IN EVIDENZA
NEGLI ATENEI C'È UN DEFICIT ETICO?
L'ETICITÀ, IN PUNTA DI DIRITTO, NON SIGNIFICA NULLA SE NON SI CONVERTE IN
REATO. E, PROPRIO PER EVITARE QUESTO, ESISTE LA LEGGE
Raffaele
Cantone ha finora interpretato il suo ruolo senza i rigori giustizialisti a cui
avrebbe teoricamente potuto essere sollecitato. Tanto per iniziare, il
presidente dell’ANAC osserva che "negli atenei c'è un deficit etico".
È vero? I professori sono per lo più corrotti? Perché loro sì e gli altri no, o
meno? Domande che è lecito farsi, ma a cui non si può rispondere che in un solo
e unico modo: i professori sono più o meno eticamente reprensibili quanto
qualsiasi altra categoria. Non esiste una specificità dovuta alla professione o
alla corporazione. Detto altrimenti, anche fra di loro ci sono sia le brave
persone sia i farabutti. Come ovunque. Quel che non si capisce è perché un
magistrato debba farsi "misuratore" dell'eticità diffusa in un
ambiente o in una società. L'eticità, in punta di diritto, non significa nulla
se non si converte in reato. E, proprio per evitare questo, esiste la legge.
Che dovrebbe essere certa, rapida e puntuale. Cosa che in Italia non sempre, o
forse quasi mai, è. Ora la terapia proposta da Cantone, e il suo modo di
ragionare, mostrano in pieno come egli sia, come un po' lo siamo tutti noi,
dietro questa mentalità regolistica e punitiva che non risolve i problemi.
(Fonte: C. Ocone, huffingtonpost.it 29-09-17)
“Non credo
che la corruzione si combatta con questo tipo di prevenzione, che previene poco
o nulla. I problemi si prevengono conoscendoli, e la corruzione si conosce solo
facendo le indagini, gli arresti e i processi, non controllando la regolarità
delle pratiche amministrative e burocratiche”.
(Fonte: P.
Davigo, intervistato da FQ 25-08-17)
RECLUTAMENTO. IL PROBLEMA DELLA
CONVENIENZA AD ASSUMERE DOCENTI INTERNI
I processi
di valutazione dovranno proseguire, seppur migliorati nei numerosi punti
tuttora difettosi. Gli obiettivi della valutazione sono molteplici e uno
emerge, per quanto interessa il reclutamento: assumere mediocri o addirittura
somari deve divenire seriamente penalizzante per la struttura che li accoglie. A
questo fine è essenziale che il costo dell’assunzione del meno bravo «interno»
debba essere uguale a quello del bravo «esterno», mentre oggi è assai
inferiore. Questa perversa conseguenza dell’autonomia finanziaria delle sedi ha
favorito una endogamia accademica del tutto preoccupante: ormai i cinquantenni
hanno fatto, in gran numero, tutta la carriera – laurea, dottorato, assegno di
ricerca, ricercatore, associato, ordinario – nella stessa sede. E di
conseguenza si è rarefatta, fino quasi a scomparire, la mobilità. La
convenienza ad assumere in ogni caso gli interni – indipendentemente dal loro
valore – che garantiscano comunque i numeri per la didattica, favorisce e
sollecita evidentemente anche i «traffici» per la loro abilitazione.
Altra
questione antica – e sulla quale di tanto in tanto viene focalizzata
l’attenzione mediatica, seppure sempre in un quadro di forte spregio per
l’università tutta, identificata in «baronie» per vero ampiamente minoritarie –
è quella del rapporto con le attività professionali. Si dice che i danari delle
ricche, ricchissime libere professioni collegate ad alcuni settori
scientifico-disciplinari siano il motore di molto mercimonio accademico
concorsuale, anche se a volte vi restano impigliati, con la conseguente volgare
esposizione mediatica, stimatissimi tempopienisti. Se questa è una delle
componenti del problema delle irregolarità nei reclutamenti, si trovi il
coraggio di tagliare il nodo ambiguo, e in alcuni casi perverso, tra
professione e ricerca/insegnamento. Se in qualche area disciplinare si giudica
significativo e importante l’apporto didattico dello stimato professionista,
gli si attribuiscano incarichi temporanei di insegnamento ma lo si tenga
lontano dalla cooptazione delle nuove leve accademiche. (Fonte: G. G. Balandi,
Il Mulino 11-10-17)
PREMI NOBEL. MANCANO IN ITALIA DA 10
ANNI. LISTA DEI NOBEL “SCIPPATI”
Un Nobel
all'Italia manca ormai da dieci anni. In totale, sono 20 i premiati del nostro
Paese, ma solo se includiamo anche i riconoscimenti assegnati per le discipline
non scientifiche. Gli ultimi due scienziati italiani premiati sono Mario
Capecchi, premio Nobel per la Medicina nel 2007 per i suoi studi sulle cellule
staminali embrionali, e Riccardo Giacconi, premio Nobel per la Fisica nel 2002
per lo studio dell'Universo ai raggi X. Eppure di scienziati nostrani che
meriterebbero l'onorificenza ce ne sono tanti altri e in diversi settori. Ad
esempio, il neuroscienziato Giacomo Rizzolatti, considerato il "re dei
neuroni specchio". Oppure l'immunologo Alberto Mantovani, per le sue
scoperte in campo oncologico. E ancora Fabiola Gianotti, oggi alla guida del
Cern di Ginevra, per i suoi esperimenti sulle particelle ad alta energia.
Oppure i fisici Roberto Car e Michele Parrinello per aver sviluppato il metodo
computazionale Car-Parrinello che ha profonde implicazioni in diversi settori,
dalla fisica alla chimica e così via. Vi è poi una lunga lista di "mancati
Nobel", alcuni davvero clamorosi. L'ultimo "furto" risale allo
scorso anno, quando il chimico Vincenzo Balzani, è stato escluso dalla rosa dei
vincitori del Nobel per la Chimica - Jean-Pierre Sauvage, Sir J. Fraser
Stoddart e Bernard L. Feringa, definiti i "meccanici molecolari" -
nonostante lo scienziato italiano abbia firmato decine di studi sui motori
molecolari in collaborazione con due dei tre premiati. Poi c'è anche quello che
è stato definito dalla stessa comunità scientifica come uno "scippo"
ai danni del fisico Nicola Cabibbo, quando nel 2008 furono premiati con il
Nobel della Fisica gli scienziati giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide
Maskawa per la scoperta della Matrice Cabibbo-Kobayachi-Maskawa (o matrice Ckm,
dalle iniziali dei tre ricercatori). Sempre nel 2008 il Nobel per la fisica fu
assegnato a Yoichiro Nambu, autore con l'italiano Giovanni Jona Lasinio di
un'altra teoria fondamentale della fisica delle particelle. Anche in questo
caso il Nobel andò solo a Nambu. Una vicenda simile coinvolse il maestro di
Cabibbo, Bruno Touschek, escluso dal Nobel per la fisica del 1976, che fu
assegnato a Richter e Ting per la scoperta della particella J-Psi, quando
l'ideatore dell'anello di accumulazione alla base di quel risultato era stato
lui. Di mancato Nobel per la fisica si può parlare anche nel caso di Luciano
Maiani, che nel 1970 collaborò con i fisici Sheldon Lee Glashow e John
Iliopoulos, elaborando un'estensione del modello a quark allora in auge, che
prevedeva l'esistenza di tre quark. Il meccanismo si chiamava GIM, dalle
iniziali dei tre autori, e prevedeva l'esistenza di un quarto quark, che e'
stato scoperto sperimentalmente nel 1974. Ad essere premiato con il Nobel fu
però Glashow nel 1979. C'è chi parla di Nobel mancato anche nel 2005, quando il
farmacologo Alfredo Gorio fu escluso dal riconoscimento dato ai colleghi
Satoshi Omura e William Campbell per la scoperta dell'avermectina. (Fonte: V.
Arcovio, AGI 01-10-17)
LA BIBLIOMETRIA ITALIANA CRITICATA DA
TRE PREMI NOBEL
Tre premi
Nobel per la Fisica (Takaaki Kajita, Nobel 2015, Kip S. Thorne e R. Weiss,
Nobel 2017), insieme ad altri otto scienziati di altissimo profilo, scrivono alla
ministra dell’istruzione esprimendo una ferma condanna degli assurdi
automatismi della valutazione della ricerca all’italiana, con un accorato
appello a ripensare la strada intrapresa in solitaria dal nostro Paese.
«Bibliometric analysis does indeed carry some useful information, but it is not
internationally recognised to base hiring or promotion decisions on automatic
algorithms, particularly if they end up comparing activities that are not
comparable. Those decisions, in leading universities worldwide, are always
based on a case - by - case examination by a competent panel of peers». (Fonte:
https://tinyurl.com/yaqxyo46
03-10-17)
ISPD (INDICATORE STANDARDIZZATO DI
PERFORMANCE DIPARTIMENTALE)
Ci eravamo
dimenticati che l’indicatore standardizzato ISPD (indicatore standardizzato di
performance dipartimentale che è alla base della procedura dei c.d.
Dipartimenti di eccellenza) è una geniale trovata del 2014 frutto della
collaborazione tra la CRUI e l’ANVUR. L’ISPD non è nato per i Dipartimenti di
eccellenza (che ancora non erano saltati fuori dal cilindro magico), è stato
invece concepito per fornire ai rettori uno “strumento matematicamente potente”
per comparare i dipartimenti all’interno degli atenei. Il messaggio della CRUI
e dell’ANVUR è il seguente: la VQR è il migliore esercizio valutativo esistente
e deve essere utilizzato per finalità interne alle singole università. Le singole
università rimangono formalmente libere di inventare procedure diverse, ma
perché rinunciare a strumenti già pronti e potenti? Così si spiana la strada al
dominio di un pensiero unico della cui robustezza è però lecito dubitare. Sul
piano giuridico con l’ISPD e i dipartimenti di eccellenza, ci troviamo di
fronte non solo ad una norma retroattiva, ma anche all’uso dei risultati della
VQR per finalità diverse da quelle inizialmente concepite, allo scopo di
aggirare l’autonomia delle singole università, attribuendo risorse direttamente
dal Centro (il MIUR) alla più remota periferia (il Dipartimento). Il CUN nella
nota del 18 luglio 2017 raccomandava alle università “la massima cautela
nell’utilizzare i valori di ISPD. […], questo indicatore non può infatti essere
impiegato come parametro sul quale basare direttamente ripartizioni
proporzionali di risorse tra i propri dipartimenti”. Insomma, secondo il CUN,
l’ISPD è un indicatore utile per esercizi valutativi nazionali, ma non può
essere adoperato per finalità valutative interne agli atenei, in particolare
con lo scopo di distribuire risorse tra dipartimenti. Il CUN non chiedeva un
parere all’ANVUR, ma indicava una propria linea politica. A distanza di quasi
tre mesi, senza essere stata interrogata, l’ANVUR decide di “rispondere”
giungendo a conclusioni diametralmente opposte a quelle del CUN. Cosa c’è
dietro tutto questo? L’ennesimo attentato all’autonomia delle università. Il
messaggio della CRUI e dell’ANVUR è il seguente: la VQR è il migliore esercizio
valutativo esistente e, quando corredato dagli opportuni e “potenti strumenti
matematici” (come l’indicatore standardizzato), può (e deve) essere utilizzato
per finalità interne alle singole università. (Fonte: R. Caso, Roars 20-10-17)
EURYDICE
BRIEF: MODERNISATION OF HIGHER EDUCATION IN EUROPE.
LA SINTESI ESPLORA LE REALTÀ DEL PERSONALE ACCADEMICO NEL PANORAMA
DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE
La rete
Eurydice della Commissione europea ha appena pubblicato la sintesi Eurydice Brief – Modernisation of Higher
Education in Europe: Academic Staff – 2017. La sintesi esplora le realtà
del personale accademico nel panorama dell’istruzione superiore, attualmente
scenario di grandi cambiamenti.
Per quanto
riguarda la distribuzione di genere, il personale accademico soffre di una
certa preponderanza del genere maschile su quello femminile. Infatti,
nonostante che negli ultimi 15 anni ci sia stato un tendenziale aumento della
presenza femminile, la percentuale europea di presenza femminile rimane al 40%.
Come in altri settori professionali, anche nell’istruzione superiore,
nonostante l’aumento degli ultimi anni, le donne sono sottorappresentate ai
livelli più alti della carriera. Un altro elemento di preoccupazione per i
decisori politici di alcuni Paesi europei pare essere il ricambio
generazionale. Infatti, se Bulgaria, Spagna, Italia, Slovenia, Finlandia e
Svizzera, hanno un’alta percentuale (40%) di personale accademico di età
compresa fra i 50 e i 64 anni, è vero anche che tutti i Paesi registrano percentuali
relativamente basse di personale al di sotto dei 35 anni di età. Nelle
istituzioni superiori il personale accademico viene assunto con contratti a
tempo indeterminato e determinato o a contratto, ma il contratto a tempo è la
modalità contrattuale più diffusa per il personale ai livelli iniziali della
carriera accademica. La stabilità contrattuale e, di conseguenza, le garanzie
legate ai contratti aumentano con l’avanzamento della carriera verso i livelli
più alti della professione. L’instabilità contrattuale riguarda anche tutta una
grande quantità di figure accademiche che non rientrano nelle carriere
tradizionali (professori e ricercatori) che sono presenti in tutti i Paesi
europei. È proprio quest’ultimo aspetto del doppio binario nella professione
accademica al quale sono legate grosse differenze in termini di garanzie e
condizioni contrattuali, che desta preoccupazione nei decisori politici in
quanto rischia di rendere la professione accademica poco ambita. Questo, unito
anche all’aspetto dell’età avanzata degli accademici in alcuni Paesi europei,
potrebbe infatti portare a un problema di carenza di personale nei prossimi
anni. Part-time accademico. Inesistente o raro in Grecia, Francia, Italia,
Polonia e Romania, 60 - 80% in Germania, Latvia, Lithuania, Austria, Slovenia e
Svizzera. (Fonte: E. Bartolini, https://tinyurl.com/y96tha5r
10-10-17)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA
NAZIONALE
ASN. TAR LAZIO, SENTENZA N. 10770
27-10-2017. NON BASTA IL SUPERAMENTO DEGLI INDICI BIBLIOMETRICI (MEDIANE) MA
OCCORRE IL POSITIVO GIUDIZIO DI MERITO DELLE COMMISSIONI
In materia
di procedura per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale (ASN),
le commissioni, oltre agli indici bibliometrici (cd. mediane), sono chiamate a
valutare anche numerosi altri profili e ciò in virtù di quanto previsto
dall’art. 16 della legge n. 240/2010, in cui il legislatore ha chiarito che il
conseguimento della abilitazione scientifica nazionale non si sarebbe potuto
limitare ad una mera verifica del superamento degli indicatori bibliometrici
(cd. mediane) misurate dall’Anvur. In particolare l’articolo 16, comma 3, nel
delineare i principi generali sulla base dei quali l’Amministrazione avrebbe
dovuto adottare il regolamento di attuazione riguardante i criteri di
valutazione, alla lett. a) prevede espressamente che l’abilitazione si sarebbe
dovuta basare su “un motivato giudizio fondato sulla valutazione analitica dei
titoli e delle pubblicazioni scientifiche, previa sintetica descrizione del
contributo individuale alle attività di ricerca e sviluppo svolte, ed espresso
sulla base di criteri e parametri differenziati per funzioni e per area
disciplinare, definiti con decreto del ministro”. Quindi la stessa norma che ha
introdotto l’abilitazione scientifica, ha stabilito espressamente che le
commissioni avrebbero dovuto esaminare non solo le pubblicazioni scientifiche,
ma anche i titoli e il contributo individuale alle attività di ricerca dei
candidati.
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
LE UNIVERSITÀ PIÙ INNOVATIVE SECONDO
REUTERS E CLARIVATE ANALYTICS
La
Stanford University, nel cuore della Silicon Valley, in California, si conferma
l’università innovativa per eccellenza. Per il terzo anno consecutivo è al
primo posto nella top 100 mondiale stilata da Reuters, una classifica basata su
dati e analisi provenienti da diversi indicatori, tra cui il numero di brevetti
e le citazioni di lavori scientifici. La classifica è stata stilata in
collaborazione con Clarivate Analytics e, per la cronaca, non annovera
università italiane. Nelle prime dieci posizioni, il ranking resta pressoché
invariato rispetto al 2016, con università grandi e ben consolidate tra Stati
Uniti ed Europa Occidentale a farla da padrone. Al secondo e terzo posto ci
sono, rispettivamente, il MIT e Harvard. Al quarto posto si è posizionata
l’Università della Pennsylvania, in crescita rispetto all’ottava posizione
dello scorso anno. Mentre al di fuori degli USA, l’università più quotata è la
KU Leuven, in Belgio, al numero cinque della classifica. Guardando più a Est,
invece, nelle top 20 ci sono solo due asiatiche, entrambe in Corea del Sud. Il
numero di università cinesi in classifica è arrivato a tre e due di quelle già
presenti in classifica nel 2016 hanno fatto grandi passi in avanti, salendo
alla posizione 51 e 60, rispettivamente dalle posizioni 65 e 70 dello scorso
anno.
(Fonte:
Reuters Health 27-09-17)
EURYDICE, RETE PER L'ISTRUZIONE DELLA
COMMISSIONE EUROPEA, CONSIGLIA DI NON AFFIDARSI TROPPO AI RANKING
INTERNAZIONALI IN CERCA DELLA MIGLIORE UNIVERSITÀ
È meglio
non affidarsi troppo ai ranking internazionali in cerca della migliore
università dove proseguire gli studi. Il sorprendente consiglio arriva da una
fonte autorevole: Eurydice, il sito della Commissione europea che si occupa di
istruzione. Titolo del suo focus: Le classifiche universitarie internazionali
sono utili? Domanda legittima, perché, spiegano da Bruxelles, figurare ai primi
posti nelle graduatorie stilate da un numero sempre maggiore di organizzazioni
non è sempre garanzia di qualità. Negli ultimi anni la tendenza a mettere in
ordine per qualità gli atenei di mezzo mondo è cresciuta notevolmente. Le
classifiche più note sono tre: quella del periodico britannico Times Higher
Education (The), la lista mondiale Qs World, stilata da Quacquarelli Symonds,
azienda, anche questa inglese, specializzata in istruzione e studi all'estero,
e quella dell'Università Jiao Tong di Shanghai. Secondo gli esperti della
Commissione europea però, queste classifiche internazionali non dicono tutto.
Anzi. «Ha senso collocare le università in un ordine di classifica, come le
squadre di calcio in una lega?» si chiedono. «O sarebbe preferibile riconoscere
che hanno ognuna qualità diverse dalle altre?». La ricerca di Eurydice ha dimostrato
infatti che «le metodologie di classificazione sono opache e difficili da
replicare. La qualità dei dati non può essere sempre verificata e alcune
università potrebbero deliberatamente manipolarli». Un tema di riflessione per
chi affida le proprie scelte a queste graduatorie. «In un sistema globale»
commenta Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori italiani (Crui)
«i ranking internazionali sono un potente strumento di marketing. Ma misurano
realtà differenti e perciò sono intrinsecamente imperfetti». «Tra gli elementi
di diversità» aggiunge Francesco Frati, rettore dell'Università di Siena, «un,
aspetto non sempre considerato è il budget di ciascuna università. Spesso i
buoni o cattivi risultati nella didattica e nella ricerca dipendono dalle
risorse a disposizione». (Fonte: S. Intravaia, La Repubblica Venerdì 13-10-17)
NEW UNIVERSITIES OF SCIENCE AND
TECHNOLOGY RANKINGS
U-Multirank
has published its new Universities of Science and Technology Rankings, in
collaboration with the Conference of European Schools for Advanced Engineering
Education and Research or CESAER – a leading European group of universities of
science and technology.
In total,
231 universities of science and technology are compared in the latest science and technology rankings. The
top 25 universities in this ranking come from 12 countries, with the largest
cohort from France with six (Telecom ParisTech, École Polytechnique, INP
Grenoble Institute of Technology, ENS Lyon, ENS Paris and Claude Bernard
University Lyon 1) and five from the United States (California Institute of
Technology, Massachusetts Institute of Technology, Rensselaer Polytechnic
Institute, Georgia Institute of Technology and Rockefeller University). (Fonte:
http://www.universityworldnews.com
13-10-17)
CENTRE FOR WORLD UNIVERSITY RANKINGS
(CWUR): SAPIENZA (84°, PRIMO DEGLI ITALIANI), PADOVA (164°), MILANO (169°),
BOLOGNA (193°), TORINO (220°), FIRENZE (254°)
Sapienza di
Roma conferma la propria posizione tra le prime università italiane e tra gli
atenei di eccellenza nel mondo nelle più autorevoli classifiche universitarie
internazionali uscite nel 2017, superando gli atenei di Padova e Milano. A
dirlo è il Centre for World University Rankings (Cwur), un istituto di ricerca
con sede negli Emirati Arabi che ogni anno stila una classifica delle migliori
mille università a livello internazionale. E l'unico ateneo italiano a figurare
tra le prime cento posizioni è proprio la Sapienza, che si piazza all'84 posto
tra le migliori università del mondo. Tra i 48 atenei italiani presi in
considerazione, seguono le università di Padova (164°), Milano (169°), Bologna
(193°), Torino (220°), Firenze (254°).
Il ranking si basa su alcuni indicatori oggettivi, cioè che non tengono
conto di sondaggi di opinione ma solo di dati verificabili. Ad esempio, sono
stati presi in considerazione il numero degli occupati post-lauream in
posizioni di rilievo, le pubblicazioni scientifiche apparse su riviste
internazionali, la qualità della didattica e quella dell'insegnamento, valutate
in base ai traguardi accademici raggiunti dagli ex studenti e al numero di
premi e riconoscimenti ottenuti dai docenti. Un criterio, quest'ultimo, in cui
la Sapienza svetta al 34esimo posto della classifica. (Fonte: Il Messaggero 18-10-17)
US NEWS AND WORLD REPORT’S 2018 BEST
GLOBAL UNIVERSITIES RANKINGS. 1,250 EVALUATED: US 221 SPOTS, CHINA 136, JAPAN
76, UK 73, BD 58, FR 57, ITALY 52, SPAIN 46
United
States universities have taken the top four spots in the US News and World Report’s 2018 Best Global Universities rankings,
released on Tuesday. The US dominates with 221 spots out of the 1,250
institutions evaluated, followed by China with 136, Japan with 76, the United
Kingdom with 73 and Germany with 58. The rest of the top 10 performing
countries were France (57 institutions ranked), Italy (52), Spain (46), South Korea (44) and Australia and Canada
(both with 33). Among emerging economies, Turkey (with 30) came close to the
top 10 followed by Brazil with 29. India, Poland and Taiwan had 24 institutions
in the ranking, but Russia managed only 15.
Listed in
rank order, these countries performed the best in the following subject
rankings:
Computer
science: US, China, UK, Canada, Australia.
Economics
and business: US, UK, Australia, Canada, China (tie), Netherlands (tie).
Engineering:
US, China, UK, Canada, Italy.
Neuroscience
and behaviour: US, Germany, UK, Canada (tie), France (tie), Netherlands (tie).
Overall,
the US is the top-performing country in the subject rankings by a very large
margin, accounting for 25.3% of all the ranked institutions in the 22 subjects.
Next came the UK with 7.8%, China with 7.4%, Germany with 6.8% and Canada with
4.1%. (Fonte: www.universityworldnews.com
24-10-17)
DOCENTI
LA CONDIZIONE DEL DOCENTE
UNIVERSITARIO TRA DISCRIMINAZIONE, VALUTAZIONE E BUROCRATIZZAZIONE
Il
docente universitario ha pagato, da una condizione sia chiaro relativamente
tranquilla (però generalmente conquistata legittimamente con investimenti,
meriti, valutazioni e profusione di intelligenza critica), più di ogni altra
categoria pubblica la crisi di questi anni. Agganciato da sempre nel
trattamento ai magistrati per la comune natura di argine verso ogni rigurgito
settario, corporativo, massificante, autoritario (più ancora che con le
garanzie giurisdizionali, con la preservazione del libero pensiero), si è visto
poi, per decisione politica e con l'avallo dei tribunali, di soppiatto
sganciato da questo simbolico, ma non solo simbolico, collegamento. In più il
docente universitario ha perso allo stato, probabilmente con un trattamento
ingiustificatamente discriminatorio e, diciamolo chiaramente, quasi punitivo,
gli scatti di carriera che, peraltro, sarebbero diventati triennali e non più
biennali. Di fatto gli stipendi sono assolutamente fermi da molti anni, mentre
quelli dei magistrati per esempio sono sbloccati, e questo vuole dire che in termini
reali si sono ridotti in modo non impercettibile In più ancora c'è la
precarizzazione della docenza universitaria, in particolare i ricercatori, e il
pensionamento del 50% dei docenti universitari (2007-2013, se non erro) è
avvenuto senza turn over, prima bloccato per anni, poi sbloccato in misura del
tutto insufficiente. La docenza continua ad essere articolata, a differenza di
molti paesi simili a noi, in ben tre fasce (ricercatore, associato, ordinario)
ciascuna delle quali prevede la conferma triennale, con la conseguenza che la
fascia più ambita si consegue spessissimo dopo il cinquant'anni (sei ordinari
under 40 censiti nel 2015!), spesso dopo i sessanta, e talora mai; come
peraltro inevitabile, ma non sempre, come dovrebbe avvenire, per carenza di
ambizione o demeriti. Docenti e giovani hanno più di qualche ragione per essere
scontenti e qualche volta frustrati o demotivati, mentre vengono bombardati di
convocazioni per commissioni, mail con scadenze, schede da compilare di
valutazioni e autovalutazione che tolgono tempo prezioso e, nella migliore
tradizione italiana, non approdato a nulla o quasi. A tale proposito, si ha la
sensazione che la cultura della valutazione di tipo anglosassone,
apprezzabilmente introdotta, non ha forse raggiunto ancora quella soglia
critica da lasciar intravedere i suoi grandi benefici, mentre se ne scorgono
molti piccole e, qualche volta, grandi difetti. La ricerca italiana nonostante
ciò, è bene ribadirlo, resta ad un livello decisamente alto per le
pubblicazioni e a un livello discreto per i brevetti, e si colloca, anche se in
mancanza di cambiamenti è verosimile che avvenga ancora per poco, nel gruppo di
testa mondiale. Ciò rappresenta un miracolo nelle condizioni date e qui
illustrate. Basti dire che i colleghi dei grandi paesi con i quali ci
confrontiamo guadagnano, negli atenei pubblici, generalmente il doppio, se non
il triplo. Il legislatore gode di discrezionalità politica, nei limiti della
Costituzione, ma il modo in cui tratterà l'Università italiana darà l'indice
della serietà con cui intende affrontare la questione del declino del paese,
che va ben oltre il ciclo economico. (Fonte: M. Plutino, huffingtonpost.it 29-09-17)
IL CONTESTO INVESTIGATIVO
DELL’OPERAZIONE SVOLTA DALLA GUARDIA DI FINANZA SU DOCENTI UNIVERSITARI È GRAVE
QUANTO È GRAVE RAPPRESENTARE TUTTA L’UNIVERSITÀ ITALIANA COME UN SOTTOBOSCO DI
CORRUZIONE
Il
contesto investigativo dell’operazione denominata «Chiamata alle armi» ha preso
le mosse dal tentativo di alcuni professori universitari di indurre un
ricercatore universitario, candidato al concorso per l’Abilitazione Scientifica
Nazionale all’insegnamento in Diritto tributario, a «ritirare» la propria
domanda, per favorire un terzo soggetto in possesso di un profilo curriculare
notevolmente inferiore, promettendogli che si sarebbero adoperati con la
competente Commissione giudicatrice per la sua abilitazione in una successiva
tornata. Gli approfondimenti investigativi hanno consentito di accertare
sistematici accordi tra numerosi professori di diritto tributario - alcuni dei
quali pubblici ufficiali in quanto componenti di diverse commissioni nazionali
(nominate dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) per
le procedure di abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento nel settore
scientifico diritto tributario – “finalizzati a rilasciare le necessarie
abilitazioni secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi
di favori, con valutazioni non basate su criteri meritocratici bensì orientate
a soddisfare interessi personali, professionali o associativi”. (Fonte: CorSera
Roma 25-09-17)
Riteniamo
gravissimo che, ancora una volta, singoli casi di cronaca – seppure gravi –
vengano utilizzati per gettare discredito sull’intero sistema e sull’intero
corpo docente, fatto di docenti e ricercatori che in condizioni difficili
svolgono con dedizione il proprio lavoro. Cosa che non avviene mai, come è
giusto che sia, per altre categorie. Ancor più grave ci sembrano le illazioni
che accostano questo fatto di cronaca ai docenti che in queste settimane
scioperano per un riconoscimento dell’equo trattamento stipendiale per il
lavoro svolto in questi anni. Ancora una volta, pur di non affrontare i
problemi veri e strutturali del sistema universitario si preferisce
rappresentare l’Università italiana come un sottobosco di corruzione. E invece
tutti i dati relativi alla produttività scientifica, alla qualificazione dei
nostri laureati (compresi quei cervelli che cercano fortuna altrove) mostrano
con chiarezza che le questioni da affrontare sono altre: dal sottofinanziamento
del sistema, al finanziamento della ricerca di base; dal contrasto al
precariato, all’ampliamento del diritto allo studio; dal rinnovo dei contratti,
alla qualificazione e formazione di tutto il personale universitario; dal
riconoscimento delle istanze salariali e giuridiche dei docenti, alle necessità
di reclutamento di un numero adeguato di docenti per tutte le fasce; dal
contrasto alla burocrazia, alla radicale messa in discussione dell’ANVUR e
delle sue politiche. (Fonte: Flc Cgil 26-09-17)
SAPORE DI COMMISSARIAMENTO DELLA
CLASSE DOCENTE ITALIANA NELL’ESERCIZIO DELLA SELEZIONE-RECLUTAMENTO
Il
presidente dell’Anac Raffaele Cantone e la ministra dell’Università Valeria
Fedeli introdurranno un responsabile anti-corruzione nelle commissioni dei
concorsi universitari. La singolare iniziativa, annunciata per mezzo stampa,
rientra in un «codice di trasparenza» al quale il Miur e l’Anac lavorano da
mesi e che sarà presentato il 3 e 4 novembre nel corso di una «conferenza
sull’università». Il custode dei concorsi, ribattezzato «responsabile della
trasparenza e della prevenzione della corruzione», dovrebbe essere un
«dirigente, anche lo stesso direttore generale», presumibilmente dell’ateneo di
riferimento, e dovrà «dare garanzie di indipendenza dalla sfera politica e
istituzionale» sostiene Fedeli. Oltre allo svolgimento dei concorsi, a questa
figura amministrativa dovrebbe essere affidato il compito di sorvegliare sulla
regolarità «degli incarichi esterni e sulle consulenze» ha aggiunto Cantone. Queste
misure faranno parte del «piano anti-corruzione 2017» che prevederà anche un
capitolo universitario. Entro la fine di ottobre Fedeli emanerà un «atto di
indirizzo», non vincolante, che sarà inviato alle università. Toccherà a loro
adottare le misure previste nel piano. Quest’ultima precisazione allontana dalle
misure annunciate il sapore di commissariamento della classe docente italiana
nell’esercizio di uno dei suoi principali poteri - quello battesimale, la
trasformazione di un candidato a un concorso in un «pari». Il riconoscimento
dell’autonomia degli atenei nell’applicazione delle nuove norme ridimensiona il
giacobinismo «anti-casta» alla discrezionalità degli organi accademici e
dell’autonomia dei settori disciplinari che definiscono le caratteristiche dei
bandi e la tipologia delle cattedre messe a concorso. Se così non fosse, le
iniziative di Cantone-Fedeli produrrebbero una situazione scoppiettante. Gli
atenei potrebbero sollevare eccezioni oppure ricorrere ai Tar di tutto il
paese. (Fonte: R. Ciccarelli, Il Manifesto 28-09-17)
DOPO L“ABILITOPOLI” E LA PROPOSTA DEL
PRESIDENTE DELL’ANAC, SI RAMMENTA CHE GIÀ NEL 1972 LA CORTE COSTITUZIONALE
AVEVA REPLICATO CHE LE COMMISSIONI GIUDICATRICI ERANO RAZIONALMENTE COMPOSTE
ESCLUSIVAMENTE DAI PROFESSORI DELLE MATERIE PER LE QUALI ERA BANDITO IL CONCORSO
A CATTEDRA
Dopo
l“abilitopoli” deflagrata a Firenze, che ha interessato il SSD del diritto
tributario italiano, la proposta più
dirompente per l’assetto universitario consolidato è senza dubbio quella
avanzata dal presidente Cantone in un’intervista a Repubblica del 27 settembre.
“Vorrei lanciare un’idea”, dice, tra l’altro, il presidente dell’anti
corruzione, “In ogni commissione, per un’abilitazione, per un concorso,
dovrebbe entrare una personalità esterna al mondo accademico. Perché non immaginare
uno scrittore a giudicare, insieme agli altri, una prova di Letteratura
italiana? Un medico, un ingegnere e un avvocato nelle loro discipline? Nessuno
vuole sminuire il mondo accademico, ma la contaminazione è un valore. Non
conosco una categoria più gelosa delle proprie libertà dei magistrati, eppure
nelle commissioni di concorso in magistratura ci sono proprio i docenti
universitari”.
Sembrerebbe
un sasso lanciato nello stagno e una provocazione positiva. In realtà l’idea
non è nuova, come potrebbe sembrare a prima vista, avendo costituito oggetto di
dialettica giuridica e giurisprudenziale, ai massimi livelli, già nei primi
anni settanta del secolo scorso. Qualche dubbio sull’eccessiva
autoreferenzialità del corpo accademico si era manifestato, infatti, anche a
quell’epoca, se è vero che nel 1972 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato aveva
dichiarato non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale della normativa sui concorsi alle cattedre universitarie. Il
Consiglio di Stato censurava che le commissioni fossero composte esclusivamente
da professori universitari. In questo modo, a giudizio di quel Consesso, si
poneva in essere un sistema strutturato in forma di autogoverno in contrasto
con i principi costituzionali dell’imparzialità della pubblica amministrazione
e dell’uguaglianza. Anche le norme che, all’epoca, non richiedevano la
necessità di prefissare criteri di massima per la valutazione comparativa dei
candidati, sollevava motivate perplessità nei giudici amministrativi. A quei
rilievi replicò prontamente la Corte Costituzionale giudicandoli privi di
fondamento. Le commissioni giudicatrici, secondo la Corte, erano razionalmente
composte esclusivamente dai professori delle materie per le quali era bandito
il concorso. Si trattava, infatti, di considerare la personalità scientifica
dei candidati. Potere, questo, che non poteva essere conferito a persone non
competenti nelle materie dei concorrenti. Un sistema del genere, infatti, non
avrebbe garantito, a giudizio della Corte, quel buon andamento
dell’Amministrazione, di cui il Consiglio di Stato era giustamente preoccupato.
Non sarebbe stato in grado di assicurare scelte informate alla conoscenza della
materia a concorso e del suo progresso. (Fonte: F. Matarazzo, Roars 03-10-17)
IL PARADOSSO DI CHI PROPONE DI PORRE
RIMEDIO AL CONSOCIATIVISMO ACCADEMICO, SPESSO FONDATO SU LOTTIZZAZIONI
POLITICHE, CON UNA "CABINA DI REGIA POLITICA"
A lanciare
l'allarme, dalle pagine del Foglio, è stato il giudice emerito della Corte
costituzionale Sabino Cassese. Il professore si è riferito in particolare
all'irrefrenabile ascesa dell'Autorità nazionale anticorruzione presieduta dal
magistrato Raffaele Cantone. Anche il cittadino più disinteressato, in effetti,
fatica a negare il protagonismo assunto dall'Autorità dal 2014, anno di nomina
dell'ex sostituto procuratore della Dda di Napoli. L'ultimo intervento del
presidente dell'Anac è giunto, nel clima "emergenziale", nei riguardi
del mondo dell'università e della ricerca, in seguito alla vicenda della
combine tra docenti di Diritto tributario per il rilascio delle abilitazioni
all'insegnamento ai propri allievi. Il giorno dopo lo scoppio del caso, Cantone
era sulla prima pagina di Repubblica a illustrare la sua ricetta per porre
rimedio ai mali dell'università italiana in qualità di presidente dell'Autorità
anticorruzione, anche se nessun reato corruttivo era, ed è, ancora stato
accertato dai giudici. C'è un istinto interventista che va al di là della lotta
alla corruzione, e al di là anche della regolamentazione di storture accertate
sul piano giudiziario. Un istinto che assume vesti moralizzatrici nel momento
in cui si analizzano, come ha fatto Cassese, i contenuti del tanto sbandierato
"Aggiornamento 2017 al Piano nazionale anticorruzione" predisposto
dall'Anac per il settore universitario. Un testo in cui si fa riferimento (pag.
34) a una "necessaria istanza di vigilanza" del sistema
universitario, e si propone (pag. 39) nientedimeno che una "cabina di
regia politica", alla quale siano riconosciuti "compiti di indirizzo
strategico sull'attività di ricerca del sistema Paese definendo, ad esempio, le
principali destinazioni delle risorse pubbliche di finanziamento della
ricerca". E' evidente il paradosso di chi propone di porre rimedio al
consociativismo accademico, spesso fondato su lottizzazioni politiche, con una
"cabina di regia politica". Ma al di là del merito, stupisce il modo
con cui l'Anac anche in questo caso si spinga a dettare principi su tutte le
fasi della procedura di ricerca, nonostante non ne abbia competenza (tantomeno
quando l'inchiesta fiorentina, ancora da accertare, non sembra riguardare la
ricerca in senso stretto). "E' un tipico esempio di come si possa
estendere un potere anche se la norma non lo prevede - spiega la prof.ssa
Torchia, tra i più illustri docenti di Diritto Amministrativo - L'Anac è
titolare di moltissimi poteri di regolazione, vigilanza, controllo, sanzione
che le sono stati attribuiti dalla legge. Ma il potere, si sa, non basta mai, e
nessuno è più vorace di potere di un'autorità che non deve rispondere a nessuno
di come lo esercita. Per estendere il suo potere anche a terreni che la legge
non le attribuisce, l'Anac ha escogitato un espediente semplice: insegue le
possibilità di corruzione. E poiché qualsiasi attività umana è sospettabile di
ipotetica corruzione, non c'è attività umana che si possa sottrarre al censore anticorruzione,
cioè l'Anac" (Fonte: Il Foglio 19-10-17)
LA GIORNATA DI UN PROFESSORE. 11 ORE
DI ATTIVITÀ NONOSTANTE LO SCIOPERO
In
un serrato racconto firmato da Nicola Casagli su Roars la giornata tipo di un
professore in sciopero. Viene pubblicata nella consapevolezza che la
partecipazione allo sciopero attesta già oggi il sostanziale successo del
Movimento per la dignità della docenza universitaria. Uno sciopero andato
decisamente a segno, che ha fin qui coinvolto il 20% circa degli aventi diritto
alla partecipazione, raddoppiando il numero di quanti avevano sottoscritto il
documento col quale la manifestazione di protesta era stata indetta.
La
giornata del prof. Casagli inizia alle 8,30 e termina alle 19,30 con 11 ore di
attività nonostante lo sciopero degli esami. Leggi qui l’intera giornata del professore in
sciopero. (Fonte: N. Casagli, Roars 23-09-17)
COSTI E RETRIBUZIONI DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI
Rapporto
Anvur sugli stipendi. I dati sono tratti dai conti consuntivi dei vari atenei
raccolti dal Miur. E qui emerge un prima tendenza: i professori universitari
costano oggi molto meno alla collettività rispetto al passato. In dettaglio, il
costo medio per i docenti a tempo indeterminato in Italia è sceso da 91.348
euro nel 2008 a 83.033 euro nel 2014 ed è pari al 53,9% delle spese sostenute
dalle università per pagare tutto il personale (era il 58,4% nel 2008): questa
spesa è calata "sensibilmente", si legge nel rapporto, "per
effetto congiunto dei pensionamenti che hanno coinvolto una quota ampia di
professori ordinari, della riduzione degli avanzamenti di carriera (la quota di
ordinari si è ridotta del 37% rispetto al 2006) e del blocco stipendiale".
Dal 2011 al 2016, infatti, le buste paga dei professori universitari sono ferme
a 3.300 - 4.000 euro per quanto riguarda i professori ordinari, 2.200 - 2.700
euro per gli associati e 1.300 - 1.700 euro per i ricercatori. (Fonte: Panorama
29-09-17)
I BARONI NON ESISTONO PIÙ. PROVA A
SPIEGARLO GIOVANNI PASCUZZI SU ROARS
I docenti baroni
non esistono più da un pezzo. Provo a spiegare perché.
Quale
barone avrebbe permesso che un governo riservasse ai professori l’onta di dover
essere l’unica categoria del pubblico impiego a non vedersi ripristinati gli
scatti stipendiali sospesi (al punto da dover ricorrere ad una cosa plebea come
lo sciopero)? Quale barone avrebbe accettato di essere sottoposto allo stesso
codice di comportamento di tutti gli altri dipendenti pubblici, compresi quelli
dei livelli più bassi? Quale barone avrebbe accettato di farsi imporre i temi e
gli obiettivi di ricerca da una “cabina di regia”? Quale barone avrebbe
accettato di essere valutato da una agenzia ministeriale che impone soglie,
accreditamenti che spesso incappano nelle censure dei giudici amministrativi? Quale
barone avrebbe accettato senza colpo ferire la riforma Gelmini che ha
accresciuto i poteri dei direttori generali e dei rettori, riducendo il potere
degli organi collegiali e, quindi, delle istanze dove i diversi baroni possono
farsi i favori incrociati? Quale barone avrebbe accettato di vedere la propria
baronia assoggettata alla logica aziendale con conseguente necessità di
uniformarsi ad indicatori e standard decisi da altri?
Forse
conviene chiarire che in queste considerazioni c’è molta ironia e che
personalmente non rimpiango affatto l’Università dei baroni. Occorre però dire
che il rimedio è peggiore del male. Nell’Università oggi lavorano tantissimi
professori onesti che si trovano tra l’incudine di chi la vuole affossare
(anche riproducendo comportamenti deteriori) e il martello rappresentato dagli
“illuminati” che pretendono di avere la ricetta per riformarla. (Fonte: G.
Pascuzzi, Roars 03-10-17)
TRA I PAESI SVILUPPATI, L’ITALIA È
L’UNICO DOVE LA CARRIERA UNIVERSITARIA NASCE E MUORE IN POCHI METRI QUADRATI
Che
modello si prospetta ai giovani per entrare nell’Università? La ricetta è
semplice. Svolgere compiti di servizio presso le sedi locali onde acquisire
crediti morali. Indi fare in modo che dette sedi trovino i fondi sufficienti
per bandire un concorso. L’istituto del trasferimento è, di fatto, abrogato. Se
la regola fosse stata applicata nel passato, Aristotele non avrebbe mai
insegnato in Atene né Tommaso d’Aquino in Parigi. Si sta accettando passivamente
un sistema che premia il burocrate astuto scoraggiando gli intellettuali
appassionati ma disaccorti. La vergogna di oggi viene da lontano e ci porterà
ancora più lontano, se non si azzera la schizofrenia di riformare le riforme
con riforme sempre più deleterie e tutte sorrette da una vena ideologica che
non accetta confutazioni né tampoco verifiche. Questa valanga di
“modernizzazioni” ha affossato l’università italiana nel goffo tentativo di
trasformarla in impresa economica, scimmiottando la moda che vuole
l’istituzione accademica governata dal mercato. E che, rinnegando una missione
millenaria, sta riducendo l’università pubblica ad una azienda municipalizzata
dove il “capitale umano” diventa una voce della “spending review” e nulla più,
sotto il controllo dei burocrati astuti in perenne bilico tra devolution e
sovranismo, ma sempre alla ricerca di qualche strapuntino nelle istituzioni o
nelle imprese. Tra i paesi sviluppati, l’Italia è l’unico dove la carriera
universitaria nasce e muore in pochi metri quadrati, lo stesso spazio fisico e
culturale dove ci si è laureati. Nessuno si adopera per sanare la ventennale
ferita, madre di un profondo ristagno culturale. (Fonte: R. Rosso, FQ 03-10-17)
CONSIGLIO DI STATO 22-09, 4427. IN
PROCEDURE DI VALUTAZIONE COMPARATIVA PER COPERTURA DI POSTI DI DOCENTE
UNIVERSITARIO ONERE DI IMPUGNAZIONE RIDOTTO PERCHÉ NON È VERO CONCORSO
Nelle
procedure di valutazione comparativa per la copertura di posti di docente
universitario, il ricorrente non deve necessariamente censurare tutti i giudizi
migliori conseguiti da altri candidati. È quanto afferma il Consiglio di Stato,
Sezione VI, con la sentenza del 22 settembre 2017, n. 4427.Ciò perché, ha
precisato la VI Sezione, la procedura selettiva in discorso non è di stampo
concorsuale e, dunque, i lavori della commissione giudicatrice non esitano
nella predisposizione di una vera graduatoria. (Fonte: M. Atelli, quotidianoentilocali.ilsole24ore.com
29-09-17)
SULLA CONTRATTUALIZZAZIONE DELLA
DOCENZA UNIVERSITARIA. RISPOSTA DI SPAGNOLO A SINOPOLI
La
richiesta di contrattualizzazione della docenza appare figlia di una
impostazione giuslavoristica che tiene poco conto del valore pubblico del
sapere: si tratterebbe della risposta sbagliata ad un problema vero. Capisco l’argomento tattico secondo cui la
contrattualizzazione renderebbe più forte una categoria frammentata, ma vedo
prevalere i rischi strategici di introiettare l’attuale assetto “aziendale”
degli atenei: non si asseconderebbe così la tendenza ad una privatizzazione dei
saperi? Se la sentirebbe la FLC di assumersi la responsabilità storica di
abbattere il principale baluardo dell’indipendenza dei docenti, per consegnarli
definitivamente a soffocanti logiche corporative?
Cosa è una
università? Storicamente, le università sono delle comunità di studi, tra pari,
in cui i docenti e i discenti formano una “repubblica” dedita alla conoscenza.
L’autonomia non è un problema da cancellare, è il cuore dell’università.
L’unità di didattica e ricerca ne è la cifra e non si ingabbia in mansioni che
attengono invece ai ruoli amministrativi a supporto delle due funzioni
precedenti. Interpreti e protagonisti dell’università sono i docenti e i
ricercatori assieme agli studenti, mentre le amministrazioni devono sostenerli
e accompagnarli. La distinzione funzionale tra docenti e amministrazione – che
il sindacato tende erroneamente a percepire come conflitto mentre il conflitto
sta nella guerra tra poveri – va
salvaguardata nel rispetto reciproco. La riforma Gelmini ha invece spostato peso
decisionale dalla docenza all’amministrazione, al punto che un direttore
generale è meglio retribuito di un rettore e di un professore. Il carico
burocratico dei processi di controllo interni, delle valutazioni e della
ricerca di fondi sta svilendo la funzione intellettuale della ricerca. L’autonomia
si salvaguarda oggi con un progetto nazionale di investimento sulla ricerca,
accompagnato da una più chiara distinzione tra percorsi professionalizzanti e
percorsi di alta formazione culturale e di ricerca. Al contrario, la
contrattualizzazione favorirebbe la prevalenza della didattica
professionalizzante sulla ricerca di base e così cancellerebbe gli spazi di
libertà assicurati dalla legge. Segnalo due argomenti che mi paiono decisivi.
Il primo è di principio: lo status giuridico pubblicistico e la progressione
stipendiale definita a priori hanno sin qui assicurato una complessiva
autonomia della ricerca, la quale resta l’unica vera attrazione affinché i
migliori cervelli guardino ancora all’università come un luogo per il quale
possa valere la pena sacrificare anni di studio e di precariato. Il secondo, di
carattere pratico, riguarda il significato possibile della contrattualizzazione
in Italia. In presenza di una differenziazione marcata dei bilanci degli atenei,
la contrattualizzazione riguarderebbe probabilmente soltanto le “mansioni”,
imponendo condizioni uniformi di lavoro laddove invece la ricerca non si
ingabbia in compiti e orari che è bene restino flessibili e diversi. Come
assimilare i compiti e le presenze di un medico ospedaliero, un filosofo, un
linguista e un fisico astronomico? Un buon ricercatore lavora soprattutto fuori
dagli orari della didattica e delle prassi burocratiche, va all’estero, si
aggiorna, va in biblioteca e in laboratorio. L’esito sarebbe o un eccesso di
burocrazia o un eccesso di localismo. (Fonte: C. Spagnolo, Roars 11-10-17)
ANCHE I PROFESSORI UNIVERSITARI
STRAORDINARI E TEMPORANEI (ART. 1 C.12 L 230/2005) POSSONO PARTECIPARE A
PROCEDURE DI CHIAMATA INDETTE DAGLI ATENEI
L’accesso
ai ruoli della docenza universitaria, di I e di II fascia, ha caratteristiche e
peculiarità normative che lo rendono speciale rispetto all’accesso agli altri
pubblici impieghi non privatizzati, fermo restando il rispetto dei principi
costituzionali e di quelli fondamentali stabiliti dalla legge. Il sistema
impostato dalla Legge n. 240/2010 prevede una procedura unica per l’assunzione,
a tempo indeterminato, di nuovi docenti e per il trasferimento dei docenti già
in servizio a tempo indeterminato presso astenei italiani. Secondo la sentenza
21 settembre 2017, n. 9878 del Tar Lazio, anche i professori universitari,
straordinari e temporanei, di cui all’art. 1 comma 12 della Legge n. 230/2005
possono partecipare alle procedure di chiamata indette dagli atenei.
DOTTORATO
LA CLASSIFICA DEI DOTTORATI. A ROMA,
BOLOGNA E PADOVA I DOTTORATI MIGLIORI
Una
classifica spiega quali università abbiano i migliori dottorati. Sono il terzo
livello di studi, massimo grado di istruzione universitaria nonché passaggio
naturale e ultimo verso il lavoro accademico o comunque di ricerca. Il
ministero dell'Istruzione in queste settimane ha inviato ai singoli atenei le
tabelle - classifiche, appunto - che assegnano un punteggio alle strutture e ne
giustificano il loro finanziamento (la torta dei dottorati di ricerca vale 133
milioni di euro, il 2 per cento dell'intero Fondo di finanziamento ordinario).
L'indicatore finale - summa e media dei cinque parametri con cui si valutano le
borse post-laurea -, dice che l'università migliore sui dottorati è la Sapienza
di Roma con il 7,79 per cento nella media ponderata, poi Bologna con il 5,88
per cento, quindi Padova con il 5,66, quarta Roma Tor Vergata con il 4,36 per
cento e quinta Genova (4,19). Seguono, appaiate, l'Università di Torino e il
Politecnico di Milano. I cinque parametri con cui nel 2017 si sono valutati i
"migliori dottorati per università" sono: la qualità della ricerca
svolta dai membri del collegio dei docenti (i ricercatori scelti, su
indicazione interna), criterio che da solo pesa per la metà. Quindi, il grado
di internazionalizzazione delle ricerche (10 per cento), il livello di
collaborazione con il sistema delle imprese (10 per cento), l'attrattività del
dottorato (un ateneo capace di richiamare il dottorando che si è laureato
altrove, per esempio: vale il 10 per cento) e il numero degli iscritti ai cicli
di dottorato (20 per cento). (Fonte: C. Zunino, R.it Scuola 20-10-17)
DOTTORATO. PROPOSTE DI AUMENTO DELLE
BORSE
Secondo i
dati del Cineca (il Consorzio Interuniversitario senza scopo di lucro formato
da 70 università italiane, 8 enti di ricerca nazionali e il Miur), in Italia
nell’anno 2016/17 risultavano immatricolati 26.046 dottorandi, comprensivi
delle Scuole Superiori, di cui 20.180 con borsa di studio di varia provenienza.
Dal 2008 il numero di posti offerti è andato progressivamente riducendosi.
L’introduzione di vincoli progressivamente più stringenti per l’accreditamento
dei corsi ha ragionevolmente contribuito in modo significativo a questo
fenomeno. In particolare, in seguito all’innalzamento al 75% del numero minimo
di borse garantite sul totale dei posti disponibili, la quota di
immatricolazioni di dottorandi non borsisti si è ridotta del 21,8%2 in due
anni.
L’importo
della borsa è fisso dal 2008. L’aliquota contributiva è passata dal 24,72% del
2008 al 33,23% nel 2017 e si assesterà nel 2018 al 34,23%. Un 9,5% in più di
contributi che per un terzo ha gravato direttamente sui dottorandi. Anche solo
per recuperare questo incremento occorrerebbe prima un aumento della borsa
dagli attuali 13.638,47 euro a 14.935,49 euro, con un incremento netto mensile
di 95,75 euro e un costo di 34 milioni di euro. Il Consiglio Nazionale degli
Studenti Universitari (Cnsu), nella sua adunanza del 15 novembre 2016 ha
ribadito la necessità di un aumento della borsa di dottorato e ritenuto congrua
una ridefinizione del lordo pari a 16.350,00 (+20%, 200 euro netti al mese).
Secondo le proiezioni tale aumento costerebbe circa 71 milioni di euro. Vi è anche
la proposta, meno onerosa (50 milioni di euro), dell’Associazione Dottorandi
Italiani (Adi) di applicare un aumento che consenta ai dottorandi di
raggiungere il minimale contributivo Inps. (Fonte: http://www.lettera43.it/it/articoli/economia/2017/10/13/universita-una-proposta-per-i-dottorandi-italiani/214523/
13-10-17)
CULTURA DEL DIGITALE
IL PUNTO SULL’INSEGNAMENTO DEL FUTURO
ALL’EDTECH FORUM
«Parlare
di e-learning, insegnamento online, e di e-university non ha più senso. La
prospettiva è cambiata. L’insegnamento in sé è il valore formativo che non deve
essere anteposto allo strumento tecnologico. L’obiettivo è cucire addosso a
ogni studente un’esperienza educativa disegnata con precisione». Leonardo
Caporarello, professore SDA e direttore di Built, il centro dell’innovazione
per l’insegnamento dell’Università Bocconi, spiega così una delle conclusioni
chiave della seconda edizione di EdTech
Forum, l’appuntamento sul futuro della business education. Passata
l’ebbrezza (e la paura) dell’online come nuova forma di educazione
universitaria, ci si sta rendendo conto che le sfide da affrontare passano
soprattutto attraverso la preparazione degli stessi docenti. «Il nuovo EdTech
Forum è stato un momento di confronto paritetico tra le più importanti università
europee per fare il punto della situazione dell’insegnamento di alto livello e
capire in quale direzione procedere», racconta il direttore di Built. Da una
decina che erano nel primo meeting, sono passati a essere più di 50 i
partecipanti a questo evento gratuito e ad adesione volontaria. «Avere la
strumentazione adeguata è necessario ma non sufficiente. Bisogna insegnare ai
professori come utilizzare le nuove tecnologie. Per questo, con il centro
sull’innovazione riorganizzato dall’attuale rettore, abbiamo in programma corsi
di formazione per il personale accademico della Bocconi», chiarisce il
professor Caporarello. «Anche sapere parlare la lingua degli stakeholder
diventa un tratto fondamentale nella preparazione dei docenti». La classe del
futuro: come sarà? Ci sarà ancora la lavagna? O si farà lezione con un visore
che proietta gli studenti in una realtà aumentata? E infine, il peer learning,
ovvero lo scambio di conoscenze tra pari che si verifica soprattutto con chi ha
già alle spalle un ampio bagaglio di conoscenze. «La sfida per noi docenti»,
conclude Caporarello, «è capire come integrare competenze e tecnologie».
(Fonte: C. Colombo, La Stampa, 20-10-17)
LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE
POST LAUREA - OCCUPAZIONE
ULTIMO RAPPORTO OCSE SULL’STRUZIONE
"Negli
ultimi anni l'Italia ha fatto notevoli passi in avanti nel miglioramento della
qualità dell'istruzione", ma forti sono le differenze nelle performance
degli studenti all'interno del Paese, "con le regioni del Sud che restano
molto indietro rispetto alle altre", tanto che "il divario della
performance in 'Pisa' (gli standard internazionali di valutazione) tra gli
studenti della provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a
più di un anno scolastico". Così l'Ocse nel rapporto sulla 'Strategia per
le competenze'.
Pochi
laureati, poco preparati e 'bistrattati' - "Solo il 20% degli italiani tra
i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%", afferma
ancora il Rapporto. Inoltre "gli
italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze" in
lettura e matematica (26° posto su 29 paesi Ocse). Non solo, quelli che ci sono
non vengono utilizzati al meglio, risultando un po' 'bistrattati'. L'Italia è
"l'unico Paese del G7" in cui la quota di lavoratori laureati in
posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non
di routine. (Fonte: ANSA 05-10-17)
LE 10 LAUREE CHE PERMETTONO DI TROVARE
PIÙ FACILMENTE LAVORO. "CULTURA POLITECNICA". È LA SFIDA DI FRONTIERA
PER LE NOSTRE UNIVERSITÀ. SONO TEMPI DI "HUMANIFACTURING"
Non sono
poche le aziende che fanno enorme fatica a trovare personale specializzato da
inserire nel proprio organico, di fatto questi posti restano vacanti nonostante
ci siano tantissimi giovani disoccupati ma che non hanno le competenze per
ricoprire questi ruoli. Di seguito vediamo quali sono le 10 lauree che
permettono di trovare più facilmente lavoro:
indirizzo
linguistico, traduttori e interpreti: difficili da trovare nel 69% dei casi;
ingegneria
elettronica e dell’informazione: difficili da trovare nel 58,7% dei casi;
altri
indirizzi di ingegneria: difficili da trovare nel 57,7% dei casi;
ingegneria
industriale: difficili da trovare nel 50,2% dei casi;
scienza,
matematica e fisica: difficili da trovare nel 40,9% dei casi;
economia:
difficili da trovare nel 34,8% dei casi;
indirizzo
chimico farmaceutico: difficili da trovare nel 27,1% dei casi;
insegnamento
e formazione: difficili da trovare nel 25,2% dei casi;
scienze
motorie: difficili da trovare nel 19,9% dei casi;
indirizzo
sanitario: difficili da trovare nel 19,1% dei casi.
"Industry4.0",
big data, cloud computing, robotica d'avanguardia, sistemi digital stanno
modificando produzione, prodotti, lavoro. Lungo la prossima frontiera del
futuro, la "meccatronica", cresce solo chi innova. Chi cioè sa
mettere in campo risorse per una nuova "civiltà delle macchine",
capaci di essere in linea con l'organizzazione digitale del lavoro e con le
"connessioni" che già adesso segnano le nostre metropoli, tra dimensioni
da "smart city" e sfide economiche e culturali da "sharing
economy. Robotica a misura umana. E nuove scelte da "economia
civile". "Ingegneri filosofi" e "ingegneri poeti",
abbiamo scritto più volte in questo blog. "Cultura politecnica". È la
sfida di frontiera per le nostre università e le nostre imprese: più laureati,
migliori e meglio trattati. La sfida dello sviluppo è concentrata sull'utilizzo
delle intelligenze. Sono tempi di "humanifacturing", scrive Luca De
Biase su IlSole24Ore, parlando dei progetti di una delle migliori
multinazionali italiane, Comau, con un efficace neologismo di sintesi tra
"humanities", le competenze umanistiche a cominciare dalla filosofia
e delle "scienze del bello" e "manifacturing", la straordinaria
vocazione italiana alla manifattura di qualità. (Fonte: miuristruzione.it
12-10-17)
LE LAUREE CHE FANNO TROVARE LAVORO E
IL PROBLEMA DELL’ORIENTAMENTO PER SCEGLIERE IL CORSO DI LAUREA
È
diventato un investimento sicuro per il futuro studiare ingegneria,
infermieristica, fisioterapia, tecniche di radiologia medica, ostetricia: si
trova lavoro e si guadagna di più. Il tasso di occupazione è superiore al 90% e
le retribuzioni vanno dai 1.717 euro per gli ingegneri ai 1.509 euro per le
professioni sanitarie. Li seguono, a breve distanza, i laureati in ambito
economico-statistico, scientifico, chimico e architettura. Maglia nera, invece,
per gli psicologi, i letterati e gli insegnanti che oltre ad avere più difficoltà
a trovare un impiego, non raggiungono neanche i 1.200 euro al mese. La
fotografia scattata da AlmaLaurea è chiara, eppure la scelta degli studenti va
spesso in un'altra direzione: nell'anno accademico 2015/2016 (dati Ministero
Istruzione) il 52,8% delle nuove matricole si è concentrato proprio nelle
macro-aree disciplinari che faticano a offrire opportunità di lavoro adeguate:
l'ambito sociale (33,8%) e umanistico (19%). Che cosa non funziona? Secondo gli
esperti del settore manca un percorso ragionato che aiuti i ragazzi a
identificare l'università più idonea nell'ottica di trovare un impiego:
«L'orientamento è diventato il problema dell'Italia; gli studenti non scelgono
consapevolmente, le famiglie spendono soldi e il Paese si indebolisce», dice
Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea. Inoltre Dionigi sostiene che in questi
anni le università hanno svolto un'opera di supplenza, ma non basta: «In Italia
manca una vera politica di orientamento, che significa anche stabilire il
numero esatto di medici, laureati in lettere e in ingegneria necessari alle
nostre esigenze. Le istituzioni cominciano a sentire il problema, ma si
dovrebbe fare molto di più». (Fonte: C. Barone, A&F 02-10-17)
LE LAUREE PIÙ RICHIESTE DALL’INDUSTRIA
I titoli
più richiesti dalle industrie sono laurea in architettura e ingegneria
edile-architettura (14%), scienze economico-aziendali (11%), ingegneria
meccanica (10%), ingegneria gestionale e civile (entrambe 6%). A seguire, con
valori sotto al 5%, laureati in ingegneria elettronica, farmacia, ingegneria
per l’ambiente e il territorio, giurisprudenza, biologia, ingegneria
aerospaziale, ingegneria chimica e scienze dell’economia. I tempi di
inserimento una volta conseguita la laurea sono in media di sei mesi.
Nell’industria metalmeccanica e meccanica di precisione sono occupati
soprattutto ingegneri meccanici (25%), economisti (13%) e ingegneri gestionali
(10%). Nell’edilizia vanno per la maggiore i laureati di architettura e
ingegneria edile (53%) e ingegneria civile (20%).
Per
chimica ed energia troviamo i laureati in farmacia e farmacia industriale (12%)
e scienze economico-aziendali (10%), ma anche in ingegneria meccanica, biologia
e ingegneria chimica (tutti al 6%) e scienze chimiche e ingegneria gestionale
(entrambe al 5%). A cinque anni dal titolo il 69% di chi è occupato
nell’industria ha un contratto a tempo indeterminato il 52 per cento. La quota
sale all’86% tra i laureati inseriti nel ramo della metalmeccanica e meccanica
di precisione, mentre scende al 32% per chi opera nell’edilizia. (Fonte:
orizzontescuola.it 10-10-17)
EDUCATION AT A GLADE 2017 DELL’OCSE. I
DIPLOMATI TECNICI E PROFESSIONALI LAVORANO SUBITO E PIÙ DEI LAUREATI
I
diplomati presso un istituto tecnico o professionale trovano lavoro più
facilmente, anche se non si tratta di lavoro a lungo termine. E’ quanto emerso
dall'Education at a Glade 2017 dell’Ocse, che è stato presentato alla Luiss di
Roma analizzando i sistemi educativi di 34 Paesi nel mondo utilizzando dati del
2012, 2014 e, per alcuni indicatori, del 2016, non includendo, dunque, gli anni
della Buona Scuola. Come riporta Italia Oggi, la maggior parte dei giovani
italiani sono iscritti a un percorso di studi superiore a indirizzo
tecnico-professionale, il 42%, contro il 33% che ha scelto un liceo: il 16% in
più della media Ocse. Un comparto che garantisce buoni tassi di occupazione per
i giovani: ben il 68% dei 25-34enni, sensibilmente superiore sia ai quello dei
liceali (49%) sia a quello dei laureati (64%). (F. De Angelis, Tec Scuola
19-09-17)
LA RIFORMA DELL’ISTRUZIONE
PROFESSIONALE
La
riforma dell’istruzione professionale, entrata in vigore il 31 maggio con il
decreto legislativo 61/2017, nasce con molte ambizioni: rendere più definita e
articolata l’offerta didattica, collegarla più saldamente alla domanda, in
buona parte insoddisfatta, proveniente da settori strategici come
l’artigianato, il turismo, la sanità, l’agricoltura, ma anche personalizzare la
formazione dei giovani grazie a spazi di autonomia e progetti ad hoc che gli
istituti potranno elaborare per valorizzare la capacità individuali. La riforma
partirà nell’anno scolastico 2018/2019 con le nuove prime classi, e vedrà
attivare progressivamente le classi successive, fino ad essere a regime,
sostituendo completamente il vecchio ordinamento, nel 2022/23. La didattica si
baserà su due canali, differenziati ma permeabili: l’istruzione professionale,
lunga un quinquennio, sarà curata da scuole statali e paritarie; l’istruzione e
formazione professionale (nome simile ma programma distinto) sarà invece
responsabilità delle istituzioni accreditate da Regioni e Province autonome, e
permetterà di conseguire una qualifica (dopo tre anni) o un diploma (dopo
quattro). Per quanto diversi, i percorsi saranno inseriti in un sistema
unitario, quello della Rete nazionale delle scuole professionali, e
consentiranno agli studenti, a certe condizioni e secondo criteri da definire
in Conferenza Stato-Regioni, di passare da un canale all’altro. (Fonte: M.
Periti, IlBo 11-09-17)
IL CUN REPLICA A UN ARTICOLO SULLA
RIFORMA DEL 3 + 2
Abbiamo
letto con interesse, scrivono la presidentessa e un consigliere del CUN, l’articolo
di Salvo Intravaia sul (presunto) flop della riforma 3+2, pubblicato il 2
settembre (su la Repubblica, Ndr) accanto ad altri interventi dedicati al tema.
Apprezziamo l’attenzione dedicata all’Università, ma sentiamo l’obbligo di
segnalare che i dati presentati nell’articolo portano a una conclusione opposta
a quella indicata nel titolo: i laureati sono in aumento, non in calo. Uno
degli obiettivi della riforma 3+2 era innalzare il numero di giovani in
possesso di un titolo di studio universitario attraverso l’introduzione di un
percorso di laurea triennale, sufficiente a dare una preparazione di alto livello,
anche se non necessariamente specializzata od orientata alla ricerca. Ebbene:
come riportato nell’articolo, nel 2000 abbiamo avuto 144.000 laureati vecchio
stile e nel 2016 abbiamo avuto 175.000 laureati triennali. In altre parole,
rispetto al 2000, nel 2016 ben 21.000 giovani in più hanno conseguito un titolo
di studio di livello universitario, con un aumento di oltre il 20%. Inoltre,
l’età media dei laureati triennali 2016 (fonte: rapporto Almalaurea 2017) è di
24,9 anni, contro un’età media di 27,6 anni dei laureati vecchio stile del
2000. Con l’introduzione del 3+2 abbiamo dunque più giovani in possesso di un
titolo di studio universitario, ottenuto in media con 2,7 anni di anticipo
rispetto ai loro colleghi del 2000. (Fonte: C. Barbati e M. Abate, IlBo 05-09-17)
CARENZA DI MEDICI DI MEDICINA GENERALE
CAUSA MASSIVO PENSIONAMENTO E RIDOTTO
N.RO DI MEDICI CON IL TITOLO ANCHE PER IL NON ADEGUAMENTO DEL N.RO DI BORSE
REGIONALI
La
situazione odierna della carenza in medicina generale è figlia della totale
assenza di programmazione nel garantire risorse adeguate all’iter formativo
post-laurea, in considerazione del massivo pensionamento di medici di medicina
generale e del troppo ridotto numero di medici che hanno conseguito il titolo
richiesto dalle norme nazionali ed europee per accedere agli incarichi.
Gli
studi demografici effettuati a riguardo dimostrano che ampie fasce di
popolazione mancheranno del medico di famiglia. Dai dati forniti dal ministero
della salute al 2013 circa il 65% dei medici in convenzione aveva già 27 anni
di anzianità di laurea, mentre di fatto non si è mai definito un sostanziale
adeguamento del numero di borse regionali stanziate annualmente per il Corso di
Formazione Specifica in Medicina Generale. La conseguenza sarà un numero di
medici drammaticamente insufficiente a colmare quel gap, che impone oggi delle
soluzioni imminenti e che viene ancor più gravato a motivo delle condizioni
contrattuali in cui versano i giovani medici in formazione, che spesso si
trovano a dover rinunciare alla borsa vinta per necessità. Il corsista in
formazione, a fronte del percepimento di una borsa di studio equiparata a
reddito da lavoratore dipendente, assoggettata a IRPEF e mai adeguata negli
anni al crescente costo della vita, oltre che soggetta a totale incompatibilità
professionale con altre forme d’attività dall'altra parte non gode di tutele
quali la malattia, le ferie, la maternità. (Fonte: quotidianosanita.it
25-09-17)
PERCHÈ I LAUREATI ITALIANI IN MATERIE
SCIENTIFICHE HANNO OTTIME CHANCE ALL'ESTERO
I laureati
italiani in materie scientifiche hanno ottime chance all'estero "perché i
programmi sono ottimi. Un laureando italiano, a parità di impegno, è molto più
preparato di un coetaneo americano. Negli Stati Uniti i corsi universitari sono
meno specialistici. Lì la vera formazione dei ricercatori avviene più tardi,
nei cinque anni del dottorato. In Italia anche un laureato è pronto a
intraprendere una carriera nel mondo della scienza. Ma questo patrimonio
rischia di depauperarsi, se non investiamo di più per mantenere i laboratori
all'avanguardia e non prestiamo più attenzione all'orientamento. I liceali non
hanno alcuna bussola al momento di iscriversi in una facoltà. Invece ci
vorrebbe un periodo lungo - anche un intero semestre - per affacciarsi nelle
università e capire cosa si desidera fare. L'abbandono prima della laurea è un
problema per la società e a volte anche un dramma individuale per i ragazzi".
(Fonte: F. Ferroni, R.it 09-10-17
UN CIRCOLO VIZIOSO AL RIBASSO PER QUEL
CHE RIGUARDA LA FORMAZIONE
La
motivazione degli stravolgimenti in atto nelle politiche dell’istruzione è di
formare personale che si possa rapidamente adeguare a un sistema produttivo a
bassa intensità tecnologica, che a sua volta non richiede dal sistema formativo
competenze qualificate, generando in tal mondo un circolo vizioso al ribasso
per quel che riguarda la formazione: altro che economia della conoscenza! In
questa situazione la spesa pubblica in ricerca e sviluppo è vista come uno
spreco che va ridotto: esattamente quello che hanno fatto i governi nell’ultimo
decennio. In questa maniera si è preferito puntare su un’economia basata sulla
competitività del costo del lavoro piuttosto che puntare a una economia che
guardi alla competitività tecnologica.
Solo con
un coordinamento tra politiche della formazione, di ricerca e sviluppo e
politiche industriali volte a potenziare la presenza di settori
tecnologicamente innovativi si potrà evitare all’Italia di andare incontro ad
una emarginazione dal contesto competitivo internazionale, e dunque a una
regressione economica ancora più marcata di quella cui abbiamo assistito negli
ultimi anni. Delle politiche, cioè, che invece di puntare a formare manodopera
di basso livello formativo per lavori a basso costo, ripunti a formare quelle
capacità di conoscenza che rappresentano l’unico potenziale di uno sviluppo
solido, come ci insegnano non solo gli Stati Uniti e la Germania ma da qualche
tempo anche la Cina che ha triplicato l’investimento in ricerca e sviluppo in
un decennio. (Fonte: F. Sylos Labini, Roars 08-10-17)
I TEMPI PER LA TESI DI LAUREA. IL
RECORD È DETENUTO DAI LAUREANDI IN MEDICINA O ODONTOIATRIA, CHE IMPIEGANO IN
MEDIA 8,6 MESI
I tempi per
la tesi di laurea sembrano essersi accorciati negli anni: mentre nel 2002 i
laureati impiegavano in media 8,4 mesi per elaborare la tesi, nel 2016 i
laureati di primo livello dedicano in media 3,6 mesi, i laureati di secondo
livello (magistrali biennali e a ciclo unico) 6,8 mesi. Esistono, però, delle evidenti differenze tra
le varie aree disciplinari. Guardando ai dati totali che sommano i tempi
impiegati per la tesi di primo livello e la tesi di secondo livello, cioè per
la specialistica, il record è detenuto dai laureandi in Medicina o
Odontoiatria, che impiegano in media 8,6 mesi. Seguono con numeri altrettanto
alti la facoltà di Architettura e l’area Chimico-Farmaceutica che, per
l’elaborato finale, richiedono rispettivamente 6,4 e 6,2 mesi. Ci sono facoltà,
la maggior parte, che si mantengono sotto i 6 mesi: Giurisprudenza (5,9),
Lettere (5,8), Psicologia (5,3), Biologia, Geologia, Agraria e Veterinaria (5,2
mesi) ed ancora Professioni sanitarie (5,0). Fortunatamente, ci sono anche aree
disciplinari in cui la tesi è un passaggio ben più veloce: detengono il record
positivo Economia e Statistica, dove occorrono appena 3,6 mesi, ma ci sono
tempi relativamente brevi anche per Educazione fisica (4,0); Ingegneria (4,2);
Politico-sociale (4,5); Scientifico e linguistico (4,6). Certamente, esistono
differenze tra lauree triennali e magistrali della stessa area disciplinare.
Per quanto riguarda Geologia e Biologia,
ad esempio, la tesi di primo livello porta via solamente 3,1 mesi, mentre
quella di secondo livello ne occupa in media 8. Si tratta delle facoltà col
differenziale più ampio. Poco cambia per Agraria e Veterinaria: 3,5 mesi per la
tesi triennale, 8 per quella magistrale. Stessa storia per Architettura: 3,5 mesi per l’elaborato di
primo livello, 8,2 per quello di secondo. Seguono sulla stessa linea d’onda
anche Chimica e Farmacia: 3,2 mesi per la prima, 7,5 per la seconda. Lo stesso
vale per Psicologia: 3,5 mesi per la tesi standard, 7,5 per quella
specialistica. Si evince già da qui che ad allungare i tempi totali siano le
magistrali. Le tesi per le triennali sono decisamente più veloci. (Fonte: catania.liveuniversity.it
20-10-17)
RECLUTAMENTO
SELEZIONE DEI DOCENTI. L’USPUR, INVECE
DI UN INASPRIMENTO DELLE PROCEDURE EX-ANTE, RICHIEDE UN DRASTICO CONTROLLO EXPOST
DEGLI ESITI DELLA PROCEDURA
A
fronte di spinte (come quelle dell’ANAC, nota di PSM) che richiedono procedure
di controllo ancora più complesse, l’USPUR ritiene che ormai la disciplina
concorsuale abbia fatto il suo tempo. La procedura concorsuale è tipica del
nostro paese. Nelle altre accademie il percorso di selezione della docenza è
fatto tutto a livello locale con al più procedure di selezione preliminari
analoghe alla nostra abilitazione scientifica nazionale. L’USPUR quindi, invece
di un inasprimento delle procedure ex-ante, richiede un drastico controllo
expost degli esiti della procedura di selezione. Oggi questo controllo è ancora
marginale all’interno delle procedure della Valutazione della Qualità della Ricerca
i cui indici sono poi impiegati per la distribuzione del Fondo di Finanziamento
Ordinario nei diversi atenei. Solo una responsabilizzazione della selezione del
corpo docente che trovi riscontro nei fondi assegnati al singolo dipartimento
(e quindi ai singoli atenei) potrà spingere verso procedure di reclutamento
virtuose.
(Fonte: http://www.uspur.it/wp-content/uploads/2017/09/USPUR-Comunicato-stampa-ASN-magistratura-2017-09-27.pdf
)
È PROPRIO LA RICERCA CHE RENDE
INDISPENSABILE LA COOPTAZIONE
Il
problema dei concorsi universitari è un problema che non risolveremo fino a
quando all’università saremo costretti a “cooptare mediante concorso”.
Costretti a praticare un ossimoro da una percezione errata del lavoro
accademico. Il professore universitario insegna e fa ricerca. È la ricerca il
grande discrimine, la caratteristica peculiare, la grande differenza con i
docenti delle scuole primarie e secondarie (ai quali non vogliamo togliere
nulla, perché sono proprio loro a gettare le basi sulle quali noi costruiamo).
Ed è proprio la ricerca che rende indispensabile la cooptazione: un ateneo, un
dipartimento deve poter scegliere il tipo di competenza che serve perché i
ricercatori non sono intercambiabili. È un concetto difficile da assimilare per
chi non conosce le università del mondo o è legato a una visione burocratica
della docenza.
Comunque,
per migliorare il reclutamento senza rimettere tutto in discussione, è possibile
agire da subito nell’ambito della normativa attuale su due “fondamentali”:
mobilità e trasparenza.
Per
incentivare la mobilità (e contrastare i rapporti di fedeltà accademica) è
sufficiente eliminare l’oggettivo vantaggio economico per le casse degli atenei
derivante dalla promozione di interni. Meglio ancora se si renderà vantaggioso
chiamare ricercatori e professori da altre sedi con risorse ad hoc di mobilità
e di installazione.
Per
elevare il livello di trasparenza dei momenti concorsuali basta esporre i CV
dei candidati – come le partecipazioni di matrimonio - in modo che tutti
possano rendersi conto di quali competenze sono a confronto (e non si tiri
fuori la privacy: sono concorsi per ruoli pubblici), chiedere referenze, e
chiamare tutti i candidati a svolgere seminari pubblici dipartimentali. Chi
partecipa potrà porre domande e valutare le risposte che riceve. Le commissioni
decideranno in piena autonomia ma con maggiore accountability. (Fonte: D.
Braga, IlSole24Ore 06-10-17)
NON SERVE COMPLICARE CON GRAVOSE E
INUTILI PRATICHE BUROCRATICHE IL PROCESSO DI RECLUTAMENTO
I
concorsi universitari non impediscono imbrogli e abusi, e spesso servono solo a
nasconderli. Nei sistemi universitari che funzionano bene, i dipartimenti sono
liberi di assumere o promuovere i professori selezionandoli nel modo che
preferiscono; e i giudici non hanno motivo di ingerirsi in queste decisioni.
Chi le prende infatti ha incentivi forti a scegliere i candidati migliori
sapendo bene che se sbaglia paga caro l'errore in termini di qualità e quantità
di studenti, di finanziamenti privati e pubblici, di reputazione. In quei
sistemi, si fa in modo che lo Stato e il mercato rendano vantaggiosa solo la
scelta ritenuta davvero migliore; e i concorsi sono molto più seriamente
selettivi dei nostri, ma scevri da regole procedurali imposte. Perché allora
non seguire questi esempi, anche loro imperfetti ma che danno risultati
migliori? Aboliamo il valore legale della laurea, dando agli studenti le risorse
per premiare con le loro scelte le facoltà migliori. Consentiamo agli atenei di
finanziarsi in base alla qualità e alla reputazione della loro ricerca. A quel
punto le università che si scelgono professori scadenti dovranno chiudere per
mancanza di fondi, non per l'intervento dei giudici. (Fonte: A. Ichino, CorSera
27-09-17)
SOLUZIONI PER IL RECLUTAMENTO
La
prima è la cooptazione da parte degli ordinari di un settore sulla base di
curriculum che comprenda ogni aspetto menzionato e con referenze firmate dai
colleghi. Qualche corso di dottorato già lo fa. In questo caso la
presentazione/sponsorizzazione è pubblica e ogni scelta viene intestata a
qualcuno che ne sarà responsabile davanti alla comunità scientifica. Certo si
rischierà l'effetto "cupola" ma sarà almeno una cupola nota che dovrà
misurarsi con la comunità scientifica internazionale.
La
seconda è quella americana. Le università (anche quelle statali) godono di vera
autonomia e nominano una commissione che valuta i candidati. I tre migliori
vengono invitati a presentarsi, a tenere una conferenza dove si sottopongono
alle domande dei colleghi del corso di studio o del dipartimento, a passare del
tempo con i colleghi (gli americani giustamente pensano che nel merito di un
collega rientri anche la sua capacità di lavorare con gli altri). Alla fine,
ciascun membro del dipartimento vota democraticamente. Unica regola: non si può
insegnare dove si è fatto il dottorato. Certo, ci saranno comunque pressioni e
accordi, ma saranno molto più difficili. (Fonte: G. Maddalena, Il Foglio
29-09-17)
RECLUTAMENTO. SCEGLIERE TRA GLI
ABILITATI SENZA ULTERIORE CONCORSO
Il nostro
Paese ha, negli ultimi anni, realizzato due riforme importanti del sistema
universitario. La prima è l’introduzione di un sistema di valutazione della
qualità della ricerca, che valuta la produzione scientifica dei professori di
tutte le università. La seconda è il meccanismo della Abilitazione scientifica
nazionale (Asn), una procedura che, appunto, abilita i candidati alla
professione di professore universitario, ma senza assegnare un posto di lavoro.
Saranno poi le singole università a scegliere tra gli abilitati, ma sempre
attraverso un ulteriore concorso. La Asn fa sì che lo Stato possa operare un
controllo sulla professione di professore universitario, impedendo a chi non ha
i titoli di accedervi. La valutazione della qualità della ricerca consente,
sempre allo Stato, di verificare se le persone assunte nel ruolo dei professori
e delle professoresse sono state all’altezza del ruolo, potendo poi punire
l’Università che ha reclutato persone non all’altezza del ruolo. Perché,
quindi, non eliminare i concorsi locali? Le università potrebbero selezionare
gli abilitati con procedure finalmente in linea con quelle delle migliori
università al mondo, scegliendo la miglior professionalità per le proprie
esigenze didattiche e scientifiche. Consentire alle università libertà nella
definizione degli stipendi (sia chiaro, sempre nei limiti del proprio bilancio)
consentirebbe poi alle università di competere liberamente per il reclutamento
dei migliori scienziati, anche all’estero. (Fonte: P. Perata, IlSole24Ore
06-10-17)
NON RIFORMARE DI NUOVO I CONCORSI MA
ASSEGNARE AI DIPARTIMENTI UNA PARTE SOSTANZIALE DEI FONDI SECONDO LA QUALITÀ
DELLA RICERCA E DELLA DIDATTICA
Ogni dieci
anni l'università italiana è vittima di un attacco di amnesia collettiva ed
entra in fibrillazione per riformare i concorsi, illudendosi che cambi
qualcosa. Ci sono sei reazioni tipiche:
"Il nucleo dell'università italiana è sano". "Abbiamo
fiducia nella magistratura". "Cambiamo i concorsi". "Ci
vuole un cambiamento di mentalità". "Ci vogliono regole più stringenti".
"La colpa è della scarsità di risorse". Quest’ultima è esattamente la
logica perversa di chi sostiene che bisogna inondare di opere pubbliche la
Sicilia per sconfiggere la mafia. Ma se la mafia uccide per un appalto da un
milione di euro, cosa farà per un appalto da cento milioni di euro? Quasi
nessuno vuole sentire parlare dell'unica soluzione possibile: assegnare una
parte sostanziale (e non infinitesima come ora) dei fondi secondo la qualità
della ricerca e dell'insegnamento di ogni dipartimento, in base a giudizi di
esperti internazionali. In questo sistema saranno i colleghi stessi del barone
che gli impediranno di tramare per assumere un candidato inadeguato, perché
alla lunga ciò si rifletterà sulle risorse disponibili a tutti ì membri di quel
dipartimento. È un meccanismo che può benissimo essere applicato anche alle
università pubbliche, come mostra l'esempio inglese. Ma è una soluzione che
quasi nessuno vuole, perché obbliga, questa sì, a cambiare mentalità e modo di
lavorare. (Fonte: R. Perotti, La Repubblica 02-10-17)
PROCEDURE DI RECLUTAMENTO. IN VISTA
NUOVE PROCEDUFE ASTRATTE E ASTRUSE
Senza
un'etica diffusa, e strumenti che facciano rispondere in pieno i valutatori
delle loro scelte, qualsiasi procedura è permeabile. Ma le procedure previste
dalla legge Gelmini sono facilmente aggirabili e manipolabili come può accadere
anche nell'uso d'indici di produttività quantitativi apparentemente neutri.
Indici che potrebbero dimostrarsi tutt'altro che imparziali: basti pensare che
gruppi di ricerca numerosi possono accrescere il proprio impatto citazionale,
oppure – nei settori non bibliometrici – il ruolo decisivo che hanno assunto le
riviste di fascia A (e i relativi comitati scientifici). Si sbaglierebbe quindi
a interpretare quanto accaduto in questi giorni (l'inchiesta della Procura di
Firenze, che vede indagati per corruzione alcune decine di docenti di un intero
settore disciplinare) come il risultato dell'insufficiente automaticità o
misurabilità delle procedure di valutazione e selezione. In questo quadro,
risulta paradossale che si invochi un'ulteriore agenzia esterna, l'Anac guidata
dal magistrato Cantone, per introdurre nuove procedure ancora una volta
astratte dalle prassi internazionali e talvolta astruse, come quelle proposte
nel recente Piano Nazionale Anticorruzione. L'idea di avere membri esterni
nelle commissioni ricorda il fallimentare tentativo di inserire studiosi esteri
della prima Asn, dando per scontato che, anche nei settori più vicini alle
professioni, questi "esterni" siano più indipendenti e immuni a
pressioni illegittime. Queste soluzioni non solo non intervengono sui rischi di
manipolazione dei concorsi, ma rendono ancor più opachi e confusi i processi di
reclutamento. (Fonte: F. Sinopoli, huffpost 29-09-17)
IL RETTORE SIA INVESTITO ANCHE DELLA
RESPONSABILITÀ DI GARANTIRE CHE LE PROCEDURE DI RECLUTAMENTO SIANO LEGITTIME E
SIANO LEGALI
Il
professore Gianluca Maria Esposito, Ordinario di Diritto Amministrativo e
Direttore della Scuola anticorruzione dell'Università di Salerno, lancia, nel
corso di una intervista all'agenzia Dire, una proposta: "Il Rettore diventi
il garante della legalità nelle università e in particolare nelle procedure
concorsuali. Perché il sistema procedimentale e decisorio parte dal basso -
chiarisce il professore ma finisce esattamente con una scelta finale che spetta
al Rettore come capo degli organi accademici". Continua: "I
dipartimenti propongono attraverso la programmazione una serie di obiettivi di
chiamata, di reclutamento, nei diversi settori scientifico-disciplinari. Queste
proposte vanno al vaglio degli organi accademici, quindi del Senato e
soprattutto del Consiglio di amministrazione, che oggi dopo la riforma Gelmini
è il vero organo di governo dell'Università. Il Senato e il Consiglio sono
presieduti dal Rettore, quindi da colui - precisa - al quale spetta la scelta,
nel rispetto della programmazione che nasce dal basso, anche sulle procedure di
reclutamento dei professori universitari. Proprio in relazione a questo
svolgimento e a questo andamento del procedimento di formazione dei programmi,
e quindi dei successivi concorsi da professore, a mio giudizio è assolutamente
fondamentale che il Rettore sia investito anche della responsabilità di
garantire che le procedure di reclutamento siano legittime e siano legali".
(Fonte: R. A. Scarico, cronachedellacampania.it 30-09-17)
RICERCA
IL GOTHA DELLA FISICA FONDAMENTALE
MONDIALE DENUNCIA: L'ITALIA STA TAGLIANDO FUORI DALL'UNIVERSITÀ PROPRIO I
LEADER DEI PROGETTI INTERNAZIONALI DI FRONTIERA PER LA RILEVAZIONE DI ONDE
GRAVITAZIONALI
Lo
scorso 14 agosto, il rilevatore di onde gravitazionali Virgo di Cascina, Pisa,
ha catturato il passaggio di onde gravitazionali, le increspature dello
spazio-tempo previste dalla Teoria della Relatività Generale di Albert Einstein
e intercettate per la prima volta negli Usa nel settembre 2015, dai due
rilevatori del progetto Ligo, gemelli di Virgo. Un successo epocale per la
scienza, che "dà l'avvio a un settore nuovo: l'astronomia
gravitazionale" ha detto al Fatto Helios Vocca dell'Università di Perugia,
tra i responsabili di Virgo. Proprio quando il progetto Virgo raccoglie gli
onori internazionali, una lettera indirizzata alla ministra per l'Università e
la Ricerca Valeria Fedeli, e firmata dal gotha della fisica fondamentale
mondiale, denuncia come l'Italia stia tagliando fuori dall'università proprio i
leader dei progetti internazionali di frontiera per la rilevazione di onde
gravitazionali. Le regole fissate dall'Agenzia per la Valutazione
dell'Università e della Ricerca (Anvur) per accedere al ruolo di professore
universitario — le cosiddette mediane — non consentono ai ricercatori diretti
da Stefano Vitale, fisico dell'Università di Trento, a capo dell'esperimento
Lisa Pathfinder dell'Agenzia Spaziale Europea, di ottenere l'abilitazione
necessaria a partecipare ai concorsi. Eppure dopo un ventennio di ricerca, nel
2016 Lisa Pathfinder ha mostrato che è possibile costruire un rilevatore di
onde gravitazionali spaziale, milioni di chilometri più lungo ed estremamente
più sensibile dei rilevatori terrestri del progetto Ligo-Virgo. Secondo Fernando Ferroni,
presidente dell'Istituto Italiano di Fisica Nucleare, "il criterio che
utilizza l'Anvur, è senz'altro sbagliato per quanto riguarda il settore della
fisica fondamentale". (Fonte: L. Vendemiale, FQ 29-09-17)
RICERCA UNIVERSITARIA, ITALIANI AL TOP
MA FUORI DALL'ITALIA
La
qualità della nostra ricerca è altissima, come dimostra la gara per
aggiudicarsi i 13 miliardi garantiti dall’European Research Council (Erc) per il periodo 2014-2020. All'Italia costano
900 milioni all'anno, e ne tornano appena 600. Gli "starting grant ” - che
offrono ai giovani ricercatori con un’esperienza di 2-7 anni dalla fine del
dottorato 1,5 milioni di euro da spendere in 5 anni - sono andati a oltre 400
promettenti studiosi. Gli italiani sono 43, il 10% del totale, ma meno di uno
su due lavora ancora nel nostro Paese (19). I fondi di categoria superiore, gli
“advanced grant” messi a bando per «i
leader di ricerche consolidate» , vanno invece a 16 ricercatori, di cui 12
ancora in attività nella Penisola. Per nazionalità dei vincitori insomma siamo
quasi sempre sul podio in Europa.
L’associazione Scienza in Rete ha calcolato che dal 2007 i cervelli
italiani si sono aggiudicati complessivamente 420 bandi, con il picco di 63 nel
2015. . In termini di pubblicazioni per numero di ricercatori e per fondi
spesi, la performance è generalmente migliore rispetto a Germania e Francia.
(Fonte: Redazione Business People 27-09-2017)
TRE SCIENZIATI AUTOREVOLI GIUDICANO IL
METODO VALUTATIVO BIBLIOMETRICO ITALIANO
Sul metodo
valutativo bibliometrico ecco i commenti di tre autorevoli biologi, membri
dell’Accademia Nazionale delle Scienze USA. Franklin Stahl, professore emerito
all’Università di Eugene, Oregon: “In brief, it is a nightmarish system. There
is no perfect way of judging, but this is about the worst I have seen.”
Mary-Lou Pardue, professore emerito al Massachusetts Institute of Technology:
“It seems to me that this system is so artificial that it should appeal only to
those who do not know enough about the science to make judgements based on real
value”. Daniel L. Hartl, professore emerito all’Harvard University: “Anyone who
claims to have developed a methodology for evaluation of research based on a
journal’s impact factor or a researcher’s number of citations, supposedly
“objective” and “certifiable” criteria, has an invalid concept of how science
really works and what impact one’s research actually has on the field”. (Fonte:
P. Dimitri, Roars 12-10-17)
MILLIONS OF ARTICLES MIGHT SOON
DISAPPEAR FROM RESEARCHGATE, THE WORLD’S LARGEST SCHOLARLY SOCIAL NETWORK
Last week,
five publishers said they had formed a coalition that would start ordering
ResearchGate to remove research articles from its site because they breach
publishers' copyright. A spokesperson for the group said that up to 7 million
papers could be affected, and that a first batch of take-down notices, for
around 100,000 articles, would be sent out “imminently”.
Meanwhile,
coalition members Elsevier and the American Chemical Society have filed a
lawsuit to try to prevent copyrighted material appearing on ResearchGate in
future. The complaint, which has not been made public, was filed on 6 October
in a regional court in Germany. (ResearchGate is based in Berlin). It makes a
“symbolic request for damages” but its goal is to change the site’s behaviour,
a spokesperson says. (Fonte: R. Van Noorden, 10-10-17)
SIAMO TROPPO SPOSTATI VERSO LA
COMPETITION-DRIVEN SCIENCE
Quante
volte noi stessi ci siamo chiesti, o ci siamo sentiti chiedere, se sia davvero
utile finanziare la ricerca di base? «Mentre mi documentavo, mi sono imbattuto
in uno scritto di Abraham Flexner, un educatore statunitense che nel 1939 si
era posto, appunto, questa domanda. E aveva risposto nella maniera classica,
ovvero: la scienza di base è sicuramente utile perché, fra cento anni,
troveremo delle applicazioni di quello che stiamo studiando oggi. Per esempio:
senza le equazioni di Maxwell non avremmo avuto la radio. Fin qui possiamo
essere d’accordo, ma problema è porsi la domanda al presente, vale a dire: qual
è, oggi, la scienza veramente utile? Dunque ho provato a capire quali siano i
driver, le forze propulsive della scienza». E quali sono? «Quella classica è la
curiosità, l’ambizione di conoscere. Ma ultimamente è emerso in modo deciso un
altro driver: la competizione. Mi sono così messo a studiare i pro e i contro
di entrambe queste forze propulsive, a vedere cosa producono e cosa non
producono. La mia conclusione è che oggi, probabilmente, siamo troppo spostati
verso la competition-driven science, e dovremmo cercare di tornare verso la
ambition-driven science». (Fonte: F. Fiore, media.inaf.it 10-10-17)
ESPERIMENTO CUORE (CRYOGENIC
UNDERGROUND OBSERVATORY FOR RARE EVENTS) PER INDIVIDUARE SPERIMENTALMENTE
(SEMPRE CHE ESISTA) IL COSIDDETTO NEUTRINO DI MAJORANA
Si è
appena acceso, sotto 1.400 metri di roccia, nei Laboratori nazionali del Gran
Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, uno dei frigoriferi più
potenti mai concepiti e sviluppati dall’essere umano. È in grado di raggiungere
temperature molto vicine allo zero assoluto (-273 °C) e fa parte
dell’esperimento Cuore, acronimo di Cryogenic Underground Observatory for Rare
Events): una collaborazione scientifica internazionale cui partecipano oltre
150 ricercatori provenienti da Italia, Cina, Francia, Spagna e Stati Uniti che
ha come obiettivo primario quello di individuare sperimentalmente (sempre che esista)
il cosiddetto neutrino di Majorana, una particella teorizzata, ça va sans dire,
da Ettore Majorana negli anni ’30 e che finora è sfuggita a tutti i tentativi
di osservazione. (Fonte: Wired 24-10-17)
SISTEMA UNIVERSITARIO
COM’È NATA L’UNIVERSITÀ PUBBLICA E
STATALE. LA STORIA PRESTIGIOSA DELLA PRIMA UNIVERSITÀ DEL MONDO OCCIDENTALE: LO
STUDIUM BONONIENSIS
Era il
Medioevo, poco dopo l’anno Mille, quando a Bologna nacque lo Studium, di fatto
la prima Università del Mondo occidentale. Per la precisione essa ebbe origine
nel 1088 a seguito dell’incontro di insigni studiosi di diritto (glossatori)
che furono chiamati (senza concorso) a commentare gli antichi Codici del
Diritto Romano. Di Diritto Tributario invece non volevano nemmeno sentir
parlare. L’Università di Bologna fu istituita come Libera e Laica
organizzazione fra Studenti, che sceglievano e finanziavano in prima persona i
docenti attraverso un sistema di raccolta delle donazioni, di fatto il primo
modello di crowdfunding. Pare che qualcuno avesse proposto di selezionare i
professori con le soglie del B-index, un complicatissimo algoritmo per il
calcolo delle citazioni delle pubblicazioni. Fu condannato all’esilio perpetuo
a Roma dalle parti di Viale Trastevere. Gli studenti erano legati tra loro da
un giuramento di appartenenza e sceglievano liberamente i loro Rettori. Ogni
associazione (nationes) forniva ai propri membri varie forme di protezione e
privilegi ed era incaricata del reclutamento dei docenti in piena Libertà e
Autonomia.
Qualcuno
oggi la chiamerebbe Casta baronale. A partire dalla fine del XV secolo lo Stato
(cioè il Comune di Bologna) provvedeva uno stipendio per i docenti che
entravano così a far parte dei Collegi dei Dottori relativi alla propria
disciplina. Nasceva così l’Università pubblica e statale.
Anche
allora c’erano evidentemente i settori scientifico-disciplinari, ma non in
numero spropositato come oggi (367), bensì solo undici: diritto, logica,
astronomia, medicina, filosofia, aritmetica, retorica, grammatica, teologia,
greco e ebraico per l’internazionalizzazione. Nel 1158 l’Imperatore Federico
Barbarossa promulgò la Constitutio Habita
con cui l’Università venne tutelata come luogo di ricerca e di studio,
indipendente e autonomo da ogni altro potere. Pare che all’art.33 della
Costitutio ci fosse scritto “L’Arte e la Scienza sono Libere e Libero ne è
l’insegnamento”, ma era in Tedesco e nessuno più lo capì in seguito. Forse
risale proprio ai tempi del Sacro Romano Impero l’origine del termine Barone,
che in antico germanico significa “guerriero” o “uomo libero”, mentre in tempi
più recenti ha assunto ben altre accezioni. Nel XVI secolo vennero istituiti i
primi insegnamenti di “Magia Naturale” – ovvero ciò che conosciamo oggi come
ANVUR – ma solo a fini scientifici perché nessuno si sognava di applicare tale
controversa disciplina al reclutamento dei professori. Nello stesso periodo
l’Università divenne un centro di Eccellenza per l’Algebra, perché nel
frattempo Gerolamo Cardano aveva scoperto la formula matematica per il calcolo
dell’Indicatore Standardizzato di Performance Dipartimentale (ISPD),
anticipando di secoli l’ANVUR e persino Gauss. Nel XVIII secolo il Papa
Benedetto XIV elargì all’Università di Bologna molti doni di materiale
scientifico e incoraggiò l’Arte e la Scienza in vari modi. (Fonte: N. Casagli,
Roars 06-10-17)
RAPPORTO NUMERICO TRA DOCENTI E PERSONALE
TECNICO-AMMINISTRATIVO NELLE UNIVERSITÀ STATALI
Un’interessante
tabella, curata dalla FLC di Perugia, sul rapporto negli Atenei Statali tra
personale docente e personale tecnico amministrativo, utilizza dati pubblicati
dal Ministero dell’Economia e riferiti al 31 dicembre 2015. La tabella prende
in considerazione il solo personale a tempo indeterminato. Sono pertanto non
compresi, ad esempio, i ricercatori di tipo a) e b) e il personale tecnico
amministrativo a tempo determinato. Rapporto non docenti/docenti: superiore a 1
in 36 atenei, inferiore a 1 in 33 atenei. Vedi tabella https://tinyurl.com/y9y55ldp (Fonte: Flc
Cgil 19-09-17)
UNA RIFORMA UNIVERSITARIA CON
L’OBIETTIVO DI CONCILIARE UNA GESTIONE PRIVATISTICA CON LA NATURA PUBBLICA
DELL’ISTRUZIONE
Sul
Menabò di etica ed economia Marco Valente discute la proposta di Luigi Marattin
sull’uscita dell’Università dalla Pubblica Amministrazione elaborata con
l’obiettivo di conciliare una gestione privatistica con la natura pubblica
dell’istruzione. Valente contesta il fondamento teorico della proposta,
sostenendo, in particolare, che l’ipotesi di superiorità del mercato nel caso
dei servizi offerti dalle università non è giustificata dalla teoria. Inoltre,
egli avanza proposte alternative che considera più pragmatiche e in grado di
assicurare gli stessi obiettivi. E conclude: l’università ha bisogno urgente di
interventi, ma non di grandi cambiamenti ispirati a visioni ideologiche non
supportate né dall’esperienza né dalla logica, e destinati a ridurre
all’irrilevanza la gran parte gli atenei pubblici. Serve invece che il sistema
universitario, componente insostituibile del progresso economico e sociale di
un paese, riceva l’attenzione politica e le risorse finanziarie di cui
necessita. (Fonte: M. Valente, Menabò di etica ed economia 14-03-17, Roars
05-09-17)
UNA TRACIMANTE E ORMAI IRREFRENABILE
“DERIVA INDICATORIA” HA PRESO POSSESSO DELL’UNIVERSITÀ
Nel
volgere di pochi anni le Università sono state travolte dalla logica degli
indicatori;
il
concetto di indicatore ha a che fare con la misurazione di qualcosa. Ma non
bisogna dimenticare che non tutto può essere ricondotto a fenomeni che possono
essere misurati. In più esistono fenomeni che non solo non sono misurabili, ma
non sono nemmeno osservabili, cionondimeno, appunto, esistono e svolgono ruoli
fondamentali; gli indicatori sembrano avvolti da un alone di «oggettività». Ma
non c’è bisogno di scomodare l’epistemologia del ‘900 per ricordare che non
esiste fenomeno osservato senza un osservatore e non esiste una misurazione
sulla quale non influisca il soggetto che misura ovvero il punto di
osservazione; la scelta degli indicatori non è mai neutra. I risultati cambiano
sensibilmente sulla base dell’indicatore scelto. La classifica delle Università
italiane stilata dal Sole 24 ore ha una peculiarità: può essere
“personalizzata”. Collegandosi al sito ciascuno può “dosare” i diversi
indicatori (ottenendo, di volta in volta, una classifica diversa); la scelta
degli indicatori retroagisce sui comportamenti. Se si ricevono risorse maggiori
quando gli studenti completano il corso di studio nei tempi previsti, può
scattare qualche comportamento opportunistico. Se si considerano più importanti
le pubblicazioni su riviste rispetto alle monografie si può arrivare a
governare gli stili di riflessione di una intera branca del sapere; gli
indicatori appartengono alla logica della misurazione quantitativa. Ma
l’Università non produce unità di prodotto, ma qualcosa di molto più
impalpabile e anche di molto più importante. Questa logica sta snaturando
l’Università; la rincorsa al rispetto degli indicatori sta minando la stessa
possibilità di produrre pensiero critico e innovativo: l’indicatore è lo
standard, mentre l’innovazione è ciò che, per definizione, è fuori dallo
standard; l’Università deve perseguire l’innovazione. Invece si assiste a un
morbido adattamento a queste nuove logiche. (Fonte: G. Pascuzzi, Roars
26-09-17)
LA RIFLESSIONE PUBBLICA NON PUÒ
LIMITARSI ALL'ENNESIMA GEREMIADE SULL'ENNESIMO SCANDALO
Occorre
innanzitutto chiedersi come mai le presunte panacee di questi ultimi otto anni
non abbiano funzionato, dalla riforma Gelmini (approvata nel 2010 a colpi di
fiducia), riforma che avrebbe dovuto scardinare il potere dei
"baroni" e che invece ha verticalizzato il potere nelle università,
agli algoritmi e alle "misure oggettive" dell'Agenzia nazionale di
valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), che avrebbero -
secondo le promesse - dovuto creare un paradiso di meritocrazia in terra e che,
invece, a quanto pare hanno solo modificato le modalità della corruzione, non
la sostanza. E' evidente che un intero approccio, basato sull'accentramento del
potere e su una montagna di regole e formalismi, ha mancato il bersaglio e
andrebbe ripensato da zero. Perché non si
discute del sistema universitario nello stesso modo in cui si ragiona, per
esempio, di sistema sanitario nazionale, di Forze Armate o di Forze
dell'Ordine, ovvero, valutando il sistema nel suo complesso? Solo così è
possibile dare un contesto a qualsiasi fenomeno, inclusi quelli di malcostume o
di illeciti. E quando volessimo ragionare di prestazioni, il sistema
universitario italiano come si confronta coi sistemi francese, inglese,
tedesco, ecc.? Se lo facessimo, scopriremmo che l'Università italiana si
colloca solidamente e sistematicamente tra le prime dieci al mondo per la
ricerca; e se normalizzassimo questo risultato per le risorse investite
(l'Italia è il penultimo paese OCSE per finanziamento pubblico all'Università),
sarebbe addirittura la prima al mondo. (Fonte: J. C. De Martin, La Repubblica
27-09-17)
ATENEI COMPETITIVI CHE ATTRAGGANO
STUDENTI IN GRADO DI PAGARE RETTE ADEGUATE
La
mancanza di concorrenza tra istituti universitari, fa si che i professori (e
soprattutto i rettori) possano dimenticarsi della necessità di avere un ateneo
competitivo che attragga studenti in grado di pagare rette adeguate e imprese
desiderose di finanziare ricerche (consentendo così più borse di studio per i
giovani meritevoli ma senza mezzi). Diventa naturale farsi influenzare dalla
fedeltà quando la minor competenza (intesa sia come produzione scientifica sia
come capacità di formare) non ha molta importanza. Oxford e Cambridge, forti
dei loro 8 secoli di storia ma in grado di attrarre finanziamenti, donatori e
studenti, e di premiare i propri docenti, sono quest’anno numeri 1 e 2 della
classifica mondiale stilata dal Times. Senza ANAC. (Fonte. A. De Nicola, La
Repubblica 01-10-17)
DA UNA LETTERA ALLA MINISTRA FEDELI IN
DIFESA DELL’UNIVERSITÀ PUBBLICA
Le
rilevazioni statistiche indicano le Università italiane come molto produttive
dal punto di vista della quantità e qualità delle pubblicazioni scientifiche,
un’alta soddisfazione degli studenti e buone prospettive di lavoro ottenute
grazie al titolo di studio ottenuto. Purtroppo però considerando invece i dati
che dipendono in modo diretto dalle politiche e dagli investimenti dei governi
siamo ultimi o nelle ultime posizioni a livello europeo: abbiamo un basso
numero di ricercatori in proporzione al PIL e alla numerosità della
popolazione, un basso numero di laureati, uno dei peggiori rapporti numerici
docenti/studenti in Europa, un investimento in Università e ricerca in
proporzione al PIL molto limitato, stipendi inferiori soprattutto in entrata a
quelli riconosciuti in Europa per le medesime attività, un precariato che si
protrae per troppi anni, una copertura eccessiva attraverso figure precarie
delle attività di ricerca, didattiche e tecnico amministrative, tasse
universitarie alte e investimenti per il diritto allo studio troppo limitati
... Le chiediamo di intervenire per quanto di sua competenza presso il
Consiglio dei Ministri per ottenere una maggiore attenzione e adeguati
finanziamenti per il sistema universitario del nostro paese, prima che gli
effetti delle politiche di disinvestimento dell’ultimo decennio portino
l’Università oltre il ciglio del baratro su cui si trova. (Fonte: Lettera aperta alla Ministra
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 03-10-15)
TRE MOSSE PER RIFORMARE L’UNIVERSITÀ
SECONDO “RICERCA PRECARIA”
La prima
mossa infatti è a costo zero: vincolare almeno la metà dei punti organico – le
risorse che ogni anno il ministero distribuisce agli atenei e che permettono di
investire in personale – per l’assunzione di nuovi ricercatori. La seconda
mossa non solo è a costo zero, ma garantisce una riduzione di spesa e una
semplificazione burocratica. Si tratta di costruire un percorso unico di
accesso alla carriera universitaria, con un primo contratto da ricercatore a
tempo determinato di tipo A di tre anni, ottenuto dopo la partecipazione a un
concorso di selezione pubblica (come accade attualmente), a cui far seguire un
secondo triennio da ricercatore di tipo B, garantendo sin da subito una
programmazione finanziaria adeguata. Successivamente, dopo il conseguimento
dell’abilitazione scientifica nazionale e un’ulteriore valutazione potrà
avvenire l’entrata in ruolo come professore associato. Infine, la terza mossa,
che un costo ce l’ha – 250 milioni di euro, il 3,5% del finanziamento ordinario
annuale – ma che davvero potrebbe cambiare il profilo dell’università italiana:
un piano serio di reclutamento per 5.000 nuovi ricercatori, che compensi
parzialmente il calo di personale degli ultimi dieci anni dando una risposta al
precariato accademico. (Fonte: FQ 11-10-17)
PARERE DELL’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO IN MATERIA DI PATROCINIO DELLE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
“.... questa
Avvocatura, come del resto ha già avuto modo di evidenziare in altra occasione,
è dell’avviso che il nuovo assetto delle Istituzioni Universitarie derivato
dall’entrata in vigore della L. 168/1989 in realtà non ha prodotto alcuna
modifica della previgente disciplina normativa concernente specificamente il
patrocinio legale delle Università desumibile dall’art. 56 del T.U. 1592/1933. Quest’ultima
norma, ancor prima dell’entrata in vigore del T.U. 1611/1933 in tema di
rappresentanza e difesa dell’amministrazione nei giudizi, sul presupposto che
le Università, pur avendo propria personalità giuridica e autonomia
amministrativa (cfr. art. 1 comma terzo del T.U. 1592/1933) erano senza dubbio
amministrazioni statali imponeva alle medesime di farsi rappresentare e
difendere dall’Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi sempreché
non si trattasse di contestazioni contro lo Stato. E' da escludere che
l’entrata in vigore della legge 168/89 abbia potuto comportare l’abrogazione
del surricordato art. 56 del T.U. 1592/1933 e fatto venir meno il patrocinio
dell’Avvocatura dello Stato in favore degli Atenei”. Infatti manca nella
suddetta legge qualsiasi disposizione con cui si è inteso procedere alla
abrogazione della previgente normativa.
STUDENTI. DIRITTO ALLO
STUDIO
IL NUMERO CHIUSO ALL'UNIVERSITÀ È DEL
TUTTO LEGITTIMO E NON IN CONTRASTO CON I PRINCIPI DELLA CONVENZIONE EUROPEA
La
questione centrale del numero chiuso o programmato resta quella di sempre,
ovvero se l'introduzione di un numero limitato di iscrizioni sia legittimo
oppure in contrasto con il diritto allo studio garantito dalla nostra Carta
costituzionale oltre che dalla normativa comunitaria. Inutile ricordare che in
merito a tale problematica vi sono state numerose sentenze del Consiglio di
Stato a partire dal 2008, della Corte costituzionale e finanche della Corte
europea dei diritti dell'uomo che, seppure con diversi approcci motivazionali,
hanno stabilito che il numero chiuso all'università è del tutto legittimo e non
in contrasto con i principi della Convenzione europea. Vi è ormai una diffusa
consapevolezza che l'istruzione, nonostante la sua indiscussa importanza, non
essendo un diritto assoluto può soggiacere a talune limitazioni rappresentate,
per l'appunto, da una sua regolamentazione in linea con le prescrizioni della
Carta fondamentale. Una più compiuta tutela del diritto allo studio,
diversamente da quanto si vorrebbe far credere, non passa attraverso
l'abrogazione del numero chiuso bensì garantendo una effettiva e altamente
qualificata formazione universitaria, soprattutto a favore dei numerosi ragazzi
che nonostante il loro desiderio e capacità, risultano penalizzati in quanto
economicamente impossibilitati a perseguirlo. (Fonte: G. Villanacci, CorSera
01-10-17)
GLI EFFETTI DELLO STOP DEL TAR AL
NUMERO CHIUSO NEI CORSI DI LAUREA UMANISTICI DELLA STATALE DI MILANO
Alla
Statale di Milano è boom di immatricolazioni nelle facoltà umanistiche, in
particolare Lettere, Beni culturali e Lingue. Il numero degli studenti è
iniziato a crescere all’indomani dello stop del Tar al numero chiuso. L’eccesso
si registra nelle facoltà di Lettere (a iscrizioni ancora aperte gli iscritti sarebbero già 615, più dei posti
messi a bando, 580), Beni Culturali (673 iscritti a fronte di un tetto previsto
di 530) e Lingue (già 868 matricole, con il limite che era fissato a 650). Il
numero chiuso adottato dall’università meneghina aveva ricevuto l’ammonimento
da parte del Tar del Lazio che indicava in un investimento statale maggiore, e
non in meno università, la soluzione. Per i soldi promessi dal Ministero
bisognerà aspettare la finanziaria di fine ottobre e le lezioni sono iniziate.
“Gli
studenti fanno lezione seduti sui gradini, il numero di immatricolazioni è già
troppo alto e crescerà ancora, i corsi di Lettere e Beni Culturali sono a
rischio chiusura, così come quello di Lingue – commenta al Corriere della Sera
il rettore Gianluca Vago – Come avevamo previsto. Il test d’ingresso era e
resta necessario”. (Fonte: corriereuniv.it 09-10-17)
GLI STUDENTI ITALIANI CHE HANNO GIÀ
FALLITO IL TEST DI MEDICINA SI RIVOLGONO ALLE PRINCIPALI UNIVERSITÀ DI BULGARIA
ED ALBANIA
Gli
studenti italiani che hanno già fallito il test di medicina si rivolgono, da
qualche anno, alle principali università di Bulgaria ed Albania, dove è
comunque presente la prova d’ingresso ma più abbordabile, a detta degli stessi.
Per la maggior parte dei partecipanti, si tratta di un ulteriore tentativo per
non perdere un anno; inoltre, data la crescente diffusione del “fenomeno”,
aumentano anche i gruppi organizzati di studenti con partenza dalle grandi
città italiane, spesso capeggiati da un tutor. Unico ostacolo, in questo caso,
sarebbe rappresentato dalle rette universitarie: a Tirana, la cattolica “Nostra
Signora del buon consiglio” è tra le mete più gettonate, pur presentando tasse
annuali che si aggirano sugli 8.000 euro; la cifra non è per niente irrisoria
ma tra i vantaggi vi è anche una convenzione con l’Università di Roma – Tor
Vergata, che consente ai docenti di quest’ultima di insegnare presso l’ateneo
albanese. I numeri evidenziano una crescita importante di questa autentica
“migrazione” studentesca: si è passati dai 100 studenti del 2015 ai 500 del
2016 relativamente al numero dei concorrenti per il test di medicina. Il
percorso accademico, comunque, è pur sempre difficile, senza escludere la
possibilità di perdere l’anno in caso di scarso rendimento. Anche per questo,
sono più di un centinaio all’anno gli studenti italiani che chiedono poi il
trasferimento in Italia. Per la Bulgaria, tra i nomi più gettonati dagli
studenti italiani, figura la “Medical University of Sofia”, dove la retta si
aggira sempre sugli 8.000 euro annuali; per la selezione, è sufficiente una
buona preparazione liceale. (Fonte: L. Simbolo, FQ 16-07-17)
DAL 2002 A OGGI IL N.RO DEI FUORI
CORSO È PASSATO DAL 67% AL 36%, MIGLIORAMENTO PERÒ SOLAMENTE PER ALCUNI CDS
COME MEDICINA 16%, PROFESSIONI SANITARIE 20%
Sebbene i
dati mostrino come negli ultimi quindici anni gli universitari italiani abbiano
fatto registrare percorsi di laurea sempre più brevi, tuttavia un numero non
irrilevante di giovani fatica ancora, e non poco, a conseguire il titolo di
studio nei tempi sperati. Dal 2002 a oggi, infatti, il numero dei fuori corso
negli atenei italiani è passato dal 67% al 36%, un dato senza dubbio
incoraggiante, se non fosse che questo miglioramento riguarda solamente alcuni
corsi di studio, lasciando scoperti molti altri. Se tra le facoltà “virtuose”
spiccano Medicina, con un tasso di ritardatari di appena il 16% (solo qualche
mese in più rispetto alla durata legale), Professioni sanitarie (con il 20% di
tempo in più), Psicologia ed Educazione Fisica, i corsi di laurea che finiscono
per diventare quasi un “parcheggio” per un gran numero di studenti sono
Giurisprudenza, Architettura e Lettere. I dottori di area giuridica, in
effetti, impiegherebbero circa il 52% del tempo in più rispetto alla durata
legale del corso, impiegando, in questo modo, almeno otto anni per discutere la
tesi a dispetto dei cinque previsti dall’ordinamento. Non vanno meglio gli
studenti di Architettura e di area letteraria, i quali accumulerebbero un
ritardo pari al 45%, impiegando circa sette anni per il conseguimento della
laurea. Questi, tuttavia, non sono gli unici dipartimenti affetti dall’annoso
tarlo dei fuori corso, considerato che anche gli studenti di Ingegneria e
Scienze Matematiche impiegherebbero almeno un paio d’anni in più del previsto
per laurearsi. (Fonte: D. Guglielmino, http://catania.liveuniversity.it
11-10-17)
Tabella.
Laureati 2016. Indice di ritardo alla laurea per gruppo disciplinare (valori
medi).
LE MIGRAZIONI SUD – CENTRO NORD.
I flussi
da Sud a Nord non sono certo una novità nella storia patria ma i numeri che
circolano giustificano un allarme che sarà ribadito nei prossimi giorni dal
Rapporto annuale della Svimez. Se infatti già negli anni che corrono dal 2002
al 2015 il saldo migratorio netto di laureati segnava -198 mila, la tendenza si
va rafforzando e coinvolge adesso anche i diplomati delle scuole medie
superiori che vanno ad immatricolarsi negli atenei del Centro Nord.
Viesti
polemizza: «Non discuto il valore di quelle università (del Centro Nord) ma
spesso il loro prestigio è costruito anche attraverso buone campagne sui mezzi
di comunicazione e robusti investimenti di marketing». A determinare il tutto,
secondo l’economista barese, concorrono più fattori: l’ampiezza dell’offerta
formativa, la maggiore qualità percepita di alcune università del Nord ma
soprattutto i canali che esse offrono per incontrare la domanda di lavoro dei
laureati. «Negli ultimi anni c’è stato uno spostamento degli studenti più verso
Milano e Torino a danno del Lazio e della Toscana. Da cosa è dipeso? Da uno
scadimento delle università del Centro o dal fatto che gli sbocchi di lavoro
sono più forti al Nord? La risposta è facile». E un’ulteriore dimostrazione
secondo Viesti la si rintraccia esaminando i dati dei laureati del triennio.
Nel 2008-2014 l’11% dei meridionali e il 15% degli universitari delle Isole
aveva scelto di prendere la successiva laurea magistrale al Nord, ora questi
numeri sono saliti (e quasi raddoppiati) al 19 e al 29%. La tesi finale è
semplice: non è tanto la variazione della qualità dell’insegnamento a spostare
i numeri ma l’aumento delle differenze nel mercato del lavoro. (Fonte: D. Di
Vico, CorSera 30-10-17)
VARIE
PAPA FRANCESCO E L’UNIVERSITÀ, DOVE
COGLIE UN POTENZIALE INEDITO PER LA DECLINAZIONE DI UN UMANESIMO CONTEMPORANEO.
All’università,
soprattutto quella italiana, che ha fatto del laicismo un suo cavallo di
battaglia, il papa si rivolge come ad amici; amici cari a lui, e alla Chiesa
che rappresenta, perché nell’università Francesco coglie un potenziale inedito
per la declinazione di un umanesimo contemporaneo, rivendicando per le
generazioni più giovani un «diritto alla speranza». Che è poi il diritto a
legami duraturi che non si consumano e non possono essere commercializzati. Di
qui l’invito a uscire, resistendovi, da ogni logica mercantile del sapere. Il
sapere non commerciabile, che non si genera come servitù dell’idolo del denaro,
è «custodia della cultura».
«Perché il
sapere che si mette a servizio del miglior offerente, che giunge ad alimentare
divisioni e a giustificare sopraffazioni, non è cultura. Cultura – lo dice la
parola – è ciò che coltiva, che fa crescere l’umano». In questo camminare tra i
secoli, congiungendo origini e presente, Francesco ha sottolineato in maniera
particolare la figura del diritto: «L’Università è sorta qui per lo studio del
diritto, per la ricerca di ciò che difende le persone, regola la vita comune e
tutela dalle logiche del più forte, dalla violenza e dall’arbitrio. È una sfida
attuale: affermare i diritti delle persone e dei popoli, dei più deboli, di chi
è scartato, e del creato, nostra casa comune».
In questo
breve discorso alla comunità universitaria bolognese non si fa fatica a
ritrovare tutti i temi maggiori che stanno a cuore a Francesco fin dall’inizio
del suo ministero petrino. Temi che si radicano nella fede e nell’esperienza
cristiana, sui quali però nessuno ha l’esclusiva – nemmeno la Chiesa. Francesco
è in cerca di amici per stringere alleanze cordiali a custodia creativa
dell’umanesimo europeo. (Fonte: M. Neri, Il Mulino 12-10-17)
MIUR E ANVUR NON EFFETTUANO ATTIVITÀ
DI VALIDAZIONE SUI DATI BIBLIOGRAFICI
Della
qualità dei dati bibliografici su cui MIUR e ANVUR applicano i loro algoritmi possiamo
dirci soddisfatti? I dati bibliografici dovrebbero essere validati, cioè ne
dovrebbe essere controllata la qualità. Invece gli atenei alimentano il sito
LoginMIUR senza grandi attività di validazione, e senza standard di riferimento
in merito alla loro completezza. MIUR e ANVUR a loro volta non effettuano
attività di validazione su questi dati. Le soglie per la ASN, le cravatte
bibliometriche della VQR, il FFARB e chissà cosa altro sono calcolati su dati
non certificati né localmente né centralmente. Adesso molti atenei hanno
acquistato, su sollecitazione CRUI e a caro prezzo, il software per la
riproduzione degli algoritmi anvuriani prodotto dalla università della
Basilicata. Quel software promette di automatizzare tutto, anche ciò che ANVUR
non aveva pensato di automatizzare. Ci hanno riferito che la CRUI ha
sollecitato gli atenei che hanno aderito alla iniziativa a “bonificare” i
propri dati perché nei dati degli atenei sono presenti molte anomalie “tali da
poter influenzare negativamente le valutazioni”. E anche ANVUR chiede ai
ricercatori di segnalare eventuali duplicazioni. (Fonte: Red.ne Roars 21-09-17)
LA CORRUZIONE NEGLI ATENEI CON L’ALIBI
DELLA FUGA ALL’ESTERO DEI NOSTRI RAGAZZI NON C'ENTRA ASSOLUTAMENTE NULLA
Un
paese che lascia alla magistratura anche la valutazione delle scelte che
riguardano una parte considerevole della sua classe dirigente (alla quale
appartengono i docenti universitari) è oggettivamente entrato in una spirale di
non ritorno. Soprattutto se la decisione di valutare il merito attraverso
l’anticorruzione diventa l’ennesimo presidio di legalità morale che giustifica
un fatto che in altre parti del mondo fa parte della vita reale: la scelta dei
nostri figli di studiare o lavorare all’estero. La corruzione negli Atenei con
l’alibi tutto italiano della fuga all’estero dei nostri ragazzi non c'entra
assolutamente nulla. Continuare ad alimentare questo pericoloso mainstream
giustifica un dato che non ha eguali nel mondo occidentale: in Italia 2,3
milioni di ragazzi non vanno a scuola e non lavorano. E non è colpa né della
crisi economica né dei baroni. L'Italia, che è al 43esimo posto nel mondo per
indice di attrattività, ha perso appeal negli anni a causa anche a causa di una
deriva antindustriale (la fabbrica è sporca e cattiva), che dagli inizi degli
anni Settanta ha smantellato prima a livello ideologico e poi materialmente i
luoghi che consentivano alle Università di fare ricerca e produrre innovazione
(Giulio Natta per esempio vince il Nobel studiando a Milano, non nella Silicon
Valley). Se a questo aggiungiamo la parcellizzazione degli Atenei in ogni
angolo del Paese, perché accanto a un ospedale era bene che le città italiane
avessero anche una Università per produrre laureati di cui il mercato ormai non
sa più che farsene, abbiamo la quadratura del cerchio. (Fonte: S. Canciotta, Il
Foglio 27-09-17)
AGENZIE (ANVUR, ANAC) CHE DOVEVANO
AVERE UN RUOLO PURAMENTE STRUMENTALE SI SONO ESPANSE SU TERRENI IMPROPRI
La
valutazione con metodi bibliometrici sta diventando sempre più dannosa e le
contraddizioni insite nella debolezza scientifica di questa pratica esplodono
sempre di più. Una pretesa neutralità vorrebbe superare (ovviamente senza
minimamente riuscirci) tutti gli elementi non aggirabili di discrezionalità e
soggettività insiti nella valutazione. In realtà il problema dell’ANVUR è la
totale mancanza di un mandato politico che ne delimiti i compiti. Le
metodologie finiscono per definire implicitamente un mandato politico che
chiaramente esonda dai compiti attribuibili ad una agenzia. La stessa cosa
accade con ANAC dove un intero capitolo dell’ultima relazione, non si limita ad
evidenziare alcune problematiche, ma riscrive una riforma di sistema (di natura
molto centralistica) che ovviamente è compito del parlamento e non del dr.
Cantone. La debolezza (nel senso di assenza di pensiero politico) delle attuali
forze rappresentate in parlamento, il loro sostanziale abbandono di una
elaborazione strategica ha finito per consentire ad agenzie che dovevano avere
un ruolo puramente strumentale di espandersi su terreni impropri. Ovviamente
questo comporta da un lato il pericolo di una potenziale penetrazione di
lobbies trasversali, ma anche, nei casi migliori, una politica generata da una
visione illuministica di singoli, assolutamente impropria poiché non sono
definiti e definibili gli elementi di legittimazione. (Fonte: p. marcati,
commento ad articolo di A. Baccini, Roars 05-10-17)
LA CERTIFICAZIONE SULLA CONOSCENZA
DELLA LINGUA LATINA (CLL) SI STA DIFFONDENDO NEGLI ATENEI ITALIANI E ANCHE
STRANIERI
«Si piglia
gioco di me, che vuol ch'io faccia del suo latinorum?» sbottava contro don Abbondio
il manzoniano Renzo, primo nemico ufficiale della cosiddetta lingua morta.
Eppure quella stessa lingua, eterna dannazione di liceali immersi tra le pagine
del dizionario Castiglioni e Mariotti perduti nella consecutio di Tacito,
riemerge dalle ceneri come l'Araba Fenice rischiando di diventare materia di
colloqui di assunzione. Assunzione, beninteso, non presso civiche biblioteche o
musei archeologici ma aziende multinazionali o società di consulenza. Il
paladino più convinto dell'equiparazione del latino alle lingue moderne, al
punto da averne ottenuto la certificazione al pari degli esami First, Esol,
Ielts e Toefi o Goethe, è il professor Guido Milanese, docente della Facoltà di
Scienze Linguistiche all'Università Cattolica di Milano. sMilanese sta già
raccogliendo i frutti di una battaglia che solo in Lombardia ha portato oltre
mille studenti all'iscrizione per l'ottenimento del CLL, acronimo che sta per
Certificato di competenza della Lingua Latina. «Il latino che interessa a noi
contemporanei è la lingua radicata dall'Impero romano in tutta Europa e che ha
mantenuto la sua contemporaneità - soprattutto negli studi filosofici - fino ai
tempi di Giambattista Vico. Sotto il profilo culturale si tratta dell'unica
vera radice comune d'Europa». Il latino non vuole morire: ora fa più bello il
curriculum. L'idioma dei romani conquista gli atenei d'Europa. Adesso è
certificato. E conquista le aziende americane. (Fonte: M. Marzo, Il Giornale
11-10-17)
UNA MANINA MISTERIOSA È INTERVENUTA
PER CAMBIARE LA VOCE "ELENA CATTANEO" DI WIKIPEDIA
Una manina
misteriosa è intervenuta per cambiare la voce "Elena Cattaneo" di
Wikipedia, la libera enciclopedia web a cui tutti possono dare il loro
contributo. L'operazione è quella che in gergo si chiama cherry picking, piccoli
interventi qua e là nel testo, ma con il chiaro intento di mettere in cattiva luce
il personaggio descritto dal lemma, cioè la docente e ricercatrice Elena
Cattaneo, una delle scienziate italiane più note all'estero, che proprio per i
suoi meriti scientifici è stata nominata senatore a vita. Gli interventi della
manina misteriosa disseminano nel testo, che racconta la prestigiosa carriera
della scienziata italiana, piccole segnalazioni fastidiose, scritte in modo da apparire
negative. Sono nove brevi interventi, per un totale di 1.840 caratteri. Ma di
chi era, la manina maliziosa? La struttura partecipata di Wikipedia permette di
risalire a tutti coloro che intervengono nel testo. Ed ecco allora subito
scoperta una misteriosa "Rosetta95", entrata il 1° dicembre 2016 in
Wikipedia per fare nove interventi e aggiunte pari a 1.840 caratteri. Chi è
"Rosetta95"? Una ulteriore ricerca l'ha svelata: è una dottoressa che
lavora presso Iit nell'ufficio comunicazione e rapporti con i media. È
intervenuta - miracoli della tracciabilità di Wikipedia - tra le 15 e le 16 di
giovedì 1° dicembre, dunque in orario di lavoro. In violazione delle regole di
trasparenza per contribuire all'enciclopedia web, che impongono, in casi come
questo, una dichiarazione di conflitto d'interessi, perché
"Rosetta95" ha scritto di Iit essendo una dipendente di Iit. (Fonte:
G. Barbace, Il Fatto Quotidiano 19-10-17)
IL BLOG NON PUÒ ESSERE CONSIDERATO UNA
TESTATA GIORNALISTICA
Il termine
blog è la contrazione di web-log,
ovvero «diario in rete». Nel Web 2.0 e nel gergo di Internet, un blog
è un particolare tipo di sito web in cui i contenuti vengono visualizzati in
forma anti-cronologica (dal più recente al più lontano nel tempo). In genere il
blog è gestito da uno o più blogger, o blogghista, che pubblicano, più o meno
periodicamente, contenuti multimediali, in forma testuale o in forma di post,
concetto assimilabile o avvicinabile ad un articolo di giornale (Wikipedia).
La
pubblicazione di fatti ed opinioni su di un “blog”, anche se ricorrente nel
tempo, risulta legata al più generale principio di libera manifestazione del
pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21
primo comma Cost). (TAR del Lazio, sentenza numero 9841/2017). Il blog non può
essere considerato una testata giornalistica e quindi non è registrato al
tribunale né iscritto al Roc. Per il TAR del Lazio, come si legge nella sentenza sopra citata, si tratta solo di
un'agenda in rete, in quanto in esso difettano i requisiti di periodicità e
necessarietà delle pubblicazioni. Il blog, insomma, non può essere assimilato a
un giornale online, in quanto quest'ultimo è necessariamente curato da
professionisti dell'informazione ed è caratterizzato da una periodicità fissa
di raccolta, analisi e commento delle notizie. Il blog, invece, non è per forza
curato da giornalisti e non necessariamente è aggiornato periodicamente. Pertanto,
al blog non si applicano neanche le tutele di cui al terzo comma dell'articolo
21 della Costituzione, in base al quale "si può procedere a sequestro
soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i
quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di
violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei
responsabili". Di conseguenza, si può sequestrare un blog senza alcuna
particolare limitazione e ciò anche se esso è curato da un giornalista iscritto
all'Ordine. (Fonte: V. Zeppilli, studiocataldi.it 03-10-17)
UNIVERSITÀ IN ITALIA
UNIBA. AL QUARTO POSTO NEL RANKING
CWUR PER PSICOLOGIA SPECIALE
Ulteriore,
prestigioso riconoscimento per l’Università di Bari. Il Center for World
University Rankings (CWUR), istituzione dell’Arabia Saudita, pubblica
annualmente una classifica delle Università; nel 2017 per la prima volta è
stata predisposta una classifica per i migliori dieci Atenei in diversi campi
di ricerca utilizzando degli indicatori bibliometrici desunti dalla banca dati
di Clarivate Analytics (in precedenza Thomson-Reuters).
La
presenza degli Atenei italiani in queste classifica è limitata, con prevalenza
delle Università del mondo anglosassone e dell’Estremo Oriente (Cina, Giappone,
Corea del Sud), e nel settore scientifico della Psicologia speciale
l’Università di Bari, unico Ateneo italiano in graduatoria in tale ambito
scientifico, si colloca al quarto posto nel Mondo a pari merito con la
Louisiana State University (USA). (Fonte: italpress.com 04-10-17)
UNIBO. RANKING THE: SUL PODIO ANCHE
TRA I SUBJECT
L'Università
di Bologna si conferma tra i migliori atenei mondiali e italiani anche nel
ranking per subject stilato da Times Higher Education. Se la classifica
generale indicava l'Alma Mater come migliore università italiana dopo le scuole
superiori di Sant'Anna e Normale di Pisa, anche andando a vedere i piazzamenti
nelle macro-aree scientifiche Unibo resta saldamente sul podio.
A livello
nazionale, l'Università di Bologna è prima in Italia nel settore delle Social
Sciences, al secondo posto per Law e per Arts & Humanities, al terzo posto
nel campo Business & Economics.
Il
punteggio complessivo dell’Ateneo è passato quest'anno a 50,6, salendo dai 47,6
punti dell'anno passato. E in particolare per la didattica l’Ateneo bolognese
si colloca nell’1% degli atenei al mondo, conquistando la posizione 140.
(Fonte: Unibomagazine 05-10-17)
UNIBOCCONI. NELLA CLASSIFICA SU BUSINESS
ED ECONOMICS DEL RANKING DEL TIMES HIGHER EDUCATION SI COLLOCA AL 9° POSTO IN
EUROPA E AL 27° NEL MONDO
Nella
classifica relativa all’area disciplinare di Business & Economics del World
University Rankings by Subject, pubblicato dal Times Higher Education, una
valutazione articolata delle principali attività della Bocconi, dalla didattica
alla ricerca alla proiezione internazionale, porta l’ateneo a collocarsi al 9°
posto in Europa e al 27° nel mondo. Il ranking ha preso in considerazione 200
università che sono state valutate sulla base di 13 indicatori di performance
raggruppati in 5 aree di attività: qualità e prestigio della didattica (incluso
un survey sulla reputazione presso accademici di tutto il mondo), volume e
reputazione della ricerca (in parte basato anche esso su un survey di accademici),
numero di citazioni per valutare l’impatto della ricerca, l’outlook
internazionale (in termini di docenti, studenti e ricerca) e il knowledge
transfer (la collaborazione con l’industria in termini di ricerca e
consulenza). (Fonte: viasarfatti25.unibocconi.it
05-10-17)
UNIBO È NATIONAL COORDINATOR DEL
RANKING SULLA SOSTENIBILITÀ
L'accordo
è stato firmato a Bologna in occasione del primo workshop nazionale dedicato a
GreenMetric, la classifica indonesiana che valuta le politiche green delle
università. L'Università di Bologna è National Coordinator di GreenMetric, il
ranking indonesiano che valuta l'impegno e le politiche adottate dalle università
in tema di rispetto dell'ambiente e sostenibilità. Il nuovo ruolo per l'Alma
Mater arriva grazie ad un accordo sottoscritto dal rettore Francesco Ubertini e
da Riri Fitri Sari, Chairperson di GreenMetric. Attivo dal 2010, GreenMetric
misura l’approccio green di un ateneo a 360 gradi in termini di infrastrutture,
spazi verdi, consumi energetici, gestione dei rifiuti e trasporti, senza
dimenticare eventi, attività didattiche e di ricerca realizzate su rispetto
dell'ambiente e sostenibilità. Nell'ultima edizione di GreenMetric l’Università
di Bologna si è classificata al 71° posto a livello mondiale sui 516 atenei
partecipanti alla rilevazione, scalando 54 posizioni rispetto all'anno
precedente. E a livello italiano, l'Alma Mater è passata dal terzo al secondo
posto tra i 17 atenei in classifica. (fonte: magazine.unibo.it 03-10-17)
UE. ESTERO
EU. EUROPE SHOULD HAVE "AT LEAST
20 "EUROPEAN UNIVERSITIES"
By 2024,
the French president said, Europe should have "at least 20" of what
he called "European universities", offering students the chance to
"study abroad and take classes in at least two different languages".
These European universities will help to "create a sense of
belonging" that will be the "strongest cement for Europe", a
later press release argued. The
details may not be quite as grand as the rhetoric. These universities would not
be new, a spokeswoman for the president clarified. They would be a
"network of existing universities, but they will have to introduce
important changes to work better together", and allow students a
"change of country and university each year, within the network, with a
common curriculum", she said. (Fonte: timeshighereducation.com 15-10-17)
FRANCE. BIOMEDICAL-RESEARCH AGENCY
ACCUSED OF ATTEMPTING TO UNDERMINE AUTONOMY OF UNIVERSITY–HOSPITAL GROUPS.
Scientists
were shocked earlier this month when the government unexpectedly postponed a
call for applications to create a new crop of medical-research clusters just
days before the closing date, and said that it would slash the budget earmarked
for the project. Government ministers said that they were delaying the project
because they wanted to change the way these autonomous clusters are governed.
But scientists contacted by Nature say they suspect that behind the decision is
an effort by INSERM, France’s biomedical-research agency, to exert control over
the institutes.
The idea
of creating the clusters, known as Instituts Hospitalo-Universitaires (IHUs),
was introduced in 2009 to boost translational medical research, bringing
together universities, teaching hospitals, research agencies and industry. Based
on public–private partnerships, they enjoy much autonomy and are mostly free
from government and research-agency bureaucracy. The first six IHUs — in Paris,
Bordeaux, Marseilles and Strasbourg — were approved in 2010 and received total
funding of €850 million (US$1 billion). The clusters have been widely hailed as
a successful model, and a second call for applications — open to any group of
institutions that wanted to apply — was due to close on 12 October. But in a
press release on 2 October, the government announced that the deadline for the
call would be postponed to an unspecified date. It also said that only two new
IHUs would be funded, instead of the three initially planned, and that the
total budget would be halved to €100 million. Nineteen applications had been
made.
In letters
sent to the government last week, and to President Emmanuel Macron on 23
October, 14 applicants said they were “appalled” or “bewildered” by the sudden
and drastic changes to the funding and to the terms of the selection process. (Fonte:
B. Casassus, Nature|News Sharing 24-10-17)
GERMANY. ENTRY LIMITS IN MEDICINE NOW
A CONSTITUTIONAL ISSUE
A German
administrative court has called on the country’s Federal Constitutional Court
to decide whether the numerus clausus entry restrictions for medicine at
universities are unconstitutional.
Germany’s
health system is suffering from a lack of physicians for patient care,
especially in rural areas. More doctors are being recruited from abroad. There
are various reasons for the insufficient number of physicians available to the
health system. While Germany has never had so many medical graduates before,
many of them seek to pursue a career in industry, above all in the
pharmaceuticals branch, or prefer to engage in research. Growing numbers of
women graduates have resulted in an increase in the share of part-time work in
the health sector.
Also,
doctors are having to cope with an ever-greater administrative work burden.
Finally, many graduates look for better pay and better working conditions in
other countries. So having more medical graduates does not necessarily benefit
the patient.
Whereas
places to study are rising slightly each year, they cannot keep pace with the
growing number of applicants. More than 43,000 young people competed for a
total of just 9,200 places to study medicine at universities this winter
semester.
Applications
are submitted to the Stiftung für Hochschulzulassung, an agency that cooperates
with the Federal Employment Agency and is responsible for the allocation of study
places in entry-restricted subjects.
The
numerus clausus system is based on the average of marks in the Abitur
certificate of higher secondary education, with 20% of study places allocated
to those with at least an excellent average mark. A further 20% go to those who
applied in the past and have waited long enough. Universities are free to
decide to whom they give the remaining 60%.
A ruling
by the Federal Constitutional Court would also affect other subjects with entry
restrictions, such as pharmacy, dental medicine and veterinary medicine.
However, it could take several months for the court to decide on the matter.
(Fonte: M. Gardner, universityworldnews.com 06-10-17)
MAGHREB. IL SECONDO HUB ACCADEMICO
AFRICANO DOPO QUELLO DEL SUDAFRICA
Nelle
nazioni del Maghreb – Algeria, Libia, Marocco e Tunisia – in particolare, il
francese e l’arabo rimangono le lingue dominanti. Qui si impernia il secondo
hub accademico africano che, seppur con una capacità d’attrazione molto minore
rispetto al Sudafrica, ospita circa 18.000 studenti africani stranieri. Grazie
a una politica di supporto alla formazione universitaria, il Marocco è divenuto
infatti negli ultimi anni una destinazione sempre più appetibile. Secondo i
dati del ministero marocchino per l’università, la ricerca e la formazione, gli
africani che hanno scelto di studiare in Marocco vengono soprattutto dalla
Mauritania, dal Senegal, Costa D’Avorio, Mali, Guinea e Gabon, ma – a sorpresa
- anche dal Kenya e dalla Nigeria. Sono cresciuti senza sosta negli anni: erano
1.040 nel 1994, 5.000 nel 2004 e superano i 18.000 oggi. Secondo l’Agenzia di
cooperazione internazionale marocchina, ossia l’ente che regola la collaborazione
internazionale in tema di formazione e cultura, la crescita delle iscrizioni
straniere alle università è il risultato di una politica ad hoc, che ha stretto
accordi con diverse nazioni africane con il preciso obiettivo di reclutare
studenti fuori dai propri confini. Inoltre, questi accordi prevedono non solo
programmi di scambio per studenti ma anche per insegnanti, manager e dirigenti
scolastici. Sulla via dell’allineamento all’offerta didattica internazionale
sta la partnership fra otto università marocchine, sia pubbliche che private,
per il lancio di la piattaforma online gratuita MarMooc presumibilmente in
ottobre 2019. (Fonte: C. Mezalira, IlBo 26-09-17)
RUSSIA. WORLD-CLASS UNIVERSITIES
PROJECT CHANGES STRATEGY
The
Russian Ministry of Education and Science plans to drastically cut the number
of participants in the state’s ‘5-100’ programme aimed at developing
world-class universities – in order to improve its chances of achieving its
objectives, according to recent statements of the Minister of Education and
Science Olga Vasilyeva. Vasilyeva is planning to redistribute RUB30 billion
(US$524 million) – the remaining sum for the programme – among six domestic
universities, instead of the previously planned 21. (Fonte: www.universityworldnews.com
14-10-17)
TURCHIA. AL 30 APRILE 2017 I
LICENZIAMENTI ACCADEMICI HANNO RAGGIUNTO IL NUMERO DI 5.295
Nel
gennaio 2016, 2.212 accademici che lavoravano o facevano ricerca in Turchia
hanno firmato un appello che chiedeva al governo turco di porre fine alla
guerra nella regione curda. Questa dichiarazione auspicava una soluzione
pacifica della questione curda, esistente da decenni, che consentisse agli osservatori
internazionali di monitorare la situazione nelle città curde e nelle città
distrutte dalle forze di sicurezza. Da quel momento, i firmatari, noti come
Accademici per la Pace, sono stati sottoposti a vendette ed attacchi punitivi ordinati dal presidente Recep Tayyip
Erdoğan e realizzati congiuntamente dal governo e dalle istituzioni universitarie.
Gli Accademici per la Pace sono stati accusati di tradimento per aver invitato
il governo turco a porre fine alla violenza contro i propri cittadini. Sotto le
direttive del presidente, il governo, i servizi di sicurezza, il Consiglio di
istruzione universitaria e i rettori universitari si sono coalizzati per far
pagare ‘un prezzo pesante’ agli Accademici per la Pace. La campagna di
linciaggio è ancora in corso e, finora, ha
condotto a una serie di inchieste penali e amministrative, a detenzioni,
licenziamenti, alla revoca di passaporti e divieti di espatrio, negazione del
diritto alla pensione ed esclusione dal mercato del lavoro attraverso la
compilazione di una lista nera. In seguito al raffazzonato tentativo di colpo
di stato del luglio 2016 e lo stato di emergenza che ne seguì, con il pretesto
di individuare i fedeli del movimento di
Fethullah Gülen ex partner del regime AKP (il quale era anch’esso stato implicato nelle violazioni degli standard e
delle libertà accademiche in Turchia), gli attacchi politici all’università e
all’intero settore dei servizi pubblici in Turchia hanno raggiunto un livello
senza precedenti. Al 30 aprile 2017, i licenziamenti accademici hanno raggiunto
il numero sconcertante di 5.295. La campagna di linciaggio contro gli
Accademici per la Pace è una grave violazione delle norme internazionali
sull’autonomia, sulla libertà accademica e la libera produzione di conoscenza
nell’università. (Fonte: Red.ne Roars 01-10-17)
UK. THE ASSESSMENT OF ACADEMIC WORK.
THE OPINION OF LINCOLN ALLISON: AN EXERCISE IN FUTILITY
In terms
of the good of universities, I remain, root and branch, an opponent of all
forms of unnecessary assessment of academic work. This is not a fundamentalist
objection. I don’t believe there is anything immoral about research assessment.
My objection is, instead, consequentialist, and starts with what seems to me to
be an immediate empirical observation that the official assessment of the value
of academic work is bound to do far more harm than good (except, perhaps, if a
government department wants to spend £50 million on researching the options for
energy policy: in that unusually important case, the best experts should
compete for the job). The most fundamental objection to research assessment,
however, is the sheer waste of human time and effort involved: all the energies
of highly intelligent men and women that go into judging and strategising for a
zero-sum game that is quite unnecessary. Then there is all the effort of
200,000 academic staff spent on producing research that, in most cases, is going
to be read by almost nobody, and that will have zero impact on a world that
would be a better place if they simply concentrated on teaching – or, for that
matter, if they looked after their children better or went fishing more often.
The amounts of money quoted as being distributed by research assessment – the
sum is normally put in the low billions – are, frankly, trivial by the
standards of this appalling waste of human resources. In effect, the UK decided
to imitate the Soviet Union at roughly the time of its demise by establishing a
set of production targets for goods that nobody wants. When it comes to ideas,
it is only a tiny sliver of the very best that matter and, to quote Hume, the
incentive of “literary fame” is quite enough to motivate such production. I may
have left universities as an employee more than a dozen years ago, but I
frequently return and I observe that the modern REF continues to have the same
effect as the old RAE: it makes everyone unhappy. (Fonte: https://www.timeshighereducation.com/features/research-assessment-exercise-futility
05-10-17)
UK. UNIVERSITIES GENERATE A KNOCK-ON
IMPACT OF NEARLY £100 BILLION
UK
universities now generate a knock-on impact of nearly £100 billion (US$131
billion) for the UK economy and support close to a million jobs throughout the
United Kingdom, according to new figures published by Universities UK. The
vice-chancellors’ body’s latest study on the impact of the higher education
sector on the economy – produced for Universities UK by Oxford Economics –
found that universities now support more than 940,000 jobs in all parts of the
UK, equivalent to 3% of all employment. In total, UK universities, together
with their international students and visitors, generated £95 billion of gross
output in the economy in 2014-15. The gross value added contribution of
universities’ own operations to gross domestic product or GDP, at £21.5 billion
(US$28 billion), is larger than that made by a number of sizeable industries.
It is 22% greater than that produced by the entire accountancy sector and
almost 50% more than the contribution of the advertising and market research
industry. (Fonte: universityworldnews.com 17-10-17)
USA. L’UNIVERSITÀ DI BERKELEY SPENDE
900 MILA DOLLARI PER GARANTIRE SICUREZZA NELLE CONFERENZE
Il
budget dell’università di Berkeley per il 2016-2017, alla voce
"sicurezza", è lievitato fino a 900 mila dollari. E' il costo che
l'ateneo ha dovuto sostenere per i molti comizi di giornalisti e intellettuali
conservatori. Veicoli, uomini, barriere, assicurazioni in caso di incidenti gravi:
è quello cui un campus in America deve oggi stanziare per garantire il normale
svolgimento di una conferenza controversa. Per lo show del giornalista Ben
Shapiro, conservatore e antitrumpiano, Berkeley ha chiamato in servizio gran
parte degli ufficiali impiegati solitamente nei dieci campus che fanno parte
del sistema dell'Università della California. Alla fine, Berkeley ha garantito
lo svolgimento della conferenza e un dibattito pubblico, un fatto che dovrebbe
essere considerato normale in una università. Nove manifestanti sono stati
arrestati, tra cui quattro che intendevano introdurre armi. Ma resta un
paradosso. Mezzo secolo fa, a Berkeley, la Nuova sinistra avviò il movimento
per il Free Speeeh, che ha avuto tanti meriti. Nel 2017 un altro tipo di
sinistra usa la violenza e le minacce per intimidire la libertà di parola. A
qualunque costo. Il Wall Street Journal in un editoriale lo chiama "il
costo della libertà di parola". (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 22-09-17)
LIBRI. RAPPORTI. SAGGI
DOPO MARCONI IL DILUVIO. EVOLUZIONE
NELL'INFOSFERA
Autore:
Gabriele Falciasecca. Ed. Pendagron , 2016.
Come
si sono sviluppate le tecnologie dell’informazione? Cosa rappresentano oggi per
la nostra società? Sono le domande a cui vuole rispondere Gabriele Falciasecca
nel suo ultimo libro, Dopo Marconi il diluvio - Evoluzione nell’infosfera,
edita da Pendragon, che conta su un’introduzione di Stefano Ciccotti. “Partendo
da una riflessione sul concetto stesso di informazione - si legge sulla quarta
di copertina - il volume analizza lo stretto intreccio che esiste tra il piano
biologico e quello tecnologico. In una prima fase, infatti, le tecnologie hanno
cercato di aiutare l’uomo a fare meglio ciò che già fa in modo naturale. Poi,
via via, lo scenario è mutato. Le ‘macchine’ che abbiamo creato ci stanno
cambiando, cambiano il nostro modo di gestire le attività economiche, di
relazionarci con gli altri e il nostro rapporto con l’ambiente, ora più che mai
un intreccio di naturale e artificiale che è capace di influenzarci e, a nostra
insaputa, di manipolarci”. “E’ dunque necessario analizzare questo nuovo
contesto per individuare le opportunità
e i rischi prodotti dal ’diluvio’ di tecnologie dell’informazione e della
comunicazione - conclude la sinossi - non esitando a trarre le conseguenze,
anche quando ciò porta fuori dallo stretto ambito tecnico”. (Fonte: F.
Callegati, www.nottedeiricercatori-society.euc
25-09-17)
UNIVERSITÀ FUTURA. TRA DEMOCRAZIA E
BIT
Autore:
Juan Carlos De Martin, Ed. Codice 2017. Pg. 235.
Un
saggio che prende l'avvio dalle principali sfide, non più procrastinabili, del
pianeta oggi, come ambiente, geopolitica, tecnologia, economia e democrazia.
"A differenza di qualsiasi altra istituzione al mondo -, afferma Drew
Faust, presidente della Harvard University - le università fanno proprio lo
sguardo lungo, coltivando quel tipo di prospettiva critica che guarda molto al
di là del presente". Con questo assunto gli atenei italiani avrebbero
sconfinate praterie di potenzialità per poter affrontare sfide globali per
agire sul locale di un paese che pare navigarea vista in ogni ambito; dalla
solidità e credibilità delle istituzioni alla rappresentanza politica. L'autore
evoca però anche il fantasma di un'università obbligata a rinunciare alla sua
vocazione di "educazione" (nel senso pieno del termine) per
assoggettarsi alla "pressione sovra-adattiva" di poteri che, volente
o nolente, le permettono di vivere.
Abbiamo
di fronte cinque sfide da cui dipende il futuro dell'umanità: ambientale,
tecnologica, economica, geopolitica e democratica. Sfide a cui si aggiunge, per
noi italiani, quella rappresentata dal futuro sempre più incerto del nostro
paese. Su quali principi dovrebbe basarsi l'università per aiutare la società
ad affrontare questi problemi? Più in generale, cosa potrebbe fare per le
persone e la conoscenza? Quali metodi, quali aspetti è bene che restino
invariati, e quali potrebbero invece beneficiare della rivoluzione digitale?
Dopo oltre vent'anni focalizzati sugli aspetti economici della missione
dell'università, è ora di riscoprirne le radici umaniste e di portarle nel
ventunesimo secolo. Juan Carlos De Martin propone un'idea di università pensata
per tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese, in particolare
per i ragazzi e le ragazze nati all'inizio del millennio. (Fonte: E. Reguitti,
Fq 27-09-17; presentazione dell’editore
27-09-q17)
LA REVOCA DEGLI AMMINISTRATORI NELLE
FONDAZIONI UNIVERSITARIE (TRA DIRITTO SOSTANZIALE E QUESTIONI DI GIURISDIZIONE)
L'oggetto
delle riflessioni svolte nel presente contributo ruota, fondamentalmente,
intorno a una questione di giurisdizione – connessa alla tematica della nomina
e (più in particolare) della revoca di amministratori di una fondazione
universitaria – ma evoca anche, necessariamente, uno spazio di riflessione
assai più considerevole, che – sotto svariati profili – si pone al crocevia tra
diritto civile, sostanziale e processuale, e diritto amministrativo, anch'esso
sostanziale e processuale. Prima di entrare nel merito della questione sono
probabilmente opportune, peraltro, alcune avvertenze preliminari: intanto,
poiché si farà frequentemente richiamo al tema delle fondazioni universitarie,
è bene avvertire da subito che si intende qui fare riferimento non già alle
fondazioni di cui all'art. 16 del D.L. n. 112/08 (norma che riguarda la facoltà
di trasformazione delle Università pubbliche oggi esistenti in fondazioni di
diritto privato); ma, più in particolare, alle fondazioni di cui all'art. 59,
comma 3, L. n. 388/00: il riferimento è, cioè, alle fondazioni di diritto privato (le quali trovano poi la loro
disciplina di dettaglio nel D.P.R. 24 maggio 2001, n. 254) costituite dalle
Università pubbliche al fine dello «svolgimento delle attività strumentali e di
supporto alla didattica e alla ricerca», in ogni caso «nell'osservanza del
criterio della strumentalità rispetto alle funzioni istituzionali, che
rimangono comunque riservate all'Università».
Sommario:
1. Premessa. Delimitazione dell'indagine – 2. Nomina e revoca di amministratori
negli enti a partecipazione
pubblica: l'orientamento giurisprudenziale corrente. –3. Il riferimento
della soluzione corrente anche
alle fondazioni universitarie. Possibili considerazioni critiche: a) sul
versante civilistico. –4. Segue: b) e su quello pubblicistico. –5. Il rapporto
tra l'Ente pubblico di riferimento (Università) e il soggetto (formalmente
privato) strumentale(fondazione). –6. La connotazione tipicamente pubblicistica
delle fondazioni universitarie alla luce della normativa di riferimento. –7. I
riflessi processuali (in tema di giurisdizione) della ricostruzione proposta.
(Fonte:
F. Gigliotti, federalismi.it https://tinyurl.com/yab5noo6
)
E SE NON FOSSE LA BUONA BATTAGLIA? SUL
FUTURO DELL'ISTRUZIONE UMANISTICA
Autore:
Claudio Giunta. Ed. Il Mulino, collana "Intersezioni". Pg. 312. 2017
In Mio
figlio professore, anno 1946, il bidello Aldo Fabrizi, diventato padre,
annuncia che da grande il figlio farà «er professore de latino». Ben pochi
genitori, oggi, direbbero una cosa del genere. Il libro parte da questa
constatazione per riflettere sul futuro dell’istruzione umanistica. Lo fa
avanzando alcune proposte sul modo in cui questa istruzione si potrebbe
riformare, a scuola e all’università; e interrogandosi su alcune questioni
cruciali: se il canone umanistico che ha formato le generazioni passate ha
ancora un senso e un’utilità; se è possibile comunicarlo non a un’élite di
studenti ma a una massa; e se insomma la trasmissione di quel sapere
corrisponde davvero alla «buona battaglia» che molti insegnanti ritengono di
combattere, o se invece è tutta un’illusione, una favola che ci raccontiamo per
non dover ammettere che le cose che una volta credevamo vere e importanti non
lo sono più. (Fonte: presentazione dell’editore)
Nessun commento:
Posta un commento