IN EVIDENZA
U-MULTIRANK. LE UNIVERSITÀ ITALIANE SONO TRA LE
MIGLIORI AL MONDO NEL SETTORE DELLA RICERCA
A sancire
l’ottima performance degli atenei nostrani è la classifica appena pubblicata
dalla piattaforma europea U-Multirank, strumento voluto e finanziato
dall’Unione Europea per mettere a confronto le istituzioni accademiche di tutto
il mondo e fornire ai futuri studenti universitari tutte le coordinate per
scegliere l’università più in linea con le proprie aspirazioni. Il sistema
utilizzato da U-Multirank è molto complesso: gli Atenei sono analizzati su un
massimo di 30 indicatori su 5 aree (insegnamento e apprendimento,
coinvolgimento dei territori, trasferimento delle conoscenze,
internazionalizzazione e ricerca); per ciascuno è fornita una valutazione
basata su una scala semplificata che utilizza le prime 5 lettere dell’alfabeto
per assegnare un giudizio sullo specifico aspetto analizzato (così che A
corrisponde a “molto buono”, mentre E significa “debole”).
In
totale, per l’edizione 2016 della classifica, sono state censite oltre 1.300
università (di cui 44 italiane) provenienti da più di 90 Paesi in tutto il
mondo.
Per
quanto riguarda gli Atenei italiani, in particolare nel settore della ricerca,
dominato dai soliti big americani, inglesi e del sud est asiatico, le
università italiane si distinguono con alti livelli di performance: l’IMT di
Lucca e il Politecnico di Bari ottengono ben 5 “A” (basti pensare che il MIT di
Boston domina la classifica con 6 “A”), e ben 3 “A” sono assegnate anche a
Bocconi, Politecnico di Milano e Università di Trento. In generale, poi, questi
stessi atenei ottengono valutazioni di alto livello anche incrociando gli altri
indicatori a disposizione in U-Multirank.
Altre 10
le classifiche “ready made” diffuse da U-Multirank per il 2016: se nella
classifica per le università con il maggior numero di citazioni nelle
pubblicazioni scientifiche e in quella per il volume complessivo di
pubblicazioni non compare nessun ateneo italiano, i nostri atenei si fanno
valere nel ranking dedicato all’indicatore di pubblicazioni interdisciplinari,
dove troviamo la telematica UniMarconi e l’Università di Camerino nel top 25;
l’università telematica, inoltre, compare anche nella classifica delle migliori
25 per pubblicazioni realizzate con un co-autore straniero e per le
collaborazioni con un “partner” residente in un raggio di 50 chilometri. Per
l’educazione a esterni, di nuovo la Bocconi, l’Università per Stranieri di
Siena e la Seconda Università di Napoli occupano parte del top 25. Si veda anche
http://www.umultirank.org/cms/wp-content/uploads/2016/04/UMR-Top-25-Performers-Lists_2016.pdf (Fonte: http://tinyurl.com/zfrl354
05-04-16)
APRIRE UNA STAGIONE DI CONFRONTO GIUDIZIARIO SUI
TEMI DELL’UNIVERSITÀ?
Si parla
di rilanciare l’idea di aprire una stagione di confronto giudiziario sui temi
dell’università. In realtà la stagione è già aperta da tempo, con esiti
contrastanti. I contenziosi sugli statuti si sono fermati, nella maggior parte
dei casi, alle decisioni cautelari con acquiescenza delle università ai
tentativi (andati a buon fine) ministeriali di imporre una lettura
centralistica (in questo senso gentiliana) dell’autonomia come mero
decentramento; in altri casi, invece, si è pervenuti alle decisioni di merito
con affermazioni (ancora una volta gentiliane) del primato del ministero
sull’autonomia delle università. La fase del controllo dell’esercizio delle
funzioni abilitative (a prescindere dalla rilevanza di errori di singole
commissioni) ha esplicitato le incongruenze della commistione tra sistemi di
misurazione e sistemi di valutazione. Si è anche esplicitata una grave carenza
nell’elaborazione delle norme, sfociata nell’annullamento del Regolamento per
la parte che individua la maggioranza abilitativa dei 4/5 dei commissari. Siamo
ancora in attesa di sapere quale rimedio intenda adottare il Ministero per
rendere giustizia a tutti coloro che sono stati dichiarati inabilitati in forza
di una norma illegittima. Il Regolamento che verrà non sembra che potrà
risolvere il grave problema della commistione fra misurazione (con metri
improbabili) e valutazione. Sembra, se abbiamo capito bene dalle notizie che
circolano, che si verrà ad istituire un ‘filtro’ all’accesso alle abilitazioni
di incerta legittimità. La via giudiziaria non è stata pensata per le
correzioni di sistema, ma per la correzione delle singole deviazioni. Il
problema drammatico è costituito dall’accumulo di tante singole deviazioni da
costituire un sistema deviato. Quest’ultima considerazione, tuttavia, non
impedisce di immaginare che un sistema di ricorsi diffusi alla giustizia non
sia, alla fine, l’unica possibile (per quanto virulenta) reazione di difesa
immunitaria. Se i singoli presìdi di tutela dell’integrità del sistema
universitario non sono in grado di reagire, sarà necessario adottare terapie di
intervento esterno. (G. Vecchio, http://tinyurl.com/jjbo8ue 12-04-16)
MEDICINA: ABOLIRE IL TEST D’INGRESSO E ADOTTARE IL “SISTEMA FRANCESE” (OGGI RITENUTO SENZA
FONDAMENTO LEGALE IN FRANCIA)?
In merito
alle voci che si rincorrono circa l’abolizione del test d’ingresso al corso di
laurea in Medicina e Chirurgia per
adottare il “sistema francese” di selezione, voglio
esprimere la piena contrarietà dei Giovani Medici CISL. (Il c.d. sistema
francese è oggi considerato senza fondamento legale in Francia stessa dal
Cneser, Conseil national de l'enseignement supérieur et de la recherche. PSM).
I motivi sono già noti a chi si occupa della questione: il problema non
verrebbe risolto ma semplicemente rimandato di un anno; a quel punto gli
aspiranti camici bianchi saranno comunque selezionati e alcuni di loro verranno
esclusi. Inoltre questa “riforma” comporterebbe un notevole sforzo economico
per organizzare questo primo anno di corso senza test di accesso che vedrebbe
un grandissimo numero di iscritti. Riteniamo semmai doveroso spendere energie e
risorse per evitare contenziosi e ricorsi garantendo la regolarità del test di
accesso in tutte le sedi. Il test, sebbene per alcuni possa rappresentare un
ostacolo invalicabile, è necessario per garantire una formazione di qualità e
un futuro lavorativo ai giovani medici. (Fonte: M. Petrini, www.quotidianosanita.it
29-04-16)
ELENA CATTANEO: PERCHÈ UN’AGENZIA NAZIONALE PER LA
RICERCA
Un’Agenzia
nazionale per la ricerca, oltre a rimuovere frammentazioni e unificare
obiettivi, sarebbe anche garanzia di valutazione. Quella stessa Agenzia di cui
si discute da anni in Italia, da quando la propose il Gruppo 2003, e sulla cui
necessità la comunità scientifica del Paese è pressoché unanime. Nulla di
eversivo, si tratta di mutuare un modello che riecheggi ad esempio l'Anep
spagnola, l'Anr francese o l'Epsrc per ingegneria e fisica e il Bbsrc per
biologia e biotecnologia attive in Inghilterra. Un ente che onori e dia seguito
al mandato di investimento in ricerca che arriva da Parlamento e governo e che
si strutturi in modo da stabilire, rafforzare, riformare (per migliorare)
continuativamente regole e procedure. Un ente che stabilisca date certe di
avvio e chiusura dei bandi, che uniformi i criteri di valutazione dei progetti
e di assegnazione dei finanziamenti, che prevenga i rischi di condizionamento
politico o da parte di "gruppi di influenza" sulla distribuzione
delle risorse. Un ente, cioè, che abolisca personalismi e centri di potere,
impedisca agli scienziati che stanno in commissioni che selezionano progetti di
finanziare se stessi o i loro affiliati, che annulli la convinzione di molti
giovani che se "non sei amico di" non avrai il finanziamento,
"se denunci" sarai escluso, se taci “spartirai la torta". È
incomprensibile che un ministero definisca l'ipotesi di un’Agenzia che
contrasti tutto ciò «un nuovo carrozzone incapace di risolvere i problemi».
Insieme all'Italia, in Europa sono solo la Polonia e il Montenegro e pochi
altri che insistono a finanziare la ricerca senza un'agenzia dedicata. Il
ministero non sembra cogliere, infatti, che si tratterebbe di creare un ente
terzo e indipendente dalla politica e da cordate scientifiche o imprenditoriali
che instaurano soffocanti dinastie di controllo dei flussi di denaro,
rallentano l'innovazione e ostacolano l'eccellenza. Ci vuole un ente che
stabilisca date certe dei bandi, che uniformi i criteri di valutazione, e che
abolisca personalismi e centri di potere. (Fonte: E. Cattaneo, La Repubblica 29-04-16)
PIANO NAZIONALE DELLA RICERCA. COME SARANNO DISTRIBUITE
LE RISORSE E DA DOVE PROVENGONO
La
distribuzione del totale delle risorse - pari a 2 miliardi 428,6 milioni - sarà
fatta nel modo seguente: il 42% andrà al capitolo capitale umano, il 14% alle
infrastrutture di ricerca, il 20% alla cooperazione pubblico-privato e alla
ricerca industriale, il 18% alla ricerca nel Mezzogiorno, il 5%
all’internazionalizzazione e, infine, l’1% alla `quality spending´. Il Piano
nazionale della ricerca (PNR) prevede il reclutamento di seimila giovani in più
nel sistema, fra dottorati e ricercatori, nel quinquennio del Piano. La
responsabile del dicastero di viale Trastevere ha precisato che «2.700 di
questi giovani saranno presi già nel primo triennio» e che «entro l’estate di
quest’anno usciranno i bandi per la creazione di queste nuove posizioni, per le
quali la prima assegnazione delle risorse finanziarie avverrà in autunno». Per
le infrastrutture, i bandi usciranno dopo l’estate perché è necessario un
raccordo con le Regioni e dunque serve un passaggio con la Conferenza in tempi
rapidi, per poter elargire i primi fondi tra la fine del 2016 e l’inizio del
2017. (Fonte: www.corriere.it/scuola/universita
02-05-16)
Un
commento al PNR: In sostanza dei 2 miliardi e 428 milioni, 1,9 miliardi di euro
sono a carico del bilancio del MIUR e del PON ricerca e i 500 milioni di euro
arrivano dal FSC 2014-2020. Quindi in sostanza erano già stati stanziati. In
effetti, il PNR non fa che reindirizzare risorse già previste nell’ambito della
programmazione e della distribuzione dei fondi europei e nazionali: ma per
arrivare ai 2,438 miliardi del PNR 2016-2017-2018, è stato «dirottato» mezzo
miliardo in più dal Fondo sviluppo e coesione (FSC) che va a finanziare
sostanzialmente programmi di attrazione dei ricercatori. (Fonte 02-05-16):
UNA «NO TAX AREA» PER LE UNIVERSITÀ
La no tax
area (proposta allo studio del governo) dovrebbe riguardare un limite di
reddito al di sotto del quale gli studenti (e le loro famiglie) non dovranno
pagare tasse e rette per frequentare i corsi. A patto, però, di superare un
numero minimo di esami e non finire nella lista degli «inattivi», termine burocratico
per fannulloni. È questo il progetto sul tavolo del governo, accennato due
giorni fa dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che si è detto «pronto a
intervenire sulle tasse universitarie». Il tetto massimo al di sotto di quale
soglia non si pagherebbero le tasse? Al momento si ragiona su una soglia
compresa fra i 13 mila e i 15 mila euro come valore Isee, l’indicatore che
misura la ricchezza di tutto il nucleo familiare dello studente, tenendo conto
non solo del reddito ma anche delle case e degli investimenti, compresi i soldi
in banca. La decisione finale, però, non è stata ancora presa. Tutto dipende da
quante risorse il governo vuole investire nella partita per compensare le
minori tasse che, con questo meccanismo, ogni ateneo incasserebbe.
Un’università con molti studenti sotto un Isee di 15 mila euro, infatti,
potrebbe non riuscire a far quadrare i conti. Per questo sarebbe necessario un
trasferimento aggiuntivo da parte dello Stato, un tot per ogni studente esente
iscritto. Il bonus, in ogni caso, sarebbe legato al profitto: per gli studenti
dal secondo anno in poi sarebbe necessario aver superato nell’anno precedente
un numero minimo di esami, o aver incassato un minimo di crediti formativi, la
formula che valuta il peso di ogni singolo corso. Probabilmente due esami o una
decina di crediti formativi, ma su questo punto il lavoro è davvero all’inizio.
Per le matricole, cioè i nuovi iscritti, le tasse resterebbero sospese fino
alla fine del primo anno di corso. Per poi verificare il rispetto del parametro
prima del passaggio al secondo anno.
(Fonte: www.corriere.it/economia
05-05-16)
FONDO DI FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO) 2016.
DECRETO DI RIPARTO. AUMENTA LA QUOTA PREMIALE
Nel decreto
di riparto del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) 2016, inviato ieri ai
rettori della CRUI e al CUN per i pareri di rito, il MIUR stanzia 6,921
miliardi - praticamente le stesse risorse del 2015 – e vi inserisce delle
novità. Trovano subito spazio alcune delle attese misure previste dal PNR, il
Piano nazionale della ricerca, varato dal Cip e nei giorni scorsi (2,5 miliardi
in 3 anni): il provvedimento, infatti, prevede che almeno il 60% dei 135
milioni destinati a finanziare le borse post lauream sia riservato al lancio
dei «dottorati innovativi» previsti dal PNR per favorire il dialogo tra mondo
accademico e produttivo. Ma il decreto sul FFO 2016 fa crescere anche la quota
di fondi che sono distribuiti in base ai risultati e alle performance dei
singoli atenei che sale a 3 miliardi (erano 2,6 nel 2015) sui 6,9 totali. In
particolare aumenta il peso del costo
standard – il "prezzo giusto" per ogni ateneo calcolato
attraverso il numero degli studenti in corso e quello delle cattedre presenti -
che quest'anno passa dal 25 al 30% (1,4 miliardi) dei 4,58 miliardi di quota
base distribuita in base alla spesa storica. Ma cresce anche la cosiddetta quota premiale distribuita in base ai
risultati nella ricerca e nella didattica che passa da 1,385 miliardi del 2015
a 1,6 miliardi di quest'anno. Anche se in quest'ultima cifra rientrano anche i
fondi destinati ai cosiddetti interventi "perequativi" necessari per
non penalizzare troppo alcuni atenei: la bozza di decreto prevede, infatti, che
ogni università non perda più del 2,5% della quota che le era stata assegnata
nel 2015 (era il 2% nel 2015).
Rispetto
al 2015, aumentano gli stanziamenti - da 122,9 milioni a oltre 135 - per i
dottorati e le borse post lauream. In particolare, il 60% del budget dovrà
essere utilizzato dagli atenei nel rispetto delle priorità del PNR. Così come,
sempre in linea con il PNR, il 10% dei 59 milioni del Fondo Giovani dovrà servire ad incentivare la mobilità
internazionale dei dottorandi. Sono confermati i 5 milioni per il bando Montalcini, destinato al rientro
di studiosi dall'estero. Viene poi rinnovato un significativo cofinanziamento
(10 milioni di euro) per chiamate dirette,
nuovi ricercatori di tipo B e
incentivi alla mobilità dei docenti.
Quest'anno
nel Dm di riparto non compaiono però i criteri con cui dividere la torta della
quota premiale: sarà un successivo decreto a farlo anche in base al nuovo round
di valutazione della qualità della ricerca che l'Anvur sta per completare nelle
prossime settimane. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 07-05-16; il
quotidianodellapa.it 08-05-16)
NOVITÀ NELLA PROGRAMMAZIONE DEL SISTEMA
UNIVERSITARIO 2016-2018
Il
ministro Giannini, oltre al decreto sul FFO, ha anche deciso di aiutare gli
atenei nella pianificazione indicando subito alcune novità di peso in un altro
decreto - inviato ai rettori insieme a quello del FFO - che riguarda la
programmazione del sistema universitario 2016-2018. La nuova Programmazione
triennale del sistema universitario - con le linee di indirizzo per il triennio
2016-2018 - che contiene tre importanti novità.
La prima.
Dal 2017 il 20% della quota premiale del Fondo per le università sarà ripartito
in base a indicatori scelti dagli stessi atenei tra quelli forniti dal Miur, in
modo che ciascuno di essi possa scommettere sulle proprie strategie di
sviluppo. Per favorire l'autonomia degli atenei dal 2017 si interviene proprio
sui criteri con cui si mettono a punto le "pagelle" che decidono la
distribuzione - spesso contestata - dell'ambita quota premiale. Per rimettere
un po' in gioco il sistema e non premiare sempre gli atenei più forti nella
ricerca ci sarà un nuovo meccanismo che distribuirà il 20% della quota premiale
consentendo a ogni università di scegliere autonomamente 2 indicatori su cui
essere valutati scelti da un paniere indicato dal Miur. Di ciascun indicatore
saranno considerati sia il valore nell'anno di riferimento (peso 3/5) sia il
miglioramento rispetto all'anno precedente (peso 2/5).
La
seconda. Nel decreto sulla Programmazione triennale si rafforzano e si
semplificano le possibilità di reclutamento dei vincitori di programmi ERC, che
potranno essere chiamati dalle università sia come ricercatori che come
professori universitari. La terza. Il decreto sulla programmazione prevede
anche maggiore flessibilità sull'offerta formativa per un numero limitato di
corsi (al massimo il 10%), dando la possibilità di rendere i corsi più
innovativi e vicini al mondo del lavoro. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 07-05-16; il
quotidianodellapa.it 08-05-16)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
ASN. PARERE DEL CONSIGLIO DI
STATO
Il Consiglio di Stato ha espresso il parere 141 del 27 gennaio 2016
sullo «Schema di decreto ministeriale: “Regolamento recante criteri e parametri
per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione
scientifica nazionale e per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei
professori universitari, nonché le modalità di accertamento della qualificazione
dei Commissari, ai sensi dell’articolo 16, comma 3, lettere a), b) e c) della
legge 30 dicembre 2010, n. 240, e successive modifiche, e degli articoli 4 e 6,
commi 4 e 5, del decreto del Presidente della Repubblica….2015, n….”». Il testo
dello schema di Decreto Ministeriale non è noto (versioni già in circolazione
da qualche mese potrebbero non essere affidabili). Al di là delle innovazioni
procedurali introdotte dal DPR in corso di pubblicazione, l’elemento più
rilevante della nuova disciplina in corso di emanazione è costituito dalle
indicazioni relative al contenuto della valutazione abilitativa ed ai criteri
di attribuzione della stessa. Il passaggio più problematico individuato dal
parere 141/2016 è certamente costituito dalle considerazioni sulla possibilità
di inserire ‘soglie’ di accesso alle valutazioni. Tale possibilità è prevista
dall’art. 4, c. 2 dello schema di DPR in corso di pubblicazione e sarà attuata
con un ‘successivo’ (ovviamente ulteriore e diverso rispetto a quello oggetto di
parere) decreto ministeriale. La Relazione sottolinea che la valutazione sulla
continuità della produzione scientifica e sulla rilevanza della stessa
all’interno del settore concorsuale, prima elencate tra i parametri di
valutazione, sono state più correttamente inserite tra i criteri di
valutazione. (Fonte: G. Vecchio, http://www.roars.it/online/dopo-il-consiglio-di-stato-lasn-che-verra/
19-03-16)
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
UNIVERSITÀ. LE MIGLIORI DEL MONDO SECONDO IL THE
Il
settimanale britannico Times Higher Education ha reso nota l’annuale classifica
dei 200 atenei migliori al mondo per reputazione e prestigio. Il periodico,
specializzato nel campo universitario e dell’istruzione superiore, tanto da
esser considerata la pubblicazione di riferimento nel Regno Unito, ha
declassato entrambe le famose università inglesi di Cambridge e Oxford di una
posizione, giungendo così rispettivamente al quarto e quinto posto. La
retrocessione di Oxbridge, Oxford e Cambridge, è stato il cambiamento rilevante
nella top ten dei migliori atenei, che vede in prima posizione ormai da anni la
statunitense Harvard University, seguita dal Massachusetts Istitute of
Technology e da Stanford University. Secondo la classifica, otto dei migliori
dieci atenei del mondo sono statunitensi, mentre sono solo tre le italiane
presenti, ovvero la Scuola Normale Superiore di Pisa, in 112esima posizione, la
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, 130esima, e infine l’Università di Trento
198esima. La metodologia adottata per stilare la graduatoria comprende
molteplici parametri, tra i quali la qualità dell’insegnamento, il collegamento
con le imprese, il prestigio internazionale, le citazioni, i titoli prodotti e
la ricerca. Il Times Higher Education pubblica anche una classifica simile
comprendendo le 200 migliori università europee, in questo caso la Scuola
Normale Superiore di Pisa e la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa si trovano
rispettivamente alla 50esima e alla 90esima posizione. La terza università
italiana citata anche nella classifica mondiale, l’Università di Trento, è qui
al 110° posto. In generale nel ranking europeo delle migliori 200, sono 19 le
università italiane presenti. (Fonte: www.t-mag.it 05-05-16)
I MIGLIORI ATENEI DEL MONDO IN
42 DISCIPLINE. DUE MILANESI NELLA TOP TEN. UNIBO È LA PIÙ RAPPRESENTATA,
CLASSIFICANDOSI IN 33 DISCIPLINE SU 42
La sesta edizione dei QS World
university rankings per materie (topuniversities.com) analizza il
valore della formazione agli studenti in 42 discipline. Per realizzare la
classifica sono stati interpellati 76.798 accademici e 44.426 datori di lavoro.
Hanno espresso la loro opinione su quali siano i migliori atenei nelle 42
discipline e sono stati analizzati 28,5 milioni di working paper di ricerca e
più di 113 milioni di citazioni tratte dal database Scopus/Elsevier sugli
articoli di pubblicazioni riguardanti la ricerca.
Harvard e il MIT dominano a livello internazionale, primeggiando in 24
discipline e ottenendo il primo posto in dodici discipline ciascuna.
In totale sono stati classificati 34 Atenei italiani. Il risultato più
alto raggiunto dall'Italia è milanese. Il Politecnico di Milano con Arte &
Design e la Bocconi con Studi in Business & Management sono nel top ten. Ma
la Bocconi è anche 17esima per Economia e 28esima per Contabilità &
Finanza, mentre il Politecnico di Milano si posiziona anche al 14esimo posto
per Ingegneria civile, al 15esimo posto per Architettura e al 18esimo per
Ingegneria meccanica. Inoltre, ottiene altri due piazzamenti tra i top 50 in
Ingegneria elettronica (43esimo) e Scienza computazionale (48esimo) oltre ad
altri sette piazzamenti nel ranking. L'università degli studi di Milano si
piazza al 47° posto per i suoi corsi di Medicina Veterinaria, ma nella
classifica figurano anche l'università Vita-Salute San Raffaele e
Milano-Bicocca. Ottengono piazzamenti tra le prime 50 al mondo anche il
Politecnico di Torino e l'European University Institute di Fiesole. La Sapienza
di Roma si classifica in 31 delle 42 discipline, ottenendo il miglior risultato
in Archeologia (15esima al mondo) e in Fisica e Astronomia (32esimo). L’Alma
Mater Sudiorum – Università di Bologna è la più rappresentata, classificandosi
in 33 discipline su 42. Il suo miglior risultato è il 36° posto in Archeologia
seguito dal 48° posto in Medicina Veterinaria. Tra le altre università italiane
che ottengono piazzamenti tra le prime 50 al mondo ci sono anche il Politecnico
di Torino, 37° per Ingegneria Civile, 40° per Ingegneria Elettronica e 50° per
Architettura, l'European University Institute é 44° per Scienze Politiche &
Studi Internazionali. (Fonte: La Repubblica 22-03-16)
RAPPORTO CENSIS 2015-2016 SUGLI ATENEI ITALIANI
Cinque i criteri su cui si è basata
la valutazione: servizi, borse di studio e contributi, strutture, web,
internazionalizzazione. Catania si posiziona decima su undici università nella
classifica dei mega atenei (oltre i quaranta mila iscritti), mantenendo la stessa
postazione dell’anno scorso. Tre passi in avanti invece per Palermo che balza
dall’ottavo posto al quinto ed è l’unica siciliana tra le prime sei
classificate. Al primo posto Bologna, seguita da Padova e Firenze. Nella
classifica dei grandi atenei invece (tra i ventimila e i quarantamila
iscritti), guadagna due punti anche Messina, ma rimane undicesima su quindici.
Al primo posto Perugia, seguita da Pavia, mentre il terzo posto rimane in zona
Sud con l’ateneo calabrese. (Fonte: www.blogtaormina.it 29-03-16)
UNIBOCCONI. L’ATENEO DI VIA
SARFATTI NELLE TOP 10 EUROPEE IN TUTTE LE CLASSIFICHE IN CUI È PRESENTE
Il QS World University Rankings by Subject 2016 vede la Bocconi
collocarsi al 10° posto nel mondo e al 6° in Europa nell’area di business e
management, al 17° posto al mondo e al 5° in Europa nella classifica per
economia ed econometria e al 27° posto al mondo, e al 7° in Europa, in quella
per finanza e accounting. Il ranking elaborato da QS, il network internazionale
dedicato alla formazione e alle professioni, comprende 42 classifiche divise
per singole materie. Complessivamente sono state valutate circa 4.225
università di cui 945 sono poi entrate nelle classifiche. Il ranking viene
costruito sulla base di quattro parametri: la reputazione accademica basata
sull’opinione dei professori, la reputazione tra le aziende (basata
sull’opinione dei recruiter), le citazioni per paper e l’H-Index, che
quantifica la prolificità e l'impatto delle pubblicazioni scientifiche. (Fonte: www.viasarfatti25.unibocconi.it
22-03-16)
LE DIECI UNIVERSITÀ PIÙ PRESTIGIOSE IN EUROPA PER
UNA CARRIERA NELLA FINANZA
1 – London School
of Economics and Political Science
2 –
Oxford
3 –
Università di Cambridge
4 –
London Business School
5 –
Università di Manchester
6 –
Insead
7 –
Università Commerciale Luigi Bocconi
8 – Hec
Paris School of Management
9 – Copenhagen
Business School
10 - Università di
Warwick.
(Fonte: www.panorama.it 22-04-16)
DOCENTI
COME
STA CAMBIANDO IL PERSONALE DOCENTE NELLE UNIVERSITÀ
In un articolo di cui si riportano passi
significativi E. Pavolini e G. Viesti riflettono sulle politiche di
reclutamento con dati di rilievo.
L’apporto dei ricercatori a tempo determinato
appare rilevante: il 6,6 per cento del totale al 2015. È difficile, però,
comprendere quale sia e, soprattutto, quale sarà il loro percorso di carriera.
La tabella presenta dati relativi alla situazione nel 2015 di coloro che erano
ricercatori a tempo determinato sette anni prima (nel 2008). Nell’arco di
questo periodo oltre la metà è uscita dal sistema (perché trasferitasi
all’estero o in un altro settore del mercato del lavoro): l’università italiana
investe una discreta mole di risorse in (giovani) studiosi, che dopo alcuni
anni la lasciano. Meno della metà è rimasta all’interno: alcuni nella stessa
posizione, altri con progressione di carriera.
Tabella
– Collocazione lavorativa a sette anni di distanza (2015) dei ricercatori a
tempo determinato presenti negli atenei italiani nel 2008 (valori percentuali)

Fonte: “Università
in declino” (2016): elaborazioni su banca dati Miur sull’organico dei
ricercatori a tempo determinato.
Nello stesso periodo 2000-2015, il numero di
studenti per docente si è lievemente ridotto, pur restando molto superiore agli
altri principali paesi europei: anche in questo caso, vi è stato un
miglioramento nei primi anni e un peggioramento successivo. L’andamento
numerico nasconde un preoccupante fenomeno di invecchiamento del corpo docente,
molto accentuato nel caso italiano rispetto ad altri paesi occidentali.
Nel 2014 l’età media dei docenti era pari a poco più di 52 anni e uno su quattro aveva almeno 60 anni. È il risultato di due fenomeni: i) il sostanziale blocco di nuove assunzioni degli ultimi anni, che ha allungato molto i tempi di entrata (per cui si è alzata l’età media di coloro che diventano docenti); ii) la circostanza per la quale il reclutamento dei docenti ha seguito in passato un andamento “a scatti”. Vi sono stati decenni in cui le porte delle università si sono aperte più facilmente, mentre in altri lo hanno fatto assai meno; i sessantenni di oggi hanno beneficiato della prima grande apertura in senso più universalistico dell’università italiana negli anni Settanta fino alla prima parte degli anni Ottanta.
Se si guarda ai professori associati e ordinari (ancor più se solo a questi ultimi), il processo di invecchiamento si delinea chiaramente. L’intera distribuzione per fasce di età si sposta come un’onda verso le classi più mature, con picchi molto elevati proprio fra coloro che hanno raggiunto i 65 anni. Nel 2014 vi erano circa 4.400 docenti con meno di 40 anni per circa 13mila docenti sessantenni.
Nel 2014 l’età media dei docenti era pari a poco più di 52 anni e uno su quattro aveva almeno 60 anni. È il risultato di due fenomeni: i) il sostanziale blocco di nuove assunzioni degli ultimi anni, che ha allungato molto i tempi di entrata (per cui si è alzata l’età media di coloro che diventano docenti); ii) la circostanza per la quale il reclutamento dei docenti ha seguito in passato un andamento “a scatti”. Vi sono stati decenni in cui le porte delle università si sono aperte più facilmente, mentre in altri lo hanno fatto assai meno; i sessantenni di oggi hanno beneficiato della prima grande apertura in senso più universalistico dell’università italiana negli anni Settanta fino alla prima parte degli anni Ottanta.
Se si guarda ai professori associati e ordinari (ancor più se solo a questi ultimi), il processo di invecchiamento si delinea chiaramente. L’intera distribuzione per fasce di età si sposta come un’onda verso le classi più mature, con picchi molto elevati proprio fra coloro che hanno raggiunto i 65 anni. Nel 2014 vi erano circa 4.400 docenti con meno di 40 anni per circa 13mila docenti sessantenni.
Nel corso di pochi anni una generazione di
sessantenni andrà in pensione; in un contesto di scarso ricambio e,
soprattutto, di scarsa progressione di carriera più che di nuove assunzioni,
ciò potrebbe significare un ulteriore ridimensionamento del corpo docente. Le
tendenze in corso potranno portare nel prossimo decennio a un’ulteriore
diminuzione del personale docente; a un aumento dei lavoratori con contratti
instabili; a un allargamento delle differenze territoriali con una chiara linea
di distinzione fra Nord e Centro-Sud. Occorre dunque riflettere attentamente
sulle politiche di reclutamento da mettere in cantiere nei prossimi anni.
(Fonte: E. Pavolini e G. Viesti, lavoce.info 15-04-16)
IL PROCESSO DI CONTRAZIONE DEL
CORPO DOCENTE E I SUOI EFFETTI SULLE VARIE AREE SCIENTIFICHE
I dati meritoriamente raccolti e ordinati da Andrea Zannini, un valente
docente di Storia moderna dell'Università di Udine, e pubblicati sul sito Roars
(Return on academie research) riguardano gli effetti che ha avuto sulle varie
aree scientifiche il processo di contrazione del corpo docente accademico che
si è verificato negli ultimi sette-otto anni. In complesso, nel periodo tra il
2008 e il 2015, tale contrazione è stata del 12 per cento (la maggiore, io
credo, verificatasi nel pubblico impiego: da 62 mila a 54 mila persone circa) a
causa di tre fattori soprattutto: il taglio generale dei fondi a tutto il
sistema universitario, le nuove assunzioni limitate a una percentuale
ridottissima rispetto al numero dei pensionamenti, il nuovo sistema di
scorrimento delle carriere.
Le discipline storiche sono state quelle più duramente colpite, seguite
a ruota da quelle filosofiche. In neppure un decennio esse hanno visto i loro
addetti diminuire rispettivamente del 27,8 e del 22,1 per cento (con punte di
oltre il 32 per cento nel caso di «Storia moderna», «Storia della filosofia»,
«Storia delle religioni» e «Storia del cristianesimo», mentre «Storia
medievale» è a meno 29,4 per cento e «Storia contemporanea» a meno 25,1). Ma
messi assai male appaiono anche il settore geografico, con una decurtazione di
oltre il 20 per cento e il raggruppamento letterario - artistico con un calo
del 19,2 per cento. Anche tra le discipline in senso lato umanistiche vi sono
però figli e figliastri. Di fronte alle discipline demo-etno-antropologiche, ad
esempio, che perdono oltre il 25 per cento degli addetti si segnalano le
materie pedagogiche che invece fanno segnare quasi tutte ottime performance con
il record ottenuto da «Pedagogia sperimentale» con un bel più 25 per cento di
aumento. Il raggruppamento disciplinare (comprendente più discipline) in
assoluto più baciato dalla fortuna risulta comunque quello d'Ingegneria, che
addirittura cresce del 2,1 per cento. Vengono subito dopo quelli delle materie
economiche, sociologiche e giuridiche, tutti con diminuzioni poco
significative. Non quello di Medicina — e forse qualcuno si stupirà — la cui
consistenza esatta è peraltro difficile da calcolare per la
commistione/sovrapposizione con il Servizio Sanitario Nazionale. Come si vede
la divisione tra i sommersi e i salvati non è propriamente tra settori
umanistici e settori scientifici. Prova ne sia che le discipline matematiche e
informatiche, quelle fisiche, quelle biologiche e quelle geologiche, fanno tutte
segnare decrementi tra il 12 e il 20,5 per cento. Ciò che fa la differenza è
altro. É il potere che ogni raggruppamento disciplinare (cioè i suoi docenti) è
in grado di procacciarsi e di esprimere in relazione a tre parametri
soprattutto: l'accesso a finanziamenti privati (che è quasi nullo per le
scienze di base e per le discipline umanistiche mentre è massimo per le scienze
applicate: vedi Ingegneria et similia), la contiguità-intrinsichezza con il
potere politico-amministrativo (è il caso delle discipline pedagogiche divenute
ormai una sorta di altra faccia del ministero dell'Istruzione), e infine la
presenza negli organi di autogoverno dei singoli atenei. Qui soprattutto sta il
punto forse più importante, dal momento che sono tali organi di autogoverno
(Rettore, Consiglio d'amministrazione) quelli che in pratica gestiscono le
risorse e la loro distribuzione tra i diversi raggruppamenti disciplinari,
decidendo così delle nuove assunzioni da parte di ogni singola sede
universitaria. (Fonte: E. Galli della Loggia, CorSera 20-03-26)
IL FALLIMENTO DEL SISTEMA DEL “TENURE TRACK”
ALL’ITALIANA
Nella
Legge Gelmini c’è la complessa progettazione di posizioni “tenure track” per
l’accesso ai ruoli di professore associato. Si tratta di un sistema basato però
sull’ipotesi che il sistema universitario non subisse una contrazione dei
finanziamenti ed anzi le università potessero usufruire pienamente dei massicci
pensionamenti previsti a partire dai primi anni del secolo. Nella situazione
che si è invece determinata, il sistema del “tenure track” all’italiana, ha
fallito miseramente. Nei fatti l’inseguimento del sogno dei professori (il
sogno è quello di un’università dove contano solo “Maestri” con al seguito un
codazzo, altrimenti detto “scuola”), in regime di diminuzione dei finanziamenti
è servito solo a bloccare per molti anni il reclutamento dei docenti, oltre
che, naturalmente, a mantenere i giovani, in una posizione di dipendenza dai
“Maestri”. (Fonte: A. Figà Talamanca, Roars 24-04-16)
Un
commento di G. Pastore in coda all’articolo: Rispetto all’analisi
dell’articolo, va però osservato che non è solo la L. 240 ad andare nella
direzione delle scuole/codazzi. Anche parte dell’operato dell’Anvur dà un buon
sostegno in questa direzione: nel momento in cui si chiedono requisiti
“oggettivi” legati al numero di pubblicazioni/citazioni a prescindere dal
valore effettivo delle singole persone, non si può che incentivare la
costituzione di “codazzi” che, aggregandosi al maestro più produttivo, brillano
di luce riflessa in modo molto maggiore e più facile dei “cani sciolti”,
indipendentemente da criteri di merito individuale.
DOCUMENTO FIRMATO DA CIRCA 500 DOCENTI DELLA
FEDERICO II SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Il 6
aprile Redazione Roars ha pubblicato un documento dei docenti dell’Università
degli Studi di Napoli Federico II di cui si riportano alcuni passi
significativi.
“I
docenti dell’Università degli Studi di Napoli Federico II riunitisi in
assemblea il 18 marzo 2016, preoccupati per il definanziamento del sistema
universitario (2 miliardi di € dal 2008 al 2015), il blocco degli scatti
stipendiali, la redistribuzione dei finanziamenti mediante l’attuale procedura
VQR, i tagli al diritto allo studio, il processo di burocratizzazione del
sistema didattico e il mancato rispetto della cadenza di legge per
l’abilitazione nazionale a fronte di iniziative estemporanee ed insufficienti,
concordano su quanto segue:
La
docenza universitaria, come altre categorie del pubblico impiego, ha accettato,
senza riluttanza, di contribuire al risanamento dei conti pubblici rinunciando,
tramite il blocco degli stipendi, agli aumenti salariali che sarebbero
conseguiti agli scatti maturati nel relativo periodo. Ritengono tuttavia umiliante e intollerabile il fatto che per
tutte le altre categorie la rimozione di questo blocco sia avvenuta con modalità
e tempistiche diverse e marcatamente più eque, mentre i ricercatori e i
professori universitari sono stati gli unici pesantemente discriminati. A
fronte di questo trattamento iniquo ha chiesto di sapere perché il lavoro
svolto in questi anni non meritasse il medesimo riconoscimento ricevuto dalle
altre categorie.
La verità
insita nel silenzio in cui è caduta la richiesta è la scarsissima
considerazione che i diversi governi che si sono succeduti attribuisce al
sistema universitario nazionale, considerato un mero costo anziché una preziosa
risorsa per il futuro del Paese.
La
valutazione è parte integrante del loro lavoro e quindi i docenti della
Federico II l’accettano di buon grado, anzi, la pretendono, ma questo processo
di valutazione (VQR) non é accettabile in quanto: non premiale bensì
punitivo; non trasparente; affetto da errori scientifici che, come studiosi, i
docenti non possono avallare; viziato dall’inversione temporale tra produzione
scientifica e formulazione dei criteri e utilizzato per lo scopo non dichiarato
ma evidente di determinare una compressione selettiva degli Atenei. In
conclusione tutti ci perdono, ma qualcuno molto più degli altri”. (Fonte:
Documento dell’assemblea dei docenti e ricercatori della università Federico
II, 18-03-16)
MOVIMENTO PER LA DIGNITÀ DELLA DOCENZA
UNIVERSITARIA
Il “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria”
è un movimento che è nato spontaneamente in tutto il Paese e che si è esteso in
questi mesi utilizzando soprattutto la rete e la posta elettronica. Uno dei
suoi ispiratori è il docente torinese Carlo Ferraro. La motivazione più
importante che ha portato alla mobilitazione è stato il mancato riconoscimento
dell’anzianità maturata nel quadriennio 2011-2014, e la decisione del Governo
di sbloccare gli scatti di anzianità solo dal 2016. Ciò che il movimento
richiede è già stato concesso a tutte
le categorie dei lavoratori dello Stato. Non ci sono ragioni razionali perché
questo non sia riconosciuto anche a noi, che ci vediamo come unici discriminati
in senso negativo. Per effetto del blocco degli scatti stipendiali per 5 anni
noi abbiamo già pagato alla causa comune una somma importante che ci era
dovuta. E non ne chiediamo la restituzione. Perché siamo persone responsabili
ed abbiamo dato il nostro contributo per concorrere a risolvere le difficoltà
del Paese. Ma non è accettabile che, durante questi 5 anni di blocco in cui
abbiamo regolarmente lavorato, in pratica per il Governo ed il Ministero, è come
se noi non fossimo esistiti. Non è possibile che 5 anni di carriera vengano
cancellati di colpo. Ciò che sta accadendo, per noi si traduce in un danno
ingentissimo a livello individuale, che è stato stimato fino a 27 mila euro per
i ricercatori, 38 mila per gli associati, 54 mila per gli ordinari ogni 10 anni
di prosecuzione di questo stato di cose. Danno tanto più grave nei giovani
universitari, perché il mancato riconoscimento ai fini giuridici di 5 anni di
attività lavorativa effettivamente svolta prefigura un danno importante che si
riverbera su pensione e liquidazione. (Fonte: Lettera del Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria di Parma a
Roars 22-05-16)
NUOVE LINEE DI ROTTAMAZIONE SUGGERITE AL PRESIDENTE
DEL CDM DA UNA LETTERA DI G. CAPANO PUBBLICATA DA HTTP://WWW.ROARS.IT/ONLINE/CATTEDRE-NATTA-RENZI-NON-SCARTARE-DI-LATO/
“Vedere
che le cattedre Natta, insieme alle altre norme per la ‘eccellenza’ da Lei
annunciate, vengono presentate come la soluzione ai problemi strutturali della
scienza e dell’università italiana davvero irrita, o intristisce, a seconda dei
punti di vista. Il sistema universitario italiano è stato oggetto negli ultimi
anni di un taglio di risorse del 20% (è il comparto della PA che ha subito i
decrementi maggiori) e il finanziamento alla ricerca di base negli ultimi tre
anni è stato nullo. Il problema non è tanto o solo nella perdita di eccellenza,
il problema drammatico sta nella perdita progressiva di qualità media del
sistema. Una situazione sistemicamente difficile e preoccupante: quali problemi
risolveranno le disposizioni da lei tanto enfatizzate? Le cattedre Natta, ad
esempio, creano un ulteriore canale di accesso/promozione. Se si pensa che le
università non stiano facendo bene il loro mestiere nell’impegnare le scarse
risorse a disposizione in un reclutamento virtuoso, lo si dica chiaramente e si
provveda di conseguenza. Questo inventarsi procedure “parallele” ha una serie di
effetti negativi, che Lei dovrebbe tenere in considerazione, tra cui merita
ricordare: un’ulteriore delegittimazione del sistema universitario; la
creazione di disparità inaccettabili tra individui con professionalità
comparabili (ci sono migliaia di eccellenti nel sistema universitario italiano
che, stando al suo annuncio, verranno retribuiti meno dei titolari delle
cattedre Natta); la marginalità dei possibili effetti sistemici ovvero il
rafforzamento di alcune sedi universitarie come prodotto di scelte personali (e
non politiche o istituzionali), visto che i vincitori verranno lasciati liberi
di andare dove vogliono. Non sarebbe più consistente con i Suoi obbiettivi
stabilire, come ci si aspetterebbe da un governo responsabile, quali aree
scientifiche rafforzare, dove rafforzarle, spiegando pubblicamente il perché di
queste scelte? Se il sistema universitario funziona male, aggiustiamolo,
correggiamolo, riformiamolo, e finanziamolo, ma non scartiamo di lato, come sta
facendo Lei. Mi permetterei solo di suggerirLe un ulteriore sforzo nella sua
strategia di rottamazione: potrebbe cominciare a rottamare i modi di pensare e di fare le politiche che
vanno per la maggiore in questo paese. Potrebbe rottamare l’idea che esistano
soluzioni semplici a problemi complessi. Potrebbe rottamare la tendenza, tutta italiana, a disegnare
politiche pubbliche senza badare all’evidenza empirica (magari cominciando a
chiedere a chi le ha suggerito le cattedre Natta un bel rapporto prospettico dei pro e dei contro),
mentre invece esse vengono solitamente orientate dalla ricerca della notizia,
dell’annuncio, del novismo, e del consenso di breve periodo”.
Alla
lettera, qui sopra riprodotta nei passi ritenuti più significativi (testo
integrale nel link nel titolo), si aggiungono due commenti di segno opposto:
liannelli
(4 aprile 2016): Vogliamo aggiungere che con lo stesso budget delle cattedre
Natta si potevano soddisfare le legittime aspirazioni di un numero di abilitati
pari a circa tre volte quello dei 500? Scrivo circa perché la cosa non esclude
di reclutare cmq giovani ‘eccellenze’ non strutturate.
Abcd (4
aprile 2016): Non ho capito, che c’è di male a provare ad attirare alcune
persone eccellenti, che mai verrebbero in Italia portando finanziamenti
europei, se dovessero sottostare al grigiore anti-meritocratico e quasi
sovietico tipico del settore pubblico italiano?
QUANTO LAVORANO I DOCENTI
ITALIANI
Quanto lavorano i docenti italiani? Ordinari, associati, ricercatori:
ruoli, mansioni e responsabilità diverse sono oggi stati fotografati
dall’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della
ricerca (ANVUR), che ha compilato una banca dati completa relativa ai carichi
di lavoro dei docenti, per il 2014-15. I professori universitari insegnano in
media 120 ore l’anno; un quarto dei professori associati o ordinari sta in
cattedra oltre 140 ore, un altro quarto meno di 90, si legge nei dati
dell’Agenzia. I ricercatori a tempo determinato, che sulla base della legge 240
hanno obblighi didattici, insegnano in media meno di quelli a tempo
indeterminato, per i quali invece questo obbligo non esiste. In generale, negli
atenei del Nord si insegnano 6-7 ore in meno rispetto al Centro-Sud. La media
di ore di lezione più alta è degli insegnanti dell’area Ingegneria industriale
(130,6 ore), quella più bassa Scienze politiche e sociali (107,3 ore). I dati
sono stati elaborati al netto dell’area medica che presenta alcune
particolarità (69,4 ore di insegnamento in media l’anno). (Fonte: A. De
Gregorio, CorSera 19-03-16)
SEGNALAZIONE DI UN ASPETTO CRITICO DEL RECENTE DM N. 963 DEL 28/12/2015 SUI
PROGRAMMI DI RICERCA DI ALTA QUALIFICAZIONE PER LE CHIAMATE DIRETTE
In qualità di Coordinatori e
Responsabili di Unità di progetti FIR “Futuro in Ricerca” vorremmo segnalare un
aspetto critico del recente DM n. 963 del 28/12/2015. Il DM fornisce un elenco
di progetti, sia finanziati dal MIUR che dall’Unione Europea, i cui vincitori
possono beneficiare di una chiamata diretta come RTDb ai sensi della Legge 240/2010 (cd. legge Gelmini). Il DM
rappresenta una revisione del precedente DM 01/07/2011, pubblicato nella GU n. 256
dello 03/11/2011 ed abrogato dal DM 963/2015. I progetti “Futuro in Ricerca”,
finanziati dal MIUR nell’ambito del FIRB (Fondo Italiano per la Ricerca di
Base), erano elencati nel DM 01/07/2011, ma sono stati esclusi dal recente DM
963/2015. Tale situazione crea una forte penalizzazione a nostro danno,
escludendo i nostri progetti da criteri di premialità che erano invece
precedentemente riconosciuti. In data 18/02/2016 abbiamo inviato una formale
richiesta di spiegazioni al ministro Giannini, chiedendo una revisione del DM,
ma alla nostra richiesta non è mai seguito alcun riscontro. E’ importante
segnalare che l’attuale DM 963/2015 non ha tenuto conto del parere espresso dal
CUN nell’adunanza dello 01/07/2015, e che lo stesso CUN ha inviato al ministro
Giannini una formale richiesta di chiarimento in data 02/03/2016. Ci auguriamo
che il DM 963/2015 venga corretto, garantendo nuovamente anche ai noi vincitori
FIR la possibilità di beneficiare di una chiamata diretta. (Fonte: Lettera a
Redazione Roars di Coordinatori e Responsabili di Unità di progetti FIR
29-03-16)
L’EQUIPARAZIONE AGLI
UNIVERSITARI RICHIESTA DAI DOCENTI AFAM
I docenti dell’Alta formazione artistica e musicale chiedono
l’eliminazione della disparità di trattamento coi docenti statali di pari
livello universitario. E a tale scopo lanciano una diffida, indirizzata alle
massime autorità politiche (dal presidente della Repubblica a quello del senato
e camera fino al presidente del Consiglio, dell’istruzione, della p.a. e così
via, sindacati compresi) per l’eliminazione appunto della disparità di
trattamento tra docenti statali di pari livello universitario e affinché
“facciano cessare, con la massima urgenza, la disparità di trattamento e di
dignità̀ tra i professori dell’Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica
(AFAM) e i professori delle Università̀, disparità ad avviso degli scriventi
illogica, ingiusta, illegittima e incostituzionale”.
Con la petizione, che ha raggiunto oltre 4.000 adesioni, i docenti
Afam chiedono “di operare fattivamente
affinché i professori delle Istituzioni di Alta Formazione Artistica, Musicale
e Coreutica (AFAM), già equiparati, di fatto, al personale docente delle
Università, siano definitivamente equiparati anche sotto il profilo del
trattamento giuridico ed economico ai professori universitari. Il personale
docente di entrambe le predette Istituzioni fa, infatti, parte, con eguale
dignità, del sistema accademico statale italiano riconducibile all’art. 33,
ultimo comma della Costituzione, svolge identiche funzioni e rilascia pari
titoli del massimo livello ottenibile in Italia, egualmente spendibili ai fini
dei pubblici concorsi, ivi compresi i titoli di conseguimento dell’abilitazione
all’insegnamento per il personale docente scolastico. (Fonte: www.tecnicadellascuola.it 23-03-16)
REGIME PUBBLICISTICO VS. STATUS UNIVERSITARIO
In
Commissione Cultura del Senato si sta esaminando il DDL 2299 (Conversione in
legge del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, recante disposizioni urgenti in
materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca). Abbiamo dato
conto dell’Ordine del Giorno G/2299/8/7 proposto dai senatori Conte e Ferrara,
in cui accanto alla richiesta di differenziare le figure di docenza impegnate in corsi di base (preaccademici)
rispetto all’alta formazione si parlava di «allineare gradualmente le carriere
e i salari a quelli dei docenti universitari, assimilandone lo stato
giuridico».
Nella
seduta del 4 maggio la sottosegretaria D’Onghia ha espresso parere favorevole
all’ODG «purchè venga riformulato il secondo impegno al Governo citando
esclusivamente il passaggio al regime di diritto pubblico».
Ed ecco
quindi l’ODG riformulato e approvato dalla sottosegretaria:
Il
Senato, in sede di esame del disegno di legge n. 2299, recante «Conversione in
legge del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, recante disposizioni urgenti in
materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca»,
visti i
contenuti della legge n. 508 del 1999 in merito al reclutamento del personale;
in
considerazione del fatto che a distanza di 17 anni non sono stati adottati i
provvedimenti attuativi previsti dalla suddetta legge;
avendo
riscontrato la volontà di procedere ad un riordino di questo importante settore
della formazione terziaria;
impegna
il Governo:
a
procedere alle fasi attuative previste della legge in premessa anche in
relazione alla tipologia di reclutamento;
al
passaggio al regime di diritto pubblico;
a
valutare la possibilità di differenziare le figure di docenza impegnate in
corsi di base (preaccademici) rispetto all’alta formazione nei settori musicale
e coreutico.
(Fonte:
www.docenticonservatorio.org
06-05-16)
LA PROFESSORESSA CHE HA DENUNCIATO IL POZZO DEI
VELENI
Albina
Colella ha 65 anni ed è una docente universitaria di geologia. È l'unica
esponente della comunità scientifica ad aver denunciato con le sue analisi il
pozzo dei veleni, il Costa Molina 2 di Montemurro (PZ), poi sequestrato. Nonostante
le diffide Eni a non procurare allarme, ha denunciato come più forte non
poteva. Lei sola. "Il silenzio della comunità scientifica è presto
spiegato: l'università per sopravvivere ottiene dalla Regione circa dieci
milioni di euro l'anno. E quei soldi la Regione li preleva dalle royalties del
petrolio. In più l'Eni e le altre compagnie finanziano vari progetti di
ricerca. E ancora: questa è un’università di passaggio. Si viene a Potenza per
scappare subito. Io invece avevo già fatto il mio a Catania, avevo accettato
l'incarico qui per dirigere il centro di geodinamica e far fare un salto di
qualità. Ora la Procura mi sembra che l'abbia valorizzato". L'ateneo per
sopravvivere ottiene dalla Regione circa dieci milioni di euro l'anno. E quei
soldi la Regione li preleva dalle royalties. (Fonte: FQ 03-04-16)
DOTTORATO
PROGETTO PHD ITALENTS
Il duplice obiettivo finale del progetto PhD ITalents (progetto gestito dalla Fondazione della Conferenza
dei Rettori delle Università Italiane su incarico del Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in partenariato con
Confindustria) è quello, da un lato, di inserire i Dottori di ricerca all’interno del personale lavorativo delle
imprese valorizzando quindi la figura del Dottore di ricerca, che ricordiamo è
l’ultimo livello in termini di formazione e alta qualificazione scientifica in
ambito accademico. Dall’altro lato di potenziare con altissimo valore aggiunto
le operazioni e le attività lavorative ed economiche del mondo dell’impresa
italiano. Nella premessa al bando si legge quanto riportato di seguito:
L’Unione Europea, fin dal documento “Innovation Union 2010”, ha esplicitamente
riconosciuto la necessità di un alto livello di Doctoral Education and Training
per lo sviluppo europeo. Tale prospettiva si orienta verso un’effettiva
occupabilità dei Dottori di Ricerca e un’effettiva mobilità dei ricercatori in
quella che è definita la “knowledge based economy”.
Secondo
una analisi approfondita del progetto
effettuata dall’ADI, l’Associazione Dottorandi e dottori di ricerca Italiani,
PhD ITalents è un’iniziativa il cui finanziamento totale è di 16.236.000 euro,
di cui 11 milioni stanziati dal Miur attraverso il Fondo Integrativo Speciale
per la Ricerca e il resto da privati. Dal finanziamento totale del progetto è
possibile calcolare il numero minimo e massimo delle posizioni co-finanziabili.
Ricordiamo due dati fondamentali:
Il
progetto finanzia un minimo di 30.000 euro di costi lordi aziendali, che
corrispondono all’incirca al RAL aumentato del 40%, ovvero comprensivo di INPS
e TFR.
Il
co-finanziamento da parte della Fondazione CRUI ammonta all’80% per il primo
anno, al 60% per il secondo e al 50% per il terzo.
Il
co-finanziamento minimo è dunque pari a 57 000 euro su tre anni. Se ipotizziamo
che tutte le offerte chiedano un rimborso pari al minimo, è sufficiente
dividere il budget complessivo del progetto per 57.000 per ottenere il massimo
numero di posizioni co-finanziabili, che corrisponde a 285. Ipotizzando,
invece, che tutte le offerte chiedano un rimborso pari al massimo, il numero di
posizioni co-finanziabili scende invece a 244. Abbiamo dunque un numero di
posizioni compreso tra 244 e 285, largamente inferiore alle 730 rese pubbliche
alla data di presentazione del bando “Dottori di Ricerca”. (Fonte: ADI e Roars
03-05-16)
MOZIONE PER GARANTIRE I 3 ANNI
DI CORSO A TUTTI I DOTTORANDI ACCOLTA DAL MIUR
Il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari, in occasione
dell’adunanza tenutasi gli il 2 e 3 marzo scorsi, ha approvato la mozione
proposta dall’ADI con cui è stato chiesto al Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca di intervenire al fine di garantire una durata
effettiva del dottorato, non inferiore ai tre anni. Nonostante il dottorato per
legge non possa avere una durata inferiore a tre anni, molte volte, in alcuni
atenei italiani accade il contrario, e, ad esempio, i dottorandi del XXIX ciclo
non solo hanno iniziato il dottorato in ritardo rispetto ai termini previsti
dalla nuova normativa, ma sono stati anche costretti a consegnare la tesi con
3\4 mesi d’anticipo rispetto alla durata dei tre anni. Nella lettera è stato
chiesto inoltre che il MIUR conceda una proroga ai termini di chiusura del XXIX
ciclo di dottorato in accordo con l’effettiva data di avvio della stessa e che
garantisca in tutti i casi possibili (tfa, maternità, problemi di salute) una
durata effettiva del corso di dottorato non inferiore a tre anni per ciascuno
dei singoli dottorandi. Grazie alla mozione accolta dal Miur tutti i dottorandi
avranno la certezza di svolgere l’effettivo lavoro di ricerca per tre anni e
nessun ateneo o collegio di dottorato potrà ridurne la durata. A comunicare la
decisione è stato il Miur attraverso una nota diramata a tutti gli atenei
italiani.
ISTITUTO IMT ALTI STUDI LUCCA. PRIMO POSTO IN
ITALIA TRA LE SCUOLE DI DOTTORATO
L’Istituto
IMT Alti Studi Lucca è una scuola di dottorato e un istituto di ricerca
integrato nel sistema universitario pubblico italiano. Arrivano ottime notizie
per la Scuola IMT Alti Studi Lucca dai risultati pubblicati da U-Multirank,
ranking ufficiale della Commissione Europea e che analizza le performance
universitarie sulla base di una trentina di indicatori relativi a cinque aree
(insegnamento e apprendimento, coinvolgimento dei territori, trasferimento
delle conoscenze, internazionalizzazione e ricerca). La Scuola di Eccellenza
lucchese migliora ulteriormente gli ottimi risultati ottenuti nel report
precedente, con alcune piacevoli sorprese. La Scuola IMT si piazza prima
assoluta in Italia, davanti all’Università Bocconi di Milano e al Politecnico
di Bari, tra le 44 scuole di dottorato. Eccellente anche il risultato ottenuto
nel campo dell’internazionalizzazione, dove la Scuola IMT si aggiudica ancora
un primo posto, sempre davanti all’Università Bocconi e al Politecnico di
Milano. Risultato particolarmente importante questo, che sottolinea la grande
attrattività che la Scuola esercita nei confronti degli studenti stranieri.
Infine, un prestigiosissimo terzo posto, e questa volta su scala mondiale, tra
le università nate dopo il 1980. (Fonte: www.lagazzettadilucca.it 05-04-16)
E-LEARNING
EDUOPEN: LA PRIMA PIATTAFORMA DI CORSI ONLINE
GRATUITI REALIZZATA DA ATENEI PUBBLICI
Nasce
EduOpen, la prima piattaforma di corsi gratuiti online o Mooc (Massive open online
courses) frutto della collaborazione di Miur, Cineca e di 14 atenei
pubblici. Un’innovazione senza precedenti, con l’obiettivo di offrire
opportunità didattiche accessibili a chiunque: dai pensionati ai professionisti,
passando per insegnanti e studenti. Facile il funzionamento di EduOpen: basta
collegarsi al sito, una piattaforma open source, e scegliere di seguire
l’insegnamento prescelto (9 quelli attualmente attivati e altri 29 in rampa di
lancio). I corsi Mooc (Massive open online courses) sono tenuti
dai docenti universitari e prodotti direttamente dalle università. Presto, poi,
saranno disponibili corsi in inglese su tematiche nelle quali le università
italiane vantano unicità e livelli di eccellenza internazionali. Nato un anno
fa da otto atenei fondatori, il network è in costante crescita e attualmente
riunisce i seguenti: Università Aldo Moro di Bari, Politecnico di Bari, Libera
Università di Bolzano, Università di Catania, Università di Ferrara, Università
di Foggia, Università di Genova, Università Politecnica delle Marche,
Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Milano-Bicocca, Università
di Parma, Università di Perugia, Università del Salento, Università Ca’ Foscari
Venezia. Aperto di nome e di fatto, il network si prepara ad accogliere altri
atenei nei prossimi mesi. Fatto da sottolineare: l’iniziativa non dipende da
grandi organizzazioni estere e non ha fini di lucro.
Il
catalogo propone 68 corsi. Nove corsi sono già fruibili. Riguardano discipline
molto diverse tra loro. I corsi sono disponibili in modalità aperta e gratuita.
Per chi intende farsi rilasciare attestati e certificazioni finali è previsto
il pagamento di una piccola somma. I crediti formativi universitari saranno
scambiabili tra gli atenei. Per scoprire i corsi attualmente disponili vedere
il sito EduOpen.
(Fonte: www.corriereuniv.it 22-04-16)
EUA: L’IMPATTO DELLE TECNOLOGIE DIGITALI SULL’ISTRUZIONE
SUPERIORE
Qual è
l'impatto delle tecnologie digitali sull'istruzione superiore? "Bricks and
clicks for Europe: building a successful digital campus" è il tema a cui è
stata dedicata la conferenza annuale dell'EUA - European University Association. Ospitata dalla National University
of Ireland a Galway il 7 e 8 aprile 2016, la conferenza è stata una preziosa
occasione di confronto per i 300 partecipanti, che hanno discusso di
collaborazione tra istituzioni, di digitalizzazione delle università e di come
questa possa migliorare le perfomance degli atenei. Come ha sintetizzato Lesley
Wilson, segretario generale dell'EUA, dall'incontro è emerso che molti atenei
usano già sistemi didattici misti, e talvolta solo online. Questo dimostra non
solo il forte impatto della digitalizzazione sulla didattica e sulla ricerca,
ma anche l'importanza del dibattito sull'open access e sull'open science.
(Fonte: I. Ceccarini, www.rivistauniversitas.it 19-04-16)
CORSI ON LINE. ENTUSIASMI AL RIBASSO
I corsi
online (MOOC, Massive Open Online Courses,
in italiano: Corsi aperti online su larga scala) hanno avuto il loro massimo
successo a partire dal 2011 quando anche la principali università americane
hanno deciso di sperimentare le lezioni a distanza - non sempre interi corsi di
laurea -, ma già dal 1989 c’erano università come quella di Phoenix che avevano
introdotto interi corsi di laurea online. Ma i Mooc non sono stati uno tsunami
come aveva previsto quattro anni fa perfino il presidente di Harvard, John
Hennessy. E’ lui stesso a rivedere al ribasso il suo entusiasmo verso i corsi
online aperti a tutti che avrebbero dovuto rendere accessibili a milioni di
studenti ovunque le lezioni dei più grandi e importanti professori universitari
di tutto il mondo. Non che non siano serviti a nulla, anzi, sono stati
rivoluzionari per il modo di studiare. «Soprattutto per i laureati che già
lavorano in un settore specifico le lezioni online si possono considerare un
vero e proprio successo», ha detto Hennessy a metà aprile aprendo il quarto
«Learning summit» organizzato da Harvard, Stanford, Berkeley e Mit, ospitato
quest’anno a Stanford o e intitolato «Inventare il futuro degli studi
universitari». Ma non hanno avuto l’effetto tsunami che doveva spazzare via la
vita del campus e il ruolo delle Università con il rapporto diretto con i prof
e gli altri studenti, i tutor e le biblioteche. (Fonte: G. Fregonara, CorSera /
Università scuola 30-04-16)
CLOUD GRATIS PER STUDENTI E PROFESSORI CON MICROSOFT EDUCATOR GRANT
Microsoft Educator Grant rientra fra
gli impegni di Microsoft a supporto della formazione. Il nuovo programma nasce
con l’obiettivo di dare ai professori e agli studenti degli atenei
l’opportunità di sfruttare tutti i vantaggi di Microsoft Azure, la piattaforma
di servizi cloud avanzata utilizzate anche da grandi corporation. In sostanza,
studenti e professori che inseriscono Azure nel programma di studi, potranno
usufruire per un anno dei servizi cloud di Microsoft Azure gratuitamente,
all’interno di specifici corsi universitari per cui sia fatta richiesta. Nello
specifico, i docenti responsabili avranno a disposizione gratuitamente un
account del valore di 250 dollari al mese per 12 mesi, mentre gli studenti che
partecipano al corso riceveranno un account del valore di 100 dollari al mese
per 6 mesi. L’utilizzo sarà reso disponibile (esclusivamente per finalità
didattiche) all’interno delle facoltà universitarie riconosciute, che dovranno
fare una o più richieste sulla base del numero dei singoli corsi per i quali
intendono ricevere i pass. Docenti e studenti potranno dunque sfruttare le
potenzialità di Microsoft Azure per ottimizzare le lezioni e lavorare in
collaborazione potendo realizzare, implementare e gestire applicazioni in modo
sicuro e flessibile. Le aule delle università potranno insomma diventare veri e
propri laboratori digitali per sviluppare le competenze più utili ad
approcciare il mondo del lavoro. (Fonte: A. Frollà,
www.corrierecomunicazioni.it 31-03-16)
UNIVERSITÀ TELEMATICHE. UN SOSTEGNO DI TROPPO
A 13 anni
dalla loro nascita (sono state istituite nel 2003), le università telematiche
in Italia sono diventate undici. Nel 2014-15 hanno immatricolato circa 5.500
studenti (il 2 per cento di tutti gli immatricolati), raggiungendo i 63.625
iscritti (4 per cento del totale), con una crescita di circa il 60 per cento
negli ultimi 5 anni. Nello stesso periodo le università tradizionali invece
hanno visto ridursi i propri iscritti del 7,4 per cento. Infatti, mentre il numero
degli immatricolati agli atenei tradizionali è diminuito ininterrottamente dal
2006, le università telematiche dopo una riduzione nel 2012 e 2013 (rispetto al
picco raggiunto nel 2011) hanno ripreso a guadagnare studenti (si vedano
grafici sottostanti).
Gli
iscritti alle università telematiche sono studenti con risultati scolastici non
particolarmente brillanti: nel 2016, il 31 per cento degli immatricolati ha un
voto di diploma inferiore a 69, rispetto al 22 per cento nelle altre università
(dati Miur). È consistente anche la quota di studenti “maturi”: nel 2016 il 18
per cento degli immatricolati alle telematiche aveva più di 40 anni, rispetto
allo 0,7 per cento nelle altre università. Le regole più elastiche, introdotte
dal decreto 168, sui requisiti di accreditamento rappresentano un indubbio
vantaggio a favore delle università telematiche e private rispetto a quelle
tradizionali e si falsa così la competizione tra diversi tipi di atenei,
sussidiando in via indiretta le prime, che fronteggiano un costo per il
personale docente di molto inferiore a quello sostenuto dalle tradizionali. Un
secondo notevole vantaggio è quello di rilasciare un titolo di studio con il
medesimo valore legale delle altre. Non vi sono ragioni che possano
giustificare questo tipo di sostegno: una concorrenza su un piano di parità
potrebbe spingere le università telematiche a offrire un servizio migliore con
effetti positivi sulle competenze acquisite dagli studenti. (Fonte: M. De Paola
e T. Jappelli, lavoce.info 26-04-16)
FINANZIAMENTI. RETRIBUZIONI
IL PRESIDENTE DEL CDM PARLA
DEI FINANZIAMENTI AL SISTEMA UNIVERSITÀ-RICERCA
“Sull'università abbiamo portato a 56 milioni le risorse per borse di
studio nella Legge di stabilità. Abbiamo rivisto i criteri di accesso alle
borse di studio. Abbiamo sbloccato gli stipendi per docenti universitari dopo
anni. Abbiamo permesso nuove assunzioni negli atenei e fatto finalmente le
nuove classi di concorso. Ma quando ci sono i problemi non vanno aggirati,
piuttosto affrontati direttamente. Per questo sulla ricerca non basta spendere
di più, dobbiamo spendere meglio. I dati Eurostat che vengono citati per
sottolineare il divario con Germania e Francia nella spesa in ricerca tra il
2003 e il 2013 includono sia il settore privato sia il settore pubblico. Se
guardiamo, invece, alla sola università, l'Italia ha speso da un minimo dello
0,32% del Pil a un massimo dello 0,37%, la Germania dallo 0,39% allo 0,51%, la
Francia dallo 0,38% allo 0,47%. Un gap significativo, ma relativamente più
contenuto rispetto alla spesa totale. Un divario che in ogni caso il governo è
determinato a colmare, partendo proprio dal nuovo Programma nazionale per la
ricerca (Pnr) 2015-2020, su cui abbiamo mobilitato circa 500 milioni di risorse
aggiuntive, portando le risorse totali a 2 miliardi e 429 milioni soltanto nel
primo triennio”. (Fonte: M. Renzi, http://www.repubblica.it/scienze/2016/03/26/news/renzi_ricercatori-136316684/
26-03-16)
POCHI FONDI PER LE STARTUP DELLA MEDICINA NONOSTANTE LA QUALITÀ DELLA
RICERCA
Il numero di citazioni di ricerche
italiane secondo PubMed è superiore a quello di Germania e Francia, ma rispetto
all'estero c'è un forte gap nell'entità dei venture capital disponibili per le
società innovative. Sembra però che l'Italia cominci a recuperare il terreno
perduto. Si muovono i grandi gruppi farmaceutici. Il rapporto Assobiomedica
2015 rileva 291 startup attive in Italia nel campo dei dispositivi medici, di cui
il 26% si occupa di diagnostica in vitro, il 21% di bio-medicale strumentale e
il 20% di software e servizi (il settore maggiormente in crescita, grazie al
programma Horizon 2020). Diversi incubatori offrono una sede, training e
consulenze alle startup biomediche. «Per la ricerca non sono necessarie altre
strutture: occorre investire», spiega Silvano Spinelli, presidente di
BiovelociTA, acceleratore nato lo scorso ottobre. «Il gap esiste perché le
star-tup non riescono a raccogliere i fondi "seed" per passare dal
laboratorio alla valutazione preclinica, che oscillano tra i 500.000 e il
milione di euro. Nel 2015 in Italia sono stati raccolti nel settore 55 milioni
di dollari di venture capital. Un'inezia, paragonati ai due miliardi e mezzo
della Gran Bretagna». (Fonte: M. Passaretto, IlSole24Ore 29-03-16)
PIÙ SOSTEGNO ECONOMICO E REGOLE PIÙ SEMPLICI PER L’UNIVERSITÀ
«Dobbiamo dimostrare quello che di
buono fa l’università per il nostro Paese - spiega Gaetano Manfredi, presidente
della Crui -. E dobbiamo far capire al governo e alla società quanto potrebbe
fare di più: se solo ci fossero più sostegno e regole più semplici». Qualche
numero: l’Italia investe 109 euro per abitante in università, quando in Francia
se ne spendono 303 e in Germania 304. Il fondo ordinario per le università è
calato del 9,9% negli ultimi 7 anni, mentre negli altri Paesi Ue cresceva. Tra
i 34 Paesi Ocse, il nostro è al 26° posto per la quota di reddito nazionale
destinato a ricerca e sviluppo. E il diritto allo studio viene garantito solo a
una piccola quota di studenti, complici le nuove soglie Isee: quest’anno sono
idonei poco meno di 107 mila studenti (a fronte dei 135 mila dell’anno scorso),
e non è detto che tutti avranno un contributo. Eppure, ogni euro investito per
gli studenti aumenta la produttività del Paese: «I nostri dati confermano che i
laureati trovano lavoro più facilmente dei diplomati e guadagnano di più», dice
il presidente di AlmaLaurea, Ivano Dionigi. Allora, è la solita questione di
soldi? «È il momento di chiarire che non si può prescindere dal capitale umano
- chiarisce Manfredi -. L’università ha sempre attirato pochi investimenti e
con la crisi, a torto, non è stata considerata un’emergenza: dobbiamo aumentare
le iscrizioni, creare nuove lauree professionalizzanti, migliorare la
valutazione. Altrimenti rischiamo di restare indietro». (Fonte: V. Santarpia,
CorSera 21-03-16)
PENSIONI. RINNOVO DEL BLOCCO DELLE RIVALUTAZIONI
FINO AL 2018
C'è una nuova mazzata in arrivo per i pensionati: il rinnovo del blocco
delle rivalutazioni fino al 2018. A lanciare l'allarme è il quotidiano Libero,
affermando che tra le pieghe del Def approvato ieri, e in particolare nel
programma nazionale delle riforme che lo accompagna "a pagina 8 fa
capolino la fregatura previdenziale". Si tratterebbe invero della proroga
di quanto già previsto dai governi precedenti. Scrive il Tesoro, infatti, si
legge sul quotidiano milanese: "E' prevista in via temporanea, una proroga
delle disposizioni decise per il triennio 2014-2016 in materia di revisione del
meccanismo di indicizzazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre
volte il minimo, con un risparmio di spesa che ammonta a circa 355 milioni nel
2017 e circa 750 milioni nel 2018".
Ciò significa, in sostanza, spiega Libero, che "non adeguando (per l’ennesima
volta), le pensioni superiori ai 1.500 euro al mese al costo della vita
(inflazione che non c'è)", il governo risparmierà nei prossimi 2 anni
oltre 1 miliardo. (Fonte: M. Crisafi, www.studiocataldi.it 09-04-16)
“DEFINANZIAMENTO” DELLE UNIVERSITÀ: CHI LO HA
SUBITO DAVVERO?
Questo
documento, incentrato sul cosiddetto “definanziamento” delle Università, si
articola nei seguenti punti:
1)
Premesse.
2) Quando
iniziano e quando terminano i tagli (il “definanziamento”) all’FFO delle
Università?
3) Quale
era la situazione ante 2011 riguardo alla spesa degli Atenei per gli scatti
stipendiali?
4) Come
incide a partire dal 2011 il blocco delle classi e degli scatti?
5) Come
incide a partire dal 2011 il blocco del turnover?
6) La
ricerca ha subito tagli?
7) Qual è
la situazione del diritto allo studio?
E, in
coerenza con quanto discusso nei punti precedenti:
8)
Conclusioni e obiettivi del Movimento per la Dignità della Docenza
Universitaria: piano pluriennale di richieste.
(Fonte:
Documento a cura di Carlo Ferraro. Il
documento è stato elaborato nell’ambito del “Movimento per la Dignità della
Docenza Universitaria”. Link per leggerlo:
LAUREE - DIPLOMI - FORMAZIONE POST LAUREA - OCCUPAZIONE
LE NUOVE «SCUOLE UNIVERSITARIE PROFESSIONALI» (SUP)
Il
triennio delle future lauree professionalizzanti, che saranno erogate dalle
«Scuole universitarie professionali» (SUP), consisterà in un anno di teoria, un
anno di laboratorio e un anno on the job. Le SUP saranno create dagli stessi
atenei, ma nella loro governance entreranno come partner il mondo produttivo,
quello dei servizi e la Pa. «L'obiettivo è formare figure veramente necessarie
alle imprese e al mondo delle professioni, questo progetto ha successo solo se
garantiamo l’occupabilità», avverte Gaetano Manfredi Magnifico della Federico
II di Napoli e presidente della Conferenza dei rettori italiani. Parte,
infatti, dalla Crui questo progetto che punta a completare dopo oltre 3 anni la
riforma universitaria del 3+2 che ha visto, di fatto, un mezzo flop per le
lauree triennali: «Le lauree professionalizzanti erano parte di quel disegno di
riforma che ora va completato». Il progetto è ora al centro di un tavolo
istituito dal MIUR appena partito. L'idea è quella di cominciare con una serie
di sperimentazioni - già dall'anno accademico 2017-2018 - senza bisogno di
intervenire con riforme normative radicali. I settori più interessati
dall'avvio delle lauree professionalizzanti sono quelli delle materie
tecnico-scientifiche - da ingegneria, a biologia fino alle biotech e alle nuove
professioni legate alla cosiddetta «manifattura 4.0» - dell'agro-alimentare ma
anche dei beni culturali e del turismo. Questo nuovo percorso di formazione
terziaria risolverebbe - come spiega la bozza di documento dei rettori - anche
un altro problema aperto: quello delle libere professioni per le quali la
normativa Ue richiede la laurea triennale (la Crui cita periti e geometri). Per
i rettori il modello a cui si devono ispirare queste Scuole universitarie
professionali - che non superano ma operano parallelamente agli Istituti
tecnici superiori (gli Its) - sono un po' gli Istituti universitari di
tecnologia francesi (incardinati negli atenei ma dotati di forte autonomia) e
un po' le nostre lauree per le professioni sanitarie. Con l'obiettivo ambizioso
di riuscire a replicare nel medio lungo periodo i risultati conquistati in
Germania dalle Fachhochschulen (le università delle scienze applicate). (Fonte:
M. Bortoloni, www.scuola24.ilsole24ore.com 22-04-16)
ABILITAZIONE PROFESSIONALE
GIÀ CON LA LAUREA. VIA LIBERA DI MIUR E MINISTERO SALUTE
Laurea e abilitazione nello stesso giorno: durante l’incontro sulla delega
del lavoro in Sanità derivata dall’articolo 22 del patto della Salute, i
rappresentanti del Miur hanno condiviso la proposta della Cgil, Cisl e Uil
medici secondo la quale il laureando in Medicina potrà ottenere nello stesso
giorno l’abilitazione alla professione e contemporaneamente la laurea.
L’incontro si è tenuto al Ministero della Salute, presente il ministro Beatrice
Lorenzin. «Si tratta di una notizia positiva per i futuri giovani medici - ha
spiegato il segretario della Cgil Medici Massimo Cozza - che in questo modo non
saranno più costretti ad aspettare anche diversi mesi per poter conseguire
l’abilitazione e per poter partecipare ai test per le scuole di
specializzazione e alle scuole di medicina generale che richiedono il titolo».
Soddisfatta l’associazione Coordinamento mondo medico, che raccoglie le
associazioni di aspiranti medici e specializzandi. La novità potrebbe essere
introdotta nella prossima legge delega.
L’abilitazione consente ai giovani medici di svolgere servizio
sull’ambulanza del 118, di effettuare guardie mediche, guardie turistiche,
sostituzione del medico di base, oltre che di iscriversi alle scuole di
specializzazione. Ma poiché gli esami per entrare nelle specializzazioni si
tengono una sola volta l’anno (e non sempre nello stesso periodo: quest’anno
dovrebbe essere a luglio), il rischio è che passi anche un anno e mezzo prima
di riuscire a cominciare la seconda parte dell’abilitazione professionale,
indispensabile per esercitare la professione in diversi ambiti. Con questa
novità, invece, i tempi si potrebbero accorciare. (Fonte: V. Santarpia, www.corriere.it 16-04-16)
NECESSITA UN PERCORSO
FORMATIVO PROFESSIONALIZZANTE
Alla richiesta di competenze tecniche sempre più specializzate, fa da
sponda un innalzamento del livello formativo, che però in Italia non trova un
adeguato riscontro. Basti pensare che secondo l'indagine sulle previsioni di
assunzione delle imprese italiane realizzata da Unioncamere-Exclesior, tra 2011
e 2015, la quota di laureati richiesti per profili tecnici è passata dal 42 al
50%. Molti di questi cosiddetti introvabili. La ragione? Una delle colpe (ma
non solo) è imputata alla mancanza di un canale formativo adeguato, anche
perché a più di 15 anni dalla sua introduzione, la laurea triennale continua ad
essere identificata solo come il primo tassello del percorso quinquennale, venendo
meno all'obiettivo iniziale di creare un percorso universitario
professionalizzante. Basti pensare che la quota di laureati in ingegneria che
al completamento della triennale decide di proseguire gli studi è salita
dall'80,8% del 2004 all'87,5% del 2014. Secondo i periti industriali, ma anche
per il mondo accademico (Crui, Cun) e delle istituzioni (Miur) che sul punto si
sono confrontati in occasione del convegno «Università a misura di professione»
organizzato dal Cnpi lo scorso 17 marzo, la risposta è semplice: costituire un
percorso di laurea professionalizzante cucita, appunto, a misura di quel
tecnico di I livello tanto richiesto dal mercato. Un percorso che, sempre
secondo i dati contenuti nel rapporto, potrebbe avere diverse conseguenze positive.
Innanzitutto innalzare la quota di laureati, soprattutto tra i giovani. In
Italia, infatti, solo il 22% dei giovani compresi tra i 30 e 34 anni ha
conseguito un titolo di studio universitario, contro una media europea del 39%.
Tale ritardo è da attribuire all'assenza di un canale terziario
professionalizzate: solo 1 giovane su 100 ha conseguito questo tipo di titolo,
rispetto al 9% della media europea. (Fonte: ItaliaOggi 25-03-16)
RILANCIARE LE LAUREE
PROFESSIONALIZZANTI
L'Università deve essa stessa creare nuovo lavoro, addirittura fino al
punto di far nascere nuove imprese? È tra i suoi doveri provarci, a patto che
se ne creino le condizioni: rivestono, infatti, importanza sempre maggiore le
lauree professionalizzanti (a lungo trascurate), il Jobplacement, gli spin-off,
in definitiva la «quarta missione» (che si aggiunge alla didattica, alla
ricerca, all'animazione culturale del territorio): ossia avviare al lavoro i
giovani formati nelle aule e nei laboratori. Per questa stessa ragione è
necessario rilanciare anche il tema, strettamente correlato, della formazione
professionale. Fiumi di denaro pubblico sono stati malamente sprecati
nell'indotto, spesso clientelare, di una formazione poco utile e poco
spendibile. Ma sono proprio le Università, gli interlocutori più idonei e più
attrezzati per sviluppare, a livello regionale e nazionale, quelle politiche
attive di formazione professionale in grado di offrire concrete e reali
possibilità occupazionali. (Fonte: L. D’Alessandro, Il Mattino 10-03-16)
PREMINENZA FEMMINILE TRA I LAUREATI E ANCOR DI PIÙ
TRA I LAUREATI CON 110 E LODE
Ogni 100
uomini che si laureano ci sono ben 144 donne che fanno altrettanto (mentre il
rapporto tra gli immatricolati è di 123 donne ogni 100 uomini) e ciò
corrisponde a un numero di donne laureate che ogni anno supera quello degli
uomini laureati di oltre 50 mila: un’enormità. Nell'ultimo anno di cui si dispongono
dei risultati, si contano 176 mila laureate contro 122 mila laureati. Ma questo
è solo il primo aspetto della differenza tra i sessi decretata dall'università.
Ce n'è un secondo, non meno rilevante. Su poco meno di 300 mila laureati annui,
62 mila lo fanno col massimo dei voti: 110 e lode (quasi un laureato su quattro
si congeda dall'università con la lode, e viene da domandarsi se per caso è un
popolo di geni). Ma le donne laureate con 110 e lode sono oltre 40 mila, gli
uomini laureati con lo stesso voto meno di 22 mila, cosicché se il divario tra
donne e uomini fra i laureati vale 144 a 100, quello donne-uomini tra quanti ottengono
110 e lode s'impenna fino a raggiungere la vetta di 186 a 100. (Fonte: R.
Volpi, Il Foglio 07-04-16)
LIVELLO SALARIALE PER LAUREA
TRIENNALE E MAGISTRALE: VARIAZIONI DELL’1%
Sono passati molti anni dalla riforma universitaria del ‘3+2′, eppure
non si riesce ancora a capire se separare il quinquennio della laurea in laurea
breve e magistrale sia effettivamente servito a qualcosa. Soprattutto per
quanto riguarda l’aspetto più importante di questa divisione: l’accesso al
mercato del lavoro. Stando ai dati registrati da AlmaLaurea, parrebbe proprio
di no: non solo gli studenti con una specialistica non riescono a trovare
comunque un lavoro adeguato all’impegno e alle competenze, ma addirittura il
livello salariale (nel caso ci riuscissero) è praticamente identico a quello
degli studenti con un titolo di studio triennale: la variazione del +1%,
infatti, non giustifica neanche lontanamente tutte le spese affrontate per il
biennio di specializzazione, ed il tempo investito nel conseguimento di questa
laurea. In altre parole, la conclusione è che la laurea triennale verrà sempre
meno considerata come la Serie B dei titoli di studio. (Fonte: www.casertace.net 25-03-16)
UN GRUPPO DI LAVORO SU PROFESSIONI E PROFESSIONALITÀ È STATO COSTITUITO
DALL’ANVUR
Per promuovere la discussione, lo
studio e la valutazione della professionalità nell’Università, l’ANVUR ha
costituito un Gruppo di Lavoro, coordinato dal prof. Maurizio Carta (Università
di Palermo, Architettura) e composto dai professori Guido Alpa (La Sapienza,
Giurisprudenza); Bartolomeo Biolatti (Università di Torino, Veterinaria ed Agraria);
Carlo Caltagirone (Università di Roma Tor Vergata, Medicina); Edoardo Cosenza
(Università di Napoli Federico II, Ingegneria); Fiorella Giusberti (Università
di Bologna, Psicologia) e Alberto Quagli (Università di Genova, Economia). Il
responsabile per il l’ANVUR è il prof. Paolo Miccoli. Per valorizzare il
contenuto professionale di vaste aree dell’Università il gruppo di lavoro dovrà
affiancare alla valutazione della ricerca e della didattica, anche una
specifica valutazione della presenza e della qualità della professionalità
nell’Università, prendendo in considerazione non solo la capacità e il livello
professionale di docenti e ricercatori, ma anche l’esperienza dei tirocini
professionalizzanti. (Fonte: www.roars.it che fa riferimento al sito Io
Studio News e a una pagina dell’Università di Palermo, 28-03-16)
SOVRAISTRUZIONE E DISOCCUPAZIONE. UN'ANALISI DEL CENTRO STUDI DATAGIOVANI
L’analisi svolta dal centro studi
Datagiovani per il Sole 24 Ore ha riguardato i lavoratori laureati tra i 25 e i
34 anni e i ragazzi diplomati tra i 20 e i 24 anni, nel periodo immediatamente
successivi al titolo conseguito, per un complessivo di 1,6 milioni di giovani.
I numeri mostrano che 100mila diplomati e 300mila laureati rientrano tra gli
overeducated, con un titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto
per l’attività lavorativa effettivamente svolta. Sono quindi il 17% dei
diplomati e il 28% dei laureati. Dati disomogenei rispetto al diploma – al Sud
la percentuale è del 13,5%, al Centro del 19% – più omogenei quelli riguardanti
la laurea.
Se per quanto riguarda le
caratteristiche di sovraistruzione per i diplomati i dati sono abbastanza in
linea con quanto si registrava nel 2008, la situazione è molto più complessa
per quanto riguarda i laureati. Se negli indirizzi di tipo medico solo l’8% dei
giovani occupati è overeducated, si sale al 13,5% nel caso di ingegneria e
architettura, per arrivare al 43,6% nelle discipline umanistiche, l’ambito che
ha risentito di più degli effetti della crisi con un aumento rispetto al 2008
di ben 12 punti percentuali. Pesante anche la crescita dell’overeducation nelle
scienze naturali – biologia, fisica, chimica – passata dal 17% del 2008
all’attuale 26%.
La crisi ha giocato un ruolo
decisivo nel complesso rapporto tra giovani e mondo del lavoro, e questo è
evidente se analizziamo il livello di disoccupazione giovanile. Il tasso di
disoccupazione è salito per i diplomati dal 17,9% del 2008 al 36,4% del 2015 e
per i laureati dal 9,4% al 17,2%. Per chi, invece, è riuscito a trovare un
posto di lavoro, si è trovato di fronte molto spesso al fenomeno dell’“iperqualificazione”
che, dal 2008, è aumento del 3-4%.
(Fonte: L. Todisco,
www.europinione.it 29-03-16)
LA FORMAZIONE SUPERIORE RAPPRESENTA IL MIGLIOR
INVESTIMENTO A LUNGO TERMINE
La Banca
d’Italia e l’OCSE sostengono, in maniera documentata, che la formazione
superiore rappresenta il miglior investimento a lungo termine, perché
garantisce un ritorno economico di gran lunga superiore a quanto investito, sia
per il singolo individuo sia per lo Stato, per i maggiori introiti che derivano
dalla tassazione sul reddito. È quanto recentemente dichiarato dallo stesso
governatore della Banca d’Italia, Vincenzo Visco e, anni prima e in tempi non
sospetti, da Carlo Azeglio Ciampi. L’Ocse, analizzando paese per paese i
benefici derivanti dall’investimento in formazione superiore, conclude anzi che
l’Italia è uno dei paesi in cui sia l’individuo che il contribuente trarrebbero
i maggiori benefici a lungo termine. Non è certamente un caso che i paesi più
accorti abbiano tagliato le spese in altri settori, aumentando invece in
maniera consistente l’impegno in formazione superiore e ricerca. A maggior
ragione appare davvero incomprensibile che i governi che si sono succeduti non
ne abbiano tratte le dovute conseguenze. Investire di più in formazione
superiore, puntare sulla crescita del numero dei laureati, sviluppare processi
di valutazione a garanzia della qualità della formazione in linea con i paesi
più avanzati, sono priorità assolute, scelte obbligate per la crescita del
paese. (Fonte: A. Stella, IlBo 07-03-16)
PARERE POSITIVO DEL CNF ALLO SCHEMA DI DECRETO DEL
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA SUI CORSI DI FORMAZIONE OBBLIGATORI PER L'ACCESSO ALLA
PROFESSIONE DI AVVOCATO
Sta per
diventare realtà l'accesso a numero chiuso alla professione di avvocato. Il
Consiglio Nazionale Forense, seppur con vari correttivi, ha rilasciato parere sostanzialmente positivo allo schema
di decreto del ministero della giustizia sull'obbligatorietà dei corsi di
formazione per gli aspiranti avvocati. Corsi, il cui accesso, appunto, sarà a
numero chiuso, "secondo criteri di valorizzazione del merito, con
riferimento agli studi universitari" nonché con la previsione di verifiche
intermedie sulla base di prove scritte, orali o informatiche (es. test a
risposta multipla), e finale consistente in una vera e propria simulazione
dell'esame di Stato. (Fonte: M. Crisafi, www.StudioCataldi.it 06-04-16)
ORMAI PRONTA LA RIFORMA DELLE PROFESSIONI SANITARIE
Nel Def
approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri e, nello specifico,
all'interno del Programma nazionale riforme, "viene confermato ancora una
volta l'impegno del Governo per il varo, entro il 2016, della legge sulla responsabilità professionale".
Ad affermarlo è lo stesso relatore del ddl sulle professioni sanitarie. Ratio
del provvedimento, nelle intenzioni dell'esecutivo, è quella di ricreare un
nuovo equilibrio nel rapporto tra medico e paziente, pervenendo alla
risoluzione di due problematiche: la mole del contenzioso medico legale (che ha
causato anche un notevole aumento del costo delle assicurazioni per
professionisti e strutture) e il fenomeno della medicina difensiva che ha
causato un uso inappropriato delle risorse destinate alla sanità. Sul fronte
della responsabilità penale, il testo prevede l'inserimento dell'art. 590-ter
nel codice penale, in base al quale l'esercente la professione sanitaria che
provoca la morte o la lesione personale del paziente a causa della sua imperizia
risponde dei reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose soltanto in
caso di colpa grave. Tale colpa però viene esclusa quando il medico agisce nel
rispetto delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle raccomandazioni
previste dalle linee guida. (Fonte: M. Crisafi, www.studiocataldi.it 14-04-16)
LAUREATI ITALIANI SUPERIORI ALLA MEDIA MA CON DUE
PUNTI DEBOLI
È
pericoloso generalizzare, ma sono d'accordo: i laureati italiani sono superiori
alla media europea e americana. Presentano, tuttavia, due punti deboli: scarsa
iniziativa e poca abitudine al lavoro di gruppo. La colpa? Nostra. Docenti,
genitori e datori di lavoro devono convincerli dì valere. Non umiliarli con
procedure barocche, incarichi inadeguati e stipendi ridicoli. (Fonte: A.
Maccari, CorSera 15-04-16)
LE SPECIALIZZAZIONI FORENSI BOCCIATE DAL TAR LAZIO
Le
specializzazioni forensi ieri sono state bocciate dal Tar Lazio (con le
sentenze nn. 4424/2016, 4426/2016, 4428/2016) in accoglimento parziale dei
ricorsi presentati dall'Oua, dall'Anf e da alcuni Consigli dell'Ordine.
Questione centrale nelle decisioni del giudice amministrativo, sulla quale si
erano concentrate da subito le polemiche, è la previsione delle 18 materie di specializzazione, nei
confronti delle quali il Tar va giù con mano pesante sottolineando come
"né dalla mera lettura dell'elenco, né dalla relazione illustrativa del
Ministero – è dato cogliere - quale sia il principio logico che ha presieduto
alla scelta". Ed infatti, si osserva in sentenza, "non risulta
rispettato né un criterio codicistico, né un criterio di riferimento alle
competenze dei vari organi giurisdizionali esistenti nell'ordinamento, né
infine un criterio di coincidenza con i possibili insegnamenti universitari,
più numerosi di quelli individuati dal decreto". Un elenco incompleto
peraltro già rilevato dal Consiglio di Stato che si era pronunciato in sede
consultiva sullo schema di regolamento, con rilievi ai quali il ministero si è
adeguato solo parzialmente, senza "un unitario filo logico di
selezione". La ferma censura di altri elementi importanti obbliga ora il
ministero a procedere con una riscrittura del regolamento, salvo l'ipotesi di
eventuali ricorsi, scoraggiati però dal richiamo del Tar alle originarie
osservazioni formulate nello stesso senso da parte del Consiglio di Stato.
(Fonte: M. Crisafi, www.studiocataldi.it 15-04-16)
1700 IL NUMERO DI POSTI NELLE SCUOLE DI
SPECIALIZZAZIONE MEDICA PERDUTI NEGLI ULTIMI QUATTRO ANNI
I posti
per specializzarsi nei vari ambiti della Medicina erano 5.000 nel 2010, su
6.700 laureati in Medicina nello stesso anno. Nel 2013 i posti sono stati
ridotti a 4.500. Quest'anno sono previsti, a oggi, 3.300 contratti di specializzazione
a fronte di circa 7000 laureati - ha dichiarato Andrea Lenzi, presidente del
Consiglio universitario nazionale - Siamo in controtendenza rispetto al resto
dell'Europa e del mondo che richiede specializzazione e cultura per la scienza.
Rischiamo di laureare ottimi professionisti ma perdere tutti i potenziali
scienziati e innovatori". Per poter
arrivare ad aumentare di nuovo il numero di posti nelle scuole di
specializzazione servirebbero dunque il doppio circa delle risorse stanziate,
poco più di 75 milioni di euro. (Fonte: www.uninews24.it 11-02-16)
L’INTRINSECA RICCHEZZA DEI CORSI DI GIURISPRUDENZA
Dei
nostri laureati in giurisprudenza solo una percentuale modesta (fra il 15% e il
20%) si indirizza verso le classiche professioni forensi (avvocatura,
magistratura, notariato). La maggior parte lavora nelle amministrazioni
pubbliche, nelle imprese, in enti non lucrativi. Ben lungi dall’essere uno
‘spreco’ di impegno personale e di risorse pubbliche, si tratta di un’intrinseca
ricchezza dei corsi di giurisprudenza, capaci di fornire le basi per una
molteplicità di sbocchi, di impegni, di visioni. Per questo motivo sono frutto
di un drammatico provincialismo taluni confronti con le pur importantissime e
vivacissime ‘law schools’ statunitensi la cui vocazione da ben più di un secolo
è quella, quasi esclusiva, di preparare avvocati. E rende miope l’idea di una
facoltà di giurisprudenza italiana “professionalizzante”, tagliata sulle
esigenze – pur meritevoli della massima attenzione – delle professioni forensi,
le quali peraltro trovano specifici momenti formativi post-laurea.
Una
facoltà per la formazione del cittadino. Questo compito, che è di tutta la
scuola (dall’infanzia a quella superiore), diventa moltiplicato e specifico
nelle facoltà di giurisprudenza. Conoscere il diritto, le sue gerarchie, la sua
storia e le idee ad esso sottese, i principi fondativi e gli strumenti di
tutela rende lo studente e il laureato più consapevole dei suoi diritti e dei
suoi doveri. Capace di intervenire con cognizione di causa, con razionalità,
con rispetto verso gli altri. Penso che soprattutto in società laiche e
pluraliste i valori che il diritto esprime debbano essere costantemente
riaffermati. Si tratta, oltretutto, di valori il cui riconoscimento è costato
sacrifici durati secoli, e la cui violazione ha portato a pagine orripilanti
che mai vorremmo si ripetessero. Il “saper essere” del giurista è una
conoscenza che le facoltà di giurisprudenza non devono mai perdere di vista e
devono sforzarsi di trasmettere.
La
dimensione culturale nella formazione del giurista. Il diritto è anche cultura.
I giuristi da sempre sono parte integrante dei movimenti culturali del nostro
(e non solo) Paese. Al tempo stesso la cultura – filosofica, religiosa,
letteraria, artistica, scientifica, delle scienze sociali – influenza il modo
di pensare dei giuristi. L’università è stata e sarà anche nel futuro per
moltissimi studenti la principale occasione di incontro con questa dimensione,
che per le nostre millenarie tradizioni è assolutamente irrinunciabile. Se c’è
un primato che questo Paese deve tenere ben saldo è il legame fra la storia dei
fenomeni istituzionali e giuridici e tutti gli altri fenomeni politici,
economici, sociali e la ricchezza della vita e produzione intellettuale.
(Fonte: V. Zeno Zencovich, Roars 19-04-16)
GLI STEREOTIPI RIDUTTIVI NON INTACCANO LA FIDUCIA
NEGLI STUDI UNIVERSITARI PER ACQUISIRE COMPETENZE E QUALITÀ INTELLETTUALI
Le
proteste provenienti da gruppi sempre più agguerriti di docenti nei confronti
del Governo, del Ministero, dell’Anvur, e anche della Crui sono state
amplificate dai media, che non hanno però quasi mai indagato le ragioni del
dissapore accademico. Minore attenzione è stata invece riservata a quanto le stesse
comunità universitarie vanno intraprendendo col dedicare agli studenti le
migliori energie, perfezionando i servizi didattici, ovviando alle tante
disfunzioni organizzative, nell’intento di recuperare prestigio nell’ambito
territoriale, di conquistare con pratiche virtuose consensi in grado di
attirare nuovi iscritti per arrestare l’emorragia delle immatricolazioni.
Operazioni
di marketing, rafforzamento dei sistemi di comunicazione interni ed esterni,
eventi ad hoc, stanno caratterizzando la vita delle università italiane
nell’anno accademico in corso. Le associazioni di alumni, che si sono diffuse
in vari atenei italiani come pure in istituzioni collaterali, quali alcuni
collegi di merito ed enti promotori di percorsi di studio post-universitari costituiscono
una modalità tesa a valorizzare gli studi superiori e il conseguimento del
titolo ai fini non solo occupazionali ma anche di identità sociale. Al di là di
stereotipi riduttivi, l’aver studiato ed essersi laureati in un prestigioso
ateneo riteniamo non sia l’unico salvacondotto per una migliore sistemazione
professionale, assicurata piuttosto dall’aver acquisito negli studi
universitari competenze e qualità intellettuali, prerogativa, questa, non
esclusiva di poche istituzioni italiane o internazionali. (Fonte: P. G. Palla,
Universitas n. 139, marzo 2016)
LAUREATI DI CITTADINANZA ESTERA: IL 3,4% NEL 2015
CONTRO IL 2,9% NEL 2010
Dal XVIII
Rapporto AlmaLaurea emerge che negli ultimi cinque anni è cresciuta la presenza
nelle aule universitarie di giovani laureati provenienti da altri paesi: la
quota di laureati di cittadinanza estera è il 3,4% nel 2015 contro il 2,9% nel
2010. In particolare, sono il 3,1% tra i triennali, il 3% tra i magistrali a
ciclo unico e il 4,3% tra i magistrali biennali. Rispetto ad altri paesi,
tuttavia, l'Italia costituisce un centro di attrazione relativamente debole e
presenta un"incidenza di studenti stranieri nettamente inferiore a quella
rilevata per il complesso dei Paesi OCSE (il 4% contro il 9%). Il 55% dei laureati
esteri del 2015 proviene da un paese europeo, il 22% dall’Asia e dall'Oceania,
il 14% dall'Africa e il 9% dalle Americhe. Tra gli Stati più rappresentati
Albania (15%), Romania (10%) e Cina (9%). Gli studenti stranieri scelgono
tendenzialmente specifici ambiti disciplinari (linguistico,
economico-statistico, medicina e odontoiatria, politico-sociale,
chimico-farmaceutico, ingegneria e architettura) e conseguono il titolo
soprattutto negli atenei settentrionali (4,7%). (Fonte: Il Giornale d’Italia
29-04-16)
RECLUTAMENTO
RECLUTAMENTO. BLOCCO SPEREQUATO DEL TURNOVER
Il
turnover degli enti pubblici fissato al tetto del 20% (un nuovo ingresso ogni 5
pensionamenti) è già deprimente per suo conto, perché presuppone la logica che
gli impiegati pubblici sono troppi e sostanzialmente inutili, quindi da potare
nel tempo per ricondurli a cifre ragionevoli. Il che può essere vero in certi
settori, ma non in tutti; in certi atenei e in certi corsi di studio, ma non in
tutti; mentre per tutti il ministero richiede gli stessi numeri, ad esempio, di
docenti per corso di laurea, altrimenti il corso non si può attivare. Un vero
paradosso, frutto di obiettivi da sterminio di massa: non puoi sostituire i
pensionati, e se non hai i numeri – ovvio – devi chiudere il corso, dato che
non puoi certo utilizzare personale eventualmente in esubero in altri corsi di
diversa natura. Tanto i laureati sono già troppi (falso!) e troppi sono i corsi
di laurea (altrettanto falso: magari sono mal distribuiti, ma non si
distribuiscono meglio uccidendone alcuni a caso, cioè solo in relazione
all’anzianità dei loro docenti!). Il quadro di assedio si completa constatando
che questo blocco del turnover è sperequato – come tutto – fra aree geografiche
d’Italia: il recupero effettivo dei pensionamenti risulta del 15% al nord e del
9% al sud. Altro che il 20%, che già ci sembrava poco in teoria … Adesso chi ci
governa si vanta di concedere all’università 860 (!) nuovi ricercatori. Fatti
conti sommari, ne toccherà in media uno per dipartimento: nel corso di laurea
più ‘attrattivo’ del mio dipartimento (1800 domande ai test di accesso per 300
posti), già quasi al limite con i requisiti di docenza, avremo 4 pensionamenti
nell’arco di un biennio. Anche se il ministero per un improvviso e incredibile
atto di generosità raddoppiasse il numero dei nuovi ricercatori, e per assurdo
tutti i posti disponibili nel dipartimento fossero destinati a questo corso di
laurea, tra due anni dovremmo chiuderlo comunque. (Fonte: S. Di Nuovo,
http://www.roars.it/online/author/santo-di-nuovo/ 01-04-16)
RIFORMARE IL PRERUOLO NELLE UNIVERSITÀ
Una
riforma del reclutamento che abbassi sensibilmente l'età media di ingresso in
ruolo ed elimini la giungla di contratti precari prevedendo, dopo il dottorato,
un'unica figura di ricercatore con tenure track. A tale figura si potrebbe
affiancare un contratto di post doc con diritti e tutele, di natura
subordinata, non propedeutica alla tenure, che non abbia funzioni didattiche e
il cui abuso sia scoraggiato da un costo maggiore. (Fonte: FlcCgil 28-04-16)
RIFORMA DEL PRE-RUOLO. UN PERCORSO UNICO PER I RICERCATORI
Sta ripartendo al Senato il Ddl
Pagliari indicato in passato dalla maggioranza come il veicolo per la riforma
della figura dei ricercatori a tempo determinato. L’obiettivo della riforma dei
ricercatori a tempo determinato è lo stesso uscito dall’incontro organizzato
dal Pd a Udine oltre cinque mesi fa: quello di creare un percorso unico per i
ricercatori nell’accesso alla docenza per renderlo più semplice e veloce. Nel
mirino la riforma Gelmini (la legge 240/2010) che ha frammentato le figure
pre-ruolo (ricercatori di tipo a e di tipo b) alzando, di fatto, l’età media
dei ricercatori e dei docenti - in Italia oggi ci sono solo 6 professori ordinari
sotto i 40 anni - e creando più precarietà. Da Udine è arrivata la richiesta di
dire addio a questa biforcazione: «L’idea alla base di questa riforma - spiega
Puglisi responsabile Scuola del Pd e relatrice del Ddl in commissione
Istruzione - è quella di prevedere un percorso di tre anni da post doc dopo il
dottorato per accedere poi al tenure track che apre la porta alla docenza: in
tutto cinque anni». Oggi invece accade che un ricercatore riesca ad accumulare
fino a 4 anni di assegni di ricerca, cui se ne aggiungono 5 (3+2) da
ricercatore di tipo a e poi altri 3 come ricercatore di tipo b. Un percorso
troppo lungo per arrivare alla docenza che la riforma vuole accorciare. Puglisi
indica anche la strada di un decreto del Governo: «Stiamo discutendo con il
ministero qual è il percorso migliore per introdurre questa riforma che
vogliamo fare entro l’estate». (Fonte: M. Bortoloni, IlSole24Ore 31-03-16)
PIANO
STRAORDINARIO RTDB 2016 E CRITERI ALLOCATIVI
Il ministro Stefania Giannini ha emanato il
18 febbraio scorso un decreto con il quale provvede alla ripartizione fra le
sedi universitarie dei 47 milioni (per l’anno 2016; 50,5 milioni a decorrere
dal 2017) messi a disposizione dal comma 247 della Legge di Stabilità per il
2016, per il reclutamento di nuovi ricercatori universitari. E’ stato sottolineato
da più parti come tale stanziamento, che determinerà l’assunzione di 861 nuovi
ricercatori (a tempo determinato), non sia assolutamente in grado di bilanciare
la fortissima riduzione del personale docente nelle università italiane
avvenuta negli ultimi anni. Come documentato, tra gli altri, dal Rapporto della
Fondazione Res “Università in declino. Un’indagine sugli atenei da Nord a Sud”
(Donzelli Editore), infatti, il personale docente si è ridotto di ben 7809
unità fra il 2008 e il 2015 (anche tenendo conto dell’immissione di nuovi
ricercatori con contratto a tempo determinato), e tenderà a ridursi
ulteriormente nel prossimo quinquennio. Il comma 248 della legge di Stabilità,
così come proposto dal Governo e non emendato dal Parlamento, innova ancora una
volta questi criteri, e stabilisce che in questo caso “l’assegnazione alle
singole università è effettuata (…) tenendo conto dei risultati della
valutazione della qualità della ricerca (VQR)”. Vediamo ora come il Ministro
Giannini ha applicato questa norma. Il decreto stabilisce in primo luogo che a
ciascun ateneo spettano risorse pari a due ricercatori, allocandone così 132.
Il Ministro “tiene conto” poi della VQR assegnando tutti gli altri ricercatori
(729) in base ad essa (in particolare per il 75% in base all’indicatore Irfs1 e
per il 25% in base all’indicatore Iras3). In primo luogo il primo criterio (2
per sede) premia oltremisura gli atenei di dimensione più piccola. Ad esempio
si ha un incremento di personale pari al 7,9% per l’Università per Stranieri di
Perugia e del 6,2% per la Sant’Anna di Pisa (due università di un certo
interesse perché di esse sono state Rettrici il Ministro in carica e il
precedente), a fronte di un incremento medio pari all’1,8%. La seconda
allocazione, come tutte quelle effettuate sulla base dei dati che si
riferiscono alla VQR 2004-10, ha un forte effetto fra circoscrizioni e fra
sedi. Come ben noto a tutti, tali dati penalizzano particolarmente le
università del Centro-Sud. Gli atenei del Nord, infatti, ottengono un numero di
nuovi ricercatori pari al 14,8% della riduzione di personale registrata fra il
2010 e il 2015; percentuale che scende intorno al 9,5% al Centro-Sud (e intorno
al 6% per i grandi atenei di quell’area). Bologna, la sede cui sono allocati
più ricercatori, recupera il 13,5% della riduzione 2010-15 (50 su 371);
Roma-Sapienza, seconda nell’assegnazione, recupera solo il 6,1% (47 su 766).
(Fonte: G. Viesti, Roars 01-03-16)
“RACCOMANDAZIONI” ISTITUZIONALIZZATE E PUBBLICHE
NEI CONCORSI UNIVERSITARI
La
maggiore differenza tra l’Italia e almeno alcuni dei paesi considerati
“virtuosi” è l’assunzione diretta di responsabilità da parte di chi è coinvolto
nelle selezioni dei professori. Ad esempio, è pratica comune che i candidati
per una posizione indichino uno o più nomi di prestigiosi studiosi, i quali
sono chiamati a dare le loro impressioni sul candidato, elencandone pregi e
possibili difetti. La scelta di chi scrive la recommendation letter è molto delicata, implicando un delicato
equilibrio tra prestigio dello scrivente e conoscenza approfondita del
candidato. Non è raro il caso che chi scrive la lettera raccomanda, più o meno
esplicitamente, di non selezionare il candidato, allo scopo di non
compromettere la sua reputazione. Le raccomandazioni sono quindi istituzionalizzate,
e chi ne firma una è moralmente responsabile di eventuali divergenze tra
qualità dichiarate e dimostrate da un candidato. Scrivere lettere che risultano
ingiustificate impedirà non solo il riconoscimento di future raccomandazioni,
ma comprometterà anche il rapporto di fiducia tra il ricercatore e
l’istituzione. Vale la pena rovinarsi un rapporto fiduciario per, forse,
contribuire ad una posizione ingiustificata?
Anche le
commissioni possono essere responsabilizzate, invece di permettere loro di
nascondersi dietro il ruolo fintamente tecnico (ma sostanzialmente impossibile)
di individuazione del meglio in assoluto. Dovendo giustificare le motivazioni
delle loro scelte, pubblicizzando i giudizi espressi sui candidati e
permettendo un facile confronto tra questi ed i risultati conseguiti nel corso
della carriera, possono scoraggiare almeno i comportamenti più indecorosi.
Ovviamente, ogni commissione che arriva al punto di farsi sanzionare dal TAR
deve aver interdetta la possibilità di ripetere lo stesso errore, almeno per un
periodo congruo di tempo. Al fondo, è una questione dignità e reputazione: di
fronte a persone prive di ogni scrupolo non c’è altra difesa che la pubblicità
dei suoi atti. Chi sa che le sue scelte saranno rese pubbliche, e potrebbe
essere chiamato a giustificarle in futuro, avrà maggior coraggio nell’opporsi a
pressioni improprie. (Fonte: M. Valente, Roars 01-05-16)
Un
commento di G. Pastore alla fine dell’articolo: Le proposte dell’articolo sono
sensate ma possono anche essere rese più forti:
1. interdire per sempre la partecipazione a commissioni il cui operato sia stato
valutato negativamente dalla giustizia amministrativa;
2. istituzionalizzare l’utilizzo di lettere
di presentazione (raccomandazione in
Italia ha un suono sinistro quando si parla di concorsi) che restino nella
documentazione del concorso e possano essere consultate (quelle di tutti) con
accesso agli atti da parte dei candidati. Questo darebbe trasparenza ad una
pratica attualmente sommersa e potenzialmente torbida, pur nel rispetto del
diritto alla privacy.
RICERCA. RICERCATORI
È NECESSARIA UN'AGENZIA PER LA RICERCA
Negli
ultimi 20 anni Germania, Svizzera e Svezia hanno beneficiato di una crescita
più rapida perché hanno investito significativamente in innovazione e ricerca
di base. É evidente che le economie meno innovative stentano a riprendersi
dalla crisi. Ma in Italia non si tratta solo di un problema di spesa: i
ricercatori nelle università svizzere, tedesche, inglesi hanno a disposizione
un sistema di bandi a scadenze regolari, senza trappole burocratiche e
amministrative, e un sistema di valutazione dei progetti qualificato e
credibile. Non è pertanto necessario «reinventare la ruota», basterebbe fare
riferimento alle esperienze di governance di altri Paesi. Riteniamo che queste
riflessioni debbano essere prese in seria e concreta considerazione dal
governo, per avviare un confronto urgente con la Comunità scientifica italiana.
I cardini istituzionali di qualsiasi intervento in questo senso sono: 1. una
seria ricognizione di tutte le fonti di finanziamento distribuite nei vari
ministeri; 2. la costituzione di un'Agenzia
per la ricerca scientifica che,
presso la presidenza del Consiglio, raccolga tutti i fondi disponibili e
supporti i progetti di ricerca secondo bandi aperti o tematici, facendo
pervenire i finanziamenti ai ricercatori più meritevoli con regolarità e senza
pastoie burocratiche. (Fonte: F. Zilibotti, CorSera 22-04-16)
MINISTRO GIANNINI: SUPERARE L’ATTUALE TRATTAMENTO
GIURIDICO PER I RICERCATORI
“Sino ad
ora – ha detto il ministro dell’università Stefania Giannini intervenendo ieri
agli Stati Generali della ricerca sanitaria organizzati dal Ministero della
Salute – i ricercatori sono stati trattati come normali dipendenti pubblici, ma
questo non funziona. È un aspetto che affrontiamo con una delega specifica alla
legge Madia, che renderà la figura del ricercatore libera di giocare con le
stesse regole che hanno i ricercatori di altri Paesi. Questo permetterà al
nostro sistema di aprirsi”.
Per
Giannini l’obiettivo del governo “è modificare in profondità il sistema,
rendendolo capace di attrarre investimenti ma soprattutto talenti. Per questo
dobbiamo costruire un ecosistema eccellente”. Il ministro sostiene di volere
“superare l’attuale trattamento giuridico per i ricercatori, come se fossero
dipendenti pubblici qualsiasi. In questo senso la burocrazia è spesso un
ostacolo e il decreto Madia è utile proprio per semplificare la Pubblica
amministrazione e per rendere la figura del ricercatore negli enti finalmente
libera di giocare con le stesse regole degli omologhi degli altri Paese. In
questo modo il nostro sistema sarà più competitivo”. La proposta punta proprio
alla realizzazione di un ruolo unico dei ricercatori, mettendo l’accento su libertà
di ricerca, autonomia professionale, titolarità di progetti e finanziamenti.
C’è anche “un percorso legislativo per riconoscere la figura del ricercatore
industriale – ha annunciato la vicepresidente di Confindustria, Diana Bracco –
Si tratta di un profilo di ricercatore che potrà avere un percorso con accesso
alternato al settore pubblico e privato, e ciò aumenterebbe la possibilità di
trasferimento tecnologico”. E’ un annuncio importante: i ricercatori – al
convegno si è parlato solo degli enti di ricerca, ma potrebbe valere anche per
l’università – saranno trattati da «imprenditori» che gestiranno i «capitali»
dei progetti individuali europei. Lo Stato non metterà un euro in più. Cosa che
avviene già oggi, solo che non esiste ancora lo status giuridico. Dopo la nuova
riforma, i ricercatori porteranno in dote il “peculium” e gli atenei se li
contenderanno su un mercato ristretto. Mancheranno sempre di più i fondi
destinati alle loro esigenze di base e quelli superstiti saranno distribuiti
dalla Valutazione della Qualità della Ricerca agli atenei “eccellenti”. Per
tutte le altre esigenze – i corsi, le lauree ecc – ci saranno i precari cui si
prospetta un “ruolo unico”. E il sogno di entrare a far parte della “global
class” degli imprenditori della ricerca contesi dal mondo universitario.
(Fonte: Il Manifesto 28-04-16)
PROGETTO "FARE RICERCA IN ITALIA"
Nel piano
nazionale per la ricerca (PNR) presentato nei giorni scorsi è stato inserito un
progetto - "Fare ricerca in Italia" - che ha l'obiettivo di attrarre
nel nostro Paese un numero crescente di ricercatori italiani e stranieri di
eccellenza per rafforzare il sistema della ricerca nazionale.
Alla luce
dei dati che evidenziano i risultati dei ricercatori italiani nelle
competizioni bandite dal Consiglio Europeo della Ricerca (European Research
Council - Erc) è necessario intervenire - si spiega - sia per potenziare i
ricercatori italiani che sottopongono i loro progetti all'Erc, sia per
assicurare che un numero crescente dei vincitori nei bandi dell'Erc vengano (o
rimangano) a svolgere la loro ricerca nelle università o negli enti di ricerca
italiani.
Accanto
alla semplificazione delle procedure per la realizzazione dei progetti in
Italia, si prevede un finanziamento aggiuntivo fino a un massimo di 600 mila
euro a favore dei ricercatori vincitori di bandi Erc di qualunque tipologia che
scelgono come sede l'Italia. Ai vincitori di grant Erc che sono chiamati nei
ruoli nelle università e negli enti di ricerca italiani si garantisce inoltre
la copertura totale della loro retribuzione. Saranno inoltre avviate ulteriori
facilitazioni riguardanti sia le retribuzioni e gli aspetti fiscali del loro
inquadramento sia le modalità di didattica. Il finanziamento previsto per il
triennio è di 246 milioni di euro. (Fonte: ANSA 04-05-16)
POSSIBILITÀ DI RENDICONTARE
GLI ASSEGNI DI RICERCA AI FINI DEI FONDI HORIZON 2020: LE UNIVERSITÀ SONO
D’ACCORDO, L’UNIONE EUROPEA NO
Dallo scorso ottobre la Commissione europea ha stabilito - in un
documento intitolato “Annotated model grant agreement” - che gli assegni di
ricerca, come anche le collaborazioni continuative e i contratti a progetto, non sono costi ammissibili per le rendicontazioni.
Peccato che questi siano i più frequenti inquadramenti con cui sono
contrattualizzati e pagati i ricercatori che portano avanti i progetti in
questione. Secondo l’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani la
posizione dell’Unione europea dà «un input ben preciso: riformare la figura del
pre ruolo». Ma in Italia ci sono, come sempre, visioni contrapposte: se per
l’Unione europea i contratti parasubordinati non vanno bene, secondo il
Convegno dei direttori generali delle università italiane e per l’agenzia per
la promozione della ricerca europea queste tipologie di contratti, per la legge
italiana, non hanno nessuna controindicazione e potranno essere rendicontate
benissimo ai fini dei fondi Horizon, perché sono assimilabili a quelli
subordinati. Eppure il ministro Poletti è stato chiaro in più occasioni nel
dire il contrario: l’assegno di ricerca è un contratto di lavoro
parasubordinato. (Fonte: www.linkiesta.it
22-03-16)
L'APPELLO AL GOVERNO DEI
VINCITORI DEI FINANZIAMENTI EUROPEI EMIGRATI ALL'ESTERO
Una lettera aperta al direttore de La Repubblica, così alcuni dei
ricercatori più brillanti del nostro Paese sono voluti scendere in campo nel
dibattito che proprio il conferimento dei Grant Erc (European Research Council)
ad alcuni di loro ha aperto da diverse settimane. Un’analisi di quelle che sono
le attuali difficoltà del sistema Italia per quanto riguarda la ricerca
scientifica, il ruolo degli studiosi nelle università e gli investimenti
pubblici in materia; poi sette proposte concrete per provare ad invertire la
rotta. Sette proposte provenienti direttamente da coloro che hanno sperimentato
le chiusure e le storture del sistema italiano e hanno scelto, o sono stati
costretti a scegliere, di aprirsi la strada all’estero. Riportiamo di seguito
la lettera redatta da Giulio Biroli, Roberta d’Alessandro e Francesco Berto
pubblicata su Repubblica e controfirmata da altri 12 colleghi vincitori di
Grant Erc: si legge qui http://tinyurl.com/z7vxvfn (24-03-16)
HUMAN TECHNOPOLE. NE PARLA IL MINISTRO MARTINA
Human Technopole sarà un incubatore
di laboratori nei settori della genomica, della nutrizione, del cibo e
dell'analisi delle grandi masse di dati per lo sviluppo di una strategia di
medicina di precisione al servizio dei cittadini. Questo progetto, accanto all'insediamento
della nuova cittadella universitaria della Statale di Milano, sarà l'anima
dell'intera area Expo riorganizzata, che dovrà vedere protagonisti operatori
pubblici e privati grazie all'unità d'intenti consolidata tra Governo, Regione
e Comune. Un ecosistema capace di attrarre investimenti in genetica,
alimentazione e big data che già oggi ha mosso grande interesse tra aziende e
realtà internazionali pronte a collaborare operativamente, facendo così
dell'area il grande hub italiano della ricerca riconoscibile in tutto il mondo.
Com’è noto, la redazione del progetto è stata affidata alla regia scientifica
dell'Istituto Italiano di Tecnologia, ente pubblico di diritto privato.
L'elaborazione della proposta è avvenuta nel corso di quattro mesi di intenso
lavoro, coinvolgendo gli scienziati di lit, quelli di diverse istituzioni, fra
cui i delegati delle università milanesi, le principali realtà cliniche della
zona (Ircss) e diversi soggetti nazionali di massima rilevanza scientifica. La
proposta, consegnata nel febbraio scorso, rappresenta un piano di lungo termine
che prevede la realizzazione di una infrastruttura (large scare facility)
recuperando edifici esistenti in cui potranno operare circa 1.500 ricercatori e
tecnici, tra cui un centinaio di Principal investigator. Vogliamo misurarci con
i migliori standard internazionali di riferimento e proprio per questo tutti,
dal direttore scientifico ai responsabili dei diversi centri dello Human
Technopole, verranno reclutati esclusivamente mediante bandi internazionali.
Sempre per questa ragione da qualche settimana il ministero dell'Università e
della Ricerca, nel suo ruolo di coordinatore degli attori coinvolti, ha inviato
la proposta progettuale a un panel di valutatori internazionali indipendenti
che daranno un giudizio sul piano di lavoro, comprensivo di tutte le
prescrizioni utili per la finalizzazione del programma. La valutazione si
concluderà entro la seconda metà di aprile e solo al termine di questa fase il
governo definirà il livello d'investimento pluriennale da garantire e le
modalità operative della gestione del progetto esecutivo, attraverso
provvedimenti che saranno naturalmente vagliati dal Parlamento. (Fonte: M.
Martina, CorSera 29-03-16)
HUMAN TECHNOPOLE. IL GRUPPO 2003 CHIEDE CHE IL
PROGETTO SI ATTUI SU RIGOROSE BASI DI MERITO E TRASPARENZA
E’
stato salutato con grande interesse il progetto del Governo di creare un polo
di ricerca biomedica di alto livello nell'area Expo, l'Human Technopole, con la
prospettiva di un finanziamento di 1,5 miliardi di euro in dieci anni.
Un'iniziativa ex-novo come questa avrebbe dovuto comportare l'apertura di
procedure accessibili a tutti i soggetti potenzialmente interessati, nonché la
scelta dei progetti migliori e più consoni alle finalità del piano da parte di
una Commissione Internazionale di alto profilo scientifico. Invece, nel caso
dell'Human Technopole, sono già stati nominati i Coordinatori dei sette centri
di ricerca in cui l'Ht si articolerà, senza una selezione pubblica e senza che
sia stata neppure creata una Commissione di Garanti. Il Gruppo 2003, costituito
dagli scienziati italiani più citati a livello internazionale e operanti in
Italia (www.gruppo2003.org
) ritiene che il progetto Ht vada perseguito, ma che debba essere realizzato,
in sintonia con le considerazioni della senatrice Cattaneo, su
rigorose basi di merito e trasparenza. Conforta apprendere che, quantomeno, i
Direttori dei sette Centri saranno selezionati da una Commissione qualificata,
attraverso criteri che riflettono la prassi adottata nei Paesi ad elevato
livello di ricerca scientifica. (Fonte: CorSera 04-04-16)
OGNI ANNO CIRCA 3000 RICERCATORI ITALIANI CON TITOLO ACCADEMICO DI DOTTORE
DI RICERCA SE NE VANNO ALL’ESTERO
La cosiddetta fuga dei cervelli è
una realtà concreta in Italia. Secondo il Country report Ue, ogni anno circa
3mila ricercatori italiani che hanno conseguito il titolo accademico di dottore
di ricerca se ne vanno all’estero, mentre il Paese non è in grado di importare
a sua volta ricercatori da fuori. Questo comporta un saldo negativo: -13,2%. In altre parole, se il 16,2% dei ricercatori
italiani se ne va, solo il 3% di studiosi stranieri arriva in Italia. Non
accade così nel resto d’Europa, che vede percentuali in pareggio o addirittura
positive. Questa situazione significa per l’Italia perdita di capitale umano e
impoverimento economico. Si stima che in un decennio, dal 2010 al 2020, il
nostro paese perderà 30mila ricercatori e 5 miliardi di euro, che invece
contribuiranno alla crescita di altri Stati. Negli anni scorsi c’è stato chi ha
messo in dubbio il fenomeno della fuga dei cervelli, perché pare non esista una
banca dati con i riferimenti degli italiani che svolgono ricerche all’estero.
Ma per Carolina Brandi, ricercatrice dell’Irpps-Cnr, l’Istituto di ricerche
sulla popolazione e le politiche sociali, il problema c’è e si deve al fatto
che l’Italia produce più dottori di ricerca di quelli che può accogliere (in
inglese si chiama overeducation). Di conseguenza, o si trova il modo di
orientare il mercato del lavoro all’innovazione per assorbire i numeri in
eccesso, oppure si cerca di ridurre i posti per i dottorati.
I ricercatori italiani all’estero
non pensano di ritornare in patria. In Italia, infatti, le condizioni di lavoro
sono meno favorevoli: guadagni più bassi, pochissime possibilità di carriera,
tante ingiustizie e scarse soddisfazioni. Insomma, lo status della ricerca in
Italia è quanto mai preoccupante e addolora sia chi è costretto ad andarsene,
magari dopo aver studiato e fatto grandi sacrifici, sia chi sceglie di rimanere
in un paese sempre più povero di eccellenza e merito. Il rapporto controverso
che gli italiani hanno con il paese che ha dato loro l’istruzione, a confronto
con quello che si respira altrove, è stigmatizzato dalle parole di Carolina
Brandi: «Mentre i non molti ricercatori stranieri che vengono a lavorare in
Italia tornano quasi sempre in patria dopo qualche tempo, gli scienziati
italiani che vanno all’estero in grande maggioranza non tornano più». (Fonte: www.venetoeconomia.it
28-03-16)
IL
MINISTERO DELLA SALUTE APRE UNA SURVEY
PER FARE UNA MAPPATURA DEI RICERCATORI DEL SSN
Il
Ministero apre una consultazione pubblica riguardo alle differenti professioni
sanitarie impegnate nella ricerca in Italia. Lo rende noto il Ministero della
Salute in una nota. A tutti i ricercatori del SSN “viene chiesto di contribuire
al lavoro di mappatura del personale di ricerca segnalando, ciascuno per il
proprio profilo, se trovano corrispondenti le informazioni relative alla
singola figura professionale, ovvero commentando le eventuali difformità e
proponendo modifiche o integrazioni”.
“Avvertendo l’esigenza di approfondire la conoscenza di questi professionisti – prosegue la nota - , delle loro storie, background ed esperienze professionali, la Direzione Generale della Ricerca e Innovazione in Sanità del Ministero della Salute ha già avviato un lavoro di mappatura del personale impegnato ed impiegato nella ricerca”. La survey resterà attiva fino al 31 Maggio 2016.
“Avvertendo l’esigenza di approfondire la conoscenza di questi professionisti – prosegue la nota - , delle loro storie, background ed esperienze professionali, la Direzione Generale della Ricerca e Innovazione in Sanità del Ministero della Salute ha già avviato un lavoro di mappatura del personale impegnato ed impiegato nella ricerca”. La survey resterà attiva fino al 31 Maggio 2016.
(Fonte:
www.quotidianosanita.it 26-04-16)
STATI GENERALI DELLA RICERCA SANITARIA
''Dobbiamo
creare un sistema in cui sia più facile fare Ricerca in Italia, più facile
brevettare ed avere una retribuzione adeguata alle proprie scoperte
scientifiche, potendo contare anche su un team adeguato di supporto per la
costruzione del percorso dei ricercatori stessi''. Lo ha affermato il ministro
della Salute, Beatrice Lorenzin, annunciando ''una proposta per il personale
della Ricerca'' formulata all'evento “Stati generali della Ricerca” che si è
tenuto il 27 e 28 aprile nella capitale.
Come
riportato dall'Ansa, Lorenzin ha rilevato come sia ''normale che i ricercatori
abbiano occasioni di scambio all'estero, ma ciò che non è normale è che non
tornino e che l'Italia non riesca ad attrarre ricercatori stranieri''. Dunque,
''dobbiamo aumentare la nostra capacità di accoglienza con norme che agevolino
sempre di più la Ricerca''.
Altro
obiettivo è ''mettere in rete'': ''Per questo - ha detto Lorenzin - abbiamo
creato una piattaforma per mettere in collegamento tutti i nostri ricercatori,
anche quelli che sono all'estero. Per la formazione di ciascuno di loro abbiamo
speso 400mila euro. Creare una community è importante, si tratta di un nostro
grande patrimonio". (Fonte: www.intelligonews.it
26-04-16)
APPLICARE ALCUNE FACILITAZIONI DI IIT AL RESTO DEL
SISTEMA DELLA RICERCA ITALIANA
Se le
risorse per la ricerca non ci sono (es. tutta la ricerca pubblica Italiana
finanziata con 30 milioni l’anno per i prossimi tre anni con i progetti PRIN, e
dopo si vedrà), appare discutibile che all’improvviso possa spuntare un
coniglio dal cilindro come lo Human Technopole. In realtà, la creazione
top-down, con decisione “politica”, di un’infrastruttura di ricerca, come
dovrebbe essere HT, così come di un istituto di eccellenza, come avvenne nel
caso dell’IIT (Istituto
Italiano di Tecnologia) dieci anni or sono, non è qualcosa di
errato. IIT è una fondazione di diritto privato, che non è soggetta ai “lacci e
lacciuoli” ai quali sono costretti gli enti Pubblici di Ricerca e le Università
pubbliche, come l’obbligo al ricorso del MEPA, l’assoggettamento alla VQR, ed
ha la possibilità di reclutare i ricercatori con procedure simili alle
selezioni pubbliche presenti nel resto del mondo. La soluzione dovrebbe essere
applicare alcune facilitazioni di IIT al resto del sistema della ricerca
italiana. È assurdo che la maggior parte dei ricercatori italiani di università
e enti di ricerca abbia problemi ad acquistare il toner della stampante, il
rotolo di carta per asciugarsi le mani o peggio i guanti di lattice per operare
in laboratorio in sicurezza. Senza un finanziamento minimo che garantisca il
“metabolismo basale” per fare ricerca non è possibile lavorare. Senza fondi da
distribuire su base progettuale, non si permette a chi ha delle idee di poterle
mettere alla prova, svilupparle e produrre cultura e innovazione. A volte idee
davvero geniali possono nascere con finanziamenti apparentemente irrisori, ma
non con “nulla”. Questa situazione è devastante, perché i ricercatori costano
comunque (stipendi) anche se non li si mette in condizione di lavorare. Non
finanziare adeguatamente la ricerca significa risparmiare spiccioli per perdere
tanti soldi. (Fonte: M. Bella, FQ 04-04-16)
RACCOMANDAZIONE DEL CUN A PROPOSITO DEI RICERCATORI
A TEMPO DETERMINATO TIPO B
Il
Consiglio Universitario Nazionale raccomanda (Prot. n. 5893 dell’8/3/2016) che
la possibilità di proroga fino al 31 dicembre 2016 dei contratti di ricercatore
a tempo determinato di tipologia b) sia garantita a tutti coloro che non hanno
a oggi conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale; che la possibilità di
partecipare ai bandi per i suddetti contratti sia estesa a tutti gli studiosi
in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale nel relativo settore
concorsuale. (Fonte: Redazione Roars 09-04-16)
ENTI DI RICERCA LIBERATI DAI VINCOLI DELLA PA
Assumere
un ricercatore al Cnr, all'Agenzia spaziale all'Istat o all'Enea sarà più
facile: non bisognerà più aspettare che si liberi una casella nella pianta
organica, ma un ente di ricerca potrà farlo se ha le risorse a disposizione
(entro però l'80% del proprio bilancio). È questa una delle misure più
importanti contenute nella bozza di decreto legislativo che attua la riforma
della Pa e atteso in Consiglio dei Ministri nelle prossime settimane. Come
detto, tra le misure c'è quella che dovrebbe liberare le mani agli enti di
ricerca nelle assunzioni di giovani ricercatori e tecnologi. Questi potranno
assumere personale a tempo determinato e indeterminato «entro il limite
complessivo dell'80% del proprio bilancio, incluse le risorse accertate
provenienti dal turn over». Almeno il 50% dei fondi per il personale dovrà
essere riservato ai contratti per ricercatori e tecnologi. In più il numero di
ricercatori di prima fascia (i dirigenti) non potrà essere superiore al 30% del
numero complessivo dei ricercatori di seconda fascia. (Fonte: IlSole24Ore
10-04-16)
SI CHIAMA “MARCONI” IL NUOVO SUPERCOMPUTER
(ITALIANO) DEL CINECA PER LA RICERCA
È
iniziata a metà aprile l’installazione del nuovo supercomputer italiano per la
ricerca, un sistema co-disegnato dal Cineca sulla piattaforma NeXtScale di
Lenovo. Il nuovo supercomputer sarà equipaggiato con la famiglia di processori
Intel Xeon di prossima generazione, per garantire alla comunità scientifica un
sistema con elevata potenza di calcolo, tecnologicamente all’avanguardia e in
grado di contenere l’assorbimento di energia elettrica. “Con questo piano il
Cineca riconferma la propria missione istituzionale di infrastruttura digitale
di eccellenza per il calcolo e i Big Data a disposizione della ricerca
scientifica e dell’innovazione tecnologica”, ha dichiarato Emilio Ferrari,
presidente del Cineca. Il nuovo sistema, nome logico “MARCONI”, sarà
progressivamente completato in poco più di 12 mesi, tra aprile 2016 e luglio
2017, secondo un piano di aggiornamenti successivi. (Fonte: D. Bertolino, it.ubergizmo.com 14-04-16)
ANVUR. TUTTI I CONTI
La Determinazione e relazione sul risultato
del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Agenzia nazionale di
valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)
2013-2014
è stata
depositata Il 5 aprile scorso dalla Corte dei conti.
Il board
dell’Agenzia è composto da un consiglio direttivo di sette membri che, al suo
interno, elegge il presidente, il quale resta in carica per un quinquennio, non
rinnovabile, con un compenso annuo di 210 mila euro, mentre gli altri
componenti del consiglio devono “accontentarsi” di 178.500 euro.
Complessivamente, dunque, il consiglio direttivo ha un costo di 1.281.000 euro
per annualità.
Il
direttore generale dell’Agenzia viene nominato dal consiglio direttivo, su
proposta del presidente, previa selezione tra soggetti di comprovata esperienza
nel campo della direzione e gestione di apparati e risorse e con documentate
conoscenze nel campo della valutazione delle attività del sistema delle
università e della ricerca. Nel 2013 e 2014, ha percepito un compenso annuo
lordo di euro 171.418 (di cui 51.152 a titolo di indennità di posizione euro e
28.500 per indennità variabile). Alla data del 31 dicembre 2014, l’Anvur poteva
contare su un organico di 15 dipendenti a tempo indeterminato, di cui 2
dirigenti di II fascia e 6 funzionari valutatori. Nel 2013, i contratti di
collaborazione sono stati 37, per un costo di euro 357.085; nel 2014, invece,
sono risultati 106, per una spesa complessiva di euro 415.439. Inoltre, presso
l’Agenzia operano a titolo gratuito diversi gruppi di lavoro, costituiti
prevalentemente da docenti universitari. Nel 2013, sono stati 280, mentre nel
2014 meno della metà. Dal 2014, l’Anvur dispone di una propria sede,
precedentemente era ospitata in locali appartenenti al Miur. Nel biennio in
esame, l’Anvur ha fatto registrare entrate, provenienti esclusivamente da
contributi statali, per euro 7.911.766 nel 2013 e per 6.493.900 nel 2014.
Quanto ai risultati finanziari ed economico-patrimoniali dell’Agenzia, la
Relazione della Corte dei conti evidenzia che nel 2013 il conto economico si è
chiuso con un aumento dell’avanzo, il quale è passato da euro 2.249.152 nel
2012 ad euro 4.330.293, mentre nel 2014 si è ridotto ad euro 1.839.662. Il
patrimonio netto nel 2013 è stato di euro 8.222.776 (euro 3.892.483, nel 2012)
e nel 2014 si è attestato ad euro 10.062.438. Il saldo finanziario nel 2013 ha
fatto registrare un avanzo di euro 4.340.039 (nel 2012, euro 2.226.181) e nel
2014 si riduce ad euro 1.637.959. L’avanzo di amministrazione nel 2013 ha
presentato un considerevole aumento, attestandosi ad euro 8.223.370 (euro
3.869.511, nel 2012), mentre nel 2014 è stato di euro 9.878.084. (Fonte:
Il Foglietto della Ricerca 21-04-16)
RICERCA. VALUTAZIONE DELLA RICERCA
PROTESTA CONTRO LA VALUTAZIONE
DELLA RICERCA (VQR). LE UNIVERSITÀ PIÙ DISOBBEDIENTI ALL’ANVUR
Non è una fotografia dettagliata della prima protesta (StopVQR) contro
la valutazione della ricerca (VQR) e il blocco degli stipendi dei docenti, ma
dai dati diffusi dall’Agenzia nazionale per la valutazione della ricerca universitaria
(ANVUR) emerge una realtà interessante. Nonostante le minacce ventilate, il
timore di danneggiare il proprio dipartimento nella distribuzione delle risorse
realizzata in base alla valutazione del triennio accademico 2011-2014, i
caricamenti forzosi dei “prodotti della ricerca”, sono diversi gli atenei –
anche di peso – dove la protesta si è mantenuta al di sopra della soglia
psicologica del 10 per cento: Napoli Parthenope (73,7%), Reggio Calabria
(82,7%), Catania (85,8%), L’Aquila (86,3%), Urbino, Roma Sapienza (86,4%),
Brescia (87,1%), Basilicata (87,8%), Pavia (87,9%), Roma Tre (88%), Sannio
(89,1%), Genova (89,1%), Siena (89,4%), Cagliari (89,9%), Salerno (90,3%),
Messina (90,5%). Poco sotto Milano Bocconi (91%). Nello stesso giorno della pubblicazione
dei dati Anvur un Gruppo di coordinamento sulle “3 missioni” dell’università
(Insegnamento, Ricerca, Democrazia delle opportunità), promosso da alcuni
docenti di Tor Vergata, ha rilanciato una petizione in cui si chiedono le
dimissioni dei componenti dei Gruppi di Esperti della Valutazione (GEV), cioè i
gruppi di esperti responsabili della valutazione dei prodotti della ricerca
inviati da ciascun ricercatore. “La nostra non è una protesta contro la valutazione
in quanto tale, ma contro questa valutazione,
perché è una delle cause principali della riconfigurazione in atto delle
missioni dell’università, che si cerca di nascondere dentro il cavallo di Troia
della neutralità e oggettività di algoritmi incomprensibili. Un coordinamento
sorto nella speranza che iniziative analoghe possano nascere in altre
università italiane e che si arrivi a “fare rete”. StopVQR non è l’impegno di
una stagione. È un’idea di università”. (Fonte: R. Ciccarelli, Il Manifesto
19-03-16)
COME OPERA ANVUR. UNA
CRITICA SERRATA
Anvur opera così. Cala dall’alto, senza alcuna possibilità di
interlocuzione con le associazioni scientifiche e tantomeno con singoli
docenti, un elenco di riviste sulle quali i ricercatori italiani devono
pubblicare: devono nel senso che l’assenza di loro pubblicazioni in quelle
riviste comporta una decurtazione di finanziamenti per l’Istituzione nella
quale lavorano. La si potrebbe definire Scienza di Stato. Anvur non valuta
tutto ciò che, oltre la ricerca, fanno i professori universitari: didattica, impegni
istituzionali, partecipazione a convegni, per una quantità di ore lavoro che,
in molti casi, supera di gran lunga le otto ore giornaliere, compresi i fine
settimana. I componenti dell’Anvur, poi, non sono eletti ma nominati dal
Ministero, con procedure alquanto opache. Anvur, infine, ha un costo di
funzionamento stimabile intorno a decine di milioni di euro annui: non è poco.
La selezione delle riviste è fatta sulla base del cosiddetto fattore di
impatto (impact factor), un indicatore che cattura la numerosità di lettori di
una data rivista. L’impact factor non è
mai stato utilizzato, in nessun Paese al mondo, per valutare la qualità della
ricerca scientifica: si tratta di un indicatore formulato per orientare le
scelte di acquisto di riviste da parte delle biblioteche.
L’Agenzia valuta le pubblicazioni in relazione alla sede che le ha
ospitate, indipendentemente dal loro contenuto, così che un articolo che nulla
aggiunge alle nostre conoscenze, se, per puro caso, è stato pubblicato su
riviste di “eccellenza” (ovvero certificate tali dall’Agenzia) riceve una
valutazione molto positiva, così come, per contro, un articolo estremamente
innovativo pubblicato su riviste che l’Anvur non considera buone riceve una
valutazione bassa. È del tutto evidente che questo dispositivo genera
attitudini conformiste, dal momento che per pubblicare su riviste considerate
prestigiose (e definite di classe A) occorre uniformarsi alla loro linea
editoriale, e talvolta – come spesso documentato – anche mettere in atto comportamenti
eticamente discutibili.
Vi è di più. L’Anvur ha, a più riprese, riformulato le sue valutazioni; il
che costituisce un segnale piuttosto eloquente della natura sperimentale degli
esercizi di valutazione che compie, e della sua approssimazione. D’altra parte,
l’Agenzia ha scelto curiosamente di non fare riferimento a esperienze
consolidate da decenni (come quella britannica), ma di proporre nuove
metodologie, con esiti a dir poco confusionari. Può essere sufficiente
considerare che gli esiti della Vqr in corso non saranno confrontabili con
quella precedente, generando il risultato surreale per il quale non sarà
possibile capire se la produttività dei ricercatori italiani, nell’ultimo
decennio, è aumentata, diminuita o rimasta costante. (Fonte: G. Forges
Davanzati, www.quotidianodipuglia.it 12-04-16)
IL TEMPO GIUSTO PER LA VALUTAZIONE
La
valutazione è qualcosa di troppo serio per poter essere seriale, di troppo
delicato per poter essere affidato a criteri automatici o semiautomatici, di
troppo importante per potere essere portato a termine in fretta, quanto prima,
prima del tempo che ci vuole: «Benché sia il misconoscibile per eccellenza, il
tempo è ciò che rivela la miscomprensione e la misvalutazione: è col favore del
tempo che lo scarto tra vera e falsa verità, tra verità vivente e verità morta
aumenta poco a poco; ed è nel corso del tempo che chi veniva scandalosamente
sopravvalutato o ridicolmente gonfiato verrà ributtato nell’immenso
dimenticatoio del divenire; chi era misconosciuto sarà riconosciuto. La
valutazione della qualità della ricerca non può essere la base della
distribuzione, anche parziale, di risorse finanziarie, per la semplice ragione
che richiede il tempo che richiede, non un secondo di meno: il tempo di volta
in volta giusto, per definizione non preventivabile. Il problema della
valutazione non è quello di essere fatta entro, ma, semmai, quello di essere
fatta non prima di. Il resto non è valutazione della qualità, semmai
valutazione «senza qualità». Si abbia — se non altro — il buon gusto, il
pudore, la decenza di ricorrere a un altro vocabolario. (Fonte: E. Mauro, Palaver 5 n.s., 2016,
n. 1)
LA NUOVA VERSIONE DEL SISTEMA AVA (AUTOVALUTAZIONE, VALUTAZIONE PERIODICA, ACCREDITAMENTO)
L’ 8
aprile a Perugia ANVUR ha presentato la nuova versione di AVA. Il tentativo
sembra quello di tenere conto delle critiche rivolte ad AVA in questi anni:
giudizi appiattiti verso il basso (quasi tutti i CdS e le sedi valutate dalle
CEV sono finite in fascia C), eccessiva rigidità della metodologia di
valutazione, deriva burocratica, lessico “burocratese” e distante dall’oggetto
che voleva cogliere, scarsa attenzione ai CdS delle aree non
professionalizzanti. La nuova linea, all’insegna della parola d’ordine
semplificazione, propone, apparentemente, meno adempimenti e meno scadenze,
meno indicatori e più autovalutazione da parte degli Atenei in base a
indicatori uniformi forniti da ANVUR. I cosiddetti “Indicatori sentinella” (o
“spia”), confrontabili: carriere studenti, attrattività,
internazionalizzazione, occupabilità, ore di didattica erogate dai docenti di
ruolo, indicatore Poggi VQR per valutare la qualità dei docenti. Tutti concordi
nella lamentazione sulla mancanza tra questi indicatori, e più in generale tra
i dati ad oggi disponibili, di quelli relativi alle opinioni degli studenti. Il
sistema unico nazionale con domande uguali per tutti gli Atenei (tra le quali,
lo ricordiamo, erano scomparse quelle relative alla valutazione delle
strutture) era stato imposto da AVA proprio con questa funzione, arrivare a
dati confrontabili, condivisibili, anche in chiave FFO premiale. A detta del prof.
Benedetto si tratterebbe solamente di un problema tecnico, con l’accenno a una
gara europea da indire per metterli online. Un problema tecnico di lunga
durata, comunque. E qualcuno, come il prof. Castagnaro, ricorda che si tratta
anche di un obbligo di legge, previsto nello stesso “Regolamento concernente la
struttura ed il funzionamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema
universitario e della ricerca” (Decreto del Presidente della Repubblica 1
febbraio 2010, n. 76). (Fonte: Redazione Roars 19-04-16)
SISTEMA UNIVERSITARIO
LA MISSIONE DELL’UNIVERSITÀ
L'università ha nei confronti del Paese una missione impegnativa:
tenere viva l'intelligenza, coltivare talenti, diffondere cultura e civismo
anche presso chi all'università non va, attrarre stranieri (sia studenti che
docenti), consolidando la posizione internazionale del Paese. A queste funzioni
bisogna aggiungere quella cruciale: creare idee, innovazioni, soluzioni,
elaborazioni intellettuali avanzate, che si traducano, certo, in progresso
industriale, tecnologico, sanitario, economico, ma anche in orizzonti culturali
aggiornati e moderni. Sono evidenti a tutti, questi obiettivi? Gli italiani
capiscono che una buona
università fa bene anche a chi non la frequenta? Non
dovrebbe toccare alla politica far capire al colto e all'inclita questi
semplici fatti? Eppure, il tema nel suo complesso non riscalda affatto il cuore
dei politici, che tutt'al più sembrano interessati a crearsi piccoli atenei
personali. Bisogna vedere chi sono gli stakeholder dell'università, cioè le
categorie che hanno interesse a che essa viva, prosperi e si espanda. I primi
sono ovviamente i giovani: pieni di speranza, di talento e di energia, hanno
bisogno di sentirsi accolti, seguiti, se occorre premiati, e di sapere che il
loro contributo intellettuale è necessario e desiderato. In secondo luogo il
personale universitario. Maltrattato con carriere tortuose e stipendi
tutt'altro che brillanti (bloccati dal 2010), mortificato dalla convivenza
coatta di persone di qualità e faccendieri, inceppato nelle carriere da
concorsi assurdi e intermittenti, disorientato tra sprechi e ristrettezze, ostinato
nel tenere contatti internazionali malgrado la miseria, esso ospita pur sempre
talenti di alto livello, che riescono ad assicurare una produzione scientifica
tra le prime del mondo. In terzo luogo le famiglie, che negli studi dei figli
investono denaro e speranze, creando Pil in abbondanza. (FQ 26-03-16)
CHE
COSA DEVE PRODURRE L’UNIVERSITÀ?
Che cosa deve produrre l’università? Sapere e
capacità. Più ne produce, meglio è. Questo perché una
popolazione forte di sapere e capacità sarà più felice, più reciprocamente
rispettosa, e anche più ricca. La civiltà e la prosperità dei popoli più civili
e più prosperi è direttamente proporzionale al loro tasso di istruzione. Quindi
il modo più lungimirante di governare l’università è investirci molti soldi,
pretendendo indietro molto sapere e formazione di alto livello. Non è
pretendere che si atrofizzi su bilanci striminziti, e concentri ogni suo sforzo
nel non andare in perdita. Non è pensare solo a quanto denaro entra e quanto
denaro esce, ma a quanto sapere esce. L’università deve essere in
grave perdita (economica), per poter rendere al meglio in sapere e
capacità. È questo il suo pareggio di bilancio. Altrimenti è inutile (v. Martin Wolf, Running a university is not like selling baked beans). Invece
l’università italiana viene governata da vent’anni come se la sola cosa fondamentale fossero i suoi conti economici.
Di questa tendenza fa parte l’accento che la governance mette sul fund
raising. Fra i parametri in base a cui si valutano e si premiano i
professori universitari, acquisisce sempre più importanza la capacità di
organizzare progetti di ricerca finanziati da entità esterne.
Così i docenti universitari vengono costretti ad accantonare i problemi
scientifici e l’attenzione didattica, per concentrarsi su modi di ottenere
soldi dall’esterno. (Fonte: E. Lombardi Vallauri, Il Mulino
30-03-16)
DIVERGENZA DEL SISTEMA PER
EFFETTO DELLE POLITICHE UNIVERSITARIE DEL FINANZIAMENTO
Il sistema universitario è stato governato in modo da produrre
un’assoluta e totale divergenza. Perché? Perché le politiche universitarie del
finanziamento delle università sono state basate su una serie di indicatori che
incorporano una scelta di polarizzazione del sistema, che ha creato degli
effetti allocativi fortissimi, per cui una piccola parte del sistema,
corrispondente al Nord centrale, è stata relativamente difesa; una grande parte
del sistema, il Nord periferico, il Centro e il Sud continentale è stata
colpita fortemente e un’altra parte del sistema - le isole - è stata
massacrata. Quindi, il Principe ha deciso che c’erano università migliori,
premiate, e università peggiori. Come ha
deciso il Principe? La mia personale opinione è che ha deciso tramite una delle
peggiori politiche pubbliche degli ultimi anni. L’allocazione del fondo
premiale per l’università è stata - a mio avviso - una delle peggiori politiche
pubbliche degli ultimi anni. Gli indicatori sono stati definiti tutti dopo aver
avuto i dati, sono cambiati tutti gli anni, ne sono stati usati ventidue in
sette anni. Tutti gli indicatori sono relativi a valori assoluti e mai a
indicatori di miglioramento. Quasi tutti gli indicatori hanno rapporti più con
le condizioni di contesto in cui sono collocate le università che col
comportamento delle università. La VQR, la Valutazione della Qualità della
Ricerca gestita dall’ANVUR, è stata utilizzata anche in questo modo e siamo
arrivati al paradosso che lo stesso indicatore della VQR, cioè l’IRAS3 [qualità
del reclutamento] ha prodotto due classifiche completamente diverse in base
agli stessi dati. Dunque, la politica ha prodotto la divergenza sulla base di
scelte d-i-s-c-r-e-z-i-o-n-a-l-i del “Principe”, mascherate da indicatori
tecnici. (Fonte: G. Viesti, forum organizzato dal Mattino di Napoli il16 marzo
2016)

I 10
PUNTI DEI RETTORI PER INAUGURARE UNA NUOVA PRIMAVERA DELL’UNIVERSITÀ
Il 21 Marzo è diventato una data simbolica
per l’Università italiana. La CRUI ha chiamato a raccolta gli atenei per
lanciare un allarme sul rischio di perdita di competitività internazionale.
Sono 10 i punti che gli 80 atenei aderenti alla Conferenza dei Rettori hanno
messo in evidenza per inaugurare una Nuova Primavera:
• L’istruzione universitaria crea individui
più liberi e più forti. La laurea aumenta la possibilità di trovare occupazione
e consente di guadagnare di più. Fatto 100 lo stipendio di un diplomato, quello
di un laureato è pari a 143. Un tasso di disoccupazione pari al 30% per i
diplomati, scende al 17,7% per il laureati.
• La presenza di un’università genera
territori più ricchi. Attraverso trasferimenti di tecnologia, contaminazione di
conoscenza, divulgazione, sanità e servizi per i cittadini, posti di lavoro
diretti e indiretti, consumi dei residenti temporanei, miglior qualità della
vita culturale. 1 euro investito nell’università frutta almeno 1 euro al
territorio.
• Grazie all’università il Paese è più
innovativo e competitivo. Nonostante crisi e sottofinanziamento l’Italia si
colloca all’8° posto tra i Paesi OCSE e davanti alla Cina per quantità assoluta
e qualità della produzione scientifica.
• L’Italia ha il numero di laureati più basso
d’Europa (e non solo). UK 42%; OCSE 33%; UE21 32%; Francia 32%; G20 28%;
Germania 27%; Italia 17%.
• L’Italia non investe nell’università.
Investimento in euro per abitante: Singapore 573 , Corea del Sud 628, Giappone
331, Francia 303 e Germania 304. Italia 109.
• L’Italia ha applicato l’austerity
all’università. Fondi pubblici nel 2009: 7.485 mln. Nel 2016: 6.556 (-9.9%).
Fondi pubblici 2010-2013: Francia + 3,6% Germania +20%
• L’università è in declino. Meno studenti,
meno docenti, meno dottori di ricerca. 130.000 studenti in meno su 1.700.000
negli ultimi 5 anni. 10.000 docenti e ricercatori in meno su 60.500 dal 2008 al
2015. 5000 dottori di ricerca in meno negli ultimi 5 anni.
• Il diritto allo studio non è più garantito.
Italia 0%-9% degli studenti usufruisce degli strumenti di supporto allo studio.
In Germania il 10%-30% degli studenti. In Francia fra il 40% e l’80%. Inoltre
in Italia il numero degli aventi diritto supera la disponibilità delle risorse.
• Personale tecnico-amministrativo e docenti
non sono incentivati. Il contratto di lavoro del personale
tecnico-amministrativo è fermo al 2009, gli stipendi dei docenti al 2010. Le
retribuzioni sono fra le più basse d’Europa.
• Norme bizantine impediscono all’Università
di essere competitiva.
I DATI DEL DECLINO
DELL’UNIVERSITÀ
I dati sull’istruzione universitaria in Italia riferiti dalla CRUI
raccontano un declino progressivo e drammatico. Il nostro è, tra i Paesi a
maggiore sviluppo, uno tra quelli con il più basso numero di laureati sul
totale della forza lavoro: 19%, contro il 35% della Francia o il 39% del Regno
Unito. L’Italia destina al sistema universitario lo 0,4% del Pil, contro lo
0,73% della Spagna o lo 0,99% della Francia. Fa impressione, in particolare, la
radicale diversità delle politiche sull’università con cui in Europa si è
affrontata la crisi economica: tra il 2010 e il 2013 in Italia gli investimenti
pubblici sono calati del 9,9%; in Francia e in Germania, nello stesso periodo,
sono aumentati del 3,6% e del 20%. La spesa per studente pro capite, a prezzi
costanti e a parità di potere d’acquisto, in Italia è diminuita dell’11%,
mentre in Germania è cresciuta del 12,6% e in Francia del 16,1%.
Un deficit di investimenti per le generazioni future che non ha mancato
di produrre effetti pesanti sul numero degli immatricolati negli atenei
italiani, calati del 13% tra il 2007 e il 2013 (ma al Sud il dato negativo è
del 21%). Il tasso medio di passaggio all’università per studente superiore è
calato dallo 0,56 allo 0,52: su 100 studenti che nel 2005 frequentavano
l’università in ciascun Paese Ocse, ora in Italia ne rimangono 97, mentre sono
aumentati a 114 in Spagna e 119 in Germania.
Tra i fattori che gravano sull’accesso all’istruzione universitaria,
fondamentale è la mancanza di sostegno finanziario agli iscritti. Non solo
l’università italiana è costretta a una tassazione studentesca elevata rispetto
alla media europea, ma il numero di borse di studio per i nostri studenti è del
tutto inadeguato. Nel 2012 le borse assegnate sono state 120mila, contro le
305mila in Spagna e le 620mila in Francia. L’Italia investe in ricerca e
sviluppo meno dell’1,5% del Pil contro il 2% della media europea. Eppure il
nostro Paese riesce comunque a classificarsi ai vertici per la sua produzione
scientifica (siamo ottavi tra le nazioni Ocse). Ma i fondi ministeriali sono in
discesa, e ciò si ripercuote anche sui posti di dottorato di ricerca bandito:
dal 2007 il calo è stato del 22%, e l’Italia è tra gli Stati Ocse con il più
basso numero di dottorandi ogni 1000 abitanti (0,6, contro i 2,6 della
Germania). Il sottofinanziamento falcidia anche il personale delle università:
dal 2007 al 2014 sono stati oltre 15mila i docenti e tecnici-amministrativi
persi dagli atenei italiani. Un crollo del 13% dovuto ai limiti di legge al
turn cover e alla diminuzione delle risorse, molto superiore al calo medio dell’
organico sopportato da tutte le altre amministrazioni pubbliche (il 5%).
(Fonte: Ilbo 21-03-16)
NON
RASSEGNARSI AL DECLINO DELL’UNIVERSITÀ ITALIANA
L’Italia si colloca all’8° posto tra i paesi
Ocse per quantità e qualità della produzione scientifica ed ai primi posti per
produttività individuale dei ricercatori. D’altro canto, invece, l’Italia ha il
numero di laureati più basso d’Europa (e non solo): Uk 42%; Ocse 33%; Ue 32%;
Francia 32%; G20 28%; Germania 27%; Italia 17%. Oggi abbiamo meno studenti,
meno docenti, meno dottori di ricerca: 130.000 studenti, 10.000 docenti e
ricercatori, 5000 dottori di ricerca in meno negli ultimi anni. E questo
perché, in primo luogo, l’Italia non investe nell’università: Singapore spende
573 euro per abitante, Corea del Sud 628, Giappone 331, Francia 303, Germania
304. Italia 109. Anzi, in questi anni di crisi, l’Italia ha applicato
l’austerity all’università: i fondi pubblici sono diminuiti (-9.9%) mentre
contemporaneamente sono aumentati in Francia (+3,6%) e Germania (+20%). Ecco
perché la Sapienza invita la più grande comunità universitaria italiana a una
discussione allargata e plurale, impegnata ad avanzare proposte per rilanciare
il ruolo della ricerca e della formazione: con il suo passato di cultura e
tradizione, l’Italia non può e non deve rassegnarsi a un pericoloso declino.
Solo investendo su formazione, cultura, innovazione e puntando decisamente sui
giovani il Paese uscirà dalla crisi. (Fonte: E. Gaudio, roma.corriere.it 16-03-16)
ESIGENZE SECONDO LA FLC CGIL
PER CREARE UN SISTEMA UNIVERSITARIO ALL’ALTEZZA DELLE NECESSITÀ DEL PAESE
Se veramente si vuole creare un sistema universitario all’altezza delle
necessità scientifiche, culturali e produttive del Paese, debbano essere
richiamate con forza innanzitutto queste esigenze:
-
Costruire un diritto allo studio che rispetti in
pieno il mandato costituzionale;
-
Assegnare agli atenei risorse sufficienti a
garantire a tutti gli studiosi validi, strutturati e non, opportunità di
carriera e condizioni di lavoro degne dell’importanza che la ricerca e
l’insegnamento universitario hanno per questo Paese;
-
La ripresa di un piano ordinario di finanziamento
della ricerca di base per sostenere le capacità di ricerca del nostro sistema;
-
Estendere le tutele di disoccupazione a tutti i
precari della ricerca;
-
Riconoscere giuridicamente ai docenti il servizio
prestato negli anni 2011-2015;
-
Garantire la ripresa della normale dinamica
contrattuale per il personale tecnico amministrativo e bibliotecario e per i
lettori/cel dando avvio al percorso di rinnovo, economico e giuridico, dei
contratti. (Fonte: www.flcgil.it 17-03-16)
DISATTENZIONE PER LA MODERNIZZAZIONE DELL’ISTRUZIONE SUPERIORE
La Commissione Europea ha indetto
una Consultazione pubblica sulla modernizzazione della formazione superiore (Public consultation on a renewed
Modernisation Agenda for Higher Education in the European Union), aperta il
27 novembre 2015 e ormai chiusa il 29 febbraio 2016, ma ancora visibile
all’URL: http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/more_info/consultations/new-modernisation-agenda_en.htm.
Quale è stato il contributo italiano
alla consultazione? Nullo, o quasi. Né risulta che da parte del MIUR sia stata
data alcuna informazione, indicazione o sollecitazione a parteciparvi; nessuna
informazione è stata data al CUN, nessuna alla CRUI o direttamente agli Atenei.
Il vuoto più assoluto. Come è possibile tanta disattenzione? Eppure da diversi
anni il tema della modernizzazione della didattica è affrontato molto
decisamente dalla Commissione Europea, che lo ha posto tra le priorità della
propria agenda, nella convinzione che proprio dalla qualità della formazione
superiore dipenderà la crescita, lo sviluppo e la competitività dell’Unione. Per rendersene conto è sufficiente leggere alcuni documenti recenti
della Commissione, come ad esempio: Opening up education: innovative teaching and learning
for all through new technologies and open educational resource.
I temi della qualità della
didattica, della sua modernizzazione e della formazione alla docenza sono
pressoché ignorati dal legislatore italiano, che pare avere ampiamente
sottovalutato gli effetti negativi che derivano da un impianto normativo molto
sbilanciato, che penalizza e talora perfino ostacola lo svilupparsi di una
didattica di qualità; in particolare:
- La didattica è del tutto irrilevante ai fini
dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), perché quest’ultima è concepita
come esclusivamente scientifica; di conseguenza i professori associati e i
ricercatori di ruolo sono indotti a concentrarsi sul miglioramento dei propri
indicatori e parametri per conseguire l’abilitazione e a trascurare la
didattica; a maggior ragione lo sono i Ricercatori a Tempo Determinato (RTD),
preoccupati dal fatto che, se non conseguono l’ASN, sono destinati ad essere
espulsi dal sistema universitario;
- i pesanti adempimenti burocratici, imposti
centralmente, lungi dal toccare il tema della modernizzazione dell’insegnamento
e dell’apprendimento e privi come sono di ricadute premiali, non incentivano e
non valorizzano le iniziative di miglioramento della didattica e lo sviluppo di
“best practice” in campo didattico;
- non vi è alcun richiamo alla necessità di
armonizzare la formazione superiore nell’ambito del Processo di Bologna e in
particolare non si trova traccia di un’impostazione didattica centrata
sull’apprendimento dello studente anziché sull’insegnamento del docente, come
richiesto dai più moderni paradigmi didattici.
- Altri provvedimenti successivi continuano a
privilegiare la ricerca rispetto alla didattica; è il caso del Decreto che
ripartisce il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) tra gli atenei per il
2015, che attribuisce l’85% della quota premiale alla qualità della ricerca, il
15% alla mobilità studentesca e alla regolarità degli studi e 0% alla qualità della
didattica.
(Fonte: A. Stella, www.roars.it
30-03-16)
A GOVERNMENT-SUPPORTED, BUT
MARKET-ORIENTED, HIGHER EDUCATION SYSTEM IS OPEN TO ABUSE
The
question is partly whether it makes sense to view higher education as a business. The government recognises
problems. But it underestimates them. In its origins and still today, a
university is a special institution: a community of teachers and scholars. Its
purpose is to generate and impart understanding, from generation to generation.
The university is a glory of our civilisation. It is neither a business nor a
training school. Of all this, the discussion document shows little inkling.
Abusing a label may not matter so much; not recognising the role of
universities does.
An
immediate concern, however, is whether the conditions for a competitive market
exist. Special institutions have long provided higher education, for good
reasons. By definition, students cannot understand what they are buying: that
is what makes them students. The value of what they obtain is likely to become
evident over many years. They rely on reputation. They must believe, therefore,
that the institution cares about its reputation. That is why the longevity of
these institutions is so vital. (Fonte: M. Wolf, next.ft.com 18-02-16)
TESI DELL’ADI (ASSOCIAZIONE DOTTORANDI E DOTTORI DI
RICERCA ITALIANI) SUL PERCHÈ L’UNIVERSITÀ ITALIANA È POCO ATTRATTIVA
Secondo
l’ADI vi è la necessità di interventi sistematici, le cui ragioni sono
riassumibili nelle seguenti tesi. La prima tesi è che l’Università italiana è
scarsamente attrattiva perché si basa sul precariato della ricerca. La seconda
tesi è che l’università è poco attrattiva perché finanziata poco e male. La
terza tesi è che non esiste l’università senza i suoi studenti.
L’Università
italiana è scarsamente attrattiva perché si basa sul precariato della ricerca.
Oltre il 50% del personale universitario fa ricerca senza una posizione di
ruolo, incastrato in un meccanismo di reclutamento che, dopo il dottorato, prevede
una giungla di contratti parasubordinati (borse e assegni di ricerca) e a tempo
determinato (ricercatori a t.d. di tipo “a” e “b”). Al netto dei periodi di
lavoro gratuito, la “gavetta” in Italia dura almeno 12 anni mentre, stando ai tassi di reclutamento attuali, solo
l’8% degli attuali 14.400 assegnisti di ricerca avrà la possibilità di
concorrere per una posizione di ruolo (V Indagine annuale ADI), avendo superato
da lungo tempo i 40 anni. Concordiamo con i vincitori dei fondi ERC quando
scrivono “Allo scopo di attrarre ricercatori dall’estero e non far scappare
molti dei migliori ricercatori italiani, è necessario presentare loro un piano
chiaro per lo sviluppo della propria carriera.” Riteniamo che il primo passo
per raggiungere questo obiettivo sia lo sblocco del turn-over in vigore dal
2008, un sostanziale innalzamento dei tassi di reclutamento – le misure
contenute nell’ultima legge di stabilità sono largamente insufficienti – e una
riforma del pre-ruolo che semplifichi le figure contrattuali e aumenti le
tutele.
L’università
è poco attrattiva perché finanziata poco e male. A partire dal 2009, il sistema
accademico nazionale ha accumulato tagli per circa 800 milioni di euro che si
sono abbattuti in modo differente sui diversi territori, colpendo soprattutto
il Mezzogiorno. Un grande numero di università deve così ridimensionarsi e i
primi a farne le spese sono studenti e ricercatori precari. E’ indispensabile
dunque aumentare il finanziamento all’università italiana e ripensarne la
distribuzione, distinguendo nettamente quota ordinaria e quota premiale con il
fine di aumentare il livello medio di tutto il sistema .
La
situazione del Diritto allo Studio nel nostro paese è drammatica e gli
interventi messi in campo dal Governo risultano insufficienti, come nel caso
del recente decreto di aggiornamento delle soglie Isee e Ispe, che non ha
reintegrato totalmente la platea degli esclusi dalla borsa di studio. Solo il
10 % degli studenti è beneficiario di borsa di studio contro il 19% della
Spagna e il 27 % della Francia. Il sistema per come è strutturato inoltre
produce delle profonde sperequazioni tra le regioni che passano da un 100% di
coperture delle borse (Toscana) al 32% della Sicilia. (Fonte:
http://tinyurl.com/zfz6aga 15-04-16)
LA PREVISIONE DELL’”OSPEDALE UNIVERSITARIO”
Ha
scritto tempo fa il professor Livrea: “Le Aziende Ospedaliere Universitarie
sono la sede del triennio clinico del corso di laurea in medicina e chirurgia
(oltre ai Policlinici universitari) e dopo 16 anni di applicazione della 517/99
è drammaticamente evidente la disomogeneità con cui si sono realizzate e la
loro organizzazione mutuata dai modelli ospedalieri, dimostrando di non essere
riusciti a rispondere adeguatamente (ed è un eufemismo n.p.) all’esigenza
primaria per cui erano nate. Sarebbe
necessaria una rivisitazione della legge 517/99 con la previsione
dell’”Ospedale Universitario” nel quale tutte le attività, tutta l’azione
amministrativa, nonché i criteri di valutazione complessivi sono fondati sulla
inscindibilità tra clinica, ricerca e didattica che non è una prerogativa della
sola medicina universitaria ma di tutta la medicina.
Oggi le
Aziende Ospedaliere Universitarie sono di fatto l’assemblaggio di due
componenti: quella universitaria che non vuole essere assimilata a quella
ospedaliera e quella ospedaliera per la quale non è primaria la sussistenza e
la qualità della formazione degli studenti. Le amministrazioni delle Aziende
hanno teso a trasformare il lavoro universitario in lavoro ospedaliero mentre
sarebbe necessario cooptare il lavoro ospedaliero alla finalità formativa e di
ricerca scientifica dell’università (per esempio creare la posizione
occupazionale del docente aggiunto)”. Naturalmente questi sono solo fugaci
cenni di un problema complesso che deve essere adeguatamente approfondito.
(Fonte: B. Ravera, www.quotidianosanita.it 29-04-16)
STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO
PER LE BORSE DI STUDIO 2015 ARRIVA IL FONDO INTEGRATIVO
STATALE
La
Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’intesa sul riparto tra le Regioni del
Fondo integrativo statale per le borse di studio per l’anno 2015. Rispetto al
fondo 2014, quello del 2015 arriva con un ritardo di quattro mesi piuttosto che
di nove. Ciononostante il risultato non è positivo essendo dicembre la data
naturale perché la liquidazione del finanziamento produca i suoi effetti
nell’anno. Viene ripartito secondo le regole fissate da un decreto del
Presidente del Consiglio del 2001 che all’articolo 16 prevede che il 50% del
fondo sia attribuito in proporzione alla spesa destinata alla concessione delle
borse di studio. Una quota pari al 35% è ripartita in base al numero di idonei
nelle graduatorie per la concessione delle borse di studio nell’anno accademico
in corso. Il rimanente 15% viene erogato in proporzione al numero di posti
alloggio, in gestione diretta o indiretta, degli organismi regionali di
gestione effettivamente disponibili. (Fonte: www.iostudionews.it 14-04-16)
LA DISCESA: -20% GLI
IMMATRICOLATI, -17% I DOCENTI, -18% IL PERSONALE TA E -22,5% IL FFO
Dal periodo di massima espansione dell'università (2004-2008) al
2014-2015 tutte le "voci" del sistema riportano il segno meno. Così
troviamo: -20% di immatricolati (da 326.000 a 260.000), -17% di docenti (da
63000 a 52.000), -18% di personale amministrativo (da 72.000 a 59000) e -18%
ancora di corsi di studio (da 5.634 a 4.628). E naturalmente il Fondo di
finanziamento ordinario (FFO) scende del 22,5%. In particolare, a partire dal
2009 questo risulta composto da una quota base (ridotta dai 6,7 miliardi ai 4,9
del 2015) e da una quota premiale che tende sempre di più a crescere (dai 524
milioni del 2009 a 1 miliardo e 385 milioni del 2015). Il problema è che
quest'ultima - denuncia una ricerca della Fondazione Res (istituto di Ricerca e
società in Sicilia) coordinata e curata da Gianfranco Viesti, docente di
economia all'Università di Bari - è determinata da un sistema di 22 indicatori
che cambiano ogni anno. «Un sistema barocco», scrive Viesti. Per far fronte al
quale a poco servono gli "aggiustamenti" in corso d'opera. A pagare
le conseguenze sono soprattutto le università del Sud: mentre al Nord il taglio
del FFO è del 4,3% al Centro e al Sud è del 12% con picchi nelle isole (a
Messina è stato del 22,7%). Il crollo del Sud lo si vede poi anche nella
garanzia del diritto allo studio. Rispetto al Centro Nord dove il 90% degli
studenti idonei riceve la borsa di studio, nelle isole è il 38% e nel
Mezzogiorno continentale il 61%.(Fonte: D. Coccoli, Left 19-03-16)
I FUTURI STUDENTI UNIVERSITARI
SI CONCENTRANO PIÙ SUL TEST CHE SULL'ESAME DI STATO
I 2.500 studenti di V superiore del campione di un'indagine di
Skuola.net, in collaborazione con UnidTest, sono convinti che per l'università
la maturità conta poco. Ben 1 maturando su 4 che sogna un futuro da medico o
odontoiatra è concentrato più sul test che sull'esame di Stato. Addirittura 1
su 3 in caso di aspiranti medici veterinari. «Un fenomeno che potremmo definire
di 'americanizzazione' della scuola italiana», spiega Gianluca Di Muro di
UnidTest. Tuttavia, il 53% degli studenti non riceve alcun aiuto dai docenti
nella preparazione dell'ammissione all'università. Così, la metà ha già iniziato
a studiare e, di questi, 1 su 3 già in IV superiore. Il più delle volte
affidandosi a libri specializzati, lo strumento più diffuso tra gli aspiranti
medici, architetti e professionisti della sanità. Puntano alle sempre più
diffuse simulazioni online soprattutto i futuri ingegneri. Mentre i corsi li
seguono in pochi: appena il 17% di chi si prepara al test di medicina, il 10%
di chi si giocherà il suo futuro con le prove degli altri corsi, solo il 2% di
chi sogna di diventare medico veterinario. Quasi l'80% degli intervistati, poi,
conta di provare due o più test. Delle 271.119 matricole ben 8 su 10 provengono
dal liceo. Con i diplomati del classico che prediligono l'area giuridica e
letteraria; quelli dello scientifico le aree ingegneria, economico-statistica,
geo-biologica e medica; il 34,5% degli studenti con maturità linguistica
prosegue gli studi nella stessa area; insegnamento e politico-sociale per i
diplomi di scienze umane. Il 20,3% degli immatricolati proviene dagli istituti
tecnici e il 3,7% dai professionali. Aumenta il passaggio dalla scuola
all'università: dopo diversi anni di fase negativa più della metà dei diplomati
si è iscritta quest'anno a un corso di laurea subito dopo l'esame di Stato.
(Fonte: E. Micucci, ItaliaOggi 22-03-16)
AMMISSIONE GIURISPRUDENZIALE IN SOPRANNUMERO A
MEDICINA. SUMMUM IUS, SUMMA INIURIA.
A Salerno
abbiamo una Facoltà di Medicina di recente istituzione che nei suoi primi anni
di vita, favorita probabilmente dal relativamente basso numero di iscritti, è
riuscita a realizzare un insegnamento tutoriale con buoni risultati, validati
dallo studio Anvur e dal fatto che i suoi laureati si sono piazzati molto bene
nei concorsi di ammissione alle Scuole di Specializzazione in tutta
Italia.
Poi è
intervenuto lo tsunami rappresentato dalla sentenza del Tar che ha ammesso
negli ultimi anni centinaia (per il 2016 soltanto a Salerno 330) di studenti in
soprannumero, mettendo in crisi la loro formazione. Per le lezioni frontali si
è riusciti a reperire con difficoltà altre aule, ma per i laboratori e per il
triennio clinico sarà un grosso problema. Avevano ragione gli antichi romani: Summum ius, Summa iniuria. Tra parentesi, mi sono sempre chiesto perché i
Rettori delle Università colpite da questo sciagurato tsunami non abbiano a loro
volta fatto ricorso al Tar. (Fonte: B. Ravera, www.quotidianosanita.it 29-04-16)
IL SUCCESSO DI ERASMUS
Il successo dell’Erasmus
(trasformato in ErasmusPlus nel 2014) è dovuto alla sua forte valenza educativa
e sociale. Infatti, la sua finalità non è solo quella di favorire lo studio,
l’occupazione e le prospettive reddituali dei giovani e di permettere
attraverso un’accresciuta mobilità la creazione di un mercato unico europeo del
lavoro, ma anche quella di instillare nelle nuove generazioni un’identità
europea e una maggiore apertura alla diversità sociale e culturale. L’evidenza
esistente, anche se scarsa, mostra quindi risultati incoraggianti che fanno
ritenere che investire nella mobilità degli studenti possa rappresentare una
buona strategia per accrescere l’occupabilità dei laureati, rimettere in moto
su scala europea l’ascensore sociale e rafforzare il senso della cittadinanza
europea tra le giovani generazioni. L’Italia è tra i paesi europei con il
maggior numero di studenti in uscita ed in entrata: quarto posto (dopo Spagna,
Germania e Francia) per numero di studenti in partenza (anno 2013-14) e quinto
posto (dopo Spagna, Germania, Francia e Regno Unito) per numero di studenti in
arrivo. In ogni caso il sistema universitario italiano utilizza ancora poco
questo strumento poiché nell’anno accademico 2012-13 gli studenti universitari
italiani in Erasmus costituivano il 7% dei laureati italiani nel medesimo anno.
(Fonte: M. De Paola e D. Infante, lavoce.info 29-03-16)
BORSE DI STUDIO. VINCITORI SENZA BORSA E INTERVENTO DELLE REGIONI
Sono migliaia gli studenti che non
usufruiscono dei sussidi economici pur avendone diritto, perché il numero degli
idonei è superiore alle risorse disponibili (e le ultime vicende della
revisione dei criteri Isee hanno infiammato il dibattito). Dal 2009 in poi è
emerso uno squilibrio tra gli idonei alla borsa di studio e gli effettivi
borsisti, creando l'originale quanto ingiusta figura del "vincitore senza
borsa" con i requisiti per accedere al sostegno economico ma escluso per
mancanza di fondi (si parla di un universitario su 4 tra gli aventi diritto,
per un totale di circa 40mila studenti esclusi tra il 2009 e il 2014, senza che
il problema sia stato risolto negli ultimi anni). Certo, sarebbe sbagliato
generalizzare. Esistono infatti differenze anche sostanziali tra le regioni
nella percentuale di copertura delle borse di studio, con eccellenze tra Emilia
Romagna, Toscana e Basilicata e record negativi per Calabria e Campania (come
mostrato dal Rapporto sulla condizione studentesca 2015 del Consiglio nazionale
degli studenti). Ci sono inoltre atenei che lanciano specifiche iniziative in
materia di sussidi economici per garantire il diritto allo studio. Una di
queste, ad esempio, è l'Università Niccolò Cusano di Roma, che i suoi
"Click Days", negli ultimi tre anni accademici, ha messo a
disposizione 800 borse di studio. (Fonte: roma.repubblica.it 29-03-16)
DIRITTO ALLO STUDIO. LA REGIONE EMILIA-ROMAGNA CON
LA BASILICATA E LA VALLE D'AOSTA GARANTISCE CON CONTINUITÀ I BENEFICI A TUTTI
GLI STUDENTI IDONEI
"Siamo
tra le poche Regioni, ", spiega l’assessore regionale all’Università. Più
di venti milioni, ogni anno, sino al 2018 per il diritto allo studio. Sono le
risorse che la Regione ha stanziato per gli studenti universitari: mense,
alloggi, borse di studio. Tra le novità, l'intenzione della Giunta di allargare
il numero dei destinatari diversificando gli aiuti necessari ai giovani
iscritti negli Atenei emiliano-romagnoli. E poi borse di studio per chi va
all'estero a completare il corso di laurea o a fare la tesi. E un sostegno
economico ai dottori di ricerca senza borsa di studio. Per raggiungere la più
ampia copertura delle borse di studio, la Regione - si legge in una nota - nel
prossimo triennio intende riadeguare gli importi degli interventi e aggiornare
le soglie economiche di accesso ai nuovi valori ministeriali (nuove soglie Isee
a 23mila euro e Ispe a 50mila). La borsa di studio potrà essere composta in
quota in denaro e in quota in servizi gratuiti come l'alloggio e la mensa.
Nell'anno accademico 2014-2015 la borsa di studio è stata assegnata a 19.265
studenti, con un incremento di oltre il 4% di idonei rispetto all'anno
precedente. I posti letto attualmente disponibili sul territorio regionale sono
3.504. Sono 76 i punti ristorativi attivi in regione, di cui 12 mense, che nel
2015 hanno erogato oltre due milioni di pasti. (Fonte: I. Venturi,
Repubblica.it Bologna 14-04-16)
SONDAGGIO SU OLTRE 10 MILA LAUREATI E STUDENTI. I
GIOVANI CRITICANO L'UNIVERSITÀ E CHIEDONO PIÙ RAPPORTI COL LAVORO
Un
sondaggio su oltre 10 mila laureati e studenti realizzato dal Premio
Sanpellegrino Campus è stato presentato il 6 aprile presso lo Iulm di Milano al
convegno «Giovani e Lavoro: quale sistema tra università e aziende per favorire
l'occupazione giovanile e far vincere il Made in Italy». Tra le maggiori
difficoltà per l'accesso al mondo del lavoro i giovani segnalano la mancanza di
esperienza. È un cane che si morde la coda: le aziende cercano persone con un
bagaglio minimo, ma il mondo del lavoro e l'università non aiutano sempre i
giovani a crearlo. È l'opinione di oltre un giovane su quattro (26%), mentre
altri segnalano l'over education: a volte i laureati sono troppo qualificati
per le posizioni in azienda (13,5%). Secondo gli intervistati, l'università
italiana non accompagna al mondo del lavoro e propone troppa teoria e poca
pratica. La pensa così quasi un giovane su due (46,5%). Per circa sei giovani
su dieci manca un ponte di collegamento tra aziende, laureati e studenti e una
forte azione di training interno alle imprese per accompagnare i giovani,
mentre l'università non permette di fare molta pratica, ciò che impedisce di
essere immediatamente operativi sul mercato. Per avvicinare i giovani al mondo
del lavoro a muoversi di più dovrebbero essere le università (22,5%) e lo Stato
(20%), ma anche le aziende (14%) e le agenzie del lavoro (11%). (Fonte: La
Stampa 04-04-16)
DIRITTO ALLO STUDIO. STUDENTI E SINDACATI LANCIANO
UNA LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE
I tagli
della riforma Gelmini hanno intaccato considerevolmente il Fondo nazionale per
le borse di studio, mentre aumentavano le tasse universitarie e le Regioni – a
cui spetta l’erogazione delle borse di studio – si muovono a macchia di
leopardo. Alcune, più virtuose, come l’Emilia Romagna, riescono a garantire
totalmente il diritto allo studio, altre, soprattutto al Sud e nelle isole non
ce la fanno. Nell’anno accademico 2014-2015 in 40mila sono stati dichiarati
idonei a ricevere la borsa ma non l’hanno ricevuta. Cosa prevede la legge di
iniziativa popolare? Sono 17 articoli molto dettagliati che vanno dalla
garanzia del diritto all’assistenza sanitaria gratuita per tutti gli studenti
ai trasporti e poi ai requisiti per ottenere le borse di studio, comprendendo
anche la definizione dei Lep (livelli essenziali di prestazione). “La soglia
Isee viene innalzata per la borsa di studio a 23.000 euro, mentre la soglia
Isee per la borsa servizi viene fissata a 28.000 euro”, si legge. Mentre “contestualmente
chiediamo l’abolizione dell’Ispe, che con l’introduzione del nuovo calcolo si è
rivelato il principale fattore di esclusione dai benefici di Diritto allo
studio”. (Fonte: www.left.it 11-04-16)
STUDENTI FUORISEDE. I
COSTI IN UN’INDAGINE FEDERCONSUMATORI
Una Indagine Federconsumatori sui fuorisede 2016 ha stimato un costo medio
annuo che supera gli 8mila euro per uno studente che rientra nella seconda
fascia di reddito. I fuorisede in Italia sono 600mila e le loro famiglie si
trovano a dover sostenere spese ingenti per consentire ai figli di conseguire
la laurea in un’università lontano da casa. L’Indagine Federconsumatori sui
fuorisede 2016 ha preso in considerazione il costo della vita per uno studente
inserito nella fascia di reddito ISEE che arriva fino a 10mila euro annui,
calcolando non solo l’importo delle tasse universitarie, ma anche le uscite
relative all’affitto e alle utenze, ai trasporti (sia locali sia le spese per i
periodici rientri a casa), ai libri e all’altro materiale didattico. Per coloro
che scelgono una stanza doppia, l’Indagine Federconsumatori sui fuorisede 2016
segnala un esborso annuo medio di 8mila euro, che sale a 9.339,48 euro (facendo
segnare un aumento dello 0,45 per cento rispetto al 2014) se lo studente prende
in affitto una stanza singola. Ciò significa che le famiglie debbono farsi
carico di una spesa mensile che mediamente oscilla tra i 667 e i 778 euro, un
impegno non da poco per nuclei il cui reddito non è particolarmente elevato.
Per gli studenti che rientrano nella terza fascia (con ISEE tra i 10mila e i
20mila euro), invece, la spesa annua ammonta a 8.298,89 euro, se optano per la
stanza doppia, e 9.638,37 euro (+0,26 per cento rispetto al 2014), se scelgono
la singola. L’Indagine Federconsumatori sui fuorisede 2016 rivela che per
quanti studiano lontano da casa c’è un surplus di spesa rispetto a chi vive
ancora con i genitori che mediamente può arrivare anche a 7.859 euro annui. Chi
non si sposta dalla propria residenza, infatti, all’anno spende in media
1.480,15 euro se in seconda fascia e 1.779,04 euro se in terza. (Fonte: www.universita.it 07-04-16)
UNIVERSITÀ NON STATALI. LIMITE MASSIMO DI
DETRAIBILITÀ DELLE TASSE E CONTRIBUTI DI ISCRIZIONE
Il
decreto del Miur 288 del 29 aprile scorso stabilisce il limite massimo di
detraibilità delle tasse e contributi di iscrizione alle università non
statali. I limiti di spesa sono stati individuati in base all'area disciplinare
di afferenza dei corsi (medica, sanitaria, scientifico - tecnologica e
umanistico sociale) e sede territoriale in regioni del Nord, Centro e Sud. Ad
esempio per i corsi universitari di istruzione dell'area medica, nonché per i
corsi di dottorato, di specializzazione e ai master universitari di primo e
secondo livello di qualsiasi area, l'importo massimo su cui determinare la
detrazione, nei limiti dell'onere effettivamente sostenuto dallo studente, è
pari a 3.700 euro per le università con sede in Regioni del Nord, 2.900 euro
per il Centro e 1.800 euro per il Sud e le isole.
Il limite
d'importo detraibile indicato dal decreto deve essere incrementato, ai fini di
stabilire la detrazione d'imposta, dell'importo relativo alla tassa regionale
per il diritto allo studio (articolo 3 della legge 549/1995). Sarà poi un
decreto ministeriale da pubblicare nel sito del Miur ad aggiornare gli importi
entro il 31 dicembre di ogni anno. (Fonte: M. Magrini, IlSole24Ore 03-05-16)
PER GLI ITALIANI CHE PARTECIPANO A ERASMUS
CONSENTITO IL VOTO A DISTANZA
Fino allo
scorso 17 aprile i circa 25mila studenti universitari italiani Erasmus, ai
quali vanno aggiunti gli studenti impegnati in altri programmi di mobilità, i
ricercatori universitari e tutti i lavoratori impegnati all'estero per periodi
di durata compresa tra alcuni mesi e un anno, erano costretti a tornare in
Italia per votare.
D'ora in
poi gli studenti Erasmus, ma anche i ricercatori e tutti i lavoratori italiani
per il periodo in cui si troveranno per studio o lavoro in uno dei Paesi membri
dell'Ue, non saranno più costretti a tornare in Italia per votare alle elezioni
politiche, regionali e alle consultazioni referendarie - come già avviene per
le elezioni europee, per le quali sono in vigore norme speciali. Basterà
rivolgersi online al proprio comune di residenza per ricevere il materiale
indispensabile a votare per corrispondenza. (Fonte: ANSA 26-04-16)
VARIE
GLI SVILUPPI DELLE CONOSCENZE
SCIENTIFICHE E TECNOLOGICHE E IL LORO RUOLO FONDAMENTALE SU NATURA E
ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE DEL SISTEMA ECONOMICO
Il confronto tra le maggiori economie europee (Francia, Germania, Regno
Unito, Italia) parla chiaro e sottolinea come la dinamica dei servizi – che
dovrebbe essere sempre più trainante nei paesi a più elevato sviluppo industriale
– risulti smorzata laddove (come ad esempio in Italia) il settore
manifatturiero è più concentrato in settori a medio-bassa e bassa intensità
tecnologica. Un risultato insomma che dovrebbe seriamente far riflettere quanti
credono che l’aumento della “produzione immateriale” (sic simpliciter) sia un
fattore autonomo della crescita del reddito e dell’occupazione e, più in
generale, che il settore manifatturiero sia andato ad occupare una posizione di
retrovia nelle dinamiche dello sviluppo economico. La realtà è ben più
complessa e chiama in causa il ruolo che gli sviluppi delle conoscenze
scientifiche e tecnologiche hanno esercitato e continuano ad esercitare sulla
natura e sull’organizzazione della produzione di tutto il sistema economico,
condizionandone alla radice le possibilità di espansione così come quelle di un
declino. Una prospettiva che una volta di più (semmai ce ne fosse ancora
bisogno) sottolinea come politiche industriali orientate allo sviluppo di
settori ad alta intensità di conoscenza debbano tornare ad occupare un posto di
primo piano nell’agenda degli interventi per il rilancio dell’economia. (Fonte:
D. Palma, Greenreport.it 05-02-16)
UN
PAESE UNDEREDUCATED CHE SOFFRE DI OVEREDUCATION E DI SKILL MISMATCH
Ultimi assoluti dopo la Turchia con il 24%
dei laureati nella fascia di età 25-34 anni contro la media del 41% dei Paesi
Ocse, eppure non riusciamo a impiegare tutti i nostri laureati secondo le
competenze e in coerenza con il titolo di studio conseguito. Quindi un Paese
undereducated che soffre di overeducation e di skill mismatch. Le cause dello
scollamento tra istruzione e professione dei giovani in Italia? Molteplici. In
testa senza dubbio la recessione 2007-2013 che ha colpito molte coorti di
laureati; a seguire gli inadeguati investimenti in formazione e ricerca; il
blocco del turnover nel pubblico; la poca o nulla attenzione nei confronti del
capitale umano giovanile; il mancato riconoscimento del merito che fatica a
trovare diritto di cittadinanza nel Paese. Per questo è sempre più urgente e
necessaria l'alleanza strutturale tra tre attori: le università, chiamate a
parametrare corsi sulla domanda più che sull'offerta e a rivedere radicalmente
il 3+2, spingendo sulle lauree brevi professionalizzanti parallele e non
subordinate a percorsi di laurea specialistica; le imprese, chiamate a
valorizzare i laureati e a investire in ricerca e internazionalizzazione; la
politica, chiamata a privilegiare la formazione, incentivare le carriere sulla
base del merito e non dell'anzianità, creare opportunità occupazionali.
Parliamo di lavoro: un diritto iscritto nella dignità umana prima di essere
scritto sulla carta costituzionale. (Fonte: I. Dionigi, www.ilsole24ore.com
21-03-16)
OVEREDUCATION
C’è un esercito di gente che non sta facendo
il lavoro che dovrebbe fare rispetto a ciò su cui ha investito. Uno scenario
fallimentare sia sotto il profilo individuale che sotto quello dell’efficienza,
quindi per l’aspetto meramente economico. Se ci si aggiunge il folle incrocio
con la sottocupazione forzosa (un giovane laureato ben preparato impiegato in
un ruolo per il quale è sovraeducato ma magari costretto al part-time) si
capisce come forse un modo per combattere la disoccupazione potrebbe essere
quello di spingere da una parte verso un orientamento più approfondito, che
porti sempre di più le università nei licei e negli istituti superiori,
promuovendo nello stesso tempo una diversificazione più chiara nel mercato del
lavoro. Nella quale, banalmente, un laureato possa permettersi di lasciar
cadere un’opportunità che non ritiene all’altezza, sicuro di poter presto
incappare in un’altra proposta. Fantascienza pura. C’è da chiederselo anche
approfondendo ai dati: se per i diplomi non ci sono grandi discrepanze, per le
lauree la situazione è complessa. Nel comparto medico, per esempio, solo l’8%
dei giovani occupati è sovraeducato, in quello ingegneristico o per
l’architettura si sale di poco, al 13,5%. Ma nelle discipline umanistiche la
percentuale è mostruosa, tocca il 43,6%, 12 punti in più rispetto al 2008.
Attenzione: non è la solita storia di scienze della comunicazione o di lettere
perché anche le scienze naturali, dalla biologia alla fisica passando per la
chimica, toccano un preoccupante 26% di overeducated. Il fenomeno si sta
facendo trasversale, il che lascia in fondo pensare che le responsabilità siano
da dividere: c’è poca strategia nella scelta del proprio corso di studi ma
d’altronde, quale sia il pezzo di carta che si ha in mano, il panorama rimane comunque
deprimente. (Fonte: S. Cosimi, www.wired.it 21-05-16)
SFATARE LA NARRAZIONE OSTILE SUL MONDO ACCADEMICO E DELLA RICERCA
Imperversa da oltre mezzo secolo una
narrazione tutta italica che prende di mira il mondo accademico e quello della
ricerca in generale, ne enfatizza le colpe, ne ignora i meriti, ne ridicolizza
le competenze. I fatti desunti da dati statistici oggettivi forniscono invece
un quadro diverso: i nostri ricercatori sono troppi? È vero il contrario: per
ogni diecimila abitanti l’Italia ne ha venticinque (intesi come persone che
fanno ricerca in enti pubblici o privati), circa la metà della media europea,
con punte come la Gran Bretagna che ne ha settanta. Forse non sono produttivi?
Tutt’altro. Il ricercatore Italiano è tra i più produttivi del mondo con 0,7
pubblicazioni in media l’anno, contro lo 0,5 di Canada e Gran Bretagna e lo 0,4
di Francia e Stati Uniti. Forse si tratta di pubblicazioni di scarso interesse?
Neanche per sogno, quello italiano è il ricercatore più citato al mondo: sei
citazioni all’anno; a ruota cinque per la Gran Bretagna, circa quattro per
Stati Uniti, Germania e Francia. E i dati sulla competitività? Il nostro
ricercatore è in grado di attrarre finanziamenti dall’Europa circa una volta e
mezzo più grandi della media. Un dato, quest’ultimo, meno allegro di quanto si
possa pensare. Il nostro Paese infatti partecipa al finanziamento della ricerca
della Comunità europea in modo massiccio e purtroppo, nonostante la nostra
eccellenza, perde nel bilancio di erogazioni e rientri oltre trecento milioni
l’anno. E si stima che per il 2020 potrebbe arrivare a perderne più del doppio.
Che fare? Aumentare subito e di molto il numero di ricercatori dotandoli di
finanziamenti nazionali che li mettano in condizioni di parità con quelli degli
altri Paesi. In sostanza l’Italia deve urgentemente congedarsi dal suo
modestissimo investimento in ricerca e sviluppo, fermo all’1% del suo Pil,
raggiungere la media europea del 2% e tendere all’obiettivo del 3% come dagli
impegni di Barcellona. Chi fa scienza la faccia sul serio dunque e si faccia
sentire da tutti. Questo appello è soprattutto rivolto a coloro che sono
radicati in posizioni permanenti nella ricerca e che devono fare da maestri ai
più giovani anche oltre la loro disciplina. (Fonte: P. Contucci, Il Mulino Marzo 21, 2016)
COLLABORAZIONI TRA IMPRESE E UNIVERSITÀ
Le
collaborazioni tra imprese e università, e più in generale con il sistema della
ricerca, sono oramai pervasive in tutte le agende politiche che si occupano di
sviluppo locale, scienza, tecnologia e innovazione. I collegamenti tra le due
istituzioni possono generare vantaggi per entrambi i lati della collaborazione;
tali interazioni sono ad esempio una chiave di successo in numerosi distretti
industriali italiani. I dati sviluppati dalla Bocconi includono tutti i
brevetti registrati in Italia nel periodo 1978-2007. Elemento peculiare è la
possibilità di identificare gli inventori
accademici, ossia gli inventori che lavorano nelle università e nei centri
di ricerca. L’analisi si basa sulla comparazione tra coppie reali di inventori
(i casi in cui su un brevetto hanno collaborato due o più inventori) e coppie
virtuali (i casi di coppie che avrebbero potuto formarsi sulla base di
caratteristiche simili ma non si sono realizzate nella realtà). La maggior
parte delle collaborazioni avvenute, pari al 74 per cento, hanno luogo
all’interno dell’industria (tra imprese), il 3 per cento coinvolgono solamente
il mondo della ricerca (tra università o centri di ricerca), mentre il 23 per
cento sono collaborazioni tra università e industria. I risultati mostrano che
le collaborazioni tra imprese e università sono intrinsecamente più “difficili”
rispetto alle collaborazioni all’interno dell’industria e della ricerca. Questo
può dipendere da una serie di ragioni, quali la presenza di differenti
meccanismi di incentivi, norme, pratiche e culture che agiscono come barriere
per comportamenti collaborativi tra i due contesti. I risultati mostrano poi
che, anche dopo che le collaborazioni sono state stabilite, la “produttività”
(misurata in termini di numero di brevetti generati dalla stessa collaborazione
nel tempo) è minore nel caso delle relazioni tra università e impresa.
Tuttavia, “pesando” i brevetti per la loro qualità (misurata con le citazioni),
i risultati cambiano in modo significativo. In questo caso, sono le
collaborazioni tra impresa e università a generare brevetti con maggiore valore
scientifico e grado di applicabilità (cioè, usati come base da altri inventori
per sviluppare nuove applicazioni innovative). (Fonte: R. Crescenzi, A.
Filippetti e S. Iammarino, lavoce.info 01-04-16)
COSTITUZIONE DI UNA NUOVA ALLEANZA DI ALTE
PROFESSIONALITÀ DEL MONDO PUBBLICO E PRIVATO CONTRO ATTACCO A DIRITTI PENSIONE
ACQUISITI
Giorgio
Ambrogioni, presidente della Cida, la confederazione sindacale che rappresenta
unitariamente a livello istituzionale dirigenti, quadri e alte professionalità,
annuncia a Labitalia la costituzione di una nuova alleanza della quale fanno
parte esperti di associazioni complessivamente rappresentative di circa 500mila
alte professionalità del mondo pubblico e privato quali dirigenti, magistrati,
diplomatici, medici e docenti
universitari. "L'alleanza - spiega Ambrogioni - ha un obiettivo
'alto': quello di dare una voce quanto più possibile unitaria e credibile a una
parte significativa della classe dirigente". In un momento in cui si
mettono in discussione "diritti acquisiti" in materia previdenziale,
dunque, Cida ha promosso la costituzione di un tavolo di lavoro
intercategoriale, coordinato dall’attuario Antonietta Mundo. "Le alte
professionalità con la loro alleanza intendono contrastare qualsiasi misura che
metta in discussione i diritti acquisiti, conquistati al termine di un lungo
impegno lavorativo e di carriere frutto di percorsi meritocratici", spiega
una nota. Cida e le alte professionalità stigmatizzano soprattutto "le
ripetute esternazioni del presidente dell’Inps che stanno influenzando il
dibattito pubblico, e che sono agevolmente contestabili per la mancanza di basi
tecniche e che sembrano avere un solo obiettivo di tipo punitivo". "L’ultima
proposta di Boeri consiste nel finanziare la flessibilità tassando con un
contributo di solidarietà le pensioni più elevate, che in passato, avrebbero
avuto dalla normativa vigente delle 'concessioni eccessive' in termini di
durata: in realtà, queste pensioni sono frutto di lunghi anni di lavoro e
assolutamente correlate a contributi elevati, professionalità, responsabilità e
merito dimostrati sul campo”. Pretendere di finanziare la flessibilità in uscita
dal mondo del lavoro (da considerarsi peraltro auspicabile) con un nuovo
contributo di solidarietà, così come propone Boeri, risulterebbe assurdo, oltre
che profondamente iniquo. Assurdo perché le risorse ricavate sarebbero del
tutto marginali rispetto ai costi, e iniquo perché, come ha già per altro
ricordato il ministro Poletti, sulle pensioni superiori a 90.000 euro lordi
annui già gravano contributi di solidarietà che vanno dal 6% al 18%", dice
la Cida. (Fonte: Libero
07-04-16)
I MUSEI STATALI SONO OGGETTO DI INTERVENTI CHE NE
PROMUOVONO LA PROFITTABILITÀ SENZA TROPPI SCRUPOLI CONSERVATIVI
La nuova
legislazione, distinguendo i compiti di tutela da quelli di gestione e
"valorizzazione", ora dati ai neo direttori-manager, organi
monocratici selezionati con modalità concorsuali discutibili, al di fuori
(tranne uno) del personale in servizio, e ingaggiati con l'incarico di
"promuovere" i beni a ogni costo, lascia sguarnito il patrimonio museale della vigilanza
necessaria a scongiurare l'uso improprio degli spazi e delle opere e la loro
mercificazione per fare cassa.
La nuova
legislazione rompe un assetto organizzativo che, se non è riuscito a evitare
casi di incuria e sciatteria nella gestione, ha consentito di approfondire la
conoscenza del patrimonio culturale e assicurarne l’integrità, nonostante la
"procurata" carenza di personale e di risorse per la manutenzione dei
beni custoditi. Sono evidenti dunque i pericoli di un depauperamento della
dimensione tecnico-scientifica nell'amministrazione dei beni culturali dello
Stato e di una corrispondente dilatazione della sfera politica ed economica che
privilegia più un approccio aziendalistico che non la congiunta "tutela e
sviluppo del patrimonio storico e artistico” prevista dall'articolo 9 della
Costituzione. (Fonte: A. Monti, FQ 04-04-16)
NUOVO COMPARTO DI CONTRATTAZIONE “ISTRUZIONE E
RICERCA”
È stato
firmato all’ARAN l’ipotesi di accordo quadro con il quale sono definiti i nuovi
comparti di contrattazione e le relative aree dirigenziali che, come prescritto
dalla legge n. 150/2009 (la cosiddetta “Brunetta”), sono stati ridotti da 11 a
4. Gli Enti Pubblici di Ricerca e l’ASI (l’Agenzia Spaziale italiana) fanno ora
parte del nuovo comparto “Istruzione e ricerca”, in cui confluiscono anche gli
oramai ex comparti della Scuola, dell’Università e dell’AFAM (le istituzioni di
Alta Formazione Artistica, Musicale e coreutica). Restano ovviamente esclusi
dal nuovo comparto i docenti e i ricercatori universitari che non sono
contrattualizzati. (Fonte: www.anpri.it 07-04-16)
ISIS UCCIDE INTELLETTUALI IN E PROFESSORI IN BANGLADESH
Rezaul
Karim Siddique insegnava inglese all’Università di Rajshahi. Un uomo pacifico,
un intellettuale dedito alla musica e fondatore di due associazioni culturali.
Due uomini lo hanno colpito con un machete per strada. L’attentato è stato
rivendicato dal network Amaaq dell’Isis che ha accusato il docente di aver
fatto «proselitismo ateo».
Non è la
prima volta che gli intellettuali laici vengono presi di mira dai jihadisti. Il
6 aprile un blogger di 28 anni studente in legge, Nazimuddin Samad, è stato
ucciso con le stesse modalità a Dacca per aver lanciato su Facebook una
campagna contro la radicalizzazione dell’Islam. E nel 2015 altri quattro
blogger avevano perso la vita per mano dei militanti islamici: i loro nomi
erano in una lista di «atei» che circolava negli ambienti del fondamentalismo
islamico. L’Università di Rajshahi ha già subito molti lutti: negli ultimi anni
almeno tre professori hanno perso la vita in attentati. Il Bangladesh è un
Paese a maggioranza musulmana, laico sulla carta ma alle prese con una
preoccupante regressione integralista e fondamentalista. (Fonte: www.corriere.it 23-04-16)
ATENEI. IT
UNIBO NEL TOP 200 MONDIALE IN 32
DISCIPILINE
I risultati del QS University
Ranking by Subject 2016, la rilevazione targata Quacquarelli Symonds, premiano l'Alma
Mater Studiorum - Università di Bologna, che si piazza tra i primi 200 atenei
al mondo con trentadue ambiti scientifico-disciplinari, quattro discipline di
eccellenza in più rispetto allo scorso anno. E' quanto emerge dai risultati della
classifica su oltre 4.000 atenei di tutto il mondo in base alle performance di
42 diversi ambiti scientifico-disciplinari. L'Alma Mater conferma così la sua
caratteristica di studium generale, in grado di mantenere un alto livello di
competitività internazionale nella gran parte degli ambiti disciplinari in cui
è attivo. Con diverse punte di eccellenza, come archeologia e medicina
veterinaria per i quali l'Ateneo bolognese si piazza tra i primi 50 al mondo,
oppure ingegneria civile, dove si registra il passaggio dalla posizione 101-150
alla posizione 51-100. (Fonte: www.bolognatoday.it 26-03-16)
A BOLOGNA FESTIVAL DELLA SCIENZA MEDICA, DEDICATO
AL TEMA “LE ETÀ DELLA VITA”
Dopo il
grande successo della scorsa edizione con 40.000 presenze, torna a Bologna dal
19 al 22 maggio il Festival della Scienza Medica, dedicato al tema “Le età
della vita”. L’iniziativa, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio in
Bologna e da Genus Bononiae. Musei nella Città, si propone quest’anno di
riflettere sulla nuova condizione umana al tempo della longevità: quante
persone siamo nel corso della nostra, sperabilmente, lunga vita? Quante diverse
età attraversiamo? E, se ci ammaliamo, come cambia il rapporto con la malattia
nel tempo, dall’esperienza prenatale a quella della senescenza? Moltissime
saranno le declinazioni e gli approfondimenti e grande attenzione sarà
riservata ai temi della medicina di prevenzione, degli screening e delle
implicazioni della medicina genomica, e al ruolo che la corretta alimentazione
e gli stili di vita possono avere nell’assicurare quel benessere della persona
che è l’obiettivo perseguito per i suoi componenti da ogni sistema sociale
avanzato. Hanno già confermato la propria partecipazione quattro Premi Nobel.
(Fonte: http://www.bolognamedicina.it/ 28-04-16)
UNICA DEVE RINUNCIARE ENTRO IL
2018 AL 25% DEI FONDI
L'università di Cagliari risulta "condannata" da una serie di
regole (di indicatori) che determinano il Fondo di finanziamento ordinario
(Ffo). In base a questi parametri l'ateneo deve rinunciare entro il 2018 al 25%
dei fondi. Il caso di Cagliari è un esempio evidente di quanto sta accadendo
più o meno silenziosamente in molte università italiane, soprattutto del Sud,
alle prese con la riduzione di risorse. In particolare, per Cagliari, è il
cosiddetto "costo standard di formazione dello studente" il
principale responsabile dei tagli. Se questo calcolo può essere considerato
positivo perché introduce un metodo più obiettivo per valutare il reale
fabbisogno di un ateneo, senza i finanziamenti a pioggia di un tempo, tuttavia,
infatti, in certi aspetti risulta un po' incongruente. Lo è l'indicatore che
considera solo gli studenti in corso, e non i fuori corso - come se questi non
gravassero sulle spese -, così come quello della "attrattività" da
altre regioni. Stefania Giannini nell'incontro del 10 marzo ha dato
rassicurazioni su una futura valutazione che tenga conto dei «problemi legati al
territorio, all'insularità e alla densità di popolazione». (Fonte: D. Coccoli,
Left 19-03-16)
UNIPD ECCELLE PER LE SCIENZE
NATURALI
A stabilirlo è la sesta edizione di Qs World University Ranking,
classifica internazionale: l’Università di Padova eccelle per le Scienze
Naturali, dove spicca tra le migliori posizioni al mondo. Secondo quanto
riportato, Padova si piazza al quinto posto in Italia: davanti a Pd il
Politecnico di Milano, l’Alma Mater di Bologna, la Sapienza di Roma e
l’Università di Milano. Dietro Pd Torino, Firenze, Trento e, a molta distanza,
Verona. Allargando l’arena, il Bo si colloca al 309° posto nel mondo. Ai primi
cinque dominano le bandierine a stelle e strisce: primo fra tutti i MIT
(Massachusetts Institute of Technology), poi Harvard e Stanford. Reggono bene
Cambridge, al terzo posto nel mondo, e Oxford, che arriva al sesto. Il
risultato più alto raggiunto dall’Italia è il decimo posto guadagnato dal
Politecnico di Milano (per Arte & Design) e dall’Università Commerciale
Luigi Bocconi (per Studi in Business & Management). Padova scivola un po’
più in là tra le posizioni, ma lo scarto in termini di punteggio si riduce a
poche unità: ottiene un’ottima valutazione soprattutto nelle Scienze naturali,
che comprendono essenzialmente Medicina, Fisica, Ingegneria, Chimica ed
Economia. Rispetto al giudizio complessivo, qui il Bo recupera posizioni,
arrivando 153esimo su scala mondiale. (Fonte: s.q., mattinopadova.gelocal.it
23-03-16)
UNIPV DOVRÀ RIMBORSARE
1.700.000 EURO A TUTTI GLI ISCRITTI NEL 2010
L'Ateneo di Pavia dovrà rimborsare 1.700.000 euro a tutti gli iscritti
nel 2010. A stabilirlo il Consiglio di Stato con la sentenza del 17 marzo
scorso. Ciò che ha fatto scattare il ricorso dell’UDU è stata l'errata
interpretazione del limite del 20% fissato dal Dpr 306/1997, attuativo della
legge 537/1993 (Interventi correttivi di finanza pubblica). Tale cifra
corrisponde alla percentuale massima di contribuzione studentesca che possono
pretendere le università a fronte del finanziamento ordinario dello Stato. Tale
limite, ad avviso dell'Università di Pavia, non doveva essere inteso come
perentorio, bensì come meramente indicativo rendendo così possibile uno
sforamento delle quote. Tesi non condivisa, però, né in primo grado dal Tar
Lombardia, né tanto meno dal Consiglio di Stato e che ha portato alla
quantificazione di 1.700.000 di rimborsi dovuti agli studenti. (Fonte: B.
Migliorini, ItaliaOggi 19-03-16)
UNIVR TRA LE ECCELLENZE PER
MEDICINA
L’Università di Verona si colloca tra le eccellenze mondiali in ambito
medico. A confermarlo, per il secondo anno consecutivo, è la classifica ’QS
World University Ranking by Subject’, pubblicata oggi dopo aver valutato 4.226
università, delle quali solo 2.691 hanno ottenuto un posizionamento in
classifica. Per il 2016, come per l’edizione precedente, «Medicina» si
posiziona nel gruppo 201-250, tra le 22 università italiane presenti in questo
ambito disciplinare, a pari merito con l’università di Roma Tor Vergata,
l’ateneo Vita-Salute San Raffaele e l’università Milano Bicocca. (22-03-16)
UN ACCORDO TRA L’ALMA MATER E L’ARABIA SAUDITA
G. Meotti
su “Il Foglio” (19-04-16) registra e commenta la notizia di un accordo tra
l’Alma Mater e l’Arabia Saudita. E si meraviglia che nella più antica
università d'Europa nessuno abbia avuto la premura di sollevare un problema di
fronte a questo grande accordo quinquennale che l'Alma Mater Studiorum ha
appena siglato con l'Arabia Saudita. Non solo – rimarca - ma alcuni dei
protagonisti di questo patto accademico compaiono nell'appello contro i docenti
israeliani. E prosegue: Bastava leggere il rapporto di Freedom House sugli
atenei sauditi per capire che forse serviva un po' di cautela in più visto che
in ballo non c'è il greggio, ma la nostra cultura: "La libertà accademica
è limitata, informatori monitorano le aule per il rispetto delle norme, come il
divieto di insegnare filosofia e religioni diverse dall'islam". Forse i
docenti bolognesi avrebbero dovuto sfogliare i libri usati nelle scuole
saudite, dove gli ebrei sono chiamati "scimmie" e i cristiani
"maiali". Sapevano i
protagonisti del patto che in Arabia Saudita non si può indossare una
tunica, mostrare la croce, aprire una chiesa, che i cristiani sono perseguitati
e che per arrivare alla Mecca per loro vige un apartheid autostradale? Mentre
l'università stringeva patti con Riad, il Gran Mufti saudita stabiliva che
"le donne che guidano sono prede del demonio". L’articolista
conclude: Che ne pensano le laicissime femministe dell'Università di Bologna la
dotta e la rossa? (Fonte: G. Meotti, Il Foglio 19-04-16)
FRENATO IL TRASFERIMENTO DELLE FACOLTÀ SCIENTIFICHE
DELL'ATENEO MILANESE
L'idea
del trasferimento delle facoltà scientifiche (tranne Medicina) della Statale su
un'area di circa 250mila metri quadrati all'interno dell'ex sito espositivo di
Expo, tra Rho e Milano, è nata un anno fa. Ma il progetto di trasferimento
delle facoltà scientifiche dell'Università Statale di Milano nelle aree del
dopo-Expo si è bloccato. Dopo i primi incontri con i vertici di Arexpo, la
società proprietaria dei terreni, e dopo qualche valutazione dei progetti preliminari,
il rettore dell'Ateneo, Gianluca Vago, avanza qualche dubbio: costi alti (350
milioni), esiti incerti e nessun vero finanziatore che al momento si sia spinto
oltre le semplici dichiarazioni. E quindi la Statale prosegue con la
ristrutturazione dei propri locali, con i primi 40 milioni disponibili. Al
momento l'obiettivo è di mantenere tutto nel quartiere di Città Studi, a
Milano. Mettere a posto gli edifici di Città Studi ha un costo indicativo di
200 milioni. Al momento sono ripartite le progettazioni per le nuove strutture
di Geologia, con un costo previsto di circa 13 milioni, mentre la facoltà di
Informatica è già in fase di costruzione, per un costo previsto di 28 milioni.
Il resto procederà per gradi, perché l'impegno finanziario è pesante anche per
la ristrutturazione. Ma al momento la pratica del dopo-Expo è stata riposta in
un cassetto. (Fonte: S. Monaci, IlSole24Ore 22-04-16)
NELL'ATENEO ABRUZZESE SI VA VERSO L'ANNULLAMENTO DI
411 LAUREE CONSEGUITE NELLA FACOLTÀ DI SCIENZE SOCIALI
Prima un
master taroccato in una scuola privata (che dal 1994 figurava nella black list
del ministero), poi appena due mesi, per diventare dottore in Servizi sociali
all'università D'Annunzio di Chieti, dall'iscrizione al giorno della laurea,
nel quale, per raffinata comodità, si affrontavano e si superavano anche la
bellezza di otto esami. Si trattava della gestione disinvolta della
riconversione creditizia avviata dalla legge Berlinguer e poi ampliata dal
ministro Moratti. Titoli ed esperienze formative potevano garantire crediti
accademici e accelerare il percorso verso la tesi: era il percorso privilegiato
che, tra 2003 e 2007, ha garantito a diversi studenti che sognavano di
diventare operatori sociali, una sorta di alta velocità abruzzese nel magico
mondo delle lauree precoci. Lo hanno scoperto adesso, a distanza di nove anni,
sulla scia di una lettera anonima che ha scoperchiato il vaso di Pandora:
l'indagine interna è chiusa e porterà tra breve all'annullamento di 250 lauree
facili. Secondo le ultime
notizie sarebbero 411 e non 250, come inizialmente quantificato, i titoli
da annullare. (Fonte: A. Taffi, Il Messaggero 22-04-16; Rete8.it 10-05-16)
UE. ESTERO
RICERCA. SUL SISTEMA DI FINANZIAMENTO IN EUROPA
Il
successo di un progetto di ricerca è considerato come un indicatore obiettivo
di qualità accademica in tutto il sistema universitario europeo. Premiando solo
l’1,3% delle domande viene modellata una realtà assurda: quasi il 99% degli
accademici nella UE fallisce, e solo l’1,3% soddisfa questo criterio. Ora,
sappiamo che i “perdenti” (98,7%) devono ancora competere per dimostrare che
sono abbastanza buoni; ma quando un collo di bottiglia di selezione è troppo
stretto, lo sforzo e le risorse investite per superarlo, sono in effetti
semplicemente sprecate. Si riporta di seguito la conclusione dell’articolo di Jan Blommaert su questo
argomento (Rationalizing the
unreasonable: there are no good academics in the EU) tratta da Roars
20-04-16:
To sum up: If the
number of grants to be awarded is established before the peer-review process,
this kind of “competitive” benchmark funding is not competitive at all, and a
benchmark for nothing at all – least of all for academic quality. If, however,
results in this weird game are maintained as serious and consequential criteria
for assessing academic quality, then the conclusion is that there are no good
academics in Europe – 99% of them will fail to get ratified as good enough. And
these 99% will have to spend significant amounts of taxpayers’ money to
eventually prove – what?
The entire thing
really, seriously, begins to look and feel like buying lottery tickets or
betting on horses: one spends money hoping to win some – and at moments of
lucidity, one is aware of the fact that the net outcome will be loss, not gain.
In the meantime, beautiful arias are sung about the extreme importance of
research and innovation by the EU, by its member states, and by its
universities. The question, of course, is how such a great cause is served by
the present system of benchmark external funding acquisition. The money spent
on it, I would say, would be better spent on … research and innovation proper.
UE. UN BANDO DA 218
MILIONI E 500 MILA EURO PER RIPORTARE I PROPRI RICERCATORI, SE NON A CASA,
ALL'INTERNO DEI CONFINI EUROPEI
L’UE, tramite lo strumento del programma quadro Horizon 2020, ha aperto
ieri la call «Marie Sklodowska-Curie - Individual Fellowships». Un bando da 218
milioni e 500 mila euro per riportare i propri ricercatori, se non a casa,
all'interno dei confini europei promuovendo la mobilità a livello comunitario.
Il bando in questione rientra tra le actions del programma Marie
Sklodowska-Curie, facente capo al pilastro fondamentale «Excellent Science»,
dedicato a sostenere la formazione e la mobilità dei ricercatori. I fondi
stanziati per la call, cui i ricercatori interessati potranno tentare di
accedere inviando le proprie domande di partecipazione fino al 14 Settembre
2016, saranno a loro volta suddivisi tra cinque tipologie di percorso
lavorativo. Infatti i vincitori del bando non saranno scelti in base a semplici
limiti tematici, dato che il programma Marie Sklodowska-Curie si rivolge a
tutti i settori e livelli di ricerca, ma anche in funzione del proprio livello
di esperienza e stato di carriera. L’entità delle singole borse di studio
dovrebbe essere sufficiente per coprire almeno due anni di stipendio (fino a
4.650 euro al mese), un’indennità di mobilità (600 euro), assegni familiari
(fino a 500 euro), i costi di ricerca e le spese generali per l’istituzione
ospitante (altri 1.450 euro circa in totale). I candidati verranno valutati
sulla base della qualità delle ricerche effettuate in passato, le future
prospettive di carriera e il sostegno offerto dall'organizzazione ospitante.
(Fonte: R. Nicchi, www.scuola24.ilsole24ore.com 12-04-16)
ERC, ADVANCED GRANTS: PREMIATI 277 RICERCATORI, 26
SONO ITALIANI
Sono in
tutto 277 i ricercatori "senior" di 29 nazionalità che beneficeranno
degli Advanced Grants assegnati dall'European Research Council per un totale di
647 milioni di euro. E di questi 26 sono italiani, preceduti per numero solo da
britannici e tedeschi (47 in entrambi i casi) e seguiti da francesi (25) e
olandesi (20). Dei nostri, però, alcuni svolgeranno i loro progetti presso
strutture collocate in altri Paesi (21 in tutto), visto che l'Italia figura
come Paese ospitante solo in 19 casi (con strutture come Cnr, Sapienza di Roma,
Politecnico di Milano, Bocconi, Fondazione Telethon, per citarne solo alcuni)
mentre ad esempio il Regno Unito ospita 69 progetti, la Germania 43 e la
Francia 30. Insomma l'Italia si conferma poco ospitale per i ricercatori che
però, grazie al loro valore, trovano altrove strutture disposte ad accoglierli.
Gli Advanced Grants sono premi prestigiosi, che puntano a offrire alle migliori
menti - di qualsiasi età e nazionalità purché già di alto livello e che
svolgano la loro ricerca in Europa - i mezzi (2,5 milioni di euro per ogni
premio) necessari a coltivare le idee più innovative, in grado di ampliare le
frontiere della ricerca e potenzialmente in grado di avere un impatto sulla
scienza e la società. Nel nuovo Piano nazionale della
ricerca quasi 250 milioni sarebbero destinati proprio ad attrarre i ricercatori
migliori con incentivi su misura. In particolare sono previsti fondi in più
(fino a 600mila euro) a chi vincitore di una borsa Erc sceglierà l’Italia come
base per le sue ricerche. (Fonte: www.askanews.it 14-04-16)
EU. REFUGEES
WELCOME MAP
Il 29 febbraio 2016 l'EUA (European University Association) ha lanciato
la Refugees Welcome Map:
una dimostrazione pratica e interattiva di come il mondo che gravita intorno
all'istruzione superiore si stia muovendo per dare un sostegno concreto a
rifugiati studenti, docenti e personale accademico. La Welcome Map contiene
informazioni pratiche: dove trovare un riparo, attività culturali che
facilitano l'integrazione, atenei che hanno attivato corsi per imparare la
lingua del paese ospite, informazioni per accedere all'università e ai
differenti percorsi, prospettive occupazionali, etc. L'accesso all'istruzione
superiore è una chiave importante per aiutare chi ha dovuto abbandonare il
proprio percorso formativo, per dare un senso alla sua esistenza e una speranza
per il futuro. Senza contare che una persona qualificata ha maggiori
probabilità di trovare un lavoro dignitoso ed è più disposta alla mobilità.
(Fonte: I. Ceccarini, rivistauniversitas 03-03-16)
DANIMARCA. 190 MILIONI DI EURO
IN MENO AGLI ENTI PER L’ISTRUZIONE, CON UN TAGLIO DELL’8,5% PER LE BORSE DI RICERCA
Le difficoltà economiche non sono una novità per l’università danese,
che dal 2010 continua a subire un calo delle sovvenzioni per studente.
Nonostante ciò, il sistema continua a garantire la gratuità dell’istruzione
superiore, non solo agli studenti nazionali, ma anche a tutti i comunitari. E
se la ricerca è riuscita a mantenere standard elevati nonostante la continua
riduzione dei fondi statali, è grazie anche e soprattutto ai finanziamenti
esterni. Ma una manovra tanto drastica come quella annunciata dal governo nei
giorni scorsi rischia di portare a un mutamento davvero salomonico nel sistema
universitario danese. L’università di Copenaghen è l’istituzione più duramente
colpita dai tagli decisi dal governo a gennaio: da sola, infatti, deve trovare
in questi giorni il modo per ridurre i propri costi di circa 40 milioni e
200.000 euro. La prima manovra, comunicata dal rettore nei primi giorni di
febbraio, si è rivelata necessariamente severa: l’ateneo ha deciso di eliminare
più di 500 posti di lavoro, equamente distribuiti – in costi – fra staff
amministrativo e docente, con la precisazione che una posizione da eliminare su
quattro sia di ricercatore. Si tratta di un taglio del 7,5% dello staff, che
colpisce in maniera particolarmente dura l’area più consistente, quella della
scienza e della medicina (più di 330 posti), ma anche inevitabilmente l’area
delle scienze umane (90 posti), sulla quale si era già abbattuta la scure a
inizio anno accademico, dimezzando il numero dei posti disponibili per i nuovi
dottorandi. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 24-03-16)
FRANCIA. FORMAZIONE CONTINUA ALL'UNIVERSITA
La formation continue
constitue un besoin pour l'ensemble de la société, et les universités sont tout
à fait en mesure d'y répondre. Or, il s'agit d'un domaine dans lequel elles
sont encore peu présentes. Les universités doivent apparaitre comme des acteurs
crédibles, pour ne pas dire indispensables, de la formation tout au long de la
vie. Il faut qu'elles sachent faire valoir leur expertise et leur richesse. En matière
de recherche, la seule chose qui vient à l'esprit, ce sont les transferts de
technologie. Mais la valeur ajoutée de la recherche, c'est aussi le
savoír-faire de nos enseignants-chercheurs, qui se diffuse par la formation
continue. Ne s'agit-il pas, simplement,
de trouver de nouvelles
resources pour les universités, sous-financées pour la plupart ? Ce peut étre
une source de revenus, certes. Mais là n'est pas la priorité: ce serait se
tromper de combat. Il s'agit d'abord d'un investissement. Quels changements
cela implique-t-il ? Avec les investissements d'avenir [programmes
gouvemementaux lancés en 2010 pour créer des ensembles pluridisciplinaires
d'enseignement supérieur et de recherche de rang mondial], dont les Initiatives
d'excellence (Idex) font partie, les universités ont enclenché une dynamique de
valorisation de leur expertise. Pour les enseignants-chercheurs, la formation
continue peut être un nouveau facteur de motivation, car c'est une activité
très gratifiante : on a un public motivé, on traite de problématiques
réelles, on a moins de copies. Le problème est que nos équipes sont déjà
surchargées ! C'est pourquoi nous devrons recruter. Nous estimons à environ
7000 postes les besoins d'ici à 2020. (Fonte: F. Germinet, Le Monde 31-03-16)
FRANCIA. SENZA FONDAMENTO LEGALE LA SELEZIONE DEGLI
STUDENTI TRA IL PRIMO E IL SECONDO ANNO DI UNIVERSITÀ
In Italia
è ricorrente da un paio di anni la proposta di istituire la selezione degli
studenti (specialmente per gli studi di medicina) non più all’ingresso nel
corso ma tra il primo e il secondo anno. Vale la pena di leggere nell’articolo
che segue, su Le Monde, quanta contrarietà suscita questo sistema in Francia al
punto da essere autorevolmente definito “sans fondement légal”.
Le
Conseil national de l'enseignement supérieur et de la recherche (Cneser), dont
l'avis est consultatif, a montré un véritable embarras sur le projet de décret
sur la sélection en master dont il était saisi, lundi 18 avril. Le texte, qui
vise à «régulariser» la sélection entre la première et la deuxième année de
master (dites M1 et M2), a reçu seulement 19 votes favorables contre 27 contre,
et ... 29 abstentions. Malgré ce résultat, il sera mis en oeuvre «afin de
sécuriser la prochaine rentrée universitaire», a annoncé le ministère de
l'éducation nationale dans un communiqué : 42% des formations de master, dont
la liste est annexée au décret, sont officiellement autorisées à continuer à
sélectionner, ce qu'elles faisaient jusque-là sans fondement légal. Le débat,
polémique, a longtemps été mis sous le Lapis. Mercredi 10 février, le Conseil
d'Etat avait cependant mis le gouvernement au pied du mur en rappelant qu'en
vertu de l'article L. 612-6 du code de l'éducation «aucune sélection ne peut être
mise en place» en première ou en deuxième année de master si la formation en
question ne figure pas sur «une liste limitative établie par décret».
Cette
jurisprudence donnait raison à l'avocat Florent Verdier, initiateur de
plusieurs dizaines de recours devant les tribunaux administratifs. Et obligeait
le gouvernement, pressé par les présidents d'université, à se positionner sur
un sujet évité par les pouvoirs publics... depuis la création du diplôme de
master en 1999 et l'adoption en 2002 du système universitaire en trois cycles :
licence (bac + 3), master (bac + 5) et doctorat (bac + 8) (LMD), dans le cadre
du «processus de Bologne» d'harmonisation européenne qui permet des
équivalences et des reconnaissances mutuelles dans 41 pays.
Pour
autant, dit aujourd'hui M' Verdier, «rien n'est réglé» car la sélection dont il
est question est entachée selon lui de nombreuses failles. La plus essentielle
: «Sélectionner entre le M1 et le M2 va à l'encontre du principe du cycle
inscrit dans l'article 612-1 du code de l'éducation», que l'avocat avait déjà
invoqué pour faire annuler des refus d'inscription en deuxième année de master.
C'est donc la question de l'unicité du master en quatre semestres - et de
l'accès en master après la licence - qui sera au centre de la concertation de
quatre mois que le gouvernement a lancée parallèlement «afin d'aboutir à une
situation pérenne». (Fonte: A. De Tricornot, Le Monde 20-04-16)
UK. I LAUREATI INGLESI SONO I PIÙ INDEBITATI DI
TUTTO IL MONDO ANGLOFONO
Secondo
una recente ricerca della Fondazione Sutton, associazione che si occupa di
educazione e in particolare di accesso allo studio per i giovani svantaggiati,
i laureati inglesi siano i più indebitati di tutto il mondo anglofono. Con
differenze anche importanti. Secondo i dati dello scorso anno, in media un
laureato inglese si affaccia alla vita adulta con un debito medio di 44mila
sterline (circa 55mila euro), mentre in altri paesi, dagli Stati Uniti
all’Australia, la somma oscilla tra le 15mila e le 29mila sterline. I secondi
più a rischio nella classifica sono gli allievi americani, che possono arrivare
ad un massimo di 32mila sterline da restituire, qualora abbiano seguito
università private, decisamente più costose. Ma le 44mila sterline dei colleghi
inglesi sono un traguardo che non viene raggiunto. Molto meglio stanno gli
australiani, che chiudono il ciclo universitario con un debito che ammonta nei
casi peggiori a 20mila sterline o i neozelandesi, che tutt’al più finiscono in
rosso per una somma pari a 50mila dollari del loro conio, cioè circa 23mila
sterline. (Fonte: C. Belloni, CorSera Università 0906-16
USA. CHE COSA PENSANO TRUMP E CLINTON SUI TEMI
SCIENTIFICI
La
politica USA ha un rapporto complesso con la ricerca scientifica. Da un lato
gli USA dominano il panorama scientifico mondiale. Dall’altro la politica degli
Stati Uniti, che possono vantare uno scienziato come Benjamin Franklin tra i
padri fondatori, è spesso ai ferri corti con il rigore scientifico, a destra
soprattutto, ma anche a sinistra. In effetti, una vena antiscientifica scorre
trasversale in entrambi i partiti. Su varie tematiche, ma specialmente Ogm,
vaccini e cambiamento climatico, la politica e la comunità scientifica si
scontrano. Ma anche su esplorazione spaziale, medicine alternative, politica
energetica.
Vediamo
come si qualificano, su questi e altri temi, i principali pretendenti alla Casa
Bianca.
Donald
Trump. Le sue sparate antiscientifiche sono a tutto campo. Il riscaldamento
globale per Trump sarebbe stato “inventato dai cinesi” per mettere in
difficoltà le aziende americane (salvo poi ritrattare-ma-anche-no, nel suo
classico stile): non è altro che una “tassa molto costosa”, e alla fine
abbiamo, a suo dire, problemi assai peggiori. La Nasa? Be’, “fantastica” dice
Trump, ma anche qui ci sono cose ben più importanti, come i buchi nelle strade.
Le energie rinnovabili? Finora il massimo sull’argomento è “le turbine eoliche
uccidono un sacco di uccelli”. Trump taglierebbe fondi per la Environmental
Protection Agency, l’agenzia federale per la protezione ambientale, ritenendola
una “barzelletta”. Trump sostiene che i vaccini causino l’autismo, dando eco a
una delle più clamorose frodi scientifiche degli ultimi decenni. Non è chiaro
cosa pensi degli organismi geneticamente modificati, ma si è esposto con una
battuta su Monsanto, che gli ha guadagnato il cauto interesse di alcuni
attivisti anti-Ogm (Trump è un azionista di Whole Foods, la principale catena
di vendita di cibo biologico in Usa).
Hillary
Clinton. Rispetto ai candidati repubblicani, i democratici suonano tutt’altra
musica. Hillary Clinton, in testa nella corsa per la candidatura democratica,
si era distinta per ragionevolezza già nel 2007, dichiarando che avrebbe
protetto la scienza dalla politica. Si informa su quanto le sta a cuore: nel
2010, rivedendo le bozze di un discorso, aveva scovato un errore sul ruolo
della vitamina A, che era sfuggito a vari esperti. Clinton inserisce nel suo
programma due obiettivi concreti e specifici: un piano per arrivare a una cura
per l’Alzheimer entro il 2025, e investimenti ulteriori per la ricerca e
prevenzione contro hiv. È una sostenitrice degli Ogm: e no, nonostante le
insinuazioni che questo ha provocato, non ha forti legami con Monsanto. Clinton
però ha una forte simpatia verso le cosiddette medicine alternative, che molto
spesso medicine non sono, in particolare verso la cosiddetta (e
pseudoscientifica) medicina funzionale. (Fonte: www.wired.it 20-04-16)
USA. 130 RICERCATORI ITALIANI AL FERMILAB DI CHICAGO
Al FermiLab di Chicago gli americani
hanno il più grande impianto mondiale per la ricerca sui neutrini, particelle
essenziali per la comprensione dell’universo, ma in collaborazione con Europa e
Giappone e con attrezzature e scienziati che vengono in gran parte dall’Europa,
soprattutto dall’Italia, racconta Carlo Rubbia mentre aspettiamo che Matteo
Renzi, nel suo tour americano attraverso la «globalizzazione che funziona»,
arrivi qui a Batavia, un’ora d’auto da Chicago, per visitare il maggiore centro
Usa di ricerca astrofisica: un luogo dove si parla soprattutto italiano. «E non
solo perché qui ci sono 130 ricercatori del vostro Paese sui 1800 di questa
struttura» dice Nigel Lockyer, direttore di questo centro che porta il nome del
fisico italiano Enrico Fermi: «Molti dei nostri impianti sono di fabbricazione
italiana e la tecnologia di base usata nel viaggio dei neutrini alla scoperta
delle origini dell’universo è stata creata da Carlo Rubbia: quella dell’argon
liquido». Per questo c’è anche il premio Nobel italiano e «padre nobile» del
Cern di Ginevra ad accogliere Renzi nella cattedrale Usa dell’astrofisica: «Un
tempo — dice — eravamo in competizione con gli americani, ma da parecchi anni,
ormai, collaboriamo. Le macchine per esplorare le origini dell’universo sono
sofisticatissime e molto costose. Inutile costruirne due: ci dividiamo il
lavoro». (Fonte: M. Gaggi, CorSera 31-03-16)
USA. L'AFFLUSSO DI STUDENTI STRANIERI COMPENSA
AMPIAMENTE L'USCITA DI AMERICANI
Gli
atenei Usa continuano ad attirare moltissimi studenti dall'estero, ma da un po'
di tempo cresce anche il numero dei giovani americani che vanno a prendere la
laurea in Scozia o a Oslo. Per adesso i college Usa non si preoccupano e
continuano, imperterriti, ad aumentare le rette proprio perché l'afflusso di
studenti stranieri compensa ampiamente l'emorragia di americani: in 40 anni,
dal 1975 al 2015, gli stranieri nelle accademie Usa sono passati da 154 mila
(1,5%) a quasi un milione (4,8%). In testa le università di New York (Nyu ha
oltre 13 mila stranieri, Columbia 11.500) e della West Coast (South California 12.300, University of
California Los Angeles 10.200). Il fenomeno più curioso, tuttavia, non riguarda
i corsi universitari di base ma i master, vera specialità americana. Anzi un
master in particolare; quello in business administration che è un'invenzione a
stelle e strisce. L'Mba è nato ad Harvard nel 1908. Da allora le business
school si sono moltiplicate. Oggi ce ne sono ben 200: un affare cresciuto
tumultuosamente. Ma da tempo questo titolo post graduate sta perdendo appeal:
negli ultimi 5 anni le domande degli studenti americani si sono ridotte di un
terzo. Nessun allarme per queste accademie, solo un po' più di marketing
oltreoceano. Il fascino dell'Mba resta altissimo tra gli studenti stranieri,
ormai in maggioranza in queste scuole: le loro application sono il 58% del
totale. (Fonte: M. Gaggi, CorSera 14-04-16)
UNIVERSITÀ CINESI RECLUTANO CERVELLI ITALIANI
La Cina sta conducendo una vera e
propria campagna acquisti in Italia. Lo scouting promosso dalla provincia
cinese di Jiangsu, e destinato a reclutare docenti e ricercatori italiani, si
basa sull'offerta avanzata dalla "Nanjing University of the Arts" e
dallo "Jiangsu college of Information Technology": compenso dai
50mila ai 100mila dollari annui, più altri 100mila dollari, per i costi
dell'alloggio. (Fonte: La Discussione 31-03-16)
LIBRI. RAPPORTI
RISCHIO E PREVISIONE. COSA PUÒ DIRCI LA SCIENZA SULLA CRISI
Autore: Francesco Sylos Labini.
Editore Sagittari Laterza, 2016, XIV-248 pg.
Economisti e politici hanno bisogno
di adottare una mentalità scientifica. Ecco come la scienza può aiutarci a
capire la crisi economica e può fornirci soluzioni originali. Ogni giorno ci
viene ripetuto che esistono delle leggi di mercato, la domanda e l’offerta, che
non possono che condizionare le nostre vite. Queste norme appaiono come
‘naturali’ quanto la legge di gravità, e gli economisti, utilizzando equazioni
e modelli matematici, sono percepiti come gli scienziati destinati a
comprenderle e a interpretarle. Ma veramente possiamo fidarci delle previsioni
dell’economia come di quelle della fisica? Ancora di più: l’economia è davvero
una scienza? Il sistema economico è ancora descritto come costantemente
caratterizzato dalla ricerca di una condizione di equilibrio stabile. A questa
prospettiva, che rispecchia i limiti e le idee della fisica dell’Ottocento,
l’autore contrappone le intuizioni offerte dalla fisica moderna prendendo in
considerazione i recenti sviluppi sullo studio dei sistemi caotici e complessi.
(Fonte: presentazione dell’editore)
LA LOTTA ALL’ABBANDONO
PRECOCE DEI PERCORSI DI ISTRUZIONE E FORMAZIONE: STRATEGIE, POLITICHE E MISURE
A cura di Simona Baggiani, Unità italiana di Eurydice, 2014, 170 pg.
Nel quaderno (i quaderni di eurydice n. 31), pubblicato e curato da Eurydice Italia, sono analizzate la
situazione attuale e le strategie di prevenzione e intervento adottate e da
adottare per contrastare e ridurre il problema, partendo da dati statistici di
fonte Eurostat e Ocse, rintracciabili anche nel rapporto Istat 2016. In Italia,
per quanto riguarda il tasso di abbandono precoce, si sono registrati
miglioramenti. La percentuale dei giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandonano
la scuola troppo presto, non conseguendo né diplomi di secondo grado né
attestati di formazione professionale, è scesa dal 19,2% nel 2009 al 15% nel
2014. Un risultato incoraggiante che ha permesso all’Italia di raggiungere il
suo obiettivo nazionale fissato al 16%, pur rimanendo ancora distante
dall’obiettivo europeo del 10% entro il 2020.
In molti Paesi europei gli studenti nati all’estero che abbandonano
precocemente i percorsi di istruzione e formazione costituiscono la maggioranza
di chi lascia: l’unica eccezione a questa tendenza è rappresentata dal Regno
Unito. I tassi sono alti in Grecia, Spagna e in Italia, dove la percentuale di
abbandono degli stranieri è più del doppio rispetto a quello degli italiani: il
34,4% degli studenti che non consegue diplomi di secondaria superiore o di
formazione professionale è nato all’estero, mentre tra gli studenti nativi la
percentuale scende al 14,8%. I dati sono entrambi superiori alla media europea
che è rispettivamente del 22,7% e 11%. E non è tutto, perché l’Italia risulta anche
tra i Paesi con le maggiori disparità tra tassi di abbandono maschili e
femminili, con una percentuale del 20,2% per i maschi e del 13,7% per le
femmine. Si tratta di un dato negativo rispetto alla media europea del 13,6%
per i maschi, 10,2% per le femmine (situazioni analoghe a Cipro, Estonia,
Spagna, Lettonia, Portogallo e Islanda) con una propensione all’abbandono
scolastico da parte degli studenti di sesso maschile che è più evidente nelle
aree disagiate. (Fonte: F. Boc., IlBo 12-04-16; https://webgate.ec.europa.eu/fpfis/mwikis/eurydice
)
PASSING ON THE RIGHT: CONSERVATIVE
PROFESSORS IN THE PROGRESSIVE UNIVERSITY
Autori:
Jon Fields e Joshua Dunn. Ed. Oxford University Press, 2016, 256 pg.
Si tratta
di una ricerca rigorosa che dà conto dell’ostracismo, della discriminazione,
delle ataviche inclinazioni democratiche e delle altrettanto ataviche antipatie
per i conservatori, ma esibisce il raro pregio dell’equilibrio. E’ una ricerca
condotta con un metodo scientifico esplicito e verificabile, non un pamphlet da
dare in pasto a Fox News. Rispetto ad altre indagini simili sul “bias”
democratico nell’accademia, lo studio dei due politologi si concentra sul
racconto dei conservatori che abitano nelle facoltà di economia, scienze
politiche, sociologia, storia, filosofia e lettere. La scelta di non indagare
gli accademici che si occupano di scienze naturali e discipline matematiche
deriva dalla convinzione che negli ambiti dove il metodo d’indagine è più
stringente, le inclinazioni ideologiche tendano a essere meno influenti. Fields
e Dunn hanno intervistato di persona 153 professori in 84 università, la
maggior parte dei quali ha scelto l’anonimato, ammettendo nel campione soltanto
quelli che si identificano come conservatori. Si tratta dello studio
quantitativamente più vasto su una specie in via d’estinzione. Attraverso le
testimonianze, i ricercatori hanno certamente trovato il “bias” ideologico di
cui si è detto, ma hanno anche trovato altro. Innanzitutto, l’ostracismo non è
definitivo. “Un terzo dei professori intervistati – scrivono Fields e Dunn –
dicono di aver nascosto le loro convinzioni politiche prima di avere ottenuto
il posto da ordinari. Certo, essere ‘in the closet’ non è facile (un professore
particolarmente preoccupato ci ha detto: “E’ perfino pericoloso pensare
qualcosa di conservatore quando sono nel campus, perché mi potrebbe sfuggire
dalla bocca”), ma è una difficoltà temporanea, visto che tutti quelli che
abbiamo ascoltato hanno dichiarato di essere usciti o di voler uscire allo
scoperto dopo aver ottenuto il posto. Una volta diventati ordinari, i
conservatori sono liberi di esprimere le loro opinioni politiche e di
pubblicare ricerche che riflettono i loro interessi e le loro prospettive.
L’originalità di “Passing on the Right” sta nel suggerire che un diverso
atteggiamento nei confronti dei professori conservatori farebbe un buon
servizio alla reale vocazione progressista e liberal dell’accademia, e non
sarebbe soltanto un ribilanciare le squadre per pagare il solito, formale
tributo all’idolo dorato delle pari opportunità. (Fonte: M. Ferraresi, Il
Foglio 19-04-16)
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