IN
EVIDENZA
PARLA IL NEOMINISTRO BUSSETTI
SULLE LINEE PROGRAMMATICHE DEL MIUR
Il ministro Bussetti ha ricordato che l’età media dei docenti negli
atenei italiani è tra le più alte d’Europa. Anche il numero dei dottorandi è un
terzo di quelli tedeschi e si sta riducendo dal 2008 di circa il 25%. «La
carriera universitaria non è più particolarmente attraente, gli stipendi non
sono particolarmente attrattivi - ha sottolineato Bussetti - non ho timore
dalla fuga dei cervelli, però la ricerca è internazionale, parla tutte le
lingue del mondo; è fisiologico che un nostro dottorando senta l’esigenza di
lavorare per un periodo all’estero. La questione non è la partenza ma il
mancato ritorno, questo sì è un depauperamento. Bisogna fare sì che i giovani
studiosi possano rientrare in Italia disponendo di infrastrutture attrezzate in
cui poter continuare a sviluppare la loro attività scientifica. Abbiamo bisogno
di accrescere il numero dei ricercatori e dei professori aumentando globalmente
la dotazione organica». «Bisogna creare le condizioni affinché - ha aggiunto il
ministro -, dopo un periodo più o meno lungo, i giovani talenti possano
rientrare in Italia: riallineando il salario a quello degli altri principali
centri di ricerca e dando loro la possibilità di sviluppare un percorso di
carriera, di disporre di infrastrutture fisiche e tecnologiche (ad esempio,
laboratori attrezzati) adeguate e finanziate in maniera costante, nelle quali
poter continuare a sviluppare l’attività scientifica». «Dall’altro - continua
ancora Bussetti - dovremo riuscire ad attirare le menti più brillanti, junior o
senior, dall’Europa e dal mondo, attività questa in cui siamo deboli».Il senatore Francesco Verducci in merito all’intervento del ministro Bussetti in Parlamento: «L’università ha grandi problemi aperti: scarsità di immatricolati e laureati, scarsità e precariato dei ricercatori, divario territoriale. Ma in 45 minuti di intervento il ministro non ha mai citato né il tema dell’accesso, né il tema della precarietà, né quello degli squilibri territoriali, né quello del diritto allo studio universitario». (Fonte: IlSole24Ore 13-07-18)
PUNTI INCERTI NEL CONTRATTO DI
GOVERNO SU UNIVERSITÀ E RICERCA
Nel contratto fra Movimento 5 stelle e Lega non si definiscono tempi,
modi e priorità di intervento. Non si capisce come il nuovo governo intenda
alzare la percentuale di laureati fra i giovani, fra le più basse in Europa (27
per cento contro una media Ocse del 40 per cento), dovuta sia alle
immatricolazioni insufficienti sia all’elevatissimo abbandono durante gli studi
(42 per cento). Né si capisce se si vuole che tutte le 96 istituzioni
universitarie continuino a offrire una vasta gamma di corsi di studio e di
ambiti di ricerca oppure si preferisca per ciascuna di esse una
specializzazione nelle aree di maggior forza, magari negoziando gli obiettivi
con il MIUR, come proposto da Giliberto Capano, Marino Regini e Matteo Turri;
se vada privilegiata la qualità della ricerca oppure se didattica e terza
missione – citate nel testo – debbano avere pari rilevanza. Così come non è
chiaro se il fondo di finanziamento ordinario vada assegnato in base ai costi
standard (e quindi alla capacità di attrarre gli studenti, introducendo forme
di concorrenza fra università), alla spesa storica (quindi privilegiando gli
atenei più antichi), a criteri premiali o a esigenze perequative nei confronti
delle università del Sud, o ad altro ancora; o se la selezione di ricercatori e
professori debba continuare a passare per il vaglio nazionale oppure vada
affidata direttamente ai dipartimenti, come nel mondo anglosassone. Basta un esempio per mostrare l’incertezza sulle linee guida: da un lato, si esaltano i risultati eccellenti nella ricerca (e in effetti nelle aree bibliometriche l’impact factor per ricercatore negli ultimi anni è stato secondo solo a quello olandese). Dall’altro, ci si lancia in un’accusa generalizzata al sistema universitario e all’utilizzo indebito del potere accademico. Ora, delle due l’una: o il sistema è fondamentalmente bacato e non produce buoni frutti oppure, se la qualità della ricerca è così elevata, le cattive pratiche anti-meritocratiche non devono essere poi così imperanti. Nel contratto Lega-M5s viene proposto un aumento della spesa universitaria: è un punto di partenza importante, anche se non se ne specifica l’entità. Mentre la spesa pro capite nella scuola italiana è sostanzialmente allineata alla media dei paesi avanzati, secondo i dati Ocse 2014, nell’università investiamo appena l’1 per cento del Pil, contro l’1,5 medio: siamo agli ultimi posti in Europa. (Fonte: A. Gavosto, lavoce.info 12-06-18)
TAR PUGLIA. DUE SISTEMI
PARALLELI DI C.D. TENURE-TRACK
Così il Tar Puglia Bari sez. I, 24 maggio 2018, n. 736: E'
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24.
commi 2. lett. b). e 3, lett. b). 1. 30 dicembre 2010. n. 240, per violazione
artt. 3, 97. 33 e 35 Cost., nella parte in cui individua i requisiti di accesso
al contratto per ricercatore a tempo determinato di tipo B o c.d. Senior che
consentirebbe un accesso privilegiato alla qualifica di professore
universitario di II fascia (c.d. associato). Risulta rispondere a logiche
razionali l'aver previsto per i ricercatori a tempo determinato e per quelli a
tempo indeterminato, perché in situazioni non del tutto sovrapponibili, due sistemi paralleli di c.d. tenure-track,
il primo contenuto nel comma 5 ed il secondo disegnato nel comma 6 della legge
n. 230 cit., nella misura in cui ad entrambe possano essere riservate adeguate
risorse finanziarie nell'ambito della programmazione per il sistema di
avanzamento per c.d. tenure-track, non rilevando il sistema con cui, in
concreto, l'Università provveda al reperimento dei fondi, in quanto questione
meramente contabilistica.Quel che importa e che, comunque sia, alla stregua di una corretta programmazione finanziaria, vi siano sufficienti fondi per non discriminare ricercatori confermati a tempo indeterminato (vecchio ordinamento) e ricercatori a tempo determinato (nuovo ordinamento), ai fini dell'accesso al c.d. tenure-track. (Fonte: Tar Puglia, sentenza 24-05-18, n. 736)
LA RIDUZIONE DI RISORSE
ECONOMICHE E UMANE A FRONTE DELL’AUMENTO DEI FREQUENTANTI PUÒ ABBASSARE LA
QUALITÀ MEDIA DELLA DIDATTICA
Se gli indicatori quantitativi ci parlano di un restringimento del nostro
ritardo dalla media europea, nel Rapporto ANVUR 2018 mancano, invece,
indicatori per una valutazione della qualità della didattica, sebbene si
preannunci un uso più diffuso dei questionari degli studenti (che peraltro
possono fornire giudizi distorti nelle classificazioni). Sulla qualità della
didattica e sul suo monitoraggio è necessario tenere alta l’attenzione:
l’aumento dei laureati è avvenuto, infatti, in presenza di una riduzione delle
risorse economiche (-20 per cento in termini reali rispetto al 2008) e dei
docenti (-13 per cento), per effetto del pensionamento di numerosi ordinari e
dei limiti posti al turnover. Il rischio è che, con l’aumento dei frequentanti
e il sovraffollamento delle aule, l’insufficienza delle risorse investite nel
personale e nella didattica porti alla lunga a un abbassamento della qualità
media. (Fonte: A. Gavosto, lavoce.info 17-07-18)
LA MANCANZA DI TITOLI TERZIARI
(UNIVERSITARI) PROFESSIONALIZZANTI CONTRIBUISCE AL BASSO NUMERO DI LAUREATI
Il basso numero di laureati in Italia è anche dovuto al fatto che nel
nostro paese esiste sostanzialmente solo una laurea accademica (Tertiary type
A), mentre negli altri paesi ne esiste anche una professionalizzante (Tertiary
type B). In quasi tutti i paesi europei la mobilità sociale è stata favorita
dalla creazione di titoli terziari (universitari) professionalizzanti, che
hanno attratto nella sfera dell’università i figli di genitori senza laurea.
Tradizionalmente (e aggiungeremmo anche culturalmente) l’Italia non ha mai
investito in un canale vocational di pari dignità del canale accademico. La
riforma del 3+2 degli anni Duemila è stata un fallimento nel suo tentativo di
creare corsi professionalizzanti perché ha preteso che fossero i professori
accademici a insegnare le professionalità. Infatti la riforma 3+2 non ha
aumentato la mobilità sociale. Nella legislatura appena iniziata è necessaria
una riforma che introduca in Italia quel che in altri paesi c’è da 20 anni: un
canale professionalizzante che parta dagli Its, gli istituti tecnici superiori
che oggi realizzano corsi professionalizzanti per 8 mila studenti. (Fonte: M.
Leonardi e M. Paccagnella, lavoce.info 11-05-18)
LA VERA VALUTAZIONE DELLA
RICERCA
Una vera valutazione non si può fare sulle cose intellettuali di
livello molto alto. Tanto meno se a scopo comparativo e premiale, perché
anteporre la buona ricerca di uno alla buona ricerca di un altro senza motivi
seri è osceno non solo intellettualmente, ma anche moralmente. Quindi, sui
livelli molto alti come lo è la ricerca di punta che praticano gli
universitari, semplicemente non si deve fare. Se si fa qualcosa di simile a
quello che si fa adesso, chiamarla "lotteria universitaria" o
"capriccio del ministero" non si discosterebbe dal vero molto più che
"valutazione della qualità della ricerca". Invece di spendere enormi
energie di tutti (perché, dimenticavo di dirlo, l'intero procedimento è una
mostruosa e patetica farragine che tiene tutti in scacco senza sosta con mille
squallidi adempimenti) in questa screditatissima messa in scena, i ricercatori
di livello universitario che hanno una produzione decente vanno semplicemente
finanziati e lasciati lavorare. La maggior parte di loro produrrà migliore
scienza così, perché non ne mancano gli incentivi (di carriera, di soddisfazione
intellettuale e personale, di riconoscimenti almeno fra gli addetti ai lavori).
Non per nulla, dalle origini della civiltà fino a pochi anni fa, tutta la
scienza che si è fatta si è fatta proprio in queste condizioni. Oltre a questo,
per indirizzare la ricerca verso alcuni campi ritenuti strategici, si devono
finanziare specifici progetti, naturalmente garantendosi che il livello
qualitativo sia al di sopra di una certa soglia. La valutazione su base essenzialmente quantitativa, cioè quella che si fa adesso, deve essere applicata solo ai livelli più bassi della compagine scientifica, stabilendo dei minimi sotto cui il ricercatore non può andare, e deve avere la funzione di impedire la completa improduttività. Su chi per qualsiasi motivo sarebbe portato a non produrre quasi niente per periodi davvero troppo lunghi, dei vincoli sul numero minimo di prodotti e sul tipo di sedi di pubblicazione possono avere il vantaggio di spingere a produrre almeno alcuni lavori su riviste che garantiscano la presentabilità; e questo è sicuramente per il meglio. Si dovranno anche premiare in modo speciale alcune eccellenze conclamate, consacrate dalla comunità scientifica internazionale. Insomma, il bastone e la carota per il 5-10% più pigro e per il 5-10% più bravo; ma quello che ciclisticamente sarebbe il "gruppo", va trattato tutto nella stessa maniera. Questo perché la libertà della ricerca è più importante della quantità. E al tempo stesso è il massimo fattore che ne produce la qualità. (Fonte: E. L. Vallauri, temi.repubblica.it/micromega-online 05-06-18)
ABILITAZIONE
SCIENTIFICA NAZIONALE
ASN. CUN: PARERE SUI NUOVI
VALORI SOGLIA PROPOSTI DA ANVUR
Come previsto dal DM 120/2016, il CUN ha formulato il suo parere sui
nuovi valori soglia proposti da ANVUR. «Perché sia meglio assicurata la
comprensibilità delle soluzioni adottate dall’ANVUR, come impone il principio
di trasparenza funzionale alla conoscenza reale e al controllo di ogni attività
pubblica, questo Consesso ritiene inoltre opportuno che sia reso noto
l’algoritmo esatto di calcolo dei valori soglia che ha permesso il
raggiungimento di detti valori alla percentuale predeterminata di candidati.».
Il CUN non solo denuncia la mancanza di trasparenza della procedura che ha
portato alla determinazione dei valori, ma contesta la continuità con le
procedure adottate nel 2016, in particolare riguardo alla decisione di
scegliere valori «che consentissero il raggiungimento di due valori soglia su
tre a predeterminate percentuali delle platee dei professori di prima fascia, dei
professori di seconda fascia e dei ricercatori». Il CUN evidenzia che «nelle
indicazioni del legislatore, infatti, l’Abilitazione dovrebbe essere attribuita
a tutti gli studiosi che abbiano raggiunto, per la seconda fascia, la maturità
scientifica e, per la prima fascia, la piena maturità scientifica, senza
stabilire a priori una quota di candidati che non potrà conseguirla. I “nuovi” valori soglia introdotti, anche in attuazione delle modifiche del 2014, dal DM 7 giugno 2016, n. 120 dovrebbero pertanto costituire un mero valore di accesso alla procedura in termini di adeguata qualità e quantità della produzione scientifica, come riconosciuta dalle rispettive Comunità, e non dovrebbero dipendere da calcoli statistici sulla platea dei possibili Candidati.».
(Fonte: Red.ne Roars 01-08-18)
ASN. LA RESISTENZA DEL MIUR PER
QUATTRO ANNI VERSO I NON ABILITATI CON 3/5
Roars riporta la seguente lettera del “Coordinamento dei non abilitati
con 3/5”.Scrivo a nome dell’auto-costituito “Coordinamento dei non abilitati con 3/5”, nato ormai quattro anni fa a seguito dell’annullamento, ad opera del Consiglio di Stato, della norma del regolamento dell’ASN che prescriveva una maggioranza qualificata dei 4/5 per l’ottenimento dell’abilitazione. Da allora il MIUR scelse la strada di applicare la “nuova” maggioranza esclusivamente “ex nunc” (cioè a partire dalla data di annullamento e in pochissimi altri isolati casi di situazioni “pendenti”) creando un’evidentissima disparità di trattamento tra candidati. Chiedemmo subito al MIUR di agire invece per tutti in autotutela, ricevendo solo un assordante silenzio. Purtroppo il silenzio perdurò e fummo costretti, alcuni collettivamente, altri individualmente (con notevole impegno economico e morale) ad adire le vie legali. Finalmente, il 15 novembre scorso, il Consiglio di Stato ha emessa una chiarissima condanna senza alcuna attenuante, riguardo all’assurda posizione tenuta dal MIUR. Eppure, il MIUR è rimasto ancora inerte, costringendoci a nuovi ricorsi al TAR contro il suo silenzio (vinti lo scorso giugno). Solo allora ha emesso una nuova Circolare che, finalmente, dopo più di quattro anni, metterà la parola fine alla questione. Ci chiediamo: Era davvero necessario che il MIUR ci facesse patire per quattro anni? Era davvero impossibile capire che questa fosse da subito l’unica soluzione possibile? Chi ci ripagherà per i quattro anni di occasioni mancate? (Fonte: Red.ne Roars 25-07-18)
CLASSIFICAZIONI
DEGLI ATENEI
CRITICHE AI RANKING
In primo luogo la logica del
ranking, delle graduatorie che incolonnano i migliori atenei in cui andare a
studiare, è una logica molto americana. Parliamo di un Paese diverso dal nostro
in cui c’è sempre stata una grandissima mobilità sociale legata agli studi. E’
normale, negli Usa, che un ragazzo lasci casa sua per cambiare Stato e
raggiungere un college che lo attira. In un contesto del genere è facile che le
università considerino i ranking un buon modo per attirare visibilità e
studenti. Da noi, ma in realtà in tutta Europa, è una cosa meno diffusa e gli
studenti sono più stanziali. A questo si aggiunge che ad essere molto
‘americani’ sono anche i criteri con cui vengono valutati gli atenei. Nel senso
che alcune delle voci che sono prese in considerazione sono cose come il
rapporto tra docenti e studenti. E’ ovvio che da noi ci siano più studenti per
ogni singolo docente rispetto ai campus degli Stati Uniti dove si pagano rette
molto care per essere ammessi e le strutture che ospitano le matricole sono
completamente diverse. Inoltre il ranking usa criteri non scientifici, scelti
con una ratio impostata da chi li gestisce, e mette sullo stesso piano
università che hanno tasse diverse per gli studenti, capacità di attrarre
finanziamenti privati diversi e che ricevono finanziamenti statali che non si possono
paragonare tra loro. Se si usano certi criteri è normale che l’ultima
università del Texas primeggi su molte italiane. (Fonte: G. Ajani, La Stampa
28-05-18)
LA CLASSIFICA DEGLI ATENEI STILATA DAL CENTRE FOR WORLD UNIVERSITY
RANKINGS (CWUR)
Gli indicatori su cui si basa
la classifica delle università di CWUR (https://cwur.org/2018-19.php 2018) sono sette: qualità della formazione;
tasso di occupazione dei laureati; qualità della docenza; produzione scientifica;
qualità della ricerca; prestigio internazionale; numero di citazioni sulle
riviste. In totale 45 le università italiane che sono riuscite a entrare nella
classifica università CWUR 2018. Sapienza 67esima. Dietro c’è la Statale di
Milano, 148esima. Tra le prime 200 al mondo ci sono anche UniPd (150esima) e
UniFi (185esima). UniBo 201esima. Sono riuscite a inserirsi tra le migliori 300
al mondo anche Torino (208esima), Napoli Federico II (247esima), Tor Vergata di
Roma (283esima) e Pisa (285esima).Ormai abbonata a stare sempre in vetta, anche in questa graduatoria, è Harvard a occupare la prima posizione. La blasonata università americana precede, nell’ordine, le connazionali Stanford e MIT di Boston. La medaglia di legno della classifica università CWUR 2018 va, invece, alla britannica Cambridge, che precede la rivale storica Oxford. Per trovare un ateneo non angloamericano occorre scendere fino alla 12esima posizione, occupata dalla University of Tokyo.
Al di là di Cambridge e Oxford, invece, la prima delle istituzioni europee è lo University College London, che si piazza in 21esima posizione. (Fonte: P. Cirica, universityequipe.com 30-05-18)
CLASSIFICA IBRIDA DELLE 500
“MIGLIORI” UNIVERSITÀ
Swissinfo.ch ha creato una classifica ibrida delle 500 “migliori”
università, elaborando una media delle tre graduatorie mondiali più
approfondite ed influenti: QS World University Ranking, Times Higher Education
(THE) e Shanghai Ranking (ARWU). La Svizzera è ben rappresentata con 8
università tra le prime 500 al mondo. La maggior parte delle 50 migliori
università in assoluto si trovano nei paesi di lingua inglese, ma sono di gran
lunga anche le più costose. Sotto le italiane con l’average rank:
Scuola Superiore Sant'Anna Pisa 173.5
Scuola Normale Superiore Pisa 188.0
Sapienza di Roma 195.3
Politecnico di Milano 210.3
Università di Bologna 219.3
Università di Padova 235.8
Università di Torino 250.5
Università di Milano 287.8
Politecnico di Torino 307.0
Università di Pisa 338.0
Università di Milano-Bicocca
350.5
Università di Pavia 350.5
(Fonte: https://tinyurl.com/ycaxs4dw
15-05-18)
Anche quest'anno il Censis pubblica le classifiche delle università italiane, suddivise in categorie omogenee per dimensioni e valutate in base ai servizi, le strutture, le borse di studio offerti agli studenti, ma anche in base alla comunicazione e all'internazionalizzazione. Bologna è ancora prima per il 9° anno consecutivo tra i mega atenei. Migliora Sapienza, Padova raggiunge Firenze. L'Università della Calabria balza in avanti. Pavia scivola al quarto posto, Teramo retrocede. (Fonte: La Repubblica 02-07-18)
ACADEMIC RANKING OF WORLD UNIVERSITIES (ARWU)
Indicatori disaggregati delle università italiane nelle classifiche
ARWU 2017 e 2018. TABELLA. In rosso: valori degli indicatori che sono peggiorati. Caselle gialle: i casi di arretramento in classifica e gli indicatori che sono maggiormente peggiorati.
ARWU non pubblica i punteggi degli atenei oltre la 100-ma posizione, ma pubblica i punteggi dei sei indicatori (Alumni, Award, HiC, N&S, PUB, PCP) la cui somma pesata produce lo score finale:
-Alumni of an
institution winning Nobel Prizes and Fields Medals (peso 0,1);
-Award: staff of an
institution winning Nobel Prizes and Fields Medals (peso 0,2),
HiC: the number of
Highly Cited Researchers selected by Thomson Reuters (peso 0,2);
-N&S: the number
of papers published in Nature and Science between 2013 and 2017. (peso 0,2);
-PUB: total number of
papers indexed in Science Citation Index-Expanded and Social Science Citation
Index in 2017 (peso 0,2);
-PCP: the weighted
scores of the above five indicators divided by the number of full-time
equivalent academic staff (peso 0,1). (Fonte: Roars 29-08-18)
CULTURA
DEL DIGITALE
I DOCENTI SONO INDISPENSABILI
ANCHE NELLA TRASFORMAZIONE DIGITALE DELL’INSEGNAMENTO
Troppo spesso la questione su come gli insegnanti debbano affrontare la
trasformazione digitale, “per stare al passo coi tempi”, viene affrontata
meramente sul piano tecnologico. Questo è un grave errore. Ci si focalizza solo
sul passaggio dalla carta agli e-book, dalla formazione in aula all’e-learning,
e così via. I servizi educativi sono ben diversi da quelli commerciali:
continueremo ad avere bisogno di tanti insegnanti, forse ancor di più che in
passato. D’altro canto, chi svolge questo lavoro sarà destinato a cambiare –
drasticamente – ruolo ricoperto e a rinnovare le sue competenze. Le piattaforme digitali possono creare nuovi ed efficaci modelli di fruizione dei contenuti formativi, ma il valore aggiunto del docente nei processi di interazione e confronto, quale stimolatore di discussioni e pensiero critico, nonché come ‘educatore’ in senso stretto resta tuttora inimitabile e scarsamente replicabile sul web. Anche i tentativi di replicare tali circostanze per via telematica si sono finora dimostrati, in larga parte, piuttosto fallimentari. La conoscenza personale, il confronto continuo fra docente e discente, il fatto di essere nella stessa stanza e vivere “la stessa atmosfera’, la possibilità di incontrarsi davanti a una macchinetta del caffè restano dinamiche sociali che fanno la differenza quando i modelli di formazione si basano sull’interattività e sull’apprendimento applicato, anziché sulla didattica frontale. Secondo questo paradigma, l’insegnante è un po’ meno formatore – quantomeno secondo l’accezione tradizione – e sempre più coach, mentor, facilitatore dei processi di apprendimento. (Fonte: S. De Nicolai, www.agendadigitale.eu 06-07-18)
DOCENTI
ATTO DI INDIRIZZO MINISTERIALE
SUL DOPPIO LAVORO DEI DOCENTI
Il 14 maggio scorso la
ministra Valeria Fedeli, in coordinamento con l’Anac di Raffaele Cantone, ha
inviato a tutti i rettori d’Italia un atto d’indirizzo per arginare il fenomeno
dei doppi lavori, che avrebbe prodotto un danno erariale pari a 52 milioni
563mila 319 euro, come emerge dal “Progetto Magistri”, una indagine del Nucleo
speciale spesa pubblica della Guardia di finanza.Sotto la lente del MIUR sono finiti l’abuso di consulenze, le partecipazioni a società e il ricorso alla partita Iva da parte di professori universitari che con un incarico a tempo pieno dovrebbero avere un rapporto di esclusività - come tutti i dipendenti della Pa - con le università di appartenenza. Ma che grazie anche a qualche spazio grigio nella pioggia di norme degli ultimi anni hanno in qualche caso approfittato per svolgere qualche lavoro privato di troppo. Ora però la vigilanza sarà rimessa direttamente agli atenei «i quali pur non essendo titolari in materia di un potere autorizzatorio - si legge nell’atto del MIUR - provvederanno a effettuare le verifiche del caso». Inoltre, «i regolamenti di ateneo provvederanno a disciplinare procedure interne basate sulla comunicazione, almeno semestrale, da parte dei docenti al Rettore, al fine di consentire un adeguato monitoraggio, funzionale ad assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di regime a tempo pieno, anche sotto il profilo della prevenzione dell’insorgere di situazioni di conflitto di interessi».
(Fonte: M. Bartoloni e M. Cimarrusti, IlSole24Ore 16-05-18)
DOCENTI UNIVERSITARI: QUANDO
POSSONO FARE UN DOPPIO LAVORO
Chi esercita come professore in un ateneo statale è considerato, a
tutti gli effetti, un dipendente pubblico con un rapporto di esclusività. A
questo punto, i docenti universitari possono fare un doppio lavoro? A stare a
guardare inchieste e pronunciamenti del Ministero dell’Istruzione, la risposta
è decisamente negativa. I docenti a tempo pieno che, insieme all’insegnamento
nelle facoltà, offrono delle consulenze a pagamento o partecipano a società
esterne violano la legge e, secondo le stime della Guardia di Finanza,
provocano un danno erariale per decine di milioni di euro. Tuttavia, ci sono
dei casi in cui i docenti universitari possono fare un doppio lavoro, purché
non sia in conflitto con gli interessi dell’ateneo o incompatibile con la
funzione pubblica che svolgono. È il caso di chi collabora con una rivista
specializzata, di chi partecipa ad un convegno o di chi, ad esempio, insegna
scienze giuridiche ed economiche ed ha uno studio di avvocato.
Nel saggio si legge cosa è permesso e cosa non è permesso fare ai
docenti universitari e quando possono fare un doppio lavoro. (Fonte: C. Arija
Garcia, laleggepertutti.it 15-05-18)
DOTTORATO
RILIEVI DEL CONSIGLIO DI STATO
SULLO SCHEMA DI DECRETO CHE MODIFICA IL REGOLAMENTO PER L’ACCREDITAMENTO DELLE
SEDI E DEI CORSI DI DOTTORATO
Il Consiglio di Stato ha mosso una serie di rilievi sullo schema di
decreto che modifica il regolamento per l’accreditamento delle sedi e dei corsi
di dottorato. Il più importante riguarda la definizione del dottorato come
qualificante per i «più elevati profili professionali delle pubbliche
amministrazioni». Il Consiglio di Stato osserva che le finalità del dottorato
sono definite nella legge 210/1998, e non possono essere ridefinite per via
regolamentare. A parte questo punto decisivo, nel suo parere in primo luogo
Palazzo Spada sottolinea come la relazione tecnica sia priva della validazione
da parte della Ragioneria Generale dello Stato del ministero dell'Economia,
necessaria per la formulazione di un parere definitivo. Il Consiglio di Stato
rimprovera al MIUR il mancato inserimento delle università, degli enti di
ricerca, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni tra i destinatari
indiretti della normativa. Una impostazione, questa, che conferma l’alta
potenzialità del dottorato di ricerca, e la necessità di una compiuta
valorizzazione del titolo anche oltre la carriera accademica, nella pubblica
amministrazione e nel settore privato. Infine Palazzo Spada raccomanda al MIUR
di definire in maniera più precisa i criteri di valutazione e di definirli in
rapporto alla natura del percorso di ricerca, definendo più chiaramente le
tipologie di dottorato industriale, internazionale e intersettoriale, chiarendo
le modalità di convenzione con le imprese e quelle per cui differenti atenei o
enti di ricerca possono collaborare nell'istituzione di dottorati
internazionali e intersettoriali. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 08-06-18)
FINANZIAMENTI
450 MILIONI PER GLI ADVANCED GRANT - ERC-2018
Con l'apertura della call per gli «Advanced Grant - Erc-2018», avvenuta
lo scorso 17 maggio, sono stati messi a disposizione ben 450 milioni per
supportare il lavoro di ricercatori ormai già affermati nel proprio ambito. La
deadline per l'invio delle richieste è fissata al 30 agosto 2018. Sostegno ai
«Principal Investigator» più ambiziosi e innovativi. Essere ricercatori dalle
riconosciute competenze non basta a prospettare una carriera duratura. Sebbene
siano stati raggiunti tanti e importanti risultati, il rischio è quello di non
essere più considerati all'altezza e al passo con i tempi. La possibilità di
essere quindi messi al margine a favore delle nuove leve, risulta essere concreta
e non sempre ben giustificata. Con questa call l'Unione Europea vuole sia
sostenere sia spingere i cosiddetti «Principal Investigator» nel dimostrare la
natura innovativa, l'ambizione e la fattibilità delle proprie proposte
scientifiche. Le dimensioni delle sovvenzioni avanzate dall'Erc saranno ben
commisurate alle relative proposte di progetto. A ciascun candidato non
potranno essere aggiudicati più di due milioni e mezzo di euro scaglionati in
un tempo limite di 5 anni. Nel caso di progetti dalla minor durata l'intera
sovvenzione sarà ridotta pro rata temporis. Ipotizzando di garantire a tutti i
partecipanti il massimo del budget disponibile, saranno quantomeno 180 le
proposte a poter sperare in una valutazione positiva. (Fonte: R. Nicchi, IlSole24Ore
21-06-18)
RIPARTIZIONE DEL FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO DELLE UNIVERSITÀ
STATALI IN UNA BOZZA DI DECRETO. QUASI IL 30% ALLA “PREMIALITÀ”
Il FFO complessivamente si
colloca intorno ai 7,3 miliardi di euro. Cresce di circa 345 milioni rispetto
allo scorso anno (+4,9%) solo perché contiene tra l’altro: 271 milioni di euro
per il finanziamento dei cosiddetti “dipartimenti di eccellenza”; 50 milioni di
euro a titolo di parziale compensazione del blocco degli scatti stipendiali dei
docenti; 105 milioni di euro per compensare l’ampliamento della no tax area per
le contribuzioni studentesche.Tutti questi interventi sono finalizzati a finanziare totalmente o parzialmente specifiche iniziative previste da provvedimenti legislativi, temporalmente limitate e quindi non strutturali. Gli Atenei, inoltre, dovranno far fronte con il proprio bilancio anche al rinnovo del CCNL del personale tecnico e amministrativo (e dal 2019 anche agli aumenti per il personale docente e ricercatore). Quindi le risorse strutturali a disposizione degli atenei sono di fatto diminuite e cala in particolare la quota base di finanziamento (che si riduce al 60% del FFO, dal 72% di quattro anni fa), arrivando intorno ai 4 miliardi e 400 milioni di euro (165 milioni di euro in meno del 2017, circa il 4%). Quasi 3 miliardi (2,950) sono attribuiti sulla base dei finanziamenti dell’anno precedente (nel FFO 2017 erano più di 3,2 miliardi, con una diminuzione di circa 260 milioni di euro, pari a quasi il 9% in meno per questa voce). La quota ripartita secondo il criterio del cosiddetto “costo standard di formazione studente” aumenta invece da quasi 1,3 a quasi 1,4 miliardi di euro (circa 95 milioni di euro in più, +8% della voce), passando dal 28,6% al 31,9% della quota base. Continua a crescere la percentuale delle risorse destinate alla cosiddetta premialità che raggiunge quasi un miliardo e 700 milioni di euro (158 milioni in più dello scorso anno, ben 11% in più nei fondi su questa voce, pari a circa il 24% delle risorse disponibili contro il 22% dello scorso anno), al netto dei dipartimenti di eccellenza (sommando i quali si raggiunge quasi il 30% delle risorse complessive). (Fonte Flc Cgil 23-07-18)
CHE FINE HA FATTO IL FFABR
La legge di bilancio 2017 ha introdotto il FFABR (Fondo per il finanziamento
delle attività base di ricerca dei ricercatori e dei professori di seconda
fascia). Lo stanziamento previsto era di 45 milioni di euro a decorrere dal
2017, con un importo individuale annuale pari a 3 mila euro, per un totale di
15 mila finanziamenti individuali. A distanza di poco tempo c’è stata però una
drastica inversione di marcia e con successive decurtazioni il provvedimento è
rimasto del tutto privo di copertura finanziaria. Dopo il primo stanziamento si
è proceduto a progressivi tagli, dapprima con la legge 21 giugno 2017, che
diminuiva il finanziamento del 30 per cento dal 2019, poi con la legge di
bilancio 2018, che ha ridotto lo stanziamento per il 2018 a 30 milioni e quello
del 2019 e 2020 a 18 milioni e infine (per dare il colpo di grazia) con
ulteriori due decurtazioni del fondo stanziato per il 2018 che lo hanno ridotto
a soli 2 milioni di euro (e azzerato dal 2019). (Fonte: F. Di Paola,
lavoce.info 31-07-18)
LAUREE –
DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA – OCCUPAZIONE
L’OCCUPAZIONE DEI LAUREATI
Tra i laureati nella classe di età tra 20 e 34 anni (circa 1,2 milioni)
che hanno un'occupazione, ben il 28% (348 mila) risulta sovraistruito, cioè
occupa una posizione professionale che in realtà non richiede la laurea. Si
tratta di circa il 30% dei giovani laureati, costretto ad accettare un lavoro
inferiore alle proprie aspettative, con punte di sovraqualificazione anche
sopra al 50% per chi proviene dalle facoltà di lingue e scienze sociali, mentre
per i laureati in medicina, ingegneria, statistica e farmacia il fenomeno è più
contenuto e non raggiunge il 20%. La crisi economica ha poi aggravato
notevolmente un secondo aspetto, quello della sotto occupazione: tra chi ha
meno di 34 anni si è infatti passati da un'incidenza di part-time involontario
pari al 48,3% del 2008 al 74,8% del 2017. Nello stesso periodo, mentre il numero dei giovani con contratto a tempo determinato è rimasto sostanzialmente invariato, quelli con contratto a tempo indeterminato sono scesi da 4.200.000 a 2.700.000. Paradossale che da una parte il M5s abbia elevato la disintermediazione e l'utilizzo delle Rete a paradigma di una nuova società (nella quale non ci saranno più agenzie di viaggio, giornali, partiti politici, sindacati), mentre dall'altra nel programma del governo del cambiamento si prevede di investire 2 miliardi di euro (!) per rilanciare l’intermediazione dei vecchi uffici di collocamento, che finora hanno fatto di tutto meno che trovare un lavoro a chi non ce l’ha. (Fonte: M. Longoni, ItaliaOggi 2506-18)
LAUREE PIÙ RICHIESTE NEL FUTURO
PER LE PROFESSIONI EMERGENTI
Secondo la Previsione dei Fabbisogni Occupazionali in Italia a medio
termine (2018-2022), nel periodo 2018-2022 il fabbisogno di laureati da parte
del sistema economico nazionale raggiungerà le 778 mila unità suddivise nei
seguenti settori:25% nel settore economico-sociale: circa 40mila unità nel settore politico-sociale e 150mila in quello economico-statistico.
24% nel settore umanistico (comprende: formazione, linguistico, psicologico, ecc).
18% nel settore ingegneristico – architettonico – edilizio.
18% nel settore medico sanitario.
8% nel settore matematico scientifico chimico.
7% nel settore giuridico.
(Fonte: M. Crisci, tag24.it 28-07-18)
POSTI DISPONIBILI PER CORSI DI
LAUREA AD ACCESSO PROGRAMMATO. CORSI A NUMERO CHIUSO. MOOCS (MASSIVE ON LINE
COURSES)
Posti disponibili per corsi di
laurea ad accesso programmato 2018-19: 9.779 posti per Medicina-Chirurgia
(erano 9.100 nel 2017), 1.096 posti per Odontoiatria (erano 908 nel 2017), 759
per Medicina Veterinaria (erano 655), 7.211 per Architettura (erano 6.873). In
tutto 1309 posti in più. Corsi a numero chiuso passati dai 919 del 2013 ai 972 del 2017. Ormai un corso su 5 è a numero chiuso (il 21,9% dei 4441 totali). Ma se si aggiungono anche i 720 ad accesso programmato a livello nazionale (il 16,2%), quelli ad accesso aperto sono il 61,9%.
I Moocs (Massive on line courses) italiani nel 2013 erano soltanto 18 inseriti in corsi di laurea ed erogati da 2 università. Nel 2014 sono diventati 39, quindi 94, e oggi siamo vicini a quota 400. In cinque stagioni sono cresciuti oltre 20 volte. E gli studenti sono diventati 200.000, 4 volte quelli del 2013.
NUOVO ESAME DI STATO PER
L’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI MEDICO-CHIRURGO. TEMPI DI ATTUAZIONE
Il Decreto ‘Regolamento recante gli esami di Stato di abilitazione
all'esercizio della professione di medico-chirurgo’ prevede che il tirocinio
pratico-valutativo avrà una durata complessiva di tre mesi e dovrà essere
espletato durante il corso di studio, non prima del quinto anno di corso ed a
condizione che siano stati sostenuti positivamente tutti gli esami fondamentali
relativi ai primi quattro anni di corso previsti dall’ordinamento della sede
dell'Università; esso sarà organizzato secondo quanto stabilito dagli
ordinamenti e dai regolamenti didattici di ciascuna sede. Di conseguenza, gli
studenti iscritti nell’anno accademico 2018/19 al sesto anno dovranno
necessariamente usufruire dei 2 anni di proroga previsti dalla norma
transitoria. Inoltre, per tutti i CLM in Medicina e Chirurgia saranno necessari
tempi tecnici per adeguare l’ordinamento vigente, inserendo negli ultimi 2 anni
di corso i 15 CFU professionalizzanti (ex art. 10, comma 5, lettera d del DM 22
ottobre 2004, no.270) dedicati all’esame di abilitazione professionale. Tale
adeguamento dovrà inoltre essere coordinato dalla Conferenza Permanente dei
Presidenti dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia allo scopo di
garantire la omogeneità dello svolgimento e la valutazione del tirocinio pratico-valutativo
in tutte le sedi. Pertanto, sebbene il decreto preveda l’entrata in vigore
nell’anno 2019, la prima tornata del nuovo esame di stato potrà svolgersi solo
dopo la prima sessione di lauree dell’anno accademico 2019/2020 e cioè nel
luglio 2020. (Fonte: S. Basili, www.quotidianosanita.it
14-05-18)
LE PROFESSIONI NELL’ICT (INFORMATION
COMMUNICATION TECHNOLOGY)
«Analista funzionale», «app
developer», «it architect», «web developer» sono i titoli per alcuni incomprensibili,
in ufficio sono considerati un po' eccentrici, ma con una caratteristica in
comune: sono ricercatissimi. Sono gli esperti del mondo digitale, i «nerd»
dell'Ict (Information communication
technology) ai quali la società specializzata nello studio delle
retribuzioni JobPricing ha dedicato una serie di indagini in collaborazione con
Modis (recruiting digitale). Il primo dato che emerge è che mentre in genere
l'occupazione in Italia è in stallo, quella nel settore dell’Ict cresce a ritmi
del 4 per cento l'anno. Il problema è che le aziende hanno bisogno di laureati
ma il sistema universitario non è in grado di fornirne a sufficienza, al punto
che i laureandi trovano lavoro prima di aver terminato gli studi. Così il
cosiddetto mismatch, cioè la differenza tra domanda e offerta, in Italia è
molto ampio: attualmente le imprese sono alla ricerca di 80 mila persone con
competenze digitali e non le trovano. (Fonte: Panorama 17-05-18)
LAUREE PROFESSIONALIZZANTI: COME
LE VUOLE IL CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI (CNI)
In merito alla sperimentazione delle nuove lauree ad ordinamento
professionale, il CNI fa presenti alcuni punti fermi: distinguere i nuovi
percorsi da quelli esistenti, con l'introduzione di una nuova categoria di
classi di laurea (lauree professionalizzanti - LP); ribadire che il
conseguimento della nuova LP è finalizzato esclusivamente all'immediato
inserimento nel mercato del lavoro e/o all'acquisizione di una specifica
abilitazione professionale; le nuove LP aventi contenuto abilitante dovranno
abilitare all'esercizio di un'unica specifica professione (in particolare
quella di Perito Industriale e di Geometra) a differenza della Lauree di primo
livello (L) e alle Lauree Magistrali (LM) che consentono l'accesso agli esami
di abilitazione per l'esercizio di una pluralità di professioni, e non dovranno
consentire l'accesso alla sezione B dell'Albo degli Ingegneri, che dovrà essere
riservato ai possessori della laurea di primo livello; il contenuto abilitante
delle LP dovrà essere circoscritto alle mansioni esecutive e di supporto alle
prestazioni più complesse (esclusa la progettazione) che resteranno di
competenza dei professionisti con percorsi accademici di livello superiore.
(Fonte: M. Peppucci, www.ingenio-web.it
28-06-18)
10 MISURE DI CAMBIAMENTO PER LA
SCUOLA
A proposito del tanto nominato “cambiamento” E. Galli Della Loggia
propone al ministro dell’istruzione le seguenti misure per la scuola:
1) Reintroduzione
in ogni aula scolastica della predella, in modo che la cattedra dove siede
l’insegnante sia di poche decine di centimetri sopra il livello al quale
siedono gli alunni.
2) Sempre
a questo principio deve ispirarsi la reintroduzione dell’obbligo per ogni
classe di ogni ordine e grado di alzarsi in piedi in segno di rispetto (e di
buona educazione) all’ingresso nell’aula del docente.
3) Divieto
deciso nei confronti di tutte le «occupazioni» più o meno simboliche e delle
relative autogestioni.
4) Cancellazione
di ogni misura legislativa o regolamentare che preveda un qualunque ruolo delle
famiglie o di loro rappresentanze nell’istituzione scolastica.
5) Divieto
di convocare gli insegnanti ad assemblee, riunioni, commissioni e consigli di
qualunque tipo per più di tre o al massimo quattro volte al mese.
6) Sull’esempio
del Giappone, affidamento della pulizia interna e del decoro esterno degli
edifici scolastici agli studenti della scuola stessa.
7) Per
superiori ragioni di igiene antropologico - culturale divieto assoluto agli
studenti (pena il sequestro) di portare non solo in classe ma pure all’interno
della scuola lo smartphon.
8) Obbligo
per tutti gli istituti scolastici di organizzare e tenere aperta ogni giorno
per l’intero pomeriggio una biblioteca e cineteca con regolari cicli di
proiezioni.
9) Alle
gite scolastiche sia fatto obbligo di scegliere come meta solo località
italiane.
10) Istituti e
«plessi scolastici» devono essere intitolati al nome di una personalità
illustre.
(Fonte: E. Galli
Della Loggia, corriere.it 18-06-18)
RICERCA
RICERCA E DIDATTICA. CONFRONTO CON HARVARD SU
BASE ARWU (ACADEMIC RANKING OF WORLD UNIVERSITIES)
Tranne Sapienza, in tutti gli atenei italiani la percentuale dei lavori
scientifici rapportata a quella di Harvard cresce nel 2018 rispetto al 2017; le
spese (4,8 mln USD) dei primi 8 atenei italiani sono poco più di quelle di
Harvard (4,6 mln USD). Ma i primi 8 atenei italiani, assieme, producono 1,7
volte gli articoli prodotti da Harvard; i primi 8 atenei italiani, assieme,
erogano didattica a più di mezzo milione di studenti contro i 22mila di
Harvard. (Fonte: G. De Nicolao, Roars 16-08-18)
LA POSIZIONE ITALIANA DELLA
RICERCA NEL CONFRONTO MONDIALE
La produzione scientifica mondiale vede l’Italia all’ottavo posto e con
una crescita media annua forte rispetto ad altri paesi, ma è al 27° posto tra i
paesi che spendono di più in ricerca in % sul prodotto interno lordo al netto
delle spese per la difesa, al di sotto della media dei paesi dell’OCSE e al di
sotto della media dei paesi della UE a 28. Lontani dall’obiettivo europeo del
2020, che punta al 3% in tutta l’Ue, e lontanissimi dal podio di Israele
(4,3%), Corea del Sud (4,2) e Svizzera (3,4). L’Italia scivola ancora più giù
nelle classifiche quando si conta il numero di ricercatori per mille occupati
(34° posto), non brilla per parità di genere e affonda in ultima posizione se
si considerano i docenti universitari sotto i 40 anni. Il rischio non è solo
quello di perdere posizioni, e quindi di non riuscire ad attrarre fondi
continuando a lasciar andare ricercatori, bensì di non guadagnare un ruolo nel
campo dell’innovazione, dove l’Italia è al 19esimo posto sui 28 Paesi Ue.
(Fonte: www.nextquotidiano.it
08-07-18)
QUALI COMPITI PER UN’AGENZIA
NAZIONALE DELLA RICERCA
La stampa riporta l'intenzione del Ministro del MIUR Marco Bussetti di
istituire una Agenzia Nazionale della Ricerca, che richiama la proposta storica
del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica. Alcune interpretazioni
giornalistiche fanno intendere però che tale Agenzia proposta dal governo
dovrebbe svolgere un ruolo di coordinamento unico degli enti di ricerca, ora
vigilati da diversi ministeri. In questo caso si tratterebbe di una proposta
ben lontana dall'idea originale del Gruppo 2003. Secondo il Gruppo, infatti,
l'Agenzia nazionale della Ricerca avrebbe il compito primario di accorpare e
gestire non gli enti, bensì tutti i fondi destinati alla ricerca competitiva:
una struttura che dovrebbe essere snella, trasparente e autonoma dalla
politica. Un'Agenzia con questi chiari compiti, insieme a un considerevole
incremento dei finanziamenti, sono due condizioni essenziali per il rilancio
della ricerca e sviluppo nel nostro Paese. Quella che propone il Gruppo 2003
non è un’Agenzia Nazionale della Ricerca non è un super Ente che raccorda e
coordina l’attività di tutti gli Enti e i centri di ricerca – impresa difficile
e indesiderabile – ma la costituzione di un’Agenzia terza rispetto agli Enti di
ricerca e rispetto al governo che finanzi i migliori progetti di ricerca,
secondo modalità tutto sommato simili a quelle della National Science
Foundation (NSF) degli Stati Uniti. (Fonte: dichiarazione del Gruppo 2003,
12-07-18)
I PILASTRI DI HORIZON EUROPE 2021-2027
Luigi Nicolais in un convegno
al Bo ha illustrato i 3 pilastri di Horizion Europe (2021-2027), il programma
europeo di finanziamenti alla ricerca che sostituisce e rinnova Horizion2020
(2014-2020). “È stato approvato un
budget di 100 miliardi di euro (80 quelli del precedente quadro, ndr) e insieme
alla mobilità la ricerca è l'unico settore che ha visto un aumento”. Dei tre
pilastri, Open Science, Open innovation, e Global challenges and industrial
competitiveness, il secondo sarà il punto di riferimento per le innovazioni ad
alto potenziale. Lo European Innovation Council in particolare sarà lo
strumento che prevede finanziamenti veloci e flessibili e il coinvolgimento di
investitori privati; sarà il punto di riferimento per lo sviluppo di tecnologie
ad alto impatto (tecnologie breakthrough e market creating) e per le aziende che
hanno il potenziale di scalare velocemente il mercato.“In Italia la ricerca funziona bene, non funziona altrettanto bene il trasferimento, ovvero la trasformazione della ricerca in ricchezza” ha detto Luigi Nicolais. “L'università oggi ha bisogno di un organo snello e veloce per sviluppare le potenzialità di un prodotto, una volta individuate. Serve a ridurre le distanze tra università e mondo industriale. Serve a superare quella che gli americani chiamano la 'valle della morte', ovvero l'ingresso nel mercato, riuscire a trasformare con successo la ricerca in prodotto”. (Fonte: F. Suman, IlBo 22-05-17)
NEL PROGRAMMA DEL NUOVO GOVERNO GIALLOVERDE NUOVA VESTE PER L'ANVUR E
L'AGENZIA PER LA RICERCA
Le riforme previste dal nuovo
esecutivo annunciano di toccare anche la governance del sistema universitario:
sarà «ridisegnato il ruolo» dell'ANVUR, per «renderlo uno strumento per il
governo e non di governo», e verranno individuati i soggetti «che potrebbero
contribuire nei processi decisionali», a partire dal Cun, il consiglio
universitario nazionale. Sul fronte della ricerca, infine, una nuova Agenzia
nazionale servirà a superare la «frammentazione» e lo «scarso coordinamento»
tra gli enti pubblici, così come il loro «carente coinvolgimento» sulle
questioni strategiche per lo sviluppo del Paese. Per la proposta di costituire
un’agenzia unica della ricerca per il coordinamento dei diversi enti e centri
di ricerca bisognerà però capire in concreto come il governo vorrà
strutturarla, con quale governance e quali risorse. È soprattutto importante
che l’agenzia assicuri un raccordo efficiente degli enti di ricerca, e non
diventi un’ulteriore stratificazione burocratica, scarsamente trasparente
nell’operato e nelle logiche di indirizzo.(Fonte: A. Tripodi, IlSole24Ore 22-05-18)
LA FITNESS SCIENTIFICA DEI PAESI
Per valutare quantitativamente
il vantaggio comparato della diversificazione scientifica è possibile
utilizzare un nuovo approccio, che permette di definire una misura sia per la
competitività dei sistemi di ricerca scientifica delle nazioni sia per la
complessità dei settori scientifici. Quest’approccio usa come dati grezzi le
citazioni nei diversi campi scientifici normalizzate alla spesa HERD (Spesa in
istruzione superiore relativa al Prodotto Interno Lordo) ed è basato su un
algoritmo ispirato a Google PageRank. In questo modo si ordinano i paesi in
base alla loro “fitness” scientifica dove la fitness è una variabile che tiene
conto della competitività scientifica di una nazione misurando, al contempo, il
livello di diversificazione e di complessità dei campi scientifici in cui quel
paese è attivo: un paese con alta fitness è competitivo scientificamente in
campi scientifici molto complessi, e un campo è molto complesso se è sviluppato
solo dai paesi con alta fitness. Le due definizioni sono autoconsistenti ed è
dunque possibile utilizzare i dati sulle citazioni per calcolare, attraverso
l’algoritmo matematico, la fitness di ogni paese e la complessità. Ad esempio,
solo le nazioni più avanzate e competitive sono attive in alcuni campi
specialistici delle scienze mediche, mentre la gran parte delle nazioni sono
attive in campi come la fisica e la matematica. (Fonte: F. Sylos Labini, Roars
24-05-18)
CLASSIFICAZIONE DELLE RIVISTE IN CLASSE A. NON TUTTO ORO ...
Vale la pena di ricordare che
le classificazioni delle riviste decidono quali professori ordinari hanno
accesso al sorteggio per diventare commissari dell’Abilitazione Scientifica
Nazionale. Inoltre, le liste sono decisive per valutare chi ha requisiti per essere
valutato ai fini dell’Abilitazione Scientifica Nazionale di prima e seconda
fascia. Vengono anche usate nell’ambito delle valutazioni comparative bandite
dagli atenei. Infine, sono utilizzate nell’accreditamento dei corsi di
dottorato, dove uno degli indicatori è il numero di soglie ASN superato dai
componenti dei collegi dei docenti. Roars fa l’esempio dell’Area 11, dove, a
partire da febbraio 2017, era stata non solo attribuita la patente di
scientificità ma anche quella di eccellenza (classe A per il Settore
concorsuale 11/D2) ad una rivista “predatoria”, il Journal of Sports Science.
Una rivista, non solo priva di basilari requisiti, ma che fin dal titolo cerca
di “clonare” il più serio Journal of Sports Sciences, di cui copia persino gli
“aims and scopes“. Roars si domanda: “L’inserimento in fascia A di riviste di
dubbio valore è solo una svista (ma allora perché non correggerla?) o serve ad
aiutare qualcuno, candidato o commissario che sia? Tutta la vicenda è assai
istruttiva. Grazie alla certificazione ANVUR diventa possibile spalancare le
porte delle commissioni, di un giudizio abilitativo o di un ruolo universitario
a chi raggiunge le soglie con “lavori” che non hanno subito nessuna seria
valutazione scientifica. Con un dettaglio tutt’altro che trascurabile: grazie
all’oggettività dei criteri bibliometrici, la promozione dei mediocri e/o dei
furbi diventa blindata dal punto di vista amministrativo. (Fonte: Red.ne Roars
28-05-18)
RICERCA FINANZIATA DALLA CE
TUTTA IN OPEN ACCESS
Tutta la ricerca finanziata dalla Commissione Europea dovrà essere
pubblicata in Open Access entro il 2020. Per garantire il raggiungimento di
questo obiettivo, la Commissione ha lanciato l'Open Science Monitor, ma ne ha appaltato una parte al gigante
dell'editoria scientifica Elsevier. L'obiettivo dell'Open Science Monitor è di
sviluppare indicatori che misurino il grado di "apertura" della
scienza europea, soprattutto nei confronti dei decisori politici. Se Elsevier
si occuperà dello sviluppo di questi indici è probabile che saranno indici
proprietari, basati cioè su database a pagamento. La contraddizione è
allarmante: nell'ultimo anno diversi consorzi di biblioteche universitarie in
Europa hanno deciso di boicottare le riviste pubblicate da Elsevier, per le
clausole di segretezza imposte sui propri contratti, e per i costi sempre in
crescita dell'accesso alle pubblicazioni. Con questa decisione la Commissione
mette a rischio la riuscita dell'intera operazione. (The Guardian, Scienza in
rete, 05-07-18)
CORSI E RICERCHE INTERDISCIPLINARI
Nei paesi anglosassoni le migliori università si sono da tempo attivate
per promuovere la ricerca interdisciplinare, ad esempio Harvard fin dal 2007 ha
fortemente enfatizzato la ricerca interdisciplinare e cercato di modificare
(almeno parzialmente) la sua struttura a dipartimenti troppo chiusi in se
stessi. Negli Stati Uniti, la National Science Foundation finanzia da tempo
progetti di ricerca interdisciplinare, mentre la National Academy of Science ha
pubblicato un importante libro su come incentivare la ricerca
interdisciplinare. Anche nel Regno Unito i Research Councils si sono attivati
da tempo per sollecitare la ricerca interdisciplinare. La Comunità Europea
promuove numerose attività interdisciplinari e multidisciplinari. In questo contesto,
il programma Horizon 2020 focalizza la creazione di progetti con obiettivi
concreti volti al progresso della società, piuttosto che su tematiche
specifiche di ricerca.Il futuro è interdisciplinare. L’interdisciplinarietà può far avanzare la ricerca con scoperte fatte nell’intersezione delle varie discipline per migliorare la vita degli individui e lo stato del pianeta.
L’educazione interdisciplinare permette agli studenti di guardare i problemi da punti di vista nuovi e innovativi. Gli studenti possono diventare individui indipendenti, responsabili, coscienti, che “imparano ad imparare” e non perderanno più questa capacità per tutta la loro vita. (Fonte: T. Catarci, www.agendadigitale.eu 17-06-18)
ENTI PUBBLICI DI RICERCA. PIÙ
CHE UN COORDINAMENTO MANCA UN SERIO PIANO NAZIONALE DI RICERCA
Il neoministro Marco Bussetti ha ragione nel sostenere che esiste una
certa frammentazione e uno scarso coordinamento nelle attività degli Enti
Pubblici di Ricerca, non fosse altro perché se 12 sono vigilati dal MIUR, altri
afferiscono a una pletora di altri ministeri. Sarebbe bene che ci fosse, anche
a livello di governo, un minimo di coordinamento. Ma quello che manca è un
serio Piano Nazionale della Ricerca, che definisca, esso sì, gli assi
strategici dell’attività scientifica nel paese e li finanzi adeguatamente. Ma
Marco Bussetti ha parlato di un’Agenzia Nazionale della Ricerca che dovrebbe
avere il compito di coordinare e raccordare gli Enti e i Centri di Ricerca. Ed è
questo che ha generato l’attenzione e, insieme, le perplessità di una parte
della comunità scientifica. Le parole del ministro sembrano indicare la
creazione di una sorta di super Ente che coordini e raccordi le specifiche
ricerche degli attuali Enti e Centri. Il che si presta a due critiche, affatto
diverse. Nel progetto non si fa cenno alla ricerca universitaria. Che ne sarà.
Sarà fuori dal raccordo e dal coordinamento? L’altra critica, riguarda
l’autonomia dei vari Enti e Centri di ricerca. Non è auspicabile un centro che
coordini nel medesimo tempo il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ente
generalista con oltre cento istituti che coprono l’intero scibile umano, e
l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) o l’Istituto Nazionale di
Astrofisica (INAF) che invece svolgono la loro attività di ricerca in settori
altamente specifici con progetti fortemente internazionalizzati, il primo nel
campo della fisica delle alte energie e il secondo nel settore, come dice il
nome, dell’astrofisica. Men che meno si può pensare a un’integrazione stretta
tra enti di ricerca pura come questi ed enti, come l’Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), che afferisce al Ministero
dell’Ambiente e che svolge sia attività di ricerca pura sia, soprattutto,
attività di servizi tecnici altamente specializzati. La stessa cosa vale per
l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ente vigilato dal Ministero della Salute.
(Fonte: P. Greco, IlBo 13--07-18)
GOVERNARE E CONTROLLARE LA
RICERCA E L’INSEGNAMENTO ATTRAVERSO STRUMENTI BIBLIOMETRICI AUTOMATICI
Su Roars si legge un dettagliato rapporto di Alberto Baccini e Giuseppe
De Nicolao su come il sistema accademico italiano si è trasformato in un
laboratorio dove si sta svolgendo un esperimento in vivo senza precedenti:
governare e controllare la ricerca e l’insegnamento attraverso strumenti
bibliometrici automatici. Nel tentativo di sintetizzare il rapporto propongo la
nota seguente. Le “misure oggettive” delle attività scientifiche e dei professori sono utilizzate non solo per gli esercizi di valutazione della ricerca (VQR), ma anche per l’abilitazione scientifica nazionale necessaria per l’accesso ai ruoli universitari (ASN), per la distribuzione di microfinanziamenti individuali ai ricercatori (finanziamento FFAR) e, infine, localmente, anche per aumenti di stipendio. In questo articolo illustriamo come un crescente controllo centralizzato stia emergendo dagli esercizi di valutazione della ricerca, e come sia realizzato attraverso dispositivi apparentemente tecnici, la cui giustificazione scientifica dà luogo a un conflitto tra dimensione politica, scientifica ed etica della ricerca. Il ruolo centrale è stato svolto dall’ANVUR, l’agenzia di valutazione delle università e della ricerca. L’ANVUR non è un’agenzia autonoma. È invece un’agenzia governativa: il suo consiglio è costituito, infatti, da sette professori nominati direttamente dal ministro. Inoltre, l’ANVUR agisce principalmente realizzando attività direttamente definite con decreti ministeriali, quali la valutazione della ricerca, le procedure di assicurazione della qualità della didattica (AVA), la valutazione dei compiti amministrativi delle università, la qualificazione dei candidati alla ASN. Tra le istituzioni europee simili, come AERES in Francia o ANECA in Spagna, nessuno concentra così tanti poteri e funzioni. Inoltre, in nessun altro paese occidentale è stato sviluppato un analogo controllo governativo delle scienze e delle università. Per trovare caratteristiche simili, dobbiamo tornare all’organizzazione della scienza nelle economie pianificate. L’ANVUR ha adottato per la VQR “un doppio sistema di valutazione” in base al quale ogni lavoro presentato è stato classificato in una classe di merito mediante revisione dei pari informata (informed peer review, IR) o attraverso un algoritmo di punteggio automatico basato su indicatori bibliometrici. L’ANVUR ha adottato il doppio sistema di valutazione prima che fosse validato scientificamente. Questo non può che creare uno scontro tra i due ruoli svolti dall’ANVUR in questa storia: ideatore di regolamenti e procedure, ma anche fornitore di prove scientifiche ex post a sostegno di quei regolamenti e di quelle procedure. Mettendo insieme tutti i pezzi, è ora possibile concludere che nell’esperimento condotto da ANVUR la peer review e la bibliometria non concordano. Di conseguenza, la coesistenza di due diverse metodologie di valutazione ha introdotto distorsioni non controllabili nei risultati finali della VQR, che sono attualmente utilizzati dal governo per il finanziamento delle università. Inoltre l’ANVUR rifiuta di divulgare i dati per la loro riproduzione e controllo (https://doi.org/10.13130/2282-5398/8872). Un rifiuto che si può spiegare con il timore di consentire indagini indipendenti su un presupposto fondamentale su cui si basa l’intero esercizio di valutazione della ricerca. (Fonte: A. Baccini e G. De Nicolao, Roars e blog dell’ Institute for New Economic Thinking, New York, giugno 2018)
18 PRINCIPI PER TRASFORMARE LA
COMUNICAZIONE SCIENTIFICA
In una dichiarazione dell’aprile scorso l’Università della California
ha proposto una serie di principi che possono facilitare la trasformazione
della comunicazione scientifica da sistema editoriale chiuso, basato sugli
abbonamenti, a sistema aperto, ove i lavori scientifici sono liberamente
accessibili a tutti. In sintesi, mentre gli editori stanno facendo di tutto per
ridurre i diritti e la libertà accademica degli autori, crediamo che la
proposta possa aiutare a ristabilire un equilibrio, per dare ai ricercatori un
maggiore controllo sul frutto del loro lavoro. Questi principi hanno il
potenziale di trasformare il sistema della comunicazione scientifica da chiuso
e inaccessibile a un sistema più aperto, equo, trasparente, sostenibile. I 18
principi:1 Nessun trasferimento di copyright. 2 Nessuna restrizione sui preprints. 3 Nessuna deroga alle politiche di accesso aperto. 4 Nessun ritardo nella condivisione. 5 Nessuna limitazione al riuso da parte dell’autore. 6 Nessuna restrizione alla modifica rispetto ai diritti ceduti. 7 Nessuna riduzione delle eccezioni alla cessione dei diritti. 8 Nessuna barriera alla disponibilità dei dati. 9 Nessun vincolo sul Text and Data Mining. 10 Nessuna chiusura dei metadati. 11 Nessun lavoro gratis. 12 No agli abbonamenti a lungo termine. 13 No a barriere all’accesso permanenti. 14 No al double dipping. 15 No a profitti nascosti. 16 Nessun accordo se non c’è un riequilibrio dei costi legati all’OA. 17 Nessuna nuova barriera per l’accesso ai nostri lavori. 18 Nessun accordo che preveda la confidenzialità. (Fonte: P. Galimberti, Roars 26-06-18)
SISTEMA
UNIVERSITARIO
MODERATE TENDENZE POSITIVE DEL
SISTEMA UNIVERSITARIO
I 91 atenei italiani, due terzi dei quali statali, accolgono oggi poco
meno di 1,7 milioni di studenti e, nonostante un calo del numero assoluto dei
diciannovenni, le immatricolazioni, in netta flessione negli anni più duri
della crisi economica, sono tornate al livello del 2008-9. Migliora (non molto)
il tasso di passaggio all'università dei diplomati tecnici, che non supera
comunque il 25%, e non si registra un'inversione di tendenza nel reclutamento
di studenti maturi, in larga misura ignorati dal sistema. In compenso, il tasso
di abbandono continua a calare. Il 12,2% degli immatricolati allelauree triennali lascia dopo il primo anno, il che non è poco, ma dieci anni fa si sfiorava il 16%. Gli abbandoni proseguono dopo il primo anno, e quasi un terzo degli studenti lascia in un qualche punto della carriera, una percentuale che continua a segnalare un problema su molti fronti: orientamento, tutorato, diritto allo studio. È in miglioramento costante, anche se la cifra assoluta è tuttora deludente, la percentuale di studenti che conseguono la laurea nei tempi previsti, oggi poco
più del 30% rispetto al 21,3% di dieci anni fa. Tra il 2015 e il 2017, mentre il tasso di occupazione dei diplomati restava pressoché costante intorno al 63%, quello dei laureati cresceva dal 61,9 al 66,2%. In questo contesto resta difficile spiegare l'esitazione a investire di più sugli Istituti tecnici superiori, che confermano anno dopo anno il loro successo, sia in termini di conseguimento del titolo (tre iscritti su quattro si diplomano), sia di prospettive occupazionali, considerato che l'80% dei diplomati trova lavoro entro un anno. Peccato che gli Its accolgano oggi, pur dopo anni di solida crescita, appena 10mila studenti, neppure lo 0,6% degli iscritti all'università. L'interesse per la formazione terziaria di carattere non tradizionalmente universitario è confermato dal triplicarsi in dieci anni degli iscritti nel settore dell'alta formazione artistica e musicale, che dimostra inoltre una forte capacità di attrazione di studenti stranieri, molto superiore a quella delle università.
Nel complesso questi numeri consentono all'Italia di accorciare le distanze rispetto ad altri Paesi europei. (Fonte: A. Schiesaro, Rapporto ANVUR 2018 e Il Sole24Ore 17-07-18)
SITUAZIONE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Il calo dei trasferimenti
statali al sistema Università e Ricerca si attesta sull'11% in cifra assoluta,
ma è vicino al 20% in termini reali. Anche se i tagli hanno coinciso con una
delle peggiori crisi economico-finanziarie del dopoguerra, questa è comunque
una pessima notizia, soprattutto in un momento in cui si avverte in modo sempre
più acuto la necessità di investire su istruzione e ricerca per far fronte, tra
l'altro, a una trasformazione epocale delle forme stesse del conoscere, per non
dire del lavoro e dell'industria. Dal 2008 si assiste poi a una crescita
pressoché costante della percentuale di liceali che si iscrive all'università,
di contro a un calo brusco e costante dei diplomati degli istituti tecnici e
professionali. Il numero dei fuori corso è ancora sostenuto, e continua a
preoccupare l'alto numero di abbandoni o cambi di corso, segno che manca un
sistema efficace di orientamento. La flessione delle immatricolazioni e gli
abbandoni, poi, sono più frequenti quanto più basso è il voto conseguito alla
maturità. Il Meridione partecipa di questi elementi di crisi in modo assai più
intenso e problematico del resto d'Italia: il 20% di calo degli immatricolati
tra 2002 e 2015 è dieci volte superiore a quello registrato al Nord (-2%), che
peraltro registra un saldo nettamente positivo (+17,6%) se si prendono in
considerazione solo gli immatricolati di età inferiore ai 20 anni. Le opzioni
per cambiare rotta esistono. Si possono potenziare percorsi di livello
terziario con caratteristiche diverse da quelli accademici tradizionali, mentre
per questi ultimi si possono creare, come avviene in molti Paesí, robusti
percorsi di rafforzamento delle competenze subito dopo l'immatricolazione,
anche prevedendo, ove necessario, un anno integrativo preliminare: un'opzione
di gran lunga preferibile, da tutti i punti di vista, all'abbandono o a un
estenuante fuoricorso. (Fonte: A. Schiesaro, Il Sole24Ore 18-05-18)
L’UNIVERSITÀ VERSO IL COLLASSO PROGRESSIVO DELLA SUA QUALITÀ
Sembra proprio che
l’università sia avviata decisamente verso questo destino: per aumentare la
qualità della ricerca si investono somme crescenti per monitorarla, si
complicano le procedure che ne regolamentano il funzionamento, si rende sempre
più cervellotica la sua gestione col risultato finale di vanificare lo scopo
per cui tutto questo ambaradan è stato concepito, di sottrarre risorse utili e
impedire di fatto la effettuazione di buona e creativa ricerca; analogamente,
le misure per il miglioramento della
qualità della didattica richiedono sempre più tempo nella gestione dei
meccanismi burocratici che permettono di controllarla e certificarla,
sottraendo spazio ed energie ai docenti e a chi è interessato di fatto ad
esercitarla, così ottenendo il risultato esattamente contrario a quello
previsto. E ci limitiamo a questi due aspetti, senza parlare dello stato di
insoddisfazione, disamoramento e di distacco – sia dei singoli docenti (che
ormai vedono il pensionamento come una sorta di liberazione) come di chi occupa
una carica – chiamati a un lavoro sempre più pesante a cui non corrisponde
alcun tipo di gratificazione (nemmeno di tipo non economico), ma solo continue
bastonature in termini di controllo e di mortificazioni, persino stipendiali,
in un ateneo in cui ci si sente sempre più sudditi. Insomma l’università è
sempre più impigliata in una attività forsennata di complicazione e aumento della
complessità di ogni procedura, che finirà per avere come risultato, in una
sorta di eterogenesi dei fini, solo il collasso progressivo della sua qualità,
della sua attitudine a far ricerca, della sua capacità di formare uno spirito
creativo e consapevole del cittadino, persino della sua prontezza nel
rispondere alle esigenze del mercato del lavoro. (Fonte: F. Coniglione, Roars 01-06-18)
PARERE DEL CUN SULLA REVISIONE
DEI SETTORI SCIENTIFICO-DISCIPLINARI (SSD)
La conclusione del parere CUN sulla revisione degli SSD rivela quale
potrebbe essere la portata dell’operazione. Infatti, «le innovazioni proposte
nel parere qui espresso, in attuazione del mandato conferito, presuppongono
interventi di livello legislativo oltre che, per quanto concerne la loro attuazione,
regolamentare, e richiedono perciò un necessario adeguamento e coordinamento
sostanziale del contesto normativo.» Il parere delinea un aggiornamento che
inciderà non solo sull’abilitazione nazionale, ma anche sull’organizzazione dei
dipartimenti, sui bandi, le procedure di chiamata, il finanziamento della
ricerca e la riorganizzazione dell’offerta didattica. «[…] per quanto concerne
le procedure per il conferimento dell’Abilitazione scientifica nazionale, il
nuovo modello di classificazione dei saperi disciplinari e i tratti che, nel
suo ambito, connotano il raggruppamento disciplinare renderanno necessario
ripensare profondamente i meccanismi di determinazione e uso dei parametri e
dei criteri di valutazione, con specifico riferimento al significato dei
«valori-soglia degli indicatori che devono essere raggiunti per conseguire l’abilitazione»
(art. 4, comma 2, DPR. 4 aprile 2016, n. 95) e alla inderogabilità del loro
raggiungimento attualmente prevista (art. 6, DM 7 giugno 2016, n. 120),
ampliando lo spazio di valutazione rimesso alle Commissioni anche nel rispetto
delle caratteristiche specifiche degli eventuali profili del raggruppamento.»
(Fonte: Red.ne Roars 14-05-18)
LA SCHEDA SUA-CDS E ALTRE SUPERFETAZIONI BUROCRATICHE PRECIPITANO IL
SISTEMA VERSO LA “CONTROPLESSITÀ”
Ho da poco finito di redigere
la scheda SUA-CdS, che viene approvata ogni anno dal Corso di studio, scrive F.
Coniglione su Roars. Ho dovuto così dimenarmi tra Gruppi di gestione di qualità
e consultazioni fatte con i cosiddetti “stakeholders”, cioè supposti portatori
di interessi esterni all’università e composti da società, aziende e
organizzazioni varie, che dovrebbero dire ai docenti come si fa meglio a
organizzare un corso di studio affinché i suoi laureati siano in grado di entrare
nel “mercato di lavoro”, al quale devono essere opportunamente “accompagnati”.
Già, perché ormai l’università sembra avere solo questo compito: formare degli
obbedienti lavoratori che possano incastrarsi come utili rotelline in un
mercato di lavoro le cui caratteristiche dovrebbero essere rese conoscibili da
qualche stakeholder, che possibilmente conosce solo il “particulare” della
propria azienda o società e le cui conoscenze sono spesso in tremendo ritardo
rispetto al sempre più veloce cambiamento delle opportunità di impiego. La
cultura, la formazione della personalità e dell’uomo nella sua integrità, il
possesso di una coscienza critica completa e non funzionale alla
professionalizzazione sembrano essere stati espulsi totalmente dagli orizzonti
universitari. Ma non basta: ho anche dovuto delineare il “Profilo professionale
e sbocchi occupazionali e professionali previsti per i laureati”, indicandone
la funzione nel contesto di lavoro e le competenze associate alla funzione;
indicare le conoscenze richieste per l’accesso al CdS, nonché le modalità di
ammissione, quali siano gli obiettivi formativi specifici del corso e quali
“competenze” ci si propone di sviluppare; descrivere la “knowledge and
understanding” nonché la capacità di “applying knowledge and understanding”, in
coerenza con gli indicatori di Dublino. E poi descrivere ciascuno di questi
elementi per le diverse aree disciplinari del CdS, indicare la discipline di
riferimento attraverso le quali vengono verificate le attività formative;
descrivere in che modo i laureati sviluppano la “autonomia di giudizio”, le
“abilità comunicative” e le “capacità di apprendimento” e così via, sino alle
attività di tutorato in itinere, alle prove di ingresso e, per finire – e qui
abbrevio per non essere noioso – alle opinioni studenti, cioè alla loro
soddisfazione per il CdS, rilevata dalle schede OPIS (= OPInione Studenti)
somministrate nel CdS e dai dati forniti da AlmaLaurea. E poi dati statistici
su quanti studenti, che percentuali, in che misura e così via, oltre a una
infinità di “indicatori”, “punti di attenzione”, “requisiti di qualità”
“sillabi”, parametri, sigle e acronimi. La scheda SUA-CdS – come anche i suoi consanguinei e parenti quali l’AVA e la VQR e tutte le altre infinite superfetazioni burocratiche, amministrative e normative che infettano e rendono invivibile l’odierna università – sono una prova di quanto il sistema universitario sia ormai giunto in quello stato di complessità in cui subentra la cosiddetta “controplessità”, quando «ad ogni nuovo livello di complessità, i payoff sono inferiori che nel precedente livello di complessità» (G. Sapienza, “Principi di controplessità”, in Id., Processo alla complessità, letteredaQalat, Caltagirone 2015, p. 139). Infatti, vale in generale che al crescere della complessità di una organizzazione o di una società, i rendimenti risultano sempre più decrescenti, sino al punto che il sistema, incapace di aumentare la propria efficienza, finisce per collassare sotto il peso di una complessità ormai ingestibile. (Fonte: F. Coniglione, Roars 01-05-18)
STUDENTI.
TASSE UNIVERSITARIE
PRESTITI FINALIZZATI ALL’ACCESSO
AGLI STUDI UNIVERSITARI. E L’IMPOSSIBILITÀ DI SALDARE IL DEBITO
Molte università hanno diffuso un questionario commissionato dal MIUR
“per valutare l’opportunità di istituire uno strumento finanziario per erogare
prestiti finalizzati all’accesso agli studi universitari”. Si tratterebbe di
una misura indirizzata alle Regioni obiettivo del Programma Operativo Nazionale
(Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia).
La “soluzione” alle carenze del diritto allo studio sarebbe quindi indebitare
gli studenti, in particolare quelli del Sud dove la disoccupazione giovanile è
più grave. L’UDU invita al boicottaggio della consultazione. L’esperienza inglese e americana in tema di prestiti d’onore ci mostra come questi non costituiscano un’agevolazione del percorso formativo, ma al contrario lo opprimono e disincentivano. In America si stima che milioni tra studenti e studentesse hanno contratto tale forma di debito, di cui buona parte si trova nell’impossibilità di saldarlo. L’indebitamento precoce, soprattutto nel contesto di crisi economica e lavorativa italiana, riproduce povertà e disuguaglianze: il tasso di disoccupazione all’interno del nostro Paese, in particolare quella giovanile, e la precarietà rendono impossibile ripagare il debito e costringe prematuramente ad un indebitamento a vita. Singolare che questo strumento sia proposto nelle Regioni del meridione, più povere e in cui vi è meno garanzia del diritto allo studio, all’interno delle quali le condizioni di cui sopra si moltiplicano. E’ quindi veramente giusto che uno studente o una studentessa debba indebitarsi per proseguire gli studi o piuttosto lo Stato dovrebbe garantire il diritto allo studio e la formazione a tutte e tutti? (Fonte: Red.ne Roars 06-07-18)
L’EMIGRAZIONE STUDENTESCA CAUSA
AL SUD UNA PERDITA COMPLESSIVA ANNUA DI CONSUMI PUBBLICI E PRIVATI DI CIRCA 3
MILIARDI DI EURO
La SVIMEZ rivela che nell’anno accademico 2016/2017 i meridionali
iscritti all’Università sono complessivamente 685 mila circa, di questi il
25,6%, pari a 175 mila unità, studia in un Ateneo del Centro-Nord. La quota,
invece, di giovani residenti nelle regioni del Centro-Nord che frequenta un’Università
del Mezzogiorno è appena dell’1,9%, pari a 18 mila studenti. Ne deriva, quindi,
un saldo migratorio netto universitario pari a circa 157.000 unità. Per offrire
un ulteriore termine di paragone, si tenga presente che nello stesso A.A. in
tutte le università del Sud risultavano iscritti 509.000 studenti. Il movimento
“migratorio” per fini di studio ha interessato, quindi, circa il 30%
dell’intera popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali. Gli studenti
“emigrati” per motivi di studio rappresentano, inoltre, circa lo 0,7% della
popolazione residente meridionale.Le regioni meridionali che si caratterizzano per i maggiori flussi in uscita in termini assoluti sono la Sicilia e la Puglia, con oltre 40 mila giovani che studiano al Nord, mentre in termini di percentuale su totale degli iscritti, i tassi migratori universitari più elevati riguardano le regioni più piccole del Sud, Basilicata e Molise con oltre il 40%, la Puglia e la Calabria con il 32% circa e la Sicilia con il 27%. “È evidente che la perdita di una quota così rilevante di giovani ha, già di per sé, un effetto sfavorevole sull’offerta formativa delle università meridionali – rileva il Direttore di SVIMEZ, Luca Bianchi – Ben più gravi, tuttavia, sono le conseguenze sfavorevoli che derivano dalla circostanza che, alla fine del periodo di studio, la parte prevalente degli studenti emigrati non ritorna nelle regioni di origine, indebolendo le potenzialità di sviluppo dell’area attraverso il depauperamento del c.d. capitale umano, uno degli asset più importanti nell’attuale contesto”. In termini di impatto finanziario l’emigrazione studentesca causa al Sud una perdita complessiva annua di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi di euro. (Fonte: www.dire.it 24-06-18)
PUBBLICATO CON 8 MESI DI RITARDO
IL DECRETO CHE DISTRIBUISCE IL FONDO INTEGRATIVO STATALE (FIS) 2017 PER I
SUSSIDI AGLI STUDENTI
Il MIUR ha pubblicato il decreto che distribuisce il fondo integrativo
statale (Fis) 2017. Una delle tre gambe su cui si regge il finanziamento dei
sussidi agli studenti insieme ai fondi regionali e ai proventi della tassa sul
diritto allo studio. Contestualmente sono stati aggiornati gli importi delle
borse di studio e le soglie massime per accedere ai benefici (la soglia Isee
passa da 23.000 a 23.253 euro, quella Ispe da 50.000 a 50.550). Una duplice
buona notizia che non risolve però i problemi di sottofinanziamento e di
tempistica che caratterizza il diritto allo studio. Come sottolineano le
associazioni studentesche. Elisa Marchetti, coordinatrice nazionale dell'Udu,
stigmatizza gli otto mesi di ritardo con cui il decreto è arrivato. E ricorda
come «anche in regioni dove non era mai successo (ad esempio l'Emilia Romagna)
alcuni atenei hanno dovuto anticipare o, addirittura, stanziare direttamente i
fondi per poter garantire la copertura totale delle borse». Senza dimenticare i
7.500 idonei ancora senza borse. (giugno 2018)
VARIE
UNIVERSITÀ E RICERCA NEL CONTRATTO DI GOVERNO 5STELLE-LEGA. DAL TESTO
INTEGRALE
Nel corso degli ultimi anni il
nostro Paese si è contraddistinto a livello europeo per una continua riduzione
degli investimenti nel comparto del nostro sistema universitario e di ricerca.
È pertanto urgente e necessario assicurare un’inversione di marcia. È
prioritario incrementare le risorse destinate all’università e agli Enti di
Ricerca e ridefinire i criteri di finanziamento delle stesse.Il sistema universitario e il mondo della ricerca dovranno essere maggiormente coinvolti nello sviluppo culturale, scientifico e tecnologico del nostro paese, contribuendo ad indicare gli obiettivi da raggiungere e interagendo maggiormente con tutto il sistema Paese. Sarà dunque fondamentale implementare la terza missione delle università attraverso la loro interazione con gli altri centri di ricerca e con la società. Attraverso una costante sinergia con la Banca per gli investimenti saremo in grado di assicurare maggiori fondi per incrementare il nostro livello di innovazione, rendendoli efficaci ed eliminando gli sprechi. Intendiamo incentivare, inoltre, lo strumento delle partnership pubblico-private, che consentiranno, di fatto, un maggior apporto di risorse in favore della ricerca. I centri del sapere, università e centri di ricerca in primis, oltre a garantire la fondamentale ricerca di base, dovranno altresì contribuire a rendere il sistema produttivo italiano maggiormente competitivo e propenso alla valorizzazione delle attività ad alto valore tecnologico. Occorrerà riformare il sistema dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), nell’ottica di potenziare un settore storicamente e culturalmente importantissimo per l’Italia. È necessario avere una classe docente all’altezza delle aspettative, eticamente ineccepibile. Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, garantendo il regolare turn-over dei docenti. Occorre incentivare l’introduzione di nuove norme per garantire al maggior numero possibile di studenti l’accesso ai gradi più alti degli studi. Tra questi figurano la necessità di ampliare gli strumenti e le risorse per il diritto allo studio, incrementando così la percentuale di laureati nel nostro Paese, oggi tra le più basse d’Europa, e la revisione del sistema di accesso ai corsi a numero programmato, attraverso l’adozione di un modello che assicuri procedure idonee a verificare le effettive attitudini degli studenti e la possibilità di una corretta valutazione.
DAL PRIMO COMPUTER OLIVETTI ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
“Il coding (programmazione informatica) è il nuovo inglese”, così il
rettore dell’Università Bocconi Gianmario Verona ha aperto l’edizione 2018 del
Wired Next Fest. “Il secolo digitale è iniziato nel 1959 con il primo computer
a transistor prodotto dalla Olivetti“, e si è sviluppato fino ad arrivare a
smartphone e tablet, social network e cloud. Percorso la cui prossima tappa è
rappresentata dall’intelligenza artificiale. “Questo cambiamento”, ha
sottolineato Verona, “impatta innanzitutto i nostri comportamenti. Fino a
qualche anno fa era impensabile dormire in casa di uno sconosciuto o farsi dare
un passaggio da chi non si conosce. Oggi ci sono Airbnb e Uber“. Non solo,
“abbiamo a disposizione informazioni puntuali sui singoli individui. Un
cambiamento copernicano che mette l’individuo al centro”. Infine, le aziende,
che “oggi hanno una capacità di innovazione che prima era inimmaginabile”.Ma cosa succederà quanto l’intelligenza artificiale sarà completamente sviluppata? Quando cioè “delle macchine superintelligenti conosceranno l’uomo più di quanto lui non conosca se stesso? Come cambieranno la società, la politica e l’impresa?”. (Fonte: R. Saporiti, https://www.robotiko.it/coding-cose/ 25-05-18)
IL CONTRATTO DI GOVERNO, IL
MINISTRO E IL CUN
Il contratto di governo** cita esplicitamente il CUN come uno dei
soggetti che potrebbero contribuire nei progetti decisionali, ma se il
buongiorno si vede dal mattino, la giornata si annuncia quanto meno assai
nuvolosa. Ci risulta infatti che il ministro Bussetti non abbia mai dato alcuna
risposta alla nota di saluto e di invito a incontro inviatagli dalla Presidenza
CUN. Se così fosse, sarebbe il primo ministro dell’istruzione, dell’università
e della ricerca a non degnare di considerazione il suo organo consultivo per
l’università. Un segnale o una semplice distrazione, dovuta anche ad una scarsa
conoscenza del settore universitario? In entrambi i casi, c’è da essere
preoccupati.**“Occorrerà apportare dei correttivi alla governance del sistema universitario e all’interno degli stessi atenei, ridisegnando il ruolo dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) per renderlo uno strumento per il governo (e non di governo), e individuando puntualmente i soggetti che potrebbero contribuire nei processi decisionali, a cominciare dal CUN, organo elettivo di rappresentanza del mondo universitario.”
(Fonte: Red.ne Roars 02-08-18)
UNIVERSITÀ
IN ITALIA
UNIMI. BICOCCA LANCIA
L’UNIVERSITÀ DEL CROWDFUNDING
Dopo il successo della raccolta fondi per CoderBot, il robot didattico
per le scuole primarie e secondarie, chiusa con più di 7mila euro di fondi
raccolti in due mesi (oltre il 140 per cento dell’obiettivo), ora l’Università
di Milano-Bicocca, in partnership con Produzioni dal Basso – la più grande
community Italiana di crowdfunding – lancia la piattaforma che consente a
studenti, ex studenti, docenti, ricercatori, dottorandi e dipendenti dell’Ateneo
di finanziare i propri progetti con il crowdfunding e il supporto delle aziende
partner. Tre i punti cardine dell’iniziativa, varata in concomitanza con le
celebrazioni del Ventennale: mettere a disposizione una modalità di
finanziamento alternativa e complementare ai tradizionali grant e bandi;
offrire l’opportunità di misurarsi col mercato attraverso la gestione delle
campagne; incrementare il senso e l’attitudine all’imprenditorialità. «È un
modello innovativo – dice il rettore Cristina Messa – e per ora unico nel suo
genere, almeno tra le Università italiane. I progettisti selezionati
riceveranno formazione e assistenza per imparare a costruire campagne di
successo. I mini corsi saranno dedicati a fornire strumenti efficaci per
favorire l’interesse di potenziali sostenitori. Da qui nasce l’idea di chiamare
la piattaforma Università del Crowdfunding». (Fonte: www.impresamia.com 15-06-18)
UNITR. I FINANZIAMENTI SUPERANO
LO STANDARD ITALIANO E DANNO OTTIMI RISULTATI
La produzione scientifica italiana è terza per qualità in Europa, dopo
quella francese e quella tedesca, e siamo tra i primi al mondo per la
produttività dei ricercatori. Anche in questo caso, Trento, Padova e gli altri
atenei italiani ben piazzati nella classifica di THE relativa alla
soddisfazione degli studenti sono quelli in cui secondo l’ANVUR si fa ricerca
di livello più alto: qualità della didattica e qualità della produzione
scientifica non si escludono, come pensa qualcuno, ma vanno di pari passo.
Ottimi ricercatori sono anche, di solito, ottimi docenti. Lo stesso rapporto ANVUR
mette però in evidenza che la spesa annuale per studente nel nostro sistema
universitario è inferiore di circa il 25% alla media OCSE, collocandosi al
24esimo posto su 34. Ripeto: terzi per la ricerca, 24esimi per l’investimento
per studente. Nel Regno Unito, dove si trova la gran parte delle università che
stanno davanti a Trento nella classifica del THE, la spesa media per studente è
più che doppia rispetto a quella italiana. La deduzione non è difficile: sia
secondo il THE sia secondo l’ANVUR, le università italiane hanno performance
didattiche e scientifiche di altissimo livello: è probabile che, fatte le
debite proporzioni, in nessuno Stato europeo l’investimento in istruzione dia
risultati altrettanto buoni. Il problema, ovviamente, è che l’investimento
italiano è troppo scarso per renderci davvero competitivi, e tra l’altro per
avere un numero di laureati che sia in linea con la media Ocse. L’Università di
Trento ha ottenuto in questi anni eccellenti risultati anche perché può contare
sui finanziamenti della Provincia autonoma, che non raggiungono certo gli
standard europei ma superano lo standard italiano. (Fonte: CorSera Univerità,
19-07-18)
UE.
ESTERO
UN BUON USO DELL'EUROPEISMO
CULTURALE È FONDAMENTALE PER COSTRUIRE UN'EUROPA APERTA E INCLUSIVA
Ecco perché bisogna ripartire dalla scuola e dall'università. «Non a
caso il presidente francese Macron ha scelto la Sorbona e un pubblico di
giovani studenti per pronunciare il 26 settembre 2017 il suo discorso
sull'Europa». Quali sono i punti più importanti, a suo avviso, di questa
visione? «Innanzitutto, la convinzione che cultura e sapere saranno il cemento
più forte dell'Unione Europea. E poi considerare "l'educazione
europea" come un volano fondamentale: la mobilità degli studenti (nel 2024
la metà dei giovani sotto i 25 anni deve aver soggiornato non meno di 6 mesi in
un'altra nazione), l'apprendimento di almeno due lingue europee in ogni Paese,
l'istituzione di "università europee" come "luogo d'innovazione
pedagogica e di eccellenza" (democratizzazione ed eccellenza non debbono
essere in contraddizione: per questo la mobilità studentesca deve coinvolgere
il maggior numero di allievi). Così saremo in grado, senza perdere di vista
l'inserimento professionale e la mobilità sociale, di creare ciò che Habermas
ha definito l'autentico "patriottismo costituzionale". Vivendo nella
Sorbona — grande centro europeo dell'internazionalizzazione dei saperi — mi
sono convinto che la rifondazione dell'Europa passerà per le peregrinazioni
europee dei nostri giovani allievi in formazione». (Fonte: G. Pécout, La
Lettura 26-08-18)
HORIZON EUROPE, IL PROGRAMMA
QUADRO PER LA RICERCA E L'INNOVAZIONE PROPOSTO DALLA COMMISSIONE EUROPEA PER IL
2021-2027
Horizon Europe ha un bilancio di 100 miliardi di euro, il più ricco di
sempre, e potranno parteciparvi anche paesi al di fuori dell'UE, compresa la
Gran Bretagna del dopo Brexit. Previsti cambiamenti nei meccanismi di
finanziamento, ma i fondi destinati a strumenti di eccellenza come l'ERC non
sembrano ancora sufficienti. Più della metà del finanziamento totale, pari a
52,7 miliardi di euro, sarà destinato al fondo per le sfide che deve affrontare
la società. Con questi fondi i ricercatori vogliono rispondere all’invito a
presentare proposte di ricerca in alcuni specifici settori: salute, società
inclusiva e sicura, digitale e industria, clima, energia e mobilità, risorse
alimentari e naturali. Oltre 10 miliardi di euro del bilancio proposto saranno
destinati a un Consiglio europeo dell'innovazione (EIC) di recente istituzione,
che avrà lo scopo di immettere sul mercato nuove tecnologie d'avanguardia, e
che quest'anno ha iniziato a funzionare come progetto pilota nell'ambito di
Horizon 2020. L'EIC finanzierà singoli ricercatori e imprese in modo analogo a
come l'European Research Council (ERC) – il principale finanziatore della
ricerca "creativa" del programma - finanzia i ricercatori per
attività scientifiche di base. (Fonte: Le Scienze 09-06-18)
IL NUOVO PIANO HORIZON EUROPE È
PIÙ RICCO MA PENALIZZA LA RICERCA DI BASE
La Commissione Europea ha recentemente reso noti i dettagli del
prossimo Programma Quadro per il finanziamento della spesa in ricerca e
innovazione degli stati membri durante il periodo 2021-2027. Denominato
“Horizon Europa”, il nuovo piano risulta molto più ricco di quello attuale
(Horizon 2020) ma a differenza di questo pone una sostanziale enfasi su
attività di impresa e di innovazione nel contesto di “grandi missioni” volte a fronteggiare
i maggiori problemi della società contemporanea. In particolare, il piano si
iscrive in un nuovo approccio alla politica della ricerca in Europa, formulato
nei mesi precedenti da gruppi di esperti provenienti dal mondo della ricerca
accademica ed industriale, che in più di un documento hanno sottolineato
l’importanza delle ricadute sociali dell’attività di ricerca e di qui la
necessità di orientarla opportunamente su specifiche aree di interesse.
Tuttavia, come riportato da Stewart Wills nel sito OSA.org, l’accoglienza da
parte del mondo accademico non è stata delle migliori. In una nota congiunta a
nome di 14 distinti gruppi di universitari, è stato infatti rilevato che lo
stanziamento complessivo per Horizon Europa sarebbe dovuto almeno raddoppiare
arrivando a un totale di almeno 160 miliardi di euro, pari a circa 60 miliardi
in più di quanto ad oggi previsto. In secondo luogo è stato sottolineato come
l’allocazione dei fondi abbia penalizzato la ricerca di base, con un incremento
più ridotto previsto per i fondi Marie Curie ed ERC nonostante il successo
mostrato da questi ultimi nell’avanzamento della Ricerca europea. (Fonte: D.
Palma, Roars 27-07-18)
L’UE HA RAGGIUNTO L’OBIETTIVO DEL 40% DI LAUREATI TRA I GIOVANI FINO A
34 ANNI
Alla fine dello scorso anno
l’Unione europea ha complessivamente centrato l’obiettivo che si era data per
il 2020: avere almeno il 40 per cento di laureati tra i giovani fino a 34 anni.
I dati pubblicati da Eurostat nei giorni scorsi fanno segnare un 39,9 per cento
di media. Un risultato al quale hanno contribuito tutti i Paesi, in misura
diversa perché quando si decise l’obiettivo nel 2002, la situazione delle
università nei diversi stati era molto distante. Resta un unico Paese dove
l’obiettivo è lontano e la crescita dei laureati è troppo lenta per mantenersi
al passo con gli altri. Questo Paese è purtroppo l’Italia. Nel 2002 i laureati
della fascia di età fino a 34 anni erano da noi il 13,1 per cento, una delle
percentuali più basse dei Paesi Ue. Ma peggio faceva il Portogallo (12,9) che
oggi è al 33, 5 mentre l’Italia è ferma al 26.9. La Romania ci tallona essendo
passata in quindici anni dal 9,1 per cento di laureati al 26,3, la Polonia
invece ha triplicato i suoi giovani con diploma passando dal 14,4 al 45,7. Per
non dire dei Paesi che già avevano un quarto dei laureati nella fascia di età
fino a 34 anni e che oggi sono ampliamente sopra il 40 per cento: la Francia
per esempio, il Belgio, la Grecia, la Finlandia, l’Irlanda e la Slovenia, la
Svezia e il Regno Unito. (Fonte: G. Fregonara, CorSera 27-07-18)
PROGETTI FINANZIATI DAL
CONSIGLIO EUROPEO DELLA RICERCA (ERC). IL 79 PER CENTO HA PORTATO A UN
IMPORTANTE PROGRESSO SCIENTIFICO
Dall'ultima valutazione annuale indipendente dei progetti ERC è
arrivato un apprezzato e insolito riesame dei risultati ottenuti dal più
prestigioso finanziatore scientifico d'Europa. La valutazione annuale, giunta
al terzo anno, ha stabilito che quasi un progetto su cinque di quelli sostenuti
dal Consiglio europeo della ricerca (ERC) ha portato a una svolta scientifica.
La valutazione indipendente è iniziata nel 2017 e ha preso in esame 223
progetti dell'ERC che si erano conclusi a metà del 2015. Stando a essa, il 79
per cento di quelle ricerche ha portato a un importante progresso scientifico,
e il 19% di esse è stato considerato un progresso fondamentale. Questa
percentuale arriva poi al 27% per le sovvenzioni "ERC Advanced
Grants", concesse a ricercatori esperti. Solo l'1% di tutte le ricerche
non avrebbe fornito un contributo scientifico apprezzabile. La revisione è
stata pubblicata il 31 maggio. (Fonte: Le Scienze 09-06-18)
FRANCIA. LA MINI RIFORMA DEGLI ACCESSI AI CORSI UNIVERSITARI NON PIACE
AGLI STUDENTI
Un cardine del sistema
francese è la libertà d’accesso ai corsi universitari, con il solo filtro
dell’esame di baccalauréat, introdotto da Napoleone nel 1808. Da allora poco è
cambiato. In pratica uno studente superiore con pessimi voti in matematica ma
che comunque supera l’esame di maturità può iscriversi senza problemi alla
facoltà di Matematica. L’uguaglianza d’accesso alle università pubbliche ha un
alto valore simbolico e, combinata con un generoso sistema di finanziamento
statale, permette alla Francia di offrire rette molto basse (mediamente 189
euro per studente nel 2017) e buona qualità degli studi. Il sistema era però
pensato per un Paese dove l’istruzione terziaria era riservata a pochissimi:
nei primi anni dell’Ottocento gli studenti universitari erano poche centinaia,
nel 1950 solo il 5% sosteneva il baccalauréat. Oggi quasi l’80% di coloro che
completano le scuole superiori decide di tentare l’accesso ai corsi
universitari. Per ovviare alla situazione, lo scorso anno il governo francese
ha introdotto un nuovo regolamento che permette agli atenei di avere accesso ai
risultati ottenuti alle scuole superiori dai nuovi immatricolati, in modo da
poter offrire loro dei corsi di recupero per ovviare a eventuali evidenti
carenze pregresse. Non si cita mai la parola “selezione” o “accesso”, non si
tratta di test d’ingresso o di “numeri chiusi” e da osservatori esterni pare
una piccola misura di buonsenso. Per molti studenti, però, questa è apparsa
come il primo passo verso una “anglicizzazione” o “americanizzazione” del
sistema accademico francese, cioè la prima misura volta a disegnare
un’università più selettiva e più chiusa. Fondata sulla competizione e non più
egalitaria. (Fonte: M. Morini, IlBo 18-05-18)
FRANCIA. CON LA NUOVA
PIATTAFORMA INFORMATICA PARCOURSUP DI
SELEZIONE POST-BAC 102.606 LICEALI NON SANNO ANCORA IN QUALE UNIVERITÀ ACCEDERE
Nel sistema scolastico francese la selezione è abbastanza complicata
già nel lungo percorso che va dal Collège (le medie) fino al liceo. Senza dire,
poi, che l'accesso agli studi universitari (nelle facoltà tradizionali o nelle
scuole d'eccellenza come l'Ena, il Politécnique, l'Ecole de mines o la Normale
Supérieure) è stato gestito per anni attraverso un portale internet del
Ministero - si chiama Apb, Admission post bac - il quale decideva l'ammissione
a questa o a quella facoltà attraverso un algoritmo che valutava il percorso
scolastico dello studente (a cominciare dalle ultime classi delle elementari!)
incrociando le domande con l'offerta di posti disponibili seguendo una griglia
di graduatorie a scalare. Ora l’80% (delle famiglie con un figlio che ha appena
conseguito la maturità, il baccalaureat, e si prepara agli studi universitari)
dichiara di essere fortemente preoccupato perché al momento, a un mese dalla
conclusione degli esami e a quasi un anno dall'avvio del nuovo sistema
informatico di selezione post-bac (si chiama Parcoursup ed è entrato in funzione a gennaio in contemporanea con
una nuova legge chiamata forse troppo ottimisticamente Ore, Orientation et
réussite des étudiants), oltre centomila ragazzi (su una platea di 800mila
diplomati, l'85% dei candidati perché il 15%, va detto, qui in Francia non
supera gli esami e deve ripetere l'anno) non sanno ancora in quale università e
in quale facoltà potranno continuare gli studi. (Fonte: G. Corsentino, CEST
27-07-18)
UK. LE BIG DELL’HI-TECH
SACCHEGGIANO I «CERVELLI» DELLE UNIVERSITÀ ESPERTI DI IA
Il rettore del King’s Cross Campus dell’Università di Warwick a Londra,
che ne coordina i progetti di IA (Intelligenza artificiale), teme che la razzia
dei migliori cervelli informatici dagli istituti di formazione superiore del
Regno Unito da parte di gruppi statunitensi come Amazon, Google, e Uber rischi
di mettere a repentaglio la capacità della Gran Bretagna di perseguire una
posizione leader nel settore dell’apprendimento automatico. «Le migliori
società tecnologiche succhiano linfa dalle università: offrono loro stipendi
cospicui, pari a circa il quadruplo o il quintuplo di quelli che ricevono», ha
detto. «Le domande da porci sono le seguenti: chi è il proprietario delle
conoscenze prodotte? E chi formerà i ricercatori del futuro?». Il Regno Unito
si sta battendo contro altri paesi (e tra questi la Francia, dove a marzo il
presidente Emmanuel Macron ha promesso di allocare 1,5 miliardi di euro per
dare nuovo impulso nel prossimo quinquennio all’apprendimento automatico)
perché determinato a diventare leader mondiale nell’IA. Ogni impegno in questo
senso, tuttavia, scompare rispetto ai grandiosi piani cinesi di creare entro il
2030 un settore industriale impegnato nell’IA per 150 miliardi di dollari.
(Fonte: A. Ram, IlSole24Ore 15-06-18)
UK. ANCHE LA DIAGNOSI DELLO
STATO DI SALUTE DEGLI UTENTI NEL FUTURO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE (IA)
Nel futuro dell’IA c’è anche la diagnosi dello stato di salute degli
utenti. Lo scorso mese, quando ha annunciato la decisione del governo di
investire 300 milioni di sterline per finanziare la ricerca nel campo
dell’apprendimento automatico, per esemplificare l’alto livello raggiunto dal
Regno Unito nel campo dell’intelligenza artificiale, il segretario alla Cultura
Matt Hancock ha citato i nomi di tre aziende che hanno sede a Londra. Le prime
due sono DeepMind e Swiftkey, che mette a punto software per i testi predittivi
ed è stata acquistata da Microsoft nel 2016 per 250 milioni di dollari.La terza azienda è più piccola: si tratta di Babylon, una startup digitale britannica che opera in campo sanitario e usa algoritmi di IA per diagnosticare le malattie. Questa azienda ha un’intesa con Bupa, il gruppo privato di assistenza sanitaria, e con il numero di assistenza telefonica non d’emergenza 111 del Servizio Sanitario Nazionale per contribuire al triage dei servizi per casi non critici, e ha anche un accordo con il SSN per permettere a circa un milione di londinesi di usare l’app di Babylon come primo punto di contatto quando ci si sente male, invece di rivolgersi direttamente al proprio medico curante. In ogni caso, i due contratti-fiori all’occhiello di Babylon con Bupa e il numero 111 di assistenza del SSN non si sono espansi più di tanto dopo la forte reazione contraria dei medici. (Fonte: A. Ram, IlSole24Ore 15-06-18)
ERC STARTING GRANTS. UNO SU
DIECI A RICERCATORI ITALIANI
Su 403 European starting grants, i finanziamenti destinati ai
ricercatori junior, gli italiani se ne sono aggiudicati uno su dieci. I nostri
giovani scienziati hanno sorpassato anche i francesi, balzando al secondo posto
subito dietro i tedeschi. Peccato che nella stragrande maggioranza dei casi i
vincitori svolgeranno le loro ricerche fuori dall’Italia: su 42 vincitori con
il passaporto italiano solo 12 resteranno a lavorare qui. Gli altri 30 (tre su
quattro) presteranno i loro cervelli all’estero. La penuria di fondi penalizza
ulteriormente l’Italia in quanto non solo fa scappare i nostri cervelli ma
soprattutto ci rende assai poco attraenti per dei ricercatori stranieri. I
nostri laboratori ne sono riusciti ad attrarre solo tre: uno sloveno (a Pavia),
un ungherese (alla Bocconi) e un canadese (a Trento). (Fonte: CorSera 30-07-18)
LIBRI.
RAPPORTI. SAGGI
LA LAUREA NEGATA
Autore: Gianfranco Viesti, ed. Laterza 2018.La base di questo lavoro è un rapporto della Fondazione Red pubblicato due anni fa. I dati sono chiari: l’università italiana è più piccola del 20% rispetto a dieci anni fa. E non è una buona notizia.
Il blocco del turnover ha ridotto il numero dei docenti da 63mila a 49mila tra il 2008 e il 2016, ma ci sono anche meno corsi e meno studenti, al contrario di quanto si possa pensare. Si dice che l’Università diventi un parcheggio per i giovani, ma in questo momento storico non vale. Per una semplice ragione: i costi dei nostri atenei sono aumentati e sempre più persone non se lo possono permettere. Indipendentemente dal colore dei governi, possiamo dire che la linea è stata piuttosto univoca: il costante taglio dei fondi ha portato l’Università pubblica a dipendere per il 30% da finanziamenti privati, con una pericolosa concentrazione degli atenei sbilanciata verso il Centro-Nord. I criteri di ripartizione dei fondi statali sono stati cambiati, ma sono ancora troppo poco trasparenti. A farne le spese sono stati gli studenti. Soprattutto i meno abbienti, visto che gli investimenti per il diritto allo studio sono rimasti gli stessi mentre i costi aumentavano. E non è solo un problema di tasse, ma anche di tutte le altre spese che uno studente, magari fuori sede, deve sostenere. Ma oltre al merito, c’è un problema di metodo. In questi ultimi dieci anni la politica ha trasformato l’Università senza che gran parte dell’opinione pubblica se ne rendesse neanche conto, attraverso modifiche burocratiche molto tecniche e graduali, quasi per evitare responsabilità. Un tema del genere meriterebbe invece di essere al centro del dibattito parlamentare. I finanziamenti non sono più ripartiti agli atenei su base storica, cioè su quanto erano abituati a prendere in precedenza, ma su un sistema di indicatori. Il problema è che questi criteri sono poco trasparenti e, se vogliamo vedere dei benefici, devono essere riformati. (Fonte: intervista all’autore, www.linkiesta.it 03-08-18)
VITA DA
PRECARI. UNA MINIGUIDA PER ORIENTARSI NEL LAVORO UNIVERSITARIO
Autore: Francesca Forte. Edizioni Conoscenza, 2018, 54 pg.Sono oltre 83 mila i precari nelle università italiane. Un esercito di ricercatori a tempo determinato, assegnisti, borsisti, docenti a contratto senza i quali gli atenei non potrebbero funzionare, ma ai quali si danno ben poche opportunità per un futuro accademico. I precari universitari della ricerca e della docenza non possono accedere a nessun processo di stabilizzazione, e spesso lavorano senza la garanzia di elementari diritti, come le ferie o le assenze per malattia e per maternità.. Questo libro nasce dall’esperienza degli “Sportelli precari” istituiti da FlcCgil di Milano ed è una guida per i lavoratori “non strutturati” per l’accesso a una serie di diritti che siano loro garantiti nel contesto delle diverse forme contrattuali: dai congedi parentali e di maternità alle cure in caso di malattia o di infortunio, all’assegno di disoccupazione, alle prospettive di pensione. Il volumetto pubblicato da Edizioni Conoscenza ha una Presentazione di Pasquale Cuomo e contributi di Alessandro Arienzo e Barbara Grüning.
FUTUREINRESEARCH. L’ESPERIENZA DELL’UNIVERSITÀ DEL SALENTO
A cura di Silvio Labbate. Tangram edizioni
scientifiche, 2018.“La ricerca deve continuare, non può subire le dinamiche travagliate dei finanziamenti: in palio c’è il progresso della società civile». È chiaro il messaggio del rettore dell’Università del Salento Vincenzo Zara, in occasione della presentazione del volume che raccoglie le idee progettuali che i ricercatori a tempo determinato dell’Università del Salento stanno sviluppando per rispondere alle necessità di innovazione rilevanti per la Puglia nel quadro del programma omonimo. Curato da Silvio Labbate, Ricercatore di Storia contemporanea, il libro è un focus su “FuturelnResearch”, destinato a sostenere la formazione, la mobilità e lo sviluppo delle capacità dei ricercatori pugliesi. “La Regione Puglia – spiega - ha inteso realizzare un sistema di censimento che, da una parte, soddisfi le aree di intervento regionali e, dall’altra, l’esigenza di dotazione organica per le Università in funzione della ricerca applicata sul territorio. In altri termini, un sistema di “potenziamento del sistema universitario” attraverso la “specializzazione intelligente”. (Fonte: www.trnews.it 21-05-18)
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