubblico può fare molto: dovrebbe aggiornare il sistema scolastico e
formativo e sostenere la ricerca di qualità, ma anche dare sostegno in maniera
selettiva alle imprese che innovano. Una riduzione dell’over-education altro non è
che un recupero di efficienza del sistema scuola-lavoro. (Fonte: E. Mandrone,
F. Pastore e D. Radicchia, lavoce.info 01-12-15)
Un commento di "pif": La questione è complessa e direi
multi-dimensionale. Indubbiamente c'è una scarsa necessità di formazione
qualificata vista la dimensione media delle nostre imprese e la scarsa ricerca.
Secondo c'è un forte scollamento tra università e lavoro, le università tendono
a dare una formazione a volte troppo teorica e poco orientata alla realtà
lavorativa corrente con conseguente delusione da entrambe le parti. Faccio un
esempio, io sono laureato in ingegneria, la formazione di base dell'università
è di tipo progettista, mentre nella realtà serve l'ingegnere poli-funzionale
con competenze economiche, di marketing ecc., insomma non c'è molto matching.
Inoltre il mondo del lavoro cambia molto più rapidamente di come si adeguino i
programmi, ci vorrebbe molta più integrazione. Quindi le riforme dovrebbero
essere molto più concertate tra scuola e mondo del lavoro per far adeguare i
due mondi meglio.
Nella tabella
cinque indicatori: tre soggettivi (tratti da quesiti) e due oggettivi (sulla
posizione relativa).
ISTRUZIONE
TECNICA. GLI ISTITUTI TECNICI SUPERIORI (ITS) HANNO 4.000
ISCRITTI RISPETTO AGLI 880.000 DELLA GERMANIA E AI 116.000 DELLA FRANCIA
L'istruzione tecnica è una buona formazione
per i giovani, è necessaria per le imprese e il mondo del lavoro ed è
strategica per la competitività del Paese. Queste in sintesi le conclusioni,
presentate a un convegno, del rapporto di ricerca di Treellle/Fondazione Rocca
su: "Innovare l'istruzione tecnica secondaria e terziaria - per un sistema
che connetta scuola, università e impresa" che mira a valutare l'impatto
delle riforme introdotte nel 2008/2010 (Fioroni, Gelmini) sull'istruzione
tecnica secondaria nonché sugli effetti dell'introduzione degli Its (Istituti
Tecnici Superiori). Secondo il rapporto per realizzare una buona offerta di
istruzione tecnica (a livello secondario e terziario) è necessario che il
sistema connetta maggiormente scuola, università e mondo del lavoro. Inoltre
occorre rilanciare, innovandola, l'istruzione tecnica secondaria che ha avuto
un forte declino di iscritti fino a pochi anni fa e che ora si è stabilizzata
sul 32% del totale degli iscritti dei vari ordini della scuola secondaria. A
riguardo il rapporto formula una serie di proposte: istituire a livello
nazionale Comitati settoriali permanenti con le Parti sociali; rafforzare
l'autonomia gestionale degli istituti tecnici introducendo uno statuto
speciale; aumentare e rendere effettiva la quota di autonomia curricolare su
tutto il quinquennio; intensificare l'apprendimento delle lingue straniere,
privilegiando l'inglese. In
Italia, diversamente dagli altri Paesi europei, non esiste un'offerta
intermedia di formazione tecnica tra la scuola e l'università che ha il
monopolio dell'offerta d'istruzione terziaria. Per questa ragione è stato
deciso l'avvio degli Istituti Tecnici Superiori (Its) non universitari. Oltre a
colmare il vuoto di offerta fra scuola e università gli Its sono stati pensati
per rispondere alle richieste del mercato di tecnici superiori; per una più
veloce transizione al mondo del lavoro e per ridurre gli abbandoni
dell'Università (40%). Ad oggi gli Its che fanno capo a Fondazioni di
partecipazione di natura pubblico-privata sono 75 con 197 corsi attivati e
circa 4.000 iscritti rispetto agli 880.000 della Germania e ai 116.000 della
Francia. Il tutto a fronte di stanziamenti per il periodo 2012-2015 di 17
milioni di euro, di cui il 70% provenienti dal MIUR e il 30% dalle Regioni. Il
risultato è che gli Its sono rimasti un settore di nicchia, con risorse
insufficienti e quindi non in grado di risolvere l'anomalia italiana. (Fonte: http://tinyurl.com/gmfvwf2
novembre 2015)
PER QUOTA DI LAUREATI ITALIA
IN CODA NELL'OCSE
L’Italia è scesa
all’ultimo posto tra le nazioni OCSE per quanto riguarda la percentuale di
popolazione laureata nella fascia 25-34 anni: 24% l’Italia contro il 41%
della media OCSE. Il sorpasso è stato sancito ufficialmente dall’edizione 2015
del rapporto OCSE Education at a
Glance. Fino all’anno scorso eravamo penultimi a pari merito insieme
al Cile e davanti alla Turchia, due nazioni che quest’anno ci hanno superato.
Per ricercarne le cause esaminiamo la spesa per laureato. Quella spagnola e
francese sono il 170% di quella italiana, mentre quella tedesca e quella
svedese sono più del doppio di quella italiana, rispettivamente il 201 e il
230% Ed è di nuovo Education at a Glance 2015, rileva Redazione Roars, a
mostrare che l’Italia raccoglie quello che semina. In rapporto al PIL, la spesa
per istruzione universitaria italiana (0.9%) è penultima tra tutte le nazioni
OCSE per cui sono disponibili i dati (media OCSE: 1,5% del PIL). Peggio di noi
solo il Lussemburgo. (Fonte: http://tinyurl.com/qzzda88
03-12-15)
RAPPORTO OCSE
EDUCATION AT A GLANCE 2015. PARZIALE FALLIMENTO DEL 3+2
I dati relativi all’istruzione terziaria nell’edizione 2015 di “Education
at a Glance” riportano l’Italia notevolmente indietro rispetto agli altri stati
membri dell'OCSE, con il tasso di laurea atteso oggi per i 25-34enni appena del
34% contro il 50% della media Ocse. Inoltre, solo il 62% di coloro tra i 25 e i
34 anni che hanno conseguito una laurea risulta occupato, con il paradosso di
un tasso di occupazione più basso tra i laureati rispetto a chi possiede
“solamente” un diploma di scuola superiore. Il rapporto Ocse ci permette di analizzare il
“processo di Bologna” —la suddivisione a livello internazionale dei percorsi di
laurea in due cicli—in un’ottica europea e, a sedici anni dalla sua
introduzione, di tracciare un bilancio dell’effettiva riuscita del sistema 3+2
in Italia. Per quanto l’Italia presenti un numero percentuale di laureati
magistrali superiore sia alla media Ocse che a quella Europea (15% tra i ragazzi
di età compresa tra 25 e 34 anni), il parziale fallimento del sistema 3+2 è
però evidenziato dal ristretto numero di universitari che decide di terminare
il proprio percorso formativo dopo la laurea triennale (solo il 9% rispetto al
21% di media dei paesi Ocse). Inoltre i dati relativi all’occupazione riportano
come solo il 68% di coloro che ottengono un titolo di laurea breve riesca ad
inserirsi con successo nel mondo del lavoro rispetto all’80% di media Europea.
(Fonte: E. Tricerri, 2duerighe.com 07-12-15)
RECLUTAMENTO
RICERCATORI. LE NUOVE ASSUNZIONI NEGLI
ATENEI E NEGLI ENTI DI RICERCA
I numeri precisi
sulle assunzioni arrivano dalla relazione
tecnica annessa all’ultimo testo licenziato da Palazzo Madama che ha
aggiunto diversi ritocchi al testo inviato da Palazzo Chigi. Dopo lo storno di
una parte delle risorse (8 milioni nel 2016 e 9,5 nel 2017) in favore degli
enti di ricerca il “contingente” di ricercatori di tipo b - quelli che dopo 3
anni possono ambire a salire il primo gradino della docenza - destinato agli
atenei sarà di 861 unità, stimando
«una ipotesi di trattamento stipendiale (costo annuo € 58.625) pari a circa il
120% del trattamento stipendiale iniziale del ricercatore a tempo pieno». Per
quanto riguarda i costi da sostenere per i 500 docenti universitari di prima e
seconda fascia (38 milioni per il 2016 e 75 dal 2017), questi saranno assunti
per chiamata diretta anche dall’estero - almeno il 50% entro un anno dall’avvio
del bando - con l’attribuzione «mediamente alla quarta classe stipendiale». La
manovra prevede poi lo sblocco del turn over per i ricercatori di tipo a
(quelli a tempo determinato) «con esclusivo riferimento agli atenei virtuosi
(ovvero atenei che come previsto dal DPCM 31 dicembre 2014 abbiano un
indicatore di spese di personale inferiore all'80% e un Indicatore di
Sostenibilità economico finanziaria almeno pari a 1». Per quanto riguarda il
mini contingente di 215 ricercatori per gli enti di ricerca la relazione
tecnica prevede che saranno assunti a partire dal marzo 2016, ma con una
precisazione: «Gli oneri connessi all'attribuzione, ai ricercatori assunti ai
sensi della presente norma, delle fasce stipendiali successive a quella di
ingresso, previste dai Ccnl del Comparto della Ricerca e i conseguenti
differenziali di costo, rimangono a carico dei bilanci dei singoli Enti ed
Istituzioni di Ricerca». Sempre per gli enti di ricerca sarà possibile
«continuare ad avvalersi - avverte la manovra - del personale con contratto di
collaborazione coordinata e continuativa in essere alla data del 31 dicembre
2015, mediante l'attivazione – previa verifica di idoneità – di contratti di
lavoro a tempo determinato». (Fonte: IlSole24Ore 24-11-15)
PIANO DI
RECLUTAMENTO DI 85 RICERCATORI DI TIPO B
È stato pubblicato sul sito del MIUR il Decreto Interministeriale 10
dicembre 2015 n. 924, "Piano reclutamento di ricercatori di tipo b",
trasmesso alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità e al
competente Ufficio Centrale di Bilancio per il controllo preventivo di
regolarità contabile. Sono 85 i posti da distribuire come si può vedere nella
tabella che si trova nel pdf cliccabile in calce al decreto. (12-12-15)
RICERCA. RICERCATORI. VALUTAZIONE DELLA RICERCA
VQR 2011-2014.
POLEMICHE E REAZIONI
La nuova VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca) sta suscitando
polemiche e reazioni imprevedibili. Il confronto con la precedente edizione
(periodo 2004-2010) sottolinea elementi di novità, ma anche criticità di non
poco conto nel conteggio delle pubblicazioni scientifiche del singolo
ricercatore e del Dipartimento a cui esso appartiene. I lavori parlamentari per
la legge di stabilità hanno rafforzato le critiche alla VQR. La mancanza di
politiche attive per il diritto allo studio, il ridimensionamento dell'FFO, i
finanziamenti alla ricerca ridotti e una serie di questioni annose hanno
portato i ricercatori a chiedersi: che senso ha sottoporsi a nuova valutazione
della ricerca? (47 mozioni in 19 atenei. Renzi non ci ascolta? E allora noi
congeliamo la nuova VQR - Roars, 6/11/2015). Da qui la protesta di ricercatori
e interi dipartimenti che, a partire da metà ottobre 2015, sulla base della
osservazione della CRUI dell'8 luglio 2015 che avvertiva Miur e Anvur di
recuperare le risorse tagliate "per garantire la collaborazione del
sistema universitario allo svolgimento del nuovo esercizio VQR 2011-2014",
hanno discusso e approvato mozioni in cui affermano di non partecipare alla
nuova tornata di valutazione. L'impatto delle mozioni di "disobbedienza"
prodotte negli atenei (Sale la febbre: 84 mozioni in 37 atenei e ora anche il
CUN raccomanda "stop-VQR!", Roars - 15/11/2015) ha spinto il CUN a
chiedere la sospensione delle procedure della VQR al ministro Stefania Giannini
(Raccomandazione dell'11 novembre 2015 firmata dalla vice presidente Carla
Barbati). I motivi sono chiari: "per effetto delle numerose mozioni di
protesta e delle dichiarazioni di non collaborazione...potrebbe essere
inficiata la correttezza dei risultati di quest'ultima (la VQR 2011-2014) per
l'incompletezza dei dati raccolti e la conseguente distorsione
statistica", ritenuta necessaria "la partecipazione condivisa e
collaborativa della comunità accademica". La scottante questione del
"congelamento" della VQR (Perché la VQR deve essere congelata, Roars
- 17/11/2015) passa ora al MIUR e all'ANVUR che, ad oggi, non hanno fornito
alcun tipo di risposta alle critiche provenienti dalla comunità scientifica
italiana. (Fonte: D. Gentilozzi, rivistauniversitas 23-11-15)
FONDI UE PER LA
RICERCA. L'ITALIA RICEVE MENO DI QUANTO VERSA
Fino al 30 ottobre scorso su oltre 100 bandi per la ricerca già lanciati,
l’Ue ha assegnato quasi 12 miliardi - 11,984 per l’esattezza - ai progetti
presentati dai ricercatori dei Paesi Ue, e quelli coordinati cioè da un team
italiano hanno incassato poco meno di 1 miliardo (940 milioni e 484mila euro):
in pratica il 7,8% della torta complessiva. Eppure l’Italia oggi partecipa al
bilancio dell’Ue con circa il 12% dei fondi complessivi (siamo i terzi finanziatori
assoluti). Come dire che tra il dare e l’avere all’appello mancano più di 400
milioni. Al 30 ottobre scorso i centri di ricerca e le imprese della Germania
di fondi ne hanno conquistati più del doppio dell’Italia: ben 2,231 miliardi.
Anche l’Inghilterra incassa il doppio dei nostri fondi (1,8 miliardi). Al terzo
posto di questa speciale classifica della ricerca europea c’è poi la Francia
con 1,287 miliardi. Subito sotto il podio c’è la Spagna - che supera il nostro
Paese rispetto al passato - con 1 miliardo e 37 milioni. E poi l’Italia con 940
milioni affiancata dall’Olanda (che contribuisce al bilancio Ue solo per il 3%)
con 932 milioni. Un quinto posto a pari merito con un Paese molto più piccolo
di noi che racconta i nostri ritardi su un terreno - quello della ricerca -
cruciale per riguadagnare la crescita di cui abbiamo tanto bisogno. Ritardi
dovuti anche soprattutto ai disinvestimenti dei vari Governi degli ultimi 10-15
anni - tra tagli ai fondi, blocco del turn over negli enti di ricerca e nelle università,
credito d’imposta poco sostenuto - che ha prodotto un divario anche nelle
risorse umane a disposizione. (Fonte: P. Almirante, tecnicadellascuola.it
07-12-15)
RICERCATORI. ARTeD CHIEDE CHE PER I NUOVI
RTD-B DELLA LEGGE DI STABILITÀ 2016 LE UNIVERSITÀ DISPONGANO DEL DIFFERENZIALE
DI RISORSE PER IL SUCCESSIVO PASSAGGIO A PROFESSORE ASSOCIATO
La Legge di
Stabilità 2016 prevede un incremento di 55 milioni di euro del fondo di
finanziamento ordinario delle Università (FFO) per l’anno 2016 e di 60 milioni
annui a partire dal 2017, destinato all’assunzione di ricercatori (RTD
tipologia B). ARTeD (Associazione Ricercatori a Tempo Determinato) ritiene
sicuramente meritevole l’idea – più volte oggetto delle richieste
dell’Associazione – di destinare una quota parte delle risorse alla creazione
di posizioni RTD-B. Tuttavia,
nella relazione tecnica del Governo di accompagnamento al DDL Stabilità è
stabilito espressamente che l’assegnazione delle risorse alle Università
rappresenta soltanto un “cofinanziamento” del futuro costo da Professore
Associato previsto per i RTD-B che conseguano l’ASN. Il Governo afferma
inoltre, altrettanto chiaramente, che “il differenziale di costo sarà coperto
dalle singole università a valere sulle ordinarie facoltà assunzionali” (p. 124
della Relazione tecnica del Governo al DDL Stabilità). Ciò significa che gli
Atenei potranno – in concreto – bandire posizioni RTD-B soltanto se avranno a
disposizione il differenziale di risorse per il successivo passaggio a
Professore Associato, in quanto le somme per il momento messe a disposizione
dal Governo non coprono interamente il costo della stabilizzazione in ruolo del
Ricercatore senior che, al termine del triennio contrattuale, sia in possesso
della ASN. ARTeD chiede pertanto che le risorse messe a disposizione dalla L.
di Stabilità siano incrementate al fine di coprire interamente il costo della
stabilizzazione come Professore Associato del RTD-B che, al termine del
triennio di contratto, sia in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale.
(Fonte: Associazione ARTeD 27-11-15)
UN DECRETO LEGGE PER FINANZIARE CON 80 MLN
UN PROGETTO SCIENTIFICO DELL'IIT IN AREA EXPO
Nell’ambito delle
iniziative ... è attribuito all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) un primo
contributo dell’importo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 per la
realizzazione di un progetto scientifico e di
ricerca, sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni
scientifiche interessate, da attuarsi anche utilizzando parte delle aree in uso
a EXPO S.p.a. ove necessario previo loro adattamento. IIT elabora un progetto esecutivo che è approvato
con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze. (Fonte:
Decreto Legge 25 novembre 2015, n. 185
Misure urgenti per interventi nel territorio. 15G00202. G.U. Serie
Generale n. 275 del 25-11-2015).
Un commento di
"indignato" su Roars: Come all’epoca tanti atenei hanno accettato IIT
come finanziatore (per drenare fondi altrimenti direttamente indisponibili dallo
Stato), ora accadrà lo stesso a Milano. La sofferenza del sistema è tale che ci
sarà la corsa per diventare partner del progetto post-Expo/IIT. E il metodo –
che è sbagliato in quanto negazione di qualsiasi selezione democraticamente
science-based delle decisioni di finanziamento pubblico in materia di ricerca –
verrà ancora una volta accettato.
BANDO
PRIN 2015. INCONGRUENZA DELL'INAMMISSIBILITÀ DI RICERCATORI (RTD) A PRESENTARE
PROGETTI DI RICERCA IN QUALITÀ DI COORDINATORI SCIENTIFICI
Ai sensi dell’art. 1, comma 4°, del bando
PRIN 2015, il ruolo di coordinatore scientifico (o “principal investigator” –
PI) può essere assunto da “un professore/ricercatore universitario a tempo
indeterminato o ricercatore a tempo determinato di cui al comma 3, lettera b) dell’articolo
24 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 che abbia ottenuto la valutazione
positiva prevista dal comma 5 del medesimo articolo a seguito del possesso
dell'abilitazione scientifica nazionale”. Ne segue pertanto che i RTD-Moratti e
i RTD-A sono esclusi dalla possibilità di partecipare al bando PRIN 2015 in
qualità di coordinatori scientifici. È previsto che i RTD-B possano assumere il
ruolo di coordinatore scientifico, ma soltanto se già in possesso
dell’Abilitazione scientifica nazionale e soltanto se siano stati valutati
positivamente dall’Ateneo di appartenenza ai fini della chiamata come
Professori Associati. Ciò significa che anche i RTD-B in attesa di partecipare
alla prossima ASN o in attesa della valutazione dell’Università di appartenenza
sono parimenti esclusi dalla possibilità di partecipare al bando PRIN 2015 in
qualità di coordinatori scientifici.
Tali esclusioni determinano una paradossale
incongruenza rispetto ai requisiti per il
conseguimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, come disciplinati
dalla bozza di regolamento della nuova ASN elaborata dal MIUR. Infatti, la
bozza di regolamento della nuova ASN prevede fra i titoli da possedere al fine
del conseguimento dell’Abilitazione scientifica nazionale: 1) la direzione di
un gruppo di ricerca caratterizzato da collaborazioni a livello nazionale e/o
internazionale (All. A, n. 4, della bozza di regolamento ASN); 2) la
responsabilità scientifica di progetti di ricerca internazionali e nazionali,
ammessi al finanziamento sulla base di bandi competitivi che prevedano la
revisione tra pari (All. A, n. 4 della bozza di regolamento ASN).
Se ne deduce che ai RTD-B, ai RTD-A e ai
RTD-Moratti è richiesto di acquisire tali titoli ai fini di conseguire l’ASN;
tuttavia – al tempo stesso – è impedito loro di partecipare ai bandi PRIN 2015
per poter conseguire i medesimi titoli.
ARTeD (Associazione Ricercatori a Tempo
Determinato) chiede pertanto che il bando PRIN 2015 venga subito modificato,
prevedendo la possibilità per i RTD-B, per i RTD-A e per i RTD-Moratti di
presentare progetti di ricerca in qualità di coordinatori scientifici. (Fonte:
Consiglio Direttivo di ARTeD 12-11-15)
DIS-COLL. NEGATA
L'ESTENSIONE AGLI ASSEGNISTI DI RICERCA
Il 26 novembre, in occasione della discussione del Ddl Stabilità presso
la XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei Deputati, era
stato approvato un emendamento a firma dei deputati Gribaudo, Damiano,
Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Di Salvo, Giacobbe, Incerti,
Patrizia Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta,
Simoni, Tinagli e Zappulla, con cui si disponeva la proroga dell'indennità di
disoccupazione per collaboratori coordinati e continuativi e a progetto
(DIS-COLL) per il 2016. Al contempo, l'emendamento estendeva la DIS-COLL
"anche ai titolari di assegni di ricerca di cui all’articolo 22 della
legge 30 dicembre 2010, n. 240, e all’articolo 51 della legge 27 dicembre 1997,
n. 449". In base a queste finalità, era disposto lo stanziamento di 289 milioni
di euro per l'anno 2016 e di 73 milioni di euro per l'anno 2017. Ma in
seguito la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha bocciato la
possibilità di estendere la DIS-COLL agli assegnisti di ricerca senza nemmeno
esaminare l’ipotesi di ricomprendere dottorandi e borsisti e limitandosi a
prorogare l’istituto per il 2016. Sono state ignorate quasi 9.000 firme e più di
2.750 e-mail inviate alla Commissione Bilancio della Camera, con cui i giovani
ricercatori hanno chiesto invano a questa classe politica di rappresentarli.
FLC CGIL,
ADI, LINK, CRNSU e Rete29Aprile hanno rilanciato la campagna #perchénoino? (Fonte 15-12-15)
FONDI
SENZA BANDO A RICERCHE SULLA SLA. IL CASO ARRIVA SU NATURE
L’“ira” dei ricercatori italiani arriva
sulla rivista Nature per
l’assegnazione senza bando, prevista nella legge di Stabilità, di 3 milioni
alla sperimentazione clinica di fase II della terapia contro la Sclerosi
Laterale Amiotrofica (Sla). I fondi sono gli stessi un tempo previsti per
Stamina. I politici italiani “hanno acceso la collera” dei ricercatori, che
chiedono di modificare l’emendamento, scrive la rivista. ‘’Per troppi
ricercatori italiani l’idea che alcuni progetti vengano finanziati a seconda
del capriccio dei politici è purtroppo tristemente familiare”, scrive Nature,
che ricorda quanto accadeva proprio un anno fa con la vicenda Stamina. Nel caso
delle ricerche condotte dal gruppo sulla Sla, precisa la rivista, “non c’è
alcuna traccia di illeciti”: la questione riguarda il modo in cui i fondi sono
stati assegnati. “I politici italiani possono essere attratti da un progetto e
decidere di finanziarlo”, osserva su Nature Marino Zerial, direttore
dell’Istituto Max Planck di Biologia Molecolare a Dresda. “In quale altro Paese
assistiamo a qualcosa di simile?”, si chiede Zerial. Eppure, rileva Nature,
dopo la vicenda Stamina la Corte Costituzionale aveva stabilito che i
finanziamenti pubblici per la ricerca non avrebbero dovuto essere assegnati
“per semplice discrezione politica del legislatore”. Ancora una volta Nature
rileva che sia ricercatori, sia le associazioni di pazienti sottolineano che
non è in questione la correttezza scientifica, ma che “scarse risorse
dovrebbero essere assegnate sulla base delle regole della più assoluta
trasparenza". (Fonte: ANSA 02-12-15)
ACCORDO
SU HUMAN TECHNOPOLE. COSTITUITO IL
COMITATO GUIDA COMPOSTO DAI RETTORI DELLE TRE UNIVERSITÀ
PUBBLICHE MILANESI
Tutti d'accordo sul progetto "Human Technopole" che dovrebbe
sorgere sull'area Expo e trasformare Milano in un centro di eccellenza per
migliorare la qualità della vita. È stato infatti costituito il Comitato guida
per la stesura definitiva del piano dopo che nei giorni scorsi si è tenuta una
riunione convocata dal ministro delle Politiche agricole con delega Expo
Maurizio Martina alla quale erano presenti anche i rappresentanti di Regione
Lombardia e Comune di Milano. A coordinare il comitato, composto dai rettori
delle tre università pubbliche milanesi, sarà Roberto Cingolani, direttore
scientifico dell'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). I lavori dovranno
essere presentati entro il 25 febbraio e saranno sottoposti anche alla
valutazione di advisor scientifici indipendenti. L'istituto con sede a Genova è
stato l'unico a presentare un'idea scientifica. Ovvero realizzare una struttura
di ricerca di livello internazionale sfruttando l'alto potenziale di
trasferimento tecnologico alle imprese di IIT e la capacità di creare start-up
innovative e applicazioni di frontiera. (Fonte: Il Giornale 03-12-15)
BANDI DEL
CONSIGLIO EUROPEO DELLA RICERCA (ERC). RICERCATORI ITALIANI CONQUISTANO IL
SECONDO POSTO PER NUMERO DI GRANTS (31)
Anche in questo nuovo round di finanziamenti da parte dell'Erc, si ripete
ancora una volta il film già visto negli anni precedenti. E cioè buone
performance dei nostri ricercatori, ma cattive come sistema Paese: l’Italia
infatti non attrae cervelli dall’estero, un po’ perché molti centri di ricerca
non sono così attrattivi e un po’ perché gli stipendi sono più bassi che
altrove (il ricercatore che sceglie un Paese deve anche optare per gli stipendi
di quel Paese). Secondo le ultime tabelle dell’Erc che ha appena stanziato 429 milioni
per finanziare con corposi starting grant (borse fino a 1,5 milioni) le
ricerche a 291 giovani ricercatori che rappresentano l’eccellenza della scienza
europea a guidare la classifica con 50 progetti finanziati sono i ricercatori
tedeschi. Al secondo posto gli italiani con 31 grant e poi francesi e
israeliani (anche alcune Paesi extra Ue partecipano) con 24 e a seguire
olandesi e inglesi con 22 progetti. Fin qui la nazionalità dei ricercatori
vincitori. Perché nella classifica dei Paesi più scelti per fare la ricerca al
primo posto c’è l'Inghilterra con 48 progetti, seguita dalla Germania con 47,
dall’Olanda con 32 e dalla Francia con 29. Solo al settimo posto c’è l'Italia
con 18 progetti di ricerca, tutti di italiani che hanno deciso di restare nel
proprio Paese per realizzare i loro studi. Nulla di strano fin qui. Dall’estero
invece nessuno ha scelto l’Italia. E qui sta l’anomalia perché invece in Paesi
come Inghilterra, Francia e Germania i ricercatori si dividono tra quelli che
restano e gli altri ospitati dall’estero. (Fonte: Mar. B., Scuola24 07-12-15)
PERCHÉ SI FA
RICERCA CON GLI ANIMALI
Grazie a chemioterapie efficaci che, prima di essere usate negli esseri
umani, sono state sperimentate negli animali di laboratorio per controllarne la
tossicità e l'efficacia, alcune malattie neoplastiche si possono oggi curare.
Anche di questo hanno parlato gli esperti di sperimentazione animale,
provenienti dai più importanti centri di ricerca europei, a Roma, durante il
convegno della Basel Declaration Society.
Si tratta di un gruppo di scienziati che, nel 2010, aveva scritto un documento
per una maggiore trasparenza e comunicazione sull'uso degli animali di
laboratorio. Gli scienziati riuniti a Roma hanno espresso preoccupazione per la
crescente opposizione alla sperimentazione animale: se in passato fossero state
applicate le norme che alcuni attivisti dei diritti degli animali vorrebbero
introdurre oggi, e che mirano a limitare fortemente la possibilità di
effettuare studi negli animali, non avremmo neppure gli anestetici che usano i
dentisti per curarci i denti. Per non parlare degli analgesici che alleviano il
dolore del cancro, i medicinali che controllano la nausea e tante altre
conquiste della medicina. Quando, per esempio, i ricercatori scoprono nella
cellula un nuovo gene che contrasta la proliferazione tumorale o che favorisce
le metastasi, non possono stimolarlo o bloccarlo con un farmaco senza sapere
prima quali altri molteplici ruoli lo stesso gene svolga nell'organismo. Per
scoprirli servono i cosiddetti topi knock-out, creati apposta senza quell'unico
gene: in questo modo è possibile scoprire le funzioni compromesse che dipendono
dal gene in studio. E facile intuire che solo un organismo vivente, nella sua
interezza, permette questo tipo di studio. I cosiddetti metodi alternativi, che
utilizzano cellule o tessuti isolati, non sono in grado di rispecchiare questa
complessità. Gli scienziati che impiegano animali non lo fanno a cuor leggero, come
dimostra l'esistenza stessa della Basel Declaration e delle norme legali ed etiche
per chi è costretto a ricorrere a questo tipo di sperimentazione. Gli animali
sono assai tutelati, cercando di evitare loro sofferenze e di ridurne il numero
al minimo indispensabile. Oltre alle doverose ragioni legali ed etiche, c'è un
altro elemento che rende necessario tutelare ii benessere dell'animale: i dati
raccolti da un animale stressato o maltrattato non sono attendibili. (Fonte:
Notiziario AIRC dicembre 2015)
PROCEDURE MEPA.
NON APPLICABILITÀ ALLE APPARECCHIATURE E AI GENERI DI CONSUMO STRETTAMENTE
DEDICATI ALLA RICERCA
La gestione dei progetti di ricerca e dei relativi fondi non può essere
soggetta a norme fatte per la manutenzione di un edificio, l’acquisto della
cancelleria o delle forniture sanitarie.
Voglio essere breve e fornire, per quanto possibile, tutto il sostegno
dell’USPUR al documento emerso dall’Adunanza CUN del 9 aprile 2014 che ben ha
esaminato la normativa inerente all’obbligatorietà di sottostare alle procedure
MePA. La normativa sancisce chiaramente che essa non si debba applicare alle
università. Ebbene, di fatto, tale normativa è oggi ampiamente disattesa. Non
metto in dubbio che essa debba essere usata per gli acquisti di “general
spending”, ma la sua applicazione alle apparecchiature e ai generi di consumo
strettamente dedicati alla ricerca è certamente non adeguata. Tali beni
possiedono caratteristiche fortemente specifiche e di fatto sono reperibili da
pochissimi fornitori. In quest’ambito, purtroppo, le amministrazioni degli
Atenei hanno quasi generalmente scelto di adeguarsi all’interpretazione più
restrittiva possibile della normativa, anche per quei casi in cui il
finanziamento alla ricerca fosse stato accordato ad un ben predeterminato
budget comprendente acquisti ben individuati a priori. Peraltro, le procedure così
imposte causano notevoli ritardi che inducono effetti negativi nella
rendicontazione dei progetti stessi, siano essi finanziati da enti pubblici o
privati, che in termini estremi possono portare alla perdita di parte di tali
finanziamenti. In quest’ambito, le università pubbliche italiane si trovano poi
a competere ad armi non pari con istituti di ricerca, anch’essi nazionali, non
soggetti a tali normative, che sempre più spesso sono usati dai docenti per la
gestione dei fondi.
Pertanto, la Giunta dell’USPUR le chiede che ella si faccia parte attiva
nel rendere efficace la normativa vigente circa l'esclusione degli Atenei
statali dall'obbligo di ricorrere al MePA relativamente ai soli acquisti di
beni e servizi che gravino su fondi di ricerca di natura pubblica o privata.
(Fonte: Lettera inviata dal Segretario nazionale dell'USPUR M. Masi al ministro
Giannini, 09-12-15)
SISTEMA UNIVERSITARIO. EVOLUZIONE E PROPOSTE DI RIFORMA
RIFLESSIONI
ANTICIPATRICI DI ENNIO FLAIANO SULLA TRASFORMAZIONE DELL'UNIVERSITÀ
Andrea Lombardinilo ha il merito su Universitas 137 di riproporci il
mordace pensiero anticipatore di Ennio Flaiano (1919-1972) sull'evoluzione
dell'università. Lo studio come forma di intrattenimento, l’analfabetizzazione
culturale come pratica diffusa; l’affermazione della burocrazia, l’incombere
delle amministrazioni centrali, il sopravvento delle lingue straniere
sull’italiano. Sono soltanto alcuni dei fenomeni degenerativi che Flaiano ha il
coraggio di denunciare sul Corriere della Sera in una riflessione sociologica
del dicembre 1959, in cui la satira sul malcostume italico si innesta su un senso di frustrazione per la parabola discendente di un paese che ha perso di
vista la centralità dei valori tradizionali e che non riconosce più ai sistemi
educativi una centralità un tempo indiscussa. Si tratta di un processo
all’apparenza irreversibile. Flaiano sembra intuire la deriva normativa e tassonomica che oggi attanaglia gli atenei italiani, alle prese con riforme
speculari e con procedure valutative che si risolvono in classifiche di merito,
preziose ai giornali per decretare promossi e bocciati del sistema accademico.
Si pensi del resto alle classifiche internazionali stilate dall’OCSE nei
rapporti Education at a glance,
laddove si denuncia il cronico deficit dell’Italia per investimenti in
formazione, sviluppo e ricerca rispetto ai concorrenti europei. Flaiano
anticipa l’immagine dell’università «malata e denigrata» del nostro tempo,
incapace di reggere il passo dei mutamenti prodotti dalla globalizzazione. Gli
effetti della rivoluzione studentesca testimoniano la cifra sociale del
cambiamento, sospinto dall’espansione della base partecipativa, dall'evoluzione
del mercato del lavoro e dalle nuove possibilità connettive del digitale. La
formazione permanente è soltanto uno degli aspetti con cui l’uomo flessibile
deve fare i conti in termini di aggiornamento professionale. Travolta dall’ansia riformistica e dalla crisi economica globale,
l’università post-moderna sembra discendere direttamente dall’università addormentata descritta da
Flaiano, la cui sagacia non risparmia alcun aspetto della vita sociale del suo
tempo. I comportamenti accademici non fanno eccezione. Le ragioni vanno
individuate (anche, ma non solo) nella rivoluzione generata dall’industria culturale mainstream, che anticipa di qualche decennio
l’epopea in corso del digitale. La risposta dell’università italiana si traduce
in un profluvio di norme che di fatto ostacolano, più che agevolare, il
rinnovamento tanto invocato. In qualità di spettatore disincantato, Flaiano
invita l’università a destarsi dal suo torpore: meno conservatrice e più
reattiva, pena il declino. Le responsabilità ricadrebbero egualmente sulla
politica, sui burocrati, sui professori, sugli stakeholder, cui Flaiano avrebbe certamente adattato uno dei suoi
aforismi più noti: «Ha poche idee, ma confuse». (Fonte: A Lombardinilo,
Universitas 137 ottobre 2015)
I DIPARTIMENTI
BLOCCANO O NON LA RIFORMA GELMINI?
La legge Gelmini rischia di cadere sulla trincea dei dipartimenti, che non
si è avuto il coraggio di abbattere, ma dietro la quale le “armate baronali” si
stanno riorganizzando per riconquistare le posizioni perdute nelle chiamate in
cattedra. Il consiglio di dipartimento nella sua composizione ristretta è
costituito da ordinari e decide, in via esclusiva, sulla chiamata dei nuovi
ordinari. Il consiglio semi-allargato è composto invece da ordinari e associati
e decide sulla chiamata degli associati. Le scelte sono fatte in base ai rapporti di
potere esistenti all’interno dei dipartimenti. Da una valutazione di carattere
scientifico, si passa automaticamente a una sorta di conta degli amici e dei
nemici, che fa vincere non i più bravi, ma i più abili nel creare alleanze
politiche nelle facoltà. Insomma, i nuovi professori tornano a essere
“nominati” in base a una elezione politica in cui gli unici aventi diritto al
voto attivo sono i membri del consiglio ristretto. In questi termini argomenta
Francesco Barone su la voce.info (11-12-15) nell'articolo "Così i
dipartimenti bloccano la riforma dell’università".
Fra i commenti all'articolo da riportare in replica mi è parso più
convincente quello di Alberto Rotondi: Qui si continua a ragionare ignorando i
fatti. È normale che nella programmazione i più anziani ordinari, che non hanno
conflitto di interessi a livello personale, siano quelli che pesano di più
nella programmazione. È così in tutto il mondo. Però la mancanza di risorse
falsa tutto il meccanismo. Il CdA mi ha dato un punto di personale da spendere
per il reclutamento. Se prendo un esterno ho una posizione. Se promuovo degli
interni bravi ho 2 o tre posizioni. Ho il Dipartimento senza personale che
chiude i corsi e che vive sulle ore in più di didattica che fanno i
ricercatori. Se ho tre ricercatori bravi che se non vengono promossi tirano i
remi in barca, promuovo loro o chiamo un esterno più bravo chiudendo due corsi?
E poi contano i corsi e le linee di ricerca del Dipartimento. Chiamo un interno
un po' meno bravo ma che è leader di un gruppo di nanotecnologie che tira e pubblica
o chiamo un esterno più bravo che studia teorie di campo con automi cellulari,
ricerca che nessuno nel mio dipartimento fa? Facile cazzeggiare sui baroni, ma
i fatti sono ben diversi. Quanto alla legge Gelmini, potrebbe anche essere una
legge funzionante, ma in un paese normale che eroga le risorse minime
all'università, non in questo contesto. (Fonte: lavoce.info 11-12-15)
PERCHÉ L’UNIVERSITÀ POSSA ADEGUARSI ALLE
ISTANZE DELLA PROPRIA COMMITTENZA SERVE INNANZITUTTO CHE QUESTE ISTANZE CI
SIANO
I problemi
dell’università italiana non sono determinati né dalla qualità potenziale degli
studi, né dal livello di preparazione del suo corpo docente e ricercatore: il
nostro paese occupa il posto che dovrebbe occupare negli indicatori della
produzione di conoscenza, e i suoi laureati di punta non si differenziano,
nella capacità di inserirsi con profitto nell’economia globale della
conoscenza, da quelli del resto d’Europa. Perché l’università possa adeguarsi
alle istanze della propria committenza, non basta che un governo cali
dall’alto, alla giacobina, nuovi ordinamenti e li imponga: serve innanzi tutto
che queste istanze ci siano, e cioè che l’imprenditoria italiana si mostri in
grado di assorbire un certo tipo di personale qualificato, e si mostri pronta a
metterlo a frutto e a valutarne seriamente le doti in modo che i programmi di
formazione possano cambiare e migliorarsi sulla base di aspettative espresse
alla prova dei fatti. E per ottenere questo risultato bisogna che, tra
università e paese, cambi più profondamente l’elemento che è attualmente più
lontano, nei suoi standard di qualità e nelle sue dinamiche sociali, dai suoi
omologhi nei contesti più compiutamente sviluppati, ovvero il paese.
Servirebbe, insomma, costringere la nostra economia a produrre per la
competizione internazionale, e quindi costringere i nostri centri produttivi ad
avere davvero bisogno di attrezzarsi al meglio e di compiere scelte di qualità
per sopravvivere. Ci vorrebbe un governo che, gradualmente ma con fermezza,
eliminasse tutti i paracadute che finora salvano dal baratro chi è pericolante,
e che non avesse paura di affrontare l’inevitabile malcontento diffuso di un
paese in cui guardare in faccia alla realtà significherà, nel breve periodo,
gettare tra gli stenti milioni di persone che passeranno dal percepire un
reddito che non producono al mero (se sarà possibile erogarlo) sussidio
statale. Uno scenario del genere è accettabile da un governo democratico che
tiene alla propria pelle? No, ed ecco perché, per l’ennesima volta, si otterranno
“risultati” nel modo più semplice: se università e paese, oggi come ieri, non
sono connessi, a cambiare dovrà essere l’elemento più limitato e soprattutto
più gestibile, perché debole, privo di ampie reti di supporto e di reazione
agli attacchi e anzi tradizionalmente diviso al suo interno, fiaccato dalla
cattiva stampa, e come se non bastasse quasi totalmente sotto controllo della
regolazione pubblica e quindi più semplice da rivoltare come un calzino a
scadenze periodiche. Prepariamoci dunque a un’altra “riforma” che si potrà dire
di aver fatto per il gusto di sventolare un trofeo al pubblico, ma non diamo
come al solito la colpa a Renzi per questa brutta abitudine. (Fonte: A.
Mariuzzo, http://tinyurl.com/jfzjy7m 25-11-15)
RIFORME
DELL'ISTRUZIONE MAI ATTUATE
Nell'articolo intitolato "Le riforme che (forse) non avremo" sul
Corriere della Sera del 7 dicembre E. Galli della Loggia cita, tra le tante,
anche le riforme dell'istruzione mai attuate: "Penso anche a riforme meno
clamorosamente urgenti ma assolutamente necessarie, quali per esempio quella
dei programmi scolastici, fermi a una stagione ideologica ormai tramontata,
ovvero alla riforma altrettanto urgente negli studi universitari del sistema di
laurea del tre+due, rivelatosi una vera catastrofe". (Fonte: E. Galli
della Loggia, CorSera 07-12-15)
IL CAMBIAMENTO
DEL SISTEMA UNIVERSITARIO NEL RAPPORTO RES 2015 (ISTITUTO DI RICERCA SU
ECONOMIA E SOCIETÀ IN SICILIA)
I dati e le evidenze presentate in questo Rapporto portano a concludere, senza timore
di esagerare, che il sistema universitario italiano sta affrontando un
cambiamento epocale, che ne ha già condizionato la struttura, e che potrebbe condizionarlo per decenni a
venire. Ciò che si vedrà, infatti, è che le dinamiche che si sono determinate sono cumulative:
tenderanno a ripetersi e ad amplificarsi nel futuro. Non vi è stata, cioè, una correzione di rotta
una tantum, per quanto estremamente ampia e di direzione decisamente discutibile: si è messo in
moto un processo – che senza necessità di alcun ulteriore intervento – porterà il sistema a
trasformarsi radicalmente.
Un cambiamento di portata così ampia non scaturisce però da un organico
disegno di riforma. Da una volontà esplicita, quantomeno annunciata pubblicamente.
Da un progetto trasparente, che sia stato valutato con attenzione almeno dalle classi
dirigenti del paese (se non da tutti i cittadini) e che sia stato oggetto di
almeno parziali discussioni parlamentari. Di cui siano stati soppesati i pro e
i contro, analizzate le conseguenze a medio e lungo termine. Scaturisce invece da un coacervo di norme e disposizioni attuative, di
regolamenti, di decreti ministeriali tanto complessi nella forma quanto assai importanti
nella sostanza. Un processo in larga misura oscuro, talmente complesso da sfuggire – in molti suoi aspetti – alla comprensione non solo dei cittadini o delle “classi dirigenti”, ma anche
degli stessi più diretti interessati. Un processo in larghissima parte indipendente dalla
politica, ma che, allo stesso tempo, ha avuto una sostanziale continuità anche con esecutivi di colore
ben diverso, sostenuti da partiti che nei loro (rari) documenti sull’istruzione superiore avevano
espresso posizioni molto diverse: fra di loro – come è normale sia in democrazia – e rispetto a
ciò che si veniva decidendo. Una sorta di pensiero unico implicito. Quale che sia l’opinione che
ciascuno può avere sugli esiti che si stanno determinando, si tratta di un processo di decision-making
certamente oscuro. (Fonte: G. Viesti, http://www.resricerche.it/ dicembre 215)
STUDENTI
STUDENTI. PER GARANTIRE LA BORSA DI STUDIO A
TUTTI GLI IDONEI È NECESSARIA UNA CORRESPONSABILITÀ FINANZIARIA DI STATO E
REGIONI APPLICANDO IL D.LGS. 68/2012
Per il DSU (Diritto
allo Studio Universitario) occorrerebbe almeno il doppio di quanto ora
stanziato, ovvero circa 330 milioni di euro: questo è l’ammontare con cui lo
Stato, si stima, nel 2014/15, avrebbe potuto finanziare la spesa per borse di
studio e mobilità internazionale per una quota pari al 70%, in ciascuna
Regione, al netto delle entrate da tassa regionale. In comparazione agli oltre
due miliardi di euro spesi da Francia e Germania per il sostegno agli studenti,
e al miliardo speso dalla Spagna, si tratta di bruscolini. Il calcolo delle
risorse necessarie è stato fatto basandosi sul sistema attuale che interessa un
numero di idonei pari al 10-11% della popolazione studentesca, dunque una
porzione di studenti assai esigua che occorrerebbe ampliare e che invece, a
seguito dell’introduzione della riforma ISEE, nel 2015/16, si ridurrà
ulteriormente. Il
d.lgs. 68/2012 all’art. 18, co. 1, prevede che le Regioni debbano contribuire a
coprire il fabbisogno finanziario necessario a garantire il pieno successo
formativo degli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi, in misura pari ad
almeno il 40 per cento dell’assegnazione relativa al fondo statale integrativo.
Questa norma è rimasta inattuata perché non è mai stato emanato il decreto
attuativo che deve definire i criteri e le modalità del riparto del fondo
statale (art. 18, co. 4), sebbene si sarebbe dovuto fare entro 12 mesi dall’emanazione
del d.lgs. 68/2012. Aumentare
le risorse è una condizione necessaria ma non sufficiente per garantire a tutti
la borsa di studio. È indispensabile riformare il sistema di finanziamento
dando applicazione a quanto prevede il d.lgs. 68/2012, una corresponsabilità
finanziaria di Stato e Regioni, perché altrimenti il rischio è che a fronte di
un aumento delle risorse statali le regioni riducano le proprie, con l’esito
che la figura dell’idoneo non beneficiario non scompaia mai. In conclusione,
per il DSU (borse a tutti gli studenti idonei = 10-11%) occorre il doppio dei
162 mln (FSI = Fondo statale integrativo) della L. di stabilità e il decreto
attuativo del d.lgs. 68/2012 (almeno 40% del FSI da Regioni). (Fonte: F.
Laudisa, http://tinyurl.com/gvah2dc 23-11-15)
Tabella. DSU. Ammontare del Fondo statale
integrativo (FSI) e delle entrate da tassa regionale a.a. 2005/06 - 2013/14.
STUDENTI ITALIANI ALL'ESTERO E STRANIERI IN
ITALIA
Il numero di
studenti italiani che studia all'estero è in costante crescita. Nel 2013 circa
46.000 studenti italiani risultavano iscritti in atenei di altri Paesi OCSE.
Per contro le università italiane attirano pochi studenti stranieri: nello
stesso anno meno di 16.000 studenti stranieri risultava iscritto nelle
istituzioni italiane. Tuttavia le nostre università stanno tentando di superare
questo problema: circa il 20% degli atenei ha proposto almeno un programma
d'insegnamento in lingua inglese durante l'anno accademico 2013-2014 (rispetto
al 43% in Germania e al 16% in Francia). (Fonte: ANSA 24-11-15)
IMMATRICOLAZIONI.
IL SORPASSO DELLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE
Il record di matricole che dieci anni fa affollavano le aule di
Giurisprudenza, Scienze politiche, Economia, Psicologia e Scienze della
comunicazione (per citare i corsi più frequentati dell'area sociale) è solo un
ricordo: in appena due lustri sono diminuite dal 41 al 34%. Mentre i futuri
ingegneri e laureati in Matematica, Fisica, Chimica e Scienze biologiche sono
schizzati dal 27 al 34% realizzando un inedito sorpasso, seppure per poche
decine di unità. Stabili restano le immatricolazioni per i corsi dell'area
sanitaria (Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Professioni sanitarie) e
umanistica: Lettere, Storia, Filosofia. (Fonte: R.it 15-12-15)
IMMATRICOLAZIONI. UNA QUESTIONE MERIDIONALE
Le Università
meridionali hanno perso 45.000 immatricolati negli ultimi 10 anni, mentre il
Centro-Nord, dopo un’iniziale perdita, ha quasi superato la crisi di
immatricolazioni. Globalmente, in Italia, 7 diplomati su 10 proseguono gli
studi immatricolandosi all’Università, ma vi è un flusso migratorio di studenti
dal Sud al Centro-Nord pari al 25% (dati da Rapporto ANVUR sullo Stato del
sistema universitario). In totale, perciò, le Università del Sud riescono a
“trattenere” poco più del 60% dei diplomati meridionali, mentre pochissimi
studenti del Centro-Nord s'immatricolano nelle Università del Sud. Il sistema
universitario del Centro-Nord, invece, oltre ai diplomati locali riesce ad
attrarre altri 2 diplomati su 10 provenienti dal Sud. Un motivo rilevante – e
inadeguatamente valutato – è rappresentato dalle scarse risorse del diritto
allo studio e dalla distribuzione delle stesse. Di fatto, le Regioni che riescono a dare un
maggiore numero di borse di studio, perché più ricche, ottengono di più dallo
Stato, mentre quelle più povere ottengono di meno. Tale distribuzione di
risorse attiva un circolo vizioso per il quale sempre più risorse vanno al Nord
e sempre meno al Sud. A titolo esemplificativo, i fondi attribuiti nel 2014 a
Lombardia e Campania, Regioni con eguale numero di potenziali studenti
beneficiari, rendono plastico il quadro: la Lombardia ottiene quasi 18 milioni,
e la Campania ottiene 5,5 milioni (DPCM 3 Luglio 2015). Ne consegue che il 76%
dei 46.000 studenti capaci e privi di mezzi – ma senza borsa di studio – sono
iscritti alle Università meridionali. (Fonte: A. Pujia, Roars 26-11-15)
VARIE
L'ENQA E L'ANVUR
In analogia con i
sistemi di accreditamento e certificazione, anche in ambito di formazione
esiste un sistema a cascata. L’ente che potremmo far corrispondere all’ECA
(European Cooperation for Accreditation) è l’ENQA (European association for
quality assurance in higher education). L’ENQA è l’organizzazione che ha lo scopo
di mantenere e migliorare la qualità della formazione in Europa. Il documento
di riferimento è «Standards and
Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education Area»
reperibile nel sito dell’associazione (http://www.enqa.eu). Esistono due livelli
di iscrizione, full e associate, che prevedono una valutazione esterna ogni 5
anni. In sostanza, i full member rispondono a tutti i criteri dell’ENQA e
quindi anche a quelli delle citate «Standards and Guidelines for Quality
Assurance in the European Higher Education Area» (ESG), mentre gli associati
(associates) invece sono quegli enti che pur rispettando tutti i criteri per la
full membership, non sono classificati come agenzia nazionale. Infine, gli enti
che non riescono a superare la valutazione esterna, o che semplicemente non
desiderano essere valutati, possono iscriversi all’ENQA come affiliati
(affiliates), senza diritto di voto. L'ANVUR, che essendo l’agenzia nazionale,
potrebbe ambire allo status di full member, presumibilmente non ha superato la
valutazione o ha fatto decorrere i termini (cfr http://www.roars.it/online/anvur-emarginata-dalleuropa-niente-membership-enqa/)
e quindi dal 2013, quando è scaduta la condizione di Candidate membership,
ossia di ente in valutazione, appare solo nell’elenco degli affiliati. (Fonte:
B. Cenci Goga, Roars 27-11-15)
RAPPORTO OCSE SULL'ISTRUZIONE. DATI NEGATIVI
PER L'ITALIA
L'ultimo rapporto
OCSE dice che il 20% dei giovani italiani prende una "laurea
completa" (+3% rispetto alla media) ma solo il 42% dei diplomati s'iscrive
all'Università: una negatività che ci caratterizza al terzultimo posto dopo il
Lussemburgo e il Messico. Ma non è l'unico dato negativo. Oltre ad attirare
pochi studenti stranieri, nel 2012 le istituzioni dell'istruzione terziaria
hanno speso 10.071 dollari statunitensi per studente: due terzi della spesa
media Ocse. È lo 0,9% del Pil nazionale, con un leggero aumento rispetto al
livello di spesa dello 0,8% registrato nel 2000. Meno di noi spende il
Lussemburgo. Canada, Cile, Corea, Danimarca, Finlandia, Stati Uniti hanno
dedicato intorno al 2% all'istruzione terziaria. A questo va ad aggiungersi che
il 35% dei 20-24enni non ha un lavoro, non studia, né segue un corso di
formazione: i cosiddetti NEET, la seconda percentuale più alta dei Paesi OCSE.
Insomma, l'Italia si ritrova fanalino di coda in molte indagini del rapporto. Di segno positivo,
secondo l'Ocse, è tuttavia l'accertamento che l'Italia ha chiuso il divario di
genere nel tasso dei laureati: le donne costituiscono il 59% dei nuovi
laureati. Resta però il gap sul fronte della docenza: le donne sono solo il 37%
dei professori universitari (media OCSE 41%). (Fonte: Uninews24 24-11-15)
INDAGINE WEWORLD 2015. I NEET (NOT ENGAGED
IN EDUCATION, EMPLOYMENT OR TRAINING) SONO 2,5 MILIONI IN ITALIA
Avvalendosi dei
dati emersi dal rapporto ISTAT del 2014, l’associazione WeWorld, in
collaborazione con il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) e
la rivista Animazione Sociale, ha realizzato la prima indagine organica su un
fenomeno ormai sempre più diffuso, ma del quale ancora si parla troppo poco:
quello dei giovani che non sono inseriti in alcun percorso formativo e nemmeno
lavorano. L’indagine, il cui titolo è, non a caso, “Ghost” (cioè fantasma),
analizza le proporzioni e le cause del fenomeno, sollecitando interventi –
ormai non più procrastinabili – per affrontare la questione. I NEET [acronimo
inglese di "Not (engaged) in
Education, Employment or Training"] italiani sono 2 milioni e mezzo,
cioè il 21 per cento della popolazione nazionale nella fascia d’età che va dai
15 ai 29 anni, e sono così tanti che l’Indagine WeWorld 2015 ci assegna il
triste primato di Paese europeo che ne conta il tasso più elevato. Sono per la
maggior parte donne e risiedono per lo più al Sud, dove la percentuale di
giovani che non studiano né lavorano è del 35 per cento (al Nord sono meno del
20 per cento).
Il fenomeno è
andato crescendo di anno in anno a partire dal 2007 al ritmo di un punto
percentuale ogni 12 mesi. Questi dati, uniti a un tasso di disoccupazione
giovanile che si attesta al 40 per cento, fanno sì che l’Italia sia fanalino di
coda in Europa, ben lontana da Paesi quali il Regno Unito, la Francia e la
Germania. A questi dati s'accompagna la constatazione che l'Italia negli ultimi anni ha fatto
progressi importanti per creare programmi di istruzione terziaria che preparino
gli studenti a un rapido ingresso nel mercato del lavoro con la creazione degli
Its (Istituti tecnici superiori) che purtroppo sono ancora molto pochi (Fonte:
universita.it 19-11-15)
367 SETTORI SCIENTIFICO-DISCIPLINARI SONO
TROPPI?
In base al decreto
ministeriale del 30 ottobre 2015, in Italia ci sono 367 settori
scientifico-disciplinari (Ssd), raggruppati in 188 settori concorsuali (Sc), 88
macro-settori e 14 aree, e ogni ricercatore o professore afferisce a uno
specifico settore disciplinare (e concorsuale).
I settori
scientifico-disciplinari dovrebbero rispondere a criteri di omogeneità
scientifica e didattica. La distinzione tra settori concorsuali non rappresenta
solo una suddivisione burocratica senza conseguenze, ha ripercussioni pratiche
sia per l’organizzazione della didattica sia per gli arruolamenti e gli
avanzamenti di carriera. Ad esempio, se un docente insegna un corso al di fuori
del proprio settore concorsuale non può essere considerato un docente “di
riferimento” per la sostenibilità del corso di laurea in cui insegna. Non meno
rilevanti le conseguenze per le carriere: le commissioni di valutazione per il
reclutamento o le promozioni possono infatti bocciare un candidato appellandosi
alla non pertinenza della sua produzione scientifica al settore disciplinare in
cui è stato bandito il concorso. Un caso particolare è costituito dal
macro-settore di Economia che comprende ben cinque settori concorsuali (in
Germania l’intera area 13 – Economia, economia aziendale e statistica –
comprende sei settori). Solo il 22 per cento dei candidati all’abilitazione
scientifica nazionale ha fatto domanda in un unico settore (si tratta
generalmente di candidati a bassa produttività scientifica), il 34 per cento ha
fatto domanda in due settori disciplinari, il 24 per cento in tre, il 15 per
cento in quattro e il 5 per cento in tutti e cinque i settori. Non solo nel
macro-settore Economia ma anche in altri macro-settori molti candidati hanno
fatto domanda per ottenere l’abilitazione in più di un settore concorsuale.
Perciò è probabile che la distinzione tra settori scientifici disciplinari non
risponda sempre a effettive differenze nel corpus della disciplina.
D’altra parte, se
si esaminano i curriculum dei ricercatori e professori incardinati nei diversi
settori, secondo gli autori dell'articolo si fa fatica a trovare differenze
sostanziali sia nelle tematiche trattate che nelle metodologie utilizzate. Si
ritiene perciò difficile pensare che senza tale dettagliata suddivisione per
settori sarebbe stato problematico nominare commissioni competenti a valutare
le pubblicazioni e i titoli presentati dai candidati. Nonostante ciò, non sono
infrequenti i casi in cui la commissione valutatrice ha negato l’abilitazione
sostenendo che la produttività scientifica del candidato (pur se di elevato
profilo) non fosse pertinente al settore. (Fonte: M. De Paola, T. Jappelli e V.
Scoppa, lavoce.info 24-11-15)
I PENSATOI INTELLETTUALI E L'UNIVERSITÀ.
INTERVISTA A R. PRODI
Nel dettaglio che
presente e che futuro vede per i pensatoi bolognesi? «Mi pare che Prometeia
abbia fatto una trasformazione compiuta e sia diventata un'azienda di
consulenza aperta al mercato, anche internazionale. Nomisma ha avuto periodi
difficili, ma adesso è in corso un tentativo di rilancio globale e
internazionale che, sono fiducioso, avrà successo». Ma ha senso parlare ancora
di politica industriale in Italia ora che la grande impresa sembra quasi
scomparsa? «Ha senso più che mai perché la politica industriale è più
necessaria che mai. È vero, non abbiamo più le grandi imprese, ma restiamo il
secondo Paese industriale d'Europa dopo la Germania e molto prima di Francia e
Spagna». E il destino del Mulino? «Di certo ha meno influenza di un tempo sulla
politica nazionale. E anche uno strumento come la Rivista - che è stata
un'esperienza straordinaria - è meno influente di un tempo». Perché la fine di
questo modello bolognese? «In gran parte per il cambiamento dell'università,
che in passato era il collante di tutti i docenti che contribuivano al così
detto modello bolognese. Oggi ai professori universitari è richiesto di essere
più specialisti e meno intellettuali, in senso lato. Cosi è venuto a mancare un
fattore di fermentazione che in passato aveva dato i suoi frutti». Esperienza
conclusa, quindi? «Spero proprio di no. Mi auguro che questi pensatoi non
appartengano solo al passato, ma anche al presente e al futuro. Certo, quello
di oggi è un mondo più frammentato, con problemi più difficili da comprendere,
ma proprio per questo servono strumenti nuovi e forti». (Fonte: F. M., La
Stampa 26-11-15)
ALLARME LANCIATO
AL PARLAMENTO EUROPEO DAL CUN SUL PROCESSO DI INTERNAZIONALIZZAZIONE
DELL'ISTRUZIONE SUPERIORE IN ITALIA
Il Consiglio Universitario Nazionale, evidenziando che la mancanza di
risorse di cui soffre l’università italiana pregiudica il raggiungimento degli
obiettivi europei, lancia l’allarme in una lettera indirizzata alla Commissione
cultura e istruzione del Parlamento Europeo: «Italy’s public expenditure on
research and development is considerably lower than the average for OECD countries
and has been cut drastically, especially since 2009. There has been a 20%
reduction in academic and administrative staff numbers, and fewer researchers
naturally mean a lower innovation potential. The low numbers of young Italians
who actually graduate is also of concern, especially given the constant fall in
University enrolments. Despite this, Italian researchers are acknowledged as
performing well in comparison with Europe, but their low numbers preclude
achievement of the objectives set for Italy in compliance with the principles
set forth in the international agreements». La lettera del CUN fa
riferimento al rapporto Internationalization of Higher Education
commissionato dalla Commissione cultura e istruzione del Parlamento Europeo e
allo Yerevan Ministerial Communiqué scaricabili dai seguenti link: Internationalisation of Higher
Education , Yerevan Ministerial Communiqué.
(Fonte: Redazione Roars 29-11-15)
LA NOTTE MOLTO
NERA DEI MUSEI. ERRORI FATALI DI UNA RIFORMA
Su Il Mulino n. 6/2015 Tomaso Montanari presenta con il titolo "La
notte dei musei e l'eclissi dell'articolo 9" una cruda rassegna degli
"errori fatali" della cosiddetta riforma Franceschini (disposta dal Dpcm 171 del 29 agosto 2014, dettagliata dal
Dm del 23 dicembre 2014 e in corso di applicazione durante il corrente 2015).
Errori che, ad avviso dell'autore, sono essenzialmente tre.
Il primo è la separazione radicale, e direi violenta, tra tutela e
valorizzazione: la prima lasciata alle soprintendenze, la seconda prospettata
come unica mission dei musei. Ciò deriva dall'interpretazione, oggettivamente
eversiva, della valorizzazione non come finalizzata all'aumento della cultura
(come vuole - recependo il dettato costituzionale e le sentenze della Corte
costituzionale - il Codice dei Beni culturali) ma invece come messa a reddito
del patrimonio. Da qui l'idea di non occuparsi di luoghi improduttivi
(implicitamente destinati all'estinzione: gli archivi e le biblioteche), e
quella di sfilare venti supermusei (sette di prima classe, tredici di seconda)
su cui concentrare risorse e attenzione. Errore nell'errore, la creazione di
Poli regionali museali in cui gettare alla rinfusa tutto ciò che avanza (musei veri e propri, siti archeologici,
monumenti), con l'unico criterio, brutalmente burocratico, della
bigliettazione: se si paga è "valorizzazione", e dunque si va nel
calderone dei Poli; se non si paga è tutela, e dunque si rimane nelle
soprintendenze.
Il secondo errore radicale è aver scommesso tutto non sulle comunità
scientifiche dei musei, ma sulla figura monocratica del direttore. Un errore
che deriva da uno stato di fatto (quelle comunità scientifiche di fatto non
esistono: e anche in alcuni dei venti supermusei lo staff si riduce
letteralmente a due funzionari), ma anche da una prospettiva culturale
neoautoritaria. Se, almeno, quei direttori fossero stati scelti in modo serio e
trasparente la riforma avrebbe segnato un punto sul campo. Sono stati
promossi a direttori di grandi, e a volte grandissimi musei, storici dell'arte
che erano curatori di sezioni di musei di secondo o terzo ordine: nemmeno uno
dei nuovi nominati ha avuto esperienze lontanamente comparabili alle
responsabilità che si accinge ad assumere. In due casi estremi sono state
scelte figure professionali dalle competenze remotissime, e francamente
incomparabili alle enormi responsabilità in gioco.
Il terzo errore radicale che ha fatto sprofondare i musei nella notte
attuale è la lottizzazione politica dei loro organismi scientifici, e dunque la
connessa prefigurazione di una loro sostanziale devoluzione agli enti locali
attraverso la trasformazione in fondazioni di partecipazione. L'articolo 12 del
secondo capo del decreto ministeriale sull'organizzazione dei musei prevede che
"il Comitato scientifico è composto anche da un membro designato dalla
Regione e uno dal Comune ove ha sede il museo. Il coinvolgimento degli enti
locali presenta innanzitutto evidenti tratti di incostituzionalità: il
patrimonio storico e artistico è "della nazione" (art. 9 Cost.), e
dunque non si capisce perché il Comune di Firenze debba influenzare la
direzione culturale degli Uffizi più di quello di Milano, o la Regione Veneto
determinare quella dell'Accademia di Venezia più della Regione Campania.
Ma c'è un aspetto ancora più grave, ed è l'idea stessa che alla politica
- e non alla comunità scientifica - spetti la nomina degli scienziati (in
questo caso cultori delle scienze storiche e storico-artistiche), in un
processo che rischia di assimilare le direzioni dei musei al consiglio
d'amministrazione della Rai. Queste modalità di reclutamento rappresentano il
culmine della progressiva espulsione dalla guida del patrimonio culturale dei
tecnici selezionati da altri tecnici sulla base delle regole della comunità
scientifica. Un'espulsione che mira a evitare che il governo del patrimonio
possa essere affidato a personalità d'intellettuali, i quali "anziché
cedere alla continua insidia e alla tradizione delle tante trahisons", assumessero e mantenessero "ad ogni costo e in
ogni caso la responsabilità dell'intervento mondano dello spirito critico».
È
un'evoluzione che, applicata ai musei italiani, compromette in modo ancora più
radicale quella funzione civile del patrimonio culturale basata
sull'indipendenza della conoscenza che è tipica della tradizione italiana, e
che la nostra Carta costituzionale mette tra i principi fondamentali della
comunità nazionale. In questo senso, la notte dei musei italiani rende ancora
più evidente l'eclissi dell'articolo 9 della Costituzione. (Fonte: T.
Montanari, Il Mulino 6/2015)
RACCOMANDAZIONE
DEL CUN. TOGLIERE AI RETTORI LA COMPETENZA DISCIPLINARE
Nell'adunanza del 2 dicembre (Oggetto: Raccomandazione «In tema di
giudizi disciplinari nei confronti dei professori e dei ricercatori universitari»)
il CUN raccomanda fortemente alla ministra Giannini di togliere ai rettori la
competenza a decidere sui provvedimenti disciplinari nei confronti dei
professori e dei ricercatori universitari, trasferendola a un unico organo
nazionale “che assicuri la necessaria imparzialità dei giudizi e uniformità dei
criteri di valutazione e di imputazione delle sanzioni disciplinari”. Secondo
il CUN, aver affidato ai rettori "la competenza a valutare la fondatezza
delle azioni disciplinari” non garantisce che sia mantenuta la “giusta
distanza” tra chi valuta l’ipotesi di responsabilità disciplinare ed il
contesto nel quale è scaturita l’azione disciplinare. E può generare
irragionevoli disparità di trattamento per casi identici. È del tutto
probabile, rileva Roars (08-12-15), che non sia una coincidenza che la
raccomandazione CUN arrivi proprio nel momento in cui alcuni rettori hanno dato
il via alla c.d. “VQR di polizia”, minacciando non meglio precisate sanzioni
per chi aderisce alla protesta per la discriminazione stipendiale.
ATENEI. IT
ALLA BOCCONI E AL
POLITECNICO DI MILANO LE MIGLIORI BUSINESS SCHOOL D’EUROPA
Università Bocconi e Politecnico di Milano sono state inserite nello
speciale ranking stilato dal Financial Times sulle migliori business school
d’Europa. La classifica europea è creata in base a parametri come l’opinione
dei diplomati, la retribuzione che gli stessi diplomati conseguono dopo aver
frequentato i corsi e l’esposizione internazionale della scuola.
La School of Management del Politecnico si è piazzata al 45° posto
(l’anno scorso era 38esima). Presente nei ranking internazionali dal 2009, la
Scuola è in classifica con Master Full Time MBA, Master Executive MBA, Master
of Science in Ingegneria Gestionale, Programmi Executive ‘su misura' per le
imprese, Programmi Executive Open per manager e professionisti. La School of
Management del Politecnico di Milano è composta dal Dipartimento di Ingegneria
Gestionale e dal MIP, che è la business school dell’Ateneo milanese.
La Sda Bocconi sale invece di una posizione ed è settima in Europa. Il
piazzamento è stato conseguito grazie ai risultati ottenuti dai programmi di
Bocconi e Sda Bocconi nei ranking che ogni anno realizza il quotidiano
britannico. Il Master of science in International management è salito al 9°
posto al mondo mentre l’Mba è al 10° posto in Europa. L’Executive Mba si è
collocato al 32° gradino in Europa e nella classifica dell’executive education
la Business school ha conquistato il 10° posto nel vecchio continente. Non è
inclusa nel calcolo del ranking dei ranking, infine, la classifica dei Master
in Finance dove la Bocconi si è piazzata 9° posto al mondo. (Fonte:
smartweek.it 09-12-15)
UNIBO. PRIMA TRA
LE ITALIANE NELLA CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ PIÙ INFLUENTI SUL WEB. WIKIPEDIA
RANKING OF WORLD UNIVERSITIES
La classifica, citata anche sulla MIT Technology Review, si chiama
"Wikipedia Ranking of World Universities", e vede nei primi posti le
Università di Oxford, Stanford, Yale, Cambridge, Harvard e Columbia. Ormai
esistono classifiche universitarie che misurano di tutto: la qualità della
didattica, quella della ricerca, il guadagno dei laureati, la reputazione e
molto altro. Tra esse c'è anche il Wikipedia Ranking of World Universities
2015, che stabilisce quali siano gli atenei più influenti online. Prima tra le
italiane è l'Università di Bologna, che si piazza al 26° posto. "Questa
classifica - commenta sul Corriere della Sera Marco Roccetti, docente di
Informatica all’Alma Mater - evidenzia il potere evocativo della narrazione che
si fa sull’Università di Bologna. A differenza di altri ranking, questo genere
di analisi tende infatti a far emergere il contesto sociale, economico e
politico in cui si muove l’Ateneo. E il ruolo di primo piano assunto dall’Alma
Mater è sicuramente legato ai suoi novecento anni di storia, senza dimenticare
il suo importante rilievo internazionale".
(Fonte: uninews24.it 17-12-15)
UNIBO. ACCORDO
CON LA SOUTH CHINA NORMAL UNIVERSITY
L'Università di Bologna e la South China Normal University hanno siglato
un accordo di collaborazione firmato dal rettore dell'Alma Mater Francesco
Ubertini e dal presidente della South China Normal University Hu Shejun. La
South China Normal University ha sede a Guangzhou, capitale della provincia di
Guangdong. È stata fondata nel 1933 e oggi conta circa 30.000 studenti
iscritti. Grazie al nuovo accordo sarà possibile lo scambio di studenti tra
l'Alma Mater e l'ateneo cinese, la mobilità di docenti e ricercatori e anche
l'attivazione di progetti di ricerca congiunti. (Fonte: magazine.unibo.it
11-12-15)
UNIMORE.
COLLABORA A HOLOCAR LA PRIMA TERAPIA AVANZATA A BASE DI CELLULE
STAMINALI APPROVATA IN EUROPA
A partire dal prossimo anno arriverà sul
mercato quello che è il primo prodotto in Europa a base di cellule staminali,
per curare lesioni della cornea; un successo tutto emiliano (maturato
dall’impegno di un colosso della farmaceutica di Parma e dell’Università di
Modena e Reggio Emilia); un esempio virtuoso di collaborazione
pubblico-privata. C’è tutto questo dietro Holocar, la prima terapia avanzata a
base di cellule staminali approvata in Europa e nata dalla collaborazione fra
il Gruppo farmaceutico Chiesi (1,34 miliardi di fatturato nel 2014 e
investimenti in R&D pari al 18% del fatturato) e ricercatori di fama come
Michele De Luca e Graziella Pellegrini dell’Università di Modena e Reggio
Emilia. È così che nel 2008 nasce lo spin off universitario Holostem Terapie
Avanzate. Da una parte ricercatori dell’Università di Modena e Reggio Emilia
(Unimore), dall’altra un’azienda che nel 2014 – stando allo scoreboard della Ue
– si è classificata prima fra le aziende farmaceutiche italiane per
investimenti in ricerca e sviluppo e settima fra tutte le aziende italiane. Con
Holocar si va, primi in Europa, sulle cellule staminali. Il trattamento
consiste nel prelevare una piccola porzione di cellule staminali dall’occhio,
fare crescere queste cellule in laboratorio e, non appena si forma un “foglio”
cellulare, trapiantarlo nell’occhio danneggiato. Una speranza che arriva dal
cuore dell’Emilia. (Fonte: A. Bio., IlSole24Ore My24 02-12-15)
GLI ATENEI EMILIANO-ROMAGNOLI NONOSTANTE IL
TREND POSITIVO DI UNIBO E DI UNIMORE PERDONO 1.628 STUDENTI IN QUATTRO ANNI
Il Sole24Ore ha
analizzato i dati (pubblici) degli iscritti al primo anno negli atenei statali
italiani mettendo a confronto l'anno accademico 2010-11 con il 2014-15: il
quadro che emerge è disastroso soprattutto per gli atenei del Sud, sempre più
vuoti e alle prese con un profondo deficit di borse di studio (anche per chi ne
ha diritto). Nella graduatoria di chi perde matricole, Parma occupa il secondo
posto dietro Reggio Calabria: 36,19% di immatricolati in meno, con un forte
calo che coinvolge soprattutto le (ex) facoltà dell'Area sociale (da 1.648 a
725, -56,9%) e di quella Scientifica (-41%). Anche Ferrara non se la passa
bene: -13,59%, da 2.971 a 2.570 matricole nel giro di 5 anni, con un -3,49%
iscritti all'Area sanitaria e -2,69% a quella Scientifica. Va meglio invece per
Bologna che passa da 13.084 a 13.373 matricole (+2,29%), con trend positivo per
tutte e quattro le aree disciplinari (sanitaria, scientifica, sociale,
umanistica). Vola invece l'Università di Modena e Reggio Emilia che incassa un
+9,9% a fronte di un salto da 3.553 a 3.905 nuovi iscritti, con un boom non
solo nell'area scientifica (da 1163 a 1335, +14,9%), ma anche in quella sociale
(da 1257 a 1430, +13%). Nonostante queste performance il sistema universitario
regionale nel complesso perde 1.628 studenti, in linea con la media nazionale
(-6,8%). (Fonte: Corriere Economia Emilia-Romagna 23-11-15)
SCUOLA NORMALE DI PISA. SCALA LE CLASSIFICHE
E NELLE PHYSICAL SCIENCES È 38ESIMA AL MONDO
Secondo Times
Higher Education, rivista inglese che ogni anno redige uno tra i ranking
internazionali più autorevoli, la Scuola Normale di Pisa scala le classifiche e
nel 2015-16, per quanto riguarda le Physical Sciences e le Arts&Humanities,
raggiunge ottimi piazzamenti nel World University Ranking. La graduatoria,
diffusa in questi giorni, monitora più di 800 istituzioni di 21 paesi. Nelle
Physical Sciences la Normale risulta essere trentottesima a livello mondiale e
unico ateneo italiano tra i primi cento (rispetto allo scorso anno, la Scuola è
avanzata di due posizioni). Crescono tutti i parametri coinvolti nella
valutazione: teaching, citation, research, industry income, international
outlook. Per quanto riguarda le Arts&Humanities la Scuola è tra i soli tre
atenei italiani classificati tra i primi cento e sessantesima a livello
mondiale, dopo Sapienza di Roma (42esima posizione) e prima di Bologna
(82esima).
L'UNIVERSITÀ ROMENA A ENNA. SECONDO IL MIUR È FUORI DALLE
NORMALI PROCEDURE DI LEGGE
Sull'inaugurazione
il 14 dicembre, a Enna, dell'anno accademico dell'Università romena 'Dunarea de
Jos' di Galati, il ministro Giannini ha sottolineato che se "un'iniziativa
si fa fuori dalle normali procedure c'è il sospetto che non abbia le carte in
regola". Il ministro riconduce la questione alla "legge
nazionale" che, ha ricordato, "impone il rispetto di criteri
trasparenti condivisi, a tutela della qualità dell'istruzione: e nel caso in
questione (corso di laurea in professione medico-sanitaria) - ha chiosato - mi
permetto di aggiungere anche a tutela di un bene prezioso come la salute".
Il Fatto Quotidiano intitola
"Enna, tante diffide ma alla fine apre l'università rumena" con
l'approvazione della Regione (in realtà un assessore si è detto favorevole e un
altro si è espresso contro) sebbene il ministro Giannini abbia ribadito che
"questa iniziativa si pone completamente fuori dalla legge, dai binari chiari
e trasparenti che riguardano tutti gli atenei" e le lauree non saranno
riconosciute "né da altro ateneo né da altra autorità pubblica".
Recisa la posizione del MIUR, pubblicata sul proprio sito: "Si ritiene
necessario informare studenti e famiglie che, anche a tutela della qualità
degli studi universitari, l’attivazione di corsi universitari sul territorio
nazionale da parte delle Università, italiane o estere, è consentita soltanto
subordinatamente all’adozione di un provvedimento di accreditamento da parte
del Ministero su conforme parere, fra l’altro, dell’Agenzia nazionale di
valutazione - scrive il MIUR - Nessun accreditamento è stato concesso dal
Ministero per l’attivazione a Enna di corsi in area medico-sanitaria alla
sopraindicata Università Rumena, né tantomeno può essere destinataria di un
simile provvedimento la citata Fondazione Proserpina s.r.l.". "Si
evidenzia pertanto - prosegue la nota - che eventuali titoli rilasciati
all’esito di tali corsi non avrebbero alcun valore né a fini accademici né a
fini professionali e non potrebbero essere riconosciuti né da altro Ateneo né
da altra Autorità pubblica", tuona il Ministero, che ricorda come lo
stesso abbia già provveduto a diffidare l’Università Dunarea de Jos Galati e la Fondazione
Proserpina "e sta provvedendo, con la collaborazione anche dell’autorità
giudiziaria, a ogni possibile azione al fine di ricondurre questa spiacevole
situazione nell’alveo della legalità". (Fonte: ANSA 14-12-15; FQ 15-12-15;
uninews24 15-12-15)
UE. ESTERO
LA CARTA EUROPEA
DEI RICERCATORI. L'ATTUAZIONE IN ITALIA
Documento base dell'Unione Europea, la Carta europea dei Ricercatori
costituisce l'unico, tuttora, con cui sono stabiliti per l'intera Europa
principi e disposizioni riguardo alla figura del ricercatore. Vi sono riportati
diritti e doveri della professione di ricercatore, indipendentemente dalla
natura del suo impiego, sia che svolga attività autonoma sia che la sua
attività lavorativa risulti inserita in un qualsivoglia organismo, pubblico o
in una qualsiasi organizzazione privata. La Carta ha visto la luce il 22 marzo
2005. Ha registrato una presa di posizione da parte della CRUI il 7 agosto
dello stesso anno, ma finora non era stata tradotta in disposizioni attuative
di carattere cogente. Il Parlamento - nell'agosto scorso - nell'approvare la
legge delega al Governo per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche
(7 agosto 2015, n. 124) ha introdotto talune non secondarie disposizioni riguardanti l’attuazione in
Italia della Carta europea. La delega conferita prevede che vengano emanate
disposizioni di legge (art. 13) relative “alla libertà di ricerca e
all’autonomia professionale” alla “portabilità dei progetti di ricerca e la
relativa titolarità valorizzando la specificità del modello contrattuale del
sistema degli enti di ricerca”. In vista dell’emanazione dei decreti delegati,
che – nell’intento del Legislatore – modificheranno il rapporto di lavoro dei
ricercatori, nonché la dislocazione dei dirigenti (art. 11) delle università e
degli enti pubblici di ricerca, e che inevitabilmente incideranno anche
sull’ordinamento degli enti o, quanto meno, sui loro procedimenti gestionali.
(Fonte: http://tinyurl.com/gtmslqn
16-12-15)
IL FUTURO DEL
PROCESSO DI BOLOGNA A EREVAN
Si è svolto ad Erevan, capitale dell'Armenia, il 14-15 maggio il nono
incontro dei ministri dell’istruzione superiore dei 47 Paesi aderenti al
Processo di Bologna. Anche il Rapporto 2015 sull’implementazione del Processo
di Bologna restituisce un’immagine dei Paesi aderenti che evidenzia le
criticità riscontrate sull’omogeneità dell’applicazione delle riforme: a fronte
di alcuni progressi effettivi, esistono ancora alcuni Paesi in cui le riforme
sono appena a livello sperimentale. Purtroppo la mancata attuazione delle
riforme in alcuni Paesi compromette il funzionamento e la credibilità dello
Spazio Europeo nel suo insieme. I Ministri si sono mostrati consapevoli di
questo e hanno concordato sulla necessità che alla base dei rapporti nazionali
ci siano una maggiore attenzione all’uso dei dati e misure più precise dei
risultati raggiunti. Inoltre, verrà utilizzato lo strumento del peer learning e
lo scambio di buone pratiche per offrire un supporto mirato a quei Paesi che
incontrino difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi concordati.
A Erevan si è svolto anche il quarto Bologna
Policy Forum, il momento di dibattito e confronto tra i Paesi che
partecipano al Processo di Bologna, altri Paesi che ancora non vi aderiscono e
i principali portatori di interesse, istituito nel 2009 per facilitare un
dialogo globale. Il documento
conclusivo del Forum riafferma l’importanza cruciale dell’istruzione
superiore e della cooperazione
accademica per lo sviluppo sociale e civile dei popoli, per il rafforzamento
della democrazia
e la difesa dei diritti umani. Riprendendo concetti espressi anche nel
Comunicato di Erevan,
il documento del Forum identifica alcune sfide ineludibili anche per i
sistemi formativi, tra cui i cambiamenti demografici, la disoccupazione, il
perdurare di stati di crisi economici e politici, il prevalere di preconcetti e
stereotipi culturali, l’insufficienza del dialogo interculturale e l’aumento di
atteggiamenti estremistici. Alla luce di questo complesso scenario, i
partecipanti si sono impegnati
a sostenere il ruolo chiave dell’alta formazione nell’affrontare queste
nuove sfide e nel creare una
società equa e sostenibile: «We will work with the academic community to
develop the key role of higher education in meeting these challenges and
creating the societies we want».
A livello italiano, in linea con gli obiettivi posti a Erevan per il
prossimo futuro, si colloca un progetto
che la CRUI sta gestendo su incarico del MIUR (Direzione generale per lo
Studente, lo Sviluppo e l’Internazionalizzazione della formazione superiore)
nell’ambito del Programma Erasmus Plus: "Consolidating Higher Education
Experience of Reform: norms, networks and good practice in Italy". Il
progetto, avviato a fine 2014 per un periodo di 18 mesi, intende consolidare a
livello nazionale le riforme dell’EHEA (European Higher Education Area),
attraverso una serie di seminari tematici, in cui le università e le
istituzioni Afam avranno l’opportunità di confrontarsi e dibattere i principali
aspetti relativi all’innovazione del sistema e dei percorsi didattici in una
prospettiva di attrattività internazionale. (Fonte: M. Cavallini, Universitas
137 ottobre 2015)
XI CONFERENZA
DEI RICERCATORI ITALIANI NEL MONDO
Il 26 ed il 27 Febbraio 2016 si svolgerà presso l'Auditorium del
Consolato Generale d’Italia a Houston, in Texas, l’Undicesima Conferenza dei
Ricercatori Italiani nel Mondo. Organizzata dal COM.IT.ES. di Houston (che
comprende gli Stati dell'Arkansas, Louisiana, Oklahoma e Texas), in
collaborazione con il Consolato Generale d’Italia a Houston, la manifestazione
prevede la partecipazione di personalità di spicco nei campi delle Scienze,
delle Tecnologie, della Medicina e degli Studi Umanistici e le cui attività
sono collegate all’Italia per il tramite della propria nazionalità o del
settore di interesse o delle relazioni in essere con organismi italiani
pubblici e privati.
Lo spirito che anche quest’anno muove l’iniziativa è quello di avvicinare
i cittadini ai luoghi in cui si fa ricerca scientifica, per invertire la contrapposizione
tra la cultura umanistica e quella scientifica e avvicinare sempre più questi
due mondi. La Conferenza dei Ricercatori sarà aperta a tutta la comunità
scientifica e non, e servirà ad accendere una luce sulla stato della ricerca
dei Ricercatori Italiani negli USA. (Fonte: lavocedinewyork.com 14-12-15)
USA. LA
CLASSIFICA DEI COLLEGE PIÙ VIVIBILI
Analizzare i dati disponibili sugli atenei americani, e riordinarli
secondo criteri più appetibili per un giovane alle prese con la scelta della
propria destinazione di studi, è il compito che si è dato l’AIER (American
Institute for Economics Research). La classifica che ne è emersa prende in
considerazione aspetti di vivibilità della città in cui insistono le università
piuttosto che quelli legati agli investimenti o alle capacità di spesa degli
atenei. Tasso di occupazione, numero di giovani impegnati in attività
culturali, ma anche accessibilità degli spazi pubblici o numero di bar e
ristoranti: questi alcuni dei criteri utilizzati dalla classifica riportata dal
periodico americano Fortune.
I dati sono poi stati raggruppati a seconda della dimensione delle città
(divise in tre fasce: quelle “big” con oltre 2,5 milioni di abitanti, le medie
con abitanti tra 1 e 2,5 milioni, e le piccole con una popolazione tra i 250
mila e il milione di abitanti. Ne è risultato che San Francisco (e non la
solita Boston delle varie Harvard o del Mit) è la città più idonea a svolgere i
propri studi. A seguire nel comparto big ci sono Boston, Seattle, Denver, Houston,
Minneapolis, Washington D.C., Dallas, San Diego, New York, Baltimore, Los
Angeles, Atlanta, St. Louis e Tampa-St. Petersburg. Tra le città di medie
dimensioni, vince ancora una californiana, San Josè, seguita da Austin,
Pittsburgh, Raleigh, Salt Lake City, Portland, Nashville, Columbus, Grand
Rapids, Milwaukee, Cincinnati, Buffalo, New Orleans, Cleveland, Kansas City,
San Antonio, Indianapolis, Rochester, Hartford e Orlando. (Fonte:
Corriereuniv.it 30-11-15)
TRA PAESI BRICS
SIGLATO UN IMPORTANTE ACCORDO SU ISTRUZIONE SUPERIORE E RICERCA COLLABORATIVA
I paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno siglato
Il 18 novembre 2015 un importante accordo sulla cooperazione nell'istruzione.
L'accordo impegna i partner a sostenere progetti di ricerca congiunta,
incoraggiare programmi post-graduate, dottorato e post-dottorato e la
pubblicazione congiunta di risultati scientifici; include, inoltre, attività
concernenti le politiche d'istruzione e formazione tecnica e professionale
(TVET). L'accordo è conseguenza di un incontro tenutosi in Brasile nel 2014, in
cui i paesi BRICS si sono accordati per rafforzare l'internazionalizzazione, la
mobilità accademica e l'istruzione professionale e tecnica, e per garantire
un'istruzione di qualità inclusiva ed equa. Ad ottobre 2015 si è svolto il
BRICS Global University Summit al Moscow State Institute of International
Relations, a cui hanno partecipato più di 400 rappresentati dalle principali
università dei cinque Paesi. Sono state condivise esperienze e annunciate nuove
iniziative per promuovere l'istruzione superiore. (Fonte: E. Cersosimo,
rivistauniversitas 10-12-15)
LIBRI
LA QUESTIONE MERIDIONALE DELL'UNIVERSITÀ
Autore: Mauro
Fiorentino. Editoriale scientifica. 2015.
Quindici anni di
storia politica dell’Università italiana sono passati al setaccio per
analizzare con amara ironia, ma con estremo rigore metodologico, come un
groviglio di interventi normativi e regolamentari ispirati da un vento
proveniente da Nord abbia creato le condizioni per un inevitabile declino delle
Università del Mezzogiorno. Artefice un percorso riformatore costruito
all’insegna di meritocrazia ed efficienza declinate su realtà infondate o mal
interpretate. Il tutto in nome di un liberismo anomalo nel quale i vincenti
sono stati scelti a monte e nel quale il Nord si è organizzato
un bel regalo –
cioè un’università più grande e più bella – che ha fatto pagare quasi
totalmente al Sud, così come il Vincenzo di Massimo Troisi in Ricomincioda Tre
fa pagare al fratello, praticamente per intero, il televisore da regalare a
mammà. Con una brillante metafora, paradossale e controintuitiva, l’Autore
dimostra cioè che nella recente storia universitaria italiana è stato
rovesciato il principio di fraternità-equità che è alla base della sana e umana
relazione ricco-povero che Troisi aveva magistralmente interpretato. Sia
l’Autore – sia Adriano Giannola nella
sua acuta
prefazione – sottolineano l’urgenza di una tempestiva vigilanza da parte di un
Parlamento finora colpevolmente disattento, al fine di porre immediato rimedio
alle gravi iniquità che stanno determinando una nuova emigrazione forzata che
rischia di indurre ulteriori penalizzazioni, se non un irreversibile declino,
delle regioni del Mezzogiorno. (Fonte: Il Mattino 05-12-15)
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