IN
EVIDENZA
L’UNIVERSITÀ ITALIANA. PREGI E DIFETTI
Fra i pregi, un alto livello
di produttività scientifica, vicino a quello di Paesi con ben maggiori
investimenti di settore (pubblici e privati), e un'alta capacità formativa, di
cui è prova la prestigiosa collocazione in tutto il mondo degli studiosi
formati in Italia. Fra i difetti, una crescente autoreferenzialità e la
tendenza al nepotismo di scuola e talora di famiglia. E visto che di
competitività si riempiono tutti la bocca, cominciamo da qui. Per essere
competitiva, l'università deve rispettare alcune regole generali, le stesse in
vigore nei Paesi con cui dovremmo confrontarci. Vediamone alcune. Primo, garantire la stabilità delle
strutture, convogliando le migliori energie degli studiosi nella ricerca e
nella produzione dell'innovazione. Secondo, rinnovare di continuo sia gli
strumenti della ricerca (laboratori e biblioteche) sia il corpo di insegnanti,
garantendone la qualità sulla base di una rigorosa considerazione del merito.
Terzo, competere con le università dei Paesi comparabili assicurando salari e
fondi di ricerca concorrenziali. La
struttura delle nostre università è stata sconvolta da una riforma pedante e
ottusa, che ha modificato la topografia delle discipline raggruppandole in
Dipartimenti di estensione e contenuto sempre diversi, con nomi di fantasia che
cambiano da una sede all'altra, per cui a esempio le vecchie, oneste Facoltà di
Lettere e Filosofia ora sono dipartimenti di Studi Interculturali in una città,
Civiltà e forme del sapere in un'altra, Studi Linguistici e Culturali in una
terza. Un balletto di etichette a cui non corrisponde nessun progresso di
conoscenza, ma la moltiplicazione di organi, riunioni, regolamenti, adempimenti
e impicci che consumano tempo ed energie costringendo chi vorrebbe far ricerca
entro la camicia di forza di una miope burocrazia. Le tortuosità del sistema sono giustificate
come garanzia di qualità e di trasparenza, ma è arduo dimostrare che quel che a
Harvard si può verbalizzare in una pagina a Roma debba richiederne duecento.
Il continuo inseguimento di fondi
aggiuntivi mediante criteri invariabilmente etichettati come
"eccellenza" (una delle parole più inflazionate della lingua
italiana) è uno dei meccanismi che risentono di una sorta di aziendalizzazione
dell'università, che ne erode la funzione culturale e sociale. Ma anche chi crede di vincere questa
difficile battaglia fra poveri, sta in verità perdendo la guerra: perché per
conquistare qualche posizione avrà dovuto piegarsi alla cinica burocratizzazione
di ideali e istituzioni come la scienza, l'insegnamento e la ricerca, che
dovrebbero essere il luogo dove si coltiva e si esercita la piena libertà
intellettuale, la formazione di uno spirito critico, la cittadinanza
responsabile. (Fonte: S. Settis, FQ 27-02-18)
VALUTAZIONE DELLA RICERCA. NEL
PERIODO 2005-14 L’ITALIA ECCELLE IN RICERCA ONCOLOGICA
C'era una volta il paradosso francese, secondo il quale i cugini
d'oltralpe mangiano più grassi ma muoiono di meno per malattie cardiovascolari.
Oggi, in tutt'altro campo, si parla di paradosso italiano. La ricerca italiana
va bene anche se finanziata meno che negli altri Paesi. L'ultimo rapporto sulla
ricerca oncologica sul cancro pubblicato da Elsevier in base ai dati Scopus
(Cancer Research Report di Elsevier) sembrerebbe confermare il paradosso.
Esaminando il periodo 2005-2014, l'Italia eccelle in questo settore di ricerca
alla luce di diversi parametri. Nel 2014 siamo, ad esempio, al secondo posto fra
i Paesi presi in esame per crescita nel numero di citazioni dal 2010 e al terzo
rispetto al 2005, mentre balziamo al primo posto per numero di pubblicazioni
nel 10% delle più citate. Per l'Italia, il rapporto Elsevier Scopus evidenzia
ottime performance quanto a impatto citazionale corretto per campo (Field-weighted
citation impact - FWCI), che divide il numero di citazioni ricevute da una
pubblicazione per il numero medio di citazioni ricevute da pubblicazioni nello
stesso campo, dello stesso tipo e pubblicate nello stesso anno. La media
mondiale è pari a 1. Valori superiori a 1 indicano un impatto di citazioni
superiore alla media, mentre i valori inferiori a 1 indicano che l'impatto
della citazione è al di sotto della media. Ebbene, dal 2005 al 2014 la Cina ha
visto un incremento importante, passando da un indice di 0.5 a uno di 1.2.
Molti altri paesi, come Giappone, Francia, Germania, Regno Unito, hanno visto
aumentare il loro FWCI, mentre gli Stati Uniti si sono mantenuti stabili. Ma
ciò che sorprende è che l'ultimo impatto citazionale italiano è secondo solo a
quello britannico (2.07 contro 2.08). (Fonte: L. Carra, C. De Rold,
Scienzainrete 05-03-18)
RICERCATORI. PIANO MIUR PER ASSUMERE RICERCATORI. I PRIMI 5 ATENEI CHE
NE OTTENGONO DI PIÙ: UNIBO (75), SAPIENZA (68), UNIPD (65), FEDERICO II NA (64)
E UNITO (55)
Il piano varato dal MIUR è in
buona parte l’attuazione dell’ultima legge di bilancio che ha previsto le
risorse per assumere 1.305 ricercatori nelle Università e altri 308 posti a
tempo indeterminato negli enti di ricerca. In particolare per le assunzioni
nelle Università sono previsti 12 milioni di stanziamento per il 2018 e altri
76,5 a partire dal 2019 per il reclutamento di 1.305 ricercatori di tipo «B»,
quelli più “pregiati” perché possono ambire alla cattedra e infatti si
stanziano le risorse per il loro consolidamento a docente alla fine del
contratto triennale, una volta ottenuta l’abilitazione scientifica per la
posizione di professore di seconda fascia. I posti saranno ripartiti in base a
criteri non proprio semplici che puntano anche, tra le altre cose, a
“risarcire” parzialmente il Sud recentemente penalizzato dalla maxi
assegnazione di fondi per la ricerca (1,35 miliardi in cinque anni) ai 180
dipartimenti di eccellenza finiti quasi per il 90% al Centro Nord. Secondo il
decreto, firmato ieri 31-03-18, una quota fissa fra 2 e 10 ricercatori è
assicurata a ogni ateneo in base alle dimensioni; un’ulteriore quota di 2
ricercatori è attribuita ai 172 dipartimenti che hanno partecipato alla
selezione, ma che non sono risultati fra i 180 d’eccellenza; 327 posti sono
divisi sulla base della valutazione della qualità della ricerca (la VQR dell’ANVUR
2011-2014) e 326 posti, infine, distribuiti considerando sia la quantità di
ricercatori già in servizio, sia la loro percentuale rispetto al resto della docenza.
Tra i primi 5 atenei che ne conquistano di più: UniBo (75), Sapienza (68),
UniPd (65), Federico II NA (64) e UniTo (55). Di tutto questo contingente il
Sud ne conquista in tutto 352 che salgono a quasi 1000 grazie agli altri 600
tipo «A» del bando PON. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 01-03-18). Qui tutte
le assegnazioni >https://www.ticonsiglio.com/miur-assunzioni-ricercatori/
.
QS WORLD UNIVERSITY RANKING BY SUBJECTS
In 33 casi (che interessano 13
atenei) l’Italia si è posizionata tra le migliori 50 al mondo per comparto. Con
una nota di merito per La Sapienza di Roma, che eccelle in Scienze
dell'Antichità, il Politecnico di Milano, che si piazza quinto per Design, e la
Bocconi, che sale al decimo posto in Business & Management. Ben Sowter,
direttore del dipartimento Ricerca di QS, commenta così: «Le università
italiane sono tra le 50 migliori al mondo in 21 discipline, sei in più rispetto
al 2017, raggiungendo ottimi risultati in materie molto differenti come Finanza
e Archeologia, Fisica e Arti dello Spettacolo». (Fonte: IlSole24Ore Scuola
01-03-18)
GRADUATORIE ACCADEMICHE
INTERNAZIONALI E NAZIONALI. DUE ESAURIENTI RASSEGNE
Le graduatorie accademiche internazionali e nazionali sono ormai una
consuetudine. In questo articolo
Cristina Buscaglia ne presenta una rassegna, seguita nel successivo
articolo dalle critiche a cui sono sottoposte e da altre considerazioni in
proposito, dalla segnalazione di due risorse pertinenti e infine dalla
bibliografia. Si può affermare che "i ranking sono destinati a regnare per
lungo tempo, perché godono di un alto grado di approvazione tra gli stakeholder
e tra un pubblico più ampio proprio in virtù della loro semplicità”: "Like
them or not, rankings are here to stay" ed è impossibile ignorarli; se ne
sono accorti anche i loro più convinti detrattori. I due articoli linkati si
segnalano per la completezza dei dati. (Fonte: C. Buscaglia, www.linkedin.com 18-12-17)
UK. LE VALUTAZIONI DEGLI
STUDENTI E IL LORO IMPATTO SUI DOCENTI. LA RIFORMA BLAIR E L’AUMENTO DEGLI
STUDENTI E DELLE TASSE
Nel Regno Unito le valutazioni degli studenti sono importantissime
perché essi pagano tasse salate e il loro parere è tenuto in grande
considerazione. «Si, è vero – conferma Elisabetta Zontini, professoressa di
Sociologia all’università di Nottingham –. Se gli studenti se ne lamentano, i
professori possono essere convocati dal preside di facoltà e messi sotto
osservazione. All’inizio dell’anno, uno dei nostri obiettivi più importanti è
prendere un buon voto dalle matricole e, se non succede, la nostra valutazione
come docenti ne risente». «I professori lo sanno e fanno di tutto per farsi
amare dagli allievi – aggiunge –. Si sono alzati i voti degli studenti perché,
pur di farli contenti, li si tiene buoni anche così. Un 2.1 di adesso, che
corrisponde a un 28 delle università italiane, si prende molto più facilmente
di quindici anni fa. I voti si danno con molta più leggerezza».
Negli atenei di tutto il Regno Unito chi impara non è più uno studente
desideroso di approfondire la materia, ma un vero 'cliente' che paga per una
merce che deve essere di una certa qualità. Il rapporto tra giovani e
professori è cambiato per sempre con l’introduzione delle tasse universitarie
nel 1998. Una scelta adottata dal governo laburista di Tony Blair. «Fino ad
allora l’istruzione universitaria britannica era ottima, anche se molto
elitaria, con il sistema del tutoraggio che metteva a stretto contatto alunni e
professori, come ai tempi di Aristotele e Platone. Così si preparavano le
élite, meno del 10% della popolazione, per le quali pagava lo Stato», spiega il
professor Michael Alexander. Ma, poi, venne appunto Blair e il Paese decise di ammettere
nelle aule universitarie moltissimi studenti in più e di imporre tasse più
salate per pagare i costi dovuti al numero in forte espansione degli iscritti.
Oggi una laurea, in UK, costa circa 31.500 euro, ai quali vanno aggiunti 15.000
euro di vitto e alloggio se si studia a Londra o poco meno di 14.000 se si
studia nel resto del Paese. È possibile fare un mutuo, che però va poi
restituito in modo graduale, una volta che lo stipendio supera la soglia dei 28.000
euro. La popolazione universitaria è passata dai 909.300 studenti dell’anno
accademico 1985-86, alla vigilia della riforma di Blair, ai 2,32 milioni del
2017. Il doppio delle cifre del nostro Paese, se si pensa che l’Italia, nel
2017, contava 1.654.680 iscritti contro il milione e 113.000 che si era
registrato nel 1985. (Fonte: S. Guzzetti, www.avvenire.it
03-04-18)
CLASSIFICAZIONI
DEGLI ATENEI
L’IMPARZIALITÀ DEI RANKING. CLASSIFICHE DA MANEGGIARE CON CAUTELA
Entrambi i ranking britannici,
Times Higher Education (THE) e
Quacquarelli-Symonds (Qs ranking)
— due dei più noti sui 21 censiti dall'Ireg, associazione non-profit che
vigila sulla qualità accademica — non passano il vaglio dell'imparzialità
geografica: tendono a conferire a Oxford e Cambridge posizioni al top a danno
delle rivali americane, Harvard in particolare. Un'accusa che nessuno ha mosso
all'Arwu (Academic Ranking of World Universities), la decana delle classifiche
nata nel 2003. Redatto da un organismo indipendente, il ranking di Shanghai
rivendica di basarsi solo su indicatori «obiettivi»: dal numero di lavori
pubblicati su riviste come «Science» e «Nature», all'indice di citazioni, fino
ai premi Nobel ottenuti (anche da docenti che nel frattempo sono morti). Ma
nemmeno questa scelta è neutra: gli indicatori bibliometrici funzionano per
ingegneria e per le scienze naturali (anche se tendono a far pesare di più i
lavori di medicina, grazie alla voluminosità di pubblicazioni firmate da
tantissimi ricercatori) e trascurano le scienze umane. Se i ranking THE, Qs e
Arwu restano, con pregi e difetti, i più consultati da studenti, il più quotato
fra docenti e ricercatori è quello dell'università di Leiden in Olanda, che si
basa solo sulla performance scientifica senza occuparsi della qualità della
didattica. D'altronde la misurazione dell'impatto della ricerca è diventata per
gli atenei una tale ossessione che lo stesso direttore del ranking Paul Wouters
due anni fa ha pubblicato insieme ad altri ricercatori una specie di
«manifesto» sui rischi della pervasività degli indici bibliometrici. (Fonte: G.
Fregonara e O. Riva, CorSera La Lettura 25-03-18)
QS WORLD UNIVERSITY RANKINGS BY
SUBJECT
Dai dati emersi dall’ottava edizione del QS World University Rankings
by Subject, pubblicata il 28 febbraio 2018, risulterebbe che Sapienza di Roma è
la migliore università al mondo in Scienze dell'Antichità. Anche il Politecnico
di Milano, la Bocconi e l'Università di Pisa non sarebbero da meno. Ma non
solo, l’Ateneo romano supera addirittura Cambridge che si classifica seconda
mentre Oxford si colloca in terza posizione e Harvard risulta quinta. Sapienza
risulterebbe inoltre nona tra le top 10 per Archeologia. Si piazza inoltre tra
le Top 50 al mondo anche per Scienze Archivistiche e Librarie (33esima), Fisica
e Astronomia (39esima) e Scienze Naturali (50esima).
Il Politecnico di Milano conquista invece il quinto posto al mondo in
Design e il nono posto in Architettura e in Ingegneria Civile e Ambientale.
Sale al 17esimo posto in Ingegneria Meccanica e ottiene lo stesso risultato per
la macro area di studio Ingegneria e Tecnologia. Ottiene infine altri due
piazzamenti tra le Top-50: 35esimo posto per Ingegneria Elettronica e 44esimo
per Informatica.
Tra le Top-10 al mondo è anche l'Università Bocconi, che sale al decimo
posto in Business & Management. Bocconi guadagna sei posizioni in Scienze
Sociali e Management, piazzandosi all'11esimo posto, mantiene il sedicesimo
posto in Contabilità e Finanza.
L'Università di Bologna (UniBo) è presente nella Top 100 più di ogni
altra università italiana, posizionandosi in questo range in 25 discipline,
quattro in più rispetto al 2017.
L' Università degli Studi di Pisa ottiene il 12esimo posto in Scienze
dell'Antichità, seguita da Università degli Studi di Roma - Tor Vergata al
13esimo. Per entrambe, questo risultato è il più alto mai ottenuto in questa
classifica e lo stesso vale per l'Università degli Studi di Pavia (UniPv), che
si posiziona al 30esimo posto, Scuola Normale Superiore di Pisa (40esimo) e
l'Università degli Studi di Siena (50esimo), in questa disciplina, inclusa per
la prima volta quest'anno, in cui l'Italia eccelle e domina.
L'Università degli Studi di Napoli Federico II, invece, è l'unico
ateneo del Sud Italia tra i primi 100 al mondo in una disciplina. L'eccellenza
della più importante università partenopea si esprime al massimo
nell'Ingegneria Civile e Ambientale (51-100) in questa classifica.
Ben Sowter, direttore del
dipartimento Ricerca di QS, commenta così: «Le università italiane sono tra le
50 migliori al mondo in 21 discipline, sei in più rispetto al 2017,
raggiungendo ottimi risultati in materie molto differenti come Finanza e
Archeologia, Fisica e Arti dello Spettacolo». (Fonte: IlSole24Ore Scuola 01-03-18; www.artemagazine.it 02-03-18)
LE 50 MIGLIORI UNIVERSITÀ
D’INFORMATICA NEL MONDO
Una laurea in scienze informatiche conseguita in una delle migliori
università del mondo può essere il trampolino di lancio per lavorare in Apple,
Google, Microsoft, Facebook o Amazon. Sia questi giganti del web sia i
cacciatori di teste che cercano talenti con questa preparazione scrutano
attentamente la classifica QS World University Rankings 2018, perché è una tra
le più affidabili. Al 1° posto il Massachusetts Institute of Technology (MIT).
Unico ateneo italiano il Politecnico di Milano al 44° posto. Qui la classifica delle 50 migliori
università di informatica nel mondo > https://tinyurl.com/y8pl635v
. (Fonte: L. Garofalo, 08-03-18)
QS WORLD UNIVERSITY RANKING
Le migliori università in
Europa per "Engineering and Technology". UK: Cambridge, Imperial College London, Oxford. Svizzera: ETH di Zurigo, Ecole
Polytechnique Federale di Losanna. Olanda:
Delft University of Technology. Germania:
Technical University di Munich, RWTH Aachen, Technische Universität di Berlino.
Svezia: Kth Royal Institute of
Technology di Stoccolma.
(Fonte: Skuola.net 20-03-18)
CULTURA
DEL DIGITALE
RINASCIMENTO UMANISTICO NELL'ERA
DIGITALE
A delineare un rinascimento umanistico nell'era digitale è Paolo Darlo,
professore di Robotica Blomedica, e direttore dell'istituto di Biorobotica
presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Dall'intelligenza artificiale al
robot, secondo l'esperto si stanno aprendo strade Inedite per gli studiosi
umanistici: «Le aziende hi-tech stanno assumendo sempre più persone con queste
competenze perché sanno che l'uomo sarà il fulcro della rivoluzione digitale. È
una delle poche certezze in un futuro che ci consegnerà lavori che non possiamo
nemmeno immaginare e rispetto ai quali non ha senso affannarsi troppo: qualcuno
aveva predetto che Google avrebbe superato i 70mila dipendenti?», cita
provocatoriamente Darlo, che sottolinea l'importanza di educare i giovani a
"capire le connessioni, l'umanità, la sensibilità". E che auspica una
maggiore apertura dei docenti umanistici: «Servono insegnanti disposti ad
adattare gli insegnamenti ai grandi cambiamenti In atto. Non dobbiamo avere
paura del futuro». (Fonte: a. fr., Repubblica A&F 05-03-18)
ATENEI TELEMATICI. LA REGOLAMENTAZIONE MAI ARRIVATA. FORSE DAL 2020-21
L’ACCREDITAMENTO
La storia delle università
telematiche, che oggi contano circa 60mila iscritti per 11 atenei, comincia con
la legge finanziaria del 2003 che annunciava le norme per la loro istituzione:
il decreto Moratti-Stanca, dai nomi dei ministri dell'Istruzione e
dell'Innovazione di allora, puntualmente arrivò qualche mese dopo
disciplinandone l'architettura. Ma da allora sono seguiti mini interventi
attraverso diversi decreti ministeriali fino al 2013 quando una commissione di
studio del MIUR di fronte a una crescita anche disordinata del fenomeno delle
telematiche ha chiesto una severa revisione della materia. L’obiettivo anche
allora era l’adozione del regolamento richiesto appunto dalla legge 286 del
2006 quando emerse per la prima volta l'esigenza di introdurre regole più
rigorose per l'accreditamento dei corsi di studio a distanza. Ma questa
regolamentazione non è mai arrivata. Ora il MIUR ci riprova con l’istituzione
di un Tavolo tecnico con il compito di formulare sulla base dei criteri
proposti dall’ANVUR, e su quelli indicati dal decreto che istituisce il Tavolo,
una proposta di regolamento con i criteri e i requisiti per l’accreditamento
dei corsi universitari a distanza che sarà adottato dal MIUR e dal ministero
per la Pa entro settembre in modo da entrare a regime dall’anno accademico
2020/2021. (Fonte: M. Bartoloni, Sole Scuola24 23-03-18)
E-LEARNING E AULA VIRTUALE. DUE DIVERSE TIPOLOGIE FORMATIVE
Con il termine e-Learning
identifichiamo una tipologia di corso frequentato in modo autonomo via
Internet. In parole povere, si studia da soli seguendo video o lezioni o
laboratori via Internet. Il corso e-Learning è perciò indicato per tutti coloro
che non possono partecipare a un corso in aula che ha orari rigidi di
frequenza. Il corso e-Learning (tipicamente accessibile per 90 giorni) permette
invece di studiare con i propri tempi e i propri ritmi. D'altra parte viene
meno l'interattività che è invece una delle caratteristiche del corso in aula.
Non si ha a propria disposizione un docente cui porre domande o richieste di
chiarimento e nemmeno un gruppo di allievi con cui confrontare la propria
esperienza. Invece un altro vantaggio del corso e-Learning è il prezzo,
tipicamente più basso del corrispondente corso frequentato in aula. L'Aula
Virtuale, spesso confusa con l'e-Learning, è invece un corso "live",
un corso che ha la peculiarità di essere frequentato a distanza, via Internet.
Non si studia da soli, ma si frequenta un corso con orari precisi e lezioni tenute
da un docente con cui è possibile interagire via VoIP e chat per porre quesiti
e richieste di spiegazioni. (Fonte: www.pipeline.it 20-03-18)
DI FRONTE ALLA RIVOLUZIONE
DIGITALE. L'UNIVERSITÀ ITALIANA? UN
PROMETEO INCATENATO
Thomas M. Siebel, un famoso imprenditore americano, nel ricevere la
laurea honoris causa in ingegneria informatica del Politecnico di Torino ha
affermato: «Da oltre 30 anni opero nell'informatica, ma quello che sta per
accadere supera di gran lunga quanto abbiamo vissuto finora. L'internet delle
cose, i "big data" e l'intelligenza artificiale rivoluzioneranno ogni
aspetto della nostra vita». È la cosiddetta rivoluzione digitale che, rispetto
alla ben nota rivoluzione industriale, «proromperà a ritmi 10 volte superiori,
interesserà una frazione del mondo 300 volte più estesa e produrrà un impatto
sulla Società 3000 volte più grande». Cambierà il modo di produrre, più
distribuito sul territorio e vicino alle fonti rinnovabili di energia e materia;
cambierà la sanità con meno ospedali ma di dimensioni più grandi e la
distribuzione di molti servizi a casa per assistere una popolazione sempre più
anziana; cambierà la mobilità, con veicoli a guida autonoma e treni
superveloci; cambieranno anche gli scenari geopolitici con la Cina che
rapidamente diventerà il cuore pulsante del Mondo. È un processo inarrestabile.
E l'Università Italiana? Un Prometeo incatenato. L'istituzione destinata a
donare il "fuoco" della conoscenza e le chiavi del futuro alla nostra
Società si ritrova sotto-finanziata, con oltre il 20% in meno docenti rispetto
al 2008 e bloccata da una "giungla normativa", per dirla col nostro
Presidente Mattarella. Tutto questo accade proprio in un Paese come il nostro
che avrebbe disperato bisogno di aumentare il tasso di innovazione dei propri
servizi e dei propri prodotti, in modo da collocarci nella fascia alta della
filiera produttiva internazionale. (Fonte: G. Saracco, La Stampa 07-03-18)
DOCENTI
GIUDIZIO DEL MOVIMENTO PER LA
DIGNITÀ DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA (MDDU)
SULL'UNA TANTUM PER IL RIMBORSO AI DOCENTI UNIVERSITARI DEGLI SCATTI
STIPENDIALI BLOCCATI
Una “una tantum” di modestissima entità rispetto alle perdite subite
che:
1) viene trattata con metodi da pignoleria cavillosa e paralizzante:
quanti mesi ci vorranno per vedere l’una tantum in busta paga?: basta
osservare, per fare un solo esempio, che per definire le procedure previste
occorreranno ulteriori Regolamenti di Ateneo, e chissà quanto tempo occorrerà
per emanarli;
2) creerà diseguaglianze da un Ateneo all’altro, per via anche dei
Regolamenti locali già richiesti dalla legge Gelmini, disomogenei da una sede
all’altra: ciò che in una sede verrà corrisposto potrebbe essere benissimo diverso
da quanto corrisposto in un’altra sede;
3) dimostra che il MIUR ha
forzato arbitrariamente alcuni passaggi della legge di bilancio. Ha tenuto in
conto la legge di bilancio recente, come dovuto, ma ha messo in campo l’una
tantum della legge Gelmini, che non era richiamata nella legge di bilancio come
criterio da seguire: un comportamento arbitrario;
4) è un provvedimento “divisivo”, oltre che arbitrario, perché
avvantaggia alcuni a scapito degli altri, che toglie sicurezza nel futuro,
anche a chi nell’occasione ne trarrà vantaggio, dato che l’arbitrarietà non
potrà essere sempre a suo favore.
Insomma, si tratta di un’“una tantum” di modestissima entità, dovremo
aspettare mesi per vederla in busta paga, creerà ulteriori divisioni in ogni
Ateneo e disparità di trattamento tra i vari Atenei: non se ne aveva nessuna
necessità. (Fonte: C. Ferraro, MDDU febbraio 2018)
COPPIE DI DOCENTI “A CARRIERA DUALE” (DUAL CAREER COUPLES). VANTAGGI E DUBBI
Su Corriere Innovazione del 1°
dicembre 2017 Ilaria Capua richiamava un istituto in auge oltreoceano
denominato «dual career couples»: le Università interessate a reclutare un
docente o una docente particolarmente bravo/brava offrono una posizione
accademica anche al coniuge. In questo si favorisce un maggiore benessere della
famiglia che si traduce in una maggiore produttività sul luogo di lavoro, a
propria volta volano di una maggiore competitività dell’Ateneo.
Ilaria Capua sostiene che
proporre una cosa del genere in Italia farebbe gridare allo scandalo. Questo
non è del tutto vero. Il Dipartimento della conoscenza della Provincia di
Trento, nel vigente piano della ricerca (pag. 66), ha esplicitamente previsto
quanto segue: «Nell’ottica di favorire la mobilità e attrarre ricercatrici e
ricercatori di punta ma anche di contribuire a una gestione di qualità delle
risorse umane, tra le azioni favorite, verrà anche considerata la possibilità
di attivare iniziative volte all’accoglienza delle coppie “a carriera duale”
(dual career couples), cioè a quelle coppie dove entrambi i partner seguono un
percorso di carriera nel mondo accademico».
L’attivazione dell’istituto
del Dual Career è favorita quando le Università possono negoziare il
trattamento economico di ciascun docente. Chi ha potere contrattuale può
chiedere uno stipendio maggiore, ovvero benefits come la casa o l’automobile,
o, appunto, l’assunzione del coniuge. In Italia questo è molto più complicato
perché lo statuto giuridico ed economico dei docenti è stabilito dalla legge ed
è uguale per tutti. Ma oltre ai profili giuridici, occorre svolgere anche
considerazioni di opportunità ed efficacia. Al di là dell’assunzione non è
detto che nel tempo l’Ateneo possa e tanto meno debba garantire la progressione
ad entrambi. Più di tutto, però, andrebbe approfondito l’impatto sulla comunità
universitaria: l’esistenza di coppie sposate (che possono assumere anche ruoli
di vertice nell’Ateneo) crea ricadute virtuose sulla vita della comunità o
innesca meccanismi deteriori facendo sì che l’interesse della famiglia venga
anteposto a quello dell’istituzione? (Fonte: Originariamente pubblicato su http://www.giovannipascuzzi.it/
21-03-18)
DOTTORATO
IL NUOVO REGOLAMENTO SUL DOTTORATO DI RICERCA
Il decreto che modifica il
regolamento sul dottorato di ricerca (il Dm 8 febbraio 2013 n. 45) è
praticamente pronto. Con una novità molto attesa dai dottorandi italiani: il
riferimento al possibile impiego di questo titolo di studio per accedere ai
«più elevati profili professionali delle pubbliche amministrazioni». Ancora non
è una “corsia preferenziale” per i concorsi nella Pa, ma comunque è un primo
passo. Tra le altre possibili novità c’è anche una nuova e più chiara
definizione degli obiettivi formativi del dottorato di ricerca, assieme ad un
elenco di attività formative per il perfezionamento linguistico ed informatico,
per la gestione della ricerca, per la conoscenza dei sistemi di ricerca europei
ed internazionali e la valorizzazione della ricerca. Ci sarà anche un migliore
raccordo tra specializzazione medica e dottorato, con obbligo per lo
specializzando che opta per la frequenza congiunta di assicurare che il suo
impegno sul dottorato sia compatibile con quello nella specializzazione.
Dovrebbe poi essere reintrodotta la proroga annuale sulla consegna della tesi,
su richiesta del dottorando. La proroga può essere disposta anche dal collegio
docenti, ma solo per comprovate esigenze di carattere scientifico. Sono
introdotte anche tempistiche certe per la valutazione dell'elaborato finale da
parte dei revisori esterni che avranno a disposizione 30 giorni per produrre un
giudizio analitico scritto sulla tesi. Viene inoltre assicurato un budget
aggiuntivo del 10% anche ai dottorandi non borsisti, come già previsto dalle
linee guida per l'accreditamento su proposta di ANVUR. Viene infine istituita
un’anagrafe nazionale dei dottorandi e dei dottori di ricerca. (Fonte: M.
Bartoloni, IlSole24Ore 26-03-18)
DOTTORI DI RICERCA. DIMINUISCONO
QUELLI CHE LAVORANO ALL’ESTERO
"In Italia – si legge in un’indagine - si intravedono i primi
segnali di cambiamento: nell’indagine si nota il calo di coloro che escono
dall’Italia per lavorare. Il 21,4% dei dottori di ricerca (PhD) italiani lavora
all’estero contro il 27,4% dei PhD 2013 - 2014. Stati Uniti, Germania, Svizzera,
Paesi Bassi, Regno Unito e Francia sono i Paesi dove la maggior parte trova
impiego. Aumentano invece i PhD stranieri che rimangono in Italia: dal 25,9%
dell’indagine precedente si passa al 39,1%, segno di una crescente attrattività
del nostro territorio. C’è ancora da lavorare invece per colmare il gender
gap. Nonostante siano al vertice della
preparazione accademica, le dottoresse di ricerca non vedono ancora pienamente
riconosciute le loro competenze. Il loro tasso di occupazione è infatti
inferiore del 4,3% e la loro busta paga è più leggera del 22%. I PhD sono
generalmente molto soddisfatti del percorso di dottorato. I risultati
dell’indagine ci mostrano infatti che oltre l’86% degli occupati ha dichiarato
che la formazione acquisita risulta adeguata al proprio impiego e il 74%
ritiene necessario il dottorato per il tipo di lavoro che svolge". (Fonte:
Italpress 06-03-18)
TRA IL 2006 E IL 2016 20MILA DOTTORI DI RICERCA SONO STATI ASSUNTI DALLE
AZIENDE
Se si esaminano i dati di
Eurostat, si scopre che tra il 2006 e il 2016 i dottori di ricerca assunti
dalle università sono aumentati di 12.000 unità, mentre quelli che hanno
trovato posto in azienda sono cresciuti di ben 20.000. E in alcuni settori la
domanda delle imprese è addirittura superiore all’offerta. È il caso, ad
esempio, dell’Ingegneria informatica, per la quale le aziende sono
continuamente a caccia di laureati brillanti e dottori di ricerca. Al punto che
per le università è molto difficile riuscire a trattenere e coltivare i propri
talenti. I dati nazionali confermano le migliori performance occupazionali di
chi ha continuato gli studi dopo la laurea. Secondo AlmaLaurea, a un anno dal
titolo, i dottori che hanno un lavoro sono l’85 per cento. I laureati
magistrali per raggiungere un tasso di occupazione paragonabile debbono
attendere 5 anni dalla laurea. Mentre a 12 mesi dal titolo risultano occupati
solo nel 71 per cento dei casi. Il dottorato costituisce un vantaggio anche a
livello retributivo, garantendo stipendi medi da 1.610 euro mensili, a fronte
dei 1.153 dei laureati a un anno dal titolo e dei 1.405 di quelli che hanno
completato gli studi da 5 anni. (Fonte: www.universita.it 16-03-18)
FINANZIAMENTI
FINANZIAMENTI ALLA RICERCA DA
PARTE DEL MIUR
Si segnalano i recenti interventi da parte del Ministero per
l'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR): finanziamenti a 180 dipartimenti
universitari di eccellenza (271 milioni di euro); Programma Operativo
Nazionale, PON (496,9); Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale, PRIN (391);
Enti pubblici di ricerca, EPR (ca. 110 milioni). L'importo annuale di tali
interventi è di circa 422 milioni. Ciò a fronte di una spesa stimata in ca. 7
miliardi per mantenere, per stipendi, infrastrutture e servizi a «uomo fermo»,
i circa 70.000 ricercatori pubblici italiani, (Istat, 2014-2016). (Fonte: CorSera
07-04-18)
RICERCA. DOMANDE E RISPOSTE SUL
FINANZIAMENTO
Con l'austerità si taglia la ricerca. Ma si può fare diversamente?
«Faccio notare che tra il 2011 e il 2016 i governi hanno potuto dispone di un
surplus di circa 351 miliardi di euro, derivanti dall'incremento del debito
pubblico e dall'aumento del gettito fiscale. Eppure la ricerca è stata
trascurata, anzi ha subito riduzioni. Tagliare le gambe, in tempo di crisi, a
chi può dare un contributo importante per lo sviluppo scientifico, tecnico ed
economico del Paese è stata una scelta miope. Al CNR, per fare solo un esempio,
sono stati azzerati i contributi necessari alla ricerca di oltre 3500
ricercatori. Naturale che, in queste condizioni, ne sia diminuito il numero:
nelle università ne abbiamo 10.000 in meno. Solo in extremis l'attuale governo
ha assegnato al settore ricerca 1,1 miliardi, in gran parte senza indicare i
progetti da finanziare. Una mossa dal sapore elettoralistico, il cui impatto
economico peraltro ricadrà sul prossimo esecutivo». Come si fa a cambiare
rotta? «Tra l'altro, rivedendo il nostro rapporto con l'Ue, l'Italia
contribuisce per circa il 14% al bilancio comunitario, ma riceve solo l'8,9%
dei fondi». Colpa anche della nostra debolezza politica a Bruxelles? «Abbiamo
meno della metà di ricercatori e tecnici rispetto a Francia, Regno Unito e
Germania e, sì, scontiamo anche la nostra debolezza politica». (Fonte: R.
Merano, intervista a G. Saccani Jotti, Libero 02-03-18)
PER LA RICERCA L'ITALIA STANZIA
NUOVE RISORSE
Il ministero dello Sviluppo economico farà partire una nuova linea di
interventi da circa 440 milioni per sostenere progetti di ricerca. Ma nel
frattempo il nostro target di spesa all'1,53% del Pil, messo nero su bianco nel
2015 dal Programma nazionale della ricerca, resta un miraggio. Siamo fermi
all'1,29% (l'obiettivo di Europa 2020 è pari addirittura al 3%) nonostante dal
2013 a oggi l'Italia abbia gradualmente incrementato la focalizzazione degli
aiuti di Stato proprio verso il sostegno alla "Ricerca, sviluppo e
innovazione". Il confronto europeo sul tema è illuminante. Rapportando il
totale degli aiuti di Stato al prodotto interno lordo nazionale, l'Italia con
lo 0,22% è il Paese che spende meno dopo l'Irlanda. Ma la prospettiva è
completamente ribaltata se si guarda nello specifico all'obiettivo
"Ricerca, sviluppo e innovazione" che assorbe quasi il 30% delle
risorse italiane complessive: in rapporto al Pil - rileva la Relazione annuale
del ministero sugli incentivi - siamo dietro al solo Regno Unito. Negli ultimi
anni l'Italia ha aumentato l'impegno specifico, portando dallo 0,04 allo 0,07%
del Pil gli aiuti per la ricerca. In particolare, esaminando il bilancio del
Fondo crescita sostenibile, il contenitore unico previsto qualche anno fa dalla
riforma degli incentivi dello Sviluppo economico, si sommano stanziamenti
pubblici per quasi 2,8 miliardi. Uno sforzo che non è però bastato a metterci
in carreggiata verso il raggiungimento in tempi rapidi degli obiettivi europei,
e oggi, tra le righe delle statistiche, si possono al massimo scorgere piccoli
progressi. Un bilancio più chiaro ad ogni modo si potrà fare al pieno utilizzo
dei fondi europei dedicati proprio alla ricerca per il periodo 2014-2020,
inclusi quelli ora a disposizione come dote "straordinaria". (Fonte:
C. Fotina, IlSole24Ore 07-03-18)
MANCA UN REGISTRO UNICO DEI PROGETTI DI RICERCA FINANZIATI CON FONDI
PUBBLICI
È paradossale che in Italia
non esista un registro unico dei progetti di ricerca finanziati con fondi
pubblici, col rischio che lo stesso progetto possa accedere a più fonti di
finanziamento e che quelli non originali e vecchi di anni tolgano risorse ad
altri. L'auspicio è che, partendo da aree specifiche, ad esempio la
biomedicina, i ministeri e le istituzioni finanziatrici lavorino in sinergia
per creare un database unico, nazionale, di tutti i progetti di ricerca (e dei
valutatori) e per potenziare le valutazioni ex post dei progetti finanziati.
Oggi non esiste un modo univoco per valutare l'esito dei progetti conclusi.
L'assenza di un'Agenzia per la ricerca, il cui primo compito sarebbe lavorare
sulle procedure per applicarle e aggiornarle, verificandone in ogni momento
appropriatezza e rendimento, continua a essere l'anomalia del nostro Paese.
Siamo ormai pressoché gli unici in Europa a non averla. (Fonte: E. Cattaneo, La
Repubblica 30-03-18)
LAUREE-DIPLOMI-FORMAZIONE
POST LAUREA-OCCUPAZIONE
LAUREA E MASTER. I COSTI
Costo della LAUREA per
i fuorisede: 27.000 € per una Triennale e fino a 45.000 se si prosegue anche
con il biennio Magistrale. Secondo Istat ca. il 10% di quanti hanno interrotto
gli studi accademici ha dichiarato di essere stato costretto a farlo perché ha
avuto difficoltà a sostenere le spese universitarie e di mantenimento.
Con il MASTER le
chances di trovare lavoro aumentano, con stipendi che partono da 1.500 €. Negli
atenei pubblici le rette variano dagli 11.000 € in «Gestione d'impresa» a UniBo
ai 4.500 della Sapienza per una specializzazione in «Beni culturali». Quelli
che riescono a ottenere una borsa di studio, per coprire in parte le tasse di
iscrizione, sono il 21%.
(Fonte: CorSera 21-03-18)
RECLUTAMENTO
UNA CIRCOLARE PER LE ASSUNZIONI
DI 2MILA RICERCATORI PRECARI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
La promessa della nuova circolare arriva, come riporta il Sole 24 Ore,
dal ministro Marianna Madia. Facendo un passo indietro, il problema nasce dalla
maxi-stabilizzazione, prevista nella riforma 2017 del pubblico impiego, per chi
ha maturato come precario in una Pa almeno tre anni di anzianità negli ultimi
otto anni. La circolare con cui il Ministero della Funzione Pubblica (dopo
alcuni passaggi con la Corte dei conti) ha evidenziato le regole operative per
le stabilizzazioni, ha anche specificato che «il trattamento economico
accessorio graverà esclusivamente sul fondo calcolato ai sensi della normativa
vigente». Ed è questa la riga della discordia, poiché si riferisce al fondo che
in ogni amministrazione serve a finanziare le parti di stipendio aggiunte alla
base nazionale (il cosiddetto "tabellare"): fondo che, «ai sensi
della normativa vigente», al momento non può superare i livelli raggiunti nel
2016. Ma una circolare in grado di correggere la riga ostativa potrebbe
correggere l'ostacolo che si frappone all'accesso al posto fisso per 2000
ricercatori. L'annuncio della ministra Madia: una nuova circolare, da ultimare
insieme al MEF e al MIUR “nel più breve tempo possibile”. (Fonte: www.studiocataldi.it 03-04-18)
RICERCA
LA TEORIA DELL'ESISTENZA DI INFINITI UNIVERSI
Stephen Hawking, l’astrofisico
scomparso il 14 marzo u.s. a Cambridge, aveva terminato dieci giorni prima di
morire il suo lavoro più importante, quello che forse gli avrebbe procurato il
Nobel che non ha mai ricevuto. Lavorando alla teoria del multiverso, in base alla quale non esiste solo l'Universo che
possiamo vedere, ma ce ne sono molti altri, Hawking ha indicato la strada per
poterla finalmente dimostrare. Come sempre è avvenuto, anche l'ultima scoperta
è stata accolta con scetticismo da una parte dei suoi colleghi e con entusiasmo
da altri: secondo alcuni scienziati, potrebbe rappresentare la svolta che la
cosmologia attendeva. Hawking ha lavorato alla teoria insieme con il professor
Thomas Hertog della Katholieke Universiteit di Lovanio, nei pressi di Bruxelles
e sotto al testo pubblicato sul sito arXiv.org della Cornell University compare
la firma di entrambi. Già nel 1983, in una ricerca compiuta con il fisico
americano James Hartle, Hawking aveva affermato che il Big Bang era all'origine
dell'Universo, ma aveva anche suggerito che potesse avere generato altri
infiniti universi, la cui esistenza non poteva però essere testata. Da più di
30 anni gli scienziati discutono questa possibilità, un'ipotesi che ci
costringerebbe a cambiare idea sul nostro spazio nel cosmo. Ma il multiverso è
stato sempre impossibile da afferrare, era un paradosso matematico: non si
potevano infatti misurare cose che si trovano al di fuori del nostro universo.
Carlos Frenk, cosmologo dell'Università di Durham e membro, come fu Hawking,
della Royal Society, ha spiegato in poche parole la nuova scoperta: «L'idea
intrigante è che il multiverso abbia lasciato un'impronta sulla radiazione di
fondo permeando il nostro Universo, e che possiamo dunque misurarla con un
detector su una nave spaziale». (Fonte: V. Sabadin, La Stampa 20-03-18)
RICERCA. PROGRESSI NELL’IMPIEGO DELLE CELLULE STAMINALI. RISULTATI
TERAPEUTICI OTTENUTI IN ITALIA
Negli anni '50, quando D.
Thomas cominciò una serie di esperimenti che portarono all'impiego del
trapianto di midollo osseo per trattare le leucemie, egli nemmeno sapeva che a
curare erano le staminali che conteneva. Negli anni '80, Howard Green fu il
primo a crescere in laboratorio cellule umane della pelle per uso terapeutico,
salvando la vita a due bambini gravemente ustionati. Il giro di boa però lo
compì James Thomson nel 1998 quando riuscì a isolare le staminali embrionali
dalla blastocisti (uno dei primi stadi dello sviluppo embrionale) soprannumeraria
e a portarle in un piattino di coltura. Per la prima volta si aveva a
disposizione una staminale che "assolveva" ai requisiti desiderati,
cioè la sua propagabilità in vitro in modo omogeneo, con le cellule figlie
uguali alla madre, e la sua capacità di generare cellule specializzate. Nel
2007 sono poi arrivate le staminali pluripotenti indotte, ottenute
riprogrammando i fibroblasti della pelle. Sono cellule che vogliono mimare la
straordinarietà di quelle embrionali (distorta da chi le presenta al pubblico
come "inutili" o "non etiche").
E sono arrivate anche le prime
approvazioni per l'uso dei loro derivati in clinica. Nel 2010 la Advanced Cell
Technology riceveva l'approvazione all'impianto di epitelio pigmentato retinico
ottenuto dalle embrionali in pazienti con degenerazione della macula. Dal 2012
in poi i risultati mostrano un’efficacia del trapianto nel migliorare la
visione. E vi sono studi in corso di produzione di cellule pancreatiche
secernenti insulina per applicazioni nel diabete.
Ma — per la sua complessità —
la cartina di tornasole della medicina rigenerativa è il Parkinson. Nel 2011,
un gruppo americano e uno svedese partendo dalle embrionali ottengono neuroni
dopaminergici autentici, (quasi) uguali a quelli che degenerano nel Parkinson.
Dopo il loro trapianto nei modelli animali, già in passato determinanti per
sviluppare farmaci, si dimostrano capaci di differenziare, sopravvivere,
rilasciare dopamina, indurre un recupero comportamentale nell'animale con
Parkinson, e anche generare connessioni con le cellule endogene dell'animale,
suggerendo che possano riparare circuiti cerebrali lesi nell'uomo.
Ma i risultati con staminali,
oggi già realtà terapeutica, specie per le malattie rare, sono tutti made in
Italy. É italiano Holoclar, la prima terapia a base di staminali adulte
ottenute dal limbo dell'occhio approvata nel 2015 per la rigenerazione della
cornea ustionata. Dieci anni dopo il trapianto il recupero della visione è
stabile. Vi è poi Strimvelis, approvata dall'Ema nel 2016: è la prima terapia
genica ex-vivo con staminali ematopoietiche sviluppata da Luigi Naldini e
Alessandro Aiuti al Tiget-San Raffaele di Milano, un colosso della terapia
genica nel mondo, per pazienti affetti da una grave immunodeficienza di origine
genetica. Nel 2017 gli stessi ricercatori di Holoclar, Graziella Pellegrini e
Michele De Luca dell'Università di Modena e Reggio Emilia conquistano un altro
traguardo. Partendo da 2 cm di pelle di un bambino affetto da epidermolisi
bollosa, Hassan, ottengono milioni di staminali che poi correggono
geneticamente inducendole a formare in laboratorio foglietti di pelle che
reimpiantano, "ricostruendogli" 85 cmq di pelle persa. In quella
nuova pelle ci sono anche staminali, che continuano a rifare pelle. (Fonte: E.
Cattaneo, La Repubblica 27-02-18)
RAPPORTO SULLA CONOSCENZA – EDIZIONE 2018 DELL’ISTAT
In Italia la spesa per ricerca
scientifica continua ad essere inferiore a quella delle altre maggiori economie
europee (nel 2015, 1,3% del Pil contro una media dell’insieme dei Paesi europei
poco superiore al 2,0%). Nel 2016, la quota di persone tra i 25 e i 64 anni con
almeno un titolo di studio delle scuole medie superiori era del 60%, inferiore
di 17 punti percentuali rispetto alla media europea. Il livello medio
d’istruzione degli imprenditori delle piccole imprese (fino a 50 dipendenti) è
relativamente modesto. Il livello d’istruzione d’imprenditori e dipendenti è
correlato alle prestazioni delle imprese: più è elevato, più i salari sono alti
e, soprattutto, i tassi di sopravvivenza nel periodo di crisi sono elevati. Non
si è investito a sufficienza, ed ora il nostro sistema produttivo,
comparativamente “ignorante” e, di conseguenza, con bassi livelli di
produttività, è in affanno e trova difficoltà a competere ad armi pari nei
mercati internazionali. Il quadro che emerge, ben noto a chi segue questi
aspetti della vita nazionale, è preoccupante, anche se dalle statistiche si
vedono alcuni segnali di miglioramento ed alcuni punti di forza. Il Rapporto
conferma che siamo un paese che non investe a sufficienza in conoscenza, e che
ne paga le conseguenze sia sul piano sociale che su quello economico. Il fatto
è che da decenni questo settore cruciale per la vita del paese è trascurato dai
decisori sia pubblici che privati. (Fonte: G. Sirilli, Roars 26-02-18)
RICERCATORI NEL FOCUS PUBBLICATO DALL’UFFICIO STATISTICA E STUDI DEL
MIUR
Il numero dei ricercatori, che
al 31 dicembre 2010 erano circa 24.500, è diminuito in 7 anni di oltre 5.000
unità, con un’ulteriore precisazione. La messa a esaurimento del ruolo di
quelli a tempo indeterminato (nel 2010 il 97% del totale) fa sì che la gran
parte dei nuovi (e pochi) posti messi a concorso corrisponda, come accade a
tanti altri giovani in tutti i settori del mondo del lavoro, a una situazione
nella quale diventa davvero arduo immaginare serenità esistenziale e attività
di ricerca pensata anche su tempi lunghi e senza l’ossessione della
pubblicazione a ogni costo. I numeri sono inequivocabili. Anche considerando
«sistemati» i cosiddetti ricercatori di tipo «b», che dopo tre anni possono
contare su un passaggio pressoché automatico fra gli associati grazie a un
percorso di tenure track, il numero dei docenti che hanno un posto a tempo
indeterminato è sceso in sette anni da oltre 55.000 a meno di 47.500. E il dato
è ancora più impressionante se confrontato con quello del 2007, quando i
docenti di ruolo erano oltre 59.500: il «taglio», in dieci anni, è pari al
20,6%. In compenso, ci sono adesso oltre 3.000 ricercatori di tipo «a» (a tempo
determinato e senza tenure track), che sommati ai fortunati colleghi di tipo
«b» corrispondono a poco più della metà dei posti di ricercatore a tempo
indeterminato che sono nel frattempo andati perduti e la cui «precarietà» non è
sostanzialmente dissimile da quella degli assegnisti di ricerca e delle altre
figure meticolosamente elencate nel Focus del Ministero: titolari di contratti
per attività di insegnamento, titolari di «contratti d’opera» collegati a
programmi di ricerca e infine una pattuglia di «tecnologi a tempo determinato».
(Fonte: S. Semplici, CorSera
Università 28-02-18)
LA RICERCA DA PROMOTORI NO PROFIT IN ITALIA
Sono italiani la prima terapia
genica e il primo farmaco a base di cellule staminali approvati per entrare in
commercio in Europa. Eppure le eccellenze della ricerca made in Italy non
riescono a sopperire alle carenze del sistema, o meglio all'assenza di un vero
e proprio sistema. È questo uno dei temi principali del 5° Convegno Nazionale -
La Ricerca da Promotori no profit in Italia, che si è chiuso a Roma il 22
marzo. “I risultati dei vari Paesi indicano che più gli investimenti in Ricerca
& Sviluppo si avvicinano al target del 3% del Pil e maggiore è il livello
di performance in Horizon 2020 - spiega il dr. Andrea Fontanella, Presidente
Nazionale FADOI, la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri
Internisti. -. La presenza di strategie scientifiche nazionali si dimostra la
tattica vincente. Negli Stati più performanti si osservano iniziative nazionali
di sostegno ai partecipanti ad H2020 in termini di advise e accompagnamento.
Per fare “sistema” c’è bisogno di una normativa più snella, di fiscalità
agevolata, di un maggior numero di ricercatori che possano anche fare
carriera”. “Nell’immediato - aggiunge Fontanella - vanno definiti i decreti
attuativi della Legge su numerosi aspetti critici della sperimentazione
clinica, per i quali il mondo delle Istituzioni e quello della Ricerca sono
chiamati a individuare le migliori opzioni. È un passaggio di particolare importanza,
per il quale FADOI si è impegnata negli ultimi anni, e restituisce alla ricerca
no profit la possibilità di incidere più concretamente nella pratica clinica
quotidiana”. Perché lottare per la ricerca clinica no profit? “Non
dimentichiamo che il know-how dei ricercatori italiani è tra i migliori al
mondo - risponde il Presidente Nazionale FADOI -. La ricerca clinica no profit
è fondamentale per colmare gli unmet medical need, perché è in grado di
produrre value da re-investire, perché attrae investimenti dall’estero e
aumenta la competitività. Serve al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), poiché
promuove la crescita di centri di eccellenza; ha una conseguenza positiva in
termini di appropriatezza dell’assistenza. (Fonte: www.pharmastar.it 22-03-18)
RICERCA SCIENTIFICA. NUOVO TIPO DI FRODE MINA LA CREDIBILITÀ DEL SISTEMA
DI PUBBLICAZIONE
Ciò che è dato osservare oggi non
è solo riducibile al tentativo di falsare metriche e indicatori scientifici.
Emerge un nuovo tipo di frode resa possibile dall’impiego delle metriche, che
si attua attraverso condotte abusive successive alla “submission” della
pubblicazione. Essa appare diffusa quanto altre forme di frodi, come dimostrano
almeno 300 lavori ritirati perché la loro peer review risultava attinta da
questo genere di comportamento abusivo. Tratto notevole di questo tipo di
condotta abusiva è che essa non riguarda il cuore del lavoro scientifico, ossia
il merito scientifico che l’articolo discute. I responsabili di questo tipo di
condotte abusive riguardanti lavori già pubblicati tentano di guadagnare valore
scientifico non dal contenuto dell’articolo, ma dalle citazioni che l’articolo
riceve. Dal loro punto di vista, non è importante che il loro articolo sia
davvero letto da uno scienziato, ma solo che le citazioni ricevute
dall’articolo siano catturate dai ragni che setacciano la rete a caccia di
metadati. Il che significa che, diversamente dalle frodi sui dati e da altre
forme di comportamenti abusivi tradizionali, l’abuso successivo alla
pubblicazione non implica necessariamente contaminare il prodotto scientifico
con risultati falsi. Si tratta però di una pratica che mina la credibilità del
sistema di pubblicazione. Che è particolarmente diffusa nei paesi emergenti,
forse perché le università di quei paesi assegnano molta enfasi alle metriche
per riuscire a diventare rapidamente visibili sul piano globale. (Fonte: M.
Biagioli, Roars 27-03-18)
SISTEMA
UNIVERSITARIO
REFERTO SUL SISTEMA
UNIVERSITARIO. I NUMERI DELLA CORTE DEI CONTI
I docenti delle università statali in soli quattro anni sono passati da
53.901 a 47.785 facendo registrare un calo dell’11,3%. Nelle università del
Centro Italia il numero dei docenti è diminuito del 13% (da 14.118 a 12.283);
mentre la riduzione minore si è avuta nel Nordest dove da 10.811 professori si
è arrivati a 9.790 con una riduzione del 9,4%. Nel Nordovest e sud (isole
comprese), le percentuali sono più vicine alla media nazionale (rispettivamente
-10,8% e -11,5%).
Nessun taglio invece, anzi un leggero aumento, all’interno delle
università private, dove si passa da 2.548 a 2.569 professori (+0,8%).
La riduzione maggiore si è registrata tra i ricercatori che, in quattro
anni, sono diminuiti del 24,41% (da 7.983 a 6.033); mentre tra i professori
associati si è registrata una tendenza inversa che ha portato a un aumento del
20,1% (da 15.884 a 19.081). I docenti ordinari, infine, sono passati da 14.532
a 12.124 con una riduzione del 16,6%. (Fonte: AdnKronos 01-04-18)
DUE VISIONI DELL’ACCADEMIA
Si è aperta una querelle che riguarda i modi per sciogliere i vincoli
che legano le nostre università a un diktat centralistico, espresso dal potere
politico. Sul fatto che l'università dovrebbe rifiutare che graduatorie di
merito e concorsi siano pilotati dall'alto da una burocrazia paraministeriale,
cioè da un agente politico esterno alla comunità scientifica e ai soggetti che
costituiscono il sapere, c'è pieno accordo. Il disaccordo nasce sul
"come", cioè sui modi per condurre in concreto una simile battaglia.
La querelle si è per adesso aperta tra la proposta avanzata da Roberto
Defez (del Comitato nazionale della ricerca) e la controproposta firmata da
Massimo Cacciari (sulle pagine di Repubblica). Il membro del Cnr ipotizza la
costruzione di una cittadella della scienza, una casa dei saggi che dovrebbero
sburocratizzare le regole e stabilire dall'interno del mondo accademico le
forme più adeguate per selezionare i docenti e valutare le loro attività
didattiche e di ricerca, nell'intento — par di capire — di una generale
moralizzazione della vita accademica italiana, alquanto malata e periodicamente
squassata da situazioni poco virtuose e dunque assai poco consone alle esigenze
di un sapere degno di questo nome.
Da parte sua, Cacciari vede in questo remake della Casa di Salomone, se
mai potesse realizzarsi, un ulteriore verticismo, la costruzione di un altro
"sopra" in cui starebbero i cosiddetti "migliori" (e chi
poi li sceglierebbe?) a esercitare una rinnovata "volontà di potenza"
nei confronti dell'istituzione intera. E allora propone che si dia alle singole
sedi universitarie il massimo di autonomia in modo che possano presentare agli
studenti le loro specifiche offerte didattiche, e che gli studenti (liberati
dal valore legale del titolo di studio) possano scegliere la sede che ritengono
più congeniale.
Due visioni dell'accademia: una che premia i supposti saggi elevandoli
a decisori, l'altra che guarda a cosa si fa veramente nelle università per
riuscire a liberarne le energie autonome. (Fonte: P. A. Rovatti, Il Piccolo
02-03-18)
CHE COSA CHIEDE UN RETTORE PER
L’UNIVERSITÀ A CHI CI GOVERNA
Romano Prodi ebbe a scrivere nel '91 sul Sole 24 Ore "Non si può
essere ricchi e ignoranti per più di una generazione". Sta oggi alle
Università - e in particolare a quelle tecniche - rinnovarsi e contaminare il
sistema produttivo entrato in crisi con nuovi professionisti dotati di senso
critico, responsabilità sociale e attitudine al lavoro in gruppo; alzare lo
sguardo verso il futuro con la ricerca interdisciplinare e convincenti catene
per il trasferimento tecnologico; rassicurare e abituare al cambiamento una
società in forte disagio condividendo con essa conoscenza e dandole speranza.
Chiedo tre cose a chi ci governa perché questo possa accadere:
- più investimenti in nuovi docenti e ricercatori: molte Università
hanno rapporti studenti/docenti circa doppi rispetto al resto d'Europa. Questo
va a scapito della qualità della didattica e del tempo che è possibile dedicare
alla ricerca;
- una drastica semplificazione burocratica: più autonomia responsabile
e più controlli ex post per evitare di perdere energie in pratiche sterili e
ritrovare il tempo per fare bene il proprio lavoro;
- una valutazione che sposti l'attenzione dalla competizione tra
singoli alla valorizzazione del gioco di squadra e della progettualità delle
strutture (Dipartimenti, Scuole, Atenei interi), per promuoverne un
miglioramento continuo e il raggiungimento di obiettivi di sistema in tempi
ragionevoli. (Fonte: G. Saracco, rettore del PoliTo, La Stampa 07-03-18)
IL RAPPORTO PAESE 2018 DELLA COMMISSIONE EUROPEA
L’università continua a essere
caratterizzata da un alto tasso di abbandoni e da una durata troppo lunga degli
studi. Ma è solo la premessa di Bruxelles che accende poi i riflettori su due ritardi
storici della nostra istruzione terziaria. Innanzitutto il sottofinanziamento,
visto che le risorse investite su questa voce non arrivano allo 0,4% del Pil. E
poi una quota di laureati nella classe d’età 30-34 anni che nel 2016 si è
assestata al 26,2% contro la media europea del 39,1. Ma i limiti italiani non
finiscono qui perché se è vero che i diplomati che proseguono gli studi hanno
di nuovo superato il 50% è altrettanto vero che i nostri laureati – si legge
nel paper – continuano a guadagnare troppo poco e ci mettono di più a trovare
un lavoro rispetto ai loro coetanei europei. Alcuni passi sono stati fatti
sull’istruzione post diploma. Sia per il rifinanziamento degli Istituti tecnici
superiori (Its) sia per l’avvio delle lauree professionalizzanti. Due tasselli
nel percorso di avvicinamento tra le competenze in uscita dei ragazzi e quelle
in entrata richieste dalle aziende. Due mondi che erano e restano lontani.
(Fonte: www.corriereuniv.it
0903-18)
STUDENTI.
TASSE UNIVERSITARIE
AUMENTANO LE ISCRIZIONI ALL’UNIVERSITÀ. PIÙ 3,8 PER CENTO SUL 2016-2017
Le matricole, studenti al
primo anno, sono 11.804 in più della stagione precedente. Più 3,8 per cento sul
2016-2017, che a sua volta era cresciuto in maniera identica. Le ultime due
sono state le migliori stagioni dell'intero Duemila e segnalano come il sistema
universitario italiano -
attaccato, sottofinanziato,
intercettato da procure e attraversato da concorsi fasulli - nuovamente attragga i diciannovenni italiani
e le loro famiglie: nell'ultimo quadriennio, quello che ha invertito un
andamento in caduta da dieci anni, sono stati recuperati all'istruzione
superiore trentunmila diplomati. Un ottavo delle intere matricole del 2013.
Cinquantanove università statali pubbliche su 61 hanno offerto a "La
Repubblica" i dati delle immatricolazioni 2017-2018. La somma dei
neoiscritti in tutti gli atenei segnala un numero di matricole pari a 321.652:
sono, appunto, 11.804 in più rispetto all'anno scorso alla stessa data (sempre
secondo i dati offerti dalle università). Come segnalano il MIUR e gli esperti
di AlmaLaurea, ancora non si può paragonare questa cifra con le serie storiche
consolidate, perché a luglio il dato di prassi scende (scremato di chi non ha
pagato almeno la seconda rata). Ma tutti — esperti e rettori contattati — sono
concordi con il dire che si è tornati a vedere quota trecentomila. Significa
che anche per l'università la grande crisi — 2008-2014 — non fa più male. Il
livello raggiunto è vicino a quello (307.586 neoiscritti) del 2007-2008, la
vigilia della depressione socio-economica. (Fonte: I. Venturi, C. Zunino, La
Repubblica 12-03-18)
TAR LAZIO.
CONDIZIONI PER ESSERE ISCRITTI A MEDICINA SENZA TEST D’AMMISSIONE
La novità riguarda solo gli studenti laureati, laureandi o iscritti
almeno al terzo anno in corsi di laurea a indirizzo sanitario. Che potranno
immatricolarsi, se dovessero esserci posti liberi in graduatoria, al secondo
anno di Medicina e Odontoiatria senza sostenere il test d'ingresso. Basterà
dimostrare di avere raccolto, nel proprio piano di studi, circa 25 crediti in
materie previste dal corso di laurea in Medicina. A sancirlo è una sentenza
emessa dai giudici del Tar del Lazio. Che, per la prima volta, hanno dato il
loro «nulla osta» a una ragazza di Latina, iscritta al terzo anno del corso di
laurea in Chimica e Tecnologia farmaceutica all'università «La Sapienza» di
Roma, il cui caso è adesso destinato a fare giurisprudenza. (Fonte: G. Mannino,
Giornale di Sicilia 02-03-18)
DATI DALL’UFFICIO STATISTICA DEL MIUR. NON INSOLITE DOLENTI NOTE SUL
DIRITTO ALLO STUDIO
Secondo i dati pubblicati
dall’ufficio statistica del MIUR, i borsisti in Italia sono oltre 176 mila, di
cui oltre 16 mila studenti extra Ue. Con l’innalzamento delle soglie ISEE si è
allargata la platea dei beneficiari. La legge di bilancio dello scorso anno ha
introdotto infatti una «no tax area» alla soglia di 14 mila euro di reddito ISEE,
che può arrivare a 23 mila nel caso si raggiungono una serie di requisiti di
merito. Quest’anno sono 7 mila gli studenti che pur avendone diritto, non
riceveranno alcun sostegno economico. Una buona notizia, ma solo se
consideriamo che cinque anni fa erano più di 38 mila. A non garantire la
copertura di tutte le borse di studio sono Calabria, Campania e Sicilia,
rispettivamente con 2.599, 1.629 e 2.832 studenti esclusi. Le regioni con più
borsisti sono Lombardia (21.500) ed Emilia-Romagna (20.202). Sul diritto allo studio l’Italia resta ancora
molto lontana dagli altri Paesi europei. Se gli universitari con borsa sono il
9,4% del totale, in Francia sono il 38%. Negli ultimi dieci anni la percentuale
di borsisti francesi è cresciuta del 47%, del 68% per gli spagnoli e del 23%
per i tedeschi. E l’Italia? Appena del 7%. Abbiamo la più bassa percentuale di
residenze universitarie: la Francia ha il quadruplo dei nostri posti letto e la
Germania il quintuplo. (Fonte: N. Ferrigo, La Stampa, 27-02-18)
METÀ DELLE UNIVERSITÀ NON IN
REGOLA CON LA LEGGE SULLE TASSE DEGLI STUDENTI
Su 59 presi in esame sono 33 gli atenei non in regola, con una crescita
sensibile dopo i tagli della Tremonti-Gelmini del 2008-2010. Invano da anni si
attende una risposta e una presa di posizione da parte del Ministero che non
chiede agli atenei di rientrare nei limiti, comunque insufficienti, previsti
dalla legge. L'Udu, l'Unione degli universitari, a tal proposito, ha presentato
ricorso contro la Statale di Milano e l'Università degli studi di Torino
impugnando i bilanci previsionali 2018. «Ma il problema è sistemico, non basta la
nostra azione legale. È il sottofinanziamento dell'università che ha condotto
gli atenei ad innalzare le tasse: nel solo 2015 la somma richiesta oltre i
limiti di legge ammonta a 259 milioni di euro». (Fonte: www.studiocataldi.it 06-03-18)
ERASMUS, LE NOVITÀ DEI BANDI 2018
La dotazione di quest’anno è aumentata di 200 milioni di euro rispetto al 2017, pari a un incremento dell’8%. Quest'anno ci saranno più soldi per gli studenti con condizioni economiche svantaggiate, inoltre, almeno il 50% della borsa sarà erogato prima della partenza. Fino ad oggi, la prima parte di borsa era data entro 30 giorni dalla firma dell'accordo di mobilità, il restante al rientro. Un'altra grande novità è quella relativa alla possibilità di effettuare più volte la mobilità, fino ad arrivare ad una somma massima di 12 mensilità per ciascun ciclo di studio (laurea triennale, laurea magistrale e dottorato) e 24 mensilità per le lauree a ciclo unico. (06-03-18)
La dotazione di quest’anno è aumentata di 200 milioni di euro rispetto al 2017, pari a un incremento dell’8%. Quest'anno ci saranno più soldi per gli studenti con condizioni economiche svantaggiate, inoltre, almeno il 50% della borsa sarà erogato prima della partenza. Fino ad oggi, la prima parte di borsa era data entro 30 giorni dalla firma dell'accordo di mobilità, il restante al rientro. Un'altra grande novità è quella relativa alla possibilità di effettuare più volte la mobilità, fino ad arrivare ad una somma massima di 12 mensilità per ciascun ciclo di studio (laurea triennale, laurea magistrale e dottorato) e 24 mensilità per le lauree a ciclo unico. (06-03-18)
PER CHI STUDIA ECONOMIA, QUALI SONO LE DESTINAZIONI ERASMUS MIGLIORI?
A questa semplice domanda
Skuola.net risponde tramite la classifica QS World University Ranking, cioè la
graduatoria dei migliori atenei nel mondo che si concentra su 48 discipline,
divise in cinque macro aree di studio. Con una breve ricerca sul sito, abbiamo
scovato le migliori università in Europa per l'ambito "Economics &
Econometrics". Ecco quindi i Paesi in cui si trovano le università più
quotate per questa area di studio: 1° London School of Economics. 2° Oxford. 3°
Cambridge. 4° Bocconi. 5° College of London. 6° London Business School. 7°
Warwick. 8° Swiss Federal Institute of Technology a Zurigo. 9° Universitat
Pompeu Fabra a Barcellona. 10° Stockholm School of Economics. (Fonte: A.
Carlino, www.skuola.net
13-03-18)
STUDENTI LAVORATORI. INDAGINE ALMALAUREA
Che cosa dice l’indagine
AlmaLaurea, che coinvolge il 90% di tutti i laureati degli atenei italiani, con
un tasso di risposta dell’82% tra i laureati a un anno. Secondo AlmaLaurea, «le
esperienze di lavoro hanno caratterizzato il 65% dei laureati triennali, il 58%
dei magistrali a ciclo unico e il 67% dei magistrali biennali. Più nel
dettaglio, nel 2016, 6 laureati su cento hanno conseguito la laurea lavorando
stabilmente durante gli studi (lavoratori-studenti); […] Gli
studenti-lavoratori, ovvero gli studenti che hanno lavorato occasionalmente
durante gli studi, rappresentano invece il 59%». Ai fini del dibattito sui
fuoricorso, vale la pena di notare che «al crescere dell’impegno lavorativo
degli studenti diminuisce l’assiduità nel frequentare le lezioni. Hanno seguito
oltre i tre quarti degli insegnamenti previsti dal corso di studi 78 laureati
su cento fra quanti non hanno lavorato, rispetto al 67% fra gli studenti-lavoratori
e al 33% fra i lavoratori-studenti». Inoltre, «La condizione socio-culturale
della famiglia di origine influenza la probabilità di lavorare nel corso degli
studi. Tra i laureati con almeno un genitore laureato, infatti, i
lavoratori-studenti sono solo il 4%; salgono al 6% fra quanti hanno genitori
con titoli di scuola secondaria di secondo grado e raggiungono l’11% tra i
laureati con genitori in possesso di un
titolo inferiore o che sono senza titolo di studio. Tra i laureati con una
formazione liceale il lavoro durante gli studi è meno diffuso: i
lavoratori-studenti sono solo il 5% contro l’11% di chi ha un diploma tecnico e
il 15% di chi ne ha uno professionale». Insomma, gli studenti universitari che
lavorano sono ben più di un terzo (anche se in calo a causa della crisi
economica e della riduzione di studenti in età adulta). (Fonte: Red.ne Roars
30-03-18)
STUDENTI ALL’ESTERO. IL COSTO
ANNUO
In un'università USA, la spesa può variare tra i 25.000 e i 40.000
dollari l'anno. Per l'Australia la spesa complessiva per un universitario si
aggira sui 15.000 euro l'anno. 8.000 se ne vanno in vitto e alloggio, 5.000 in
tasse universitarie, 625 per l'assicurazione sanitaria, 375 per il visto
studentesco valido tre anni e 1.300 euro circa per tornare (una volta) a
trovare la mamma in Italia.
Ci sono Paesi, poi, che mettono in campo politiche specifiche per
attrarre gli studenti dall'estero. E il caso dell'Olanda, dove la retta
universitaria costa, mediamente, 8.000 euro l'anno, ma dallo Stato le famiglie degli
studenti, anche non olandesi, ricevono un contributo di 5.500 euro. L’Olanda è
uno dei Paesi meno cari d'Europa, si spendono comunque circa 15.000 euro l'anno
per studiare Diritto internazionale a Maastricht. Politiche attrattive anche
nel Galles, dove la retta universitaria costa 10.550 euro l'anno, ma lo
studente può accedere a una procedura di rimborso, ottenendo uno sconto di
5.700 euro. In Danimarca, invece, le università sono gratuite per tutti gli
studenti dell'Unione Europea, che possono usufruire anche di borse di studio,
oltre che di biblioteche e internet gratis. Il costo della vita si aggira sui
670 euro al mese e comprende cibo, vestiario, affitto, trasporti e materiale
scolastico. (Fonte: P. Ferrario, Avvenire 05-04-18)
VARIE
IL MITO DELL’ECCELLENZA. L’INSEGUIVA ANCHE GALILEO? LA CORRELAZIONE
LATITUDINE – DIPARTIMENTI D’ECCELLENZA
La distribuzione dei
Dipartimenti universitari di Eccellenza è fortemente correlata con la
Latitudine:
106 al Nord (59%), 49 al
Centro (27%), 25 al Sud e nelle Isole (13%). Esiste anche una blanda
correlazione con la Longitudine, soprattutto lungo la dorsale appenninica. La
mappa, che mostra il numero di dipartimenti eccellenti per regione, evidenzia
infatti come l’Eccellenza tenda a concentrarsi sul settore tirrenico, piuttosto
che su quello adriatico. La determinazione dell’eccellenza dei dipartimenti è
una strana pratica moderna, sconosciuta agli antichi. Eppure le Università
esistono da mille anni. C’è chi è pronto a giurare che Galileo abbandonò
l’Ateneo pisano per approdare a Padova, perché l’Università della Repubblica
veneziana era stabilmente in testa alle classifiche di eccellenza. Personalmente tendo più a credere alla
congettura che il grande scienziato abbia deciso di emigrare perché a Padova
semplicemente gli raddoppiarono lo stipendio: da 60 ducati pisani
(corrispondenti a 420 lire fiorentine) a 180 fiorini veneziani (equivalenti a
870 lire fiorentine). A
supporto di questa ipotesi c’è il fatto che il Galilei non esitò a spostarsi a
Firenze, che l’Università nemmeno ce l’aveva, come «Matematico primario dello
Studio di Pisa e Filosofo del Ser.mo Gran Duca senz’obbligo di leggere e di
risiedere né nello Studio né nella città di Pisa, et con lo stipendio di mille
scudi l’anno, moneta fiorentina» che, se non sbaglio, corrispondevano a 5000
lire. Stipendio quintuplicato insomma ed esonero totale dagli obblighi
didattici. Altro che eccellenza! Altro che scatti biennali!
Per misurare l’eccellenza oggi
si deve istituire una costosa Agenzia Ministeriale, realizzare una macchinosa
piattaforma informatica per l’immissione delle pubblicazioni, chiedere a tutti
i professori e ricercatori d’Italia di perdere tempo prezioso per inserire i
loro prodotti di ricerca nella banca dati, escogitare una formula complicatissima
per misurare l’immisurabile – ovvero la qualità scientifica fra discipline
diverse – istituire una commissione nazionale di valutatori, preselezionare 350
dipartimenti con la formula complicatissima suddetta, chiedere alla commissione
di sceglierne 180 e di scartare il resto in base a un sistema di valutazione a
punteggio, negoziare il risultato con i rettori e con la CRUI, pubblicare i
risultati, rispondere alle proteste. (Fonte: N. Casagli, Roars 27-02-18)
LA LINGUA FAVORITA DALLA MATEMATICA E DALLE SCIENZE ERA L'ITALIANO BEN
PRIMA DELL'INGLESE
Nei secoli passati - prima che l'inglese diventasse il linguaggio
favorito delle scienze - la matematica aveva 'parlato italiano' in maniera
formidabile e con grandi risultati. Ad aprire il 'racconto' dell'intenso
rapporto tra lingua italiana e matematica, oggi, è stata una tavola rotonda
aperta dal presidente dell'Accademia, Claudio Marazzini. "Per dimostrare
al meglio la nostra tesi, oggi abbiamo lasciato la parola ai matematici - ha
spiegato Marazzini - i quali non hanno mancato di intessere le lodi della
ricchezza del linguaggio matematico italiano, ancora molto influente in Europa
fino all'inizio del Novecento". A tal proposito, "è doveroso
ricordare - sottolinea il presidente della Crusca - che Einstein utilizzò la
matematica di Levi-Cívita, uno studioso che aveva scelto di scrivere libri in
italiano. E, detto per inciso, Einstein conosceva abbastanza bene la nostra
lingua perché da ragazzo aveva abitato in Italia. Nel 1921 presentò la teoria
della relatività a Bologna, chiamato dai matematici del luogo, tra i quali
Federigo Enriques. (Fonte: ANSA 16-03-18). Bene. Ne siamo orgogliosi. Ma oggi è l’inglese la lingua
internazionale delle scienze. E allora perché opporsi al suo uso esclusivo in
corsi di laurea scientifici?
UNIVERSITÀ
IN ITALIA
LUISS. BORSE DI STUDIO PER
TALENTI HI-TECH
Si chiamano LuissMatics e Zacconi scholarship le borse di studio messe
in palio per il nuovo corso di laurea triennale in Management and Computer
Science, novità dell’offerta formativa che
unisce le caratteristiche fondamentali dei percorsi offerti dagli altri
corsi triennali in Economia e Management e Economics and Business, con una
presenza significativa di materie tecniche e ingegneristiche, come l’Artificial
Intelligence e il Machine Learning, che rappresentano il nuovo codice
professionale di aziende, Istituzioni e Pubblica Amministrazione. Le borse
LuissMatics, rivolte agli appassionati della matematica e dell’informatica, e
la Zacconi scholarship, finanziata da Riccardo Zacconi, fondatore dell’azienda
di gaming online King.com (nonché laureato Luiss) saranno a copertura totale e,
spiega una nota dell’ateneo, potranno essere confermate per tutta la durata del
corso di studi, nel rispetto dei requisiti previsti nei rispettivi bandi.
Sostegni al merito anche per i candidati ai corsi di laurea in Giurisprudenza e
Scienze Politiche che per particolari condizioni di merito e reddito, potranno
concorrere all’assegnazione di oltre 500 borse di studio a esenzione totale e
parziale, erogate da Luiss insieme a Enti, istituzioni, grandi imprese. (Fonte:
www.corriereuniv.it 03-04-18)
POLIMI. POLIHUB È IL TERZO INCUBATORE UNIVERSITARIO A MONDO
PoliHub, l'incubatore
universitario del Politecnico di Milano (sede al quartiere Bovisa) gestito
dalla Fondazione Politecnico di Milano, è stato premiato come terzo incubatore
(struttura che agevola nascita e crescita di startup) universitario al mondo
secondo il ranking dell'associazione indipendente svedese Ubi Global e unico
italiano tra i migliori 20 classificati. Rispetto all'indagine pubblicata nel
2015, PoliHub ha guadagnato due posizioni. Il risultato è stato comunicato a
Toronto, dove è in corso il World Incubation Summit, l'evento di presentazione
del ranking di Ubi Global che dal 2013 misura classifica gli incubatori
universitari. La valutazione di Ubi 2018 ha preso in considerazione 1.370
incubatori al mondo e si è basata su tre aree principali di valutazione: il
valore generato per l'ecosistema (numero di startup incubate e loro fatturato,
posti di lavoro, finanziamenti ottenuti...), il valore per le startup incubate
(quantità e qualità dei servizi offerti alle startup, numero di relazioni con
imprese, università, finanziatori...) e l' attrattività per l'ecosistema
(numero di idee valutate, tasso di crescita e sopravvivenza delle startup una
volta uscite...). (Fonte: MF 27-02-18)
POLIMI. DOTTORI DI RICERCA, PER
IL 94,7% LAVORO DOPO 1 ANNO
I dottori di ricerca (PhD) del Politecnico di Milano sono stati oggetto
nel dicembre 2017 di un’indagine occupazionale che ha coinvolto più dell’80% di
chi ha conseguito il titolo nel 2015 e 2016, quasi seicento persone. Ne emerge
un quadro molto positivo e non scontato. Sono lontani i tempi in cui il
dottorato era solo il primo passo per la carriera universitaria. "A un
anno dal titolo - si legge nella nota - il 94,7% è occupato: poco meno della
metà dei dottori di ricerca (dato in decrescita, erano poco più di metà
nell’ultima indagine) continua una professione nel settore della ricerca al
Politecnico e nelle università internazionali. Il 10% circa è lavoratore
autonomo. I restanti PhD lavorano in azienda e di questi il 72,3% con un
contratto a tempo indeterminato (dato quest’ultimo che li porta a superare di
più di venti punti il già ottimo 51% raggiunto dai laureati).
A indicare il riconoscimento da parte del mercato del lavoro lo
stipendio medio, circa 2.000 euro mese, il 35 % in più rispetto al laureato. Il
dottorato di ricerca è un chiaro investimento sul proprio futuro. (Fonte:
Italpress 06-03-18)
UNIMI. VIA LIBERA AL CAMPUS DA
18MILA STUDENTI NELL'AREA EXPO
Il si al trasferimento nell'ex area Expo ma anche la ristrutturazione
degli spazi della facoltà di Medicina Veterinaria a Città Studi, che ospiterà
il dipartimento di Beni culturali e il Museo dei diritti umani con il barcone
dei migranti. Il voto del Senato accademico della Statale e del cda
(all'unanimità) ha ufficializzato la volontà di trasferirsi nell’area
dell'Esposizione universale, proprio di fronte allo Human Technopole e
all'Albero della vita. La struttura accoglierebbe >18.000 studenti, 1.800
ricercatori e ca. 500 TA. (Fonte: La Repubblica 07-03-18)
UE.
ESTERO
IRELAND. UNIVERSITIES HAVE RECEIVED GOVERNMENT APPROVAL TO RECRUIT TOP
ACADEMICS ON SALARIES OF UP TO €337,000
While professors can earn up
to €136,000, more senior appointments, such as registrars, directors or
university presidents, may earn between €140,000 and €190,000. The Government
provided a special derogation to help universities hire world-leading
researchers on salaries of up to €250,000 and top academics on salaries of up
to €337,000 a year. (Fonte: www.irishtimes.com 12-03-18)
UK. LO SCIOPERO PIÙ LUNGO DELLA
STORIA DELLE UNIVERSITÀ INGLESI. E SI SCOPRE ANCHE CHE I PRECARI E IN
PARTICOLARE I DOTTORANDI SONO UNA PARTE PREPONDERANTE DELLA DOCENZA
Si parla di 61 università coinvolte e di un milione di studenti le cui
lezioni sono a rischio. Lo sciopero nasce dalla protesta contro il progetto di
legare le pensioni dei docenti ai rendimenti azionistici per far fronte alle
difficoltà del loro fondo pensionistico. […] La risposta del management è stata
molto violenta, non solo detrarranno totalmente il salario dei 14 giorni di
sciopero, ma la cosa più grave è che in seguito alla fine dello sciopero i
dirigenti di quasi tutte le università hanno chiesto ai professori di
riorganizzare tutte quelle lezioni che andranno perse. […] Dopo la minaccia del
management di detrarre il 25% della paga per “action short of a strike”, i
primi a vacillare sono stati i precari e in particolare i dottorandi che
costituiscono una parte preponderante della docenza sopratutto perché sono
quelli che coprono i seminari in cui hai un rapporto più diretto con gli
studenti. L’università inglese si basa sempre di più sul lavoro precario:
pagato a ore; fixed term; part-time o contrattualizzati. I ruoli di docenza sono
assegnati sempre di più a queste figure contrattuali precarie. Il sindacato ha
portato avanti un’azione molto concreta e ha dato la possibilità ai precari di
richiedere un rimborso per il salario perso durante lo sciopero. I fondi di cui
si parla si aggirano intorno alle 500 sterline a persona per l’intero periodo
di sciopero […] (Fonte: Red.ne Roars 09-03-18)
UK. REVIEW OF
TERTIARY EDUCATION ANNOUNCED BY PRIME MINISTER
The higher education reforms of recent years under which student tuition
fees have more than tripled, have made equality of access to university more
difficult and have created one of the most expensive systems in the world. Yet
they have failed to create the competitive market between universities that
their architects envisaged, the Prime Minister, Theresa May has admitted.
Announcing a yearlong review of tertiary education last Monday, she
said: “Making University truly accessible to young people from every background
is not made easier by a funding system which leaves students from the
lowest-income households bearing the highest levels of debt, with many
graduates left questioning the return they get for their investment.” She
hinted that variable fees, dependent on the cost of running the course, might
be an option on the agenda. “The competitive market between universities which
the system of variable tuition fees envisaged simply has not emerged. All but a
handful of universities charge the maximum possible fees for graduate courses.”
At the same time, there has been no change on the length of degrees, as also
envisaged, with three-year courses remaining the norm. “And the level of fees charged do not relate
to the cost or quality of the course. We now have one of the most expensive
systems of university tuition in the world.” She said the review will focus on
“how we ensure that tertiary education is accessible to everyone, from every
background, how our funding system provides value for money, both for students
and taxpayers, how we incentivise choice and competition right across the
sector and how we deliver the skills that we need as a country”. (Fonte: universityworldnews.com
20-02-18)
USA. IN TANTE UNIVERSITÀ GLI STUDENTI SONO IMPEGNATI A ELIMINARE I CORSI
DI STORIA E CIVILTÀ OCCIDENTALE
Sta succedendo ovunque in
America. Ancora nel 1970, dieci dei cinquanta college principali avevano un
corso obbligatorio di "civiltà occidentale", mentre 31 di loro
offrivano il corso agli studenti se avessero voluto sceglierlo. Oggi, secondo
un rapporto dal titolo "The Vanishing West" della National
Association of Teachers, nessuna università americana offre quasi più simili
corsi.
Gli studenti laureandi in
inglese presso l'Università della California dovevano fino a oggi seguire un
corso su Chaucer, due su Shakespeare e uno su Milton, i capisaldi della
letteratura anglosassone. A seguito di una rivolta della facoltà, durante la
quale è stato annunciato che Shakespeare “faceva parte dell'Impero", anche
la Ucla ha cancellato questi singoli autori. Al Reed College, una università
celebre per le sue discipline umanistiche a Portland, nell'Oregon, si è svolta
una scena surreale. Una protesta studentesca contro il corso Humanities 110. Un
grande classico delle università americane, in cui agli studenti si fornisce
una infarinatura sulla nascita e la formazione della civiltà occidentale. Gli
studenti hanno organizzato un sit-in per protestare contro il corso fino a che
il professor Libby Drumm, titolare di Humanities 110, ha ceduto dicendo che il
nuovo curriculum avrebbe adottato una "struttura a quattro moduli"
per includere anche "altri pensatori", oltre a quelli di Atene e
Roma. Fino a oggi, il programma includeva letture di Platone, Aristotele e
Cicerone, tra gli altri. Un gruppo di studenti chiamati Reedies Against Racism
ha protestato per più di un anno, sostenendo che fosse "eurocentrico"
e "caucasico". Lo scorso autunno, gli attivisti anti-razzisti avevano
anche interrotto la prima lezione di Humanities 110, circondando la cattedra e
interrompendo i professori, che alla fine si sono alzati e se ne sono andati.
(Fonte: G. Meotti, Il Foglio 31-03-18)
USA. ATENEI COME MERCATI
DELL’ISTRUZIONE
Negli Stati Uniti la trasformazione degli atenei in mercati
dell’istruzione è cominciata addirittura agli inizi del 1900, con la decisione
di Charles W. Eliot, allora preside di Harvard, di lasciare agli studenti la
scelta delle materie. Quelle non gradite sarebbero scomparse dai piani di
studi. Con l’eccezione di alcuni centri di eccellenza, dove il corpo insegnante
decide ancora che cosa bisogna studiare per ottenere la laurea, oggi nei campus
americani regna la libera scelta. La percentuale del bilancio destinata agli svaghi,
alle strutture sportive e ai luoghi di ristoro da parte delle università è
salita del 22% tra il 2003 e il 2013, molto più rapidamente di quella destinata
alla ricerca o all’insegnamento, rimaste attorno al 9%. A parere del
'Washington Post', oggi gli studenti americani controllano a tal punto la vita
delle università che sono in grado di cacciare professori che non la pensano
come loro o di mettere all’indice libri non graditi, con risultati pessimi per
il dibattito e la tolleranza intellettuale. (Fonte: S. Guzzetti, www.avvenire.it 03-04-18)
LIBRI.
RAPPORTI. SAGGI
SALVARE L'UNIVERSITÀ ITALIANA
Autori: Giliberto Capano,
Marino Regini, Matteo Turri. Il Mulino 2017.
Nella parte introduttiva di
questo saggio è esposta un’efficace sintesi dei fattori di crisi. Tra cui si
legge il semplicismo della analisi, al contrario le complicate ingegnerie delle
ricette, in particolare un intreccio di colpe che riguarda governi e politica,
sistema economico (imprese) e quelle che il libro di tre professori
universitari chiama le “oligarchie accademiche”. Ne risulta – anche per
improprietà della narrazione mediatica – un “clima culturale sfavorevole”, che
per trovare vie di uscita obbliga a confrontarsi con gli altri Paesi soprattutto
europei. Quali sono le proposte che, nella seconda parte del saggio, trovano
posto? Un cambiamento sostanziale dei processi di valutazione, mettendo fine
allo scontro tra una valutazione iper-tecnicistica e il partito della non
valutazione. La capacità di assumere dati e analisi per progettare il futuro
con obiettivi misurati nel medio e anche lungo termine. La possibilità di
riportare a centralità la didattica. Una sostanziale politica di sostegno al
diritto allo studio. E solo nel quadro di questa manovra integrata la massiccia
battaglia per l’allocazione adeguata delle risorse. Al termine, gli autori
propongono due misure che vengono considerate “fattori di detonazione”: attuare
strumenti della contrattualizzazione poliennale dei rapporti tra ministero e
atenei (mutuando il modello francese); concentrare le grandi scuole di
dottorato obbligando gli atenei a specializzarsi nelle aree con probabilità di
eccellere.
PER FORTUNA FACCIO IL PROF
Autore: Nando Dalla Chiesa,
ed. Bompiani 2108, pp. 236.
Nando Dalla Chiesa rivela le sue intenzioni fin dalla prima pagina.
«Non è (il mio) un libro di denuncia dei mali dell'università. Non è un'accusa
contro lo Stato che non investe nella ricerca. (...) È invece un libro che
canta la bellezza dell'insegnare e del vivere in università. Racconta il
piacere delle sfide culturali (...) Ricorda quel che l'umanità dimentica: che
le idee e il cuore smuovono le montagne, possono spesso più del denaro». Un
libro controcorrente dalla parte dei giovani, certamente non tutti. Gli
studenti di Dalla Chiesa, i più, sembra che non passino le giornate sui divani
di casa a giocare con lo smartphone, senza mai leggere un libro, o al bar a
bere birrette nella condiscendenza dei genitori, non tutti, certo, che credono
così di compensare le loro manchevolezze e i loro spesso macroscopici errori.
Il nodo centrale della materia che insegna Dalla Chiesa è naturalmente la
mafia, il suo studio arricchito dai più sofisticati strumenti di analisi, sulla
'ndrangheta e su Cosa nostra. Aziende principi in quattro regioni italiane,
diffuse in tutto il Paese e all'estero, rappresentano uno dei problemi
(sottovalutati) della società nazionale: proprio per questo è importante
culturalmente e politicamente l'istituzione specialistica di Milano, conosciuta
e stimata in Italia e fuori. La chiusa del libro: «Chissà se potrà esistere
un'Italia senza mafia. Credo di no, purtroppo. Non per colpa del destino, che è
stato con questa nostra terra generoso di geni e di bellezze; ma a causa delle
nostre teste, insaziabilmente nutrite dall'humus della corruzione. Quand'ero
giovane speravo e credevo il contrario ( ). Favole senza lieto
fine». (Fonte: CorSera 06-03-18)
DALL'UNIVERSITÀ DI ÉLITE
ALL'UNIVERSITÀ DI MASSA. L’ATENEO DI PADOVA DAL SECONDO DOPOGUERRA ALLA
CONTESTAZIONE SESSANTOTTESCA
Monografia a cura di Alba Lazzaretto, Giulia Simone. Padova University
Press 2017.
Il testo curato da Alba Lazzaretto e Giulia Simone, edito da Padova University Press nel 2017, affronta la
storia dell’Università di Padova a partire dal secondo dopoguerra – quando
l’Ateneo di Padova riprendeva la sua attività, fiero della medaglia d’oro al
valor militare, ma profondamente ferito nelle sue strutture – e analizza
l’evolversi della sue istituzioni (facoltà, istituti scientifici, centri di
ricerca), le biografie dei suoi rettori, la presenza delle donne nell’Ateneo,
le connessioni tra docenza e rappresentanza politica. Particolare attenzione è
stata riservata alla vita degli studenti, dalle loro proteste dagli ultimi anni
Quaranta fino al Sessantotto, alla loro vita associativa, alla goliardia che,
pesantemente ridimensionata dalla contestazione, va a perdere tradizioni
antiche, originali e molto sentite nel mondo universitario padovano. (Fonte: https://tinyurl.com/y8zbdhxx
15-03-18)
LA LAUREA NEGATA. LE POLITICHE CONTRO L’ISTRUZIONE UNIVERSITARIA
Autore: Gianfranco Viesti. Ed.
Laterza, Bari. 2018. Pag. 149.
In un mondo in cui i livelli
di istruzione superiore sono decisivi per il progresso economico e l'inclusione
sociale, l'Italia sta operando da dieci anni un forte disinvestimento
sull'università. Per la prima volta dall'Unità si sono ridotti gli immatricolati.
È cresciuto il costo degli studi. L'università italiana è diventata ancora più
povera nel confronto europeo. Un'intera generazione di studiosi è stata
costretta alla precarietà o alla fuga. Inoltre, processi di valutazione
estremamente discutibili stanno riconfigurando il sistema, principalmente a
danno degli atenei del Centro-Sud. Tutto questo ha gravi conseguenze per i
giovani italiani di oggi e di domani. Una vicenda che deve interessare tutti i
cittadini, non solo gli esperti. (Fonte: Presentazione dell’editore)
RESEARCH POLICY: INSIGHTS FROM SOCIAL EPISTEMOLOGY
Autori: Eugenio Petrovich e
Marco Viola.. 19 marzo 2018.
E’ uscito il Fascicolo 2018 di
Roars Transaction, RT, la rivista open access gemmata dal blog ROARS. Si tratta
di un numero monografico dedicato a “Research Policy: Insights from Social
Epistemology”. Studiosi da tutto il mondo hanno tentato di rispondere alla
domanda del filosofo della scienza americano Philip Kitcher: “How do we best design social institutions
for the advancement of learning?”. Al fine di incoraggiare i filosofi (e
più in generale, chi si occupa di STS, Student Travel Schools,
un'organizzazione internazionale, protagonista nell'ambito degli scambi culturali
e dello studio all'estero) a prendere posizione in modo ragionato e
argomentato, e preferibilmente in un’ottica riformista piuttosto che
panglossiana, riguardo all’aspetto normativo, circa un anno fa siamo partiti
dal succitato slogan di Kitcher per lanciare una Call for papers su Roars
Transaction, la rivista Open Access gemmata dal blog ROARS, intitolata Research
Policy: Insights from Social Epistemology. L’obiettivo era di sollecitare
filosofi della scienza e studiosi di STS a trarre conclusioni genuinamente
normative (in termini, cioè, di “Policy advice” come diciamo nella nostra breve
Introduzione) dalle teorie, per lo più descrittive, elaborate in filosofia
della scienza ed epistemologia. Nei mesi successivi abbiamo ricevuto diversi
contributi da ricercatori di tutto il mondo, che sono stati sottoposti a peer
review da parte di colleghe e colleghi di varie discipline (che cogliamo
l’occasione per ringraziare), e persino due lettere dello stesso Kitcher e di
un altro pioniere degli STS, Steve Fuller. Al netto di aver permesso la
diffusione di contributi originali e di qualità, speriamo di aver mosso il
primo passo per invitare i nostri colleghi filosofi a mettersi in gioco per
migliorare, e non solo descrivere, l’impresa scientifica. (Fonte: Roars
19-03-18)
SCOPERTA. COME LA RICERCA SCIENTIFICA PUÒ AIUTARE A CAMBIARE L’ITALIA
Autore: Roberto Defez. Ed.
Codice, 2018. Pag. 168.
Defez parte da un’analisi
piuttosto condivisa, almeno negli ambienti scientifici. L’Italia è un paese in
difficoltà. Per la sua incapacità di innovare che deriva, a sua volta, da una
cultura scientifica insufficiente anche tra le classi dirigenti. Sostiene
Defez, con innumerevoli e puntuali esempi che si srotolano lungo i quattro
quinti del libro, che gli scienziati italiani – pochi, ma in grande maggioranza
buoni – sono maltrattati «oltre ogni limite di decenza». Lo sfondamento dei
limiti avviene in più settori, da quello dei finanziamenti a quello degli
adempimenti burocratici, che non sono solo una sorta di tortura istituzionale
ma un’enorme perdita di tempo, tutto sottratto alla ricerca. In definitiva,
Defez denuncia rapporti non sostenibili della comunità scientifica con i media,
le classi dirigenti (per esempio la magistratura), l’economia e la politica. È
tutto questo che contribuisce al declino ormai strutturale del paese. È tutto
questo che bisogna rimuovere per aiutare a cambiare l’Italia. Ma a questo punto
il ricercatore napoletano si pone la domanda, a sua volta classica: di chi è la
colpa? Ed è in questo momento che la risposta diventa davvero originale,
spiazzante, provocatoria: la colpa è degli scienziati italiani. No, non che
questo assolva le (altre) classi dirigenti del paese. Tutt’altro. Ma il fatto è
che la comunità scientifica del paese non è affatto unita, coordinata,
organizzata. Ciascun ricercatore cerca la sua salvezza individuale, con il più
classico individualismo. Ed è qui che l’analisi originale, spiazzante,
provocatoria di Defez diventa proposta a sua volta originale, spiazzante,
provocatoria: con la “carica dei 51”. Già, ma come? Creando un gruppo
rappresentativo di tutte le discipline, di 50. Anzi, di 51 membri – scegliendo
tra i ricercatori più bravi (secondo i criteri internazionali, ovviamente) ed
eleggendo tra loro o anche tirando il nome del presidente pro tempore. Questo gruppo
dovrebbe avere il compito di parlare sì a nome degli scienziati italiani, in
maniera sistematica ed efficiente, in maniera professionale, ma utilizzando i
metodi propri dei ricercatori: producendo documentazione rigorosa, scientifica
appunto, a sostegno delle loro tesi. Una documentazione chiara e imponente,
tale da sommergere i media, ma anche da raggiungere le classi dirigenti
(magistratura compresa, cui indicare magari nomi di consulenti scientificamente
accreditati per la cause in tribunale), gli uomini dell’economia, i politici.
(Fonte: P. Greco, www.scienzainrete.it 12-03-18)
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