IN
EVIDENZA
52° RAPPORTO CENSIS SU SITUAZIONE SOCIALE: EDUCAZIONE TERZIARIA.
RICERCA. CORSI INTERNAZIONALI. INVESTIMENTI
Educazione terziaria:
in Italia si spendono 11.257 $ per studente (7.352 $ se si escludono le spese
per ricerca e sviluppo), mentre la media europea è pari a 15.998 $ (11.132 $
senza la R&S), con una differenza dunque di ben 4.741 $ (il 42% in più).
La spesa pubblica destinata in Italia alla ricerca è scesa da poco meno di 10 miliardi di euro
nel 2008 a poco più di 8,5 miliardi nel 2017. Nel periodo è passata da 157,5
euro per abitante a 119,3 euro.
Il 78,4% degli italiani
utilizza internet, il 73,8% gli
smartphone con connessioni mobili e il 72,5% i social network. Per i giovani
(14-29 anni) le percentuali salgono rispettivamente al 90,2%, all'86,3% e
all'85,1%. Spesa per telefoni +221,6% nel decennio 2007-17.
I corsi a carattere internazionale nell'a. a. 2017-2018 sono 862, di cui 341 tutti e 161 parzialmente in
inglese. Rispetto a 2 anni prima, i corsi in lingua italiana sono diminuiti del
2,1%, quelli tutti (+37,5%) o in parte (+147,7%) in inglese sono molto
cresciuti.
Sono ingegneria-architettura e
il gruppo economico-statistico le due aree disciplinari che accolgono le quote
più alte di corsi universitari a carattere internazionale, rispettivamente con
il 34,4% e il 31,8% del totale.
18% il tasso d'abbandono precoce dei percorsi d’istruzione dei giovani
18-24enni (media europea 10,6%). In 10 anni: da 236 a 99 i giovani laureati
occupati ogni 100 anziani, da 249 a 143 i lavoratori laureati occupati ogni 100
lavoratori anziani.
Alla sproporzione tra investimenti nei segmenti scolastici
iniziali e l'Università (meno finanziata) si è sostituito "un omogeneo
volare basso": investiamo il 3,9% del Pil, mentre la media europea è 4,7%.
Investono meno di noi solo Slovacchia (3,8%), Romania (3,7%), Bulgaria (3,4%) e
Irlanda (3,3%). (Fonte: http://www.censis.it 07-12-18)
ASSUNZIONI DI DOCENTI ANNUNCIATE DAL
MINISTRO BUSSETTI
E’
annunciata dal ministro Busetti un’operazione in due tempi nelle prossime
settimane che prevede assunzioni di docenti nelle università, riferisce il
Sole24Ore. L’intervento passerà da una revisione del meccanismo dei “punti
organico" che governa le assunzioni negli atenei. Il primo atto sarà lo
sblocco del decreto ministeriale con i 2.038 "punti organico" validi
per il 2018 che finora era rimasto congelato. E che assicurerà l'assunzione dei
primi 2mila docenti considerando che un ordinario corrisponde a un punto e un
associato a 0,7. Con una novità di rilievo nella ripartizione ateneo per ateneo:
sarà eliminato il tetto del 110%, delle proprie cessazioni valido per tutti.
Come? Dopo aver assicurato a tutte le università il 50% del proprio turnover,
si attribuirà il restante 50% sulla base del livello di virtuosità dei bilanci.
Più i conti saranno in ordine, più avranno mani libere. Il secondo intervento
arriverà con un emendamento alla legge di bilancio all'esame di Palazzo Madama,
che incrementerà le facoltà di assunzione "normali" del sistema
universitario (100% del turn over sull'intero territorio nazionale) con 220
punti organico nel 2019 e altri 220 nel 2020. Almeno altri 440 posti, dunque.
Riservati stavolta alle università virtuose. Una misura che si somma ai nuovi
1000 ricercatori di tipo b - quelli con tenure track - già contenuta nel testo
ordinario della manovra e che potrebbe essere affiancata, grazie a un altro
emendamento allo studio, da una prima "infornata" di ricercatori a
tempo indeterminato. Previsti dalla riforma Gelmini del 2010 ma rimasti sulla
carta. (Fonte: E. Bruno, IlSole24Ore 13-12-18)
GLI OBIETTIVI DELLE SELEZIONI PRELIMINARI (ACCESSO A NUMERO CHIUSO) IN
UNA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Nella loro disamina, su un
caso di richiesta di accesso a un corso di laurea senza affrontare il test
d’ingresso, i giudici del massimo consesso del Consiglio di Stato partono con
lo stabilire che per l’iscrizione a un corso di laurea, quale esso sia, è
necessario possedere il diploma quinquennale. L’altro passo è capire, nel caso
in questione, se il titolo di massofisioterapista può, seppure conseguito in
tre anni, essere considerato equipollente al diploma quinquennale per l’accesso
al corso di laurea in Fisioterapia. La risposta è negativa. Va, però, ricordato
che i richiedenti hanno dimostrato di possedere anche il diploma di scuola
superiore. Si pone, pertanto, un’ulteriore domanda: l’unione dei due titoli
permette di iscriversi al corso di laurea in Fisioterapia senza sostenere i
test di ingresso, accedendo direttamente - come chiedevano i professionisti -
al terzo anno? Se la ragione del test di ingresso fosse solo quella - come
sostenevano i richiedenti - di accertare la predisposizione del candidato alle
materie del corso di laurea, allora non ci sarebbero dubbi che per i massofisioterapisti
tale sbarramento sarebbe superfluo, perché loro già si sono cimentati con quei
temi. Però - chiarisce l’Adunanza plenaria del CdS con sentenza in data 17 ottobre
2018 - “le prove di ammissione ai corsi
universitari ad accesso programmato, di cui all’art. 4 della l. 2 agosto 1999,
n. 264, si collocano nel punto di intersezione di più esigenze e rispondono
contemporaneamente a più funzioni. Se ne possono indicare, in via riassuntiva
ma non esaustiva, almeno tre: a) verificare la sussistenza dei requisiti di
cultura per lo studente che aspira ad essere accolto per la prima volta nel
sistema universitario; b) garantire l’offerta di livelli di istruzione adeguati
alle capacità formative degli atenei; c) consentire la circolazione nell’ambito
dell’Unione europea delle qualifiche conseguite”. Inoltre, ribadisce il consesso che “il limite numerico” è “elemento
ineludibile, perché posto a garanzia di qualità dell'insegnamento secondo gli
standard europei”. Infine Il CdS conclude che “si rende arduo ritenere che il requisito del previo superamento della
prova di ammissione possa essere escluso sulla base di una osservazione
angusta, limitata unicamente ai requisiti posseduti dal candidato partecipante,
ponendo in disparte la plurifunzionalità dell’istituto selettivo”. (Fonte:
A. Cherchi, IlSole24Ore 10-11-18)
L’ACCESSO ALL’UNIVERSITÀ TRA NUMERO PROGRAMMATO, SOPRANNUMERO
GIUDIZIARIO E DEMAGOGIA RICORRENTE
Recenti proposte di fonte
governativa di abolire il numero chiuso per l’accesso al corso di laurea in
Medicina e Chirurgia, e di applicare invece il c.d. sistema francese, hanno
fatto tornare d’attualità l’articolo di Paolo Stefano Marcato pubblicato sul
tema nel webmagazine “Informazioni universitarie” (15-09-14) quando la ex
ministra Giannini nel 2014 aveva avanzato analoga proposta. Segue il testo
dell’articolo.
La regolamentazione delle immatricolazioni (numero
chiuso o programmato o controllato) è stata per decenni, nella seconda metà del
secolo scorso, un tema demonizzato dallo “sciocchezzaio ideologico e dalle
fumisterie parademocratiche” (http://tinyurl.com/okoeuz8
) al servizio di un’italica demagogia imperante che ha contribuito non poco al
tentativo di squalificare l’università pubblica. Tuttavia, prima della
liberalizzazione degli accessi all’università per tutti i diplomati
dell’istruzione secondaria superiore (legge 11 dicembre 1969, n. 910,
“liberalizzazione degli accessi universitari”) il numero chiuso era un tema su
cui si sbatteva come contro un muro dato che gli accessi erano per legge
preliminarmente discriminati dal tipo di istruzione secondaria frequentato. Con
l’avvento dell’università di massa promosso da quella legge, il tabù demagogico
dell’accesso indiscriminato si è rafforzato ma ha anche cominciato anno dopo
anno a infrangersi contro la ragione. Che, vista la pletora delle iscrizioni,
spesso sproporzionata ai contenitori e alla qualità dell’insegnamento, imponeva
di valutare la possibilità dei singoli studenti di frequentare con profitto un
determinato corso di studi regolato a misura di un definito numero di
immatricolati, bilanciando le legittime attese dei giovani alle effettive
disponibilità di docenti e strutture didattiche dei corsi. Le associazioni
studentesche hanno tuttavia seguitato ad opporsi al numero chiuso, ritenendolo
anche di recente “un abuso ingiustificato, che peggiora la qualità complessiva,
favorisce i clientelismi, protegge le corporazioni e permette allo stato di non
investire sull’università per quanto sarebbe necessario”.
Fino al 1999 è mancata una legge che disciplinasse in
modo definitivo e omogeneo l'accesso ai corsi universitari a numero
programmato. A fare chiarezza sulla questione è intervenuta dapprima la Corte
Costituzionale che, già nel 1998 (sentenza 383, 27-11), ha dichiarato il numero
programmato una misura legittima e non lesiva del diritto allo studio e, poco
tempo dopo, la Legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accessi ai
corsi universitari) che ha stabilito i corsi universitari i cui accessi sono
programmati a livello nazionale: Corsi di Medicina e chirurgia, Medicina
veterinaria, Odontoiatria e protesi dentaria; Corsi di Architettura; Corsi di
primo livello dell'area sanitaria; Corsi in Scienze della formazione primaria;
Corsi universitari di nuova istituzione o attivazione, per un numero di anni
corrispondente alla durata legale del corso; Corsi di laurea per i quali
l'ordinamento didattico preveda l'utilizzazione di laboratori ad alta
specializzazione; Corsi di diploma universitario (oggi sostituiti e riformati
dai corsi di laurea triennali) per i quali l'ordinamento didattico preveda
l'obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo. Per ogni
corso di laurea ad accesso regolato, il Ministro stabilisce annualmente il
numero massimo di posti disponibili sul territorio nazionale suddivisi per
sede.
Va anche ricordato che l'istituzione del numero
programmato in alcuni corsi universitari (Medicina e Chirurgia, Medicina
Veterinaria, Odontoiatria e Protesi Dentaria) è norma di legge che recepisce
raccomandazioni della Comunità europea volte ad armonizzare i sistemi di
formazione nazionali e a rendere omogenee le caratteristiche professionali di
figure come il medico o il dentista, in modo che possano muoversi liberamente
nella Comunità Europea esercitando il proprio lavoro.
Nelle università il numero chiuso è ormai un dato
acquisito e si è esteso da Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura a
moltissimi altri corsi di laurea, che, localmente, hanno iniziato ad applicare
i test selettivi per l’immatricolazione: i corsi a numero programmato in tutta
Italia sono oggi (tutti i dati seguenti
sono riferiti al 2014; per l’aggiornamento al 2018 si veda qui
e qui ) 1.687 su
4.311, il 39 per cento. L'Università di Padova, ad esempio, prevede a
"numero controllato" Economia, Psicologia, Agraria, Fisica, Scienze
dell'educazione. A Palermo il test per entrare a Scienze di base e applicate è
stato affrontato da 4.045 candidati: 1.358 i posti disponibili. Alla Ca'
Foscari di Venezia in 2.973 hanno provato a entrare alla fine di agosto ai sei
corsi di laurea (linguistici ed economici) ad accesso programmato. L'Università
di Parma ha diciotto corsi chiusi. Giurisprudenza è a numero chiuso a Roma Tre,
a Firenze, a Catania, a Palermo. Biologia è nella totalità dei casi a numero
chiuso. La partecipazione alla prova selettiva iniziale per i corsi
dell'Università di Milano-Bicocca quest'anno ha segnato un +49,6 per cento. A
Bologna i corsi con lo sbarramento erano 61 nel 2013 e quest’anno ad aprile al
test per Medicina si sono presentati in 2.835 per 440 posti. L'Anvur, il
guardiano della valutazione, segnala che nei corsi ad accesso programmato, come
Medicina, ci sono tassi bassi di abbandono, un’elevata quota di laureati
regolari e un minor numero di iscritti fuori corso (http://tinyurl.com/lk49c3l ).
I test per l’accesso ai corsi e in particolare per
l’accesso a Medicina e chirurgia sono entrati quest’anno nell’occhio del
ciclone per l’effetto combinato di errori del MIUR e di ricorsi vinti dagli
studenti davanti alla giustizia amministrativa.
Da parte del MIUR si è incappati nel (o non si è stati
capaci d’impedire il) venir meno di uno dei principi cardini del test,
l'anonimato: la modulistica stampata dal MIUR era facilmente decrittabile, con
la possibilità di accoppiare il nome del ricorrente al codice personale della
prova. In particolare il codice numerico aveva una prima parte uguale per tutti
gli studenti della medesima aula e le ultime tre cifre, facilmente
memorizzabili, individuavano il posto ed erano quindi abbinabili alla persona.
È stato lo stesso MIUR a rendersi conto nei giorni precedenti il test del
potenziale pasticcio e ha provato con telefonate a suggerire delle soluzioni
agli atenei, come far imbustare separatamente il modulo con il nome e il
codice. Ma le buste utilizzate dalle università, reperite all'ultimo momento
utile, non garantivano la riservatezza perché erano leggibili in trasparenza.
Una volta recuperati i moduli della persona da aiutare, era facilissimo
correggere a penna le domande sbagliate perché la possibilità di ripensare le
risposte date era esplicitamente prevista.
I Tar da parte loro hanno disposto in via cautelativa
il diritto dei ricorrenti, come «risarcimento in forma specifica», a iscriversi
anche se sono stati bocciati ai test e persino se non hanno risposto neppure a
una domanda. In tal modo la lista dei 10.551 vincitori ufficiali del test per
Medicina si è gonfiata di almeno 2.500 soggetti e altri 300 studenti potranno
iscriversi ai corsi di Medicina a Palermo perché così hanno deciso i giudici
del Consiglio di giustizia amministrativa. Ma il Tar del Lazio il 10 ottobre ha
riconosciuto anche ad altri 2.500 ricorrenti il diritto all’iscrizione ai corsi
di Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Architettura, numero che si somma alle
precedenti 2.500 immatricolazioni obbligatorie, sentenziate a luglio e a
settembre dopo il maxi ricorso presentato dall’Unione degli universitari (http://tinyurl.com/lxe3x6e ).
Oltre al “numero chiuso” l’Italia ha così inventato il
“soprannumero”. Dunque gli studenti che hanno ottenuto un buon risultato al
test, senza risultare tra i vincitori, si vedono scavalcare per un’ordinanza
del Tar da chi ha fatto ricorso e magari non ha neppure ottenuto i 20 punti
della sufficienza. Infine anche il Consiglio di Stato si è pronunciato sul
ricorso di due studenti con una sentenza che recita: «A causa delle illustrate
inadempienze riscontrate nell'attività dell'amministrazione - violazione
dell'anonimato - le parti sono state illegittimamente private della possibilità
di iscriversi alla facoltà cui aspiravano, subendo di conseguenza i relativi
danni, anche in termini economici» (http://tinyurl.com/mk7x2w7
).
Rimane la mesta constatazione che lo Stato non ha
saputo né garantire la regolarità del concorso né ha preso provvedimenti idonei
a rimediare in extremis alla situazione anomala. Non si può, infatti, giudicare
un vero rimedio la circolare del MIUR del 23 settembre che ha disposto che i
vincitori dei ricorsi al Tar del Lazio per l'ammissione in sovrannumero ai
corsi di Medicina (sono 2.500) dovranno essere assegnati all'università in cui
"risulta minimo lo scarto tra il punteggio del primo in graduatoria e il
punteggio ottenuto dal ricorrente". Ovvero, tenendo conto delle sedi
richieste dal candidato (escluso al test e riammesso da un Tar), la nuova
matricola andrà là dove si avvicina di più ai voti dei migliori. Ma una nuova
circolare del MIUR del 6 ottobre ha sbloccato il blocco delle iscrizioni
laddove le ordinanze del Tar sono chiare ed esplicitano la sede cui fa
riferimento il ricorso (caso di Bari). Se, invece, nei provvedimenti giudiziari
non si fa espressa menzione della sede, bisognerà rispettare l'indicazione
ministeriale precedente, cioè i ricorrenti dovranno iscriversi altrove rispetto
alla sede scelta per il test e la destinazione sarà indicata dallo stesso
ministero, attraverso una procedura telematica allestita sul sito del Cineca.
In definitiva, la prospettiva è di avere quest'anno
studenti iscritti a Medicina appartenenti a quattro categorie (http://tinyurl.com/n5qphxa ): la prima è
quella dei bravi che hanno superato brillantemente il test; la seconda è quella
di chi ha superato il test grazie all'aiuto di qualcuno che ha utilizzato i
buchi nella garanzia di anonimato; la terza categoria è di chi si è iscritto
grazie al ricorso al Tar in soprannumero ma aveva comunque raggiunto l'idoneità
minima al test; la quarta infine è di chi è stato bocciato al test e magari ha
ottenuto un punteggio negativo ma si è dimostrato tempestivo nel fare ricorso
assicurandosi, senza alcun merito, l'ambitissimo diritto a intraprendere la
carriera di studente in Medicina.
Per superare l'attuale test di Medicina, che ha
mostrato dei limiti e ha sollevato contenziosi giudiziari, il ministro
Giannini, nella campagna elettorale per le Europee, ha cercato di attenuare lo
scontento dei candidati e delle loro famiglie, promettendo di abolire i test di
accesso e prospettando un'altra soluzione, simile al modello francese (http://tinyurl.com/qjr7lsq ). Nonostante
le perplessità sollevate dagli ambienti accademici, ha consegnato alla
Conferenza dei Rettori un documento che prevede un anno comune per tutte le
matricole, una valutazione divisa in due semestri e alla fine della stagione
una selezione dura per passare al secondo anno. Al ministro ha fatto eco un
gruppo di deputati che in una nota (http://tinyurl.com/k42oq86
) hanno affermato che “I test di accesso sono diventati un mero simulacro, non
premiano il merito e sono un’ingiusta forma di sbarramento sociale". Dalla
parte opposta dello schieramento politico un senatore ha sostenuto i diritti
dei vincitori dei ricorsi ai Tar di essere comunque immatricolati nella propria
sede. Evidentemente anche in Parlamento la demagogia, che ha come strumento il
populismo, riemerge quando non si conoscono per incultura o si vogliono
ignorare i problemi dell’università senza tener conto delle opinioni dei
competenti e in particolare delle basi storiche non solo italiane dei test per
gli accessi. Ma sull’ipotesi del superamento dei test d’accesso si leggono
anche opinioni più meditate e realistiche come quella di A. Figà Talamanca (http://tinyurl.com/lt94mcp ) che riporto
quasi integralmente: “Se il primo anno di Medicina sarà aperto a tutti quelli
che hanno conseguito un diploma di maturità … (possiamo ipotizzare che anche
coloro che avevano preferito non affrontare i test si iscrivano a Medicina) gli
immatricolati per il 2015 dovrebbero essere tra i settantamila e i centomila …
Si dovrebbe modificare l'ordinamento didattico di Medicina in modo da rendere
il primo anno compatibile con il proseguimento degli studi in altre discipline,
con convalida, almeno parziale, degli esami sostenuti. Bisognerà anche vincere
le resistenze dei docenti di altre ex-facoltà per indurli ad accogliere, senza
troppi ‘debiti’, gli studenti che hanno compiuto il primo anno a Medicina. Alla
fine, la soluzione giusta dovrebbe essere quella di riservare il primo anno di
Medicina alle materie scientifiche di base (matematica, fisica, chimica,
biologia), che dovrebbero essere impartite dai rispettivi dipartimenti a tutti
gli studenti il cui curriculum le richieda, indipendentemente dal corso di
laurea di iscrizione. Stiamo parlando però di cambiamenti che incontrerebbero
molte resistenze e necessitano comunque tempi lunghi. L'apparato ministeriale,
l'agenzia per la valutazione, e, specialmente, il mondo accademico non sembrano
pronti ad affrontare problemi di questo tipo e di questa portata, meno che mai
in così poco tempo”.
L’accesso agli studi di
Medicina in alcuni Paesi europei
In Francia per diventare un docteur en médecine
(medico specialista) gli studi, che comprendono anche l'equivalente della
specializzazione italiana, durano tra i 9 e gli 11 anni. L’iscrizione a un
corso di laurea richiede il conseguimento del baccalauréat, il diploma
attribuito agli studenti a 18 anni, al termine degli studi superiori.
L’iscrizione va effettuata a marzo, qualche mese prima del conseguimento del
diploma. La differenza fondamentale rispetto al meccanismo italiano è che non
esiste uno sbarramento per l’accesso al primo anno; inoltre i primi due
semestri di studi non sono riservati ai soli aspiranti medici, ma sono validi
per altri tre indirizzi: odontoiatria, farmacia e ostetricia. Dunque
l’iscrizione è libera, e gli studenti iniziano il corso comune alle quattro
discipline, ma la selezione arriva comunque molto presto. Già al primo anno,
gli iscritti sono chiamati a una prova che si articola in due momenti al
termine dei due semestri (in dicembre-gennaio e in maggio). Altra differenza
capitale con l’Italia: l’esame non riguarda una pluralità di materie non tutte
direttamente collegate agli studi, ma tocca esclusivamente le discipline
studiate nel corso dell’anno. Qualora, al termine del primo anno, lo studente
non passi gli esami, ha la possibilità di ripetere l’annualità, ma una volta
sola; in caso di insuccesso, può cambiare indirizzo di studi all’interno delle
professioni sanitarie. Superato lo sbarramento, lo studente prosegue negli
studi medici (http://tinyurl.com/np545r9
). Il sistema francese è un sistema che spegne le proteste per l'iniquità
percepita della selezione al primo anno, ma che sposta a un anno dopo una
selezione ben più dura.
Nel Regno Unito sono simili a quelle statunitensi le
strategie adottate: le scuole mediche fissano annualmente i propri criteri di
selezione, frutto della combinazione di requisiti scolastici pregressi, di
conoscenze scientifiche di base e di qualità personali (ad esempio lettere di
presentazione, interviste, etc.). In generale, i candidati in possesso di un
diploma di scuola secondaria superiore Gcse (General Certificate of Secondary
Education) possono inoltrare la domanda di ammissione a 4 Scuole mediche di
loro scelta attraverso l'Ucas (Universities and Colleges Admission Service).
Saranno poi sottoposti a specifici test (http://tinyurl.com/n24bjdz
): Clinical Aptitude Test (Ukcat); Biomedical Admission Test (Bmat); Graduate
Medical School Admission Test (Gamsat). Solo i candidati che avranno superato il
test previsto saranno convocati alla prova finale (l'interview), condotta da
una commissione esaminatrice specializzata per accertare, oltre al possesso
delle conoscenze teoriche (soprattutto chimica, fisica, biologia), eventuali
esperienze professionali o di volontariato pregresse, la capacità di lavorare
in gruppo e le motivazioni personali, che indirizzano i candidati alla
professione medica.
In Germania è molto articolata per tipologia di
ammissibili agli studi medici la strategia adottata, che è gestita da un
organismo federale, l'Ufficio centrale per l'attribuzione dei posti nell'ambito
dell'insegnamento superiore (Zentralstelle für die Vergabe von Studienplätzen -
ZVS). Possono candidarsi i possessori dell'Abitur (Zeugnis der allgemeinen
Hochschulreife), ma quote di posti sono riservate per il 2% agli studenti
diversamente abili o con difficoltà socio-economiche (Heirtefeille), per il 20%
ai Talented 20, che al diploma conclusivo degli studi secondari hanno riportato
la media più alta della loro classe e per il 20% agli idonei degli anni
precedenti in lista d'attesa da più tempo. Dopo l'abolizione del 1997, e stato
reintrodotto il test Essai für Medizinische Studiengeinge, non obbligatorio, ma
utile per migliorare il punteggio complessivo e la possibilità di essere
positivamente selezionati nel corso dell'intervista conclusiva.
Modalità diverse per etnia riguardano invece la
Svizzera dove la componente di lingua tedesca prevede - sul modello tedesco -
il superamento di un test attitudinale. Per la parte di lingua francese e in
Belgio l'accesso avviene senza particolari restrizioni, ma la selezione -
analogamente al modello francese - è rinviata all'anno successivo e si basa sui
risultati conseguiti nel primo anno di studi (http://tinyurl.com/n24bjdz).
In Spagna l'accesso a tutte le Facoltà universitarie è
subordinato alla votazione riportata nel diploma di Bachiller e, per chi ha più
di 25 anni - sulla base del Real Decreto 1892/2008 entrato in vigore dall'a.a.
2009/10 - al superamento di uno specifico esame denominato PAU (Prueba de
Acceso a la Universidad) presso i singoli Atenei, destinato a valutare la
maturità degli allievi, nonché le conoscenze e le competenze acquisite durante
gli studi secondari. Il PAU è articolato in due fasi: una fase generale obbligatoria,
che pone l'accento su quattro materie di base, e una specifica volontaria che
può migliorare la votazione finale per l'ammissione universitaria (http://tinyurl.com/n24bjdz ).
L’opposizione alla proposta
del “sistema francese” per l’accesso ai corsi di Medicina e chirurgia
La proposta del ministro Giannini di abolire per
Medicina il test d’accesso ha sollevato molte perplessità e anche nette
opposizioni in un’estesa platea non solo di accademici, rettori e presidi
compresi, ma anche di ministri (ex o in carica) e di commentatori di cose
universitarie sulla stampa e in rete. A favore solo le associazioni
studentesche, ma non tutte, e alcuni parlamentari di destra e di sinistra
nell’assordante silenzio di quasi tutti gli altri loro colleghi.
“Il modello francese così com’è non è applicabile, non
ci sono risorse e strutture”, ha detto al Corriere dell’Università Maria Chiara
Carrozza, ex ministro dell’istruzione, e ha aggiunto: ”Allo stato attuale non è
applicabile, non ci sono le risorse e le strutture per affrontare un’immissione
incontrollata di studenti al primo anno. Non dico che sia di principio
infattibile, ma bisogna essere realisti e non demagogici”. Anche il ministro
della Salute Beatrice Lorenzin ha espresso a controcampus.it il suo dissenso:
“No, non sono favorevole all’abolizione dei test di accesso all’università” sia
per le ovvie difficoltà organizzative e logistiche cui dovrebbero rispondere le
università a fronte del prevedibile boom della popolazione studentesca
(70-80mila unità secondo il ministro) sia per lo spettro di una possibile
emorragia di camici bianchi, che finirebbero quasi tout court dalla laurea alla
strada: aprire le porte della professione medica a una platea più ampia rischierebbe
di congestionare un mercato dove, tuttavia, c’è sempre stata piena occupazione.
Secondo il segretario della Conferenza dei corsi di laurea e delle professioni
sanitarie, le proiezioni sul numero dei futuri laureati fanno già emergere un
progressivo esubero degli stessi, con un valore complessivo di circa 9.000 in
più dal 2014 al 2020.
Fra le opinioni raccolte da Universitas fra i rettori,
particolarmente indicativa quella del nuovo rettore della Sapienza, Eugenio
Gaudio: “Il problema, a mio avviso, si deve risolvere con un sistema di
selezione a tre gambe: la valutazione del percorso scolastico precedente, la
verifica delle attitudini mediante test psicoattitudinale, il normale concorso
a test a scelta multipla. Il fatto di aver posto il numero programmato ha
consentito di migliorare le performance dell’università italiana, almeno nel
settore medico: il 90% degli studenti si laurea, il 60% si laurea in corso; le
facoltà di Medicina italiane sono tra le migliori in ambito europeo; chi si
laurea trova lavoro. Negli anni 70-80 si è formata una pletora medica, che non
ha frequentato né lezioni né corsie, e non è stato un bene: e questo lo dico
soprattutto da potenziale paziente”. A La Repubblica Eugenio Gaudio ha fornito
un esempio: “Alla Sapienza di Roma sono 6 le aule grandi di Medicina, e 36 più
piccole. I docenti? 72. Considerando il rapporto tra i posti a disposizione e
le aspiranti matricole, il passaggio al sistema d’oltralpe richiederebbe 36
aule grandi, 216 piccole e 432 professori”. Carmine Di Ilio, rettore
dell’Università di Chieti-Pescara: “Il sistema vigente può essere migliorato
selezionando con maggiore cura le domande. Comunque l’utilizzo di un test a
scelta multipla sulle medesime tematiche correntemente utilizzate, a mio avviso
garantisce un’adeguata trasparenza e pone gli studenti nelle medesime
condizioni iniziali”. “Che il sistema dei quiz vada migliorato lo pensiamo un
po’ tutti - dice Cristina Messa, rettrice della Bicocca -. Ma la soluzione non
è eliminarli. Semmai bisognerebbe puntare molto di più sull’elemento
attitudinale, che è fondamentale nella nostra professione”. Dello stesso parere
è Roberto Lagalla, rettore dell’Università di Palermo e vice presidente della
Conferenza dei rettori con delega alla Medicina: “La selezione preliminare
tramite i test va mantenuta. Il punto è che i test dovrebbero essere molto più
coerenti con i saperi liceali”, e aggiunge che il sistema dei test, per quanto
imperfetto, dà maggiori garanzie di obiettività di un esame orale che è molto
più esposto a favoritismi e raccomandazioni. “Le mie riserve principali
rispetto al modello francese sono due – ha sostenuto il rettore dell’università
di Padova Giuseppe Zaccaria -. Per quanto riguarda l’ipotesi di un tronco
comune alle diverse lauree mediche, io non sono per niente convinto che la
fisica che serve ai medici sia la stessa che serve agli infermieri. Quanto poi
al sistema di selezione dei ragazzi, temo che affidarsi a degli esami
universitari anziché a dei test “ciechi” esponga i docenti a una serie di pressioni
indebite”. Gli esami orali si trasformerebbero inevitabilmente in un
mercanteggiamento per mandare avanti questo o quel ragazzo, indipendentemente
dalle sue qualità. Tra le altre personalità di spicco della Medicina di cui Universitas
ha sentito l’opinione, Luigi Califano, presidente della Scuola di Medicina e
Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II: “Consentire l’iscrizione al
primo anno a tutti gli studenti che ne facessero richiesta, creerebbe
problematiche insormontabili legate sia alla logistica (carenza di spazi
adeguati) sia alla didattica (carenza di personale docente). Le valutazioni
alla fine del primo e del secondo semestre del primo anno dovrebbero poi essere
assolutamente imparziali, cosa che non sempre avviene nel nostro Paese. Credo
quindi che il sistema attuale, pur perfettibile in alcuni aspetti (tipologia
dei quesiti, un maggiore e più efficace sistema di controllo), sia l’unico
attuabile al momento”. Andrea Lenzi, presidente del Consiglio Universitario
Nazionale (Cun) e della Conferenza permanente dei presidenti di corso di laurea
magistrale in Medicina e Chirurgia: “Gli anni recenti di prove di ammissione
hanno mostrato che vi erano evidenti differenze nei punteggi di accesso delle
diverse sedi e questo aveva provocato un malumore diffuso. L’introduzione di
una graduatoria nazionale consente di eliminare tali differenze. È necessario
peraltro che siano approvate norme di sostenibilità economica per consentire
alle famiglie le spese legate alla mobilità degli studenti, possibilità
altrimenti riservata a studenti delle classi sociali più abbienti, in
conseguenza alla scarsità di fondi e strutture riservate al cosiddetto diritto
allo studio”.
In un articolo su lavoce.info (http://tinyurl.com/nn7lmj7 ) si sostiene
che la proposta governativa presenta numerosi difetti che superano quelli della
procedura attuale di ammissione, peraltro recentemente migliorata in modo
significativo con la predisposizione di un’unica classifica nazionale dei risultati,
che evita le iniquità e le inefficienze delle precedenti classifiche per
ateneo. Tra i difetti della proposta si segnala in particolare: (1) I corsi del
primo anno di medicina saranno invasi da un numero enorme di studenti, tale da
rendere difficoltosa l’attività didattica tradizionale, anche solo per un
problema di spazi, e tale da richiedere necessariamente tecnologie di
e-learning, tutte da disegnare con costi considerevoli. (2) Il libero accesso
al primo anno di Medicina provocherà un immediato calo di iscrizioni ai corsi
di laurea affini. (3) La diminuzione della qualità media degli studenti
iscritti a Medicina al primo anno e la congestione degli spazi educativi
danneggerà gli studenti bravi e in grado di continuare, per i quali il primo
anno universitario si ridurrà a essere solo un lungo e costoso modo per
segnalare la loro qualità con benefici minimi in termini di capitale umano. (4)
Anche la qualità media dei docenti del primo anno, che dovranno necessariamente
aumentare, potrebbe diminuire peggiorando le conseguenze negative di cui ai
punti precedenti. (5) Sarebbe comunque necessario, alla fine del primo anno, un
test standardizzato nazionale che soffrirebbe sostanzialmente degli stessi
problemi di quello attuale, senza particolari benefici; il primo anno di studi
in medicina diventerebbe a tutti gli effetti un inutile sesto anno di liceo con
scarsi vantaggi.
Coloro che già frequentano una scuola di
specializzazione medica hanno deciso di aderire alla petizione promossa
dall’on. Filippo Crimi contro il progetto del ministro Giannini di procedere
all’abolizione del test per l’accesso a Medicina (http://tinyurl.com/ohrpgqj ). Rendendo
noto il proprio sostegno all’iniziativa del deputato della maggioranza,
Federspecializzandi sottolinea alcuni aspetti critici del modello francese. In
primis, il fatto che il percorso formativo del primo anno di studi differisce
notevolmente fra le diverse sedi del corso di laurea in Medicina e che “il
superamento degli esami di profitto sia spesso affidato a valutazioni orali e
quindi del tutto discrezionali da parte dei docenti”. Ciò, secondo gli allievi
delle scuole di specializzazione, violerebbe il “principio della trasparenza e
dell’oggettività della valutazione“, falsando gli esiti della selezione. Un
altro dei motivi per i quali Federspecializzandi è contraria all’abolizione del
test di Medicina è che “l’eventuale riforma dell’accesso a Medicina nella
direzione del modello francese, richiederebbe da parte del MIUR un forte
investimento in termini di rinnovamento e ampliamento delle strutture che
ospitano la formazione”. Perché, secondo gli specializzandi – e anche i rettori
– così come sono, esse non ce la farebbero a sostenere l’impennata del numero
delle matricole.
La Conferenza Permanente delle Facoltà e Scuole di
Medicina e Chirurgia, l’8 maggio ha approvato all’unanimità e inviato al
Ministro Giannini una mozione sull’accesso ai corsi di Laurea di Medicina e
Chirurgia per l’anno accademico 2015-2016, dove si sottolinea la necessità
irrinunciabile del numero programmato e l'efficacia ed efficienza dell'attuale
metodo selettivo; nell'ipotesi di una revisione, i firmatari affermano
l'importanza dell’orientamento nella scuola secondaria, della valutazione del
percorso scolastico e la necessità di una prova di valutazione specifica per
Medicina, con domande a risposta multipla come quella attualmente in vigore.
A proposito del «sistema francese» proposto dal
ministro Giannini, e in fase di elaborazione al MIUR, sarebbe facile ironizzare
su questa improvvida moda esterofila, come si è visto di così scarsa
popolarità. Se non fosse invece il caso di rimeditare la proposta in base a una
notizia seria: in Francia proprio Geneviève Fioraso (secrétaire d'Etat à
l'Enseignement supérieur) e la CPU (Conférence des présidents d'université) non
ne vogliono più sapere, dopo anni di applicazione, del loro sistema (sélection
des étudiants entre la première et la deuxième année de master, M1 et M2) ora
elevato a modello per l’Italia (http://tinyurl.com/ml97anu
). Il presidente della CPU Jean-Loup Salzmann ha qualificato la situazione
attuale «stupide», mentre il tribunale amministrativo di Bordeaux ha stimato
che la selezione degli studenti fra il primo e il secondo anno di corso (entre
M1 et M2) è illegale. Il segretario di Stato all’istruzione superiore Fioraso
ha messo sul tavolo la questione di anticipare di nuovo la selezione
all’ingresso nel primo anno, anche sulla base di prerequisiti, e ha dichiarato
a ‘Les Echos’ che, affrontando l’argomento degli accessi, vuole “sicuramente
non lasciare più la selezione tra il primo e il secondo anno di corso”. Anche
la Fage, un’organizzazione studentesca francese, sostiene un sistema di accesso
post-bac da denominare Admission post-licence (dopo la secondaria superiore):
tutti gli studenti dovrebbero presentare cinque domande d’immatricolazione e ne
sarebbe accolta una in funzione del loro dossier. Il presidente della Fage
Julien Blanchet: «Avoir une sélection entre M1 et M2 est ridicule». Si può
aggiungere che la proposta di adottarla da noi lascia perplessi anche sulla
correttezza della selezione se fatta con esami individuali in ambienti
accademici non impermeabili a nepotismi e favoritismi.
Validità dei test e
proposte alternative al sistema attuale di selezione per l’accesso a studi
medici
Per l’accesso a Medicina nei Paesi anglosassoni (Nord
America, Australia e Regno Unito) si utilizzano anche interviste e test
psicometrici e si stanno diffondendo i centri di selezione, organismi
accreditati in cui i candidati sono valutati da professionisti. Da revisioni
sistematiche della letteratura emerge comunque che il risultato dei test sulle
conoscenze ha un valore predittivo di oltre il 65%. La teoria dei test
considera vari tipi di validità (http://tinyurl.com/o8j37tx
), ma quelli più rilevanti in questo contesto sono essenzialmente due: la
validità di costrutto (il test misura effettivamente le variabili che intende misurare?)
e la validità predittiva (il test seleziona persone che hanno poi una carriera
studentesca e professionale soddisfacente?). Il test misura capacità logiche e
mnemoniche nell'assunto che le capacità richieste per ottenere un buon
punteggio siano le stesse necessarie per usufruire con profitto del corso di
studi: può sprecare un quarto della scala di valutazione con domande astruse,
ma se fa buon uso dei tre quarti rimanenti può ancora essere valido. Se il suo
fine è selezionare studenti che abbiano la massima probabilità di completare
con successo il corso di studi e di diventare validi professionisti,
minimizzando gli abbandoni, la sua validità predittiva e di costrutto sono
misurabili. Uno studio è stato effettuato per i test di ammissione delle Facoltà
di Ingegneria che aderiscono al Cisia (Consorzio Interuniversitario Sistemi
Integrati per l'Accesso) e i dati raccolti (per il Politecnico di Torino) hanno
mostrato una “significativa correlazione tra punteggio del test di ammissione e
risultati nella carriera studentesca: punteggi alti al test correlano con voti
alti agli esami, laurea nei tempi previsti, basso rischio di abbandono”. E'
importante notare che il test di ammissione di Ingegneria presenta lo stesso
difetto già considerato per quello di Medicina, cioè la cattiva distribuzione
dei punteggi, con la parte alta della scala di valutazione sostanzialmente
spopolata; inoltre il punteggio del test di ammissione ha una correlazione
molto debole con il voto di maturità. Uno studio analogo è in corso per i Corsi
di Laurea in Medicina e Chirurgia. Giova anche ricordare che a Medicina “il
tasso di abbandono precedente all'adozione del numero chiuso era di circa il
70% mentre quello attuale è inferiore al 30%. Sembra pertanto che i test di
ammissione, sebbene alquanto inadeguati, abbiano ciononostante una buona
validità predittiva e di costrutto”, ed è sicuramente giustificato sia cercare
di migliorarli che monitorare costantemente la correlazione tra il punteggio in
ingresso e la carriera universitaria fino alla laurea.
Una proposta, recentemente avanzata sul sito
lavoce.info (http://tinyurl.com/nn7lmj7
), è di modificare l'esame di maturità, introducendo moduli standardizzati per
scegliere - secondo una graduatoria di merito redatta con criteri omogenei -
gli studenti che proseguono nei corsi di laurea a numero chiuso, sistema, ad
esempio, adottato fino a quest'anno in Spagna. Ogni ateneo (non solo per gli
studi medici, ma anche per quelli in altre aree) stabilirebbe l’elenco di
materie nelle quali uno studente dovrebbe sostenere l’esame e il punteggio
minimo richiesto, materia per materia. Ad esempio la facoltà di medicina H
potrebbe richiedere: italiano, inglese, con punteggi superiori all’80 e
matematica, biologia, chimica e fisica con punteggi superiori al 90.
La scuola superiore, esordiscono gli autori della
proposta, offre cinque anni di informazioni analoghe a quelle che sarebbero
raccolte nel primo anno di studi con accesso libero ai corsi di Medicina previsto
dalla proposta governativa. Meglio ancora sarebbe se nei cinque anni i nostri
studenti potessero costruire gradualmente, á la carte, itinerari formativi
diversificati a seconda delle loro doti e delle prospettive lavorative cui
aspirano, tra i quali, in particolare, itinerari miranti a studi medici. Il
vantaggio derivante dall’associare la procedura di ammissione alla performance
scolastica (e non a quella del primo anno di università come nella proposta
governativa) sarebbe la possibilità di intercettare studenti capaci e
meritevoli che, per vincoli di bilancio familiari o altre ragioni
socio-culturali, non continuerebbero gli studi oltre il liceo.
L'opzione alternativa, più realistica, è mantenere
l'attuale schema della graduatoria nazionale, che nel complesso ha dato buona
prova di sé, migliorando sensibilmente qualità e adeguatezza dei test. Se si
aprono alle critiche degli esperti, l'attendibilità dei test può crescere nel
tempo, rendendoli uno strumento affidabile e con garanzie di equità superiori a
quella di altre soluzioni.
(Fonte: P. S. Marcato, Informazioni universitarie 15-09-14)
HIGHLY CITED RESEARCHERS (HCR), LISTA 2018 DI CLARIVATE ANALYTICS
La super lista dei ricercatori
più citati al mondo, guardando all’autorevolezza e all’affidabilità, l’ha
rilasciata, per il quinto anno consecutivo, la compagnia Clarivate Analytics.
La lista dell’Highly Cited Researchers (HCR) comprende in tutto 6078
ricercatori e tra questi 98 sono italiani. L’edizione 2018 dello studio fa
emergere alcuni dati interessanti: circa 4000 ricercatori altamente citati sono
stati nominati in 21 settori delle scienze e delle scienze sociali. E poi, gli
Stati Uniti ospitano il maggior numero di HCR, con 2.639 autori. Il Regno Unito
da parte sua ne ha 546. Intanto la Cina sta guadagnando rapidamente terreno:
adesso ha 482 ricercatori super citati, supera la Germania (356) e si piazza al
terzo posto. Quarta la sorprendente Australia, che si vede riconosciuti 245
studiosi ad alta influenza. In questa edizione c’è una novità: sono stati
identificati circa 2.000 ulteriori ricercatori ad alto impatto in diversi campi
delle scienze. I ricercatori selezionati in questa categoria trasversale sono in
Svezia (53%), Austria (53%), Singapore (47%), Danimarca (47%), Cina (43%) e
Corea del Sud (42%). (Fonte: R.it Scienze 27-11-18)
NUOVO PROGRAMMA HORIZON EUROPE
Il nono programma quadro per
la ricerca e l’innovazione, battezzato “Orizzonte Europa” (Horizon Europe)
succederà all’attuale “Horizon 2020” (Horizon 2020). La struttura del nuovo
programma Horizon Europe sembra sostanzialmente uguale al precedente, ma se la
forma cambia poco, la sostanza invece muta profondamente. In questo senso il
nuovo disegno sembra modificare non poco l’obiettivo finale del programma,
trasformando sempre di più la sua idea originaria di finanziatore della
migliore “ricerca europea” a vantaggio di un miglioramento della competitività
industriale e di un maggiore coinvolgimento dei cittadini.
A partire da gennaio 2021, saranno
disponibili circa 100 miliardi di euro di finanziamenti per un periodo di 7
anni (2021-2027), oltre agli investimenti nazionali pubblici e privati che
questa somma attirerà, che serviranno, nelle intenzioni della Commissione: a
finanziare la ricerca e l’innovazione innovativa, a creare fino a 320mila nuovi
posti di lavoro altamente qualificati entro il 2040, a rafforzare i legami tra
gli Stati membri e tra questi e i Paesi terzi, a fornire dati scientifici ad
altri settori politici e programmi europei.
I ricercatori e gli innovatori
potranno realizzare le migliori idee grazie all’intervento dell’ERC (European
Research Council), potranno creare i mercati del futuro grazie alla geniale
intuizione del nuovo EIC (European Innovation Council), l’organismo che punterà
alla promozione di innovazioni pioneristiche in vari settori. La ricerca
innovativa, infatti, affronterà problemi che plasmano la nostra vita
quotidiana, dal cibo che mangiamo, alle cure sanitarie, all’aria che
respiriamo, al modo in cui ci muoviamo, alla sicurezza che chiediamo. (Fonte:
G. Ruggiero, agendadigitale.eu 01-12-18)
CLASSIFICAZIONI
DEGLI ATENEI
RUR World University Rankings
RUR World University Rankings,
agenzia specializzata, dal 2010 valuta in collaborazione con Clarivate Analytics
le performance dei maggiori istituti di alta formazione del mondo. Nel 2018
sono state valutate le performance di 761 istituzioni tramite 20 indicatori
raggruppati in 4 aree chiave dell’attività universitaria: Teaching, Research,
International Diversity, Financial Sustainability. Inoltre RUR Subject Rankings
valuta gli atenei relativamente a 6 aree: Humanities, Life Sciences, Medical
Sciences, Natural Sciences, Technical Sciences, Social Sciences.
Inspiegabilmente nella classifica (Vedi sotto) non figura l’università di
Bologna. (Fonte: D. D’Amelio, Il Piccolo 18-11-18)
RUR World
University Rankings (le prime 10)
1 Harvard University
2 University of Chicago
3 California Institute of Technology (Caltech)
4 Imperial College London
5 Stanford University USA
6 Massachusetts Institute of Technology (MIT)
7 Columbia University USA
8 Northwestern University USA
9 Princeton University USA
10 University of Cambridge UK
RUR World
University Rankings (Università italiane in classifica)
21 Scuola Normale Superiore di Pisa
207 University of Milan
280 University of Trieste
321 Sapienza University of Rome
349 University of Padua
355 University of Pavia
376 University of Trento
380 University of Pisa
389 University of Genoa
409 University of Ferrara
412 University of Florence
416 Polytechnic University of Milan
452 University of Turin
479 Polytechnic University of Turin
487 University of Bari
509 University of Brescia
528 University of Modena and Reggio Emilia
544 University of Palermo
545 Universita Cattolica del Sacro Cuore
547 University of Salento
576 University of Rome III
578 Ca` Foscari University of Venice
RUR Reputation
Rankings (Università italiane)
101 Sapienza University of Rome
Teaching Ranking
6 Scuola Normale Superiore di Pisa
Research Ranking
42 Scuola Normale Superiore di Pisa
International Diversity
Ranking
252 Polytechnic University of Milan
Financial Sustainability
Ranking
142 Scuola Normale Superiore di Pisa
RUR Subject
Rankings (Università italiane)
Life Sciences
85 Sapienza University of Rome
99 University of Trieste
Medical Science
99 University of Milan
194 University of Trieste
Natural Sciences
21 Scuola Normale Superiore di Pisa
Technical Sciences
114 University of Trento
Academic Ranking
59 Scuola Normale Superiore di Pisa
I MIGLIORI ATENEI PER CAPACITÀ DI FAR TROVARE LAVORO AGLI STUDENTI
La nuova classifica dei 150
migliori atenei al mondo per la capacità di far trovare lavoro agli studenti,
si è basata sull'opinione di 7mila
datori di lavoro di 22 Paesi. La novità è che si sta aprendo una crepa
importante nel predominio un tempo inattaccabile nel mondo accademico: quello
cioè delle università americane e inglesi che dal 2011 hanno perso posizioni e
presenze nelle classifiche. Avanzano invece gli atenei tedeschi che raddoppiano
la loro presenza, seguiti da quelli cinesi. Ma chi domina questa speciale
classifica appena pubblicata dal Times Higher Education? Nei primissimi posti
poche sorprese con 4 piazzamenti americani e uno inglese: dopo Harvard, segue
il California Institute of Technology, il Mit di Boston, e l'inglese Cambridge,
seguita da Stanford. Al sesto posto (dall'ottavo del 2017) ecco la prima
sorpresa con l'università tecnica di Monaco. Completa la top ten Princeton
(Usa), Yale (Usa) e due atenei orientali: Tokyo (Giappone) e Singapore. Fuori
dalla top ten la prestigiosa e storica Oxford seguita dall'Eth di Zurigo. Molto
più lontane le due università italiane: la Bocconi di Milano al 66esimo posto e
il Politecnico di Milano al 104esimo posto. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore
16-11-18)
CULTURA
DEL DIGITALE E DELL’INNOVAZIONE
LE NUOVE TECNOLOGIE AL SERVIZIO DELLE CURE PRIMARIE
La tecnologia servirà a
rilanciare (anche) l’assistenza sanitaria di base, in crisi un po’ ovunque?
Ne sono convinti i 194 Paesi
membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che nell’ottobre scorso
hanno sottoscritto all’unanimità la Dichiarazione di Astana (Kazakistan).
«Attraverso il digitale e
altre tecnologie, consentiremo a individui e comunità di identificare i loro
bisogni di salute, partecipare alla pianificazione e alla fornitura di servizi
e svolgere un ruolo attivo nel mantenere la propria salute e il proprio
benessere» recita, tra l’altro, l’impegno assunto dai firmatari. Dopo la
Dichiarazione di Alma-Ata del 1978, che per 40 anni è stata la base di una
politica globale per le cure primarie, la Conferenza mondiale dell’Oms ha
dunque ribadito il ruolo fondamentale di quest’area dell’assistenza, ma ha
anche riconosciuto nella tecnologia uno dei pilastri del suo rilancio, assieme
alle maggiori risorse economiche e al personale in più da dedicare. In linea di
principio, il ragionamento non fa una piega. Ma nella categoria esiste una
preoccupazione di fondo: «La percezione è che i processi di digitalizzazione siano
presentati come la panacea per risolvere i problemi della sanità e
dell’assistenza, mettendo da parte tutte le questioni che riguardano l’essenza
del processo di cura, che è appunto la relazione medico-paziente» sottolinea
Nicola Calabrese, presidente di Netmedica Italia, la società della Fimmg che si
occupa di servizi di sanità digitale per i suoi iscritti. I nostri medici di
famiglia incassano un dato rassicurante: la maggior parte degli italiani - intervistati
in una ricerca condotta da Eumetra per BNP Paribas Cardif - conosce
l’Intelligenza artificiale, ma l’84% non rinuncerebbe mai al rapporto umano con
un dottore. (Fonte: R. Corcella, CorSera 25-11-18)
DIFFUSIONE DELLA CULTURA
DELL’INNOVAZIONE. COMPETENCE CENTER (CC).
DIGITAL INNOVATION HUB (DIH). CLUSTER
La diffusione della cultura
dell’innovazione lungo l’intero ciclo formativo, dalla scuola all’università è
necessaria all’economia e può stimolare l’occupazione giovanile.
L’istituzione dei Competence center (CC) risponde alla
filosofia di dotare la nazione di una rete di formazione alle competenze in
grado di coprire tutte le tecnologie 4.0. Hanno l’obiettivo di fornire
l’advisory tecnologica soprattutto alle PMI, favorire la sperimentazione e la
produzione di nuove tecnologie, formare i giovani ed accrescere le competenze
dei lavoratori.
Se i CC rappresentano il
risultato di forme di partenariato pubblico-privato, i Digital Innovation Hub (DIH) sono finanziati da Confindustria e
dalle imprese. I DIH presenti in Italia sono 21 e rispondono a una logica
orizzontale volta a diffondere l’innovazione nei territori. Essi hanno una
dimensione regionale e svolgono un lavoro per molti aspetti “artigianale” per
l’innovazione e la digitalizzazione soprattutto delle PMI. Da un lato, le
imprese stanno manifestando grande interesse verso l’opportunità che viene loro
offerta di intraprendere un percorso di innovazione, dall’altro lato, i DIH
cercano di intercettare quante più imprese possibili da avviare alla digitalizzazione.
Per la valutazione del grado di maturità digitale delle imprese e per
accompagnarle nel percorso di innovazione, i DIH hanno a disposizione uno
strumento di grande rilevanza: si tratta di un test, messo a punto dal
Politecnico di Milano e da Assoconsult, che consente di misurare la maturità
digitale delle aziende in relazione a vari macroprocessi con lo scopo di
capire, da un lato la loro posizione di partenza e, dall’altro, di raccogliere
i dati utili per stimare il posizionamento del sistema industriale italiano e
per strutturare gli indirizzi strategici che potrebbero promuovere il processo
di digitalizzazione nel Paese.
Il Cluster è il terzo elemento della rete di abilitazione alle
competenze digitali. Si tratta di un anello molto importante in questa catena
del valore: i Cluster nazionali sono 12, riconosciuti da una legge dello Stato
che gli ha assegnato competenze ben precise. I Cluster sono un’emanazione del
MIUR e hanno una specializzazione tematica, così come i Competence Center. Sono
chiamati a tracciare delle roadmap di sviluppo per le imprese a partire dalle
proprie aree di specializzazione che riguardano: l’aerospazio, l’agrifood, la
chimica verde, la fabbrica intelligente, i mezzi ed i sistemi per la mobilità
di superficie terrestre e marina, le scienze della vita, le tecnologie per gli
ambienti di vita, le tecnologie per le smart communities, il patrimonio
culturale, il design, la creatività e il made in Italy, l’economia del mare,
l’energia. (Fonte: D. Pepe, agendadigitale.eu 28-11-18)
DOCENTI
CONTRO IL TAGLIO ALLE PENSIONI MEDIO-ALTE, ANCHE DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI
“Gli attacchi alle pensioni
dei ceti professionali hanno prodotto l'effetto di ricompattare tutte le
categorie; siamo pronti a mobilitarci per respingere in blocco il taglio degli
assegni medio-alti annunciato dal governo nella manovra economica”. Il
presidente di Cida (Confederazione italiana dirigenti ed alte professionalità),
Giorgio Ambrogioni, spiega in un’intervista a "Il Sole 24 Ore" come
contro l'emendamento alla legge di Bilancio, che il governo intende presentare
al Senato - con tagli dal 10 al 20 per cento delle pensioni sopra 90 mila euro
per cinque anni -, si è costruito un ampio fronte che comprende i dirigenti del
pubblico e del privato, medici, professori universitari, magistrati, avvocati,
forze armate e diplomatici in pensione: "Con le principali associazioni di
rappresentanza abbiamo inviato una lettera al premier Conte, in attesa di
essere ricevuti ci appelliamo alle due forze di governo". Alla Lega, -
aggiunge - affinché ritiri la misura che colpirà la sua base elettorale,
considerando che gran parte dei dirigenti è del Centro-Nord: "Ai 5S
diciamo che è sbagliato colpire i ceti professionali che non sono la casta ma
rappresentano l'ossatura del Paese". (Fonte: Agenzia Nova 04-12-18)
DOTTORATO
REPORT SULL’INSERIMENTO PROFESSIONALE DEI DOTTORI DI
RICERCA
Secondo l’Istat, che ha
diffuso un report sull’inserimento professionale dei dottori di ricerca, nel
2018, a quattro anni dal conseguimento del titolo, lavora il 93,8% dei dottori
di ricerca. Rispetto all’edizione precedente dell’indagine, condotta nel 2014
sui dottori di ricerca del 2008 e 2010, il tasso di occupazione a sei anni è
sostanzialmente stabile mentre migliora del 2,3% quello a quattro anni.
L’occupazione è elevata in tutte le aree disciplinari e in cima alla classifica
ci sono i dottori dell’ingegneria industriale e dell’informazione (oltre il 96%
lavora a quattro anni dal dottorato e oltre il 98% a sei anni) mentre in fondo,
ma sempre con numeri molto alti, ci sono i dottori delle Scienze politiche e
sociali.
A sei anni dal titolo, i
dottori occupati percepiscono in media un reddito netto mensile di 1.789 euro.
Ma anche qui lo stipendio varia a seconda delle aree disciplinari: da un minimo
di 1.517 euro per i dottori in Scienze dell’antichità filologico-letterarie e
storico-artistiche a un massimo di 2.400 euro per quelli delle Scienze mediche.
I dottori di ricerca 2012 e 2014 che vivono all’estero sono il 17,2%, una
percentuale superiore del 4,3% rispetto a quella registrata nel 2014. I Paesi
verso cui è diretta la maggior parte dei dottori sono Stati Uniti, Regno Unito
e Germania. A sei anni dal titolo il 24,1% degli occupati è impiegato nel
settore dell’istruzione universitaria: tra questi, il 51,1% con un lavoro
dipendente mentre il 36,6% è finanziato da assegni di ricerca. Un dottore su
dieci lavora come professore o ricercatore universitario, ma fra coloro che
vivono all’estero lo stesso rapporto è di un dottore su quattro. (Fonte:
opinione.it 26-11-18)
FINANZIAMENTI
PER L’FFO 2019 DELLE UNIVERSITÀ
40 MILIONI IN AGGIUNTA
Per l'università e la ricerca il MIUR ha ottenuto in Legge di bilancio 2019
qualche risorsa aggiuntiva, o più esattamente la conferma di quanto già
previsto dalla Legge di Bilancio 2018. Sono 40 milioni di euro per il sistema
degli atenei e andranno a far crescere di poco il Fondo di Finanziamento
ordinario (quello del 2018 è stato di 7 miliardi e 318 milioni di euro). Per le
università, sempre in Legge di Bilancio, già erano previsti 100 milioni per il
2020. A La Repubblica il ministro Marco Bussetti aveva detto che intendeva
trovare altri 100 milioni per il 2019, ma alla fine ne sono stati trovati 40. Nelle
vorticose partite di giro in chiusura di Finanziaria, questi 40 milioni sono
garantiti direttamente dal MEF.
Mettere 40 milioni “nelle casse dei nostri atenei” è mettere al centro
la spesa per l’istruzione, come si afferma da fonte governativa? Al massimo il
governo sta facendo quello che hanno fatto tutti i governi dal 2010 ad oggi: un
aumento sempre assai limitato del FFO (V. tab.). Peraltro l’aumento di 40 mln
per il 2019 era già stato stabilito dalla Legge 27-12-17 n. 205, art. 1.
(Fonte: Next; La Repubblica 06-12-18). Tutto sull’FFO > https://tinyurl.com/ycdtqbs4 .
FFO degli
atenei 2010-2018
CNR. IL FONDO ORDINARIO DI FINANZIAMENTO IN DEFICIT INTEGRATO CON 90 MLN
DALLA LEGGE DI BILANCIO 2019
Il CNR, la più grande e per
certi versi la più rilevante istituzione scientifica del Paese, ha un serio
problema. Per la prima volta il Fondo ordinario (FOE) che lo Stato metterà a
disposizione, per il 2019, di questa prestigiosa istituzione scientifica
risulterà gravemente insufficiente (con un deficit di circa 100 milioni). E’
per questa ragione che lo scorso 25 ottobre i 102 direttori degli istituti
scientifici del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno sottoscritto, come primi
firmatari, e poi pubblicato sulla rete, un “Manifesto per salvare il CNR e
rilanciare il futuro del Paese”. Al momento la sottoscrizione del Manifesto da
parte del personale del CNR ha raggiunto le 3800 unità. Gli stessi direttori
hanno poi inviato lettere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al
Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte e al Ministro IUR Marco
Bussetti, per sollecitare un loro intervento risolutivo. Come si afferma nel
Manifesto, le ragioni principali per cui si è giunti a questa assai grave
situazione risiedono in quattro eventi scatenanti, non essendo state previste
le ovvie compensazioni finanziarie: negli ultimi anni un costante
de-finanziamento del FOE, a scapito dei naturali incrementi dei costi e delle spese
di personale; una decina di anni fa lo scorporo dal FOE di una quota, circa 70
milioni, fittiziamente vincolata a progetti di ricerca, ma in realtà rientrata
in buona parte negli anni successivi nel calderone delle spese di funzionamento
e oggi non più utilizzabile in questo modo in quanto vincolata alle nuove
assunzioni; aggiornamento contrattuale fermo da vari anni; assunzione di oltre
mille di unità di personale da troppo tempo precario.
Per fortuna, con la Legge di
bilancio 2019 si annunciano in extremis 90 milioni per il CNR, in arrivo anche
sulla scia delle pressioni dei 102 direttori di Dipartimento e di Istituto
dello stesso ente. Altri 10 milioni sono destinati con la Legge di bilancio al
Fondo ordinario di tutti gli enti di ricerca. Annuncia il ministro Bussetti (MIUR):
"Le misure approvate in queste ultime ore favoriscono un rilancio del CNR,
garantiscono una piena operatività all'Ebri, il centro di ricerca fondato da
Rita Levi Montalcini, avviano la realizzazione della Scuola Normale a Napoli,
un'eccellenza accademica che darà un contributo rilevante alla formazione delle
nuove classi dirigenti del Mezzogiorno". Le risorse aggiuntive assegnate
al CNR serviranno ad avviare la faticosa e stratificata questione delle
stabilizzazioni: 1.200 precari cosiddetti comma 1 e altrettanti comma due.
(Fonte: R. Falcone,
scienzainrete 21-11-18; C. Zunino, La Repubblica 06-12-18)
LAUREE -
DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE
SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE MEDICA. 41 SENZA I REQUISITI MINIMI
Quest’anno il Ministero
dell’Istruzione, di concerto con quello della Salute, ha accreditato 1.123
Scuole di specializzazione, che dipendono da 42 Università e sono collegate
agli ospedali dove viene svolto il tirocinio. Ogni anno si iscrivono quasi
7.000 neolaureati in Medicina, selezionati con un concorso nazionale a quiz, al
quale partecipano oltre 16 mila candidati. Pochi, rispetto alla necessità di
sostituire chi va in pensione: la stima è che tra dieci anni mancheranno oltre
settemila medici. Il problema è che ogni specializzando costa al Ministero
della Salute 1.700 euro netti al mese, e per allargare i numeri bisogna trovare
i soldi. Ma almeno quei pochi sono messi nelle condizioni di avere una buona
formazione? Per essere accreditate le Scuole di specializzazione devono
garantire spazi e laboratori attrezzati, standard assistenziali di alto livello
negli ospedali dove viene svolto il tirocinio e indicatori di performance
dell’attività scientifica dei docenti. Oggi — carte riservate alla mano — ci
sono almeno 41 Scuole di specializzazione senza i requisiti minimi, a cui
vengono affidati ogni anno 383 giovani in formazione. (Fonte: M. Gabanelli e S.
Ravizza, CorSera 12-11-18)
DI NUOVO SI PARLA DEL VALORE LEGALE DELLA LAUREA
Il valore legale del titolo di
studio, la laurea, è un tema evergreen della politica. La funzione principale
di questo istituto è quella di fornire un criterio oggettivo per la selezione
dei candidati nei concorsi pubblici e per l'inclusione negli ordini
professionali. Sulla questione si è espresso anche l'iperattivo ministro
dell'Interno Matteo Salvini che in un intervento alla scuola di formazione
politica della Lega ha dichiarato: «Negli ultimi anni scuola e università sono
stati serbatoi elettorali e sindacali. L'abolizione del valore legale del
titolo di studio è una questione da affrontare». Il ministro dell'istruzione,
il leghista Bussetti, ha frenato lo slancio del vice premier, pur rimanendo
possibilista: «In questo momento non è in programma, non è detto che non possa
essere analizzato in futuro». Una proposta di abolizione era stata discussa
anche nell'agenda del governo Monti, che nel 2012 aveva deciso di aprire una
consultazione pubblica sul tema. Eliminando il valore legale, la valutazione
delle competenze di un candidato sarebbe affidata in gran misura al «nome», o
meglio al prestigio dell'università frequentata. Questo dovrebbe costituire un
incentivo per gli atenei a competere tra loro, e migliorare in termini di
efficienza e qualità dell'offerta didattica. Per i critici si tratta di una
misura classista che favorirebbe solo coloro che possono permettersi
l'iscrizione alle università d'élite. (Fonte: Il Manifesto 13-11-18)
TRE MOTIVI PER CUI NON CONVIENE ABOLIRE IL VALORE LEGALE DELLA LAUREA
Chi oggi si laurea nel nostro
Paese, fra tante incertezze, può contare su una sicurezza di fondo: il suo
titolo di studio gli offre, almeno formalmente, le stesse opportunità che hanno
tutti gli altri laureati in quella stessa disciplina. Non fa differenza che il
sudato pezzo di carta sia stato conseguito a Torino o a Palermo, a Milano o a
Roma. Qualcuno potrà però obiettare che non tutte le università sono uguali:
alcune sono più serie, più difficili, preparano meglio di altre. E allora
perché non abolire il valore legale del titolo di studio? In questo modo sarà
possibile esplicitare le differenze esistenti e, anzi, spingere gli atenei a
confrontarsi e migliorarsi costantemente, in un circolo di competizione
virtuosa. Rispetto a questo scenario, ci sono (almeno) tre questioni che vale
la pena considerare.
La problematicità delle
graduatorie universitarie. Come evidenziano i sociologi Wendy Espeland e
Michael Sauder nel recente libro “Engines of Anxiety. Academic Rankings,
Reputation, and Accountability”, i ranking accademici negli Stati Uniti
producono una serie di effetti perversi che penalizzano gli studenti, i docenti
e l’intero sistema universitario. Solo per citare alcuni esempi: gli atenei
meglio posizionati innalzano sempre più le tasse, escludendo così di fatto
parte della popolazione studentesca.
Il ruolo dello Stato in un
sistema di istruzione pubblica. Siamo sicuri che all’attore pubblico spetti
semplicemente il compito di certificare ex post il valore dei servizi erogati
dai diversi atenei e non quello, certamente più oneroso, di intervenire ex ante
per garantire una qualità uniforme in tutti i poli universitari
Il rischio, in questo modo, di
creare un sistema a due (o più) velocità, con università di serie A e
università di serie B. Gli studenti con maggiore disponibilità economica potranno
scegliere le università migliori, anche se lontane dal luogo di origine e con
tasse elevate. Gli altri, invece, dovranno accontentarsi degli atenei low cost
sotto casa. (Fonte: FQ 16-11-18)
DOPPIE LAUREE
In Italia, il fenomeno delle
doppie lauree dal profilo internazionale appare sempre più diffuso. Con 851
corsi totali, aumentati del 44% rispetto all’anno accademico 2017/18 e quasi
triplicati sul 2011/2012 (quando erano 304). Complessivamente, l’anno scorso
sono stati più di 32mila gli studenti dei corsi con titolo doppio o congiunto,
a fronte dei 29mila dell’anno precedente e ai 19mila del 2014/15. Se i double
degree nascono soprattutto con l’esigenza di aumentare le skill internazionali
dei nostri ragazzi, migliorando anche le loro conoscenze linguistiche, l'idea a
cui sta lavorando il Miur punta invece a creare delle professionalità più in
linea con le nuove sfide lanciate dal mercato del lavoro. Sul modello di quanto
sta accadendo nei Paesi Bassi o in Svizzera. Per riuscirci basta una norma di
una riga che dica: è abrogato l’articolo 142 del Regio decreto 1592 del 1933.
In base al quale, attualmente, è «vietata l’iscrizione contemporanea a diverse
università e a diversi istituti d’istruzione superiore, a diverse facoltà o
scuole della stessa università o dello stesso istituto e a diversi corsi di
laurea o di diploma della stessa facoltà o scuola». A disporre l’abrogazione
dovrebbe essere un emendamento alle legge di bilancio che il Miur ha messo a
punto nei giorni scorsi. Cancellare l’articolo 142 consentirebbe agli studenti
di seguire più di un corso in contemporanea e agli atenei di fare squadra
allargando la loro offerta formativa. (Fonte: E. Bruno, IlSole24Ore 14-11-18)
QUANTO COSTA UNA LAUREA TRIENNALE
In Italia ogni anno sono più
di 1 milione e mezzo gli studenti universitari, di cui oltre 600.000 fuori sede.
Dal momento che è molto difficile per uno studente riuscire a mantenersi
autonomamente durante il ciclo di studi, specialmente se esso implica il
trasferimento in un’altra città, sono quasi sempre le famiglie a sobbarcarsi il
costo di questo investimento nel futuro professionale dei figli.
Per aiutare i genitori a
operare un’opportuna pianificazione in vista di questa scelta, Moneyfarm ha
stimato il costo di un ciclo universitario triennale in alcuni tra i principali
atenei italiani: il Politecnico e la Bocconi di Milano, le università di
Bologna, Pisa, Roma Sapienza, Napoli Federico II. La selezione delle università
è stata effettuata per includere atenei di tutte le dimensioni, che fossero
rappresentativi di città grandi, medie, piccole, delle aree del Paese dove si
concentrano la maggior parte degli studenti, di realtà d’eccellenza pubbliche o
private. La ricerca considera tre voci di spesa: tasse universitarie, vitto e
alloggio. Ciò che emerge è che il costo da sostenere per un triennio
all’università pubblica varia dai 34 ai 45 mila euro a seconda della fascia di
reddito e dell’ateneo. L’esborso aumenta se si sceglie la soluzione privata.
(Fonte: linkiesta 16-11-18)
NUMERO
CHIUSO PER LE ISCRIZIONI IN MEDICINA
SUL NUMERO CHIUSO SI DISCUTE ALLA CAMERA
Alla Camera la Commissione
Cultura discute sul numero chiuso (relatore Manuel Tuzi del M5S). Su questa
questione sono già state presentate Proposte di Legge da FdI (AC 334) e
Consiglio regionale del Veneto (AC 612), che prevedono l'abolizione del numero
chiuso, e da M5S (AC 812) e Lega (AC 1162), che spostano il numero chiuso alla
fine del primo anno. Un'altra Proposta di Legge è presentata da FI, che prevede
di mantenere il numero chiuso all'ingresso 'integrando' il test con i voti
della scuola e con una prova attitudinale.
Le Proposte che prevedono il
numero chiuso all'inizio del secondo anno fanno riferimento al “modello
francese”. In Francia a circa l'80% degli studenti che liberamente si possono
iscrivere al primo anno di Medicina si rende poi impossibile proseguire negli
studi con uno sbarramento per accedere al secondo anno sulla base di esami su
materie propedeutiche alle professioni sanitarie
NUMERO CHIUSO. IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE CULTURA ALLA CAMERA:
SUPERAMENTO DEL NUMERO CHIUSO IN DUE ANNI
Il presidente della
Commissione Cultura, Luigi Gallo, parla di «superamento del numero chiuso» come
una delle priorità del programma da realizzare «in dodici massimo ventiquattro
mesi». Sul come, Gallo è più vago. Intanto rilancia l’aumento delle borse per
gli specializzanti che saranno 900 in più l’anno prossimo, aiutando così «a
cancellare il numero chiuso in uscita» da Medicina. In realtà ne servirebbero
almeno di 2-3mila in più per garantire l’accesso alla specializzazione a tutti
i laureati di Medicina, ma certamente c’è la questione dei costi.
Gallo sembra puntare molto sui
Mooc «come ad Harvard e Yale», spiega, per aumentare i laureati. Quanto alla
questione del numero chiuso, Gallo è generico. Oltre al non meglio precisato
superamento, anticipa che il ministero dell’Istruzione sta «rivedendo
l’impianto dei test», già per l’anno prossimo. Sulle quattro proposte di legge
presentate per l’abolizione dei test, Gallo non si sbilancia: l’importante è
trovare una soluzione che metta tutti d’accordo. (Fonte: CorSera 23-11-18)
RICERCA
ISTITUZIONE DELL’AGENZIA ITALIANA PER LA RICERCA SCIENTIFICA
In parallelo alla
razionalizzazione degli enti di ricerca, andrebbe avviata la costituzione
dell’Agenzia Italiana per la Ricerca, sull’esempio di quanto esistente negli
Stati Uniti e in tutti gli altri Paesi europei. Agenzia alla quale si
potrebbero affidare alcune competenze in materia di supporto tecnico nella
redazione e presentazione dei progetti di ricerca, da sottomettere nei vari
bandi, in modo da innalzare la qualità delle nostre proposte progettuali.
L’Agenzia svolgerebbe il compito di individuare preventivamente e selezionare
progetti innovativi completi, con alti livelli di maturità tecnologica, già
pronti a operare in ambienti operativi industrialmente rilevanti. L’Agenzia,
inoltre, dovrebbe promuovere collaborazioni con le Regioni, che contribuiscono
a finanziare la ricerca sul proprio territorio. La costituzione dell’Agenzia
avrebbe anche il pregio di andare incontro alla proposta della Commissione europea
di rivedere l’approccio dei partenariati, avanzata con la richiesta di
riduzione e razionalizzazione dei propri interlocutori nazionali, attraverso
interfacce Paese-Commissione. L’Agenzia Italiana per la Ricerca potrebbe
diventare il principale interlocutore a livello europeo per la ricerca
nazionale, assumendo il ruolo di coordinamento del supporto scientifico alle
decisioni interministeriali e alle linee di finanziamento da presentare sui
tavoli europei. (Fonte: G. Ruggiero, agendadigitale.eu 01-12-18)
HORIZON 2020. IL SISTEMA PUBBLICO DELLA RICERCA. LA SPESA IN R&S. IL
FONDO ORDINARIO DEGLI EPR
L’Italia incassa poco dal programma
“Horizon 2020”. Il tasso di successo in rapporto al numero di domande
presentate, nello strumento dedicato alle PMI, è decisamente al di sotto della
media, così come accade per l’intero apparato dei fondi Horizon 2020. È vero
che l’Italia, in termini di progetti, conquista una fetta importante (14,7% del
totale), ma la quota scende all’8% in termini di fondi. Il che, probabilmente,
è il risultato di progetti di piccole dimensioni (tra i 100 e i 250mila euro) e
della minore stazza media delle nostre PMI, come testimoniato dalla relazione
inversa presente per la Germania (il 6% in termini di progetti di successo, che
però hanno raccolto il 17,7% dei fondi globali). Sul fronte degli interventi
sostenuti dal MIUR, riferiti alle aree individuate dalla Strategia nazionale di
specializzazione intelligente (Snsi), nonché dal pilastro Excellent Science
all’interno di Horizon 2020, emerge una situazione di stallo, con una media
dello stato di realizzazione dei progetti molto bassa. Peraltro, laddove
l’erogazione delle risorse si è completata, non ha corrisposto, nella larga
maggioranza dei casi, l’attuazione dei progetti nei tempi originariamente
previsti. Fanno eccezione i settori Trasporti e Aerospazio.
Il sistema pubblico della
ricerca italiana appare molto frammentato (21 enti di ricerca, vigilati da 7
diverse amministrazioni centrali) e sviluppa poco partenariato con le realtà industriali.
La spesa in R&S e la
performance in innovazione sono al di sotto della media europea. In
particolare, nel 2017, l’intensità complessiva di R&S (cioè la spesa totale
destinata a ricerca e sviluppo in percentuale del PIL) è stata pari all’1,8%; un
livello lievemente superiore a quello del 2016 (1,5%), ma ancora nettamente al
di sotto della media UE (2,1%) e distante dagli obiettivi 2020 fissati dall’UE
stessa (in media nell’area UE la spesa in R&S dovrà essere pari al 3% del
PIL entro il 2020: 1% di finanziamenti pubblici, 2% di investimenti privati).
Il Fondo Ordinario di
funzionamento degli Enti pubblici di ricerca (FOE) nella sua globalità ha
subito una drastica diminuzione fra il 2010 ed il 2015, per poi rimanere
stabile negli ultimi due anni. D’altro canto i Fondi premiali, la cui
provenienza è quella del Fondo Ordinario, sono destinati da quest’anno alle
stabilizzazioni del personale precario. Decisione di per sé lodevole, che
consente di stabilizzare un numero elevato di aventi diritto, ma che ne
impedisce l’utilizzo per finalità di sviluppo degli Enti, mettendo seriamente a
rischio lo svolgimento delle attività di ricerca e ritardando quelle condizioni
abilitanti che fanno sì che i ricercatori d’eccellenza conducano le loro
ricerche nel nostro Paese. (Fonte: G. Ruggiero, agendadigitale.eu 01-12-18)
RETRACTION WATCH HA RESO PUBBLICO UN ARCHIVIO CONTENENTE OLTRE 18MILA
ARTICOLI SCIENTIFICI RITIRATI
Retraction Watch è un progetto
dei giornalisti scientifici Ivan Oransky e Adam Marcus, ed ha aperto i battenti
ufficialmente nell’agosto del 2010. In quasi otto anni di lavoro hanno raccolto
una lista di oltre 18mila articoli scientifici ritirati, e ora hanno deciso di
renderla pubblica sotto forma di un database esplorabile gratuitamente. Sul
piano degli autori emergono diverse curiosità. Innanzitutto, dati alla mano
sembra che una manciata di “cattivi scienziati” siano responsabili della
maggior parte dei problemi: su 30mila autori presenti nel database, i primi 20
hanno tutti almeno una trentina di paper ritirati a testa, i primi cento più di
13, e i primi 500 più di cinque. Andando a guardare poi la top ten, troviamo
degli autentici pesi massimi. Al primo posto spicca il nome di Yoshitaka Fujii,
anestesista giapponese che dal 2012 ha collezionato bel 169 paper ritirati a
causa di frodi e falsificazioni dei dati. Anche il secondo classificato,
comunque, non scherza: Joachim Boldt, anche lui anestesista, classe 1954,
attualmente fermo a 96 articoli scientifici ritirati. (Fonte: S. Valesini,
Wired 10-11-18)
CONTRO IL PIANO S PER LE RIVISTE ACCESSIBILI PROTESTANO PIÙ DI 700
SCIENZIATI
Se ci fosse un referendum, più
di 700 scienziati, pur favorevoli all’apertura e alla gratuità dei paper
scientifici per tutti, voterebbero no. Come mai? Perché contestano alcune linee
di un piano, detto Piano S, da poco proposto e sottoscritto da diverse istituzioni
scientifiche di 11 Paesi europei. L’obiettivo del piano è quello di rendere
open access tutte le pubblicazioni di ricerche finanziate da enti pubblici.
Varato agli inizi di settembre 2018 da diverse nazioni, inclusa l’Italia, il
piano S entrerebbe in vigore dal 1° gennaio 2020. Oggi, più di 700 scienziati
europei contrari a questo progetto hanno divulgato una lettera, o meglio una
open letter, in cui spiegano le ragioni per cui secondo loro è estremo e troppo
rischioso. B. O'Malley su UWN (13-11-18) riferisce: “The researchers say the
plan is unfair for the scientists involved and is too risky for science in
general”. Il focus centrale della lettera riguarda le riviste che seguono il
modello ibrido di pubblicazione (che sono la maggior parte), ovvero per cui
parte dei contenuti sono open access e parte a pagamento. Tali riviste
guadagnano e si sostengono sia tramite gli abbonamenti dei lettori sia
attraverso la tariffa per la pubblicazione, il cosiddetto pubblication fee, a
carico dell’autore o dell’istituzione per cui lavora, per rendere l’articolo
immediatamente accessibile. Nell’ipotesi che il piano S entri in vigore, si
legge nella lettera, potrebbe anche accadere che sia vietato l’accesso alle
riviste non open access (e così la possibilità di pubblicarvi), che
rappresentano più dell’85% dei giornali prestigiosi e accreditati, collegati a
importanti società scientifiche. (Fonte: Wired 13-11-18)
DEVASTAZIONE AL CENTRO DI RICERCA CREA. L'OBIETTIVO ERA COLPIRE IL MONDO
DEGLI OGM
“Siamo entrati nelle proprietà
del centro di ricerca Crea di Montanaso Lombardo. Abbiamo devastato le quattro
grandi serre dell'istituto distruggendo la quasi totalità delle piante sperimentali
contenute al loro interno. Solidarietà con chi lotta in difesa delle terre
contro la civiltà industriale». Con un comunicato diffuso sul contenitore web
«Croce nera anarchica» un gruppo di ecoterroristi ha rivendicato la distruzione
di buona parte delle coltivazioni sperimentali del centro di ricerca in
orticoltura ad Arcagna, pochi chilometri a nord di Lodi. L'azione risale al 2
ottobre scorso ed è stata resa nota dagli stessi anarchici il 27 ottobre. Ma
non se n'è saputo nulla fino a oggi, nonostante la denuncia presentata il
giorno successivo dai responsabili del centro ai carabinieri di Lodi. E dietro
il blitz di Arcagna non sembra esserci un gruppo di ecologisti alle prime armi,
bensì gente abituata a portare a termine azioni eversive più serie, legata alla
galassia anarco-insurrezionalista. (Fonte: PressReader - Corriere della Sera, Brescia,
23-11-18)
SENSORI STELLARI ITALIANI
Nel lungo viaggio della sonda
InSight verso Marte c'era un sensore stellare italiano ad aiutarla. «E’ un
piccolo cannocchiale che guarda gli astri - spiega Enrico Suetta, responsabile
dei sistemi elettro ottici e sensori d'assetto spaziali di Leonardo -.
Confrontandoli con le tremila stelle immagazzinate nella sua memoria,
comunicava ai computer di guida la giusta rotta». Il sofisticato strumento
costruito a Firenze è una specificità tecnologica italiana e dagli anni 60
Leonardo ne ha prodotti centinaia, poi installati su satelliti e sonde di varie
nazioni. (Fonte: CorSera 28-11-18)
HIGHLY CITED RESEARCHERS (HCR), LISTA 2018 DI CLARIVATE ANALYTICS
La super lista dei ricercatori
più citati al mondo, guardando all’autorevolezza e all’affidabilità, l’ha
rilasciata, per il quinto anno consecutivo, la compagnia Clarivate Analytics.
La lista dell’Highly Cited Researchers (HCR) comprende in tutto 6078
ricercatori e tra questi 98 sono italiani. L’edizione 2018 dello studio fa
emergere alcuni dati interessanti: circa 4000 ricercatori altamente citati sono
stati nominati in 21 settori delle scienze e delle scienze sociali. E poi, gli
Stati Uniti ospitano il maggior numero di HCR, con 2.639 autori. Il Regno Unito
da parte sua ne ha 546. Intanto la Cina sta guadagnando rapidamente terreno:
adesso ha 482 ricercatori super citati, supera la Germania (356) e si piazza al
terzo posto. Quarta la sorprendente Australia, che si vede riconosciuti 245
studiosi ad alta influenza. In questa edizione c’è una novità: sono stati
identificati circa 2.000 ulteriori ricercatori ad alto impatto in diversi campi
delle scienze. I ricercatori selezionati in questa categoria trasversale sono in
Svezia (53%), Austria (53%), Singapore (47%), Danimarca (47%), Cina (43%) e
Corea del Sud (42%). (Fonte: R.it Scienze 27-11-18)
RICERCATORI PRECARI. LETTERA AL
PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Oggi il ruolo dell’Università come faro della vita democratica del
nostro paese è in grave pericolo. Da anni nei nostri atenei, infatti, la
libertà di acquisire conoscenze viene messa a rischio dalla precarietà a cui
sono condannati decine di migliaia di ricercatori. Gli ultimi dati raccolti
parlano chiaro: più del 58% del personale universitario è costituito da precari
che, con contratti che vanno da pochi mesi ad un massimo di tre anni,
garantiscono la sopravvivenza stessa dell’istituzione universitaria. Più del
90% dei precari non avrà mai modo di accedere ad una posizione di lavoro
stabile nelle università italiane: molti di loro sceglieranno la via che porta
all’estero, altri rinunceranno per sempre alla ricerca scientifica. Per i
precari della ricerca è difficilissimo sviluppare liberamente il proprio
percorso verso la conoscenza: costretti a saltare da un contratto all’altro,
spesso si passa più tempo a preparare bandi, curriculum e concorsi, che a fare
ricerca. Spesso si lavora con contratti ai limiti dello sfruttamento, per paghe
orarie indegne dell’altissima preparazione acquisita: un contesto che rende
impossibile anche solo pensare di progettare una vita con la propria compagna o
il proprio compagno, di acquistare una casa, avere dei figli, realizzarsi come
persone e cittadini. (Fonte: Da una lettera dei Ricercatori Determinati
Sapienza al Presidente della Repubblica 11-12-18)
L’ITALIA TRA I PAESI EUROPEI IN CUI LA
LIBERTÀ DI RICERCA È SOTTO MINACCIA SECONDO NATURE
La rivista
scientifica Nature ha recentemente inserito l’Italia tra i Paesi europei in cui
la libertà di ricerca è sotto minaccia, perché ci sono tentativi di controllare
la ricerca, facendone terreno di conquista politica. Sono fatti delle ultime
settimane – solo per citarne alcuni – la revoca del mandato di presidente
dell'Agenzia spaziale italiana a Roberto Battiston e la revoca di 30 componenti
non di diritto del Consiglio superiore di Sanità da parte del ministro della
Salute.
La scienza,
però, è per sua natura espressione libera della mente umana e deve sostenere la
ricerca della verità con un metodo che è estremamente rigoroso. Bloccare la
libertà individuale, bloccando la scienza, è una colpa gravissima e ricorda
altri esempi avvenuti in passato, durante i regimi totalitari, socialisti,
comunisti. Questo vale per la scienza in
assoluto, quindi come comunità mondiale di scienziati, ma vale anche per il
singolo scienziato. (Fonte: G. Palù, IlBo 13-12-18)
SISTEMA
UNIVERSITARIO
IL CONCETTO ORIGINARIO DI COMUNITÀ UNIVERSITARIA
Ove si consideri che la
connessione fra ricerca universitaria tradizionalmente intesa e ricerca
applicata con trasferimento conseguente al mercato tende a diventare uno dei
principali obiettivi da conseguire, deve esserci una maggiore consapevolezza
dell'importanza e delicatezza della questione. Ma l'Università non può essere
confinata soltanto a questo ruolo e a questo compito, neanche come singola
Università, poiché, se ciò fosse, sarebbe più utile e leale nei confronti del
sistema favorire la creazione di nuovi Istituti di ricerca, di natura del tutto
privata e privi della missione didattica. Alla base dell'idea e del significato
della parola Università sta un'esigenza di ampiezza e di armonia che deve avere
come obiettivo il graduale sviluppo di tutti i saperi. Non è da trascurare,
anzi, è da analizzare, da chiarire e da diffondere fra i giovani il principio
che le Università operano nella loro continua attività di ricerca critica non
con la finalità di vendere professionalità, ma con la finalità di introdurre i
giovani, potenzialmente tutti i giovani, nel processo di acquisizione e
creazione della conoscenza. In tale contesto, i giovani possono essere messi
nella condizione di raggiungere la consapevolezza dei propri individuali
livelli di sapere, e questo sarebbe un canale prezioso anche per accompagnarli
nella scelta degli indirizzi che li porteranno alle più svariate attività
professionali. E in questo contesto che il concetto originario di comunità
universitaria, che discende dalla Storia ed è ben definito nella Magna Charta,
può essere tutelato e conservato, adeguandosi alle esigenze dei tempi. La
perdurante validità del rapporto fra Università europee, confermato dalla
Bologna Declaration, che viene espressa, in termini operativi, dalla European
Higher Education Area, è fonte di una continuità di azione delle Istituzioni
accademiche europee, che ha affidato un compito sufficientemente preciso a una
consolidata realtà. (Fonte: F. A. Roversi Monaco, Carlino Bologna 18-09-18)
STUDENTI.
TASSE UNIVERSITARIE
BORSE DI STUDIO E TASSE UNIVERSITARIE
Gli studenti universitari
idonei per le borse di studio nel 2013/14 sono stati 161.735, mentre, nel
2016/17, erano pari a 167.340, un numero sostanzialmente stabile (l’incremento
è dell’ordine del 3,5%). La percentuale di copertura delle borse di studio è
aumentata in misura cospicua perché sono aumentate le risorse statali per
finanziare le borse: il FIS nel 2013 è stato di 149,2 milioni di euro, mentre
nel 2016 è arrivato a 216,8 milioni di euro. Tuttavia percepisce una borsa
l’11,6% degli studenti. Per confronto, in Francia la platea di beneficiari di
borse di studio è molto più ampia (32,5%).
Le tasse universitarie, nel
Rapporto Biennale sullo Stato del Sistema Universitario e della ricerca 2018
pubblicato da ANVUR, si definiscono “relativamente contenute in Italia”. Se il
raffronto viene fatto con Stati Uniti, Cile, Giappone, Canada e Australia, per
citare i primi cinque Paesi che compaiono nel rapporto ANVUR, l’affermazione
può anche apparire veritiera. Ma si tratta di sistemi di formazione terziaria
molto distanti dal nostro, sia geograficamente sia culturalmente. Se invece ci
confrontiamo con il resto d’Europa, la situazione appare molto diversa:
l’Italia ha la contribuzione media studentesca più alta, dopo l’Olanda e la
Spagna, nelle università pubbliche. Il rapporto Eurydice (cfr. National Student
Fee and Support Systems in European Higher Education 2017/18, Eurydice,
European Commission) mostra come in alcuni Paesi l’istruzione universitaria sia
gratuita o al massimo l’importo richiesto non superi i 100 euro. La media delle
tasse universitarie annue In Italia è 1.345 euro per un corso di laurea
triennale e di 1.520 per uno magistrale. Per confronto, in Francia le tasse
sono molto più basse (260-333 euro). (Fonte: F. Laudisa, Roars 21-11-18)
STUDENTI FUORI SEDE
Nell’anno accademico
2017-2018, su 1.600.000 studenti iscritti negli atenei, oltre 1 su 4 (circa 400
mila) era fuori sede. Puglia e Sicilia sono le regioni da cui sono partiti più
studenti nel 2017-2018. Sono infatti stati oltre 52 mila i pugliesi (su una
popolazione studentesca di poco inferiore alle 130 mila unità) che sono andati
a studiare altrove; più di 4 su 10. In Sicilia i fuori sede hanno superato
quota 52 mila su una popolazione di 130 mila studenti, circa il 33%. La regione
con più fuori sede è la Calabria, con 31 mila studenti iscritti altrove, che
rappresentano il 44% di tutti gli studenti universitari iscritti nelle
università calabresi. (Fonte: University Equipe 19-11-18)
VARIE
LA CONOSCENZA NON COMPARE TRA LE SCELTE DI INVESTIMENTO PER LA CRESCITA
E LO SVILUPPO DEL PAESE
Le scelte di finanza pubblica
che emergono dalla lettura della legge di bilancio 2019 delineano un quadro del
tutto insufficiente per i settori della conoscenza. Il Governo non cambia la
tendenza dei precedenti esecutivi reiterando una politica di definanziamento su
scuola, università, ricerca e AFAM. Per quanto riguarda il sistema
universitario, la proposta del Governo prevede solo alcuni parziali interventi
in termini finanziari ed occupazionali, smentendo nei fatti anche quanto
previsto nel “contratto di governo” che prevedeva il superamento del
precariato, l’inversione di marcia sul finanziamento ordinario, l’ampliamento
dei fondi per il diritto allo studio.
Infatti, la previsione del
nuovo reclutamento di 1.000 nuovi ricercatori a tempo determinato di tipo b (v.
articolo 24, comma 3, lettera b della Legge 30 dicembre 2010), per i quali
vengono messe a disposizione del FFO degli Atenei pubblici rispettivamente 20
milioni di euro aggiuntivi per il 2019 e 50 milioni di euro a decorrere
dall’anno 2020, non costituisce certo una significativa inversione rispetto al
depotenziamento degli organici conseguente al blocco del turnover attuato negli
anni passati. Sugli Enti di Ricerca sono pressoché assenti misure specifiche e
non c’è traccia nemmeno degli interventi preannunciati nella Nota di
Aggiornamento al DEF, peraltro a nostro avviso insufficienti. Completamente
assenti finanziamenti per incrementare i Fondi Ordinari degli Enti, indeboliti
da troppi anni di tagli, e per consentire investimenti diretti allo sviluppo
delle risorse occupazionali, nonché per il completamento dei processi di
stabilizzazione in corso. Vi è l’ennesima riproposizione del “credito
d’imposta” per R&S alle imprese con qualche variazione, già sperimentato in
passato, con risultati pressoché nulli. (Fonte: Flc Cgil 08-11-18)
PLAGIO ACCADEMICO, PIÙ FREQUENTE IN ITALIA CHE IN SPAGNA E GERMANIA
La politica spagnola negli
ultimi mesi è stata scossa da diversi casi di plagio accademico: la stampa ha
sollevato dubbi su come il presidente del governo e il leader del principale
partito di opposizione hanno ottenuto i loro titoli accademici, mentre la
presidente della comunità di Madrid e la ministra della Salute si sono dimesse
dopo essere state accusate di aver copiato le loro tesi di master. Qualche anno
fa, in Germania, ebbero simile sorte sia la ministra dell’Istruzione sia quello
della Difesa.
Accuse analoghe, in Italia,
non hanno avuto conseguenze né politiche né accademiche. Come si spiega la differenza
rispetto a Spagna e Germania? Una prima spiegazione chiama in causa il ruolo
dei media italiani che, con poche eccezioni (fra cui lavoce.info), non si sono
comportati come quelli spagnoli e tedeschi. Una seconda spiegazione è invece
legata all’alta tolleranza della comunità accademica nei confronti del plagio
che, secondo la redazione di Noisefromamerika, rasenta l’omertà. Più in
generale, quando sono in molti a infrangere le regole, i costi di farlo si
abbassano: se così fan tutti (o molti), gli anticorpi hanno più difficoltà a
entrare in azione. Per esempio, nei casi italiani, le istituzioni che per prime
avrebbero dovuto chiarire le vicende non sono state particolarmente solerti.
Ma il plagio accademico e le
altre frodi scientifiche sono davvero più diffusi in Italia di quanto non siano
altrove? Per rispondere, l’autore dell’articolo, ha utilizzato una recente base
dati che identifica gli articoli ritirati (retracted) da riviste scientifiche a
causa di errori o vere e proprie frodi scientifiche. Nel periodo 1997-2017,
tenendo conto del totale delle pubblicazioni, gli articoli ritirati con autori
italiani sono leggermente più numerosi di quelli con autori statunitensi e più
del doppio rispetto a quelli con autori francesi. Una parte importante delle differenze
è dovuta proprio alla frequenza dei plagi. Quando si considerano i soli
articoli ritirati perché copiati, la distanza si allarga notevolmente. I plagi
italiani, sempre controllando per il numero delle pubblicazioni, sono quasi il
triplo di quelli spagnoli e quasi cinque volte quelli tedeschi. (Fonte: F.
Sylos Labini, lavoce.info 13-11-18)
UNITI AVVOCATI E GIURISTI CONTRO IL POPULISMO GIUSTIZIALISTA
La scena: un teatro gremito da
oltre 500 persone. Molti sono in piedi. Si infiammano alle parole dei leader
dell’Unione Camere penali. Del presidente Gian Domenico Caiazza, innanzitutto.
Dei past presidenti Gustavo Pansini e Beniamino Migliucci. Ma fin qui niente di
nuovo. Il fatto incredibile è un altro. È la mobilitazione dei giuristi. «Da
qui deve nascere un’aggregazione continua» ( Fausto Giunta, docente di Diritto
penale a Firenze). «È importante che l’accademia stia insieme con l’avvocatura»
(Luigi Stortoni, ordinario a Bologna). «Quando la casa brucia, non è che si sta
a vedere chi è il vigile del fuoco: serve l’aiuto di tutti» (Giorgio Spangher,
professore alla Sapienza). Sono tutte tessere di un mosaico che rappresenta il
miracolo. Nell’evento al teatro Manzoni di Roma, che conclude le quattro
giornate di astensione, i penalisti italiani celebrano sì il pieno successo
della loro iniziativa «contro il populismo giustizialista, in difesa della
Costituzione e dei diritti». Eppure nella sala gremita non solo di avvocati ma
anche di studiosi appassionati, i penalisti italiani colgono un obiettivo forse
impensabile: vedono schierarsi al loro fianco l’accademia come fosse un sol
uomo contro le riforme azzardate dal governo gialloverde. L’Ucpi mobilita i
professori e li trasforma in una schiera unita, pronta a scendere in campo.
(Fonte: ildubbio.news 24-11-18)
UNIVERSITÀ
IN ITALIA
POLIMI. CONTESTATO UN CONVEGNO SULL’AGRICOLTURA BIODINAMICA
La polemica sull’opportunità
di ospitare e organizzare un convegno su una pratica agricolo-esoterica
teorizzata un secolo fa dal filosofo Rudolf Steiner che, senza alcun fondamento
scientifico, ritiene di poter fertilizzare i campi attraverso i raggi cosmici
catturati dai corni di vacca riempiti di letame, è montata quando Elena
Cattaneo ha scritto al rettore del PoliMi Ferruccio Resta: “E’ sorprendente e
allarmante che in una sede scientifica così prestigiosa si scelga di ospitare,
figurandovi come ‘in collaborazione’, un ‘convegno sulla biodinamica’, vale a
dire una delle pratiche più antiscientifiche che esistano”. E ancora, sempre
rivolgendosi al rettore: “L’ateneo, i suoi ricercatori lo sanno? Concordano?
Queste modalità non sono altro che la punta dell’iceberg di una galassia di
persone e associazioni che, utilizzando luoghi e loghi ufficiali, compiono
quotidianamente un’opera di ‘parassitismo istituzionale’”. La lettera della
Cattaneo ha fatto molto rumore nel mondo scientifico. Sul tema è intervenuto
anche Giorgio Parisi, da poco eletto presidente dell’Accademia dei Lincei, che
nel discorso di apertura dell’anno accademico ha fatto un riferimento esplicito
alla vicenda. Parlando delle “forti tendenze antiscientifiche nella società
attuale” che si accompagna alla diffusione di “pratiche astrologiche,
omeopatiche e antiscientifiche. Addirittura una prestigiosa università italiana
è arrivata a ospitare un corso sulla agricoltura biodinamica, che è di poco
lontana dalla magia”. Come era stato anticipato dal Foglio, anche i professori
del Politecnico si sono mobilitati per tutelare l’immagine della propria
università: “Una della più importanti università tecniche in Europa non può
permettersi che circolino cose del genere, perché poi lasciano traccia – ha
detto al Foglio la scorsa settimana Ezio Puppin, docente di fisica al Poli -
Non possiamo permetterci di vedere affiancato il nostro nome al corno di vacca
che accumula l’energia cosmica. Sentir dire per strada che il Politecnico è
favorevole alla stregoneria è intollerabile”.
Un altro appello dello stesso
tenore è stato inviato dal matematico Nicola Bellomo, a nome del “Gruppo 2003”,
che raduna molti scienziati italiani highly cited: “Il Gruppo 2003 – ha scritto
Bellomo al rettore del Politecnico – ha appreso con sconcerto del Convegno che
il suo Ateneo ospita e che ha organizzato in collaborazione con l’Associazione
per l’agricoltura biodinamica. Ci stupisce che una sede prestigiosa della
scienza e della tecnologia italiana lasci spazio a pratiche esoteriche che
nulla hanno di scientifico”. Tuttavia il 16 novembre in Aula Magna Rogers è
iniziata la due giorni del convegno biodinamico e, contattato dal Foglio, il
Politecnico dice che non c’è alcun commento sull’arrivo del “cornoletamente” in
via Ampère. Nulla da dire, né ai giornali né ai propri professori. (Fonte: L.
Capone, Il Foglio 17-11-18)
UNIBO. L’ALMA MATER ATTRAE TALENTI DALL’ITALIA E
DALL’ESTERO
L’Alma Mater ha avviato da
tempo un’intensa attività di reclutamento destinata ad attrarre ricercatori e
docenti, tanto stranieri che italiani, provenienti da università estere.
Studiosi brillanti che arrivano o ritornano in Italia per fare ricerca e
insegnare all’Università di Bologna. Sono 47 le ricercatrici e i ricercatori
approdati all’Alma Mater dall’estero negli ultimi tre anni: un numero che
comprende 32 studiosi assunti per “chiamata diretta” e 15 vincitori di ERC, i
prestigiosi bandi europei che premiano i migliori progetti di ricerca su
tematiche di frontiera. Dati che confermano e rafforzano il prestigio
internazionale dell’Università di Bologna. Se aggiungiamo poi i 388 studiosi
assunti tramite concorso negli ultimi tre anni, il numero di ricercatrici e ricercatori
che hanno preso servizio all’Università di Bologna dal novembre 2015 ad oggi
sale fino a 435. (Fonte: www.sassuolo2000.it
19-11-18)
UNISI. INAUGURAZIONE DEL 778° ANNO ACCADEMICO
Si è tenuta il 24-11-18 all’Università
di Siena la cerimonia di inaugurazione del 778° Anno Accademico. Il rettore
Francesco Frati ha pronunciato la sua relazione, che è iniziata accennando alla
lunga storia e al ruolo dell’Ateneo: “un’Istituzione che da quasi otto secoli
contribuisce al prestigio, al successo e alla crescita sociale ed economica
della nostra città”. Ha poi presentato alcuni dati che definiscono l’Università
così come è oggi: “Con 720 docenti e 950 unità di personale tecnico e
amministrativo, l’Università di Siena ospita circa 16.000 studenti, cui si
aggiungono altri 2000 studenti iscritti ai corsi post laurea. Oltre il 50%
proviene da fuori regione e il 9% - stiamo parlando di quasi 1500 studenti
iscritti ai corsi di I e II livello - hanno cittadinanza straniera”. (Fonte:
oksiena)
UE.
ESTERO
EU. PLAN S FOR OPEN ACCESS IS FAR TOO RISKY, SAY RESEARCHERS
More than 700 researchers from
across Europe have signed an open letter criticising Plan S, a European plan
for open access that is supported by the European Union and some national
funding agencies. The researchers say the plan is “unfair for the scientists
involved and is too risky for science in general”. (Fonte: B. O'Malley, UWN
13-11-18)
GERMANIA. RECORD DEGLI ITALIANI NEGLI ATENEI. DISTACCATI I CINESI, GLI
AUSTRIACI E GLI INDIANI
Da sei anni, cioè dal 2012,
gli italiani rappresentano il gruppo più folto tra gli stranieri che lavorano
negli atenei tedeschi. Sono professionisti che insegnano o fanno ricerca.
Secondo quanto riportato da La Repubblica, nel 2016, erano 3.185 gli accademici
italiani a esercitare nelle università in Germania. Dietro di loro 2.615
cinesi, 2481 austriaci e 2.257 indiani. E, da quanto emerge dai dati di Daad e
dal Das Zentrum für Hochschul - und Wissenschaftsforschung (Dzhw, Centro di studi
accademici e scientifici), gli italiani sono ormai quasi il 7% dei 46mila
collaboratori e docenti universitari negli atenei della Germania. Ma non ci
sarebbero soltanto lavoratori tra queste percentuali, ma anche diversi
studenti. Che, in numeri sempre più alti, decidono di lasciare l'Italia per
raggiungere un luogo che sembra offrire prospettive decisamente diverse. Per il
Rapporto Migrantes sugli italiani nel mondo gli studenti che hanno conseguito
la maturità in Italia e decidono di iscriversi nelle università tedesche
sarebbero più che raddoppiati in sette anni. Nel 2010 se ne contavano 3.976 e 8.550
nel 2017. (Fonte: Rapporto Migrantes riportato da La Repubblica, novembre 2018)
UK. UNA MINORANZA VIOLENTA DECIDE CHI È CHE PUÒ PARLARE E CHI NO A OXFORD
Oxford si fregia del titolo di
produrre l'élite intellettuale del pianeta (lunga la lista di capi di stato,
diplomatici e re che hanno studiato in quest'ateneo), eppure c'è una minoranza
di studenti che impone con la forza la decisione su chi ha il diritto di
parlare, diritto che dovrebbe essere universale ed universalmente difeso. Se
c'è un personaggio con opinioni diverse da quelle di questa minoranza, questo
deve essere silenziato ad ogni costo, o facendo pressioni perché si cancelli
l'evento, come è recentemente successo al leader di Alternativ fur Deutschland
il cui invito alla Union è stato revocato, oppure impedendo l'accesso a
chiunque voglia ascoltare lo speaker in questione, come nel caso di Bannon. In
questo modo però il confronto pubblico tra opinioni diverse viene meno e con
esso si incoraggia il tribalismo, ovvero sentire ed ascoltare solo chi la pensa
esattamente come noi per avere una implicita conferma delle nostre opinioni. Ma
qualcosa di più sinistro è andato in scena ad Oxford con il restringimento
della platea all'evento di Bannon: un po' di democrazia è morta perché si è
ristretta la libertà di chi ha voluto (ma non ha potuto) ascoltare le opinioni
politiche di un'altra persona. (Fonte: M. Sisti, ItaliaOggi 20-11-18)
CINA. SCIENCE NEEDS TO REGAIN CONTROL OVER GENE EDITING TECHNOLOGY
The news that a scientist in
China had edited the genes of embryos, which have now been born, sent
shockwaves around the world. Scientists lined up to condemn the actions of He
Jiankui – an associate professor at the Southern University of Science and
Technology in Shenzhen – as unethical and dangerous, and are now contemplating
what happens next. Ellie Bothwell reports that academics have said science
needs to regain control over gene editing technology. One researcher warns that
it is not for scientists alone to prevent this kind of case, while another
fears that the case will “lead to many to call for outright bans” on the
development of genome editing. Another points out that while what he did was
illegal, Dr He’s behaviour is impossible to prevent when “fame, glory and
money” are involved. (Fonte: THE 03-12-18)
LIBRI.
RAPPORTI. SAGGI
ARMI DI DISTRUZIONE MATEMATICA
Autore: Cathy O’Neill, ed.
Bompiani, 2018. Pg. 368.
L’autrice è una matematica,
con dottorato ad Harvard e postdottorato al Mit, che ha insegnato al Barnard
College di New York, prima di passare a lavorare nel settore finanziario
privato come analista quantitativa per l’hedge fund D.E. Shaw e poi come Data
Scientist per diverse start-up dell’e-commerce. Il libro è una denuncia
dell’uso di questo sapere per costruire quelle che l’autrice chiama “armi di
distruzione di massa”. Un linguaggio costruttivo e dalle potenzialità infinite.
Lungi dall'essere modelli matematici oggettivi e trasparenti, gli algoritmi che
ormai dominano la nostra quotidianità iperconnessa sono spesso vere e proprie
"armi di distruzione matematica": non tengono conto di variabili
fondamentali, incorporano pregiudizi e se sbagliano non offrono possibilità di
appello. Queste armi pericolose giudicano insegnanti e studenti, vagliano curricoli,
stabiliscono se concedere o negare prestiti, valutano l'operato dei lavoratori,
influenzano gli elettori, monitorano la nostra salute. Basandosi su case
studies nei campi più disparati ma che appartengono alla vita di ognuno di noi,
O'Neil espone i rischi della discriminazione algoritmica a favore di modelli
matematici più equi ed etici. Perché rivestire i pregiudizi di un'apparenza
statistica non li rende meno pregiudizi.
Un esempio calzante è quello
dei ranking delle università. Ogni famiglia, dovendo scegliere l’università per
i propri figli, s’informa su quale faccia al caso suo: un tempo avrebbe chiesto
ad amici informati, magari docenti, o si sarebbe affidata alla “voce” popolare.
Ma poi si è pensato: perché non usare la matematica per rendere la ricerca più
rapida e meno aleatoria? Così ha pensato il giornale americano “U.S. News”, che
ha cominciato a pubblicare una graduatoria delle migliori università. Per
farlo, naturalmente, ha identificato degli indici di qualità, ne ha stabilito
il peso e ha attribuito una valutazione a ciascun ateneo: come abbiamo detto,
un processo nient’affatto oggettivo. Questo meccanismo naturalmente può avere
anche affetti positivi, perché costringe le università a migliorare, ma ha due
effetti assai negativi: la costruzione di uno standard omologante, perché la
popolarità della graduatoria ha costretto le università ad adeguare la loro
offerta agli indici di qualità stabiliti da “U.S.News” (anche mentendo); l’orientamento
delle risorse verso chi si è adeguato agli standard e l’asfissia delle realtà
che seguono altri modelli.
Ancor più disastrosi gli usi
in campo finanziario o giuridico: algoritmi che decidono chi possa usufruire di
pene più leggere o di misure alternative al carcere.
Il libro di Cathy O’Neill non
è un invito a rinunciare al potere descrittivo e ‘modellizzante’ della
matematica, ma a riconoscere il suo enorme potere, i suoi usi nefasti se non
addirittura fraudolenti, per poterne così chiedere un uso corretto e legittimo.
(Fonte: R. Paone, laletteraturaenoi 10-10-18)
“I «PESCI», IL «PAVONE» E L’‘ARTE’ DI ‘VALUTARE’ LA ‘QUALITÀ’ DELLA
RICERCA SCIENTIFICA
Autore: Enrico Mauro, Palaver,
5 n.s. (2016), n. 1, , pp. 221-222. https://tinyurl.com/ycl2gtet .
Being in service of the
meritocratic dogma, the evaluative liturgy is by now so deep-rooted that often
we cannot really appreciate how and how much the freedom of science and
teaching is reduced and altered by those rituals. The new public management
techniques for the ‘assessment’ of the research ‘quality’, based on a naive,
childish trust in the objectivity of numbers, of numerical aims and indexes,
make it impossible to discuss quality in qualitative terms. Only what can be
numbered, standardized is considered scientific. What cannot be understood in
these terms is considered irrelevant and so expelled from the scope of what is
scientifically knowable. These way
we cannot know just that
qualitative nuance, that decisive «almost-nothing» which makes it incomparable,
inimitable, irreplaceable, unclassifiable a person or a thing, a process or a
product, an event or a phenomenon. (Fonte: abstract del saggio)
LA RICERCA SCIENTIFICA NELL’ERA DEI BIG DATA
Cinque modi in cui i Big Data danneggiano la scienza, e come salvarla
Autore: Sabina Leonelli. Ed.
Meltemi Press, 2018.
L’affidabilità e la
legittimità della ricerca scientifica, e della conoscenza che ne viene tratta,
è più che mai in discussione in Europa e negli Stati Uniti. Allo stesso tempo,
stiamo assistendo a una vertiginosa innovazione tecnologica nella produzione,
comunicazione e analisi dei dati usati per scopi scientifici, accompagnata da
un’enfasi crescente sul ruolo dell’intelligenza artificiale nell’interpretare i
dati e nel facilitare la produzione di conoscenza. Il libro esamina queste
tendenze apparentemente opposte, esamina la storia e l’epistemologia dei dati
scientifici e mostra come l’adozione dei Big Data pone tante opportunità quanti
rischi per la credibilità e la qualità del sapere scientifico che viene
prodotto. I rischi possono essere evitati tramite l’integrazione dell’etica nel
lavoro scientifico e la riforma della partecipazione sociale nella produzione,
gestione e interpretazione dei dati. (Fonte: presentazione dell’editore)
THE EVALUATION OF RESEARCH IN SOCIAL SCIENCES AND HUMANITIES
Lessons from the Italian Experience
A cura di Andrea Bonaccorsi.
Springer 2018. Formato Kindle. Dimensioni
file: 2584 KB.
Lunghezza stampa: 416.
This book examines very
important issues in research evaluation in the Social Sciences and Humanities.
It is based on recent experiences carried out in Italy (2011-2015) in the
fields of research assessment, peer review, journal classification, and
construction of indicators, and presents a systematic review of theoretical
issues influencing the evaluation of Social Sciences and Humanities. Several
chapters analyse original data made available through research assessment
exercises. Other chapters are the result of dedicated and independent research
carried out in 2014-2015 aimed at addressing some of the debated and open
issues, for example in the evaluation of books, the use of Library Catalog Analysis
or Google Scholar, the definition of research quality criteria on
internationalization, as well as opening the way to innovative indicators. The
book is therefore a timely and important contribution to the international
debate. (Fonte: www.amazon.it)
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