IN EVIDENZA
RICERCA
QUANTISTICA. SUCCESSI DELLA SCIENZA ITALIANA
Nella ricerca quantistica la scienza italiana trova il suo spazio e si
aggiudica gli stessi progetti - 17 - di altri due Paesi europei che continuiamo
a sfidare nonostante gli investimenti non siano paragonabili: Germania e
Francia. Pari e patta, sul tema: diciassette lavori aggiudicati ciascuno, ex
aequo. La chiamata "QuantEra" - Consorzio formato da 26 Paesi europei
che coordina e finanzia le migliori ricerche del Continente sulla materia e le
sue particelle a pacchetto, "quanti", appunto - ha visto promossi
diciassette progetti italiani e co-italiani su ventisei. Sui diversi dossier
128 ricercatori hanno lavorato in gruppi transnazionali formati da un minimo di
tre Paesi a un massimo di sette. Alla "call" internazionale chiusa lo
scorso 22 novembre si sono presentati, per spiegare il modo di lavorare in
questo tipo di ricerche finanziate dalla Commissione europea, tre gruppi con
fisici e chimici italiani, tedeschi e francesi collegati tra loro. Altri tre
team hanno visto ricercatori italiani collaborare con i tedeschi e, ancora, due
squadre di italiani hanno lavorato insieme a studiosi francesi. (Fonte: C.
Zunino, R.it 18-12-17)
ABOLIRE LE TASSE UNIVERSITARIE?
RISPOSTE
Gli
studenti italiani pagano in tasse universitarie da 1,6 a 2 miliardi l'anno -
spiega Giliberto Capano, politologo dell'UniBo, esperto di sistemi universitari
- a fronte di circa 7 miliardi di finanziamento pubblico alle università. • Possibile
abolirle? «Tecnicamente sì, se si trovano le risorse. Ma se si vuole un vero
welfare universitario andrebbero messe in diritto allo studio, edilizia
residenziale e finanziamento alle università per assumere docenti, per ricerca
e didattica. Per le università comunque la misura non cambierebbe nulla in
termini di introiti (arriverebbero dallo Stato e non più dagli studenti). E
questo non porterebbe a un sistema più equo». • Perché, chi favorirebbe questa
misura? «I ceti medio-alti, che sono quelli che in maggioranza fanno
l'università». • L'università
gratuita aumenterebbe il numero degli iscritti? «Non è dimostrato, perché la
propensione a fare l'università dipende ancora oggi in Italia dal contesto
socio-culturale ed economico della famiglia di provenienza e dalla capacità di
mantenersi agli studi (costo della vita, libri...)». • Come funziona negli altri Paesi? «In termini relativi (la
proporzione tra quanto ci mettono gli studenti e quanto lo Stato), secondo i
dati Ocse, il paese in Europa in cui gli studenti pagano di più è l'Inghilterra,
il secondo è l'Olanda. Segue l'Italia. In Germania non si paga ma il governo
federale e i Länder investono molte risorse nell'università, e c'è un sistema
parallelo di alta formazione professionale; così nel Nord Europa. In Francia le
tasse sono basse, ma ci sono diversi canali di istruzione: Grandes écoles,
università e istituzioni non accademiche». (Fonte: I. Venturi, La Repubblica,
08-01-18)
SELEZIONATI i 180 DIPARTIMENTI
ECCELLENTI
Sono
stati selezionati i 180 dipartimenti universitari cui andranno i 271 milioni di
euro, previsti annualmente per il quinquennio 2018-2022, dalla legge di
bilancio 2017. Per valorizzare l'eccellenza della ricerca con investimenti in
capitale umano, infrastrutture e attività didattiche di alta qualificazione
anche in chiave di Industria 4.0. In tutto si tratta di un finanziamento pari a
oltre 1 miliardo e 300 milioni. La ministra: «Fino al 70% dei fondi potrà
essere utilizzato per assumere docenti, valorizzandone talenti e idee».
Dei
180 progetti finanziati per la lista, 106 sono di università del Nord, 49 del
Centro, 25 del Sud. Prime UniBo (14 dipartimenti finanziati) e UniPd (13),
UniTo (10), UniFi (9), Milano-Bicocca (8), Sapienza (8). Elenco completo > https://tinyurl.com/y9j3pdr7
. Cassifiche d'area: eccellenza assoluta in Fisica il dpt di Chieti-Pescara
(dove non c'è il CdL in Fisica).
LA PARZIALE COMPENSAZIONE DEL
BLOCCO STIPENDIALE DEI DOCENTI UNIVERSITARI
La
legge di bilancio alla fine ha stanziato denari per cercare di tacitare le
proteste del mondo accademico, che non ha digerito bene l’inopinato blocco
(senza nessuna possibilità di recupero giuridico) degli scatti stipendiali
triennali protrattosi dal 2011 al 2015. All’art. 1 della Legge di bilancio 27
dicembre 2017, n. 205, 629° comma, secondo periodo, si legge: A titolo di
parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali disposto per il
quinquennio 2011-2015 dall'articolo 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,
ai professori e ricercatori universitari di ruolo in servizio alla data di
entrata in vigore della presente legge (che sarà il 1° gennaio 2018) ...
è attribuito una tantum un importo ad personam ... In definitiva, 5 anni di blocco, pari a 1.825
giorni, saranno liquidati in media con 1.550 euro netti: 85 centesimi al
giorno, meno del costo di una tazzina di caffè! Di certo, con questi denari, i
tanti docenti fuori sede non recuperano nemmeno l'aumento dei pedaggi autostradali.
Inoltre si tratta di un provvedimento ingiustificatamente discriminatorio nei
confronti di docenti e ricercatori che, pur avendo subito gli effetti del
blocco, alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 205 (1° gennaio
2018), non erano più in servizio. (Fonte: Il Foglietto 11-01-18)
CLASSIFICHE DELLE UNIVERSITÀ
ITALIANE ELABORATE DAL CENSIS
Tra
i mega atenei statali, ovvero quelli con oltre 40mila iscritti, la prima
posizione del Censis va ancora all'università di Bologna, con un punteggio
complessivo di 92,0. Seguono Firenze (88,2), Padova e Sapienza di Roma, che
sono migliorate anche nella comunicazione, nei servizi digitali e nel livello
di internazionalizzazione. L'università di Perugia (94,8 punti totali) continua
invece a guidare la classifica dei grandi atenei statali (da 20mila a 40mila
iscritti), grazie all'alto grado di internazionalizzazione. Con 91,6 punti
mantiene il secondo posto l'università di Pavia, cui si accodano Parma (89,6),
la new entry Modena e Reggio Emilia e l'università della Calabria. E se tra i
medi atenei (da 10mila a 20mila iscritti), è l'università di Siena a farla da
padrona, dopo aver sorpassato in vetta Trento (rispettivamente 99,4 e 99,2
punti). Tra i piccoli atenei (fino a 10.000 iscritti) primeggia nuovamente
l'università di Camerino (97,2) davanti a Teramo (89,6). Stabile la classifica
dei Politecnici, guidata da Milano (92,8 punti), seguito dallo luav di Venezia
(88,2), poi Torino e Bari. Non riserva sorprese nemmeno la classifica degli
atenei non statali. Tra i "grandi" (10-20mila iscritti) è in cima
l’università Bocconi (95,8 punti), seguita dalla Cattolica (89,4). Tra i medi
(5-10mila) al primo posto c'è la Luiss (91,4). Tra i piccoli (fino a 10mila
iscritti), compare la Libera università di Bolzano (108,8), e la
Liuc-Università Cattaneo (93,4).
Nelle
classifiche relative ai singoli ambiti si rileva che, rimanendo tra i mega
atenei statali, Bologna primeggia per l'internazionalizzazione e le strutture,
Pisa nel campo dei servizi, Palermo nell'ambito della comunicazione e dei
servizi digitali, Roma Sapienza per quanto riguarda la spesa in borse di
studio. (Fonte: la Repubblica.it 12-01-18)
CONTROLLI DELLA
GUARDIA DI FINANAZA SUI DOCENTI PER CONSULENZE E INCARICHI PROFESSIONALI
ESTERNI
Controlli
in tutta Italia, ordinati dalle procure regionali della Corte dei Conti.
Milioni di pagine acquisite dalla Guardia di finanza nelle segreterie delle
università e nelle stanze dei professori: registri didattici, verbali dei
consigli di facoltà, autorizzazioni a svolgere attività esterne. L'obiettivo
della campagna nazionale di controlli, cominciata nel 2017, è accertare se i
professori con incarico a tempo pieno abbiano rispettato le regole su
consulenze e incarichi professionali esterni. Sotto torchio sono finiti soprattutto
i docenti che dividono le proprie giornate fra cattedra e partita Iva. Secondo
una ricognizione del sindacato dei professori USPUR, i docenti sotto indagine
sarebbero una ventina all'università di Padova, almeno trenta a Napoli, una
decina a Bari. Quaranta solo al Politecnico di Milano, dieci in meno al Poli di
Torino. Diversi casi si hanno a Trento. A coordinare il programma di controlli
in Guardia di finanza è il Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi
comunitarie. Le verifiche in corso riguardano la presunta violazione dei commi
10 e 12 dell'articolo 6 della legge 240 del 2010, la riforma Gelmini
dell'Università.
«Siamo
alla caccia alle streghe - lamenta Maurizio Masi, direttore del dipartimento di
Chimica al Politecnico di Milano e segretario nazionale dell’USPUR (Unione
Sindacale Professori e Ricercatori Universitari). È tale la preoccupazione dei
colleghi, che a dicembre abbiamo dovuto convocare una riunione in università.
Molti, per il solo fatto dì avere ricevuto la verifica della Finanza, sono
mortificati nel venire al lavoro. Ed è paradossale, visto che la capacità di
operare nel contesto produttivo è riconosciuta in tutto il mondo come plus
nella valutazione dei docenti e degli atenei». L'Autorità nazionale
anticorruzione, lo scorso 22 novembre, nella delibera numero 1208, ha parlato
di «incertezza interpretativa» e di «un alto livello di difformità
applicativa», invocando un
intervento
del MIUR, nella convinzione che «lo svolgimento di consulenze, esercizio
professionale, attività redazionali possa conciliarsi legittimamente e anche
virtuosamente con l'autonomia di ricerca». (Fonte: F. Vanni, La Repubblica
15-01-18)
LE CIFRE DELL’UNIVERSITÀ NELLA
PRESENTAZIONE DEL MINISTRO
Al
31 dicembre 2008 negli atenei italiani (statali e no) risultavano in servizio
63.243 docenti mentre il primo novembre scorso se ne contavano 53.455. Se i
professori associati sono tornati a crescere (1.547), sono crollati di un terzo
gli ordinari (meno 6.210) e del 18 per cento i ricercatori (meno 4.664). Il
Fondo di finanziamento ordinario delle università nel 2009 aveva raggiunto il
picco di 7.831 miliardi di euro per scendere sei stagioni dopo a 6.909. Da
allora, ricorda la ministra, "abbiamo ripreso quasi mezzo miliardo".
Nel 2018 il recupero sarà del 6,4 per cento. Sul fronte delle iscrizioni, nel
2015-2016 le matricole erano 1.641.696, l’anno successivo sono cresciute a
1.682.904. È aumentato anche il numero di laureati: da 302.073 a 305.265. Per
le borse di studio, nel 2014-2015 la copertura degli studenti idonei era del
73,89 per cento "e dal 2015-2016 si è stabilizzata al 90%". Anche i
finanziamenti provenienti dall’esterno hanno sofferto, passando da 1.391
milioni di euro del 2011 a 1.266 milioni del 2015. Rispetto agli altri Paesi
d’Europa, in Italia "i ricercatori che operano nel settore pubblico e in
quello privato sono pochi", dice Fedeli. Quelli a tempo pieno nel pubblico
sono solo 120.700: un sesto dei giapponesi (662.000), un terzo dei tedeschi
(358.000) e dei coreani (356.000), meno della metà dei francesi (268.000) e
degli inglesi (290.000), un po’ meno degli spagnoli (122.000). Nel nostro Paese
ci sono 4,9 ricercatori ogni 1000 occupati, in Finlandia e Danimarca 15.
L’Italia ha fissato il proprio target d'investimento nella ricerca all’1,53 per
cento del Pil per il 2020: nel 2015 eravamo all’1,27% per salire nel 2016
all’1,33 (sotto la media Ue). Riprendendo Gentiloni, la ministra ha ricordato
che i ricercatori italiani, "pur essendo il 6,8 per cento del totale
Ue", riescono a trainare l’8,1 per cento del finanziamento su
"Horizon 2020". Hanno una produttività doppia, per dire, dei
francesi. È stato ridotto
"considerevolmente" il numero dei corsi di laurea, "grazie a un
sistema di accreditamento rigoroso, anche se bisognoso di aggiustamenti".
Aveva raggiunto il record di 5.879 corsi nel 2007-2008: da allora c’è stato un
drenaggio del 28,7 per cento per i corsi di primo livello, del 17,4 per cento
per il secondo. (Fonte: R.it 10-11-17)
LA CORTE DEI CONTI FA IL
BILANCIO A SETTE ANNI DALLA RIFORMA GELMINI. LUCI E OMBRE
La
Riforma Gelmini doveva razionalizzare e rendere più efficiente il sistema
universitario. Ma se ciò (in parte) è avvenuto, è stato soprattutto per i tagli
dei finanziamenti, più che per una reale riorganizzazione. È quanto sostiene il
rapporto della Corte dei Conti, dal titolo «Referto sul sistema universitario»,
che a sette anni dalla contestata legge 240 tira un bilancio con luci e ombre.
La legge ha reso più precaria la vita dei professori, la sua attuazione è
incompleta e in ritardo. Il rapporto mette in luce anche conseguenze
decisamente positive, come gli sforzi delle università di razionalizzare le
partecipazioni in perdita, con le dismissioni; nel corso del 2015 gli atenei
hanno raggiunto «una soddisfacente solidità economica». Non solo: la riforma ha
anche messo un po' di ordine nel proliferare di sedi e corsi non sempre
giustificati: «I Comuni che avevano sedi decentrate dei corsi si sono ridotti a
110, erano 162 nove anni fa». Tutti gli atenei «hanno introdotto il bilancio
unico, non sempre accompagnato da una modifica del modello organizzativo
diretto a garantire una più efficiente prestazione dei servizi». La riforma
voleva incentivare il ricircolo delle menti e l'apertura all'esterno degli
atenei «ma tante sono ancora le chiamate relative al personale in servizio
nella stessa università che bandisce il posto». Migliora, di poco,
l'internazionalizzazione dei corsi. Per quanto riguarda le assunzioni, la Corte
dice che la riforma «ha complicato il percorso di carriera, allungando il
periodo di servizio non di ruolo, contribuendo ad alzare l'età media di accesso
al ruolo dei professori». E il merito? Uno dei problemi è che i criteri
premiali «usano una pluralità di indicatori modificati di anno in anno e
misurati su performance del passato»: così è quasi impossibile per un ateneo
programmare politiche efficaci per migliorare il proprio posizionamento.
(Fonte: La Stampa, 23-11-17)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
PROPOSTA DI
TOGLIERE LA SCADENZA ALLE ABILITAZIONI PER I DOCENTI NEI RUOLI DI RICERCATORE E
DI ASSOCIATO
Sia tolta la scadenza alle abilitazioni scientifiche nazionali per i
docenti nei ruoli di ricercatore e di associato. E un motivo c'è, analogico
alla normativa che riguardava la libera docenza, che scadeva solo se non
esercitata con l'affido di un insegnamento presso un ateneo. Ora poiché chi è
nei ruoli della docenza per definizione sta esercitando l’abilitazione ricevuta
sul piano didattico, in costanza di una "non improduttività"
scientifica ai fini stipendiali (almeno due "prodotti" scientifici
nel triennio), non si capisce proprio perché non gli si debba confermare
l’abilitazione sine die, fino al venire meno di una delle due condizioni. Per
gli abilitati non strutturali si potrebbe confermare d'ufficio l'abilitazione,
senza valutazione di merito, se hanno mantenuto i criteri per fare domanda. Si
sgraverebbe così l'ultima sessione dell'Asn dalla profluvie di richieste di
conferma, lasciando lavorare le commissioni con agio sui non abilitati che
abbiano fatto domanda. Insomma non ci vuol molto a essere ragionevoli
nell'interesse del sistema universitario e del miglior funzionamento del
reclutamento. (F.te: Il Mattino 05-12-17)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
SCUOLA NORMALE
SUPERIORE DI PISA. ROUND UNIVERSITY RANKING. SUCCESSI IN NATURAL SCIENCES E
HUMANITIES
É stata pubblicata la classifica Round
University Ranking (RUR), una graduatoria internazionale che misura le
performance di 761 atenei in tutto il mondo, valutando didattica, ricerca,
apertura internazionale e sostenibilità finanziaria attraverso 20 indicatori
diversi per 6 aree scientifiche: Humanities, Life Science, Medical Sciences,
Natural Sciences, Social Sciences, Technical Sciences. La Scuola Normale, nelle
aree di propria competenza, ovvero Natural
Sciences e Humanities, corrispondenti alle classi accademiche di Scienze
(Matematica, Fisica, Chimica, Biologia) e Lettere (Letteratura, Storia,
Filosofia, Archeologia, Filologia, Storia dell’Arte) ottiene sempre il miglior
punteggio in Italia. Nelle Natural
Sciences è prima in Italia e 43esima nel mondo (Università della
Pennsylvania, Princeton, Stanford occupano le prime tre posizioni mondiali);
nelle Humanities è prima in Italia e
205esima nel mondo (Stanford, Princeton, e MIT svettano in cima alla graduatoria
internazionale). (Fonte: http://roundranking.com/ranking/world-university-rankings.html#world
05-12-17)
I RANKING DELLE
ISTITUZIONI FORMATIVE SONO PIÙ UNA MISURA DEL CONTESTO SOCIALE CHE DELLA
QUALITÀ DELLE ISTITUZIONI STESSE
A seconda dei casi, le classificazioni si basano sugli esiti della
formazione in termini di successo educativo o di qualità dell’inserimento
occupazionale. Due esempi sono la valutazione degli istituti di istruzione
superiore sulla base dei risultati ottenuti all’università dai diplomati o la
valutazione delle università sulla base di indicatori di inserimento
occupazionale dei laureati (tasso di occupazione e altro). Sul piano
metodologico si tratta, in linea generale, di un’operazione non corretta: per
potere dire che l’istituzione A è di qualità migliore dell’istituzione B
occorrerebbe potere depurare gli esiti in uscita dagli effetti legati al
background socioeconomico degli alunni e al contesto ambientale, fattori che
condizionano tanto il potenziale di apprendimento quanto le prospettive
occupazionali. In poche parole, occorrerebbe adottare misure di valore
aggiunto, un’operazione non semplice ma necessaria. Per quanto riguarda le
università, vi sono forti indizi che i loro risultati siano condizionati anche
dagli apprendimenti pregressi degli studenti e dalle condizioni locali del
mercato del lavoro. In particolare, le differenze tra territori negli esiti
della scolarizzazione primaria e secondaria, che inevitabilmente incidono sui
rendimenti universitari (abbandoni, ritardo alla laurea e così via), appaiono
avere origini lontane. L’esodo di studenti registrato in questi anni dal Mezzogiorno
verso il Nord Italia e i Paesi esteri, che riguarda soprattutto, ma non solo i
giovani più avvantaggiati, col passare del tempo non potrà che peggiorare le
posizioni degli atenei del Sud nei ranking, soprattutto se questi ultimi
vengono utilizzati a fini dell’attribuzione delle risorse. La polarizzazione
delle opportunità educative, esito inevitabile di un uso improprio dei ranking,
è uno dei potenti fattori generatori di ineguaglianza tra gruppi sociali e tra
territori nel lungo periodo. (Fonte: F. Ferrante; lavoce.info 28-12-17)
LE UNIVERSTÀ PIÙ ECONOMICHE IN
EUROPA
Times
Higher Education (THE), la piattaforma britannica dedicata ai ranking
universitari, ha redatto una graduatoria delle università più economiche
d’Europa. Secondo THE, Scuola Normale Superiore e Sant'Anna di Pisa sono gli
unici atenei interamente gratuiti in Europa. Alla Normale e al Sant’Anna gli
allievi non pagano nessuna retta e non devono spendere per vitto e alloggio.
Sono gli unici atenei che premiano interamente il merito dei propri studenti. E
questo vale sia per gli studenti UE che per quelli non comunitari. Le altre 8
università più economiche in Europa sono Technische Universität Dresden (TUD),
Free University of Berlin, University of Göttingen, University of Würzburg,
RWTH Aachen University, Heidelberg University, University of Mannheim,
University of Freiburg. (Fonte: www.gonews.it 12-01-18)
CULTURA DEL DIGITALE
LE PROFESSIONI DEL FUTURO. SEI
PROFESSIONI DIGITALI EMERGENTI
Il
digital innovation officer, in tecnichese e-leader, Responsabile
dell'innovazione digitale. E' questa una delle "professioni del
futuro" basate sulle competenze digitali di cui le imprese hanno gran
bisogno, ma che faticano a trovare. Insieme all’e-leader si cercano technology
innovation managers (TIM), change managers (manager del cambiamento), agile
coachs (facilitatore dell'innovazione), chief digital officers (capo dei
servizi digitali) e IT process and tool architect (architetto di sistemi e
processi IT). «Sono professioni che racchiudono un insieme di competenze - spiega Giuseppe Mastronardi, professore
ordinario di Sistemi di Elaborazione delle Informazioni presso il politecnico
di Bari e presidente dell'Associazione italiana per l'Informatica e il calcolo
automatico (Aica) - indispensabili per gestire i cambiamenti imposti dall'uso
di big data, mobile, social media e problema sicurezza. Altra figura chiave è
quella del DPO, Data protection officer, responsabile della protezione dati e
privacy: un regolamento Ue impone ai Paesi aderenti di essere in regola con le
normative sulla privacy entro il 25 maggio 2018. I dati dovranno essere messi
in sicurezza, dagli ambienti industriali a quelli giuridici agli uffici
legali». E l'Italia? Siamo in ritardo. «Il Paese non è l'ultimo ma è ancora
carente di una consapevolezza imprenditoriale», precisa Mastronardi. (Fonte: S.
Ficocelli, A&F Repubblica 08-01-2018)
MASTER ONLINE
Al
via i primi master online lanciati dagli atenei italiani sul portale
Eduopen.org. Una piattaforma di corsi universitari e post-universitari digitali,
ideata da 17 atenei del Paese con capofila l'università Milano-Bicocca in
collaborazione con i consorzi Cineca e Garr e supportati dal Miur, che punta ad
aprire l'offerta formativa via web a tutti. Per conoscere il catalogo di
EduOpen (120 corsi attivi e 21 nuovi lanciati in occasione del primo anno di
attività) e per saperne di più, consultare il sito web: www.eduopen.org
. (01-05-17)
COMPETENZE
DIGITALI DI STUDENTI E LAUREATI
Sono complessivamente 2140 gli insegnamenti delle università italiane
con temi digitali e imprenditoriali: i corsi “digitali” sono particolarmente
diffusi nelle facoltà informatiche e scarsi in quelle scientifiche, i corsi
“imprenditoriali” sono ben presenti nelle facoltà economiche ma rari in quelle
scientifiche e informatiche.
Quando si tratta di inserire un neolaureato in azienda, per un’impresa
su due le competenze digitali sono molto importanti (53,4%), addirittura
fondamentali per il 19%. E secondo gli HR manager (manager delle Risorse Umane),
le principali aree di innovazione su cui investire nel prossimo futuro sono Big
Data Analytics, Digital Marketing, Industria 4.0 (34,7%), Social Media (25,1%)
e Cloud Computing (24,7%). Ma trovare personale preparato è difficile per uno
su due (51%), molto difficile per uno su quattro (24,7%).
«Il gap di competenze digitali degli studenti universitari si sta
riducendo: negli ultimi due anni è raddoppiata - dal 6% al 12% - la percentuale
di coloro che hanno sviluppato progetti digitali concreti e possiedono un’alta
conoscenza teorica, è calata sensibilmente la quota di quelli senza competenze
teoriche e concrete, passata dal 67% al 54%. Ma non basta: una fetta ancora
troppo grande degli universitari è ancora inconsapevole di quanto il digitale
stia trasformando la cultura aziendale, i processi e i modelli di business, con
una scarsa conoscenza teorica e un’ancora più lacunosa competenza pratica. Gli
atenei stanno aggiornando la loro offerta formativa, ma anche le imprese, che
scontano difficoltà nel reclutamento di profili adeguati, devono fare la loro
parte, aumentando gli investimenti in piani di formazione che mettano al centro
competenze digitali e imprenditoriali». Così Andrea Rangone, CEO di Digital360,
sintetizza i risultati della ricerca “Il futuro è oggi: sei pronto?” condotta
da University2Business, società appunto del Gruppo Digital360, in
collaborazione con Enel Foundation. (Fonte: www.digital4.biz 15-12.17)
DOCENTI
PRONTA LA SEZIONE UNIVERSITÀ DEL
PIANO NAZIONALE ANTICORRUZIONE DELL'ANAC
È
pronta la versione definitiva del Piano nazionale anticorruzione dell'ANAC, che
dedica all'università una sezione ad hoc, messa a punto dall'Authority di
Raffaele Cantone in collaborazione con il MIUR. Per indicare agli atenei
"come procedere nella individuazione dei rischi di corruzione, di mala
amministrazione o di conflitto di interessi e di suggerire alcune possibili
misure, organizzative e procedimentali, di prevenzione, la cui effettiva e
definitiva configurazione è naturalmente
rimessa alle stesse università e agli altri soggetti cui il documento è
rivolto". Il pacchetto di misure si estende anche alle università non
statali "laddove, nello svolgimento delle attività di pubblico interesse,
esse siano tenute al rispetto delle stesse regole applicabili alle università
statali (ad esempio, per il reclutamento dei professori e ricercatori)".
Passaggio cruciale è innanzitutto l'individuazione del Responsabile della
prevenzione della corruzione e della trasparenza, che dovrà verificare la
presenza di conflitti di interesse, incompatibilità, inconferibilità di
incarichi con la possibilità di accedere alle fonti informative interne e alle
banche dati disponibili. (Fonte: ANSA 19-12-17)
ANAC E IL RISCHIO
DI CORRUZIONE NEI CONCORSI LOCALI
Il sistema universitario italiano è andato incontro a una progressiva
centralizzazione in capo al MIUR e soprattutto all’ANVUR. Malgrado questo ANAC
(con l’aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione, che dedica un intero
capitolo alle università) si dimostra più preoccupata dei rischi di corruzione
nella periferia che nel centro del sistema, cui infatti dedica solo 6 pagine su
30. Una parte corposa del documento ANAC riguarda le procedure di reclutamento
dei professori. Si tratta del tema più scottante, quello cui l’opinione
pubblica appare più sensibile. ANAC suggerisce interventi sul tema dei concorsi
che appaiono inadeguati in relazione ai rischi corruttivi riferiti alle
procedure svolte al centro del sistema (l’abilitazione scientifica nazionale) e
di dubbia efficacia in relazione ai concorsi locali. D’altra parte il documento
di ANAC si iscrive in pieno nella linea di intervento su università e ricerca
volta a limitare al massimo il peso del giudizio scientifico degli esperti nei
processi di valutazione, sostituendolo con una macchina burocratica pervasiva. È
triste, conclude l’articolo di S. Baccini su Roars (20-12-17), ma non saranno
le indicazioni di ANAC a salvare l’università italiana dalla corruzione.
(Fonte: A. Baccini, Roars 20-12-17)
I RIMEDI INACCETTABILI PER IL
BLOCCO DEGLI SCATTI AI DOCENTI UNIVERSITARI
Nella
legge di stabilità il governo risponde alla protesta dei docenti universitari
per il blocco degli scatti stipendiali con una norma che trasforma di nuovo in
biennali, ma a quota invariata, gli scatti triennali della legge Gelmini, con
la conseguenza che verrebbe recuperata in 10 anni la decurtazione stipendiale
corrispondente alla perdita dei 5 anni di anzianità cancellati dal blocco
“giuridico” degli scatti del D.L. n. 78/2010. Parallelamente viene concesso un
contributo “una tantum” di circa 2500
euro lordi, da erogarsi nel biennio 2018-2019, ma esso rappresenta solo il 40% di quanto il docente avrebbe ricevuto in
media, in un biennio, in assenza del blocco suddetto. Il rimedio proposto non
pare accettabile perché modifica ancora una volta la progressione economica nel
nostro stato giuridico senza risolvere il problema. Di fatto esso si limita a
rinviare la restituzione del “maltolto” a tempi biblici, e non per tutti.
(Fonte: P. Gianni, Roars 04-01-18)
INADEGUATE LE
MISURE PER L’UNIVERSITÀ NELLA LEGGE DI BILANCIO 2018
Pochi giorni orsono il Parlamento ha approvato in via definitiva la
legge di bilancio. Ma per il settore università la manovra è inadeguata. A
parte il piano straordinario dei nuovi ricercatori (peraltro insufficiente),
sulla questione del blocco-stipendi le misure adottate non sono soddisfacenti.
La novità è l'introduzione per i docenti di scatti biennali, anziché triennali,
su base non premiale e una modestissima compensazione per i 5 anni di blocco (1500
euro netti in media a fronte di una perdita di circa 20.000). Per non parlare
dell'inquadramento giuridico e dell'anzianità di carriera andati, come si suol
dire, "in cavalleria". (Fonte: G. Cerrina Feroni, Il Messaggero
28-12-17)
LA MANCATA CIRCOLAZIONE DEI PROFESSORI
La circolazione dei professori da
un ateneo all'altro - un tempo i «dotti»
erano, per eccellenza, «vagantes» - è ormai diventata una chimera. I
progressivi tagli al Ffo rendono ormai proibitivi questi passaggi e gli
incentivi (una tantum) per facilitarli sono insufficienti. Le disastrose
conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Se un professore ordinario va in
pensione, sarà sostituito (a costo zero) dal collega associato o dal ricercatore
in servizio nello stesso dipartimento. Il bisogno di rimpolpare bilanci
magrissimi, spingerà le università a investire la quota del pensionamento in
progressioni interne di carriera. E lo stesso imperativo economico, purtroppo,
incoraggerà sempre più gli atenei a tenere le porte chiuse ai nuovi abilitati
esterni. Prendiamo, per esempio, un concorso per professore ordinario: con la
cifra riservata a un abilitato esterno (i punto organico) si possono garantire
ben cinque passaggi interni da ricercatore a professore associato (0,20
ciascuno). Questa logica aberrante distruggerà ogni possibilità di premiare gli
studiosi meritevoli esterni (strutturati o non strutturati, poco importa!). Il
sapere, come i fiumi, ha bisogno di scorrere continuamente per mantenere vive e
limpide le sue acque. Trasformare gli atenei in acquitrini, sbarrando la strada
ai più bravi, significa condannarli a una lenta agonia. (Fonte: N. Ordine,
CorSera 30-12-17)
DOTTORATO
DOTTORI DI RICERCA. INDAGINE
ALMALAUREA SULLA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE
Il
dottorato di ricerca è il percorso accademico post laurea che sceglie chi vuole
approfondire gli studi sia per passione sia per un ulteriore investimento in
istruzione. L'Indagine sulla condizione occupazionale dei dottori di ricerca
svolta da AlmaLaurea, mostra infatti un vantaggio occupazionale legato al
conseguimento del titolo, con tassi di occupazione decisamente elevati,
superiori al 90%, quando invece i laureati magistrali biennali necessitano di
un tempo più lungo (almeno cinque anni) per raggiungere gli stessi livelli.
L'età media al dottorato di ricerca è pari a 32,9 anni, tuttavia circa la metà
dei dottori ottiene il titolo al massimo a 30 anni di età. In generale i
dottori più giovani sono anche quelli che hanno avuto performance migliori nel
percorso di studi precedenti: il 77% del dottori con meno di 29 anni La motivazione più rilevante per l'iscrizione
al dottorato di ricerca è legata al miglioramento della propria formazione
culturale e scientifica, dal punto di vista personale (l'81% dei dottori la
indica come decisamente importante), seguono lo svolgimento di attività di
ricerca e studio in ambito accademico (47%), il miglioramento delle prospettive
lavorative (39%), lo svolgimento di attività di ricerca e studio in ambito non
accademico (31%). A un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca,
il 57% dichiara di aver continuato la propria formazione, in particolare
svolgendo un'attività sostenuta da borsa di studio o assegno di ricerca o
attraverso una collaborazione volontaria con esperti docenti e liberi
professionisti. (Fonte: G. Belloni,
ItaliaOggi 21-11-17)
DOTTORATO,
POST-DOC E DOCENTI. LA SITUAZIONE NELL’INDAGINE ADI
Dalla settima Indagine sul dottorato universitario e il post-doc,
allestita dal 2010 dall'Associazione dei dottori di ricerca italiani (Adi) si
apprende quanto segue. Il 49 per cento dei dottorati
è bandito dai dipartimenti settentrionali, il 29 per cento al Centro, il 21 per
cento al Sud. Nell'ultimo anno i "gratuiti" sono passati dal 23,8 per
cento al 17,7. Il livello più basso dal 2010. Ovviamente, anche l'aliquota dei
posti con borsa (1.200-1.400 euro) è il più alto (82,3 per cento) degli ultimi
sette anni.
Sul fronte dei cosiddetti post-doc, che sono i laureati già nella fase
successiva al dottorato, gli assegnisti
di ricerca nell'università restano stabili: sono poco più di 13 mila e il loro
assegno può essere replicato per sei anni. Il 58% sono al Nord, il 26 al
Centro, il 20 al Sud. Solo il 9,2% degli assegnisti di ricerca potrà avere la
possibilità di ottenere un contratto a tempo indeterminato.
Nel 2017 il saldo complessivo del personale docente (ordinari, associati, ricercatori) è
negativo: meno 922. Il piano straordinario per ricercatori di tipo B non è
stato in grado di tamponare i pensionamenti. L'area più colpita dal calo di
personale è quella medica, ingegneria industriale è l'unica in grado di
mantenere un rapporto paritario tra pensionamenti e ingressi.
Alla presentazione dell'Indagine, alla Camera dei deputati, il capo
dipartimento Università del ministero, Marco Mancini, ha rivelato che è in
corso di revisione il decreto ministeriale 2013 che si occupa di dottorati.
L'Adi ha ribadito due richieste: un finanziamento speciale ai dottorandi
migrati e senza borsa e la detassazione di tutte le borse previste, in Italia e
all'estero. (Fonte: C. Zunino, La Repubblica Scuola 06-12-17)
“DOTTORATI INNOVATIVI CON
CARATTERIZZAZIONE INDUSTRIALE”. ASSEGNAZIONE DELLE BORSE
Il
Direttore Generale per il coordinamento, la promozione e la valorizzazione
della ricerca, con decreto 3749 del 29 dicembre 2017 ha disposto l’assegnazione
delle borse di dottorato previste dall’avviso adottato con Decreto Direttoriale
1377 del 5 giugno 2017 nell’ambito del Programma operativo nazionale “Ricerca e
Innovazione” (PON RI) 2014-2020. Come è noto il PON RI 2014-2020 nell’ambito
dell’Asse I “Investimenti in capitale umano” prevede una specifica azione
relativa ai “Dottorati Innovativi con caratterizzazione industriale” (Azione
I.1) caratterizzata da due elementi: forte interesse industriale,
coinvolgimento diretto delle aziende.
L’assegnazione
disposta dal DD 3749/2017 si riferisce a borse di studio aggiuntive rispetto a
quelle già finanziate dalle Università con altre modalità per l'A.A. 2017/2018
- Ciclo XXXIII.
(Fonte:
Flc Cgil 08-01-18)
LAUREE - DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE
COMPETENZE TRASVERSALI PER IL
LAUREATO
Dobbiamo
domandarci se l'attenzione agli sbocchi professionali deve essere centrata solo
sull'occupazione immediata, o piuttosto su quella "lungo l'intero arco
della vita", tenuto conto del fatto che tutte le indagini, internazionali
ma anche nazionali, prevedono che ogni persona potrà cambiare più volte lavoro
in relazione alle veloci trasformazioni del quadro economico. Anche per una
buona occupazione immediata, comunque, occorre che il laureato disponga di
"competenze trasversali" oltre che di quelle disciplinari: queste
ultime differenziano i diversi corsi di laurea, e sono chiari perciò gli
effetti negativi di un eccesso di iscrizioni in corsi che non danno le
competenze specifiche più richieste. Ma tali competenze specifiche non bastano
(sono necessarie ma non sufficienti!). Mentre, tradizionalmente, i diversi
settori scientifici operano indipendentemente tra loro, la didattica oltre che
la ricerca deve oggi divenire interdisciplinare e anche transdisciplinare.
(Fonte: G. Luzzatto, Il Secolo XIX 07-11-2017)
PROFESSIONI PER IL
DOMANI
Per i lavori del futuro quali sono le richieste, all’alba del 2018,
secondo il managing director Antal Italia, società di ricerca e selezione del
personale? Le professioni dell’Information Technology sono le più ricercate, e
si tratta di professioni per persone laureate in Ingegneria Elettronica,
Informatica, Ingegneria Gestionale, Economia e Commercio. Ci sono anche nicchie
con lauree in Matematica, o Fisica, che continuano a vedersi garantito il
lavoro, ancor prima di terminare gli studi. Le aree geografiche che tirano di
più sono il Nord Italia, meno il Centro, poco il Sud. I profili richiesti dalle
aziende sono di persone specializzate. È intramontabile la vecchia esperienza
all’estero, e la conoscenza dell’inglese. (Fonte: V. Trabacca, www.tag24.it
06-12-17)
LAUREATI E DIPLOMATI
L’Ocse
nell’aprile 2016 ha evidenziato come, in Italia, a fronte di un 21 per cento di
occupati sotto-qualificati e di un 6 per cento privo delle competenze adeguate
all’occupazione svolta, vi sia un 18 per cento di occupati sovra-qualificati e
un 12 per cento di personale con "competenze superiori al necessario”.
Ecco: un italiano che lavora su tre svolge una mansione che non ha alcuna
relazione con il percorso di studi (in Germania è 1 su 5, in Svizzera 1 su 8).
Si rafforza la spendibilità lavorativa della laurea nei cicli economici più difficili.
"Tra il 2007 ed il 2014 la distanza tra il tasso di disoccupazione dei
laureati e quello dei diplomati è passato da 3,6 punti a 12,3 a favore dei
primi". L’Italia, però, ha un passaggio dal livello di istruzione
secondario all’Università del 50 per cento: sono stati 232.321 su 462.472 i
diplomati 2016 che si sono iscritti a un ateneo a fronte del 72,4 per cento
della Spagna, il 70 per cento della Francia. E tra gli iscritti l’abbandono è
alto: nell’ultimo anno accademico hanno lasciato 32.194 matricole, l’11 per
cento del totale. Per i diplomati agli istituti professionali l’abbandono è del
25,1 per cento. (Fonte: V. Fedeli, R.it 10-11-17)
CENSIS. DALLA CONSIDERAZIONE
GENERALE DEL 51° RAPPORTO SULLA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE/2017 DATI SULL’OCCUPAZIONE
DEI LAUREATI
Il
tasso di disoccupazione 2016 dei laureati 25-34enni è pari al 15,3%, ma a un
anno dalla laurea risulta occupato il 68,2% dei laureati triennali, il 70,8%
dei laureati magistrali biennali e l'80% dopo 5 anni, anche se l'effetto scoraggiamento
ne travolge il 5,6% che, pur in possesso di un titolo terziario, non studiano
né lavorano. A fare la differenza in busta paga, invece, è l'assunzione
all'estero alla quale si dice pronto quasi il 50% dei laureati italiani. La
retribuzione mensile netta di un laureato a un anno dalla laurea, infatti,
stima il Censis, rielaborando dati Istat, Almalaurea e Unioncamere, si aggira
sui 1.124 euro mentre oltre confine l'assegno sale a 1.656 euro. Profonda
invece la differenza tra la busta paga di un laureato magistrale che lavori in
Italia o all'estero: i 1.344 euro corrisposti per una assunzione nei confini
nazionali si devono confrontare con i 2.200 euro corrisposti all'estero. Se si
parla di ingegneri, poi, la differenza si fa pesante: 1.614 euro contro i 2.619
all'estero. (Fonte: Il Secolo d’Italia 02-12-17)
LAUREE
PROFESSIONALIZZANTI DALLE UNIVERSITÀ E DIPLOMI DAGLI ITS
Anche l’Italia avrà le lauree professionalizzanti, quei percorsi
universitari triennali con almeno un terzo di ore dedicate a tirocini ed
esperienze lavorative e di laboratorio, che dovrebbero avvicinare gli studenti
(e anche gli Atenei) al mondo del lavoro. Si parte il primo ottobre 2018, i
primi corsi saranno una dozzina con cinquanta studenti ciascuno. Un inizio
lento e in salita, perché si tratta di una sperimentazione, ma almeno, per
dirla con il rettore di Udine Alberto De Toni, «partiamo, altrimenti non
arriveremo mai». Certo, almeno a queste condizioni e per ora, non servirà ad
aumentare la percentuale di laureati, come ci chiedono Ocse e Unione europea,
una percentuale che è ferma al 25 per cento dei giovani. Il decreto che
istituiva le lauree professionalizzanti, parte del panorama universitario negli
altri Paesi europei, da almeno vent’anni, era stato l’ultimo atto della ministra
Giannini, il 12 dicembre del 2016. Ma al suo arrivo Fedeli aveva bloccato tutto
e chiesto una cabina di regia per evitare che le nuove lauree «uccidessero» gli
Its, quegli istituti tecnici superiori che ad oggi – con poco più di 10 mila
diplomati l’anno – costituiscono l’unica forma di educazione post secondaria
alternativa alla laurea tradizionale. Otto mesi di lavoro comune tra Its e Conferenza
dei rettori hanno portato all’avvio del percorso: gli Atenei potranno istituire
queste lauree per le professioni che sono regolate da ordini e dovranno con
questi coordinarsi. Così gli Its continueranno a formare meccanici, tecnici ed
esperti di officina super specializzati, mentre le università «sforneranno»
super-periti industriali, chimici, esperti di agraria e agrotecnica, ma anche
super-guide turistiche o esperti di cantieri e scavi archeologici. (Fonte: G.
Fregonara, CorSera 02-12-17)
L’ATTESO DECRETO
MINISTERIALE PER LE LAUREE PROFESSIONALIZZANTI
I nuovi corsi universitari triennali che prenderanno avvio a ottobre
2018 in stretto raccordo con gli ordini professionali – spiega il Corriere
della Sera – dovrebbero servire a fornire profili lavorativi il più possibile
coerenti con le richieste del mercato: super periti industriali, chimici ed
agrari ma anche guide turistiche ed esperti di cantieri e scavi archeologici.
Ma per ora si parla di appena 12 corsi a numero chiuso in tutta Italia per un
totale di 500-600 giovani. Se l’obiettivo è allinearci con gli altri Paesi
europei, dove le lauree professionalizzanti pesano per un buon 25 per cento sul
totale dei laureati, “a questo ritmo ci vorranno cent’anni”. (19-12-17)
FAKE NEWS. POCHI
LAUREATI?
Alcune di queste asserzioni false appartengono alla categoria «come
imbrogliare i giovani». La più spudorata è quella secondo cui avremmo in Italia
«pochi laureati». Detta così è una bugia. Abbiamo troppi laureati in
Giurisprudenza e troppo pochi laureati in Fisica. Più in generale: troppi
laureati in materie umanistiche, e in scienze umane, e pochi laureati nelle
scienze hard. Questa distorsione penalizza i giovani laureati alla ricerca di
una prima occupazione. Per eliminare la distorsione bisognerebbe introdurre il
numero chiuso in tutti i corsi di laurea umanistici e di scienze umane. In modo
da dare agli studenti liceali una bussola per orientare le scelte future. I più
dotati in materie umanistiche sapranno che, se quella è la loro vocazione, essi
dispongono di buone chance per superare lo sbarramento del numero chiuso. Gli
altri, se vogliono accedere all’Università, dovranno dedicarsi con impegno, già
al liceo, allo studio della matematica e delle discipline scientifiche. Avremmo
allora, in prospettiva, meno laureati (ma di migliore qualità) nelle
umanistiche e più laureati nelle scientifiche. Mettendo fine a una distorsione
che penalizza i giovani (e, per giunta, non mette a disposizione del mondo
produttivo abbastanza «capitale umano»).
Ma le autorità pubbliche, un po’ per quieto vivere, un po’ per
disinteresse per il futuro dei giovani (e un po’ anche per un antico
pregiudizio italico contro la formazione scientifica) continuano a raccontare
che abbiamo, semplicemente, «pochi laureati». (Fonte: A. Panebianco CorSera
05-12-17)
FINANZIAMENTI
I FONDI PER LE C.D. CATTEDRE
NATTA SI STANNO SVUOTANDO
Sul
terreno del "merito" va segnalato anche l'affondamento di una misura
- lanciata in pompa magna dall'ex premier Renzi - che puntava ogni anno alla
chiamata diretta alla docenza per merito di 500 cervelli italiani o stranieri
attraverso la creazione di un fondo dedicato al nostro premio Nobel Giulio
Natta. La misura dopo due anni non è mai partita, soprattutto a causa della
levata di scudi del mondo accademico che l'ha giudicata da subito un corpo
estraneo e un'ingiustizia per i tanti aspiranti docenti che seguono le lunghe
trafile ordinarie (abilitazione, concorsi, ecc.). La ministra Fedeli, dopo una
mezza bocciatura del Consiglio di Stato, aveva annunciato di voler ripresentare
la misura con alcuni aggiustamenti. Ma non si è visto nulla. Almeno fino alla
nuova legge di bilancio dove le «Cattedre Natta» sono state svuotate di parte
delle risorse per finanziare borse di studio e stipendi più alti ai dottorandi.
(Fonte: IlSole24Ore 11-11-17)
SUL FINANZIAMENTO COMPLESSIVO
AGLI ATENEI PUBBLICI. OSSERVAZIONI DEL CUN
Il
CUN constata oggi con rammarico la mancanza nel disegno di legge, recante il
“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio
pluriennale per il triennio 2018-2020”, di un piano complessivo per il sostegno
del sistema universitario e per la risoluzione delle sue criticità. Il CUN
osserva come il potenziale finanziamento pubblico complessivo agli Atenei
previsto nel disegno di legge (7,362 miliardi di euro nel 2018; 7,411 miliardi
nel 2019 e 7,502 miliardi nel 2020) non sia sufficiente per far fronte alle
esigenze del sistema dell’istruzione superiore e della ricerca, così da poterne
garantire l’efficienza, la qualità e il corretto funzionamento, anche in
un’ottica di comparazione internazionale. Tale cronico sotto finanziamento
pubblico agli Atenei contrasta con le politiche di investimento che il
legislatore ha individuato all’interno del provvedimento a favore di altri
comparti della Pubblica Amministrazione, il cui sostegno appare prioritario
rispetto a quello universitario. Peraltro in questi anni lo Stato ha destinato
risorse economiche molto significative, ulteriormente rafforzate dal disegno di
legge in analisi, al sostegno di iniziative di formazione e ricerca non
riconducibili al sistema universitario. (Fonte: CUN, Adunanza 08-11-17)
FONDO PER IL
SOSTEGNO DEI GIOVANI
La ministra dell’Istruzione ha firmato decreti con i quali verranno
stanziati 67 milioni di euro per interventi a favore di studenti e studentesse
universitarie. Maggiori fondi
verranno stanziati per la mobilità internazionale e risorse specifiche per
incentivare le iscrizioni, soprattutto quelle delle studentesse, ai corsi di
laurea di ambito scientifico. Si parla, per esattezza, di 50 milioni per la
mobilità internazionale (+6,3%) e di 3 milioni per incentivare le iscrizioni,
anche delle studentesse, alle lauree scientifiche. In particolare, grazie ai
fondi ricevuti, gli atenei potranno prevedere l’esonero parziale o totale dalle
tasse, potranno erogare contributi aggiuntivi o altre forme di sostegno agli
studi. Le università riceveranno una quota maggiore di risorse (il 20% in più)
per le iscrizioni delle studentesse rispetto a quelle degli studenti in modo da
incentivare l’interesse delle ragazze per questi corsi. (Fonte: http://www.farodiroma.it
31-12-17)
INVESTMENT IN
LEADING RESEARCH UNIVERSITIES GENERATES A SUBSTANTIAL RETURN FOR THE WIDER
ECONOMY
Investment in leading research universities generates a substantial
return for the wider economy, and the 23 members* of the League of European
Research Universities or LERU are contributing almost €100 billion (US$117
billion) to the European economy and 1.3 million jobs, according to a new
study. The €100 billion figure is calculated as gross value added or GVA –
revenues less cost of revenues. For every €1 of income received, LERU
universities produce €4.83 of GVA, “a worthwhile investment by any measure”,
the study found. And each €1 of GVA directly contributed by the universities
generates €6.87 of GVA in the wider economy. Extrapolating from that finding,
the study suggests that the research universities sector as a whole across
Europe may be contributing more than €400 billion and supporting 5.1 million
jobs. This is equivalent to 2.7% of the total GVA of the European economy and
2.2% of all European jobs.
*The 23 members of LERU are: University of Amsterdam, University of
Barcelona, University of Cambridge, University of Copenhagen, Trinity College
Dublin, University of Edinburgh, University of Freiburg, University of Geneva,
Heidelberg University, University of Helsinki, Leiden University, KU Leuven,
Imperial College London, University College London, Lund University, University of Milan, Ludwig Maximilian
University of Munich, University of Oxford, Pierre and Marie Curie University
(Paris), University of Paris-Sud, University of Strasbourg, Utrecht University
and University of Zurich. (Fonte: www.universityworldnews.com 08-12-17)
SEI PROPOSTE PER
ACCELERARE L’INNOVAZIONE ITALIANA
Marco Bicocchi Pichi, presidente di Italia Startup: «La crescita
dimensionale delle startup rimane un problema rilevante per almeno due motivi:
non favorisce la creazione strutturale di nuova occupazione qualificata; non
incide in modo significativo sull’innovazione del sistema industriale
italiano». Ovviamente, di fronte a dati poco incoraggianti, servono soluzioni.
O, almeno, uno ci prova. Marco Bicocchi Pichi ne enuncia sei. Eccole.
1. Forte potenziamento del fondo venture capital presso la cassa
depositi e prestiti
2. Potenziamento dell’incentivo fiscale e investimento in società non
quotate (PMI ad alta crescita, PMI innovative, startup)
3. Potenziamento delle misure di attrazione dei talenti internazionali
4. Misure per favorire l’imprenditorialità dei migliori talenti
nazionali
5. Rafforzamento della misura «Accordi per l’innovazione» con la
partecipazione di Pmi e startup innovative
6. Progetto le stazioni dell’innovazione «Alta Velocità Valley»
Favorire la nascita di un HUB dell’innovazione distribuito territorialmente,
ma connesso fisicamente grazie all’alta velocità, attraverso la definizione di
un «Accordo di Programma» che coinvolga i comuni di Torino, Milano, Reggio
Emilia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Grandi Stazioni Rail SpA. (Fonte: V.
Ferrero, www.diariodelweb.it
18-12-17)
RECLUTAMENTO
CNR. 4.500 DIPENDENTI PRECARI SU
OLTRE 11.500 DIPENDENTI IN SERVIZIO
4.500
dipendenti su oltre 11.500 dipendenti in servizio presso il CNR (ovvero il 40%
della forza trainante dell’Ente), con forme contrattuali più o meno variegate
(TD circa 2000, AdR e CoCoCo circa 2500), oggi contribuiscono al successo del
CNR nel mondo, donando ad esso il rispetto che merita in ambito scientifico. A
oggi i PU (Precari Uniti) si stanno battendo per una causa comune: il
superamento del precariato all’interno degli enti pubblici di ricerca. La
soluzione? Recepire ed applicare il D.Lgs 75/2017 (la cosiddetta Legge Madia),
che, all’articolo 20, espleta benissimo le modalità per il superamento del
precariato negli EPR. (Fonte: G. Occhilupo 01-11-17)
OCCUPAZIONE GIOVANILE. IL
VANTAGGIO DELLA STEM
Da
un lato ci sono aziende che in tempi di vacche magre massimizzano i profitti,
dall'altra un sistema formativo che investe poco e fatica ad avvicinare scuole
e università al mondo del lavoro. La prossima Finanziaria introdurrà uno
sgravio fiscale per chi investe in formazione: non basta, ma è pur sempre un
passo avanti. Poi però ci sono le scelte individuali. Siamo giustamente
affezionati a una cultura umanistica che ci ha dato gloria nei secoli. Ma se
l'obiettivo è un lavoro retribuito occorre fare i conti con la realtà. L'ultimo
rapporto Ocse rivela che i giovani italiani laureati nell'area che occupa di
più, la «Stem» (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) sono il 25 per
cento del totale contro il 37 per cento della Germania. Anche questo spiega
perché a tre anni dalla laurea gli under 35 occupati sono appena il 57 per
cento: nell'Unione a 28 superano l'80 per cento, in Germania il 92. (Fonte: www.lastampaitilettere
22-11-2017)
RICERCATORI PRECARI NEGLI EPR E
NELLE UNIVERSITÀ PUBBLICHE. DISPARITA’ PER LA STABILIZZAZIONE
Semaforo
verde all'assunzione di 50 mila precari storici della pubblica amministrazione.
La ministra della PA Marianna Madia ha firmato l'attesa circolare per la stabilizzazione del cosiddetto
precariato storico, come previsto dalla riforma che porta il suo nome. Va
specificato che gli effetti positivi della Circolare riguardano principalmente
gli Enti Pubblici di Ricerca, mentre
nulla innova per quanto riguarda gli altri settori della conoscenza. In
particolare constatiamo, rileva FlcCgil che la Circolare lascia irrisolto il
nodo molto grave dell’esclusione dei precari, che svolgono attività di ricerca
e docenza nelle università, sia a
tempo determinato che con assegno di ricerca, dalle norme di cui all’art. 20
del D.lgs 75/2017. Si tratta di una esclusione che evidenzia il tentativo di
non vedere l’ampiezza e il grado di emergenza che ha raggiunto il fenomeno
della precarietà nei nostri Atenei.
Se
ho capito bene, nota un assegnista di ricerca universitario (Lettera in rete),
da questo articolo https://tinyurl.com/y9j7chmh
si deduce che un assegnista di ricerca di un EPR dopo 3 anni, magari senza un dottorato di ricerca e senza aver
pubblicato nulla (dato che gli assegni su singoli fondi vengono dati con le
procedure più disparate e non regolamentate) può essere
"stabilizzato" come ricercatore a tempo indeterminato senza ulteriore
selezione di merito. All'università
invece, dove il ricercatore a tempo indeterminato neanche esiste più, un
ricercatore a tempo determinato (con contratto cioè di tipo subordinato, con
relativi obblighi didattici, quello per intenderci che casomai dovrebbe essere
il requisito per una "stabilizzazione"), dopo selezioni in cui è
necessario avere il dottorato di ricerca e un numero minimo di pubblicazioni,
non accede ad alcun tipo di procedura selettiva e deve competere con tutto il
mondo per uno dei rarissimi posti da professore associato. Vale a dire: se ad
esempio ricercatore TD di tipo "A" 3+2, dopo 8 anni (se non di più)
dalla laurea, magari già con un'abilitazione da associato (con cui ha
dimostrato di essere migliore della metà degli attuali associati), se non c'è
il "budget" per far uscire un eventuale posto di tipo B non ha neanche
la possibilità di mettersi alla prova? E negli EPR "stabilizzano" gli assegnisti di 3 anni, praticamente
neolaureati? Mi sembrano elementi di tale disparità di trattamento da corte dei
diritti umani. (Fonte: A&F Repubblica 23-11-17; https://tinyurl.com/ybqsh8lo, https://tinyurl.com/ybw4e82x
28-11-17)
RECLUTAMENTO
ACCADEMICO. UNA RACCOMANDAZIONE FRANCO-ANGLO-GERMANICA
L’Accademia delle scienze francese, la Royal Society Britannica e la
tedesca Accademia Leopoldina hanno pubblicato un documento congiunto dedicato
proprio al tema del reclutamento accademico. Ecco la raccomandazione
principale: “La valutazione deve esser
basata sulla revisione dei pari messa in atto da esperti che lavorino secondo i
più elevati standard etici e deve focalizzarsi sui meriti intellettuali e sui
risultati scientifici. I dati bibliometrici non devono essere usati come
sostituti della valutazione degli esperti. E’ essenziale che i giudizi siano
ben fondati. L’enfasi eccessiva sui parametri quantitativi può danneggiare
seriamente la creatività scientifica e l’originalità. Gli esperti devono essere
considerati una risorsa preziosa”. L’Italia ha da tempo intrapreso una
strada diametralmente opposta a quella indicata in questo documento: tentando
di limitare al massimo il peso del giudizio scientifico degli esperti nei
processi di valutazione, e sostituendolo con una macchina burocratica
pervasiva. (Fonte: A. Baccini, Il Mattino 14-12-17)
RETRIBUZIONI
RETRIBUZIONI. CENSIMENTI ARAN
Dal
2010 a oggi, lo stipendio medio reale nella scuola ha perso il 12,4% del
proprio potere d'acquisto, quello dei professori universitari l'11,8%. Nello
stesso periodo, la busta paga nelle Autorità indipendenti è cresciuta del 7,6%,
mentre negli enti pubblici è aumentata del 7%. Questo è il dato che emerge dai
censimenti dell'Aran, l'agenzia che rappresenta le pubbliche amministrazioni
nella contrattazione collettiva nazionale. (Fonte: firstonline.info 30-10-17)
RICERCA
SCIENCE ELENCA LE
DIECI NOTIZIE SCIENTIFICHE PIÙ IMPORTANTI DEL 2017
Le onde
gravitazionali generate dalla collisione di due stelle a neutroni. A 130 milioni di
anni luce di distanza dalla Terra, due stelle a neutroni si sono avvicinate
provocando un’esplosione spettacolare.
Una nuova specie
di orango. A novembre è stata scoperta in Indonesia una nuova specie di scimmia
antropomorfa.
La microscopia
crioelettronica. È stato possibile studiare a livello molecolare l’azione degli enzimi
che riparano il Dna.
L’archivio bioRxiv. il server
bioRxiv pubblica online articoli non ancora accettati dalle riviste
scientifiche.
La correzione
genetica puntiforme. È stata modificata la tecnica CRISPR, che adesso permette di
correggere una singola lettera, o base, della sequenza del Dna.
Un nuovo farmaco
contro il cancro. Approvato l’uso di un farmaco che colpisce le cellule del cancro, a
seconda della mutazione genetica che le caratterizza.
Antiche bolle
d’aria nel ghiaccio. Nelle bolle d’aria intrappolate in una carota di ghiaccio che arriva a
2,7 milioni di anni fa sarà possibile ricostruire l’atmosfera del passato.
Un fossile umano
dal Marocco. Un cranio risalente a 300mila anni fa ha fatto rivedere la storia
evolutiva dell’Homo sapiens.
Terapia genica per
i neuroni. L’introduzione di un gene corretto, tramite un virus, per fermare la
degenerazione dei neuroni del midollo spinale nell’atrofia muscolare spinale
infantile.
Osservazione del
neutrino. Osservata per la prima volta l’interazione (o scattering coerente) tra
un neutrino con energia bassa e il nucleo di un atomo.
(Fonte: P. Grisanti, www.internazionale.it 21-12-17)
SSVPSA, SISTEMA DI SUPPORTO PER
LA VALUTAZIONE DELLA PRODUZIONE SCIENTIFICA DEGLI ATENEI
La
CRUI lo scorso marzo ha sottoscritto un accordo quadro con l’Università della
Basilicata per l’utilizzo di uno strumento software (SSVPSA = Sistema di
supporto per la valutazione della produzione scientifica degli atenei) fornito
da quest’ultima, per riprodurre una valutazione simil-VQR due volte l’anno. Una
differenza rispetto alla VQR è che lo strumento si propone di eliminare
totalmente il giudizio umano. In SSVPSA-A2 veniva affermato che il SSVPSA è
concepito per superare il limite dei due prodotti per soggetto indicato dalla
VQR 2011-2014, e valutare per intero la produzione scientifica dei soggetti
valutati.
La
metodologia della VQR ha molti aspetti discutibili, come già evidenziato da
ROARS, e l’utilizzo dei suoi risultati, che palesemente non tiene conto di tali
aspetti, sta avendo sempre più effetti sull’orientamento della ricerca, vista
in particolare l’iniziativa dei Dipartimenti di Eccellenza.
Il
sistema qui considerato ha l’obiettivo dichiarato di fornire una valutazione
completamente automatica, senza compensare in alcun modo l’impossibilità di
ricorrere ad esperti valutatori.
È
quindi prevedibile che la qualità dei risultati sia peggiore rispetto a quella
della VQR, ma vi è il concreto rischio che questi risultati vengano utilizzati,
ad esempio, già all’interno degli atenei, per produrre ulteriori effetti
sull’orientamento della ricerca: infatti quello dell’uso nella “programmazione
della ricerca” è un obiettivo dichiarato. L’altro obiettivo era supportare gli
atenei nelle VQR, e al momento quanto promesso in proposito non viene fornito.
(Fonte: D. T. Dupré, Roars 03-11-17)
SUCCESSI E DELUSIONI DELLA
RICERCA
La
ricerca fondamentale, rappresentata in Italia dall'Infn, è sicuramente - spiega
Sergio Bartalucci, fisico ricercatore di
staff presso i laboratori di Frascati dell'Istituto nazionale di fisica
nucleare - all'avanguardia mondiale, come dimostra l'importante contributo
italiano alla recente scoperta del bosone di Higgs e alla rivelazione delle
onde gravitazionali, benché poi sia mancato un adeguato riconoscimento
internazionale (premi Nobel) al nostro Paese. In altri settori - continua - la
situazione è meno rosea, e ciò per una molteplicità di ragioni, che non si
limitano solo all'entità modesta della spesa in ricerca o al basso numero di
ricercatori, ma sono da individuare anche in una strutturazione troppo
burocratizzata, dispersiva e inefficiente del comparto ricerca italiano e in un
rapporto sempre difficile con il mondo produttivo.
In
relazione ai fondi europei, lo scienziato dice che "le performance
italiane nella competizione per i fondi europei sono piuttosto deludenti".
"In media il ritorno economico verso il nostro Paese ammonta solo al 70%
dei fondi devoluti all'Ue per la R&S. Quello che l'Italia ha 'perso'
nell'arco del Settimo programma quadro equivale al finanziamento annuale degli
enti di ricerca italiani: oltre 2 miliardi di euro", osserva. E questo -
rimarca Sergio Bartalucci - non è andato a vantaggio della R&S europea nel
suo complesso, ma solo a vantaggio di alcuni stati nazionali che hanno
ulteriormente rafforzato la loro posizione preminente in questo campo. (Fonte:
S. Bartalucci, adnkronos.com 03-11-17)
DIFFICOLTÀ PER SVOLGERE LAVORO
DI RICERCA NELL’UNIVERSITÀ
Nella
situazione attuale, la possibilità di svolgere il lavoro di ricerca all’interno
delle Università pubbliche è compromessa, per una serie di motivi. In primo
luogo la riduzione dei finanziamenti e del personale rende impossibile
mantenere gli standard di sicurezza previsti dalla legge nei luoghi di lavoro.
La sicurezza di un laboratorio didattico, nel quale operano gli studenti,
dipende criticamente non solo da una corretta manutenzione dei dispositivi di
protezione collettivi, ma anche dalla presenza di personale esperto preposto
alla vigilanza delle operazioni. Poiché la sicurezza degli studenti (equiparati
per legge a lavoratori) è prioritaria, e le inadempienze alla normativa vigente
hanno rilevanza penale, ho provveduto a sospendere le esercitazioni in
laboratorio in precedenza previste nei miei corsi. Per le stesse ragioni non
intendo più prendere sotto la mia supervisione studenti di dottorato di ricerca
o tesisti: le tesi che io supervisiono sono oggi soltanto compilative. In
secondo luogo, anche il lavoro di ricerca che il docente può svolgere
personalmente, è grandemente ridimensionato, perché la riduzione del numero dei
docenti comporta un maggiore impegno didattico di ciascuno di noi, e una
conseguente minore disponibilità di tempo da dedicare alla ricerca (che
peraltro va di pari passo con la minore disponibilità di finanziamenti). Gli
estensivi e vessatori obblighi di rendicontazione delle nostre attività,
imposti da una inutile burocrazia ministeriale e dall’Anvur sottraggono
ulteriore tempo alle attività di ricerca. Infine, le normative concorsuali
vigenti penalizzano il precariato e fanno sì che l’inizio della carriera
universitaria privilegi persone che si sono formate all’estero, in condizioni
molto più favorevoli di quelle vigenti in Italia. (Fonte: A. Belleli, Roars
15-11-17)
RICERCATORI PER
L’INTERESSE DEL PAESE
L’Italia “vanta” la popolazione di docenti universitari più anziana
d’Europa mentre, a causa dei tagli e del blocco delle assunzioni, una
generazione di ottimi giovani ricercatori ogni anno in massa prende il fagotto
e se ne va. Quelli che ostinatamente restano in Italia, sostenendo insegnamento
e ricerca di qualità, sono oltre 20.000. Con contratti rinnovati di anno in
anno, con stipendi bassi e discontinui. Ogni ricercatore costretto ad andare
all’estero o cambiare carriera è una luce che si spegne nel futuro del nostro
Paese. Così muore l’Italia. Non è difficile cambiare rotta: basta investire
risorse pubbliche per l’assunzione di giovani ricercatori. Servono 20.000
assunzioni, attraverso concorsi pubblici competitivi. Con un costo minimo per lo
Stato, non solo si darebbe una boccata d’ossigeno all’Università, restituendole
il maltolto, ma potremmo finalmente riavviare il motore dell’economia italiana,
da troppi anni inchiodata all’ultimo posto in Europa per produttività. Non una
spesa, quindi, ma un investimento nel futuro. Ma se è così utile, semplice ed
economico perché non lo si fa? La risposta a questa domanda ingenua sta nella
mancanza di visione del futuro della nostra classe politica che, incapace di
guardare oltre le scadenze elettorali, preferisce dirottare le risorse a gruppi
di interesse con maggiore visibilità, per ritorni di consenso a breve termine.
I ricercatori italiani non costituiscono un bacino elettorale significativo e
sono abituati troppo spesso a lavorare in silenzio. Eppure oggi spetta loro un
compito cruciale: qui non si tratta più solo di presentare le proprie legittime
istanze. È ora che i giovani ricercatori si assumano la responsabilità di
rappresentare l’interesse che tutti sembrano aver dimenticato: l’interesse del
Paese. (Fonte: FQ 21-12-17)
I PARADOSSI DEL MECCANISMO DI
VALUTAZIONE CRITICATO ANCHE DALLA COMUNITÀ SCIENTIFICA INTERNAZIONALE
G.
De Nicolao lo spiega: «Nella classifica Anvur del febbraio 2017, Area 9 -
Ingegneria industriale e dell'informazione, all'università privata Roma
UniCusano viene assegnato il "voto medio normalizzato" 1,21; al
Politecnico di Milano 1,04 e al Politecnico di Torino 1. Ed ecco i posti nella
graduatoria: Roma UniCusano al 6° posto, Politecnico di Milano al 24°,
Politecnico di Torino al 30°». Ancora: con i criteri Anvur è prima in
classifica per la Fisica la Kore, università privata di Enna, che non ha però
la facoltà di Fisica. Ma ha soli tre docenti, la cui media ha elevato il
punteggio della facoltà fino a portarla in cima. All'opposto invece c'è il
dipartimento di Fisica della Sapienza di Roma con il laboratorio di ottica
quantistica in cui si studiano le proprietà dei fotoni: ci lavora Giorgio
Parisi che nel 2011 ha vinto la medaglia Planck, il più importante
riconoscimento per la fisica dopo il Nobel. Alla Sapienza l'Anvur non ha
assegnato fondi per i più meritevoli, il super laboratorio è finanziato solo
dai fondi europei. In aiuto dei fisici italiani c'è tutta la comunità
scientifica internazionale che "sconsiglia" questa metodologia di
valutazione: la Fondazione Nobel, la Physician European Society, l'Agenzia di
valutazione inglese, e tre premi Nobel per la Fisica, Takaaki Capta, Kip S.
Thome e Rainer Weiss che hanno scritto alla ministra Valeria Fedeli denunciando
un paradosso: gli scienziati italiani a capo della missione Lisa dell'agenzia
spaziale italiana, gli stessi che hanno reso possibile la rilevazione delle
onde gravitazionali - una scoperta che è alla base del Nobel per la Fisica 2017
- per l'Anvur non sono da prendere in considerazione.
Ma
non è solo la fisica sotto accusa. Uno dei casi più clamorosi è quello del
dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Modena e Reggio Emilia:
il professore Michele De Luca dirige il ‘Centre for Regenerative Medicine
Stefano Ferrari’ e, insieme a Graziella Pellegrini, ha usato le
sue
staminali per guarire per la prima volta un "bimbo farfalla" malato
di epidermolisi bollosa. Nell'elenco dell'Agenzia questo dipartimento è
"mediocre" visto che galleggia a metà classifica. Michele De Luca non
ci sta: «L'Anvur deve spiegare perché il nostro gruppo, punto di riferimento
mondiale per la medicina rigenerativa con le staminali epiteliali, è
considerato mediocre. Ma lo so già. Perché usa valutazioni completamente
inappropriate. La ministra Fedeli si è congratulata con me. Dall'Anvur niente».
(Fonte: A. M. Liguori, La Repubblica 06-01-18)
L'Italia
è l'unico paese a concentrare in un’unica agenzia tutte le funzioni di
valutazione, ossia didattica, ricerca, amministrazione, trasparenza. L'Anvur è
l'organo siffatto, con il consiglio direttivo più costoso del mondo, giacché il
costo reale della valutazione ex-post del biennio 2014-2015 è stato stimato in
300 milioni di euro. Una cifra coerente con i 246 milioni di sterline spesi dal
Regno Unito nell'anno 2015 per il REF.
Paragonato al finanziamento ordinario della ricerca italiana, circa 90
milioni di euro nel 2017, questo dato ha un effetto esilarante. E analizzando
la lista dei dipartimenti italiani "anvurianamente eccellenti",
alcune inclusioni sono comiche, se confrontate con le quattro maggiori
classifiche internazionali. (Fonte: R. Rosso, Il Secolo XIX 07-01-18)
MILLIONS OF ARTICLES MIGHT SOON
DISAPPEAR FROM RESEARCHGATE
Millions
of articles might soon disappear from ResearchGate, the world’s largest
scholarly social network. Last week, five publishers said they had formed a
coalition that would start ordering ResearchGate to remove research articles
from its site because they breach publishers' copyright. A spokesperson for the
group said that up to 7 million papers could be affected, and that a first
batch of take-down notices, for around 100,000 articles, would be sent out
“imminently”.
Meanwhile,
coalition members Elsevier and the American Chemical Society have filed a
lawsuit to try to prevent copyrighted material appearing on ResearchGate in
future. The complaint, which has not been made public, was filed on 6 October
in a regional court in Germany. (ResearchGate is based in Berlin). It makes a
“symbolic request for damages” but its goal is to change the site’s behaviour,
a spokesperson says. (Fonte: Nature. News 10-10-17)
THE QUANTITATIVE METRICS CAN
ULTIMATELY BE COUNTERPRODUCTIVE TO ASSESSING SCIENTIFIC RESEARCH
Quantitative
metrics are increasingly dominating decision-making in faculty hiring,
promotion and tenure, awards and funding, and creating an intense focus on
publication count, citations, combined citation-publication counts (h-index
being the most popular), journal impact factors, total research dollars and
total patents. All these measures are subject to manipulation as per Goodhart’s
law, which states: When a measure becomes a target, it ceases to be a good
measure. The quantitative metrics can therefore be misleading and ultimately
counterproductive to assessing scientific research. (Fonte: Aeon novembre 2017)
RICERCA DI BASE. 400 MILIONI PER
IL PRIN
È
una buona notizia (specie in raffronto al recente passato dei PRIN) il nuovo
bando PRIN di 400 milioni di euro che il ministro Valeria Fedeli ha annunciato
nei mesi scorsi. È infatti primo compito dei governi nazionali finanziare la
ricerca di base, vero motore dell'innovazione, non quella applicata su cui si
concentra in via pressoché esclusiva la Commissione Europea attraverso i suoi
programmi quadro. Il budget sarà ripartito fra tre macrosettori, seguendo l'esempio
virtuoso dei fondi distribuiti dallo European research council (Erc): scienze
della vita (140 milioni), fisica, chimica e ingegneria (140 milioni), scienze
sociali e umanistiche (111 milioni). Si ispira all'Europa anche il criterio di
valutazione: prima una scrematura fatta dai Comitati di selezione istituiti dal
ministero (durante la quale si terrà conto anche del coinvolgimento dei
ricercatori under 40), poi una seconda fase in cui sui progetti finalisti dovranno
esprimersi esperti internazionali. E anche la cifra massima destinata ai
singoli progetti vincitori si avvicina (almeno per ordine di grandezza) a
quella prevista dai fondi europei: 1 milione e 200mila euro. Il bando voluto
dalla ministra Fedeli con la "benedizione" del collega all'Economia
Padoan prevede due corsie preferenziali: una per i cervelli più giovani e
l'altra per i ricercatori del Sud. Ci saranno infatti 305 milioni destinati a
tutti, con i responsabili delle singole unità di ricerca che potranno essere
professori universitari, ricercatori di atenei e di enti pubblici di ricerca,
tecnologi, dirigenti di ricerca e dirigenti tecnologi. Per i giovani under 40
(anche ricercatori a tempo determinato) sono previsti 22 milioni. Mentre per la
ricerca targata Sud - in cui le unità di ricerca dovranno essere ubicate in una
delle Regioni in ritardo di sviluppo o in transizione - ci sono 64 milioni a
disposizione. Ciascun progetto, di durata triennale, può prevedere un costo
massimo di 1,2 milioni. Le domande si potranno presentare dall'1 febbraio al 15
marzo 2018. (Fonte:
L. Carra, scienzainrete 13-11-17)
RICHIESTA DI UN’AGENZIA
NAZIONALE DELLA RICERCA
Sarebbe
utile fare un passo ancora e dichiarare a chiare lettere che, insieme al nuovo
bando PRIN da 400 milioni, ci si appresta a istituire una Agenzia nazionale
della ricerca che possa erogare ogni anno almeno un miliardo di euro in bandi
competitivi facendo valere le buone pratiche della valutazione indipendente.
Tanto più che a tifare per un’agenzia di questo genere non è più il solo Gruppo
2003, che ne ha fatto il suo cavallo di battaglia da un decennio, ma anche
altre realtà importanti del Paese, come testimonia il nuovo Rapporto Ambrosetti
sulle Life Science 2017 riportando gli orientamenti di Assobiotech e altri
attori della ricerca nazionale. Unico paese nel mondo sviluppato a non avere un’agenzia
di questo genere, l’Italia deve essere in grado di vincere le resistenze e
cominciare seriamente a mettere in mani competenti e indipendenti la gestione
di tutto il finanziamento competitivo. Un budget che non può essere ricavato
dai fondi ordinari già esistenti ma deve essere aggiuntivo. E consistente.
Ricordiamo infatti che dei circa 20 miliari di euro spesi annualmente in
ricerca in Italia (1,3% del PIL), 15 miliardi vanno in stipendi e 5 miliardi in
acquisto di beni e servizi, e che l’Italia attualmente destina alla ricerca
competitiva il 5% del suo budget rispetto al 21% della Francia, il 36% della
Germania e il 53% della Gran Bretagna (si veda il Rapporto RIO 2016). I sette
Research Council britannici da soli erogano 3,9 miliardi sterline all’anno in
bandi. C’è quindi motivo di rallegrarsi per un bando PRIN di 400 milioni di
euro. Ma c’è anche motivo per non fermarsi qui. (Fonte: L. Carra, scienzainrete
13-11-17)
RICERCATORI PRECARI
NELL'UNIVERSITÀ
Ricercatori
precari nell'università: quanti sono, che fine fanno. Il grosso dei precari
della ricerca
comprende
gli assegnisti, i dottorandi e i borsisti: un arcipelago non sempre definito.
Sulle prime due categorie il MIUR fornisce dati abbastanza aggiornati: 13.350
assegnisti (dato del 2017) e 31.651 dottorandi (dato del 2015). Mentre i
borsisti non si possono neppure quantificare. Dal 2010 al 2016, sono quasi
43mila i giovani che sono stati titolari di un assegno di ricerca. Il grosso
dei quali (il 93 per cento, pari a 40mila soggetti) dopo uno o più assegni ora
è fuori dal giro. I fortunati che sono riusciti ad acciuffare un lavoro
precario da ricercatore (tipo A o B) sono poco più di 3mila. E 1.326 assegnisti
dei 13.350 in "servizio" nel 2017 saranno espulsi nel 2018. Perché la
Gelmini ha anche pensato, e tradotto in legge, che oltre le 6 annualità non è
possibile andare. L'unica speranza è il concorso per ricercatore, ma prima
occorre superare l'Abilitazione scientifica nazionale che dopo un avvio a dir
poco problematico sta per essere riformata. (Fonte: La Repubblica 15-11-17)
GLI INSUCCESSI
DELL’ANVUR ELENCATI DA ROARS
A distanza di sei anni dalla sua nascita, l’ANVUR può vantare ben pochi
successi, scrive impietosamente Roars. Col passare del tempo, sono andati
diradandosi gli articoli compiacenti o celebrativi sui quotidiani nazionali. Al
contrario, i costi, gli infortuni e l’opacità dell’agenzia sono finiti nel
mirino degli organi di informazione nazionali e internazionali. Aver
classificato come riviste scientifiche il Mattino di Padova, la Rivista di
Suinicoltura e Airone è valso ad ANVUR la prima pagina del Corriere e anche un lungo articolo su Times Higher Education. Le classifiche double-face della
prima VQR, una versione sul sito ufficiale e un’altra per la stampa hanno fatto
parlare di “bluff della classifica ANVUR“. È di un mese fa il servizio di Report in cui si chiedeva al Presidente
Graziosi come fosse possibile che a primeggiare nella classifica ANVUR della
Fisica fosse l’Università Kore di Enna e che senso avessero i criteri
bibliometrici escogitati dall’agenzia, quando un presidente di una commissione
per l’Abilitazione scientifica nazionale può superare l’asticella grazie a 542
citazioni, di cui 394, però, sono autocitazioni. Sempre sul Corriere, il costo delle delibere
ANVUR (circa 100.000 Euro a delibera) è finito in prima pagina. E sempre in
prima pagina, ma del Fatto Quotidiano,
la notizia che dopo la pubblicazione ufficiale dei risultati della VQR, l’ANVUR,
senza dire niente a nessuno, ha modificato più di 100 file. La natura kafkiana
della burocrazia anvuriana è entrata a far parte del senso comune di chi vive
nell’università italiana e molti cominciano a domandarsi se il bilancio costi-benefici
sia in attivo. (Fonte: Red.ne Roars 04-12-17)
DALLA LETTERA CHE
GLI STUDENTI INDIPENDENTI GIURISPRUDENZA DI BOLOGNA HANNO CONSEGNATO AI
VALUTATORI DELL’ANVUR IN VISITA A UNIBO
ANVUR vi ha mandato qui a valutarci, a decidere sulla base dei vostri
“punti di attenzione” cosa va e cosa non va nel nostro Ateneo, un diritto
questo che crediamo non vi spetti e che appartenga invece alla comunità
accademica che vive ogni giorno queste aule e le sue difficoltà. La risposta
però di questo Rettorato è stata quella di accogliervi, di preparare da quasi
un anno e più i dipartimenti e i corsi di laurea sottoposti alla vostra visita,
a rispettare le linee guida del sistema AVA, a comprimere la didattica pur di
rispettare il rapporto numerico studenti/docenti che è stato stabilito senza
che vi fossero risorse aggiuntive in grado di produrre un piano di reclutamento
per far fronte a queste emergenze. A questo è conseguito non solo un aumento
dei numeri programmati e con test nei corsi di laurea, ma un’attenzione ai
parametri della Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) tutti improntati
alla produttività di ognuno e alla posizione delle classifiche dove l’articolo
viene pubblicato, un’attenzione che è andata a discapito dei tempi della
ricerca e della sua qualità. Quello che è accaduto è che durante il
boicottaggio dell’ultima VQR alcuni ricercatori e docenti si sono trovati i
loro articoli, o meglio “prodotti”, caricati nel sistema senza la loro
approvazione, questo per evitare che un eventuale alto numero di boicottaggi
potesse influire negativamente sulla valutazione, scavalcando così la libertà
di protesta. Ormai da un anno inoltre i dipartimenti e i corsi sottoposti a
visita, ed in generale la vita degli organi minori, è stata completamente
atrofizzata dal carico burocratico delle procedure AVA, impedendo di discutere
delle reali priorità e difficoltà del nostro Ateneo, legando la distribuzione
dei fondi a un sistema di valutazione di ateneo sempre più simile alla VQR e
che sta tagliando le gambe alla ricerca di base e dei dipartimenti più piccoli.
(Fonte: altrodiritto.wordpress.com
09-12-17)
I BENEFICIARI DEL
FFABR, FONDO PER IL
FINANZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ BASE DI RICERCA
Si tratta di una misura contenuta nella legge di bilancio 2016 che
prevede il pagamento di 3.000€ a favore (di non più) del 75% dei ricercatori e
(di non più) del 25% dei professori associati che hanno fatto domanda di
partecipazione. Il legislatore ha demandato all’ANVUR il compito di stabilire
quali tra i docenti partecipanti siano meritevoli di essere finanziati. Il
numero massimo previsto di beneficiari è di 15.000, dato che la legge stanziava
€45 milioni. Quale era la platea potenziale dei beneficiari? Se prendiamo i
dati su sito del MIUR al 31/12/2016 risultavano in servizio negli atenei
statali 18.945 Professori Associati (PA); 15.211 Ricercatori a Tempo
Indeterminato (RTI) e 4.527 Ricercatori a Tempo Determinato per un totale
complessivo di 19.738 ricercatori. Ora che sono stati pubblicati, dagli elenchi
ANVUR risulta che riceveranno l’obolo (giudicato dal CUN troppo frazionato e di importo minimale) 7.124
ricercatori e 2.342 professori associati per un totale di 9.466 beneficiari,
ben inferiore al numero massimo previsto di 15.000. Il costo complessivo della
misura sarà quindi di €28,4 milioni, con un risparmio di risorse per il MIUR di
€16,6 milioni, oltre un terzo dell’intera spesa prevista. (Fonte: Red.ne Roars
11-12-17)
CUN. PARERE SUL FFABR, FONDO PER
IL FINANZIAMENTO DELLE ATTIVITÀ BASE DI RICERCA
Con
riferimento al FFABR, si sottolinea ancora una volta come tale finanziamento
non risulti aggiuntivo bensì decurtativo degli altri capitoli del FFO, in un
contesto nel quale la gestione dell’intera procedura per la valutazione della
produzione scientifica dei candidati ha un costo non irrisorio. Calcolando il
numero dei destinatari in base al numero dei richiedenti e non degli aventi
diritto, la procedura del FFABR ha di fatto attribuito il finanziamento non
solo sulla base della qualità della produzione scientifica del singolo, ma
anche sulla base di fattori imprevedibili e del tutto slegati dal merito quali,
appunto, il numero delle domande presentate. Inoltre, l’introduzione di soglie
per l’accesso alla procedura, peraltro articolata in due fasi, e di percentuali
prestabilite di vincitori fra i candidati, ha avuto l’effetto di disincentivare
la presentazione delle domande da parte di ricercatori e professori associati.
Ne è risultata una procedura inefficace rispetto agli obiettivi della legge,
con la conseguenza di creare importanti residui non utilizzati in un contesto
nel quale da anni si registra una grave carenza di risorse pubbliche destinate
alla ricerca universitaria. In tale situazione di insufficienza di risorse per
la ricerca di base, un finanziamento così frazionato e di importo minimale,
riservato a una parte esigua della comunità scientifica, costituisce una
criticità che è necessario correggere. (Fonte: Parere del CUN, Prot. 36027 del
21/12/2017)
SISTEMA UNIVERSITARIO
IL PREMIER PARLA DELL’UNIVERSITÀ
Dice
il premier Paolo Gentiloni, aprendo gli Stati generali dell’università, che
l’Italia è ottava al mondo per numero di pubblicazioni scientifiche. Sono oltre
1,2 milioni i lavori nel periodo 1996-2014. "Tuttavia", dice ancora
Gentiloni attingendo a dati del MIUR, "se si guarda al rapporto tra numero
di pubblicazioni e investimenti in ricerca e sviluppo, l’Italia sale al terzo
posto della classifica mondiale". Supera anche gli Stati Uniti,
"dimostrando un’ottima capacità di impiego delle risorse". Il
convegno al Centro congressi viene aperto dal presidente del Consiglio con una comparazione
tra la lunga crisi italiana (2008-2014) e il sottofinanziamento degli atenei
del Paese: "Hanno accompagnato la crisi in modo ancor più marcato".
Meno risorse, meno immatricolazioni fino al 2015, "un forte indicatore
dello stato di salute di una comunità", troppi abbandoni degli studi.
"La seconda potenza manifatturiera d’Europa non può accontentarsi".
Gentiloni, allontanando un vecchio mantra sull’eccesso di atenei in Italia - 49
università oggi hanno meno di 15.000 studenti - ha assicurato: "Ne servono
di più. Queste piccole e grandi strutture sono magnete e motore dei territori,
attraggono risorse e li spingono in avanti". Per questo mondo che ha
smesso di essere ascensore sociale dei giovani di famiglie a basso reddito,
"abbiamo iniziato a invertire la rotta, a mettere risorse sul diritto allo
studio, ad allargare l’area di chi non pagherà le tasse, a fare i primi
interventi per i docenti e ad assumere 1.611 ricercatori". I ricercatori
italiani in questo decennio, però, "hanno lavorato in condizioni non
facili e ottenuto risultati di eccellenza. Sì, hanno fatto le nozze con i fichi
secchi". (Fonte: R.it 10-11-17)
PIÙ UNIVERSITÀ
In
un convegno sull'Università italiana nell'Europa di domani organizzato dal MIUR
a Roma, il presidente del Consiglio Paolo GentiIoni ha affermato che il Paese
ha bisogno di più università. Il Paese ha davvero bisogno di università. Ed è
bene che la politica e la società civile prendano coscienza di questa
necessità, perché oggi serve davvero più università. Serve al Paese perché la
sfida del lavoro si gioca sulla qualità della formazione. Serve alle imprese
perché la competizione è nell'innovazione. Serve alle università perché la
conoscenza è nella ricerca. E serve ai nostri giovani, perché una formazione
superiore e qualificata rende più duttili alle continue trasformazioni di
tecnologia e globalizzazione, e contribuisce a configurare i nuovi orizzonti.
Serve, poiché l'investimento nel sapere non è l'appendice ma è la premessa per
ogni idea di sviluppo. E la garanzia del libero fluire delle idee in tutte le
aree del sapere. (Fonte: G. Travaglini, A&F Repubblica 08-01-18)
LA CORTE DEI CONTI FA IL
BILANCIO A SETTE ANNI DALLA RIFORMA GELMINI. LUCI E OMBRE
La
Riforma Gelmini doveva razionalizzare e rendere più efficiente il sistema
universitario. Ma se ciò (in parte) è avvenuto, è stato soprattutto per i tagli
dei finanziamenti, più che per una reale riorganizzazione. È quanto sostiene il
rapporto della Corte dei Conti, dal titolo «Referto sul sistema universitario»,
che a sette anni dalla contestata legge 240 tira un bilancio con luci e ombre.
La legge ha reso più precaria la vita dei professori, la sua attuazione è incompleta
e in ritardo. Il rapporto mette in luce anche conseguenze decisamente positive,
come gli sforzi delle università di razionalizzare le partecipazioni in
perdita, con le dismissioni; nel corso del 2015 gli atenei hanno raggiunto «una
soddisfacente solidità economica». Non solo: la riforma ha anche messo un po'
di ordine nel proliferare di sedi e corsi non sempre giustificati: «I Comuni
che avevano sedi decentrate dei corsi si sono ridotti a 110, erano 162 nove
anni fa». Tutti gli atenei «hanno introdotto il bilancio unico, non sempre
accompagnato da una modifica del modello organizzativo diretto a garantire una
più efficiente prestazione dei servizi». La riforma voleva incentivare il
ricircolo delle menti e l'apertura all'esterno degli atenei «ma tante sono
ancora le chiamate relative al personale in servizio nella stessa università
che bandisce il posto». Migliora, di poco, l'internazionalizzazione dei corsi.
Per quanto riguarda le assunzioni, la Corte dice che la riforma «ha complicato
il percorso di carriera, allungando il periodo di servizio non di ruolo,
contribuendo ad alzare l'età media di accesso al ruolo dei professori». E il
merito? Uno dei problemi è che i criteri premiali «usano una pluralità di
indicatori modificati di anno in anno e misurati su performance del passato»:
così è quasi impossibile per un ateneo programmare politiche efficaci per
migliorare il proprio posizionamento. (Fonte: La Stampa, 23-11-17)
INAUGURATA HUMANITAS UNIVERSITY
DI ROZZANO
L'inaugurazione
del Campus di Humanitas University di Rozzano (Milano) e dell'anno accademico -
tre edifici immersi nel verde per complessivi 25 mila metri quadrati e un
investimento di 100 milioni interamente privato (completato, nel 2018 da un
residenza universitaria da 240 posti letto) – hanno costituito l’occasione per
le autorità intervenute di sottolineare l'ormai consolidata capacità, da parte
dell'«ecosistema lombardo», di competere, nelle scienze della vita, con i
maggiori centri accademici del mondo. L’Humanitas ne è un simbolo. I suoi 1.200
studenti (il 44% dei quali stranieri) seguono i corsi di Medicina (in inglese),
Infermieristica e Fisioterapia e le 13 scuole di specializzazione avvalendosi
di docenti tra stanziali e visiting professor - del calibro di Alberto
Mantovani (prorettore), immunologo di fama mondiale, Elio Riboli che rientra a
Milano dall'Imperial College di Londra, e tre premi Nobel: Erwin Neher,
biofisico tedesco (premiato nel 1991), Rolf Zinkemagel, immunologo svizzero
(1996), e Jules Hoffmann, immunologo francese (2011). Fiore all'occhiello del
Campus, presentato dal presidente di Humanitas, Gianfelice Rocca e dal rettore
Marco Montorsi, il "Simulation Lab" (nato grazie a una donazione di
20 milioni del filantropo Mario Luzzatto), uno spazio altamente tecnologico per
sperimentare le conoscenze acquisite sui banchi, con simulazioni
straordinariamente vicine alla realtà. Humanitas, inoltre, sta lavorando con I
bin per l'uso di "Watson" come tutor per gli studenti: è il primo
progetto di applicazione di intelligenza cognitiva volta all'insegnamento della
medicina. Non a caso la Harvard University considera Humanitas tra i 4 ospedali
più innovativi al mondo. (Fonte: V. Salinaro, Avvenire 15-11-17)
UN MIT STILE
AMERICANO O UNA RETE DI ATENEI PER GLI ATENEI DEL SUD?
Il seminario svoltosi alla Svimez il 5 aprile scorso aveva per titolo
“Un Mit per il Mezzogiorno. Ricerca scientifica e sviluppo tecnologico; il
ruolo delle Università e delle imprese meridionali”.
Creare un equivalente del Massachusetts Institute of Technology (Mit)
nel Mezzogiorno ha subito stuzzicato la mia curiosità. Tra l’altro ad alcuni
mesi di distanza dal seminario, in ottobre, è stata avanzata la prospettiva di
creare al Sud un polo tra le università Normale, Sant’Anna e Federico II.
Nei documenti del seminario c’erano anche altre proposte come quella di
creare una rete fra università del Sud Italia. Una struttura dinamica
attraverso cui condividere i progetti benché alcuni relatori abbiano messo in
evidenza l’individualismo di ricercatori e docenti universitari. Individualismo
che, a mio parere, è assolutamente sano vista la fatica e il tempo che c’è
dietro tante ricerche. Vedremo dunque se prevarrà la rete di università o la
creazione di uno o più poli sullo stile Mit. (Fonte: V. D’Angerio, IlSole24Ore
18-12-17)
LA BABELE DELLE
SIGLE PER L’UNIVERSITÀ
Il Parlamento approvò rapidamente e il Presidente della Repubblica
promulgò la legge 240/2010.
Fino ad allora tutte le componenti del sistema universitario avevano
parlato più o meno la stessa lingua, e si capivano. Poi improvvisamente
rettori, senatori e consiglieri cominciarono a fare discorsi del tipo: –
Bisogna procedere celermente alla riorganizzazione della governance, alla
programmazione pluriennale, all’elaborazione dei modelli di distribuzione dei punti
organico, all’organizzazione dei processi di autovalutazione …
I professori iniziarono a parlare più o meno in questo modo:
– ANVUR AVA VQR IRAS IRFS CINECA TECO SUA.
I ricercatori rispondevano:
– RTDA RTDB ASN IRIS LOGINMIUR FFABR.
I tecnici replicavano:
– RUP RSPP DVR DUVRI DPI CONSIP.
Gli amministrativi ribattevano:
– MEPA CUP CIG DURC IPA PROPER PERLAPA ANAC RPCT PTPCT OIV.
E gli studenti obiettavano
– CFU CDL CDLM TEST PEC ARDSU ISEE MAV.
Nessuno ci capiva più una #cippa.
(Fonte: N. Casagli, Roars 19-12-17)
STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO
PRIMA DI CHIEDERE
LE OPINIONI DEGLI STUDENTI SULLE ATTIVITÀ DIDATTICHE SPIEGARE LORO COM’È
ORGANIZZATA L'UNIVERSITÀ
Prescindendo dal giudizio che si dà a un sistema di valutazione basato
su una "istantanea" di un corpo studentesco che frequenta a piacere e
che raramente studia durante il periodo di lezioni, si tratta di domande
importanti. Importanti sono le conseguenze delle risposte, visto che sempre più
spesso i risultati dei questionari sono utilizzati dalle "governance"
degli atenei per assegnare risorse e/o riorganizzare corsi di studio e/o per le
progressioni di carriera. Ma cosa sanno veramente gli studenti dei loro
professori e della loro università? Poco si direbbe. Non deve sorprendere. Il
Paese intero non conosce la sua università. Lo si capisce dai commenti, dai
social network, e anche dalle dichiarazioni di molti politici e dagli articoli
di tanti giornalisti. Non ne conosce la struttura - si parla ancora di istituti
e di facoltà e persino di assistenti universitari che non esistono più da
quarant'anni - né la organizzazione - si parla di ricercatori e in quello
intendendo tutto, dal dottorando, all'assegnista, al post-doc internazionale,
al ricercatore di "tipo A" o di "tipo B", ecc. La
confusione è tanta e il rincorrersi e accavallarsi delle norme sugli accessi e
sulla docenza non aiutano. Circolano idee confuse sulla didattica, e sulla
stessa struttura dell'insegnamento, e quindi anche sui diritti e sui doveri
degli studenti e dei docenti. Poco o nulla si sa dell’amministrazione e della
organizzazione del lavoro del personale tecnico e amministrativo. Le notizie
sugli stipendi dei professori e dei ricercatori e sulla struttura del lavoro
universitario dal reclutamento alla pensione sono contraddittorie. Pagati poco,
pagati troppo, poche tutele, troppi privilegi. Molti luoghi comuni alimentati a
volte dall'ignoranza, a volte dai preconcetti, a volte dalla malizia. Infatti
sarebbe utile, prima ancora di chiedere agli studenti una opinione sui corsi,
spiegare loro come è organizzata l'università. L'università dei capaci e
meritevoli non va sui giornali, ma è in aula e nei laboratori tutti i giorni.
(Fonte: D. Braga, IlSole24Ore 19-12-117)
LE ISCRIZIONI DELLE DONNE
ALL’UNIVERSITÀ
Le
iscrizioni delle donne all’università superano infatti quelle maschili di 36
punti percentuali. Tradotto: per ogni cento maschi iscritti all’università, ci
sono 136 donne. A completare il percorso di studi, peraltro, è il 17,4% della
popolazione femminile, contro il 12,7% dei maschi. Di fatto la popolazione
femminile, soprattutto quella più giovane, è più istruita di quella maschile.
Ma, sorprendentemente, - sono sempre i dati del WEF (World Economy Forum) a
parlare - le donne lavorano meno. La disoccupazione femminile al 12,8% contro
il 10,9% maschile, percentuale che aumenta patologicamente tra i giovani - è
tre volte tanto - e ancora di più tra le giovani donne, visto che la
disoccupazione giovanile femminile è quasi di quattro punti percentuali più
alta di quella giovanile maschile (37,6% a 33,8%). Soprattutto escono molto di
più e molto prima dal mercato del lavoro: per ogni cento “scoraggiati” che non
cercano più lavoro, sessanta sono donne. (Fonte: linkiesta.it 04-11-17)
BORSE DI STUDIO. MAI FINANZIATE
CON IL 3% (RISERVATO AL FIS) DEI SOLDI CONFISCATI ALLA MAFIA
Nel
novembre del 2013 in Parlamento fu approvato un emendamento al decreto
legislativo n. 159 del 6 settembre 2011, meglio noto come Codice delle leggi
antimafia, che vuole dare un segnale preciso nella gestione delle somme
confiscate alle mafie o frutto della vendita dei beni confiscati. La norma
prevede che una piccola parte di queste somme, pari al 3%, sia usata per
finanziare il Fondo integrativo statale (FIS) per la concessione di borse di
studio. Alla voce somme sequestrate alle mafie risultavano 600 milioni. Il che
vuol dire che il 3% - quasi 20 milioni - potevano essere indirizzati al Fondo
per il diritto allo studio finanziando circa 10mila borse di studio. Elisa
Marchetti, coordinatrice nazionale dell’Udu (Unione degli
universitari): «Abbiamo tenuto a risollevare questo problema, perché a distanza
di più di quattro anni non si ha ancora alcuna traccia di questi finanziamenti.
Queste risorse risultano fondamentali per il finanziamento del diritto allo
studio, e oltretutto riteniamo questa vicenda estremamente grave, considerando
che si tratta di un “semplice” trasferimento di risorse, e non di fondi
aggiuntivi per cui si renderebbe necessario trovare conseguenti coperture».
(Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 11-11-17)
UNO STUDIO SU TEST
DI INGRESSO E NUMERO PROGRAMMATO IN UNA UNIVERSITÀ HA RILEVATO UN EFFETTO
POSITIVO SULLE INTERAZIONI TRA STUDENTI E CON I DOCENTI
L’introduzione del test ha portato a una riduzione di circa 14 punti
percentuali del tasso di abbandono degli studenti e a un miglioramento della
media ponderata dei voti di circa un punto, al termine del primo anno di studi.
In sintesi, nel caso da noi analizzato (facoltà di economia all’università di
Salerno) l’introduzione di limiti all’accesso sulla base del test genera
migliori risultati di studenti (e università). Ma questo avviene semplicemente
perché i test hanno selezionato i migliori studenti o perché, essendosi
modificata, la composizione della classe ha permesso una migliore interazione
tra gli studenti e con i docenti? La risposta è cruciale per il disegno delle
politiche sotto molti aspetti. i risultati mostrano che il miglioramento delle
interazioni sociali a livello di classe rappresenta il principale meccanismo
alla base dell’effetto causale dovuto al cambiamento della politica per
l’accesso alla facoltà. Dal punto di vista più generale, il nostro studio
suggerisce che la domanda da porsi non è tanto a quanta mobilità sociale e
uguaglianza delle opportunità si è disposti a rinunciare utilizzando i test, ma
quante risorse si è disposti a mettere in gioco per migliorare la qualità
dell’interazione in classe (infrastrutture, quantità e qualità del personale).
(Fonte: V. Carrieri, M. D'Amato e R. Zotti, lavoce.info 19-09-17)
LA SODDISFAZIONE DEL RAPPORTO CON I PROFESSORI
Secondo i dati
AlmaLaurea, sono i laureati del gruppo scientifico e
dell’insegnamento i più soddisfatti del rapporto con i docenti. L'altra faccia della medaglia è
caratterizzata dai gruppi di Architettura, Giurisprudenza, Medicina e Odontoiatria. E sono proprio gli studenti di
Medicina a guidare la top 5 di chi è meno affezionato ai propri insegnanti: il
24,3% del campione rilevato da AlmaLaurea ha dato un giudizio negativo su di
loro. Solo il 14,6% si reputa contento, molto al di sotto della media, fissata
al 21,7%. Sul podio nella classifica degli studenti più "stressati"
dai professori ci sono quelli del settore giuridico (19,2%)
e di Architettura(19,7%). Quarto e quinto posto per Educazione fisica (15,3%)
e Ingegneria (14,9). Al primo posto tra gli studenti
più soddisfatti, invece, troviamo quelli del settore scientifico (molto
soddisfatto per il 27,7%) poi quelli dell'insegnamento (24.7%) e dell'ambito
letterario (28,3%). Tra i primi cinque anche quelli del settore geo-biologico
(25,5%) e quelli di Agraria (23,5%). (Fonte: A. Carlino, www.skuola.net
30-01-17)
500 MILIONI IN DUE ANNI PER
COMPLESSI RESIDENZIALI PER STUDENTI
Il
colosso americano Hines continua a scommettere sul mercato immobiliare del
nostro Paese.
Hines
punta a investire nel segmento dello student housing circa 500 milioni di euro
nell'arco dei prossimi due anni, finalizzando già nel primo semestre del 2018
le prime due operazioni. Si tratta di un complesso per studenti vicino alla
Bocconi a Milano - in perfezionamento a febbraio - e di un altro progetto a Firenze, entrambi in fase
avanzata. Le due strutture insieme avranno la disponibilità di 1200 posti
letto. (Fonte: IlSole24Ore 04-01-18)
TASSE UNIVERSITARIE
INCHIESTA UDU SULLE TASSE
UNIVERSITARIE
Dall'inchiesta
dell'Unione degli universitari (Udu) risulta che nelle sole università statali
il gettito complessivo della contribuzione a livello nazionale - si legge nel
report - è passato da 1 miliardo e 219 milioni a 1 miliardo e 612 milioni:
quasi 400 milioni in più, ottenuti dagli studenti per coprire la progressiva
diminuzione dei finanziamenti statali per le università. A Lecce le tasse sono
più che triplicate: più 207,47 per cento in 10 anni, equivalente a 633,86 euro
di aumento. Alla Sapienza di Roma la crescita in dieci anni è stata di 702
euro: più 111 per cento. L'aumento alla Statale di Milano ha toccato 510 euro:
più 45 per cento. Firenze è l'unica università italiana con la tassazione in
calo nel decennio (-7,45 per cento). (Fonte: Udu)
NO TAX AREA AL
DEBUTTO. INTERESSATO QUASI UN TERZO DEGLI STUDENTI ISCRITTI
Con il debutto dello “Student act”, nell’anno 2017/18 un iscritto su tre
rientra di diritto nella no tax area,
l’esonero totale dai contributi universitari, previsto dalla legge di Bilancio
del 2017, riconosciuto a chi ha determinati requisiti di reddito e di merito.
Per aver diritto all'esonero totale è necessario essere iscritti non oltre il 1
anno fuori corso e aver maturato un numero minimo di crediti. Proiettando il
numero a fine anno - e dato che il grosso delle autocertificazioni viene
presentato nella seconda metà dell’anno - al 31 dicembre 2017 il totale degli
Isee fino a 15mila euro dovrebbe avvicinarsi a quota 600mila: quasi un terzo
degli oltre 1,6 milioni di iscritti all’università. Dopo il primo anno di corso
per beneficiare dell’esonero non basta però il solo requisito economico, ma
occorre ottenere un certo numero di crediti formativi e non superare il primo
anno fuori corso. Il merito, insomma, può assottigliare un po’ la platea degli
esonerati. (Fonte: Elaborazione del Sole 24 ore su dati INPS, MIUR e forniti
dagli atenei, 04-12-17)
TASSE UNIVERSITARIE. DOMANDE E
RISPOSTE
Le
università non possono chiedere agli studenti tasse superiori al 20%
dell'importo ricevuto dallo Stato come FFO, cioè il Fondo di Finanziamento
Ordinario. Allora come è stato invece possibile, a partire dal 2007, lo
sforamento in decine di atenei? Risponde il presidente della CRUI: «Questo
contenzioso, è bene dirlo, riguarda la situazione fino al 2013. Il limite del
20%, dal 2013 in poi, è stato rimodulato all'ammontare della tassazione dei
soli studenti in corso e non comprensivo dei fuori corso, come prima. Credo che
oggi tutti gli atenei rispettino il tetto. Mi lasci aggiungere una cosa: alcuni
atenei hanno sforato quel 20% perché è diminuito il FFO. Quindi anche a tasse
invariate la percentuale è aumentata». Colpa del Governo, allora? «No, dico
solo che ci sono stati due fattori: da una parte l'indubbio aumento delle
tasse, dall'altro i minori trasferimenti. E il banco è saltato». Secondo l'Udu,
l'Unione degli studenti universitari, nelle università statali il gettito
complessivo della contribuzione a livello nazionale è passato da 1 miliardo e
200 milioni del 2005 a 1 miliardo e 600 milioni di oggi: 400 milioni in più.
Presidente CRUI: «Negli ultimi anni c'è stato un incremento della tassazione
soprattutto per le fasce medio-alte che prima era molto bassa. Questo è stato
anche stimolato dal fatto che dal 2009 a oggi si sono ridotti i trasferimenti
statali di un miliardo. Quasi il 20%, e molti atenei sono andati in affanno e
hanno aumentato le tasse». Non teme che generazioni di studenti restino lontane
dall'Università perché le loro famiglie non hanno i soldi per iscriverli?
«Dalla Finanziaria 2016 è stata introdotta la 'No Tax area', applicata per la
prima volta quest'anno. Chi ha un reddito Isee al di sotto di 13 mila euro non
paga le tasse, cioè l'università è gratuita». (Fonte: N. Femiani, La Nazione
15-11-17)
CONCLUSIONI SU UNA PROPOSTA DI ABOLIRE
LE TASSE STUDENTESCHE
Non
abbiamo la pretesa di dire se l’abolizione (delle tasse universitarie) proposta
da Pietro Grasso (LeU) sia l’unica scelta possibile o se sia la più giusta.
Crediamo, però, che sia doveroso aprire un dibattito sul diritto allo studio e
che non lo si possa fare senza prendere atto dei numeri e dei confronti
internazionali. Un possibile dubbio sulla sostenibilità della proposta riguarda
la capacità del sistema universitario di sostenere adeguatamente il più che
verosimile incremento del numero di iscritti. Una capacità messa a dura prova
da anni di tagli che hanno inciso su un sistema già sotto finanziato. Da questo
punto di vista, l’abolizione delle tasse
dovrebbe essere accompagnata da un adeguato rifinanziamento degli atenei.
Questo significa che il costo reale dell’operazione potrebbe essere decisamente
maggiore degli 1,6 miliardi citati da Pietro Grasso. Un problema cui si
potrebbe ovviare investendo quanto necessario. Se ciò non fosse possibile, si
potrebbe ripiegare su una significativa riduzione delle tasse (soprattutto per
le fasce economicamente più deboli) accompagnata da interventi di potenziamento
delle strutture (residenze, mense) e dell’offerta didattico-scientifica degli
atenei (docenza, aule, laboratori didattici e di ricerca). (Fonte: Roars
08-01-17)
I RAGAZZI NON RESTANO LONTANI
DALLE UNIVERSITÀ PER VIA DELLE TASSE UNIVERSITARIE
Se
oggi la popolazione universitaria italiana e il numero dei laureati sono in
coda alle classifiche europee dipende da
molte cose: la difficoltà del nostro mercato del lavoro; i bassi (talvolta
grotteschi) salari d’ingresso; il costo di studiare e vivere in città diverse
dalla propria, in assenza di adeguate residenze universitarie; la difficoltà
logistiche dell'insegnamento (e alcune pratiche discutibili) di certe grandi università;
l'inadeguatezza accademica di alcuni piccoli atenei locali.
Non
raccontiamoci storie. Non è il livello delle tasse universitarie che tiene
lontano i ragazzi.
Le
tasse universitarie italiane sono, nel complesso, ragionevoli. Toglierle non ha
senso: è demagogia, lasciamola ai politici. Per chi non può permettersele -
stando attenti di non fare un regalo al papà che non dichiara i suoi redditi e
presenta un imponibile risibile! - le università devono prevedere borse di
studio. In una vera democrazia, nessun ragazzo dotato e volonteroso deve
rinunciare agli studi per motivi economici. (B. Severgnini, CorSera 19-01-18)
VARIE
“TRASFORMARE I
SUDDITI IN CITTADINI È MIRACOLO CHE SOLO LA SCUOLA PUÒ COMPIERE” (PIERO
CALAMANDREI)
Dovrebbe levarsi un coro unanime a favore dello Ius Culturae (“diritto legato all’istruzione”, cioè equiparare i
figli di cittadini stranieri minorenni che hanno concluso con successo almeno
un ciclo scolastico in Italia ai loro coetanei), soprattutto da parte delle
istituzioni accademiche. È sorprendente che l’università trovi risalto
mediatico nelle sparute miserie degli abusi di potere e non piuttosto nel
dibattito culturale intorno a leggi come questa. È bene precisare che non
stiamo parlando di regalare la cittadinanza a chiunque arrivi in Italia. Si
tratta piuttosto di un provvedimento per valorizzare chi in Italia è cresciuto
ed è parte integrante di questa società, avendo frequentato il luogo che è per
eccellenza il sinonimo di condivisione ed inclusione, cioè la scuola. Mentre
l’inclusione scolastica è una realtà fino alle superiori, frequentare
l’università è un percorso ad ostacoli per dei ragazzi capaci e meritevoli. I
compagni di banco dei nostri figli, finché minorenni, sono tutelati da un
permesso di soggiorno per motivi familiari. Al compimento del diciottesimo
anno, gli italiani senza cittadinanza divengono stranieri in patria. Queste
persone si trovano di fronte una serie di difficoltà burocratiche enormi. Ad
esempio, è possibile ottenere un permesso di soggiorno di cinque anni, ma solo
dimostrando di avere un impiego fisso. Gli studenti dovrebbero lavorare e
studiare allo stesso tempo, con il risultato che tendono a escludere proprio
quelle facoltà che richiedono un impegno maggiore e presentano anche delle
prospettive di impiego migliore. Qualcuno, poi, arriva a pagarsi di tasca
propria i contributi di un impiego fittizio pur di potersi dedicare allo
studio. (Fonte: M. Bella e M. D’Abramo, FQ 16-12-17)
GLI SCIENZIATI NON
SANNO FARSI CAPIRE?
Quando avvengono le manipolazioni di temi scientifici, un luogo comune
che si ascolta è: "La colpa è degli scienziati, che non fanno alcuno
sforzo per far capire le cose; se ne stanno chiusi nelle loro torri di avorio e
non gli importa di comunicare con le persone comuni". Dunque qualcuno dirà
che gli scienziati nessuno li legge perché non si fanno capire. Calma un
momento. Io diffido in genere quando gli scienziati si fanno capire troppo. Ma
questo è un problema diverso. Certo che se uno scienziato ha studiato venti
anni e scritto per riviste specializzate migliaia di pagine di calcoli e figure
allo scopo di circoscrivere complicati concetti, ipotesi ed esperimenti per
spiegare un fenomeno complesso, è difficile che possa essere esaustivo e brillante
in 5-6 mila caratteri (spazi inclusi). A parte che ha anche disimparato di
solito a scrivere in italiano. Ma il punto vero è che sono necessari adeguati
livelli di alfabetizzazione funzionale per capire certe informazioni o seguire
taluni ragionamenti. Se ben il 30 per cento dei cittadini italiani è
funzionalmente analfabeta, contro il 12 per cento della Finlandia o della
Repubblica ceca - e se un altro 50 per cento verosimilmente rimane al di sotto
delle prestazioni cognitive richieste per capire le complicate dinamiche delle
economie della conoscenza - forse questo avrà un ruolo nel fatto che le persone
non riescono a capire certi argomenti. Al di là degli sforzi che possono fare
gli scienziati. I guru che vanno per la maggiore, che non dicono niente quando
scrivono, invece li capiscono tutti. (Fonte: G. Corbellini, Il Foglio 05-12-17)
IL PAPA ATTIVA LA RETE
UNIVERSITARIA CATTOLICA SUI PROBLEMI DELL’EMIGRAZIONE
«Bisogna
avviare studi sulle cause remote delle migrazioni forzate, con il proposito di
individuare soluzioni praticabili, anche se a lungo termine, perché occorre
dapprima assicurare alle persone il diritto a non essere costrette ad
emigrare». È il mandato concreto che Papa Francesco ha assegnato alle
università cattoliche per approfondire le radici del fenomeno ed individuare
percorsi capaci di limitare l'ondata xenofoba che si sta abbattendo in Europa.
«E’ importante riflettere sulle reazioni negative di principio, a volte anche
discriminatorie e xenofobe, che l’accoglienza dei migranti sta suscitando in
Paesi di antica tradizione cristiana, per proporre itinerari di formazione
delle coscienze». Ricerca accademica, insegnamento e promozione sociale è
quello che il Vaticano spera di attivare nella rete universitaria attraverso
programmi specifici «volti a favorire l’istruzione dei rifugiati, a vari
livelli, sia attraverso l’offerta di corsi anche a distanza per coloro che
vivono nei campi e nei centri di raccolta, sia attraverso l’assegnazione di
borse di studio che permettano la loro ricollocazione». (Fonte: F. Giansoldati,
Il Messaggero 05-11-17)
UN GRANDE SUCCESSO DELLA TERAPIA
GENICA IN ITALIA
La
scienza e la medicina creano prodotti commerciali e occupazione. Quarto, la
ricerca pubblica italiana vince. Noi sappiamo quanta fatica costano i successi
scientifici e quanto ancora e di meglio si può produrre, alimentando una sana
competizione tra idee, lontana anni luce dai venditori di fumo e
dall'autopromozione che lucra su ignoranza, speranza e disperazione. La nostra
ricerca e alcuni nostri scienziati sono la frontiera della conoscenza, malgrado
la miopia di un Paese che dalla ricerca di base, dalla scienza, non solo
rifugge, ma con le decisioni della sua classe politica è incline a creare
ostacoli, dagli Ogm alla sperimentazione animale. In Italia lavorano gruppi che
sono la punta di diamante nel mondo delle staminali, della terapia genica e
della genomica. Terapia genica ha curato una grave malattia, l’epidermolisi
bollosa. È raro che un lavoro terapeutico trovi spazio su Nature. Succede quando
una spettacolare conquista clinica italiana ottenuta all’UniMoRe è costruita su
una straordinaria conoscenza della biologia di base, in questo caso delle
staminali della pelle. È questa la medicina rigenerativa a cui guardare, quella
che procede insieme alla biologia. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 09-11-17)
SULLA RELAZIONE DI CAUSA-EFFETTO
TRA ISTRUZIONE E LAVORO
La
politica europea (e quella del nostro paese) continua, con atteggiamento
“difensivo”, a riproporre ostinatamente una relazione di causa-effetto tra
istruzione e lavoro, sulla scia di un percorso iniziato oramai da quasi 20
anni, che si sta rivelando fallimentare. Risultato: l’educazione continua a
“rimpicciolirsi” e a “professionalizzarsi”, nonostante si tenti di rivestirla
di nuove tecnologie e metodologie didattiche o si “infonda” spirito di
imprenditorialità sui suoi attori (dirigenti, insegnanti e oggi anche studenti)
e l’occupazione, in particolar modo giovanile, non sembra giovarsene in alcun
modo. Una particolare narrativa europea legittimata dalla mondializzazione,
dall’urgenza della crisi, dall’esplosione delle nuove tecnologie di
comunicazione, sembra imporre oggi in maniera “deterministica” l’idea che
l’educazione degli individui sia uno strumento macro-economico di crescita e
aumento della produttività prima di ogni altra cosa. Sebbene l’educazione debba
indubbiamente confrontarsi con questioni inedite e controverse come
l’interculturalità e l’inclusione, la trasformazione degli spazi sociali e
delle modalità di accesso e produzione di contenuti, i nuovi modi di comunicare
e entrare in relazione, essa non può essere semplicemente chiamata a rispondere
e adattarsi a una nuova “organizzazione del mondo”: deve poter contribuire a
ridefinire e modificare la realtà esistente. Non è democratica una società in
cui gli scopi educativi sono prestabiliti, monitorati e pacificamente
catalogati in set di competenze da certificare. È democratica quella società in
cui gli obiettivi dell’educazione sono oggetto di dibattito e di revisione costanti.
(Fonte: R. Latempa, Roars 01-12-17)
RIENTRO DI DOCENTI
E RICERCATORI DALL'ESTERO 2017. I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
I trattamenti economici previsti per lo svolgimento dell'attività
assistenziale presso le aziende ospedaliero-universitarie, non possono essere
considerati redditi derivanti da rapporti aventi ad oggetto attività di docenza
e ricerca. Fa eccezione il caso di un soggetto con esperienza di docenza o
ricerca all'estero, che rientri in Italia per svolgere un'attività di lavoro dipendente
o autonomo. In quest’ultimo caso, il docente (o ricercatore) potrà fare ricorso
al regime speciale per lavoratori rimpatriati (ex art. 16 del D.Lgs 14
settembre 2015, n. 147) per tutti i redditi percepiti. (Fonte:
risoluzione 146/E dell’Agenzia delle entrate https://tinyurl.com/yctzb2m9)
LA GRANDE FUGA DAL
SUD DI MEDICI, DOCENTI E STUDENTI
Il sociologo Adolfo Scotto di Luzio, in un editoriale per Il Mattino, ha
tratteggiato il quadro della situazione attuale. In base alle statistiche entro
il 2050 avranno abbandonato le aree del Sud 5 milioni di giovani. Medici,
studenti universitari e, naturalmente, insegnanti sono alcuni dei protagonisti
della nuova presenza meridionale nelle città dell’Italia del Centro-Nord. Dal
Sud al Nord, gli italiani si muovono innanzitutto alla ricerca dell’efficienza.
La nuova migrazione interna mette così in gioco dimensioni complesse che
riguardano l’organizzazione e la qualità dei servizi, la sanità, innanzitutto,
il sistema di istruzione, l’aspirazione a veder riconosciuto il proprio
talento. La nuova emigrazione meridionale torna ad essere, proprio com’era dei
contadini che abbandonavano il Mezzogiorno più di cento anni fa, un
pronunciamento contro la società dalla quale si separano. È letteralmente un
voto contro il Sud. Contro la corruzione e l’inettitudine delle sue classi
dirigenti, contro le strutture clientelari che reggono i rapporti nella sfera
professionale. Se le migrazioni interne hanno ripreso così intense il loro
corso è dunque conseguenza del fatto che il Sud, in questi vent’anni di vita
pubblica italiana, è letteralmente scomparso alla coscienza del Paese. Ed è ora
di invertire la rotta. (Fonte: A. Carlino, Tecnica della Scuola 10-12-17)
RUOLO DEL CORPO
TECNICO E AMMINISTRATIVO OPERANTE NELL’AMMINISTRAZIONE UNIVERSITARIA
L’articolo
su Altalex “La tecnoburocrazia nelle Università” ha come obiettivo di mettere in trasparenza e nella giusta evidenza il
ruolo del corpo tecnico e amministrativo
operante nell’amministrazione universitaria, a fronte di un deficit di
visibilità all’esterno dei contesti accademici. Di seguito le conclusioni.
Le attività propriamente e strettamente accademiche costituiscono
l’elemento finalistico e fisiologico dell’istituzione universitaria, giova
ripeterlo e mai dimenticarlo, ma dinanzi agli artt. 1 e 4 comma 2° della nostra Carta Costituzionale, tutti i lavori
hanno la stessa dignità e decoro se ottemperano al dovere di attività
socialmente utili e produttive che in quanto tali concorrano al progresso materiale o spirituale della
società. Il lavoro del PTAA, sia per la sua natura pubblica, sia per la sua
effettiva incidenza nei processi economici e nei procedimenti amministrativi
non può che rientrare ampiamente tra queste attività. I Rettori cambiano, i
Direttori Generali cambiano, i vertici degli organi collegiali di indirizzo
politico cambiano, ma la Tecnoburocrazia è lì, vigile diligente e
ossequiosa nel garantire la continuità
dell’azione amministrativa. È difficile pensare che gli obiettivi di sviluppo
degli Atenei possano essere realizzati senza il coinvolgimento e la
partecipazione della sua Tecnoburocrazia che è componente strutturale e come
tale intrinsecamente strategica delle istituzioni universitarie. (Fonte: C.
Amiconi, Altalex 15-12-17)
UNIVERSITÀ IN ITALIA
UNIBO. UN POCO DI STORIA
L’Università
di Bologna, l’Alma Mater Studiorum, vanta due primati. Innanzi tutto è la più
antica del mondo occidentale, fondata nel 1088. E poi ha aperto la strada per
l’insegnamento. È da tutti riconosciuta come il più prestigioso ateneo italiano
nonché uno dei simboli più celebri di Bologna. È grazie alla presenza della sua
università, infatti, che il capoluogo dell’Emilia-Romagna è passato alla storia
coma “Bologna La Dotta”. Si deve a Giosuè Carducci l’anno preciso della sua
nascita, concordato tramite una commissione istituita nel 1888 di cui era
presidente, nonostante le prime edizioni note di statuti universitari risalgano
al 1317. Durante l’XI secolo la situazione politica era segnata dalla forte
influenza di Chiesa e Monarchia. A Bologna si sentiva l’esigenza di favorire lo
sviluppo di un’istruzione libera, che si distaccasse dalle scuole di stampo
ecclesiastico. Furono gli stessi studenti che si organizzarono autonomamente
scegliendo i maestri più prestigiosi: tra questi il giurista Irnerio,
considerato il primo studioso di fama internazionale dell’Università. Se
inizialmente era il Comune che garantiva la continuità delle lezioni, dopo l’intervento
di Federico Barbarossa con la Constitutio Habita del 1158 l’ateneo fu
riconosciuto come luogo di ricerca. E per questo indipendente dall’autorità
politica. Vi erano insegnati soprattutto grammatica, retorica, logica e diritto
fino a quando, dal XIV secolo, agli studi giuridici si affiancarono quelli di
stampo medico, filosofico e matematico oltre che teologico. (Fonte: F. Giurato,
La Stampa Viaggi 13-11-17)
UNIBO. 14 DIPARTIMENTI, SU 15
CHE AVEVANO FATTO RICHIESTA, PREMIATI DAL FONDO PER I DIPARTIMENTI ECCELLENTI
PREVISTO DALLA LEGGE DI BILANCIO 2017
Un
risultato che porterà ai dipartimenti UniBo selezionati un finanziamento
totale, in cinque anni, di 113,8 milioni di euro. Gli eccellenti Unibo
selezionati dal ministero sono quelli di Architettura, Chimica Ciamician,
Filologia classica e italianistica, Ingegneria civile chimica ambientale e dei
materiali, Ingegneria dell'energia elettrica e dell'informazione Marroni,
Lingue letterature e culture moderne, Psicologia, Scienze aziendali, Scienze biomediche
e neuromotorie, Scienze economiche, Scienze giuridiche, Scienze mediche
veterinarie, Scienze politiche e sociali, Scienze e tecnologie agroalimentari.
In quattro aree l'UniBo riesce a piazzare ben due dipartimenti tra gli ammessi
ai finanziamenti: Scienze agrarie e veterinarie, Ingegneria civile e
architettura, Scienze dell'antichità e Scienze economiche e statistiche.
(Fonte: corrieredibologna.corriere.it 10-01-18)
UNIBO. L'ALMA
MATER È PRIMA IN ITALIA PER SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE NEL RANKING GREENMETRIC
L'Università di Bologna è il primo ateneo in Italia per attenzione ai
temi della sostenibilità ambientale. A certificarlo è la nuova edizione del
ranking GreenMetric, la classifica che valuta le politiche e le azioni “green”
messe in campo dalle università di tutto il mondo. Nell'edizione 2017 del
ranking, appena pubblicata, l'Alma Mater conquista la prima posizione in
classifica tra gli atenei italiani, con un passo in avanti decisivo dopo il
secondo posto dello scorso anno. Ma ancora più rilevante è il posizionamento a
livello mondiale. Nella classifica generale, infatti, Unibo scala in un solo
anno ben 42 posizioni, passando dal 71° al 29° posto e raggiungendo così la top
50 mondiale delle università green. Il balzo in avanti arriva a pochi mesi dalla
firma dell’accordo che ha assegnato all’Alma Mater il ruolo di coordinatore
nazionale del gruppo di università italiane che partecipano a GreenMetric.
Lanciato da Universitas Indonesia nel 2010, GreenMetric ha l’obiettivo di
coinvolgere le università di tutto il mondo ponendo l'accento sui temi della
sostenibilità e del rispetto per l’ambiente. (Fonte: magazine.unibo.it
15-12-17)
UNIBO. UN ARGINE AL TURISMO
UNIVERSITARIO. UNIBO SELEZIONERÀ CHI VUOLE RIENTRARE PER TERMINARE GLI STUDI
Per
aggirare il test di medicina è nato un mercato parallelo di agenzie
specializzate che offrono costosi trasferimenti in Paesi dell'Est Europa. Per
il rientro in Italia alcune (ex)facoltà di medicina come a Bologna fanno una
rigida selezione, altre invece accolgono studenti italiani con preparazioni
alla bulgara o alla romena. Festi (UniBo): "Da quest'anno arginiamo il
turismo universitario" senza una base di teoria. «Mediamente la qualità è
più bassa, la didattica sul piano teorico è buona ma è solo teorica: spesso la
preparazione è claudicante. Molti studenti sono tornati con una montagna di
crediti in attività curriculari, tirocini su tirocini, ma tutte questa
operosità non corrisponde a una reale formazione». Mentre il MIUR conferma che
non hanno alcuna validità questi titoli, ogni anno qualcuno si infila nei posti
messi a disposizione dai singoli atenei. Come fanno? «Credo che abbiamo i dati
statistici di quelli più "accoglienti" e provano a spedirli. Il
Consiglio di Stato ha stabilito che non possiamo mettere un freno agli
spostamenti dentro e fuori l'Europa, il punto è selezionare i più meritevoli».
I genitori hanno evocato un «diritto allo studio negato» in Italia a causa del
numero chiuso. «Lo sbarramento con le 60 domande scritte per tutti ha creato
certamente un fenomeno nuovo, ma faccio fatica a pensare un sistema diverso. Esiste
da 15 anni e in tutti i Paesi del mondo, per chi vuole fare medicina, si è
adottato un criterio di selezione obbligatorio. Un dottore preparato presuppone
una buona preparazione che significa anche un numero congruo di docenti, aule,
laboratori e didattica. Per questo noi ne accettiamo 320 ogni anno, non uno di
più». (Fonte: La Stampa 13-11-17)
MILANO-BICOCCA
ADOTTA E4JOB, LA CERTIFICAZIONE INFORMATICA CHE CONIUGA CULTURA E TECNOLOGIA
Milano-Bicocca adotta e4job -
Cittadinanza Digitale, la certificazione informatica che permette agli studenti
di avere una marcia in più in ambito lavorativo. Si tratta di un percorso
formativo completamente in e-Learning per imparare a utilizzare criticamente i
social network e a gestire i Big Data, per poi spendere queste competenze in
ambito professionale. La certificazione
Ideata da AICA – Associazione Italiana per l’Informatica e il Calcolo
Automatico - permetterà agli studenti di acquisire e consolidare le competenze
necessarie per affrontare il mondo del lavoro, sempre più orientato
all’integrazione delle tecnologie digitali. E4job – Cittadinanza Digitale è
basata sullo schema delle competenze definite nell’European e-Competence
Framework (e-CF), un framework di riferimento delle competenze ICT spendibile a
livello internazionale. (Fonte: www.innovationpost.it 05-12-17)
POLITO. ANNUNCIATE
180 ASSUNZIONI
Il 2018 sarà un anno di assunzioni per il Politecnico di Torino.
L'ateneo ha deciso di stabilizzare 80 tra impiegati e tecnici che finora hanno
lavorato con contratti a termine. Il Politecnico ha potuto fare questa
operazione grazie a una legge che consente di contrattualizzare a tempo
indeterminato i vincitori di concorsi che in passato non avevano trovato un
posto fisso. Nel frattempo, il Poli continuerà ad assumere ricercatori.
Quest'anno i posti messi a bando sono stati oltre 80, L'anno prossimo
dovrebbero salire a un centinaio circa grazie al piano straordinario dedicato
ai giovani studiosi varato dal Governo. Circa un terzo dei posti sarà per
ricercatori " di tipo B", che cioè tra tre anni potranno diventare
professori associati, mentre i restanti saranno contratti a tempo determinato
(come prevede la legge) di durata triennale, prorogabili di due anni. (Fonte: torino.repubblica.it 27-12-17)
UE. ESTERO
THE DIVIDE BETWEEN
HIGHER EDUCATION SYSTEMS THAT INCREASE PUBLIC FUNDING AND THOSE THAT REDUCE
INVESTMENT IS GETTING WIDER IN EUROPE
Only 14 systems had higher funding in 2016 than in 2008 and 8 of those
have a faster growth in student populations compared to the increase in
funding. 19 systems still had lower levels of direct public funding than at the
time of the financial crisis. The EUA (European University Association) Public
Funding Observatory’s long-term analysis over 2008-16 indicates that systems
such as Austria, Germany and Sweden show sustainable investment patterns,
characterised by both significant and sustained funding growth. Other systems feature
more limited, slower investment in “more of an austerity context” – these
include Denmark, France and the Netherlands. There are a series of systems which have continued disinvesting throughout the
period, such as Italy, Spain and Latvia. During a webinar discussing the
findings, Thomas Estermann, EUA’s director for governance, funding and public
policy development, said on Wednesday: “We still have 19 systems with lower
funding in 2016 than in 2008, and that shows this is a very challenging situation
and it takes a very long time to catch up. We really would like to make a
drastic call for change and encourage national funders to step up investment,
really invest, but also invest at the European level, particularly in the
period where we discuss the next level of European framework funding. Otherwise
we will not have a higher education and research area that is competitive at an
international level.” (Fonte: B. O’Malley, www.universityworldnews.com 14-12-17)
CONSOLIDATOR
GRANTS ASSEGNATI DELL’EUROPEAN RESEARCH COUNCIL
Sono stati selezionati e hanno vinto grant fino a 2 milioni di euro 329
progetti (il 13% di quelli presentati). Per la maggior parte (46%) il successo
ha arriso ai progetti in fisica e ingegneria; il 31% dei grant è andato a
progetti in scienze della vita e il 23% a progetti in scienze sociali e
umanistiche. I dati più interessanti, per quanto riguarda il nostro Paese, sono
quelli della distribuzione per nazionalità dei vincitori. Ebbene, in termini
assoluti i nostri ricercatori - con 33 progetti vincitori - sono secondi solo
ai colleghi tedeschi (55 vincitori). Ma tenuto conto che in Germania la
comunità scientifica è almeno quattro volte superiore a quella italiana e,
soprattutto, è più ricca, potendo contare su investimenti rispetto al Pil del
2,9%, contro l’1,3% dell’Italia, possiamo ben dire che, in termini relativi,
gli italiani sono primi. D’altra parte, anche in termini assoluti, hanno
preceduto francesi e inglesi, che, ancora una volta, sono in comunità ben più
numerose e ricche di quella italiana. Dunque, i ricercatori italiani si sono
dimostrati i più bravi di tutti. Non è la prima volta. Ma su 33 italiani
vincitori, ben 19 (il 58%) andranno a lavorare all’estero. In nessun altro paese
l’esodo è stato così imponente sia in termini assoluti sia in termini relativi.
(Fonte: P. Greco, www.strisciarossa.it 10-12-17)
INVESTIMENTI IN
EDUCAZIONE SUPERIORE E IN R&S NELLA COMUNITÀ EUROPEA
Nella Comunità europea si possono distinguere quattro aree: teutonica
(la Germania e i Paesi dell’Europa settentrionale), anglo-francese (Francia e
Gran Bretagna), mediterranea (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia), orientale
(la Polonia e i paesi ex comunisti entrati nell’Unione). La quantità
d’investimenti nell’educazione superiore è molto diversa tra i diversi
Paesi: nell’area teutonica, dove ancora regge la competitività nel mondo
globalizzato, si spendono 635 dollari per abitante, contro i 489 dell’area
anglo-francese, i 340 dell’area mediterranea e i 202 dell’area orientale.
Nell’Europa settentrionale si spende dunque il doppio per l’università rispetto
ai paesi mediterranei e il 30% in più rispetto all’area anglo-francese. L’area
teutonica, inoltre, investe in R&S 162 miliardi di dollari l’anno, una
cifra superiore del 53% a quella dell’area anglo-francese e addirittura del
245% a quella dell’area mediterranea. L’investimento in ricerca nell’area
teutonica è, in media, pari al 2,8% del PIL (come gli Stati Uniti), mentre si
scende al 2,0% nell’area anglo-francese e all’1,2% nell’area mediterranea.
Nell’area teutonica gli investimenti in ricerca scientifica e sviluppo
tecnologico sono dunque di oltre il 130% superiori a quelli dell’Italia o della
Spagna.
Inoltre nell’area teutonica vi sono otto ricercatori ogni 1000 abitanti,
il doppio di quelli dei Paesi mediterranei. Data questa disparità
nell’investimento e nel numero di ricercatori, non sorprende che la quantità di
articoli pubblicati nel 2012 dagli scienziati dell’area teutonica (2530 per
milione di abitanti) superi del 55% il numero di articoli prodotti nell’area
mediterranea (1635) e del 18% quelli prodotti nell’area anglo-francese. E neppure
dovrebbe sorprendere che i Paesi teutonici esportino beni e servizi ad alta
tecnologia per un valore che nel 2012 è stato di 337 miliardi di dollari: pari
al 5,8% del PIL, contro il 2,6% del PIL dell’area anglo-francese (190 miliardi)
e l’1,0% del PIL dell’area mediterranea (37 miliardi). Anche per la capacità
d’innovazione troviamo una situazione analoga: nell’area teutonica in un anno
si producono 254 brevetti per milione di abitanti, cioè 2,4 volte più che
nell’area anglo-francese e addirittura 5,4 volte più che nell’area
mediterranea. (Fonte: F. Sylos Labini, Roars 06-12-17)
IL CONSIGLIO EUROPEO DELLA RICERCA (CER) HA ASSEGNATO SOVVENZIONI CONSOLIDATOR
GRANTS A OLTRE 300 RICERCATORI DI TUTTA EUROPA
Il CER ha
annunciato ieri l’assegnazione delle sovvenzioni Consolidator Grants a favore
di 329 migliori ricercatori in tutta Europa. Il
finanziamento, che fa parte del programma Orizzonte 2020 dell’UE, vale
complessivamente 630 milioni di euro. «Il programma Orizzonte 2020» ha
affermato Carlos Moedas, commissario per la Ricerca, la scienza e
l’innovazione,«finanzierà 329 nuove sovvenzioni CER con 360 milioni di euro per
promuovere l’eccellenza e la competitività scientifica dell’UE. Queste
sovvenzioni contribuiscono ad aumentare l’attrattiva dell’Ue come luogo di
ricerca e innovazione. Sono inoltre lieto di constatare che la quota di
sovvenzioni assegnate alle ricercatrici è in aumento nei concorsi del CER. C’è
ancora molto da fare, ma è stata sempre mia ambizione compiere ogni sforzo
possibile per raggiungere la parità di genere nel campo della ricerca e
dell’innovazione». “I beneficiari” afferma il CER “realizzeranno i loro progetti
presso università e centri di ricerca in 22 paesi diversi in tutta Europa. In
questo concorso, i ricercatori di 39 nazionalità hanno ricevuto finanziamenti,
tra cui in particolare tedeschi (55 borse di studio), italiani (33), francesi
(32) e britannici (31).
EU. AL VERTICE
EUROPEO EMMANUEL MACRON È RIUSCITO A FAR PASSARE IL PROGETTO SULLE UNIVERSITÀ
EUROPEE
Il 26 settembre, tra le 12.636 parole pronunciate nel discorso
sull'Iniziativa per l'Europa, il presidente francese Macron aveva proposto la
"creazione di università europee che saranno una rete di università di
diversi Paesi" con l'obiettivo di "costruirne di qui al 2024 almeno
una ventina". Alla Sorbona Macron aveva indicato lo stesso orizzonte
temporale per far sì che tutti gli studenti parlino "almeno due lingue
europee". Nelle conclusioni del Vertice, i capi di stato e di governo
dell'Ue hanno deciso di "incoraggiare l'emergere entro il 2024 di circa 20
‘Università europee', che consisteranno in una rete di atenei attraverso l'Ue
che permetterà agli studenti di ottenere una laurea combinando gli studi in
diversi paesi dell'Ue". Inoltre, i leader europei intendono
"rafforzare l'apprendimento linguistico, in modo che più giovani parlino
almeno due lingue europee oltre alla propria lingua madre". (Fonte: D.
Carretta, Il Foglio 15-12-17)
EU. LA COMMISSIONE
EUROPEA APRE AI TIROCINI EXTRA UE PER GLI STUDENTI
Dal 2018, la Commissione Europea darà un contributo più ricco, pari a
700 euro mensili, agli studenti in partenza verso mete fuori dall’UE, e 850 euro
mensili agli stranieri in entrata.
Inoltre, dal prossimo anno accademico, gli studenti europei, oltre a
viaggiare per attività di studio, avranno la possibilità di svolgere un
tirocinio in un Paese del resto del mondo. Si tratta dell’International Credit Mobility, inserita dalla Commissione Europea
nel Programma Erasmus+ e affidata alle Agenzie nazionali dal 2015. Si tratta di
un’azione per l’Istruzione Superiore nata con l’intento di valorizzare e
finanziare principalmente le mobilità verso il nostro continente. Nel
2015-2016, ha coinvolto 26.250 tra studenti e staff accademico, di cui 18.852
ospitati in Atenei europei, provenienti soprattutto dai Paesi del Partenariato
Orientale, dai Paesi del Sud Mediterraneo, dai Balcani, dall’Asia e dalla
Federazione Russa. L’Italia ha contribuito con 2.255 mobilità, di cui 605 in
uscita e 1.650 in entrata. Gli studenti coinvolti sono stati 1.443, di cui
1.139 in mobilità presso i nostri Atenei e provenienti soprattutto da Ucraina,
Cina, Russia, Serbia e Marocco. I 304 partiti hanno scelto per lo più la
Federazione Russia, Marocco, Stati uniti, Tunisia e Canada. (Fonte: L.
Silvestri, www.indire.it
20-12-17)
DENMARK. A NEW
MODEL FOR UNIVERSITY FUNDING
The Danish parliament has agreed a new model for university funding,
placing less emphasis on the taximeter model in which institutions are awarded
funds based on the number of students who have graduated and introducing
elements of funding based on quality and outcomes. At stake is each
institution’s share of the DKK13 billion (US$2 billion) higher education
budget, affecting 270,000 students. The agreement, which was passed unopposed,
means that from January 2019 higher education institutions will be financed by
a basic allocation of 25% fixed upon the present budget level, an activity
allocation of 67.5% and an outcome-oriented allocation of 7.5%. After four
years 5% of the basic allocation will be dependent on quality achieved,
measured using a research-based model of quality assessment, and another 5% of
the basic allocation will be dependent on having fulfilled strategic contracts.
The quality funding will be allocated after “political prioritising”. The basic
budget component will be fixed until 2023 when it will be renegotiated. (Fonte:
universityworldnews.com 01-12-17)
GERMANIA. COME FUNZIONA
L’ISCRIZIONE ALL’UNIVERSITÀ
In
Germania l’iscrizione all’università è legata al pagamento del cosiddetto
semesterticket, un abbonamento ai mezzi pubblici della regione/stato (Land) che
costa normalmente meno di 200 euro e dura 6 mesi. Il costo, se prendiamo
Berlino e il Brandeburgo, è di 180 euro, meno di quanto costerebbero due mesi
di biglietto per i lavoratori (ogni mese per la zona Abc costa 100,50 euro). Il
valore complessivo dell’offerta di ogni regione tedesca ai propri studenti
universitari va quindi ben oltre la semi-gratuità dell’università e riguarda
anche un grosso sconto sui trasporti. Chi poi non se lo può permettere, e in
questo caso lo stato sociale sostiene non solo gli studenti, ma tutti i
cittadini europei residenti in Germania sotto una certa soglia di reddito e
ricchezza (si, guardano anche il conto in banca!), ha diritto anche a un
alloggio sostenuto dallo Stato.
Gli
universitari in Germania però sono soprattutto (non solo, del resto ogni mondo
è Paese) persone motivate. L’intero sistema scolastico tedesco – non perfetto,
per carità – è costruito selezionando e indirizzando i percorsi di ogni giovane
fin dalla tenera età. Ha alcune differenze a seconda del Land, ma di base si
può dire che all’università ci arriva solo chi, già da quando ha nove anni, ha
dimostrato con i voti e ha confermato con la volontà di non volere seguire un
percorso da istituto tecnico/professionale. Cambiare in corsa è molto
difficile. E così, chi rimane alla fine della scrematura viene completamente
sostenuto da uno Stato che, come dimostrano i numeri della disoccupazione
(ferma al 5,5% a dicembre 2017) ha bisogno di lavoratori, in particolare modo
giovani e preparati, tanto che la percentuale di giovani che cercano lavoro in
Germania è la più bassa di tutta l’Ue: 6,6%. (Fonte: A. D’Addio, www.wired.it/
09-01-18)
FRANCIA. L’ORIENTAMENTO
STUDENTESCO PER L’UNIVERSITÀ GIÀ DALLE SCUOLE SUPERIORI
Emmanuel
Macron cerca di introdurre il numero chiuso nelle università francesi. Un lungo
dibattito che vede al centro il problema del sovraffollamento negli atenei e
che i precedenti governi tentarono di risolvere già negli anni 80. La riforma
presentata dal premier Edouard Philippe e dalla ministra dell’Istruzione
Frédérique Vidal cerca di sciogliere lo spinoso problema introducendo
l’orientamento studentesco già dalle scuole superiori, per indirizzare gli
studenti verso i percorsi di studio più attinenti ai loro personali requisiti e
inclinazioni. Gli insegnanti dovranno accompagnare gli studenti nel loro
percorso verso l’università, aiutandoli a scoprire le proprie inclinazioni.
Inoltre, per essere ammesso lo studente dovrà soddisfare una serie di
prerequisiti stabiliti dalle facoltà.
Chi
poi volesse continuare un percorso diverso da quello consigliato può farlo
frequentando dei corsi di perfezionamento che possono durare fino a un anno. “È
un modo di fare una selezione senza ammetterlo”, sostiene Lila le Bas, la
presidente della principale associazione studentesca francese, l’UNEF.
Interpellato sulla questione dai media francesi, Macron ha dichiarato: “Faremo
in modo che la gente smetta di credere che l’università sia la soluzione per
tutti. E non estrarremo più la gente a sorte”. (Fonte:
catania.liveuniversity.it 31-10-17)
PORTOGALLO. NUOVO
REGOLAMENTO DELL’AGENZIA DI VALUTAZIONE FCT
«La valutazione della qualità scientifica […] si concentrerà sulla
qualità piuttosto che sulla quantità. In questo contesto, le unità saranno chiamate
ad identificare la produzione scientifica che considerano più significativa,
piuttosto che all’esibizione di elenchi completi di pubblicazioni o riferimenti
a indicatori bibliometrici […] La valutazione presuppone ciò che è raccomandato
in memorandum e documenti come la Dichiarazione di San Francisco della Società
di biologia cellulare americana sulla valutazione dell’attività di R&S del
dicembre 2012, e le Raccomandazioni della Commissione su Deutsche Scientific
Self-Regulation in Science Forschungsgemeinschaft (DFG) del settembre 2013, e
tiene conto delle obiezioni all’utilizzo diretto di indicatori bibliometrici
espresse nel “Manifesto di Leida sull’uso delle metriche nella valutazione
scientifica” dell’Aprile 2015. Ciò al fine di
consolidare nella comunità scientifica portoghese il concetto che
l’impatto accademico, scientifico, sociale, economico, delle pubblicazioni
scientifiche è molto più importante del loro riflesso negli indici
bibliometrici o della sede di pubblicazione.» Sono frasi tratte dal nuovo
regolamento varato dal direttivo dell’agenzia nazionale per il finanziamento e
la valutazione del sistema della scienza e della tecnica. A rinsavire e ad
allinearsi con gli standard internazionali non è però l’ANVUR, bensì l’FCT,
l’agenzia portoghese Fundação para a
Ciência e a Tecnologia. (Fonte: Roars 21-12-17)
UK. STUDENTI STRANIERI E
IMMIGRATI RENDONO 10 VOLTE QUEL CHE COSTANO
Una
infografica pubblicata dal Financial Times rappresenta l’apporto degli studenti
e degli immigrati (dall’Unione europea e non) all’economia britannica. Ben 23
miliardi di sterline a fronte di 2,3 miliardi di costi stimati. (Fonte: Il
Sole24Ore 11-01-18; London Economics)
USA. UNEQUAL SALARIES AND 37
DIFFERENT DESIGNATIONS FOR POSTDOCTORAL WORKERS
A
group of scientists is calling for United States institutions to sort out their
chaotic postdoc system, which sees workers receive unequal salaries and
training opportunities simply because of their job titles. There are 37
different designations for postdoctoral workers in the US – 36 too many, says a
team of biomedical researchers, writes Katrina Kramer for Chemistry World.
Postdocs often struggle with poor job security and hourly earnings often below
minimum wage. What should be a time of training often becomes a permanent
arrangement in which postdocs continue working under changing designations. To
make matters worse, postdocs working at the same institution often have
disparate salaries and benefits. (Fonte: universityworldnews.com 03-11-17)
USA. PRESTITI STUDENTESCHI. IL
PROBLEMA DEL RECUPERO CREDITI
Fu
iI presidente L. Johnson nel 1965 a introdurre i prestiti studenteschi,
decisivi nel permettere l’accesso ai college a tanti studenti meritevoli ma
senza il capitale necessario a pagarsi gli studi. L’idea era semplice e ha
funzionato per decine di anni: banche e finanziatori autorizzati (poi dal 2010,
direttamente ed esclusivamente il governo federale) fornivano allo studente i
soldi necessari all’iscrizione e al mantenimento per tutti gli anni di studio.
Una volta laureati e ottenuto un lavoro in linea con la laurea ottenuta, quegli
stessi studenti si impegnavano per 10 o 20 anni a ripagare interamente il
debito a tassi di interesse ridotti. Già dalla metà degli anni Novanta però,
qualcosa è iniziato ad andare storto. La crescita dei salari si è interrotta,
il costo della vita è aumentato e sempre meno laureati sono riusciti a
raggiungere gli standard qualitativi sperati al momento dell’iscrizione
all’università. Di conseguenza, meno laureati sono riusciti a restare al passo
con la restituzione del prestito. Già 20 anni fa, il ‘buco’ nelle casse
federali e degli enti privati prestatori era superiore al miliardo di dollari.
Si decise quindi di mettere in atto politiche più aggressive di recupero
crediti. A oggi ben 20 stati americani sospendono le licenze lavorative o la
patente a chi non è in regola con il pagamento del proprio debito studentesco.
L’effetto è spesso paradossale: professionisti che non riescono a pagare i
propri debiti vengono puniti perdendo il lavoro, eliminando quindi ogni
possibilità residua di riprendere i pagamenti. La questione sta, finalmente,
attraendo anche l’attenzione della politica locale e nazionale. Nel 2015, in
Montana, una legge bipartisan ha vietato la revoca delle licenze di lavoro e lo
stesso è accaduto lo scorso anno sia in New Jersey che in Oklahoma. La
situazione si è definitivamente complicata quando le autorità governative si
sono sostituite a banche e assicurazioni nell’emissione del credito. Senza
l’intermediazione degli attori finanziari classici, il recupero crediti si è
trasformato in una ‘guerra’ tra ex studenti debitori e tutti gli altri
contribuenti. (Fonte: M. Morini, IlBo 21-11-17)
CHINA. CHINA HAS OVERTAKEN THE
USA IN TERMS OF THE TOTAL NUMBER OF SCIENCE PUBLICATIONS BUT USA RANKED THIRD
AND CHINA FIFTH FOR THE MOST HIGHLY CITED PUBLICATIONS
For
the first time, China has overtaken the United States in terms of the total
number of science publications, according to statistics compiled by the US
National Science Foundation (NSF). The agency’s report, released on 18 January,
documents the United States’ increasing competition from China and other
developing countries that are stepping up their investments in science and
technology. Nonetheless, the report suggests that the United States remains a
scientific powerhouse, pumping out high-profile research, attracting
international students and translating science into valuable intellectual
property.
The
shifting landscape is already evident in terms of the sheer volume of
publications: China published more than 426,000 studies in 2016, or 18.6% of
the total documented in Elsevier’s Scopus database. That compares with nearly
409,000 by the United States. India surpassed Japan, and the rest of the
developing world continued its upward trend. But the picture was very different
when researchers examined where the most highly cited publications came from.
The United States ranked third, below Sweden and Switzerland; the European
Union came in fourth and China fifth. The United States still produces the most
doctoral graduates in science and technology, and remains the primary
destination for international students seeking advanced degrees — although its
share of such students fell from 25% in 2000 to 19% in 2014, the report says.
The United States spent the most on research and development (R&D) — around
US$500 billion in 2015, or 26% of the global total. China came in second, at
roughly $400 billion. But US spending remained flat as a share of the country’s
economy, whereas China has increased its R&D spending, proportionally, in
recent years. (Fonte: www.nature.com
09-01-18)
LIBRI. RAPPORTI. SAGGI
SALVARE L’UNIVERSITÀ ITALIANA
Autori: Gilberto Capano, Marino Regini e
Matteo Turri. Ed. Il Mulino 2017.
Il
tema, che grazie a recenti indagini empiriche sta finalmente uscendo dai
confini angusti degli addetti ai lavori, è qui affrontato, mettendo insieme le
diverse competenze degli autori, con un approccio interdisciplinare, in quanto
ritenuto indispensabile per capire meglio i problemi e disegnare soluzioni
coerenti ed efficaci. Proprio di contro alla molteplicità di dati che emergono
dalle indagini sopra richiamate, gli autori denunciano innanzitutto una
“relativa povertà delle interpretazioni che circolano nel dibattito pubblico”,
che appare imbrigliato tra opposte posizioni/narrazioni, esito di aprioristiche
convinzioni, divise tra l’ostilità preconcetta al cambiamento e l’apertura
fideistica a ogni novità.
Gli
autori dichiarano che il loro intento è, invece, quello di proporre una
interpretazione della situazione, “indubbiamente preoccupante”, dell’Università
italiana, fondata su alcune soluzioni chiare e comprensibili anche ai non
addetti ai lavori. Nello specifico, il volume si articola in tre parti. La
prima, introduttiva, ripercorre i principali aspetti della crisi e mostra come
questa sia la conseguenza di una serie di cause, in primis e soprattutto
l’assenza di una chiara strategia-paese sull’Università e dell’incapacità della
classe dirigente di guidarne l’evoluzione. Successivamente, vengono esaminate
le colpe dei diversi attori operanti nel settore: gli atenei e i professori, ma
anche il modo in cui il dibattito sull’Università si è andato sviluppando
intorno a parole-chiave come “mercato, competizione, gestione manageriale,
eccellenza, merito, valutazione”. Un dibattito che ha registrato una
divaricazione netta fra gli alfieri della logica neoliberale, da un lato, e
soprattutto gli umanisti, dall’altro, che, richiamandosi ai valori della sinistra
tradizionale, tendono a contrapporsi a ogni processo di trasformazione. (Fonte:
A. Spera, Il Mulino 23-11-17)
OGNI GIORNO. TRA
SCIENZA E POLITICA
Autori: Elena Cattaneo, José De Falco, Andrea Grignolio. Ed. Mondadori.
Collana Saggi 2016. 216 pg.
Elena Cattaneo, biologa famosa in tutto il mondo per i suoi studi sulla
corea di Huntington, una malattia neurologica causata da un gene mutato, non
dimenticherà mai le parole dell'allora presidente della Repubblica, Giorgio
Napolitano, quando nel 2013 le annunciò la decisione di nominarla senatrice a
vita. Da allora la sua esistenza è profondamente mutata e la sua attività
scientifica si è arricchita di una funzione pubblica e istituzionale
fondamentale per poter restituire alla scienza, troppo spesso bistrattata e
abbandonata a se stessa, un ruolo di primo piano nel nostro Paese. Lo
testimoniano le pagine di questo libro, in cui l'autrice racconta i primi tre
anni trascorsi in aula, affrontati con la stessa dedizione riservata al lavoro
di ricerca in laboratorio, ma soprattutto con lo stesso metodo e gli stessi
principi, nella salda convinzione che «i valori scientifici dell'oggettività,
oltre all'allenamento al pensiero critico, avrebbero reso migliore il mio
apporto al paese come senatrice». Abituata al lavoro di squadra, Elena Cattaneo
è affiancata da un gruppo di esperti con competenze in diversi ambiti, dal
diritto parlamentare ai rapporti con le istituzioni e con gli istituti
scientifici. L'obiettivo è fornire al legislatore un materiale affidabile e
comprensibile, che possa metterlo nelle condizioni ottimali per decidere,
aiutandolo a orientarsi nei dibattiti parlamentari, talvolta confusi, come la
discussione intorno agli OGM che, lungi dall'essere risolta, ancora oggi
attende una valida e motivata risposta. In attesa dell'auspicata creazione di
una vera e propria Agenzia Nazionale della Ricerca, in grado, tra l'altro, di
porre il governo al riparo da possibili nuovi abbagli, come nel caso della
frode del tristemente noto «caso Stamina». Con spirito combattivo e profondo
impegno civile, Elena Cattaneo sottolinea attraverso la sua esperienza quanto
sia necessario in Italia un dibattito sui grandi temi che si avvalga del
supporto della comunità scientifica: «Finché qualcuno non mi dimostrerà, dati e
prove alla mano, che esiste uno strumento migliore del metodo scientifico, io
continuerò a usarlo e a battermi perché fatti, trasparenza e condivisione
entrino nelle scelte politiche e nelle decisioni sull'uso delle risorse dei
cittadini». (Fonte: www.ibs.it/
2016)
SCIENZA E TECNOLOGIA. CHE COSA
HA FATTO L’EUROPA?
Autore:
Sergio Bartalucci. Ed. Aracne, Sett. 2017, 248 pg.
La
ricerca scientifica rappresenta oggi la terza voce di spesa nel bilancio
dell’Unione Europea, per un totale di 80 miliardi di euro per il periodo
2014–2020. Ma quale è stato l’impatto sulla società e sull’economia europee
della ricerca promossa, gestita e finanziata dall’UE? C’è stato un vero
progresso in termini scientifici e tecnologici (nuove scoperte, invenzioni,
avanzamenti significativi nella conoscenza, ecc.)? Vale la pena investire
ancora nella ricerca targata UE? Perché l’Italia ha performance tanto al di
sotto della media europea? È possibile recuperare questo divario in tempi
brevi? L’autore, non un esperto di dinamiche socioeconomiche ma uno scienziato
“informato dei fatti”, risponde almeno in parte a queste fondamentali domande.
(Fonte: Presentazione dell’editore, Sett. 2017)
LE PROFESSIONI
NELL’UNIVERSITÀ. Un primo studio sulla presenza e sul ruolo delle libere
professioni in ambito accademico
Ed. ANVUR 2017,.167 pg.
Almeno in alcune sue parti, l’Università è anche scuola che prepara alla
professione nel senso più nobile del termine, e non a caso Professional Schools sono chiamate nel mondo anglosassone alcune
delle nostre tradizionali e più importanti ex-facoltà, come quelle di legge. Ma
molti altri sono i corsi strettamente legati a professioni spesso costituite in
Ordini dai quali giungono richieste di implementare nei corsi, ma anche nelle
scuole di specializzazione, gli aspetti professionalizzanti veri e propri. È
quindi evidente l’interesse di ciascuna università, e del sistema universitario
nel suo complesso, ad assicurarsi i migliori esponenti del mondo delle
professioni liberali e a garantire il miglior loro insegnamento possibile. Ci
siamo perciò chiesti, scrivono i curatori del rapporto, se per valorizzare il
contenuto professionale di vaste aree dell’Università basti la valutazione
della ricerca e della didattica, o non sarebbe invece opportuno affiancargli
anche una specifica valutazione della presenza e della qualità delle
professioni nell’Università, prendendo in considerazione non solo la capacità e
il livello professionale di docenti e ricercatori, e la formazione ricevuta
dagli studenti, ma anche per esempio l’esperienza dei tirocini
professionalizzanti, ecc. Vista la tradizionale lettura, purtroppo in parte
giustificata, del rapporto tra attività professionale, insegnamento e ricerca
come rapporto anche conflittuale, il problema è naturalmente spinoso e di non
facile soluzione, e richiede pertanto un approccio innovativo. L’ANVUR ha
inteso perciò avviare con prudenza ma anche con determinazione uno studio di
questo rapporto che permetta di capire se è possibile impostarlo su basi nuove
e virtuose, e in caso attraverso quali strumenti si possa cominciare a
sperimentare in questa direzione. (Fonte: Presentazione del rapporto, 2017)
A UNIVERSITY EDUCATION
By
David Willetts, Oxford University Press, 2017. 480 pp.
I
have an exceptionally bad habit – dog-earing the pages of books when I come
across a telling point or a particularly juicy piece of information. I had to
call a halt to this behaviour while reading “A University Education”. My copy
was coming to resemble a concertina. Such is the measure of this book. It is
truly an expanse. Here, in among its 469 pages, lie chapters on the tangled
groves of research and scholarship, the purple glens of university innovation,
the verdant pastures of undergraduate education, and, depending on your
viewpoint, the enlightened or malevolent mountain range of government policies.
Add to that all the other excursions knitted into the book’s fabric – from early
years learning, through the health benefits of going to university, to the
history of the University Grants Committee – and the net result is a volume
that will provide you with all manner of insights into the peculiar trajectory
of the English higher education system. (Fonte: timeshighereducation.com
23-11-17)
Molto soddisfacente
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