IN
EVIDENZA
TRA IL 1996 E IL
2014 I RICERCATORI ITALIANI HANNO PUBBLICATO 1.200.000 LAVORI, COLLOCANDOSI IN
OTTAVA POSIZIONE A LIVELLO MONDIALE
L'Italia ottiene risultati positivi in termini di
produzione scientifica nonostante le scarse risorse destinate alla ricerca. Tra
il 1996 e il 2014 i ricercatori italiani hanno pubblicato 1.200.000 lavori,
collocandosi in ottava posizione a livello mondiale. Se poi si considera il
rapporto tra numero di pubblicazioni scientifiche (database Scopus) e risorse
finanziarie destinate all’attività di ricerca nel settore pubblico si osserva
un aumento per l’Italia da 8,33 a 9,75 lavori per unità di spesa tra il 2011 e
il 2014 (vedi rapporto ANVUR 2016). Una dinamica significativa, che supera
quella di Francia e Germania, anche se non raggiunge quella di Spagna e Regno
Unito. I risultati sono buoni anche per quanto riguarda il rapporto tra numero
di pubblicazioni e numero di ricercatori nel settore pubblico, benché in questo
caso la produttività rimanga sostanzialmente invariata nell’arco temporale
considerato. Risultati positivi si osservano anche rispetto ad altri indicatori
di produttività scientifica. Ad esempio, analizzando le pubblicazioni nelle
migliori riviste (top 1 per cento) della distribuzione mondiale dell’indicatore
di impatto SNIP (Source Normalized Impact per Paper) si trova che l’Italia, a
partire dal 2011, si colloca al di sopra della media mondiale, superando anche
in questo caso Germania e Francia. Se si considerano le pubblicazioni nella
fascia top 5 per cento, l’Italia presenta valori superiori alla media mondiale
già a partire dal 2005. (Fonte: M. De Paola e T. Jappelli, lavoce.info
02-08-16)
CERN DI GINEVRA: OLTRE 2.200 RICERCATORI ITALIANI
Oltre 2.200
ricercatori italiani, dei quali 287 funzionari inquadrati nell’organizzazione
internazionale su un totale di 2.531 dipendenti. Italiana la direttrice Fabiola
Gianotti. Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni si è recato il 22 agosto in
visita al CERN di Ginevra nel centro leader a livello internazionale per lo
studio della fisica delle particelle. “Sono fiero e sorpreso per il contributo
importante dell’Italia alla ricerca scientifica” in termini di quantità di
ricercatori coinvolti e di collaborazione con l’industria italiana, ha detto
Gentiloni sottolineando sia la dimensione europea del CERN, sia la sua
importanza a livello globale, con ricercatori che provengono da numerosi Paesi
non europei, attratti da un centro che costituisce un polo di eccellenza nel
campo della ricerca fondamentale. (Fonte: OnuItalia.com 22-08-16)
MEDICINA. QUANTI DUBBI (E ASSURDITÀ) SUI TEST D’INGRESSO.
Il TANTO AGOGNATO (DA NOI) “SISTEMA FRANCESE” LO STANNO ABBANDONANDO PROPRIO I
FRANCESI
Caro direttore,
è ormai un dato
certo che, anno dopo anno, aumentano le iscrizioni ai test d'ingresso di
Medicina e non solo. Come è possibile emergere sul mercato del lavoro senza una
laurea? Normale dunque che ci si iscriva ai test delle facoltà che più di altre
offrono, finiti gli studi, un lavoro sicuro. La facoltà di Medicina resta sempre
una garanzia. Ogni anno però ritorna il tema scottante: sono così necessari
questi test d'ingresso? Lo abbiamo capito: il ricorso al numero chiuso da parte
delle università serve soprattutto a ridurre gli studenti che si laureano fuori
corso. Tuttavia non penso che sia la soluzione più giusta blocccare uno
studente al primo anno di università. Voglio dire, la selezione
"naturale" arriverà nel corso dei sei anni. Come per la facoltà di
giurisprudenza, dove al termine dei cinque anni gli studenti si dimezzano.
Penso che sia stato un bene ampliare la concorrenza a livello nazionale. Non
tutte le famiglie possono però permettersi di mantenere anche i figli fuori
città. Insomma pensiamoci. Stipare in un aula più di 2.000 studenti per i test
è veramente necessario? (Fonte: F. D., Lettera al direttore, Libero Milano
25-08-16).
I test assomigliano più a un rischiatutto che
a una vera scrematura basata su competenze, conoscenze e attitudini, oltre che
sulle motivazioni, che spingono migliaia di giovani a mettersi in gioco. Il
gioco è piuttosto crudele, per non dire sadico. Non è in discussione la
necessità di selezionare né il numero chiuso. Forse la soluzione sta in un
primo anno universitario aperto a tutti e una selezione per l'accesso al
secondo, come fanno i francesi, evidentemente meno sadici di noi. (Fonte: W.
Passerini, La Stampa 05-09-16).
E' il test di medicina ... il più atteso per l'altissima
richiesta di iscrizione e per i posti che, rispetto allo scorso anno, sono
diminuiti di 306 unità: gli iscritti al test sono ben 62.695, 2.056 in più
dell'anno scorso, per 9224 posti. Otterrà un banco per aspiranti medici meno
del 15% dei candidati. (Fonte: L. Loiacono, Il Messaggero 05-09-16).
E stipare tutti gli
studenti (62.695 quest’anno per Medicina) in aule e laboratori
insufficienti a contenerli è didatticamente sostenibile e congruo per una
laurea con finalità inerenti alla salute pubblica? E dove sarebbero i docenti disponibili
e idonei per esaminare questi 62.695 studenti alla fine del primo anno di
Medicina? L’articolista de La Stampa, prima di scrivere il “gioco è piuttosto
crudele, per non dire sadico” a proposito del nostro test d’ingresso, dovrebbe
leggere l’ultimo articolo in merito su Le Figaro (26-08-16) dove in Francia” la sélection des
étudiants pourrait etre avancée à l'entrée du master 1 (bac +4) et non plus à
l'entrée du master 2 (bac +5)” cioè non più
alla fine ma all’inizio del primo anno (come da noi), dato che in quel Paese si
sono accorti che il loro sistema (il tanto decantato da noi “sistema francese”)
ha tanti lati negativi al punto che “le Conseil d’Etat
a confirmé le 10 février que la sélection entre les deux années de master
ne reposait sur aucune base légale” (L.
Buratti, www.lemonde.fr 16-05-16). (Nota di PSM).
RANKING REUTERS
DELLE 100 UNIVERSITÀ PIÙ INNOVATIVE D'EUROPA
Nel Ranking Reuters delle 100 università più innovative
d'Europa, ossia più impegnate nel trasferimento tecnologico e con maggior
numero di idee brevettate, primeggia il Politecnico di Milano che si classifica
al 42°posto, la Statale si qualifica al 52°, ma è la prima italiana tra gli
atenei generalisti. Le altre Università italiane entrate nella classifica sono
la Sapienza di Roma (72°), l'Università di Bologna (79°) e infine l'ateneo di
Padova, al 98°posto. La Statale di Milano si è guadagnata la sua posizione con
22.000 pubblicazioni scientifiche negli ultimi tre anni, oltre 1.000 progetti
di ricerca attualmente in corso, 61 brevetti tra 2008 e 2013, 16 spin-off
attivi. Inoltre l'Università di Milano è l'unico ateneo italiano a far parte
della LERU, la League of European Research Universities. La classifica è stata
stilata identificando 170 tra università ed enti di ricerca europei che hanno
pubblicato il maggior numero di articoli nelle riviste scientifiche indicizzate
dal 2009 al 2014, rilevate dal Thomson Reuters Web of Science Core Collection
database. (Fonte: askanews 22-06-16)
CORTE
COSTITUZIONALE. LE CONDIZIONI PER LA LEGITTIMA PREVISIONE DI UN CONTRIBUTO DI
SOLIDARIETÀ PER LE PENSIONI DI ELEVATO IMPORTO: MISURA CONTINGENTE,
STRAORDINARIA E TEMPORALMENTE CIRCOSCRITTA
Nella sentenza n. 173 del 13 luglio 2016 della Corte
costituzionale si legge che “il prelievo istituito dal comma 486 dell’art. 1
della legge n. 147 del 2013 (norma impugnata) non è configurabile come tributo
non essendo acquisito allo Stato, nè destinato alla fiscalità generale, ed
essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti
previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di
sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con
specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene
ai trattamenti dei soggetti cosiddetti esodati. Il contributo, dunque, deve
operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà
‘forte’, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno
previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità
intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del
sistema stesso, indotta da vari fattori che devono essere oggetto di attenta
ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento
quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può
consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in
ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato”. Tuttavia,
sostiene la sentenza, anche in un contesto siffatto, un contributo sulle
pensioni costituisce, però, una misura del tutto eccezionale, nel senso che non
può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema
di previdenza. In definitiva, il contributo di solidarietà, per superare lo
scrutinio “stretto” di costituzionalità, e palesarsi dunque come misura
improntata effettivamente alla solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.),
deve: operare all’interno del complessivo sistema della previdenza; essere
imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema; incidere sulle
pensioni più elevate (in rapporto alle pensioni minime); presentarsi come
prelievo sostenibile; rispettare il principio di proporzionalità; essere
comunque utilizzato come misura una tantum.
Tale misura rispetta il criterio di proporzionalità e, in
ragione della sua temporaneità, non si palesa di per sé insostenibile, pur
innegabilmente comportando un sacrificio per i titolari di pensioni più
elevate, ossia quelle il cui importo annuo si colloca tra 14 a 30 e più volte
il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad aliquote crescenti
(del 6, 12 e 18 per cento).
In questi termini, l’intervento legislativo di cui al
denunciato comma 486, nel suo porsi come misura
contingente, straordinaria e temporalmente circoscritta, supera lo
scrutinio “stretto” di costituzionalità. (Fonte 14-07-16)
FUGA DEI
CERVELLI. IL PROBLEMA RETRIBUZIONI
Ma scherziamo? Nessuno affronta il vero problema della
ricerca in Italia: gli stipendi bassissimi rispetto alla media dei Paesi
sviluppati e i contratti da precari. Un assegnista che prende 1400 €/mese
(netti, e per di più senza contributi pensione) li spende tutti per pagarsi
l’affitto e mangiare. Se gli date il 50% in più quando è all’estero per 3 mesi,
con quei 700 €/mese dovrebbe sopravvivere in USA? Scherziamo? Portate gli
stipendi e la normativa italiana ai livelli medi occidentali e vedrete che non
scappa più nessuno, anzi comincerà a venire gente in Italia a fare ricerca. (Fonte:
commento di DBA all’articolo “Ricercatori, fughe estere e borse di studio” su
Corsera-Blog 21-07-16)
ABILITAZIONE
SCIENTIFICA NAZIONALE
ASN. I VALORI
SOGLIA DELL’ANVUR CRITICATI DAL CUN
Da un parere di 8 pagine, reso nell’adunanza plenaria del
26 luglio scorso e indirizzato al MIUR, emerge la certezza che il CUN non è
affatto soddisfatto della proposta avanzata dall’ANVUR sui valori soglia,
preordinata a “rivisitare” il procedimento per conseguire l’ASN, già oggetto di
“diffusi contenziosi”. I valori soglia, secondo il CUN, così come ora rivisti,
tendono a essere, per entrambe le fasce, troppo alti, rischiando perciò di
escludere persone scientificamente valide, fino al punto di non ammettere alla
procedura di abilitazione soggetti già abilitati nelle tornate precedenti. Il
CUN non condivide nemmeno lo scorporo di taluni settori
scientifico-disciplinari, effettuato sulla scorta di ragioni culturali e non su
basi meramente statistiche, con ingiustificabili differenziazioni tra prima e
seconda fascia. Sicché urge l’individuazione non ambigua e la conseguente
validazione delle pubblicazioni rilevanti ai fini del calcolo degli indicatori.
Il Consiglio si diffonde, poi, a esaminare le problematiche dei settori
bibliometrici e non bibliometrici, chiedendo esplicite spiegazioni al MIUR
attraverso un’auspicata nota di quest’ultimo, rilevando, in particolare, “un
sostanziale innalzamento del valore soglia dell’indicatore relativo agli
articoli in riviste di fascia A, e in parte anche dell’indicatore relativo alle
pubblicazioni scientifiche, e un abbassamento dell’indicatore relativo alle
monografie”. Il CUN segnala inoltre sui valori soglia modalità di calcolo in
contrasto con quanto stabilito nel DM 120/2016 e osserva che l’abilitazione scientifica nazionale non è
una procedura di preselezione di natura comparativa quale risulterebbe
intrinsecamente essere qualora la determinazione dei valori soglia avvenisse
sulla base di percentili. Al contrario, nel documento di accompagnamento
dell’ANVUR emerge che le scelte sono
state effettuate quasi esclusivamente sulla base di analisi ed elaborazioni
statistiche, producendo effetti paradossali: «Ad esempio, in diversi settori il
numero dei lavori per anno necessario per superare la soglia fissata per
l’abilitazione alla seconda fascia è maggiore di quello necessario per superare
la soglia per l’abilitazione alla prima fascia (in alcuni casi avvicinandosi al
doppio)». In conclusione, il CUN “esprime una forte preoccupazione” sulle
proposte dell’ANVUR e ribadisce che i valori soglia devono essere fissati sulla
base di pareri informati e motivati, fondati su principi di ragionevolezza e
significatività e su criteri di adeguatezza. (Fonte: Roars 07-07-16; R. Tomei,
Ilfoglietto.it 28-07-16)
ASN. DOCUMENTO DI
RETE29APRILE SULLE SOGLIE PER L’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
Se il MIUR avesse anche solo l’intenzione di far svolgere
all’ANVUR il ruolo che le compete si sarebbe dovuto occupare, prima di ogni
altra considerazione, della pubblicazione sistematica dei dati riguardanti la
ricerca, cioè l’insieme dei prodotti scientifici di tutti i ricercatori
impegnati nelle istituzioni nazionali. La pubblicazione di questi dati, si
ricorda, è prevista da una legge addirittura precedente la 240/2010, ed è al
fondamento dei concetti stessi di valutazione e “merito” sui quali la legge è
basata. Solo fornendo la possibilità a chiunque lo desideri di valutare le
scelte dell’ANVUR rispetto all’intera distribuzione delle pubblicazioni,
l’Agenzia potrà acquisire quella credibilità che errori materiali e scelte
arbitrarie non le hanno mai permesso di acquisire. (Fonte: un passo del
documento del Coordinamento della Rete29Aprile 22-07-16)
ASN 2.0. LA PROCEDURA APPARE UN GIGANTE DAI PIEDI DI
ARGILLA
Alla fine l’ASN
2.0 è arrivata, carica degli stessi difetti di quella che l’aveva preceduta.
Anzi, forse peggio. Infatti, i filtri quantitativi non solo sono stati
mantenuti, ma irrigiditi, poiché essi sono ora vincolanti anche per i
candidati. In più le cosiddette soglie, sostitutive delle mediane, ma alla fine
dei percentili stabiliti ad libitum dall’Agenzia che infatti già conosce il
numero dei commissari sorteggiabili per ogni S.C. (e dunque immaginiamo, i loro
nomi), sono state calcolate in modo opaco ancora una volta, sembra di capire,
sulla base dei dati “sporchi” contenuti nel loginmiur: dell’anagrafe della
ricerca si sono infatti perse le tracce, così come del tentativo fallimentare
di sostituirla con Orcid. Insomma, ancora una volta la procedura appare un
gigante dai piedi di argilla, piena di falle (nei prossimi mesi avremo modo di
renderne conto) e del tutto discutibile. Nel caldo agostano essa è piombata su
di una semi-addormentata accademia italiana, le cui reazioni – per una volta
vivaci – sono state bellamente ignorate, così come nel cestino è finito un pur
argomentato e ragionevole parere CUN. (Fonte: A. Banfi
e A. Bellavista, Roars 22-08-16)
CLASSIFICAZIONI
DEGLI ATENEI
CLASSIFICAZIONE DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE NELL’ACADEMIC
RANKING OF WORLD UNIVERSITIES 2016 (ARWU)
Nell’Academic
Ranking of World Universities 2016 (ARWU) la Sapienza è alla 163esima posizione
con un punteggio totale di 19.23, unica università italiana nel range 151-200
insieme con l’università di Padova in 183esima posizione con un punteggio di
18.19. Seguono nel range 201-300 il Politecnico di Milano e le università di
Bologna, Firenze, Statale di Milano e Pisa. Gli indicatori presi in esame
dall’ARWU sono rigorosi e comprendono premi Nobel e riconoscimenti accademici
ricevuti, qualità della ricerca (paper pubblicati e ricercatori più citati) e
le performance rispetto al numero degli iscritti. In particolare sono 6 i
parametri su cui si basa la classifica: premi internazionali di ex studenti
(10%) o di ricercatori della singola Università (20%), le citazioni di pubblicazioni
scientifiche in Thomson-Reuters (20%), le pubblicazioni «Nature & Science»
(20%), le pubblicazioni tecnologico-sociali (20%). Questi parametri sono poi
correlati con lo staff accademico, dando un ulteriore parametro di produttività
pro-capite (10%). (Fonte: Milano online
15-08-16)
IL CENTRE FOR WORLD
UNIVERSITY RANKING CLASSIFICA 1000 ATENEI
Il ranking del Centre for world university ranking, che
elenca i primi mille atenei mondiali e comprende 48 atenei italiani, si avvale,
per le proprie misurazioni, di otto indicatori: la qualità della pubblica
istruzione; il tasso di occupazione degli ex studenti; la qualità della
docenza; le pubblicazioni; l'influenza; il numero di citazioni sulle riviste;
il "broad impact"; e, infine, il numero di brevetti internazionali depositati.
Come l'anno scorso, il primato assoluto è stato conquistato da Harvard, mentre
Stanford è al secondo posto. La migliore delle europee è Cambridge (quarto
posto). Nella classifica italiana, dopo La Sapienza (al 90° posto), ci sono le
università di Padova (157° posto nella classifica mondiale) e di Milano (171°
posto), seguite dagli atenei di Bologna (198°), Torino (211°), Firenze (251°),
Federico II di Napoli (254°), Pisa (285°), Genova (291°), Roma Tor Vergata
(306°). (Fonte:
M. B., Il Sole24Ore 11-07-16)
LE 10 MIGLIORI UNIVERSITÀ NEL MONDO SECONDO IL TIMES
HIGHER EDUCATION
La classifica
dei migliori atenei del mondo viene stilata ogni anno dal Times Higher
Education per cui, di anno in anno, si possono vedere le ascese di nuove università
o il peggioramento di altre, semplicemente confrontando le informazioni fornite
dalle classifiche annuali.
Per il 2014-2015
in una classifica di 400 posizioni, di seguito riportiamo le prime dieci. Al
primo posto e secondo posto vi sono due atenei americani, la Caltech
(California Institute of Technology), e la celebre Università di Harvard. Al
terzo posto la storica Università di Oxford, seguita dall’Università di
Stanford e ancora, in posizione cinque, da un’altra Università storica, quella
di Cambridge. Americane anche la sesta, settima ed ottava Università,
rispettivamente il MIT (Massachusetts Institute of Technology), l’Università di
Princeton e l’Università di California Berkeley. In pari posizione, al nono
posto, seguono l’Imperial College di Londra e l’Università di Yale. (Fonte:
finanza.com 09-05-16)
LE MIGLIORI UNIVERSITÀ EUROPEE 2016
SECONDO THE TIMES HIGHER EDUCATION
La vetta della classifica
delle migliori università d’Europa è quasi interamente occupata da
atenei dell’UK. Sul podio, infatti, ci sono: l’Università di Oxford (al primo
posto), quella di Cambridge (al secondo) e l’Imperial College London (al terzo
posto). Il dominio britannico è interrotto dall’ETH Zurich, università svizzera
che si conquista il quarto posto delle migliori
università. Dopodiché, fino all’ottava posizione, ci sono ancora atenei
britannici. Ma non se la cavano male anche Germania e Paesi Bassi che piazzano,
rispettivamente, 4 e 3 università nelle prime 20 d’Europa. (Fonte)
AREA
LETTERARIO-UMANISTICA ATENEI PRIVATI 2016. CLASSIFICA CENSIS
È l’Università San Raffaele di Milano a guidare la
classifica Censis per l’area letterario - umanistica atenei privati 2016, la
graduatoria che valuta la qualità dei corsi di laurea triennale afferenti alle
classi di Beni Culturali (L-1), Discipline delle Arti Figurative, della Musica,
dello Spettacolo e della Moda (L-3), Filosofia (L-5), Lettere (L-10), Storia
(L-41), Tecnologie per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali
(L-43). Il primo posto dell’ateneo meneghino è frutto dell’eccellente 110 che
s’è meritata la progressione di carriera degli iscritti e del 95 assegnato ai
rapporti internazionali, che hanno portato a una media di 102,5 punti. A far
compagnia al San Raffaele sul podio della classifica Censis area letterario -
umanistica atenei privati 2016 ci sono la LUMSA, in seconda posizione con un
punteggio medio di 99 punti, e la Cattolica, terza con 91. Per l’università
romana il fiore all’occhiello è l’internazionalizzazione (106/110) e il punto
debole la progressione di carriera (92), mentre è esattamente il contrario per
la concorrente milanese, che brilla quanto a regolarità negli studi dei propri
iscritti, meritandosi il punteggio pieno (110), ma difetta in termini di
mobilità internazionale in entrata e in uscita (72). (Fonte: universita.it 04-08-16)
DOCENTI
SELEZIONE DEI
PROFESSORI UNIVERSITARI. LE ATTUALI CRITICITÀ
Paola Potestio, su IlSole24Ore del 27-06-16, si sofferma
sull'evoluzione delle regole nella selezione della docenza universitaria. A
proposito delle quali, afferma, nessun vero bilancio è stato fatto finora e i
cui più recenti esiti continuano a destare perplessità. Dopo breve rassegna
delle regole precedenti (ministri Berlinguer, Moratti, Mussi) arriva alle
regole odierne, fissate dall’ampia riforma del sistema universitario del 2010
(ministro Gelmini). Si istituisce di nuovo un'abilitazione scientifica
nazionale, ma senza vincoli sulla numerosità degli idonei. Si prevedono,
quindi, concorsi banditi dalle università e soggetti a regolamenti predisposti
dagli stessi atenei. La prima, laboriosa, tornata delle abilitazioni è stata
bandita nel 2012 e i dichiarati idonei manterranno l’abilitazione per un
periodo di sei anni (per alcuni settori la scadenza giunge al 2021).
II sistema adottato si espone a diversi rilievi critici,
sostiene Potestio. Un'abilitazione senza alcun vincolo sul numero degli idonei
mal si concilia con realistici piani di crescita. II concreto operare delle
commissioni per le abilitazioni può creare ulteriori distorsioni. Per esempio,
nell'area di economia, nella fascia dei professori ordinari il rapporto tra
abilitati e domande nella prima tornata e stato di circa il 44% nel settore
economia politica, ma di ben il 69% nel settore politica economica. E’
difficile pensare che questo divario sia dipeso da differenze nella qualità dei
candidati; è più realistico supporre gradi diversi di selezione. II secondo
rilievo riguarda l’utilità di un vaglio ripetuto: l’abilitazione prima e il
concorso presso l’ateneo poi. Se la selezione della prima fase è adeguata, perché
non lasciare agli atenei la facoltà di scegliere subito l'idoneo che si ritiene
meglio corrisponda agli interessi della struttura?
Come non ipotizzare che iI concorso presso l'università,
con una commissione composta da due commissari interni all'ateneo e tre membri
esterni nominati dallo stesso ateneo, abbia ottime chances di raggiungere
questo medesimo risultato? Perché impegnare tempo e risorse per ciò, cosa che
la predisposizione e l’attuazione del concorso richiede? Se, d'altro canto, la
selezione della prima fase ha avuto debolezze, la natura in larga misura locale
del concorso può non garantire che la scelta fatta dall'università compensi
un'eventuale generosità della prima selezione.
Dati interessanti emergono dal Rapporto ANVUR 2016 sullo
stato dell'università: il 50% dei bandi, a seguito della prima tornata di
abilitazione, sono fatti con accesso riservato al personale interno dell'università
e il 41% con accesso riservato a tutti, mentre accesso riservato a esterni e
chiamate dirette rappresentano percentuali piccolissime dei bandi fatti.
L'ambiguità dei bandi riservati ai soli interni - tra esigenze di protezione di
competenze molto specifiche ed esigenze molto generiche di protezione degli
interni - contribuisce a chiarire una certa fragilità dell'attuale insieme di
regole. Certo, il possibile scenario di idonei deboli protetti da bandi per
soli interni e idonei forti messi in competizione da bandi aperti potrebbe
esser fonte di pesanti distorsioni. Una considerazione conclusiva. Il
richiamato susseguirsi delle regole è, in sostanza, girato intorno al dilemma
tra autonomia degli atenei nella scelta dei docenti e garanzie di una selezione
indipendente. II dilemma forse non ha soluzione. Prescindendo comunque da ciò,
i due livelli di giudizio con cui lo schema attuale tenta di sciogliere il
dilemma potrebbero essere utilmente corretti, tentando di rendere più uniforme
e limitato il primo livello e semplificando od opportunamente vincolando il
secondo. (Fonte: P. Potestio, IlSole24Ore Commenti 27-06-16)
DOCENTI. MAGGIORE FLESSIBILITÀ PER ASSUMERLI
La miniriforma
del 2014 (abilitazione scientifica nazionale riveduta e corretta) appare nel
complesso un'occasione mancata, che ha bloccato il sistema per oltre due anni
togliendo all'ASN il necessario carattere di opportunità annuale
"inderogabile" previsto dalla legge istitutiva. Soprattutto, le
modifiche di dettaglio hanno impedito di ragionare a largo respiro sul futuro
dell'abilitazione, concepita come reazione alle storpiature dei concorsi locali
a idoneità multipla istituiti nel 1998 e soprattutto come presupposto
indispensabile del piano straordinario per la promozione ad associato di un
ampio numero dei ricercatori a tempo indeterminato. Peccato che del piano, dopo
la prima tranche, si siano dimenticati tre governi consecutivi, dimezzandone
quindi la portata e lasciando irrisolto il problema. L'abilitazione, invece,
resta, anche se in prospettiva sarebbe meglio che lasciasse il posto a scelte
responsabili da parte dei singoli atenei, magari proprio sulla base di alcuni
criteri di giudizio concordati a livello nazionale. Rispetto a qualche anno fa
esistono oggi meccanismi di valutazione che dovrebbero indurre e spesso,
purtroppo non sempre, inducono le università a scegliere o promuovere i propri
docenti attribuendo il giusto peso alla ricerca scientifica: una parte cospicua
dei fondi statali è attribuita sulla base della qualità della ricerca, e un
parametro misura specificamente il contributo dei neoassunti e neopromossi. I
tempi sono maturi, insomma, per avviare il sistema italiano verso una maggiore
flessibilità e snellezza. (Fonte: A. Schiesaro, IlSole24Ore 24-08-16)
PIANO
STRAORDINARIO 2016 PER LA CHIAMATA DI PROFESSORI DI PRIMA FASCIA
Con la pubblicazione, dopo la registrazione da parte
della Corte dei conti, del decreto MIUR-MEF n. 242 dell’8 aprile 2016 (“Piano
straordinario 2016 per la chiamata di professori di prima fascia” (http://tinyurl.com/jn8cbsu)),
parte ufficialmente la procedura per il reclutamento straordinario di
professori di I fascia, come previsto dal comma 206 della legge n. 208/2015,
che ha disposto un incremento del Fondo per il finanziamento ordinario delle
università (Ffo) di 6 milioni di euro nel 2016 e di 10 milioni annui dal 2017.
Il predetto decreto stabilisce che le procedure di reclutamento, da effettuarsi
non oltre il 31 dicembre 2016, devono avvenire nel rispetto degli articoli 18,
comma 1, e 29, comma 4, della legge 240/2010, mentre il riparto delle risorse
assegnate ai singoli atenei, risultante dalla tabella allegata al suddetto
decreto, è stato effettuato sulla base dei “Punti Organico” disponibili, che
tengono conto della numerosità dei soggetti in possesso dell'abilitazione
scientifica nazionale per la I fascia ovvero dell'idoneità ai sensi della legge
3 luglio 1998, n. 210. (Fonte: F. Scotti, ilfoglietto.it 23-06-16)
VALUTAZIONE DEI DOCENTI DA PARTE DEGLI STUDENTI
Agli studenti
universitari italiani è richiesto da qualche anno di compilare dei questionari
anonimi sulla valutazione del corso (Opinioni degli Studenti, OpiS). La Facoltà
di scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’università “Sapienza” di Roma ha
valutato la propria didattica in un modo innovativo. Piuttosto che cercare
“l’eccellenza”, in altre parole quei docenti davvero bravi, ha cercato invece
di individuare la “pessimenza”, cioè i corsi che presentassero delle criticità.
L’articolo che descrive questa valutazione è stato pubblicato da Gianluca
Sbardella, Francesco Sebastianelli, Carlo Mariani, Vincenzo Nesi e Andrea
Pelissetto sulla rivista scientifica Roars Transactions. Lo scopo principale
non è stato “puniamo i docenti cattivi”, ma piuttosto di capire perché i loro
corsi fossero giudicati negativamente. Si potrebbe pensare che i docenti con i
punteggi più bassi sono semplicemente quelli più severi con i voti. In realtà,
gli studenti sono molto più obiettivi di quello che si possa credere, e sono
interessati alla propria formazione. Rispettano molto di più un docente severo
che svolga il proprio lavoro con passione piuttosto che uno di “manica larga”
che non trasmetta nulla. Se la riposta alla domanda riguardante le presenze in
aula del docente è “decisamente no”, questo evidenzia una criticità che deve
essere affrontata con la persona, invece se gli studenti sono insoddisfatti
dall’aula (es. troppo piccola) questa è una questione organizzativa. La
permanenza da parte di un docente nella fascia problematica per più anni non
può essere ignorata. Quando si parla dell’università, molti sottolineano
aspetti negativi specifici che sicuramente esistono, ma che in pratica riguardano
solo una piccola parte dei docenti. Le condotte errate di alcuni ricadono però
su tutta l’istituzione, se non altro perché l’università pubblica italiana ha
pochi strumenti per affrontarle e ancora di meno per riconoscerli. Rendere
pubblica una valutazione metodologicamente solida è un valido deterrente contro
i “comportamenti sbagliati”. Affermano gli autori dello studio: “Senza
attribuire valore sacrale a tali suggerimenti, bisogna affermare il dovere di
rispondere con puntualità alle critiche, analizzandole con serietà”. Le schede
OpiS sono diffuse in tutta Italia: perché non utilizzarle per una valutazione
seria e basata su uno studio scientifico, piuttosto che lanciarsi in pseudo
valutazioni tipo alcune della ricerca? (Fonte: M. Bella, Roars e FQ 29-06-16)
INAMISSIBILITÀ
DEI DOCENTI A CONTRATTO AI CONCORSI UNIVERSITARI RISERVATI AGLI “ESTERNI”
Il Consiglio di Stato, con la sentenza della
Sesta Sezione del 12 agosto 2016, n. 3626, ha posto fine alla delicata
questione dell’ammissibilità, ai concorsi per professore universitario
riservati agli esterni, dei cd. contrattisti. Il problema riguarda la riserva
di un quinto dei posti disponibili di professore di ruolo che la Legge Gelmini
riserva «alla chiamata di coloro che nell'ultimo triennio non hanno prestato
servizio, o non sono stati titolari di assegni di ricerca ovvero iscritti a
corsi universitari nell'università stessa» (art. 18, c. 4 della l. 30 dicembre
2010, n. 240). (Fonte: M. Gnes, Quotidiano giuridico 24-08-16)
E-LEARNING
UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Nel 2004 nasceva la prima, l’università telematica
Guglielmo Marconi; oggi sono arrivate a 11. Quali sono le lauree offerte dalle università
telematiche? Un terzo è composto da lauree economiche, statistiche e
giuridiche; poi vengono storia, filosofia, psicologia; poi ancora scienze
politiche e sociologia, infine le ingegnerie, a conferma della forte
connotazione professionale di chi si iscrive. I corsi attivi sono 72, di cui 41
per le lauree triennali e 31 lauree magistrali. Ogni anno vi sono mediamente 5
mila matricole. Gli studi e le lezioni sono on line, mentre gli esami avvengono
in presenza di una commissione esaminatrice. Il fenomeno delle università
telematiche potrebbe crescere ulteriormente, per dare un contributo alla guerra
delle competenze, che vede il nostro paese ai livelli più bassi, sia per numero
complessivo di laureati (26% contro la media europea del 40%) sia per numero di
adulti coinvolti in attività di formazione continua (poco più del 7% contro una
media europea dell'11%). Sul fronte normativo le università telematiche
attendono da una decina d'anni l'emanazione di un decreto attuativo che ne
consolidi il regolamento, un Dpcm anziché una serie di decreti a vista. Il
valore della laurea è lo stesso di quello delle altre università; i requisiti
di accreditamento sono addirittura più rigidi, per la presenza di piattaforme
tecnologiche; la partecipazione di docenti di ruolo è raddoppiata negli ultimi
quattro anni (da 106 a 199), mentre la quota di ricercatori e straordinari a
tempo determinato è triplicata (da 188 a 585). (Fonte: W. P., La Stampa
25-07-16)
L'UTILIZZO DEGLI
E-BOOK PER LO STUDIO SCIENTIFICO NELLE UNIVERSITÀ
Un report sull'utilizzo degli e-book per lo studio
scientifico nelle università è stato pubblicato a metà giugno 2016 da Athena
Università, la banca dati dei testi adottati negli atenei italiani. I dati,
riferiti all'anno accademico 2015/2016 evidenziano come le adozioni di libri di
testo in formato digitale abbiano sfiorato il 50% nell'area umanistica e
linguistica (35,8% solo a Lettere e Filosofia). L'area di Ingegneria e delle Scienze
si è fermata al 30%, mentre il settore giuridico-economico non ha superato il
25%. Il primo editore italiano di libri di testo in ebook è Laterza (157
titoli), seguito da Mondadori (128) e Carocci (78). L'Alma Mater Studiorum di
Bologna è l'università che adotta il maggior numero di testi in formato
digitale (13%), seguita dalla Statale di Milano e dall'Università di Padova.
Gli studi scientifici, per il momento, non sono a favore dell'apprendimento
digitale. In base a un progetto di ricerca sviluppato nel 2014 da Anne Mangen
(University of Stavanger) e Jean Luc Velay (Aix-Marseille Université),
l'assimilazione di un testo letto su ebook sarebbe decisamente più bassa
rispetto alla lettura su carta, perché il libro tradizionale permetterebbe al
lettore di toccare con mano l'avanzamento nella lettura e questo potrebbe
contribuire al consolidamento di ciò che ha letto (Cognitive implications of
new media, in "Johns Hopkins Guide to Digital Media", pp. 72-77). (Fonte: D. Gentilozzi,
rivistauniversitas 24-06-16)
FINANZIAMENTI
FONDO DI
FINANZIAMENTO ORDINARIO (FFO) 2016.
AUMENTANO LE COMPONENTI PREMIALI
Il decreto FFO 2016 prosegue il percorso tracciato da
tempo dalla normativa sui finanziamenti universitari: di anno in anno il
meccanismo tradizionale, in cui l’assegnazione di fondi è basata su criteri di
spesa storica (si replica la somma attribuita in precedenza), cede il passo
sempre più a criteri premiali, destinati a incidere su quote rilevantissime del
fondo e, in prospettiva, a diventare la regola principe per ogni assegnazione.
L’importo complessivo è praticamente invariato rispetto
al 2015, ammontando a 6 miliardi 919 milioni. Si conferma invece l’aumento
delle componenti premiali del fondo. Quest’anno la voce principale della quota
base (la parte tradizionalmente “non meritocratica”) scende a 4 miliardi 579
milioni, con un decremento di oltre 227 milioni rispetto al 2015 (quasi 5 punti
percentuali). Di questa somma, sale al 28% (+3%) la parte assegnata in base al
“costo standard per studente in corso”, il criterio adottato a partire dal 2014
che considera i costi sostenuti da ogni ateneo in proporzione all’offerta
formativa e agli studenti in regola con la durata del proprio corso. Un
parametro destinato a incidere sempre di più nell’attribuzione della quota
base. Ritocco all’ingiù, invece, per la somma destinata alle istituzioni a
ordinamento speciale (gli atenei specializzati in attività di ricerca) e alle
università per stranieri: si passa dai 102,5 milioni del 2015 agli attuali
99,8.
In aumento consistente la quota premiale: 1 miliardo 605
milioni, pari a oltre il 23% del totale (l’anno scorso era il 20%, pari a 1
miliardo 385 milioni). Stavolta però, come si accennava, il decreto non entra
nel merito della suddivisione del “premio”, che verrà definita con un atto
successivo. Viene comunque stabilito che ogni università non potrà vedersi
ridotto il finanziamento complessivo (quota base più premiale) di oltre il
2,25% rispetto al 2015. Tra le altre voci importanti, i fondi per il
reclutamento: per la chiamata di professori di seconda fascia sono stanziati
171 milioni 748mila euro; per i ricercatori di tipo “b” il totale degli
stanziamenti è di 52 milioni. Il fondo per le borse post lauream sale a 135
milioni 435mila euro: di questi, un massimo del 10% potrà essere destinato ad
assegni di ricerca. Anche in questo caso l’assegnazione è di tipo premiale. Il
40% del fondo verrà distribuito tra gli atenei in base alla qualità della ricerca
dei docenti del corso di dottorato, secondo i criteri della Vqr. Per l’utilizzo
dei fondi per le borse post lauream il decreto precisa che almeno il 60%
dell’importo dovrà essere utilizzato da ogni ateneo in programmi per dottorati
innovativi, quelli che nell’ambito del Programma nazionale della ricerca
2015/2017 sono destinati a sviluppare la collaborazione con aziende e partner
esterni alle università. 59 milioni 200mila euro, infine, sono previsti per il
sostegno agli studenti (tutorato, attività integrative, laboratori, attività
scientifiche) e per favorirne la mobilità (i dottorati innovativi
internazionali assorbiranno almeno il 10% di questa voce). (Fonte: M. Periti,
IlBo 18-07-16)
FINANZIAMENTI
PUBBLICI ALL’UNIVERSITÀ RIDOTTI DEL 22,5% DURANTE LA CRISI
Dal 2004 ci sono circa 66mila matricole in meno. Questo
significa che, in media, un diplomato su due sceglie di non proseguire gli
studi. Nel Sud meno del 20% dei giovani consegue il diploma di laurea ed è
proprio qui che si registra maggiormente il crollo delle iscrizioni
all’università. Tra l’altro, i giovani che decidono di continuare a studiare
sempre più spesso scelgono di farlo nelle università del Centro e del Nord. La
verità è che l’istruzione è stata probabilmente uno dei primi ambiti a risentire
in modo evidente della crisi economica globale esplosa dal 2008. Da lì,
infatti, tutte le personalità note nel mondo dell’economia, persino i premi
Nobel, anno dopo anno hanno indicato come possibile via per la ripresa quella
dell’investimento nell’istruzione. E se più o meno tutti i paesi d’Europa hanno
cercato di mettere in pratica il suggerimento, l’Italia è riuscita ad andare
anche questa volta, inspiegabilmente, contro tendenza: siamo gli unici in tutta
Europa ad aver tagliato le risorse durante la crisi, riducendo del 22,5% il
finanziamento pubblico alle università. (G. Mirimich, Tecnica della Scuola
20-06-16)
PARERE DEL CUN
SULL’FFO 2016
Il Consiglio Universitario Nazionale sullo «Schema di
decreto recante i criteri per il riparto del Fondo di finanziamento ordinario
delle Università per l’anno 2016» ha espresso in data 25-05-16 parere
complessivamente favorevole, a condizione che si attenui l’effetto
dell’applicazione del modello del costo standard, che siano minimizzati i
margini di variazione nelle assegnazioni del FFO ai singoli Atenei e che sia
stabilita una data certa per la ripartizione della quota premiale e
perequativa.
FINANZIAMENTI
PUBBLICI ALL’ISTRUZIONE SUPERIORE NELLA UE. L’ITALIA IN CODA CON LO 0,3% DEL PIL
L'analisi Eurostat sulla spesa governativa divisa per
funzioni secondo la Classification of the Functions of Government (COFOG)
evidenzia mediamente una spesa europea complessiva per l'istruzione pari al
4,9% del PIL (invariata rispetto al 5% del 2006), di cui l'1,5% destinato alla
scuola dell'infanzia e alla primaria, l'1,9% alla scuola secondaria e lo 0,8%
all'istruzione superiore. Nel complesso un bilancio praticamente rigido, in
gran parte destinato alle spese fisse e obbligatorie, atteso che mediamente il
60% è destinato alla retribuzione dello staff e dei docenti, il 5% alle
prestazioni sociali, il 5% ai trasferimenti alle istituzioni private e il 7%
alle strutture edilizie.
I Paesi più virtuosi sono Islanda (7,7% del PIL),
Danimarca (7,2%), Finlandia (6,4%) e Belgio (6,3%), che proprio nei maggiori
finanziamenti alla formazione hanno visto un tunnel di uscita dalle difficoltà
contingenti. All'opposto le percentuali più basse sono in Italia (4,1%), che
precede solo Romania, Spagna, Bulgaria e Slovacchia (3% PIL) e totalizza la
peggiore posizione riferita all'incidenza percentuale della spesa per
l'istruzione sull'intero bilancio (7,9% rispetto a oltre il 15% in Lettonia,
Lituania e Islanda). Se l'Italia risulta in linea con la media nell'istruzione
primaria, è in coda per la spesa pubblica per l'istruzione superiore (0,3% del PIL),
preceduta da Lussemburgo (0,4%), Regno Unito (0,5%) e Romania (0,6%) in un’ideale
classifica capeggiata da Finlandia (1,9%), Danimarca (1,7%) e Islanda (1,6%).
Non va meglio per i finanziamenti alla cultura dove l'Italia si pone al
penultimo posto (0,7% del PIL rispetto all’1% media UE), precedendo solo la
Grecia. (Fonte: L. Moscarelli, rivistauniversitas 14-06-16)
I RETTORI: PIÙ
FONDI, MENO BUROCRAZIA, LAUREE PROFESSIONALIZZANTI
A lanciare il grido d’allarme sul decadimento del sistema
universitario è il presidente della CRUI (Conferenza dei Rettori), Gaetano
Manfredi. Lo fa da Udine che, il 2 luglio, accoglie 50 rettori provenienti da
altrettanti atenei italiani. Da Udine, la città della conoscenza, i rettori
italiani dettano la linea per la prossima riforma universitaria che, come
sottolinea il presidente della CRUI, non potrà essere fatta a costo zero. Il
Governo deve investire sull’università, il vero motore di sviluppo del Paese.
«In un momento in cui il ruolo degli atenei è diventato cruciale per affrontare
il post crisi, è indispensabile diffondere le competenze tra i giovani».
Partirà da questo dato di fatto la riflessione dei 50 rettori italiani che da
tempo discutono con il sistema produttivo per capire in quale direzione devono
andare. «Critichiamo la troppa burocrazia - anticipa Manfredi - e chiediamo più
fondi per il diritto allo studio e le lauree professionalizzanti che devono
accompagnare i giovani verso una riconversione rapida». Ma non è ancora tutto
perché in questo momento il tema più urgente da affrontare è quello della
sanità. «La sanità universitaria - ricorda Manfredi - è una punta di diamante e
va opportunamente sostenuta sia sul fronte delle terapie avanzate, sia su
quello della conoscenza». È un patrimonio che rischiamo di perdere. Il motivo è
presto detto: «Se chiediamo ai nostri docenti di fare la stessa attività degli
ospedalieri saranno ospedalieri. Questo non significa che devono astenersi
dall’assistenza, ma i cittadini devono sapere che, in questo caso, la qualità
del servizio è destinata a calare. La ricerca in sanità è ottima, ma corriamo
il rischio di perderla». (Fonte: G. Pellizzari, Messaggero Veneto 02-07-16)
IL GOVERNO
SCONFESSA UN IMPEGNO DEL PD APPROVATO DAL PARLAMENTO SU AGGIORNAMENTO COSTO
STANDARD DEL FFO
Soltanto lo scorso 29 giugno la Camera ha approvato a
schiacciante maggioranza la mozione del Pd con la quale si impegnava il governo
“a valutare la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard
dello studente”. Con il decreto del 6 luglio sui Criteri di ripartizione del
Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per l’anno 2016, invece, non solo non è
stata prevista alcuna ridefinizione del computo del costo standard per la
formazione dello studente in corso, allo scopo di fornire un sostegno agli
atenei in funzione delle diverse esigenze territoriali, ma, addirittura, è
stato stabilito un aumento del peso nel riparto (3%), pari al 28% della quota
base di 4.725.milioni di euro. (Fonte 10-08-16)
LAUREE.
DIPLOMI. FORMAZIONE POST LAUREA. OCCUPAZIONE
IL VALORE DELLE
LAUREE IN BASE A UNA ELABORAZIONE DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI MILANO SUI DATI
EXCELSIOR
Una laurea, anche se breve, resta una laurea e nella
caccia a quella che poi sarà la prima occupazione della vita, conta. La
tendenza è confermata nei dati nelle previsioni occupazionali 2015.
Complessivamente, infatti, oltre un quarto (28%) delle assunzioni previste dalle
imprese milanesi riguardano laureati, oltre 15mila su 54mila. Non poco. Anche
se in un caso su sette non è stato facile trovare la figura professionale
richiesta con difficoltà a reperire laureati in Statistica (difficili due
assunzioni su tre) seguiti dagli ingegneri elettronici e dell'informazione
(33,5%) e i laureati in Medicina e Odontoiatria (28%). C'è tutto un fiorire di
corsi e di specializzazioni ma le lauree che danno ancora maggior sicurezza di
trovar lavoro restano ancora quelle «classiche» come Economia e commercio ed
Ingegneria che a Milano sono le più richieste. Economia «vale» nel 35% dei
casi, Ingegneria elettronica e dell'informazione nel 14% dei casi, Ingegneria
industriale (8%) e altri indirizzi di ingegneria (6%), lauree sanitarie e
paramediche (6%). La situazione emerge da un'elaborazione della Camera di
commercio di Milano sui dati Excelsior - sistema informativo permanente sull’occupazione
e la formazione realizzato dalle Camere di Commercio, con il coordinamento di
Unioncamere nazionale e il sostegno del Ministero del Lavoro e dell'Unione
Europea - e relativi alle previsioni di assunzioni delle imprese e Milano e
provincia nel 2015. (Fonte: A. Rizzo, Il Giornale Milano 10-07-16)
SUL RIORDINO
DEGLI STUDI GIURIDICI
Sul Giornale di Diritto
Amministrativo 2/2016 è apparso lo scritto di Carla Barbati “Il riordino degli studi giuridici” di cui si riproduce il seguente passo: “In Italia si
dibatte della configurazione assegnata dal DM 25 novembre 2005 alla classe di
laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza e della scelta, in esso
accolta, di delineare un percorso atto ad assicurare conoscenze quanto più
omogenee in tutti i corsi. Un esame limitato dal confronto con un disegno
caratterizzato da una rigidità che non trova corrispondenze in altre classi di
laurea. Soprattutto, condizionato dal presupposto sul quale si basa, quello di
una formazione giuridica risultante dalla
somma delle conoscenze espresse dalle diverse branche del diritto, identificate
con ventuno settori scientifico-disciplinari. Le riflessioni che si sviluppano
sono in tal modo assorbite da considerazioni orientate, quasi a farne il
proprio centro, dalla fungibilità o per converso dall’indispensabilità dei
saperi in essi racchiusi, declinata anche nei termini quantitativi del numero
di crediti normativamente garantiti a ciascun SSD. Sullo sfondo resta il
disegno d’insieme dell’istruzione superiore in area giuridica, entro il quale è
in cerca di nuova definizione anche il terzo ciclo della formazione, consegnato
a scuole di specializzazione il cui debole rendimento è uno dei tanti
indicatori di un rapporto con i contesti che merita di essere ripensato”.
(Fonte: Roars 26-06-16)
L’ACCESSO AI
CORSI DI MEDICINA
Dal MIUR fanno sapere che in questi due anni sono stati
aperti tavoli con le università per discutere di possibili modifiche al modello
di accesso. Dichiarazioni che suonano come una mezza ritirata rispetto
all'ipotesi ventilata più volte dalla ministra Giannini di introdurre anche in
Italia un “sistema alla francese” che prevede iI libero accesso alla facoltà di
medicina per il primo anno, ma con un esame di sbarramento al secondo. Un tema
che ha sollevato non pochi dubbi, ad esempio tra i rettori preoccupati dagli
effetti di un'iscrizione di massa a Medicina. Lo scorso anno gli aspiranti
camici bianchi che hanno affrontato II test sono stati oltre 60mila per circa
9.500 posti. Cosa accadrebbe se potessero immatricolarsi tutti? Spiega Eugenio
Gaudio, rettore della Sapienza: "Per realizzare il c.d. sistema francese
(peraltro molto autorevolmente criticato in patria. Nota di PSM) ci vuole però
un investimento importante. Avremmo, infatti, bisogno di un numero sette volte
superiore a quello attuale sul fronte di professori e aule". Su un punto
sono comunque tutti d'accordo: la necessità di migliorare l'attuale modalità di
accesso. La Conferenza dei presidi di Medicina propone, ad esempio, di
introdurre un test a risposta multipla che contempli anche l'aspetto
psicoattitudinale del candidato, insieme alla valutazione del curriculum di
scuola superiore. (Fonte: S. Di Palma, Repubblica A&F 11-07-16)
PROGETTO LAUREE
PROFESSIONALIZZANTI
Un asso nella manica degli atenei italiani - per superare
i ritardi del nostro Paese nel collegamento tra formazione e mondo del lavoro -
è la messa a punto di percorsi di primo livello più professionalizzanti, dove
finora solo per quelli di area sanitaria ci sono buoni risultati sul mercato
del lavoro (il 62% ha un'occupazione a un anno dal titolo triennale, contro una
media generale del 26,9/%). Il cantiere è aperto sul «Progetto lauree
professionalizzanti» ideato dalla Conferenza dei rettori, che dal 2017 dovrebbe
vedere il debutto di corsi capaci di rispondere a quell’esigenza di tecnici che
richiede il mercato e che spesso non si trovano a causa di un sistema formativo
non adeguato. Secondo il Cedefop, istituto di ricerca economica della
Commissione Ue, si tratta di due milioni di opportunità occupazionali per
tecnici intermedi nei prossimi 10 anni. Un'iniziativa che potrebbe curare anche
un altro grande male di cui soffre il mercato del lavoro italiano, quello della
sovraistruzione: il plotone di "overeducated" e
"mismatched" - i troppo istruiti o con un curriculum non
corrispondente al lavoro svolto - negli anni della crisi si è allargato sempre
più con 300mila laureati tra 25 e 34 anni che hanno un titolo di studio più
elevato rispetto a quello richiesto per svolgere il lavoro attuale (in crescita
di circa il 4% rispetto al 2008). (Fonte: F.
Barbieri, IlSole24Ore 20-06-16)
LANCIARE LAUREE
PROFESSIONALIZZANTI
I dati di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei
laureati ci dicono che il 55% dei laureati triennali prosegue con la laurea
magistrale, ritenuta essenziale per avere maggiori possibilità occupazionali e,
a conferma dell'irrisolto e fondamentale problema del diritto allo studio, non
va sottaciuto il fatto che a proseguire col biennio sono i giovani che
provengono da ambienti familiari avvantaggiati. Dei restanti laureati di primo
livello (45%), a un anno dalla laurea sono occupati il 67%: di questi, il 42% ha una stabilità contrattuale, il 50%
utilizza le competenze specifiche e coerenti con il titolo di studio e ha un
guadagno netto di 1.079 euro mensili. Che il Paese non abbia creato adeguatamente
lavoro, è evidente; che le lauree di primo livello non abbiano pienamente
raggiunto lo scopo è altrettanto evidente: e qui, l'ambiguità della legge si è
coniugata con alcune cattive pratiche accademiche. Allarma poi il confronto con
gli altri Paesi europei, Germania in testa, dove è vistoso, oltre che vincente,
il modello delle Fachhocschulen: 880mila iscritti a fronte di 1,6 milioni di
studenti delle università; in Italia, invece, contiamo 1,7 milioni di
universitari a fronte di soli 4.500 studenti degli Istituti tecnici superiori (Its).
E’ evidente che scontiamo un duplice deficit e ritardo: il mancato collegamento
tra formazione e mondo del lavoro, e la carenza di titoli di primo livello
davvero professionalizzanti. Tra questi, infatti, si vede l'affermazione decisa
ma solitaria delle professioni sanitarie, seguite, ma con modeste percentuali
di impiego, dalle lauree in scienze e tecnologie informatiche, scienze del
turismo, disegno industriale, giuristi di impresa. Benvenuta e meritoria,
pertanto, l'iniziativa «Progetto Lauree professionalizzanti» messa recentemente
in campo dalla Conferenza dei rettori che prevede - in linea con gli esempi e i
modelli europei, soprattutto tedesco e francese - lauree professionalizzanti
che contemplino: «canali paralleli o differenziati rispetto al canale
accademico tradizionale; 2. un rapporto privilegiato con il mondo del lavoro e
degli enti territoriali; 3. l'apprendimento articolato tra aula, laboratorio e
pratica». (Fonte: I. Dionigi, IlSole24Ore 04-07-16)
LAUREA
PROFESSIONALIZZANTE PER PERITI INDUSTRIALI
La sperimentazione di una laurea triennale
professionalizzante per periti industriali inizierà nel 2017 con alcuni
progetti pilota, solo in alcuni atenei e per poche classi di laurea (a partire
dalla L9 - ingegneria industriale). L’obiettivo è creare un canale parallelo
alla laurea triennale attuale che possa formare operativamente gli iscritti per
la futura professione. La laurea professionalizzante per perito industriale
mira anche a creare nuove opportunità di lavoro per i professionisti tecnici
dei prossimi anni. Secondo un dossier elaborato dal Centro studi Opificium-Cnpi
nel prossimo decennio ci saranno più di 2 milioni di opportunità occupazionali
per profili tecnici di vario tipo, ma la cui quota più significativa sarà nel
campo dell’ingegneria. Le lauree triennali in ingegneria però, spiega il
Dossier Opificium-Cnpi, sono inadeguate a soddisfare la domanda. A più di 15
anni dalla sua introduzione, continuano, infatti, ad essere identificate come
il primo step del percorso quinquennale, venendo meno all’obiettivo iniziale di
creare un percorso universitario professionalizzante. E sempre più ingegneri
con laurea triennale decidono di proseguire gli studi: erano l'80,8% nel 2004 e
sono l’87,5% nel 2014. (Fonte 06-07-16)
ASCESA DEL DOUBLE
DEGREE
Dopo il calo di matricole, la penuria di risorse,
l'eccessivo proliferare di corsi troppo di moda ma con poche chance
occupazionali, le università italiane provano a invertire la rotta mettendo in
campo per il prossimo anno accademico oltre 4.600 corsi, tra primo livello (più
di 2.250), secondo livello (circa 2.050) e ciclo unico (318). Nel ventaglio di
proposte, che in valore assoluto non si discostano di molto dagli anni
accademici precedenti, a spiccare è l'ascesa dei double degree, percorsi di
studio che permettono di laurearsi in Italia, ma anche in un ateneo straniero.
Qualche esempio? Lingue e civiltà orientali a Roma e a Pechino o Banking and
finance a Milano e negli States: il tutto con un unico corso di studi. La possibilità
viene offerta da 56 atenei (oltre la metà del totale), il 25% in più rispetto a
cinque anni fa. E i corsi di questo genere sono 549, aumentati di oltre l'80%
rispetto al 2012/13. I vantaggi ripagano
l'investimento fatto: le esperienze di studio all'estero svolte durante gli
studi sono carte vincenti per entrare nel mondo del lavoro. Secondo AlmaLaurea,
a un anno dal titolo le possibilità di trovare lavoro sono più alte del 10%
rispetto ai coetanei rimasti a studiare in patria, grazie a diversi jolly:
potenziamento delle lingue straniere, varietà di studi, network di contatti
costruito durante i soggiorni internazionali. Possibilità che salgono
ulteriormente se viene svolto uno stage curricolare (+14% di chance in più).
(Fonte: F. Barbieri, IlSole24Ore 20-06-16)
PERCORSI DI STUDIO PIÙ PROFESSIONALIZZANTI?
Sono in molti a chiedere a
scuola e università percorsi di studio più professionalizzanti. Ma il
progressivo accorciamento del ciclo di vita di tecnologie e conoscenza rende
presto obsolete competenze così costruite. La questione di fondo è che con il
progressivo accorciamento del ciclo di vita delle tecnologie e della
conoscenza, il tasso di obsolescenza delle competenze professionalizzanti è
notevolmente aumentato e crescerà in futuro.
Contenuti professionalizzanti nell'università? Scusate ma
non è già così? Uno specializzato in medicina non può fare il medico? Un
ingegnere informatico o delle tlc non può lavorare in una società che si occupa
di tlc o software? Non hanno le competenze adeguate, non sono in grado di
apprendere in poco tempo ciò di cui l'azienda in cui lavorano detiene il
know-how, magari in forma esclusiva? Forse bisognerebbe specificare di cosa si
sta parlando. La triennalizzazione doveva servire a questa presunta necessità
di professionalizzazione per i bisogni delle imprese. I risultati sono sotto
gli occhi di tutti: un fallimento. Qualcuno ricorda che la percentuale di
manager italiani con la terza media è superiore a quella dei laureati? Oppure
che il 20% delle imprese produce l'80% del fatturato, o meglio che lo 0,3%
delle imprese quasi il 30%? Forse le nano imprese di questo paese hanno deciso
di competere sui prodotti a basso VA, quindi con lavoro unskilled, e dei
laureati non hanno bisogno. Che sia una scelta suicida e senza futuro è chiaro,
meno chiaro è a cosa dovrebbe adeguarsi l'università. (Fonte: F. Ferrante e
commento di “marcello”, lavoce.info 24-06-16)
RAPPORTO ISTAT.
CONFERMATO IL RUOLO DELL'ISTRUZIONE SUPERIORE QUALE FATTORE PROTETTIVO DALLA
CRISI OCCUPAZIONALE
Il 24° Rapporto ISTAT 2016 analizza e misura le
trasformazioni sociali del Paese, offrendone una chiave di lettura attraverso
le cinque generazioni che si sono succedute dal 1926 ai giorni nostri.
L'istruzione e la partecipazione al mercato del lavoro sono state
caratterizzate negli anni dai profondi mutamenti seguiti alla maggiore
scolarizzazione e all'accrescimento delle competenze, facendo in modo che le
generazioni più giovani fossero sistematicamente più istruite di quelle più
anziane. Il vantaggio occupazionale, conquistato dalle generazioni più anziane
con l'investimento in istruzione, non coinvolge quelle più giovani. La
generazione dei millennials, entrata nella vita adulta a partire dal 2000 in
concomitanza con il periodo economicamente più difficile, è quella che sta
pagando più di ogni altra le conseguenze più dolorose: nel 2015 il 70,1% dei
giovani in età 25/29 anni e il 54,7% delle donne nella stessa fascia di età
vive ancora in famiglia e, nonostante l'aumento diffuso della scolarizzazione e
l'allungamento dei tempi formativi, stenta a trovare un'occupazione, al punto
che cresce la quota (42,6%) di coloro che sono decisi a trasferirsi all'estero.
Per il 2015 l'ISTAT ha evidenziato un'attenuazione della forte caduta
dell'occupazione giovanile, mentre viene confermato ancora una volta il ruolo
della formazione - in particolare dell'istruzione superiore - quale fattore
protettivo dalla crisi occupazionale (calo di occupabilità del 2,2% per i laureati tra il 2008 e il 2015, rispetto al
3,6% che ha interessato i possessori della licenza media). A tre anni dal
conseguimento del titolo, il 72,0% dei laureati è occupato e oltre la metà
(53,2%) ha trovato un'occupazione caratterizzata da un contratto standard,
altamente qualificata e di durata superiore agli otto mesi. L'ISTAT non manca
di individuare rischi per il futuro. Un esercizio statistico riferito al
decennio 2015/2025 evidenzia come, in assenza di idonei provvedimenti, le
dinamiche demografiche siano destinate ad un miglioramento piuttosto modesto
del grado di utilizzo dell'offerta di lavoro. (Fonte: M. L. Marino,
rivistauniversitas 14-06-16)
QUANTO VALE IL
TITOLO DI STUDIO UNIVERSITARIO NEL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO
JobValue, la società di consulenza manageriale
specializzata nei sistemi di risorse umane, ha pubblicato il rapporto
"Quanto vale il titolo di studio universitario nel mercato del lavoro
italiano", nel settore di analisi JobPricing sul mercato delle
retribuzioni italiane. La scelta tra università statale o non statale favorisce
quest'ultima tipologia. Aver frequentato un'università non statale fa ottenere
un ritorno economico superiore del 17% rispetto a chi ha frequentato
un'università statale e del 4% rispetto a chi ha studiato in un politecnico.
Aver frequentato un'università del Nord significa guadagnare mediamente il 13%
in più rispetto a chi ha studiato al Sud. Milano e Roma si contendono le
università da frequentare per avere in seguito una retribuzione media di alto
livello tra i 25 e i 34 anni. In ordine, i primi cinque posti sono occupati da:
Università Bocconi, Politecnico di Milano, Università Cattolica, LUISS - Guido
Carli e Università "Tor Vergata". Le università non statali si
confermano una scelta "vincente" non solo per la retribuzione di
partenza dei laureati, ma anche per le opportunità di carriera in termini di
inquadramento contrattuale che si può raggiungere: Bocconi, Luiss e Cattolica
sono anche le tre università (tutte non statali) in cui la retribuzione annua
lorda cresce in modo maggiore nella prima fase della carriera, mentre per
Siena, Milano Statale e Ca' Foscari di Venezia l'aumento è significativo nella
seconda parte della carriera (35-44 anni). (Fonte: D. Gentilozzi,
rivistauniversitas 20-06-16)
CONFERENZA
ARABO-EUROPEA SULL'ISTRUZIONE SUPERIORE (AECHE)
Nell'Università di Barcellona si è svolta dal 25 al 27
maggio 2016 la terza Conferenza arabo-europea sull'istruzione superiore (AECHE)
sul tema "Opportunità e sfide per le università arabe ed europee nello
svolgimento della propria missione sociale". Lanciata nel 2013 quale
piattaforma per la cooperazione e lo scambio dell'istruzione superiore
arabo-europea, AECHE ha riunito più di 200 rettori e altri rappresentanti
accademici provenienti principalmente dai paesi arabi e dall'Europa.
Uno di punti focali della conferenza è stato la risposta
delle università ai rifugiati: la Technical University di Berlino, ad esempio,
sostiene l'importanza di inserirli negli atenei in tempi brevi, a patto che ci
sia il sostegno dei finanziamenti pubblici. La NGO Kiron e l'Università di
Kassel collaborano per consentire agli studenti l'iscrizione a corsi online
gratuiti, mentre la Central European University di Budapest sostiene i giovani
nel conseguimento di competenze linguistiche e trasversali necessarie per
l'occupazione e l'istruzione. Gli atenei possono avere anche un ruolo
fondamentale nell'agevolarne l'inserimento e l'integrazione con gli altri
studenti attraverso la collaborazione reciproca, come evidenziato
dall'Università di Anversa e la St Joseph University in Libano, e mediante il
coordinamento sia a livello nazionale che locale, secondo lo European
Municipalities Network di Cipro. Nel corso della Conferenza sono state
presentate anche le misure in preparazione e quelle messe in campo dall'Unione
Europea, quali i meccanismi di finanziamento per sviluppare partnership e reti
di collaborazione nella ricerca. È previsto a breve il lancio di un bando di
gara da 11,5 milioni di euro su questioni di stretta attualità come i fattori
chiave della migrazione, le skill per i rifugiati, le politiche e le misure
d'integrazione. (Fonte: E. Cersosimo, rivistauniversitas 23-06-16)
CORSI IN LINGUA
INGLESE. IL PRORETTORE ALLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELL’UNIBO: NON BASTA
TRADURRE I CORSI PER RENDERLI INTERNAZIONALI
Quando si parla degli handicap nell'attrattività delle
nostre università, gli indiziati più comuni sono due: la scarsità di programmi
in lingua inglese e un costo medio delle rette più elevato di quelli fissati
nel resto d'Europa, dalla Francia alla Scandinavia. Nel dettaglio? Il portale
Universitaly stima un totale di 245 corsi universitari in lingua inglese in 52
atenei, con il predominio degli atenei che si rivolgono di più a matricole ed
exchange students internazionali: più di 20 solo al Politecnico di Milano, 18
all'Università degli studi di Bologna e 8 alla Bocconi, senza contare l'offerta
di master e corsi post lauream. Numeri in ascesa, ma ancora indietro rispetto
ai 700 programmi in lingua inglese della sola (e più piccola) Danimarca, i
1.262 della Francia e i 1.801 della Germania. Anche più sfavorevole, in
proporzione, il confronto sui costi. La media delle tasse universitarie
previste in Italia viaggia poco sopra i 1000 euro. Una cifra imparagonabile
alle rette stellari delle università britanniche, ma comunque ben al di sopra
della cifra tonda richiesta nei Paesi già citati sopra: zero. In Danimarca,
come anche in Svezia e Finlandia, gli studenti Ue possono iscriversi
gratuitamente ai corsi di laurea triennali (bachelor) e magistrali (master). In
Francia le tasse per un corso triennale in un ateneo pubblico viaggiano su una
media di 190 euro l'anno, in Germania sono state abolite le rette per le lauree
di primo livello e – se si è frequentato il triennio nella stessa università –
anche per i master. Alessandra Scagliarini, prorettore alle Relazioni
internazionali dell'Università di Bologna: non basta “tradurre” i corsi, serve
una regia. Insomma: basterebbe aumentare l'offerta di corsi in inglese e
diminuire i costi di ingresso, sulla scia di quanto è stato fatto in Germania?
Alessandra Scagliarini invita a non cadere nella semplificazione di un rapporto
diretto tra corsi in inglese ed internazionalità. «Non basta tradurre un corso
in lingua inglese per renderlo “internazionale” ed ugualmente efficace. Il
metodo d'insegnamento anglosassone è differente dal nostro, i docenti
necessitano quindi di un fattivo supporto e le strutture di risorse dedicate
all'internazionalizzazione dei corsi – dice Scagliarini -. Probabilmente non tutti gli atenei sono in
grado di mettere in campo queste risorse in periodo di importanti tagli al
fondo di funzionamento e al turn over». (Fonte: A. Magnani, IlSole24Ore
10-07-16)
BINI SMAGHI: IL
MECCANISMO ISTRUZIONE-FORMAZIONE È DEFICITARIO SU TUTTA LA LINEA
Analisi impietosa quella di Lorenzo Bini Smaghi,
economista e banchiere, oggi presidente della Societé Generale a Parigi: «Una
gran parte del Paese non si è modernizzata, non ha saputo cogliere le sfide
della globalizzazione, non è riuscita a premiare la meritocrazia, è tuttora
appesantita da una diffusa corruzione». «Dal lato dell'offerta potenziale, come
si dice nel gergo tecnico, l'Italia presenta tassi di crescita fra i più bassi
dell'area euro». Ma cos'è che si è guastato in modo cosi apparentemente
irreparabile? «C'e innanzitutto un problema di produttività. Che non cresce da
anni e non da segni di risollevarsi, per molti motivi: il sistema produttivo è
frammentato, diviso in miriadi di piccole imprese che difficilmente reggono i
ritmi internazionali, il meccanismo istruzione-formazione è deficitario su
tutta la linea, dal numero delle lauree scientifiche alla diffusione di
Internet, i contratti di lavoro non danno importanza al fattore produttività».
(Fonte: La Repubblica 13-07-16)
RIMETTERE AL
CENTRO DEI PERCORSI UNIVERSITARI LA STORIA DEL PROCESSO D’INTEGRAZIONE EUROPEA
Una spia della debolezza della storia dell’integrazione europea nella realtà accademica italiana è
dedotta dalle difficoltà di penetrazione e dalla scarsa visibilità di cui
attualmente gode nelle due principali associazioni “di categoria” degli
storici, quella dei contemporaneisti (SISSCO) e degli internazionalisti (SISI)
- in termini di interventi a convegni, panel, tesi di dottorato – nonostante la
(per fortuna) progressiva consapevolezza della rilevanza svolta dal processo
d’integrazione europea nel determinare l’evoluzione e le trasformazioni interne
di uno Stato membro. Queste difficoltà si traducono, di fatto, in una sorta di
disincentivo al proseguimento degli studi nell’ambito della storia
dell’integrazione europea. I dottorati in storia sono sempre più spesso
accorpati in tematiche diverse (si potrebbe dire, con una battuta, “dagli
etruschi all’Isis”) o per atenei diversi: solo lo “storico” dottorato di Pavia
resiste, ma non più come corso autonomo, bensì come curriculum interno a un
percorso molto più ampio. Ne consegue che anche i giovani ricercatori che si
occupano di storia dell’integrazione europea difficilmente riescano a
proseguire nella carriera accademica o, non di rado, finiscano per “occuparsi
di altro” perché più (cinicamente) utile in termini di riconoscimento del
lavoro svolto per i concorsi e per le abilitazioni scientifiche nazionali.
La Brexit potrebbe rappresentare un’opportunità per
rimettere al centro dei percorsi universitari legati alla storia e alle scienze
politiche la storia del processo d’integrazione europea. A trarre beneficio da
questo rinnovato approccio sarebbe non solo l’Università italiana, ma anche
diverse realtà professionali - come quelle legate al giornalismo e ai nuovi
media, alla scuola, agli enti locali - che si confrontano quotidianamente con
l’Ue e le sue crisi, e che potrebbero trovare nelle Università partner preziosi
per strutturare al meglio una formazione professionale di alto profilo,
interdisciplinare, reciprocamente arricchente. (M. Piermattei, mentepolitica 16-07-2016)
BIOINGEGNERIA. VERSO IL RICONOSCIMENTO SCIENTIFICO E
GIURIDICO IN ITALIA E IN EUROPA
Le università italiane in cui è attivo il corso di laurea
in Bioingegneria sono 11 - Politecnici di Torino, di Milano e delle Marche,
Sapienza e Campus Bio-Medico a Roma, Università di Genova, di Padova, di Pisa,
di Bologna - sede di Cesena, di Cagliari e di Napoli Federico II. All'estero,
le top universities in questo campo sono Harvard, Sheffield e il Politecnico
federale di Zurigo.
La bioingegneria rientra nel campo della biomedical
technology ed è una disciplina a vocazione multidisciplinare e
tecno-sociosanitaria: dall'integrazione di ingegneria, scienze biomediche e
pratica clinica sviluppa nuove conoscenze e tecniche, procedimenti avanzati di
health care, dispositivi medici innovativi, telemedicina, mezzi e metodi
sanitari più efficaci. Poiché l'Italia non riconosce la figura dell'ingegnere
biomedico e clinico, è nato recentemente il Comitato promotore per il
riconoscimento giuridico delle attività accademiche, scientifiche e delle
professioni di ingegnere biomedico e clinico. (Fonte: A. Soave,
rivistauniversitas 07-07-16)
LA DOMANDA DI LAUREATI NELLE IMPRESE
Secondo uno
studio della società di consulenza McKinsey il 40% della disoccupazione
giovanile non dipende dal ciclo economico ma da scelte di formazione sbagliate.
Studi come questo enfatizzano molto il lato dell’offerta di laureati più che la
loro domanda. Non sempre però l’approccio è corretto. Il ragionamento andrebbe
capovolto o almeno affrontato da entrambi i lati. Se le imprese non chiedono
laureati non c’è neppure l’offerta. E la domanda di laureati, soprattutto in
materie scientifiche, proviene il larga misura da grandi imprese di cui
l’Italia non abbonda. Per rendersi conto di come ormai neppure le lauree più
quotate aprano automaticamente la porta di carriere adeguate basta leggere
alcuni numeri raccolti dal Censis. I lavoratori italiani “sotto inquadrati”,
ossia che svolgono mansioni più semplici rispetto al loro livello formativo,
sono quasi il 20% del totale. In tutto più di 4 milioni di persone, il 41%
delle quali laureate. Tra questi risultano sotto inquadrati il 44% dei laureati
in scienze sociali e in materie umanistiche ma anche il 57% dei laureati in
economia o statistica e il 33% degli ingegneri. Questo non significa che
l’istruzione non (ri)paghi e non faciliti l’accesso al mondo del lavoro. Ma
troppo spesso lo fa in misura inferiore a quello che dovrebbe o che chi si
impegna nello studio spererebbe. In ogni caso studiare conviene. Secondo il
Centro Studi di Confindustria conquistare una laurea aumenta del 40% le
probabilità di trovare un impiego rispetto a chi ha solo un diploma. (Fonte: M.
Del Corno, Il Fatto Quotidiano 20-08-16
UN GRANDE PAESE CON POCHI LAUREATI
In termini di popolazione
l'Italia è un grande Paese dell'Unione, paragonabile a Francia, Gran Bretagna e
Germania. Ma se guardiamo alla popolazione dei laureati siamo un piccolo Paese,
paragonabile all'Olanda per dimensioni. Se poi guardiamo alla popolazione dei
nuovi laureati siamo demograficamente ancora più piccoli e destinati a
diventarlo sempre di più: caso praticamente unico fra i Paesi a reddito
medio-alto, le iscrizioni all'università sono diminuite negli ultimi anni. A
metà del prossimo decennio la Cina o lo Zimbabwe potrebbero avere più laureati
dell'Italia sul totale della popolazione. Difficile così compensare con
l'aumento di produttività il declino della demografia italiana. Come iniziare a
rimediare? Forse guardando alla radice del problema. Purtroppo per un giovane
oggi decidere di studiare non è in apparenza economicamente molto razionale, e
ancora meno lo è per una giovane. Secondo stime dell'OCSE (Education at a
Glance, 2015) alla fine della sua vita una donna italiana che si laurea avrà
guadagnato, al netto di tutto, in media circa 50 mila euro in più rispetto a
una diplomata delle superiori: quando questa donna sarà alle soglie della
pensione, avrà potuto pagarsi una stanza in più in un appartamento di una
grande città. È un rendimento della laurea pari alla metà della media dei Paesi
europei. Per un uomo italiano questo rendimento è maggiore, ma sempre di un
terzo sotto alle medie europee. Forse dovremmo ripartire da qua. Soffriamo di
un problema di lungo periodo, servono soluzioni sullo stesso orizzonte. (Fonte: F. Fubini, CorSera Sette 26-08-16)
RETRIBUZIONI
PENSIONI.
LEGITTIMO PER LA CONSULTA IL PRELIEVO DI SOLIDARIETÀ SUGLI IMPORTI PIÙ ALTI
La Corte Costituzionale ha respinto le varie questioni di
costituzionalità relative al contributo, che scade nel dicembre di quest’anno,
sulle pensioni di importo più elevato: il prelievo è stato quindi ritenuto
legittimo perché adottato in un periodo di profonda crisi. La Corte ha escluso
la «natura tributaria» del prelievo di solidarietà, è stato fatto notare,
ritenendolo «un contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale,
giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del
sistema». Come si ricorderà, il contributo di solidarietà era previsto dalla
legge di Stabilità 2014 per un triennio sui trattamenti pensionistici superiori
a 14 volte il trattamento minimo Inps. Nella norma esaminata dalla Corte, ad
essere toccati sono gli assegni da 14 a oltre 30 volte il minimo Inps, con una
quota progressiva del 6% per gli importi da 91.343 a 130.358 euro lordi annui;
del 12% per gli assegni da 130.358 a 195.538 euro; del 18% da 195.538 euro in
su. Un meccanismo inserito nella finanziaria 2014 varata dal governo Letta. Il
prelievo vale per un triennio, scade a dicembre e per ora non è stato
rinnovato. A "impugnare" queste misure con 6 diverse ordinanze, sono
state varie sezioni regionali della Corte dei Conti sulla scorta dei ricorsi
presentati da ex dirigenti dello Stato e di enti pubblici e privati, ex docenti
universitari, ufficiali delle forze armate e tanti ex magistrati. Per tentare
di dimostrarne l'irragionevolezza, i loro avvocati hanno fatto leva su una
precedente sentenza della Corte Costituzionale. (Fonte: CorSera 06-07-16).
Un commento di “rossini” a margine di un altro articolo
(su ilgiornale.it dello 06-07-16): “Sulle pensioni tutti pagano l'IRPEF, che è un’imposta
PROGRESSIVA che, oltre i 75mila euro, arriva fino al 43%. Con le addizionali
regionali e comunali si arriva al 50%. Aggiungere il contributo straordinario
progressivo significa aggiungere progressività a progressività. E questa è una
pura prepotenza. Dire, come fa la C. Cost., che il contributo straordinario non
ha natura tributaria è una prepotenza ancora più insopportabile”.
CORTE
COSTITUZIONALE. LE CONDIZIONI PER LA LEGITTIMA PREVISIONE DI UN CONTRIBUTO DI
SOLIDARIETÀ PER LE PENSIONI DI ELEVATO IMPORTO: MISURA CONTINGENTE,
STRAORDINARIA E TEMPORALMENTE CIRCOSCRITTA
Nella sentenza n. 173 del 13 luglio 2016 della Corte
costituzionale si legge che Il prelievo istituito dal comma 486 dell’art. 1
della legge n. 147 del 2013 (norma impugnata) non è configurabile come tributo
non essendo acquisito allo Stato, nè destinato alla fiscalità generale, ed
essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti
previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di
sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con
specifiche finalità solidaristiche endo-previdenziali, anche per quanto attiene
ai trattamenti dei soggetti cosiddetti “esodati”. Il contributo, dunque, deve
operare all’interno dell’ordinamento previdenziale, come misura di solidarietà
“forte”, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno
previdenziale ai più deboli, anche in un’ottica di mutualità
intergenerazionale, siccome imposta da una situazione di grave crisi del
sistema stesso, indotta da vari fattori che devono essere oggetto di attenta
ponderazione da parte del legislatore, in modo da conferire all’intervento
quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto può
consentirsi di derogare (in termini accettabili) al principio di affidamento in
ordine al mantenimento del trattamento pensionistico già maturato.
Tuttavia, sostiene la sentenza, anche in un contesto siffatto,
un contributo sulle pensioni costituisce, però, una misura del tutto
eccezionale, nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un
meccanismo di alimentazione del sistema di previdenza. In definitiva, il
contributo di solidarietà, per superare lo scrutinio “stretto” di
costituzionalità, e palesarsi dunque come misura improntata effettivamente alla
solidarietà previdenziale (artt. 2 e 38 Cost.), deve: operare all’interno del
complessivo sistema della previdenza; essere imposto dalla crisi contingente e
grave del predetto sistema; incidere sulle pensioni più elevate (in rapporto
alle pensioni minime); presentarsi come prelievo sostenibile; rispettare il
principio di proporzionalità; essere comunque utilizzato come misura una
tantum.
Tale misura rispetta il criterio di proporzionalità e, in
ragione della sua temporaneità, non si palesa di per sé insostenibile, pur
innegabilmente comportando un sacrificio per i titolari di pensioni più
elevate, ossia quelle il cui importo annuo si colloca tra 14 a 30 e più volte
il trattamento minimo di quiescenza, incidendo in base ad aliquote crescenti
(del 6, 12 e 18 per cento).
In questi termini, l’intervento legislativo di cui al
denunciato comma 486, nel suo porsi come misura
contingente, straordinaria e temporalmente
circoscritta, supera lo scrutinio “stretto” di costituzionalità. (Fonte 14-07-16)
UN PROFESSORE ORDINARIO A FINE CARRIERA PERCEPISCE COME
STIPENDIO LORDO MENO DELLA METÀ DI QUELLO DI UNA GIORNALISTA RAI PARCHEGGIATA
SENZA INCARICO
Caro direttore,
sono un docente
universitario alla fine di una bella carriera, molto gratificato per le
responsabilità e le mansioni svolte e che ancora svolge come "formatore e
ricercatore". Molto meno gratificante è invece il compenso. Un professore
ordinario a fine carriera prende, come lordo, meno della metà di quello che è
lo stipendio lordo dell'ultima giornalista (che non ha incarichi) indicata nella
Lista della settimana del numero 31 di Gente. Inoltre gli stipendi di tutti gli universitari sono stati gli unici bloccati
per cinque anni, senza riconoscimento di anzianità giuridica. Spenda, se
può, qualche parola a favore di tutti coloro che lavorano con passione,
nonostante tutto.
Alfredo Anglani
Caro Alfredo,
lo stipendio al
quale ti riferisci è quello di Carmen Lasorella: 200 mila euro lordi (ed è
parcheggiata senza incarico). Se ti può consolare, ti fa compagnia il premier
Matteo Renzi, che guadagna molto meno dei vertici Rai (114 mila euro lordi).
Resta il fatto che il discorso degli stipendi in Italia andrebbe affrontato con
serietà da governo e sindacati. Anche per dare il giusto valore a tutti quelli
che, come te, dopo anni e anni di studi hanno la responsabilità di una cattedra
importante. (Fonte: Lettera al direttore di Gente
e risposta 30-08-16)
FUGA DEI
CERVELLI. IL PROBLEMA RETRIBUZIONI
Ma scherziamo? Nessuno affronta il vero problema della
ricerca in Italia: gli stipendi bassissimi rispetto alla media dei Paesi
sviluppati e i contratti da precari. Un assegnista che prende 1400 €/mese
(netti, e per di più senza contributi pensione) li spende tutti per pagarsi
l’affitto e mangiare. Se gli date il 50% in più quando è all’estero per 3 mesi,
con quei 700 €/mese dovrebbe sopravvivere in USA? Scherziamo? Portate gli
stipendi e la normativa italiana ai livelli medi occidentali e vedrete che non
scappa più nessuno, anzi comincerà a venire gente in Italia a fare ricerca.
(Fonte: commento di DBA all’articolo “Ricercatori, fughe estere e borse di
studio” su CorSera-Blog 21-07-16)
OCCUPAZIONE E
RETRIBUZIONE DEI LAUREATI
In base a uno studio sui redditi compiuto da Bankitalia,
nel nostro Paese, i cittadini in possesso di una laurea percepiscono un reddito
annuale netto superiore del 20% rispetto ai diplomati. Non solo: i laureati
hanno anche il 10% in più delle possibilità di chi ha interrotto gli studi dopo
il diploma di trovare un lavoro. Secondo un’indagine pubblicata da AlmaLaurea
sui laureati magistrali a un anno dal titolo il differenziale occupazionale è
pari a 21 punti percentuali: al Nord è occupato il 74% mentre al Sud il 53%, il
tasso di disoccupazione è al 17% al Nord e al 36% al Sud. Dal punto di vista
delle retribuzioni, a un anno dalla laurea, guadagnano di più i laureati del
Nord, con 1.290 euro mensili di stipendio rispetto ai 1.088 dei colleghi del
Mezzogiorno. Allargando l’orizzonte temporale, a cinque anni dal conseguimento
del titolo, al Nord lavorano 89 laureati su 100, al sud 74 su cento, mentre il
tasso di disoccupazione si attesta al 12%. I dati forniti da AlmaLaurea
mostrano inoltre che “migliorano anche le retribuzioni: al Nord si attestano a
1.480 euro mensili netti, mentre al Sud arrivano a 1.242 euro. Cresce anche
l’efficacia: il titolo risulta molto efficace o efficace per il 55% degli
occupati al Nord e per il 59% degli occupati nel Mezzogiorno”. Scendendo nel
dettaglio, ecco la classifica delle lauree che, a cinque anni dalla laurea
(magistrale) assicurano una retribuzione più alta in base al XVIII Rapporto di
AlmaLaurea: Ingegneria: 1.705 euro; Settore Scientifico: 1.614 euro;
Chimico-farmaceutico: 1.562 euro; Medico (professioni sanitarie): 1.552
euro; Geo-biologico: 1.326 euro;
Politico-sociale: 1.320 euro; Agrario e Veterinaria: 1.300 euro; Architettura:
1.256 euro; Giuridico: 1.209 euro; Linguistico: 1.203 euro; Letterario: 1.117
euro; Insegnamento: 1.093 euro; Educazione Fisica: 1.059 euro; Psicologico: 980 euro. (Fonte: F. Patanè,
international business time 12-08-16)
RETRIBUZIONI E INCENTIVAZIONE DEL MERITO
Lo stipendio dei
professori universitari è bloccato da anni. Non è chiaro il motivo di questa
punizione «a pioggia», a fronte di continue dichiarazioni di valorizzazione del
merito. In queste settimane sono state rese note le soglie di produzione
scientifica che i singoli docenti devono superare per entrare in commissioni
che valutano candidati alle abilitazioni a ruoli superiori. Scopro che posso
fare domanda per far parte delle commissioni, sempre che la mia produzione scientifica
superi la soglia. La supera. Ma non farò domanda. Andare in commissione
significa far fronte a procedure bizantine in cui domina la compilazione
meticolosa di verbali. E questa sarebbe l'incentivazione del merito? Mi
aspettavo qualcosa tipo: questa è la lista di chi supera le soglie, da questa
saranno estratti i commissari per le abilitazioni e per chi supera i livelli di
qualità lo stipendio sarà sbloccato. Chi è sotto non andrà in commissione e il
suo stipendio resterà bloccato. Mi aspetterei anche di più. Chi è sotto le
soglie minime di qualità, oltre a non poter giudicare i candidati alle
promozioni, non dovrebbe avere accesso ad alte cariche, come Rettore, Direttore
di Dipartimento, Senatore Accademico. Per queste cariche l'asticella dovrebbe essere
superiore rispetto alle semplici abilitazioni. Invece questi limiti non
esistono, con il paradosso che a dirigere un'Università ci sia chi non è
ritenuto idoneo a giudicare chi aspira a cariche superiori. Il «premio» per chi
supera le soglie qualitative è di poter fare domanda per assolvere adempimenti
burocratici. (Fonte: F. Boero, La Stampa 20-08-16)
RICERCA.
RICERCATORI
TRA IL 1996 E IL
2014 I RICERCATORI ITALIANI HANNO PUBBLICATO 1.200.000 LAVORI, COLLOCANDOSI IN
OTTAVA POSIZIONE A LIVELLO MONDIALE
L'Italia ottiene risultati positivi in termini di
produzione scientifica nonostante le scarse risorse destinate alla ricerca. Tra
il 1996 e il 2014 i ricercatori italiani hanno pubblicato 1.200.000 lavori,
collocandosi in ottava posizione a livello mondiale. Se poi si considera il
rapporto tra numero di pubblicazioni scientifiche (database Scopus) e risorse
finanziarie destinate all’attività di ricerca nel settore pubblico, si osserva
un aumento per l’Italia da 8,33 a 9,75 lavori per unità di spesa tra il 2011 e
il 2014 (vedi rapporto ANVUR 2016). Una dinamica significativa, che supera
quella di Francia e Germania, anche se non raggiunge quella di Spagna e Regno
Unito. I risultati sono buoni anche per quanto riguarda il rapporto tra numero
di pubblicazioni e numero di ricercatori nel settore pubblico, benché in questo
caso la produttività rimanga sostanzialmente invariata nell’arco temporale
considerato. Risultati positivi si osservano anche rispetto ad altri indicatori
di produttività scientifica. Ad esempio, analizzando le pubblicazioni nelle
migliori riviste (top 1 per cento) della distribuzione mondiale dell’indicatore
di impatto SNIP (Source Normalized Impact per Paper), si trova che l’Italia, a
partire dal 2011, si colloca al di sopra della media mondiale, superando anche
in questo caso Germania e Francia. Se si considerano le pubblicazioni nella
fascia top 5 per cento, l’Italia presenta valori superiori alla media mondiale
già a partire dal 2005. (Fonte: M. De Paola e T. Jappelli, lavoce.info 02-08-16)
PROGRAMMA
"FARE RICERCA IN ITALIA"
Lo scorso 2 agosto il MIUR ha pubblicato la comunicazione
sulla procedura, di prossimo avvio, per la prima tranche dell’intervento “Fare
ricerca in Italia”. Questo programma, ampio e ambizioso, vorrebbe creare le condizioni
affinché i migliori ricercatori si cimentino nelle competizioni bandite dallo European
Research Council (ERC) e assicurare che un numero crescente di vincitori nei
bandi dell’ERC venga in Italia o ci rimanga per svolgere la propria ricerca
nelle università o negli enti pubblici di ricerca italiani. Dai dati forniti dalla
Commissione europea, emerge che nel periodo di programmazione di Horizon 2020,
su 1.594 proposte presentate all’ERC in cui fossero state prescelte host
institution localizzate in Italia, sono stati stipulati finora solo 103
contratti. Di questi, solo 5 hanno come host institution un’istituzione
localizzata nel Mezzogiorno d’Italia. Il MIUR destinerà circa 19,6 milioni di
euro a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione per migliorare la performance dei
ricercatori, attrarre nel nostro Paese un numero crescente di ricercatori
italiani e stranieri di eccellenza, e rafforzare così il sistema della ricerca
nazionale. (Fonte: MIUR)
PROPOSTA
MINISTERIALE PER I PRECARI DELLA RICERCA NEGLI IRCCS E IZS
Nel secondo tavolo tecnico tenutosi presso il Ministero
della Salute e riguardante le criticità dei precari della Ricerca IRCCS
(Istituti di Ricerca a carattere Scientifico e Sanitario) e IZS (Istituti
Zooprofilattici Sperimentali), il direttore generale della ricerca e
dell’innovazione in sanità, Giovanni Leonardi ha esposto ai presenti la nuova
proposta ministeriale, che prevede l’inserimento del ricercatore in tre gruppi
di classificazione: il ricercatore iniziale, il ricercatore esperto ed infine il
senior. Per i senior dopo i primi 2 anni sarà possibile richiedere il passaggio
al SSN. La nuova proposta esposta al tavolo tecnico prevede un contratto a
tempo determinato di 10 anni, con possibile rinnovo per ulteriori 5 e
valutazioni annuali per il passaggio a livelli economici superiori. La proposta
ministeriale concede anche la mobilità tra vari istituti, il tutto mantenendo
anzianità e livello. E’ stato poi chiarito che chi già è ricercatore a
contratto atipico, secondo la proposta, verrà inserito d’ufficio nella piramide
dei 15 anni, mentre chi entrerà successivamente, svolgerà un concorso per
poterne far parte. Finché non entrerà in vigore la nuova normativa però,
varranno i contratti atipici in essere anche oltre il 01/01/17. (Fonte: Nursind
02-07-16)
LA RICERCA
SANITARIA E IL PRECARIATO
La segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino, ha scritto una lettera aperta alla titolare del dicastero della Salute, Beatrice Lorenzin, a proposito della sua proposta per affrontare il drammatico problema della precarietà, troppo presente nel settore sanitario e negli istituti zooprofilattici. Secondo la Sorrentino la proposta prevede tre passaggi che determinano una precarietà stabile e lunga 15 anni. Al termine di questa spinta 'flessibilità' la sola proposta 'concreta' rimane una chimera legata alla dotazione organica e alle risorse. Dopo 15 anni di assoluta precarietà, insomma, non c'è alcuna prospettiva certa. Ad essere coinvolti in questo processo sono circa 3.500 ricercatori negli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e negli IZS (Istituti Zooprofilattici Sperimentali) impegnati in progetti di ricerca ai quali non si offrono soluzioni in termini di continuità occupazionale. La proposta, continua Sorrentino, non risolve la questione drammatica della precarietà, tema per altro che coinvolge tutta la sanità. Al contrario, si opera un processo di stabilizzazione della precarietà stessa. Condivide che c'è un’urgenza da affrontare immediatamente, ovvero quella che dal prossimo primo gennaio 2017 non sarà più possibile ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative. Una misura che rischia di produrre danni gravissimi al funzionamento degli IRCSS e degli IZS e, quindi, alla ricerca sanitaria tutta. L'urgenza è condivisa ma non la soluzione proposta, insiste Sorrentino, e il tema va affrontato coinvolgendo tutti i soggetti - Regioni, Ministero e Organizzazioni sindacali - all'interno del percorso per il rinnovo del contratto nazionale. (Fonte 21-06-16)
La segretaria generale della Fp Cgil, Serena Sorrentino, ha scritto una lettera aperta alla titolare del dicastero della Salute, Beatrice Lorenzin, a proposito della sua proposta per affrontare il drammatico problema della precarietà, troppo presente nel settore sanitario e negli istituti zooprofilattici. Secondo la Sorrentino la proposta prevede tre passaggi che determinano una precarietà stabile e lunga 15 anni. Al termine di questa spinta 'flessibilità' la sola proposta 'concreta' rimane una chimera legata alla dotazione organica e alle risorse. Dopo 15 anni di assoluta precarietà, insomma, non c'è alcuna prospettiva certa. Ad essere coinvolti in questo processo sono circa 3.500 ricercatori negli IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) e negli IZS (Istituti Zooprofilattici Sperimentali) impegnati in progetti di ricerca ai quali non si offrono soluzioni in termini di continuità occupazionale. La proposta, continua Sorrentino, non risolve la questione drammatica della precarietà, tema per altro che coinvolge tutta la sanità. Al contrario, si opera un processo di stabilizzazione della precarietà stessa. Condivide che c'è un’urgenza da affrontare immediatamente, ovvero quella che dal prossimo primo gennaio 2017 non sarà più possibile ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative. Una misura che rischia di produrre danni gravissimi al funzionamento degli IRCSS e degli IZS e, quindi, alla ricerca sanitaria tutta. L'urgenza è condivisa ma non la soluzione proposta, insiste Sorrentino, e il tema va affrontato coinvolgendo tutti i soggetti - Regioni, Ministero e Organizzazioni sindacali - all'interno del percorso per il rinnovo del contratto nazionale. (Fonte 21-06-16)
ILARIA CAPUA, UNA
SCIENZIATA, UNA VIROLOGA VETERINARIA D’ECCELLENZA, “ALLONTANATA” DALL’ITALIA
Ventisei mesi dopo esser stata sbattuta in prima pagina dall’Espresso
sotto il titolo «Trafficanti di virus», dove veniva additata tra i protagonisti
di un’inchiesta sui business infami sulla pelle di persone innocenti, Ilaria
Capua, fino a due anni fa un vanto della scienza italiana, ha appena ricevuto
la notizia che il giudice per l’udienza preliminare di Verona l’ha prosciolta
«perché il fatto non sussiste». No, non voleva diffondere il virus per fare
soldi dall’offerta di un vaccino. Un verdetto giunto al termine di un’indagine
partita da Roma e spacchettata un po’ qua un po’ là per finire, a Verona, tra
le mani del pm Maria Beatrice Zanotti. Meglio tardi che mai, dice il proverbio.
E forse per lei è così. Troppo tardi per l’Italia, però. Troppo tardi per la
nostra ricerca scientifica. Troppo tardi per un Paese che, come ha scritto
Paolo Mieli a proposito di questa vicenda di giustizia paralizzata quindi
ingiusta, «detesta la scienza» ... La «nostra» ricercatrice, la prima ad avere
isolato il virus H5N1 (la «nasty beast», cioè la brutta bestia, dell’influenza
aviaria umana), la prima a dire no alle offerte milionarie delle case
farmaceutiche per mettere (gratis!) la sua scoperta a disposizione su «GenBank»
di tutti gli scienziati del mondo tra lo stupore ammirato di colleghi e
giornalisti scientifici, la prima donna e primo ricercatore sotto i sessant’anni
a vincere il «Penn Vet World Leadership Award» cioè il riconoscimento più
importante del pianeta per le discipline veterinarie, non è più «nostra». Se n’è
già andata. Da tre settimane. A dirigere un dipartimento d’eccellenza
all’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida. (Fonte: G. A.
Stella, CorSera 06-07-16)
ENTI DI RICERCA
AUTONOMI E ATENEI IRRETITI DALLA BUROCRAZIA
All’affermazione di principio del premier, l’università
«deve uscire dal perimetro della Pa», non sono seguite per ora proposte
articolate, ma è stata già messa in pratica, di fatto, con la decisione di
affidare il progetto Human Technopole all’IIT (Istituto italiano di tecnologia)
per le vie brevi, anzi brevissime, senza coinvolgere le università se non nel
ruolo di comparse. In nessun sistema universitario avanzato un progetto di tali
dimensioni sarebbe stato messo in mano ad un soggetto unico senza valutazione,
senza comparazione e senza un approfondito studio di fattibilità. Per contro
Renzi avrà probabilmente temuto che il Technopole diventasse la Salerno-Reggio
Calabria della ricerca italiana: una replica, per esempio, del caso Genova,
dove università, aziende ed enti locali dibattono da dieci anni se e come
utilizzare 140 milioni già stanziati per trasferire Ingegneria. O avrà
immaginato l’assunzione dei ricercatori impantanarsi tra Tar e Consiglio di
Stato. Se non si interviene in modo organico sul sistema, però, si rischia la
polarizzazione tra due estremi destinati ad allontanarsi sempre di più, una
strada già percorsa con esiti deludenti tra 2001 e 2006: da un lato un piccolo
nucleo di enti, come IIT e alcune università ad ordinamento speciale, lasciati
liberi di muoversi in autonomia più o meno completa; dall'altro la massa degli
atenei, irretiti da norme e cavilli quasi sempre escogitati da altri ministeri
e per altri settori della pubblica amministrazione. (Fonte: A. Schiesaro,
IlSole24Ore 05-07-16)
ENTI DI RICERCA.
PARERE SINDACALE SU BOZZA GOVERNATIVA CHE PROPONE LO STATO GIURIDICO DEI RICERCATORI E TECNOLOGI
La Legge 7 agosto 2015 n. 124 (Deleghe al Governo in
materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) all’art. 13,
prevede l’emissione di decreti delegati relativi agli enti di ricerca. A
gennaio 2015 la Conferenza dei Presidenti degli Enti di Ricerca (CoPER) ha
inviato al Governo i suoi input. Altri input sono stati inviati da altri
sindacati. Ad aprile è circolata una “bozza riservata” di fonte governativa,
disponibile p.es. su siti sindacali. A seguito di tale bozza i rappresentanti
eletti dal personale (ai sensi dei rispettivi statuti) nei Consigli di
Amministrazione di alcuni Enti Pubblici di Ricerca hanno inviato il 20 maggio
una lettera alle Ministre: “La bozza accoglie un 50% delle proposte avanzate
dai Presidenti degli Enti in materia di semplificazione burocratica, accoglie
in linea di principio il concetto da tempo richiesto dall’ANPRI di dare uno
stato giuridico a Ricercatori e Tecnologi (R&T) (in questo senso non si
tratta di una ‘uscita dalla Pubblica Amministrazione’, anzi!) ma lo fa in
maniera confusa, e purtroppo porta avanti della ‘analogia con l’Università’
solo l’aspetto più preoccupante e deteriore … ossia la messa ad esaurimento
della terza fascia degli R&T a tempo indeterminato, lasciando solo le due
fasce di Primi Ricercatori e Dirigenti di Ricerca (equivalenti a professori associati
e ordinari). La bozza prevede, per il futuro, dei concorsi per il reclutamento di
ricercatori a tempo determinato con un meccanismo tenure track. Ma ignora che
attualmente gli R&T di terza fascia (spesso non giovani a causa della carenza endemica di concorsi di avanzamento)
rappresentino negli Enti oltre il 70% del personale di ricerca di ruolo (per
tacere del precariato esistente sia come R&T a TD che come assegnisti e
borsisti), ossia molto di più di quanti siano nell’Università (33%) dove la
riforma Gelmini ha introdotto una simile messa ad esaurimento. (Fonte:
Redazione Roars 07-07-16)
PROGETTI DEL
MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO PER GLI INVESTIMENTI IN RICERCA
Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, in
una videointervista, ha delineato un percorso in cui, dopo la presentazione del
piano su Industria 4.0, arriverà una legge di stabilità fortemente orientata al
rilancio degli investimenti produttivi, a partire da quelli in ricerca. Nel
campo della ricerca ha citato l'individuazione di alcune eccellenze, nei
Politecnici, per costruire degli innovation hub (pochi) in cui concentrare le
risorse. Come misure più efficaci ha messo in conto i superammortamenti, la
"nuova Sabatini" in versione allargata, il credito di imposta per gli
investimenti in ricerca e sviluppo che va trasformato da incrementale in
strutturale (calcolato sul volume totale della spesa, ndr). (Fonte: ilSole24Ore
16-07-16)
BILANCIO SOCIALE
2015 DI AIRC E FIRC. OLTRE 104 I MILIONI DESTINATI ALLA RICERCA ONCOLOGICA
Oltre 104 i milioni destinati alla ricerca oncologica,
quasi 5 mila ricercatori coinvolti, al lavoro su 615 progetti di ricerca in 107
istituzioni. Sono i principali numeri pubblicati nel bilancio sociale 2015 di AIRC
e FIRC (l’Associazione e la Fondazione italiana per la ricerca sul cancro). Il
50% dei finanziamenti è stato destinato proprio ai progetti di ricerca e 15
milioni sono andati ai programmi di oncologia e di clinica molecolare: queste
sono le due voci del bilancio che hanno ottenuto le maggiori attenzioni, senza
dimenticare però i quasi 12 milioni di euro che sono stati assegnati ai giovani
sotto forma di borse di studio in Italia e all’estero o finanziamenti per gli
studi. Un traguardo che è stato possibile raggiungere grazie ai contributi
forniti da 4 milioni e mezzo di sostenitori, 800 mila soci e 20 mila volontari.
I risultati sono state le oltre 1.500 pubblicazioni scientifiche sulle
principali riviste scientifiche e specializzate internazionali firmate dai
ricercatori che hanno potuto effettuare i loro studi e sperimentazioni grazie
al sostegno ottenuto da AIRC e FIRC.
EUROSTAT FA IL
PUNTO SULL’INCREMENTO DEL LIVELLO DI ISTRUZIONE DELLA POPOLAZIONE E DI
INVESTIMENTO NELLA RICERCA
Gli obiettivi fissati nel 2010 dal Consiglio europeo per
l’Italia, traguardi che devono essere raggiunti entro il 2020, sono far salire
l’investimento in ricerca fino all’1,53% del Pil, aumentare al 26% la
percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni, ridurre sotto il 16% la quota di
studenti che abbandonano le superiori prima di aver completato gli studi. Ma se
sugli ultimi due il target è praticamente raggiunto, è sul primo che rimane
ancora molto da lavorare. Il Consiglio europeo ha preso il 2008 come periodo di
riferimento: in quell’anno poco meno di uno studente su cinque lasciava le
superiori senza aver conseguito il relativo titolo di studio. La richiesta è
quella di ridurre questa percentuale al 16% entro il 2020. E, sotto questo
profilo, l’Italia viene promossa: già nel 2014 la quota si era ridotta al 15%,
per poi scendere ancora al 14,7% l’anno successivo. Insomma, obiettivo
raggiunto e superato. Altra questione, l’aumento del numero dei laureati. La
richiesta specifica è quella di far salire la quota di popolazione laureata
nell’età compresa tra i 30 ed i 34 anni oltre il 26%. In questo caso il
traguardo non è ancora raggiunto, ma manca davvero poco: nel 2015 il 25,3%
delle persone tra i 30 ed i 34 anni aveva conseguito una laurea.
La nota dolente
riguarda in definitiva l’investimento in ricerca. L’Europa chiede all’Italia di
portare l’investimento in questo settore all’1,53% del prodotto interno lordo
entro il 2020. Nel 2008, anno di riferimento per gli obiettivi fissati dall’Ue,
la quota destinata a R&D era pari all’1,16% del Pil. Nel 2014 siamo
arrivati all’1,29%, risultato che segna però un passo indietro rispetto
all’1,31 dell’anno precedente. (Fonte: P. Almirante, Tecnica della Scuola su
dati Eurostat riportati da wired.it 22-07-16)
PRIMA DEL 2020 TUTTE LE RICERCHE FINANZIATE DALL’EUROPA
DOVRANNO ESSERE OPEN ACCESS
Prima del 2020
tutte le ricerche finanziate dall’Europa dovranno essere Open Access. La
decisione epocale del Competitiveness Council annullerà la ragione di esistere
della pirateria scientifica. Ecco come potrebbe cambiare tutto. Fino ad ora era
una richiesta generica senza una tempistica precisa, ma, venerdì 27 maggio, il
Competitiveness Council europeo (che riunisce i ministri di ricerca,
innovazione, commercio e industria della UE) ha deciso che entro il 2020 tutti
i risultati ottenuti con finanziamenti europei dovranno essere Open Access da
subito. Ovviamente ci sono diversi mezzi per rendere pubblici i propri
articoli. Si può ricorrere a database aperti dove si possono depositare i testi
degli articoli dopo che sono stati pubblicati da riviste più o meno
prestigiose, oppure ricorrere a riviste “open access”, dove il costo di
pubblicazione è coperto degli autori e nulla è chiesto ai lettori. Purtroppo,
però, nel mondo dell’open access sono poche le riviste di grande impatto mentre
sono moltissime quelle di infima qualità pronte a pubblicare ogni schifezza pur
di incassare le spese di pubblicazione. Il Competitiveness Council non ha detto
quale strada intenda supportare, ma sicuramente si tratta di una decisione
epocale, definita “a life-changing move”. Rendere tutti i lavori pubblicamente
disponibili annullerà la ragione di esistere della pirateria scientifica, ma
sarà anche un problema non facilmente gestibile dalle case editrici classiche
che dovranno cambiare il loro modello di business. (Fonte: P. Caravero, Scienza
in rete 08-08-16)
DECRETO "SBLOCCA ENTI" PUBBLICI DI RICERCA
APPROVATO DAL CdM
Meno burocrazia
e più autonomia per favorire la competitività degli enti pubblici di ricerca:
lo ha rilevato la ministra Stefania Giannini, commentando l'approvazione da
parte del Consiglio dei Ministri del decreto c.d. 'sblocca-enti' (“Schema di
decreto legislativo recante semplificazione delle attività degli enti pubblici
di ricerca”), che semplifica l'attività dei 21 Enti pubblici di ricerca (EPR),
14 dei quali sono vigilati dal MIUR. In base al decreto gli enti pubblici di
ricerca avranno per la prima volta un riferimento normativo comune, con un
sistema di regole più snello e calibrato alle esigenze del settore. Il decreto
prevede inoltre il recepimento della carta Europea dei ricercatori per
garantire più libertà di ricerca, portabilità dei progetti, valorizzazione
professionale, sistemi di valutazione adeguati. Gli enti pubblici di ricerca
vengono inoltre svincolati dal ricorso obbligatorio al mercato elettronico per
gli acquisti di attrezzature scientifiche, vengono eliminati i controlli
preventivi sui contratti per esperti e collaboratori professionali, e vengono
introdotte regole più flessibili per le spese di missione. Per assumere
ricercatori e tecnologi, italiani e stranieri, soprattutto giovani, gli enti
non dovranno più attendere l'autorizzazione del ministero competente nè avere
posti liberi nella pianta organica. Come accade già per le università, gli enti
che hanno risorse per farlo potranno assumere liberamente, entro il limite
dell'80% del proprio bilancio. Unico vincolo sarà il rispetto del budget. Il
decreto favorisce infine mobilità dei ricercatori, portabilità dei progetti di
ricerca e rientro dei cervelli.
Il Presidente
della Repubblica vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri ha trasmesso
alla Camera dei Deputati lo “Schema di decreto legislativo recante
semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca” il cui testo si
può leggere qui
anche con commenti. (Fonte: ANSA 25-08-16; ANPRI 27-08-16)
RICERCA.
VALUTAZIONE DELLA RICERCA
I PRINCIPALI MEDIA SCIENTIFICI SI ALLEANO CONTRO IL METODO PIÙ USATO
NEL MONDO PER VALUTARE LE RICERCHE E I RICERCATORI
I direttori di riviste e
società autorevoli, come Nature, Science, Public Library of Science, National
Academies of Science ed European Molecular Biology Organization, hanno
pubblicato un articolo-manifesto per spiegare che l’Impact Factor
(«fattore di impatto»), l’indice che a livello internazionale misura la qualità
della ricerca, non ha alcun valore reale. L’inusuale presa di posizione è stata
pubblicata il 5 luglio sul sito www.biorxiv.org e ha fatto parecchio rumore
nel dibattito internazionale. Un Impact Factor superiore a 5 rappresenta
un ottimo valore. Le riviste più scadenti annaspano poco sopra lo zero. Nature
e Science, le reginette del club, hanno un Impact Factor superiore a 30. Questi
numeri, però, sono medie degne dei polli di Trilussa. Secondo i dati presentati
nell’articolo su biorxiv.org, gli Impact Factor sono determinati da una
piccola percentuale di ricerche molto citate, mentre la maggior parte degli
articoli, anche sulle riviste più autorevoli, ottiene pochissime citazioni.
Basta allora un pugno di articoli e un po’ di marketing per far impennare
l’indice. Dato che proviene dai primi della classe (i principali media
scientifici), la presa di posizione rappresenta un vero ammutinamento.
Il malcontento contro l’Impact
Factor circola da tempo nei laboratori. Sempre più ricercatori si lamentano
per l’abuso di questi parametri quantitativi, adottati non solo per giudicare
le riviste ma anche quando si tratta di assegnare finanziamenti o favorire carriere.
Secondo i critici, le citazioni contano ormai più dei contenuti. Le ricerche
più popolari mettono in secondo piano quelle più coraggiose ma meno conosciute,
e la stessa fine fanno i ricercatori. Riducendo tutto a un semplice numero,
infine, si crea l’illusione che scienziati e ricerche in campi diversi possano
essere misurati con un unico metro in maniera oggettiva.
In Italia, anche in futuro, i
commissari di valutazione per l’attribuzione dell’abilitazione scientifica
nazionale, non dovranno nemmeno leggere gli articoli scientifici dei candidati,
ma applicare solo metodi bibliometrici,
a differenza di quanto avviene negli altri Paesi. «Come se in un
concorso enologico i sommelier non assaggiassero il vino» ha scritto Alberto
Baccini, economista all’Università di Siena. (Fonte: Il Manifesto 22-07-16)
DOCUMENTO
DELL’ACCADEMIA DEI LINCEI “SULLA NECESSITÀ DI UNA VALUTAZIONE STRAORDINARIA
DELL’IIT”
“Considerata la recente decisione di affidare all’IIT
(Istituto Italiano di Tecnologia) un ruolo guida di un’impresa di grandissima
importanza come lo Human Technopole, questa Commissione (Commissione
dell’Accademia dei Lincei per i problemi della ricerca) ritiene che – essendo
passata una decina d’anni da quanto l’IIT è diventato operativo – sia
necessaria una valutazione straordinaria a tutto tondo per giudicare
l’efficacia del modello di organizzazione dell’IIT come modello per sviluppare
la ricerca italiana. Questa valutazione straordinaria dovrebbe essere fatta
anche mediante site visit, sia
studiando in dettaglio i bilanci, la struttura del management, la realizzazione
concreta delle convenzioni universitarie, sia stimando il rapporto tra costi
finanziari e benefici scientifici, paragonandolo a quello di altre istituzioni
italiane. In particolare sarebbe importante valutare: • l’ingente
accantonamento di risorse finanziarie; • la composizione di un Consiglio (di
amministrazione) in cui sono assenti scienziati attivi nei campi di interesse
dell’IIT, accompagnato da un Comitato Esecutivo in cui gli scienziati attivi
nei campi di interesse dell’IIT sono in minoranza; • una politica di scarsa
comunicazione, sia alla comunità scientifica che a un pubblico più vasto, di
aspetti molto rilevanti della vita dell’Istituto: principalmente, ma non solo
bilancio, verbali delle riunioni degli organi e delle commissioni per le
assunzioni, rapporti di valutazioni …”. (Fonte: documento dell’Accademia
dei Lincei pubblicato da Roars 20-07-16)
SISTEMA
UNIVERSITARIO
UNIVERSITÀ.
ASPETTI CRITICI DELLA SUA DIMENSIONE, DELLA SUA ARTICOLAZIONE TERRITORIALE,
DELLA SUA QUALITÀ E DELLA “QUOTA PREMIALE” DESTINATALE DAL FFO
Gianfranco Viesti, docente di Economia applicata
all’Università di Bari, ha coordinato un ampio Rapporto di ricerca realizzato
dalla Fondazione Res (Università in declino. Un’indagine sugli atenei, da Nord
a Sud, Donzelli, 2016) da cui sono tratti i dati riportati successivamente in
un articolo su Il Mulino 3/2016. Di questo articolo sono di seguito segnalati
in sintesi i punti ritenuti salienti.
Rispetto al momento di massima dimensione (databile fra
il 2004 e il 2008), al 2014-15, il fondo di finanziamento ordinario (FFO) delle
università è diminuito, in termini reali, del 22,5%; gli immatricolati di oltre
66.000 unità (–20%); i docenti di circa 11.000 (–17%); il personale tecnico
amministrativo di circa 13.000 (–18%); i corsi di studio sono passati da 5.634
a 4.628 (–18%). Non ha paragoni negli altri Paesi colpiti dalla crisi, se non
con il radicale, e assai controverso, processo di privatizzazione in corso in
Inghilterra; e va comparato con aumenti anche sensibili registrati altrove, a
partire dalla Germania. La spesa pubblica per l’istruzione universitaria per
abitante ammonta, in anni recenti, a 332 euro in Germania, a 305 in Francia e a
157 in Spagna, a fronte di un valore di 117 euro per il Centro Nord e di soli
99 per il Mezzogiorno. L’Ue si è data l’obiettivo, al 2020, di avere il 40% di
giovani (30-34 anni) laureati. L’Italia è nel 2014, al 23,9%: questo la colloca
all’ultimo posto fra i 28 Stati membri.
Le nuove regole di governo del sistema stanno disegnando
una differenziazione sempre più forte fra sedi più e meno dotate (in termini
finanziari, di docenti, di studenti, di relazioni con l’esterno). Il FFO, in
forte contrazione, a partire dal 2009 è stato suddiviso in una «quota base» e
in una «quota premiale». La quota base è stata decrescente in valore assoluto e
come peso sul totale; è passata, a valori correnti, dai 6,7 miliardi del 2008
ai 4,9 del 2015. Una parte crescente del FFO (fino al 20% del totale nel 2015,
cioè quasi 1,4 miliardi) è stata allocata secondo criteri «premiali». La loro
definizione è stata assolutamente discutibile. Nell’insieme ha seguito
indirizzi opposti a quelli raccomandati dalla European University Association
(EUA). L’EUA suggerisce di non aumentare eccessivamente la “quota premiale”: in
Italia è arrivata ad un peso che non si ritrova in nessun altro Paese europeo,
con l’eccezione del Regno Unito. Suggerisce di allocare su base premiale solo
stanziamenti aggiuntivi. L’opposto di ciò che è accaduto in Italia; la quota determina solo una diversa
modulazione, fra le sedi, dei tagli. Le regole premiali sono state imposte
unilateralmente dal MIUR; e misurano comportamenti del passato, quando non era
prestabilito quali fossero le metriche di giudizio. I criteri sono cambiati
vorticosamente: fra il 2008 e il 2015 sono stati utilizzati 23 indicatori
diversi, che sono cambiati – in misura rilevante – tutti gli anni (tranne uno).
L’Italia sta disinvestendo con particolare intensità
nelle regioni più deboli sempre più; con una «serie A» a cui non vengono
destinate risorse aggiuntive, ma che le sottrae all’altra componente del
sistema. Con una «serie B» destinata, già nel medio periodo, a strutturarsi su
un insieme di atenei destinati prevalentemente all’erogazione di una didattica
di base, con meno insegnamento avanzato (corsi magistrali e dottorati) e meno
attività di ricerca. Con la «serie A» tutta concentrata in un triangolo di 200
chilometri di lato con vertici Milano, Bologna e Venezia (e qualche estensione
territoriale a Torino, Trento, Udine); e la serie B che copre il resto del
Paese.
Una terza e ultima preoccupazione attiene alla qualità
del sistema e delle sue componenti. Aree disciplinari di lunga tradizione,
specie negli studi umanistici, si stanno fortemente ridimensionando e sono a
rischio di deperimento. Vi è anche il rischio che la qualità della didattica
diventi meno importante, dato che le sorti finanziarie delle istituzioni e di
carriera dei singoli sono venute sempre più a dipendere dalla capacità di
pubblicare articoli scientifici; con la possibilità di un’implicita
marginalizzazione delle attività di docenza. Secondo Sabino Cassese, «i
ricercatori hanno già cominciato ad apprestare e a presentare le proprie
ricerche in funzione delle misurazioni e presto saranno pronti anche a
ricercare in funzione delle misurazioni» (‘L’Anvur ha ucciso la valutazione,
viva la valutazione’, il Mulino, n. 1/2013, pp. 73-79). (Fonte: vedi il primo
paragrafo di questa nota)
UNIVERSITÀ. NON
USCIRE DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE MA RIENTRARE NEL REGNO DEL BUON SENSO
AMMINISTRATIVO
Può un sistema universitario moderno funzionare tra tanti
lacci, lacciuoli, cavilli e pandette? No, non può. Ogni anno, quando escono i
risultati delle competizioni ERC, si scatena la giaculatoria nazionale sul fatto
che molti giovani italiani vincitori di questi preziosi grants dell’European
Research Council già lavorano da tempo in Paesi dove concorsi, finanziamenti,
promozioni si risolvono in università, non in tribunale, e in settimane, non in
anni. Lacrime di coccodrillo, però, fintanto che non si affronta sul serio il
problema di fondo, senza scorciatoie. D’altronde, sia chiaro, se l’ERC avesse
sede in Italia incasserebbe una sconfitta al TAR dopo l’altra, perché le sue
modalità di selezione sarebbero inesorabilmente dichiarate illegittime. Più che
“uscire dalla Pa” (come ha affermato il premier) occorre quindi rientrare, ma
presto, nel regno del buon senso, a beneficio però di tutti e non solo di
pochi. Non è difficile. Si potrebbe cassare subito l’infausta norma che
rialloca su base nazionale i fondi per assunzioni e promozioni; proseguire
eliminando il controllo preventivo della Corte dei Conti sulle spese degli
atenei e una serie di micronorme vessatorie: resterebbero in piedi solo i pochi
e semplici vincoli sul pareggio di bilancio e sul controllo complessivo delle
spese per il personale che servono a evitare le follie del passato. A quel
punto si potrebbe davvero metter mano a una semplificazione più profonda del
sistema nella sua interezza, a partire proprio da una riflessione
sull’abilitazione e sui meccanismi di governo degli atenei. L’alternativa è un
futuro schizofrenico in cui lo Stato regola o troppo o troppo poco, ma mai il
giusto. (Fonte:
A. Schiesaro, IlSole24Ore 05-07-16)
NUOVO PIANO
TRIENNALE DI SVILUPPO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO PER IL 2016-2018
La ministra dell'Università e della Ricerca Stefania
Giannini ha firmato il nuovo Piano triennale di sviluppo del sistema
universitario per il 2016-2018. Gli atenei avranno più autonomia nella
costruzione dei percorsi di laurea, per programmare la didattica in modo
innovativo e flessibile e avvicinare di più l'offerta formativa alle esigenze
degli studenti. Saranno incentivate l'internazionalizzazione dei corsi,
l'assunzione di ricercatori e la chiamata diretta di vincitori di programmi ERC
(European Research Council). Cambio di passo anche nella distribuzione dei
fondi premiali: dal 2017 il 20% delle risorse sarà attribuito sulla base di
parametri indicati dalle università all'interno di un paniere ministeriale.
Organici: ciascun ateneo avrà facoltà di assunzione, con copertura nazionale
del turnover al 60% rispetto al 50% attuale e garanzia di una quota fissa
minima del 30% del suo turnover. (Fonte: Secolo XIX 09-08-16)
DA DOVE VENGONO I MALI DEL SISTEMA EDUCATIVO
A partire dagli
anni settanta, il sistema educativo è stato influenzato dalle trasformazioni
culturali e sociali seguite al 1968. Ma c'era di più. C'era un atteggiamento
complessivo che impediva alla classe politica di fronteggiare quelle trasformazioni
con politiche volte a salvaguardare l'efficienza delle istituzioni educative.
Ad esempio, quale fu la reazione della DC al '68? (con quale misura
riformatrice scelse di confrontarsi con quegli eventi?). Fece la scelta
peggiore: la pura e semplice liberalizzazione degli accessi, una misura che,
non essendo accompagnata da altre riforme, forse contribuì a stemperare le
tensioni ma di sicuro non favorì l'efficienza dell'istituzione universitaria. (Fonte: A. Panebianco, CorSera Sette 18-08-16)
STUDENTI.
DIRITTO ALLO STUDIO
STUDENTI. LE
REGIONI E L’INNALZAMENTO DELLE SOGLIE DI REDDITO PER ACCEDERE ALLE BORDE DI
STUDIO
La Toscana è solo l’ultima delle Regioni in ordine di
tempo a innalzare le soglie del reddito per ampliare la platea di studenti che
potranno ambire ad un contributo per pagarsi l’università: dopo la decisione
del ministero di innalzare i tetti dei redditi, su pressing degli universitari,
per recuperare il 20% delle borse «perdute», molte amministrazioni regionali si
sono adeguate ai nuovi livelli e hanno anche introdotto altri accorgimenti per
aiutare il diritto allo studio. Ma non tutte. Secondo le ricostruzioni
dell’Unione degli universitari, le soglie sono state già aumentate in Emilia
Romagna, Lazio, Piemonte, Abruzzo, Regioni dove potranno fare la domanda gli
studenti con al massimo 23 mila euro di ISEE (l’indicatore di benessere
economico) e 50 mila di ISPE (che valuta il patrimonio immobiliare): si tratta
dei nuovi livelli stabiliti dal governo. Miglioramenti anche in Veneto (23 mila
di ISEE, 35 mila di ISPE) e Sardegna (20.000 ISEE e 50.000 ISPE). Mancano gli
atti conclusivi nelle Marche (21 mila ISEE e 38 mila ISPE) e in Umbria: anche
qui le soglie dovrebbero essere innalzate al massimo, cioè 23 mila euro di ISEE
e 50 mila di ISPE. L’abbassamento drastico dei tetti di reddito per chiedere la
borsa di studio aveva ridotto non solo i beneficiari, ma anche i potenziali
candidati: da 135 mila idonei nell’anno accademico 2014/15, si era passati ai
107 mila del 2015/2016, escludendo quasi 30 mila ragazzi che, pur non avendo
mutato la propria condizione contrattuale, secondo i nuovi parametri non
avevano ottenuto una borsa di studio per i nuovi criteri. Ma non tutte le
Regioni hanno recepito la novità. (Fonte: V. Santarpia, CorSera 07-07-16)
ERASMUS ED ERC
DOPO LA BREXIT
Tra gli effetti della Brexit si prospetta l'uscita dal
programma europeo per l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport, noto
come Erasmus+, attivato con il regolamento n. 1288/2013. Che è un successo per
le strutture universitarie britanniche che accolgono dagli altri Paesi Ue
27.401 studenti a fronte di 15.610 giovani inglesi partiti per fare
un'esperienza di mobilità all'estero. Sul totale degli studenti in ingresso nel
Regno Unito, il 25% degli studenti Erasmus arrivati nelle università
britanniche è francese, il 16% proviene dalla Germania, il 15,4% dalla Spagna e
l'8,5% dall’Italia. Un flusso a beneficio degli studenti con zero costi di
iscrizione, una borsa di studio, l’integrazione di più sistemi universitari e
lo svolgimento di esami in più sedi, che poi confluiscono nel titolo dello
Stato di origine. Se fino all’avvio della procedura di recesso tutto continuerà
a funzionare come al solito, dopo i cambiamenti saranno inevitabili. È
possibile, però, che siano di minore portata rispetto ad altri settori. Questo
perché già oggi il programma Erasmus+, operativo dal 2014 al 2020, è aperto
anche a Stati terzi, sia a quelli che fanno parte dello spazio economico
europeo come Norvegia, Islanda e Liechtenstein, sia a Paesi candidati
all’adesione come Turchia ed ex Repubblica di Macedonia. Non solo. Con Erasmus
Mundus le frontiere si allargano e così gli spazi per gli studenti Ue di andare
a studiare in un altro Paese. Considerando che l’Erasmus è una delle poche
immagini di un’Europa che funziona. Integrata almeno negli studi è difficile
dire addio a un meccanismo che porta benefici simultaneamente a studenti e
strutture universitarie.
Contraccolpi gravi sulla ricerca e l’innovazione
potrebbero arrivare dall’uscita dal sistema dello European Research Council
(ERC). Proprio le università inglesi sono le principali beneficiarie di
ricercatori impegnati in ricerche di eccellenza e innovative che si avvalgono
dei fondi ERC. Nel 2015, il Regno Unito era in vetta alla classifica dei Paesi
che hanno ricevuto più fondi per effetto dei progetti approvati (62), seguito
dalla Germania. In questo settore, quindi, il danno è proprio alle strutture
inglesi perché il sistema di ripartizione di fondi è basato sulle sedi in Stati
membri e non sulla nazionalità dei ricercatori (già oggi possono essere extra
Ue). (Fonte: M. Castellaneta, IlSole24Ore 30-06-16)
STUDENTI
STRANIERI ISCRITTI
Secondo gli ultimi dati MIUR a disposizione, negli atenei
italiani si contavano 70.339 iscritti stranieri nel 2014-2015: un quarto dei
271.399 della Francia, un terzo dei 206.986 della Germania e appena 13mila in
più dei Paesi Bassi, aumentati oltre quota 57.500 nonostante le ovvie
differenze di popolazione. Il bilancio è in crescita rispetto ai poco più di 30mila
registrati nel 2003, ma resta lontano dai target che si sono posti da tempo i
nostri vicini di casa europei. Soprattutto ora, con i contraccolpi della Brexit
e la possibilità di intercettare il flusso di studenti spaventati dal rincaro
delle rette nei college anglosassoni. Uno studio dell'agenzia di promozione
London&Partner ha evidenziato come gli studenti internazionali generino un
“tesoretto” di 3 miliardi di sterline l'anno in entrate alla sola Londra. Una
cifra che potrebbe riversarsi al di fuori della City, in compagnia di un
fattore che va oltre la contabilità pura: il capitale umano di talenti che
studiano, si laureano e restano a lavorare nel Paese che li ha formati. (Fonte:
A. Magnani, IlSole24Ore 10-07-16)
STUDENTI.
RIASSEGNAZIONE DEI POSTI RIMASTI LIBERI RISERVATI AGLI EXTRACOMUNITARI NELLE
FACOLTÀ CON ACCESSO A NUMERO PROGRAMMATO
E’ in corso la riassegnazione dei posti rimasti liberi
riservati agli extracomunitari nei corsi universitari con accesso a numero programmato. Il Consiglio di
Stato, infatti, sta continuando ad accogliere i ricorsi presentati a seguito
della chiusura della graduatoria per i corsi di laurea in medicina e chirurgia,
odontoiatria e medicina veterinaria. A renderlo noto, l'Unione degli
universitari, tramite una nota con la quale ha fatto sapere che il Collegio, a
seguito della Camera di consiglio che si è svolta nei giorni scorsi, ha
ritenuto fondate le richieste dei ricorrenti dell'UDU, che reclamavano
l'assegnazione del numerosi posti ancora disponibil. Nel dettaglio, oltre ai
posti rimasti vuoti a seguito dalla chiusura della graduatoria effettuata dal MIUR,
sui quali è stata disposta istruttoria e che si stimano in diverse centinaia,
sono rimasti vacanti anche moltissimi posti del contingente riservato agli
studenti non comunitari residenti all'estero. Questi ultimi non vengono
ridistribuiti tra gli studenti comunitari lasciando i posti fruibili ma non
assegnati. (Fonte: ItaliaOggi 16-07-16)
STUDENTI. ORIENTAMENTO PER LA SCELTA DEL CORSO DI LAUREA
La scelta del corso di laurea
ha conseguenze non meno importanti rispetto a quella se intraprendere o no gli
studi universitari. In un momento di profondo cambiamento delle figure
professionali richieste sul mercato del lavoro, la capacità di orientare i
giovani a prepararsi per il futuro ha un ruolo fondamentale per mitigarne gli
effetti indesiderati. È però anche un compito difficile perché è necessario non
solo capire quali saranno le competenze richieste dalle imprese, ma anche
comprendere quali variabili incidono maggiormente sulla scelta degli studenti e
intervenire su di esse. Di sicuro, un ruolo rilevante è svolto dalla percezione
della propria abilità: difficilmente uno studente sceglierà di iscriversi a
ingegneria se ritiene di non avere competenze e attitudini che gli
permetteranno di affrontare con successo quel particolare percorso di studio.
Una buona formazione di base consentirà agli studenti di fare scelte meno
influenzate dal timore di non farcela a cimentarsi in discipline ritenute più
difficili. Se alcune competenze risultano di particolare importanza, allora
sarà bene incominciare a costruirle già a partire dalla scuola primaria.
Importanti sono anche le informazioni di cui dispongono gli studenti circa
l’offerta formativa delle università, i rendimenti attesi delle diverse lauree,
le probabilità di abbandono. Interventi tesi a migliorare le competenze degli
studenti e a migliorare la comunicazione tra famiglie, scuole e università, non
solo permetterebbero agli studenti di fare scelte più libere e consapevoli, ma
servirebbero anche a combattere le diseguaglianze poiché, secondo alcuni studi,
queste politiche hanno un effetto positivo soprattutto sugli individui con
background sociale più debole. (Fonte: M. De Paola e V. Scoppa, lavoce.info
19-07-16)
VARIE
SCI-HUB E LA
"PIRATERIA SCIENTIFICA"
28 milioni di download in sei mesi, da una piattaforma
che conta quasi 50 milioni di documenti. È Sci-Hub, uno dei maggiori siti web a
livello mondiale da cui scaricare gratuitamente articoli scientifici, aggirando
la necessità di pagare gli editori che di quegli articoli detengono i diritti.
Inutile dire che si tratta di un sistema illegale, contro il quale si è mosso
Elsevier e che alimenta il mercato della “pirateria scientifica”. John Bohannon
in un articolo su Science fornisce le dimensioni del fenomeno. Contatta
direttamente Alexandra Elbakyan, la giovane neuroscienziata che nel 2011 ha
creato la piattaforma, la quale estrapola i dati e li rende disponibili. Da
settembre 2015 a febbraio 2016 dei 28 milioni complessivi, sottolinea Bohannon,
4,4 milioni di download provengono dalla Cina, 3,4 milioni dall’India, più di
2,6 dall’Iran. Seguono Russia e Stati Uniti. Un quarto delle richieste di
articoli arrivano dai 34 Paesi dell’Organisation for Economic Cooperation and Development
(OECD), segno che non sono solo le ragioni economiche, negli Stati più poveri,
a spingere in questa direzione. Il traffico, anzi, è particolarmente intenso in
alcune università statunitensi ed europee, dove si suppone che l’accesso alle
riviste scientifiche sia più facile grazie anche agli abbonamenti
istituzionali. Sono stati contati a livello mondiale 3 milioni di indirizzi IP
e ciò significa che il numero di chi si serve di Sci-Hub è molto maggiore, dato
che nelle università ad esempio le persone che condividono le stesse risorse
informatiche sono molte. Se si guarda all’Italia, ci si accorge che il sito non
è sconosciuto. Solo per dare qualche numero esemplificativo, nella città di
Padova in sei mesi i download sono stati 6.371, a Milano 24.172 (senza contare
tutto l’hinterland milanese), a Roma 42.981. Chi ricorre alla piattaforma o ad
altri siti pirata dichiara di farlo principalmente perché non ha accesso alle
riviste (51%), per opporsi ai profitti degli editori (23%), ma anche perché il
sistema è più semplice di quello proposto dalle biblioteche o dagli editori
(17%). (Fonte: M. Panetto, IlBo 01-08-16)
ISTITUTO ITALIANO DI TECNOLOGIA E PUBBLICHE RELAZIONI
Alla
governance di IIT (Istituto Italiano di Tecnologia) qualche mese fa la redazione di Roars ha posto dieci domande . La
redazione di Roars non ha mai ricevuto risposta malgrado alcune di queste
domande siano state discusse anche dal rapporto della senatrice Cattaneo.
In una intervista al sito Motherboard, che
ha approfondito la questione Human Technopole, è stato chiesto di nuovo a IIT
una risposta alle domande di Roars. Così il giornalista racconta la replica di
IIT: «Ho chiesto a Stefano Amoroso, addetto alle pubbliche relazioni presso
l’IIT, se fosse a conoscenza delle dieci domande di Roars e la sua risposta è
stata: le risposte sono informazioni disponibili sul sito IIT.it. Alcune di
esse sono senza ratio, oppure da rivolgere ai ministeri vigilanti». In
calce all’articolo G. Pastore ha commentato: Vertici IIT e
“responsabile” dovrebbero imparare da zero cosa vuol dire “pubbliche
relazioni”. Ma da persone così contigue al mondo politico italiano sarebbe
difficile aspettarsi un atteggiamento meno arrogante. (Fonte: Redazione
Roars 21-06-16)
CINECA. LE
DOMANDE DI ROARS DOPO UNA MANIFESTAZIONE DEI DIPENDENTI
Cosa sta succedendo al Cineca? E’ possibile che un
organismo pubblico finanziato con il denaro dei contribuenti possa agire
indisturbato, senza trasparenza, generando episodi come quello appena accaduto
(http://www.roars.it/online/tag/cineca/, Il Resto del
Carlino 15-07-16), che dimostra un atteggiamento intollerabile di censura?
Perché i vertici di Cineca non vogliono che vengano diffuse informazioni e
sanzionano i dipendenti che esprimono le proprie opinioni? Quali e quante sono
le persone che hanno lasciato il consorzio da quando è iniziata l’epurazione
dei vertici? Che ruolo ricoprivano e che profilo avevano? Quale politica del
personale è stata adottata per salvaguardare le professionalità elevate? Quali
danni subiranno gli atenei a causa di una politica del personale che porta come
conseguenza rilevanti perdite fra coloro che dovrebbero occuparsi di
innovazione, di tecnologie avanzate e di servizi informatici complessi ed
essenziali per gli atenei consorziati? (Fonte 18-07-16)
NELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE NON SI PUÒ CONTINUARE A LAVORARE OLTRE L’ETÀ PENSIONABILE
La Corte Costituzionale ha dato il semaforo verde al
decreto Madia, convertito poi in legge nel 2014. La Consulta ha bocciato le
‘pretese’ anti-costituzionali presentate in particolare per alcuni docenti
universitari e avvocati dello Stato, spiegando: “Il decreto favorisce il
ricambio generazionale”. La legge Madia abolisce il trattenimento in servizio
anche oltre il limite d’età che dà la possibilità di andare in pensione.
Quindi, per il pubblico impiego lo stop bisogna farlo risalire al 31 ottobre
2014, mentre una deroga è stata concessa ai magistrati, con scadenza fissata
alla fine di quest’anno. La sentenza della Consulta ha il numero 133 e dice:
“La norma che prevede l’eliminazione del trattenimento in servizio si inserisce
tra le misure volte a favorire la più razionale utilizzazione dei dipendenti
pubblici e costituisce un primo intervento, peraltro puntuale e circoscritto,
di un processo laborioso, destinato a dipanarsi in un arco temporale più lungo,
volto a realizzare il ricambio generazionale del settore”. (Fonte 22-07-16)
DATI OCSE SULLA SCUOLA
Il pil pro
capite e la spesa per studente italiani sono in linea con la media dell'OCSE
(il pil pro capite in Italia è di Usd 32.110 rispetto a una media Ocse di
33.732 e la spesa per studente è di 84.416 rispetto a una media Ocse di Usd
83.382). Pertanto, coloro che sostengono che nel nostro paese si spende per la
scuola meno che negli altri paesi industrializzati dicono sciocchezze. In Italia,
solo il 17% dei 35-44enni ha una qualifica di livello terziario (universitario)
rispetto a una media Ocse del 34%. Insomma, l'analisi compilata dall'Ocse è una
radiografia né benevola né malevola della scuola italiana. Ricordiamo che molti
insegnanti e molte organizzazioni di studenti si sono opposti ai test e, anzi,
li combattono: è la scelta dell'asino che non vuole essere valutato proprio per
non «far conoscere» la sua asinaggine. C'è un dato però che manca e che
aiuterebbe a comprendere sino in fondo i fenomeni che percorrono i nostri
plessi scolastici: si tratta delle differenze Nord/Centro/Sud/Isole degli esami
di ammissione nelle università italiane più accreditate nella classifica
internazionale degli atenei (Politecnico di Milano, Politecnico di Torino,
Padova, etc). Negli ambienti universitari si parla di una falcidia degli
studenti che provengono dalle scuole medie superiori del Sud e delle Isole, a
dimostrazione che i 100 su 100 distribuiti a piene mani (per esempio in Puglia)
non corrispondono a preparazioni spiccate. (Fonte: D. Cacopardo, ItaliaOggi
30-08-16)
I LICEI BREVI AL VIA
Nelle prossime
settimane il ministro dell'Istruzione firmerà il decreto che darà il via libera
alla creazione di altre 60 prime classi di scuole superiori 'brevi'. La
sperimentazione si allargherà a partire dall'anno scolastico 2017-2018. Il
diploma sarà conseguito dagli studenti in corso dopo quattro anni di studi, a
18 anni, come già accade in Inghilterra, Francia, Spagna e negli istituti
tecnici tedeschi. Al momento, la sperimentazione coinvolge 11 scuole, 6
pubbliche e 5 paritarie, tra cui il San Carlo di Milano, il Visconti di Roma e
l'Esedra di Lucca. Cinque al Nord, due al Centro e quattro al Sud. Per
candidarsi, le scuole dovranno dimostrare la qualità della propria offerta
formativa, specie sul piano dell'innovazione, dell'utilizzo delle tecnologie e
delle attività di laboratorio. Inoltre, peserà molto il potenziamento, fin dal
terzo anno, del Clil, cioè l'insegnamento di una disciplina in lingua straniera
e un percorso di alternanza scuola - lavoro. (Fonte: v.p., QN 30-08-16)
ATENEI.
IT
CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE LA REPUBBLICA-CENSIS
- LE MIGLIORI UNIVERSITÀ ITALIANE 2015-2016
Tra gli atenei con più di
40mila iscritti è nettamente in cima alla classifica l'università di Bologna, grazie
soprattutto alla qualità dei suoi servizi digitali. Seguono Padova e Firenze.
L'università di Pisa si piazza invece ai piedi del podio, insidiata dalla
"Sapienza" di Roma e da quelle di Palermo e Torino. La statale di
Milano è solo ottava.
Perugia e Pavia: sono queste le
città in cui si possono trovare i migliori atenei di grandi dimensioni (tra i 20mila e
i 40mila iscritti). Terza l'università della Calabria di Cosenza; più staccate
Parma, Genova, Cagliari e Verona. Arrancano quelle delle grandi città come
"Tor Vergata" a Roma e la "Bicocca" di Milano.
Per quel che riguarda le
università considerate piccole (numero di iscritti tra 10mila e 20mila) spicca l'ateneo di Trento, quello che
ottiene il punteggio più alto tra tutte le università d'Italia; buoni risultati
anche per Siena, Sassari e Trieste.
Molti preferiscono studiare in atenei dal numero contenuto di iscritti, sperando di riuscire a orientarsi meglio e di essere seguiti di più nella didattica. L'università di Camerino, in questo, sembra essere una garanzia, piazzandosi nettamente in testa tra gli atenei con massimo 10mila iscritti. Più staccate altre realtà di provincia come Foggia, Macerata e Teramo.
Molti preferiscono studiare in atenei dal numero contenuto di iscritti, sperando di riuscire a orientarsi meglio e di essere seguiti di più nella didattica. L'università di Camerino, in questo, sembra essere una garanzia, piazzandosi nettamente in testa tra gli atenei con massimo 10mila iscritti. Più staccate altre realtà di provincia come Foggia, Macerata e Teramo.
La classifica Repubblica-Censis ha voluto mettere in una
casella a parte i politecnici, forse per la particolarità dell'insegnamento,
che li differenzia da tutte le altre università. In questo settore la medaglia d'oro va a quello di Milano, seguito
da quello di Venezia. Più giù Torino e Bari. (Fonte)
CLASSIFICA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE SECONDO THE TIMES
HIGHER EDUCATION
Quali sono le migliori
università italiane secondo il Times Higher Education Magazine? La migliore università italiana è la
Normale di Pisa che conquista il 50° posto, seguita dalla Scuola Sant’Anna di
Pisa al 90°. E le altre? In totale sono ben 19 gli atenei italiani presenti tra
i top 200 d’Europa e si trovano quasi tutti nel Nord Italia. Ma ecco allora la classifica delle università italiane
che è possibile ricavare da quella del Times Higher Education Magazine:
19 Università di Roma3
18 Università di Roma Tor Vergata
17 Università di Modena e Reggio Emilia
16 Politecnico di Torino
15 Università di Verona
14 Università di Milano Bicocca
13 Università di Firenze
12 Università di Pavia
11 Università di Napoli Federico II
10 Università di Torino
9 Università di Milano Statale
8 Università di Trieste
7 Università di Padova
6 Università di Roma La Sapienza
5 Università di Bologna
4 Politecnico di Milano
3 Università di Trento
2 Scuola Superiore Sant’Anna
1 Scuola Normale Superiore di Pisa
(Fonte)
(Fonte)
UPO. LA SCUOLA DI MEDICINA AL SECONDO POSTO SU 44 SCUOLE
La Scuola di Medicina dell'Università del Piemonte Orientale (UPO) si è
classificata al secondo posto, in Italia, su 44 scuole, come produttività
scientifica; i dati sono del Censis e si riferiscono al biennio 2015-2016. Il
traguardo raggiunto è solo uno dei tanti che l'hanno caratterizzata negli anni
recenti. La Scuola, presieduta dal professor Giorgio Bellomo, coordina
l’intera offerta formativa nel campo medico, delle professioni sanitarie e delle
biotecnologie dell'UPO, e si articola nel Dipartimento di Medicina
Traslazionale (DIMET), diretto dal professor Gian Carlo Avanzi, a vocazione
essenzialmente clinica, e nel Dipartimento di Scienze della Salute (DISS),
diretto dal professor Umberto Dianzani, a vocazione essenzialmente biologica.
La sede di attività principale della Scuola è l'Azienda Ospedaliero-Universitaria
Maggiore della Carità di Novara, cui si aggiunge una presenza minore nella
sede ospedaliera dell'Asl di Vercelli. La Scuola di Medicina conta circa 100
docenti e ricercatori e oltre 100 tra dottorandi, borsisti e assegnisti di
ricerca. Il rapporto studenti/docenti è pari a 28, contro una media nazionale
superiore a 30. L'Agenzia Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario
e della Ricerca (ANVUR) ha dato un ottimo giudizio dei due dipartimenti. DIMET
si è posizionato al 3° posto su 91 nelle Scienze Mediche, mentre DISS si è
posizionato al 14° posto su 99 nell'Area della Scienze Biologiche. (Fonti:
Censis e Anvur, giugno 2016)
UE.
ESTERO
L’ERC (CONSIGLIO
EUROPEO DELLA RICERCA) NEL 2017 AVRÀ A DISPOSIZIONE 1,8 MILIARDI DI EURO
Per i bandi del prossimo anno l’ERC - il Consiglio
europeo della ricerca - avrà a disposizione 1,8 miliardi di euro, il budget più
alto da quando si è insediato nel 2007. Fondi così cospicui non si vedevano dal
2013, quando le risorse a disposizione raggiunsero la cifra record di 1,75 miliardi.
Secondo le stime dell’ERC saranno 1070 i cervelli che beneficeranno
direttamente dei bandi 2017 sfruttando le ambitissime borse (i Grant) che
valgono ognuna fino a 2,5 milioni di euro. A cui si aggiungeranno 6500 tra post
doc, dottorandi e altri giovani che faranno parte dei gruppi di ricerca che
saranno costituti dai vincitori dei Grant. In tutto saranno dunque almeno 8000
i ricercatori coinvolti. Per partecipare ci sarà tempo fino al 18 ottobre
prossimo. Il secondo bando - «Consolidator Grant» - è destinato a ricercatori
che stanno entrando nel pieno della loro carriera con fondi cospicui (fino a 2
milioni di euro a progetto) per le loro ricerche. Il bando mette in palio 575
milioni per circa 320 ricercatori e si aprirà il 20 ottobre per chiudersi il 9
febbraio del 2017. Il 16 maggio del prossimo anno si aprirà invece la hall «Advanced
Grant» - quella che premia con maxi borse da 2,5 milioni di euro i migliori
ricercatori senior d'Europa - che ha a disposizione 567 milioni e si chiuderà
il 31 agosto del 2017 finanziando circa 245 borse. Infine con il bando «Proof
of concept» - che ha tre scadenze durante l’anno - l’ERC finanzierà quegli
scienziati che hanno già vinto borse di ricerca del Consiglio europeo della
ricerca e che vogliono portare le loro idee sul mercato, coprendo aspetti come
i costi della proprietà intellettuale, lo sviluppo tecnico del progetto e le
ricerche di mercato. (Fonte: M. Bartoloni, IlSole24Ore 27-07-16)
IL TERZO LIVELLO
D’ISTRUZIONE (UPPER SECONDARY) IN EUROPA
In Europa tra tante formule diverse c’è una costante:
quasi ovunque, le scuole equivalenti ai nostri licei (o istituti superiori) non
durano più di quattro anni. Ma è molto difficile fare confronti a partire dal
concetto italiano di “scuola secondaria di secondo grado”, perché in Europa la
struttura dell’istruzione ha delle sue peculiarità in ogni Paese, quindi cicli
e gradi non corrispondono. Molto meglio, quindi, usare la classificazione
internazionale ISCED 1997, creata dall’Unesco proprio per risolvere questo
problema. L’Unesco individua sette livelli di istruzione, che vanno dallo zero
(scuola per l’infanzia) al sesto (gli studi finalizzati a formare i
ricercatori). Una revisione dei livelli ISCED ha portato, nel 2011, a definire
nove livelli complessivi, senza però mutare quelli che analizzeremo. Il livello
che a noi interessa è il terzo (“upper secondary”), che identifica il ciclo
preuniversitario o finalizzato a formare “competenze professionali rilevanti”.
Vediamo anzitutto, a prescindere dalla durata del ciclo nei vari Paesi, a che
età gli studenti europei lo terminano. Fatte anche qui le doverose eccezioni
(alcuni ordinamenti sono molto complessi e ramificati), l’Unione si divide in
due gruppi principali: da una parte l’ex Europa dell’Est, i Paesi nordici e
l’Italia, in cui il ciclo si conclude a 19 anni; dall’altra gli stati
dell’Europa occidentale, in cui il diploma si consegue a 18. La Germania è a
metà strada (le scuole di questo livello terminano a 18 o 19 anni a seconda
dell’indirizzo scelto). Se dunque tentiamo di riassumere un panorama molto
variegato, e cerchiamo di trovare aspetti comuni, possiamo dire che una
maggioranza di Paesi prevede una “scuola media” che si protrae fino ai 15/16
anni (momento che spesso coincide col termine della scuola dell’obbligo) cui
segue un triennio o quadriennio di “scuola superiore” che si conclude, ovunque,
a 18 o 19 anni di età.
In conclusione, rispetto al modello italiano, la
maggioranza dei componenti dell’Unione opta per un secondo livello (“lower
secondary”) che rispetto alle nostre scuole medie triennali è spostato in
avanti, e si estende fino ai 15 o 16 anni contro i nostri 14; invece, ad essere
abbreviato praticamente ovunque è, rispetto al nostro quinquennio superiore, il
terzo livello (“upper secondary”), che dura in genere 3 o 4 anni, e si conclude
a 18 o 19 anni a seconda dell’area europea analizzata (un’esigua minoranza di
Stati prevede una durata biennale o di cinque anni come in Italia). (Fonte: M.
Periti, IlBo 13-05-16)
EUA. CONTRO LA SOSPENSIONE DI MIGLIAIA DI DOCENTI UNIVERSITARI TURCHI
L’European University
Association (EUA) si è mobilitata contro le misure adottate dal presidente
turco Erdogan all’indomani del tentativo di golpe. Il documento sottoscritto
dall’associazione degli atenei europei e dalla CRUI, la Conferenza dei rettori
delle università italiane, condanna “le azioni che stanno colpendo i diritti
civili dei singoli e delle collettività”. “In particolare - prosegue il
documento - vengono mortificate le libertà di ricerca, insegnamento,
autogoverno per lunga tradizione proprie delle Università ed essenziali alla
loro vita. Già nell’immediato, le misure del Governo turco provocano gravi
danni alle collaborazioni oggi attive e stabilite grazie a un lungo percorso
ispirato a valori che oggi vengono negati”. Ad oggi (21 luglio) sarebbero
15.200 i professori sospesi, mentre il Consiglio per l’Istruzione Superiore
(YÖK) ha ordinato le dimissioni di alte cariche delle università (1176 da
quelle statali e 401 da quelle gestite da fondazioni. (Fonte: Primapress
21-07-16)
FRANCIA. FORTE
AUMENTO DEI LAUREATI
La Francia segna il record di laureati nel 2016 con un
indice dell’88,5%, superando così anche la buona performance del 2014.
Obiettivo della legge di riforma transalpina è il 90%, recuperando così i
ritardi che si erano accumulati sino al 2010. Saranno, dunque, circa 635 mila i
nuovi laureati che usciranno dalle università francesi secondo il dato diffuso
in questi giorni dal Ministero dell’Education. La lettura del dato, secondo gli
analisti, è non solo nel nuovo piano di studi più contemporaneo messo a punto
da Najat Vallaud-Belkacem, la 40enne ministra emigrata dal Marocco che ha
infranto gli stereotipi razzisti con lo slogan “una scuola per tutti”, ma è
anche la forte preoccupazione della crescita dei livelli di disoccupazione in
fasce di popolazione meno professionalizzate. (Fonte: Primapress 10-07-16)
FRANCIA. LA SELECTION DES ETUDIANTS
POURRAIT ETRE AVANCEE A L'ENTREE DU MASTER 1 (BAC +4) ET NON PLUS A L'ENTREE DU
MASTER 2 (BAC +5)
Pour certains au gouvernement, ce serait aujourd'hui «le bon moment» pour
faire avancer le dossier de la sélection des masters universitaires, car les
esprits «se sont ouverts sur la question». Dans l'entourage de Thierry Mandon,
secrétaire d'État à l'Enseignement supérieur et à la Recherche, on estime
qu'une «loi» pourrait clore ce feuilleton juridique qui traine depuis des
années, mais on reste prudent: «Rien ne sera fait si on ne trouve pas un accord
avec les différentes parties, Conférence des présidents d'université,
représentants étudiants.» D'après des discussions datant du mois de juin, la
sélection des étudiants pourrait etre avancée à l'entrée du master 1 (bac +4)
et non plus à l'entrée du master 2 (bac +5). Les recalés se voyant proposer
d'autres diplómes «car il n'est pas question qu'ils ne puissent pas poursuivre
leurs études», souligne-t-on. Le gouvernement avait bien tenté quelque chose
pour éviter une multiplication des recours administratifs. Le 27 mai 2016, un
décret dressant la liste des M2 sélectifs pour la rentrée 2016 était publié. Un
texte législatif semble désormais incontournable, car ce décret semble
insuffisant. Notamment aux yeux des présidents d'université. Pour Manuel Tunon
de Lara, président de l'université de Bordeaux, favorable à une sélection à
l'entrée du Ml, «on est arrivé au bout d'un système. Le problème, c'est que dès
que le mot sélection apparaft, on en revient à des combats d'arrière-garde. Il
est pourtant tout à fait possible de proposer à un étudiant en licence de
biologie, refusé en neurosciences, un dipléme alternatif de biogénétique, par
exemple». (Fonte : Le Figaro 26-08-16)
GB. I VICE
RETTORI DI UNIVERSITÀ INGLESI INUTILMENTE SI SONO OPPOSTI ALLA BREXIT
I vice rettori di un centinaio di università del Regno
Unito hanno firmato una lettera aperta contro l'uscita del Paese dall'Unione
Europea, mettendo in guardia sul fatto che essa danneggerebbe l'istruzione, diminuirebbe
le opportunità per i britannici e minerebbe la posizione di leader in scienza e
innovazione. II testo è firmato dai vice rettori di quasi tutti gli atenei del
Paese, che si definiscono gravemente preoccupati. Tra i firmatari ci sono i responsabili
delle università di Oxford, Cambridge, Durham e Bristol. “La permanenza nell'Ue
sostiene le università britanniche nell'attrarre le menti più brillanti di
tutta Europa, il che rinforza la ricerca universitaria e l'insegnamento e
contribuisce alla crescita economica”, si legge nella lettera. Gli accademici
mettono in guardia anche sul fatto che l'uscita creerebbe “un ambiente
difficile per l'investimento ad ampio spettro nell'educazione superiore e nella
ricerca”. (Fonte: Avvenire 22-06-16)
GB. HORIZON2020 DOPO BREXIT
Dopo Brexit
tremano anche le università inglesi che
verranno private di 1,2 miliardi di sterline che ogni anno Bruxelles rilasciava
a favore degli istituti universitari britannici. Un fondo che è destinato a
diminuire notevolmente e che potrebbe provocare non pochi danni alla ricerca e
conseguentemente la fuga dagli atenei di molti studiosi provenienti da tutta
Europa. Il programma
Horizon2020, che finanzia la ricerca sia nelle aziende
private che nelle università, finirà tra quattro anni, dopodiché, per gli
atenei inglesi sarà davvero difficile. Solo tra il 2007 e il 2013 Bruxelles ha
erogato 7 miliardi di euro. (Fonte:
Il Mattino, 02-07-16)
GB. ALLARME PER
L’ERASMUS DOPO LA BREXIT
La Gran Bretagna dopo aver scelto l'addio all'Europa
rischia di vedere anche i suoi studenti e le università esclusi dal celebre
programma Erasmus. E' l'allarme lanciato sulle pagine dell'Observer da Ruth
Sinclair-Jones, che dirige nel Regno Unito l'interscambio degli studenti
europei e parla di un ''momento di grande incertezza''. Non solo i giovani
britannici potrebbero venir esclusi da importanti periodi di formazione
all'estero ma gli atenei del Regno finirebbero col subire cospicui tagli di
fondi alle loro finanze, fondamentali ad esempio per la ricerca. Al momento,
sempre stando a Sinclair-Jones, non ci sono ancora conseguenze dirette, ma
''sul lungo periodo, la situazione è del tutto incerta'', e già dall'anno
prossimo ci potrebbero essere drastici cambiamenti. Secondo i dati diffusi
dall'Observer, si contano 120 mila studenti dai Paesi Ue nelle università del
Regno Unito e di questi 27.400 appartengono al programma Erasmus che paga
attraverso borse di studio le loro rette. (Fonte: ANSA 24-07-16)
GB. COMBINARE
ISTITUZIONE E CORSO DI LAUREA PER LA MIGLIORE CORRELAZIONE LAUREA-GUADAGNI
Secondo ricercatori dell’Institute for Fiscal Studies
conviene dirottare i propri interessi accademici verso le materie più
redditizie: sarà dunque utile iscriversi a medicina, economia e giurisprudenza.
Al limite, lingue straniere. E comunque, l’università conviene scegliersela
bene perché - dice la ricerca - nella correlazione laurea-guadagno c’è una
variazione più considerevole fra le istituzioni accademiche in cui ci si laurea
che fra le materie di studio scelte. Pertanto, se ce lo si può permettere
l’iscrizione va fatta alla University of Cambridge, che garantisce un futuro
stipendio annuo al di sopra del 50 percentile, con punte sopra al 90
(corrispondente a 121.400 sterline annue). Combinando istituzione e corso di laurea,
conviene trasferirsi a Londra e frequentare Imperial College, London School of
Economics o Kings College, che sono specializzati nell’offrire lauree proprio
nei campi più redditizi. Ma poiché per accedere a questi tre istituti è
necessario poter pagare rette molto alte e permettersi di vivere in una delle
città più costose d’Europa, va da sé che sia pure necessario avere le spalle
ben coperte da un reddito famigliare di tutto rispetto. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo
22-07-16)
GERMANIA.
L’UNIVERSITÀ TEDESCA STAREBBE SOSTANZIALMENTE RINUNCIANDO ALLA CULTURA COME
PERNO INTORNO A CUI ARTICOLARE LE PROPRIE VARIE ATTIVITÀ
In molti modi e per varie ragioni l’università europea
non è più padrona del suo destino, non decide più di sé, ma si trova
invischiata in una congiuntura che la fa essere sempre di più una macchina
etero-diretta: non ha più la mano sulla barra del timone che decide del suo
corso. Intorno a questo è calato un grande silenzio, come se si trattasse di un
fato tanto implacabile quanto del tutto coerente alla logica dei tempi. E, pertanto,
cosa su cui non vale la pena di spendere una parola.
Circoscrivo queste mie riflessioni a un luogo e a un tema
solo. Il luogo è il mondo universitario tedesco, perché è quello in cui mi sono
formato e che meglio conosco dall’interno. Il tema è quello di una quasi
ossessiva orientazione esclusiva al lavoro, almeno qui in Germania, di tutto il
comparto formativo: iniziando dal liceo e passando poi attraverso l’università.
Da qui la scelta di ridurre di un anno gli studi liceali, anticipando la
maturità, per consentire un più rapido inserimento nelle attività lavorative.
E, conseguentemente, una visione degli studi universitari in chiave prettamente
funzionale alla loro applicabilità immediata nel lavoro futuro, che incombe
imminente con la sua aura allettante di una promessa di successo e benessere
economico inesauribile. Tutto questo con ricadute di cui scarichiamo i costi
esistenziali sulle generazioni future. Tra il processo di Bologna, che ha
trasformato l’architettura degli studi universitari in una sorta di
prolungamento del modello liceale, e questa pressione ossessiva verso
l’attività lavorativa, l’università tedesca sta sostanzialmente rinunciando
alla cultura come perno intorno a cui articolare le proprie varie attività. La
cultura, questo essere indefinibile, sfuggente, ma così prezioso per la
formazione dell’umano all’avventura di vivere, paga il prezzo della sua non
immediata fruibilità; perdendosi nei meandri curricolari ossessivamente
orientati alla loro spendibilità remunerativa nel lavoro che verrà. (Fonte: M. Neri, Il Mulino
3/206 05-07-16)
GERMANIA.
L’ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE
In Germania il sistema di istruzione “upper secondary” è
complesso e ricco. Costituisce il naturale proseguimento di un livello
precedente ad esso collegato ed altrettanto variegato. Una ricchezza che si
traduce anche in una grande flessibilità, che permette frequenti passaggi da un
indirizzo all’altro nel corso dello stesso ciclo. Ciclo inferiore e superiore
coprono la fascia d’età che va dai 10 ai 18 o 19 anni. In genere il ciclo
superiore inizia a 16 anni e si conclude a 18 o 19, a seconda del percorso
scelto. La scuola principale per gli studi generali è la Gymnasiale Oberstufe,
che costituisce la parte finale (dai 16 ai 18-19 anni) del Gymnasium. Nella
stessa fascia d’età c’è il biennio (16–18 anni) della Fachoberschule: un primo
anno di lezioni teoriche e tirocini, un secondo anno di materie
professionalizzanti. C’è anche la Berufsfachschule, una scuola per la fascia 16–19
anni orientata al mondo del lavoro, che lascia ampio spazio alla pratica
professionale. Vi sono poi molte varianti, anche specifiche dei singoli Länder
(gli Stati federati della Germania). (Fonte: M. Periti, IlBo 13-05-16)
SVIZZERA. OPPOSIZIONI ALLA PROPOSTA DI TRASFORMARE PARTE DELLE BORSE DI
STUDIO UNIVERSITARIE IN PRESTITI NEL CANTONE TICINO
«Le borse di studio non si
toccano». E' questo il messaggio lanciato oggi dal Partito Socialista, che si
oppone alla proposta di trasformare parte delle borse di studio universitarie
in prestiti. La proposta di PLR, PPD e Lega è definita «inaccettabile» dai
socialisti che annunciano battaglia. Infatti, secondo i socialisti questo tipo
di misura di risparmio «riduce le opportunità di accesso a studi superiori ai giovani
ticinesi dei ceti meno abbienti» in un contesto economico e sociale «che vede
già una riduzione delle buone prospettive professionali anche per i giovani ben
formati». L'ipotesi riguarda chi segue un percorso di studi universitari
triennali, «visto che l'accordo intercantonale vigente impedisce che venga
applicata anche ad altri studenti». (Fonte 26-08-16)
A PROPOSITO DELLA
REPRESSIONE DELLA LIBERTÀ ACCADEMICA COME IN TURCHIA
«L’educazione ‘liberale’ libera la mente dalle catene
dell’abitudine e della tradizione, formando persone in grado di operare con
sensibilità e prontezza come cittadini del mondo», scrive Seneca nel De ira: è
questa la straordinaria potenza del pensiero critico, che è tanto temuta da
ogni regime illiberale, proprio perché, in quanto esercizio di verità, e
«compito per definizione infinito», non può che apparire al potere, agli
automatismi e all’opacità dei suoi processi decisionali, «una tecnica di
disturbo» (Edward Said). Come donne e uomini del mondo universitario, dobbiamo
oggi ribadire con forza e con orgoglio il significato dell’universitas:
“università” non è altro che una totalità che è sempre in divenire, che si fa
cioè continuamente attraverso la libera produzione e circolazione del sapere, e
attraverso il confronto aperto e spesso produttivamente conflittuale delle idee
e delle tesi. Una protesta unitaria di tutto il mondo universitario che
richiami al valore formativo del pensiero critico sarebbe un momento di
assunzione consapevole del nostro compito di docenti e ricercatori, e della
forza e dell’importanza che questo compito ha: difendere il diritto al sapere
contro la repressione e la violenza. (Fonte: Redazione Roars 07-08-16)
USA. LA SPESA IN SCIENZA E TECNOLOGIA
Gli Stati Uniti d’America
si confermano nel 2016 il paese che investe di più al mondo in scienza e
tecnologia (R&S). Alla fine di quest’anno, prevedono gli esperti della
rivista R&D Magazine, che dal 1959 redige ogni anno un suo accreditato
Global R&D Funding Forecast, gli investimenti americani in R&S saranno
pari al 2,77% del Prodotto interno lordo (Pil) e raggiungeranno l’inedita cifra
di 514 miliardi di dollari: il 3,4% in più rispetto al 2015 (il 2,0% al netto
dell’inflazione). Vedi Tabelle A, B, C. (Fonte: Scienza in rete 05-08-16)
TABELLA A. Spesa in R&S negli ultimi tre anni (in miliardi di
dollari)
|
2014
|
2015
|
2016
|
USA
|
485
|
497
|
514
|
Cina
|
344
|
373
|
396
|
Giappone
|
163
|
165
|
167
|
Germania
|
103
|
107
|
109
|
Corea del Sud
|
64
|
75
|
77
|
Totale Mondo
|
1803
|
1883
|
1948
|
TABELLA B. Investimenti USA in R&S per fonte nel 2016 (in
miliardi di dollari)
|
Spesa assoluta
|
% rispetto al
totale
|
Governo
federale
|
131,3
|
25,5
|
Industria
|
338,4
|
65,8
|
Università
|
18,3
|
3,6
|
Altra spesa pubblica
|
6,5
|
1,3
|
No-profit
|
19,5
|
3,8
|
Totale
|
514
|
100
|
TABELLA C. Le 10 università USA che investono di più in R&S (in
milioni di dollari)
|
|
R&S
|
Da fonte
federale
|
% da fonte
federale
|
1.
|
Johns Hopkins
|
2169
|
1539
|
71
|
2.
|
Univ.
Michigan,
Ann Arbor
|
1375
|
610
|
44
|
3.
|
Univ.
Washington, Seattle
|
1193
|
660
|
56
|
4.
|
Univ.
Wisconsin, Madison
|
1124
|
440
|
39
|
5.
|
Univ.
California,
San Diego
|
1076
|
566
|
53
|
6.
|
Univ.
California,
San Francisco
|
1043
|
574
|
55
|
7.
|
Harvard Univ.
|
1013
|
459
|
45
|
8.
|
Duke Univ.
|
993
|
454
|
46
|
9.
|
Univ. NC,
Chapel Hill
|
973
|
442
|
45
|
10.
|
Univ.
California,
Los Angeles
|
967
|
481
|
50
|
LIBRI
NON AVERE PAURA DI SOGNARE. DECALOGO PER ASPIRANTI
SCIENZIATI
Autore: Alberto
Mantovani. Ed. La Nave di Teseo, Collana Le Onde, 2016. Pg. 150.
Quando
l'astronauta Neil Armstrong lasciò la prima impronta dell'uomo sulla Luna, la
sua voce entrò in tutte le case: "Un piccolo passo per un uomo, un grande
salto per l'umanità". La scienza, d'altronde, si racconta attraverso le
intuizioni delle menti geniali che la illuminano, lasciando nell'ombra i
"piccoli passi" che portano un giovane studente a diventare un grande
scienziato. Alberto Mantovani, noto immunologo (il ricercatore italiano più
citato al mondo), raccoglie in questo libro dieci regole per coltivare il sogno
di molti ragazzi. Scorrendo questi consigli - che parlano di passione e
rispetto, creatività e apertura al mondo, che invitano a non temere la fatica e
ad ascoltare gli altri - si scopre pagina dopo pagina una guida per realizzare
se stessi anche al di fuori del mondo della ricerca, nel lavoro e nella vita. «Un
giovane può e deve avere l'ambizione di migliorare il mondo e un ricercatore
può farlo in diversi modi. Prima di tutto attraverso il progresso scientifico,
poi con il superamento, in nome della scienza, di divisioni che caratterizzano
il mondo politico, infine contribuendo — specie se si fa ricerca medica — a
colmare il gap nell'assistenza sanitaria fra le diverse parti del mondo. Per
questi scopi è fondamentale la condivisione: con i colleghi e verso la società.
Affrontare un problema in biologia e medicina richiede che si mettano insieme
più competenze, che devono essere combinate per raggiungere un risultato
rilevante. È successo e sta succedendo in questo campo quello che è accaduto in
fisica: il passaggio da una ricerca condotta dal singolo laboratorio a una big
science che richiede integrazione. Chi sceglie di fare il ricercatore può
quindi prendere parte a una grande impresa collettiva con ricadute su molti
piani». (Fonte: libreriauniversitaria.it; CorSera 31-08-16)
LA SCIENZA GIORNO PER GIORNO (1861-2015)
Autore: Mirella
Delfini. Ed. Clichy, Collana Les Halles, 2016. Pg. 180.
Dal giorno
dell'Unità d'Italia fino alla notte di Natale del 2015, l'elenco completo dei
momenti nei quali il pensiero scientifico dell'uomo ha permesso all'umanità di
progredire, di rendere la propria vita diversa. Tutto spiegato con precisione
scientifica e ricchezza di dati, ma anche con la semplicità della divulgazione
intelligente. Un libro che insegna senza annoiare, che racconta la nostra
storia da un punto di vista inconsueto, che regala insieme distrazione e
saggezza. Mirella Delfini, tra le più note e amate divulgatrici scientifiche,
conduce per mano i giovani e i meno giovani sul lungo percorso che va dal Big
Bang fino a oggi, arrivando a una conclusione: l'essere umano non è sapiens
sapiens, ma stupidus stupidus. Una cronologia completa e appassionante sul
progresso umano. Un libro di storia, un saggio scientifico, un inconsueto,
divertente, inclassificabile libro reference. (Fonte: libreriauniversitaria.it
)
L’INFINITO TRA PARENTESI. STORIA SENTIMENTALE DELLA
SCIENZA DA OMERO A BORGES
Autore: Marco
Malvaldi. Ed. Rizzoli, 2016. Pg. 252.
Malvaldi
comincia sempre dalla poesia. Ognuno dei dieci capitoli in cui è articolato il
testo è preceduto di volta in volta da una manciata di versi tratti
dall’Odissea di Omero o dall’Inferno di Dante, o da interi componimenti, come
la Ballata di Ernesto Regazzoni, Un lettore di Jorges Luis Borges, Vento e
bandiere di Eugenio Montale. Su questi componimenti l’autore indugia per
qualche momento, ma non per vezzo stilistico. Quasi senza accorgersene il
lettore saltella dalla poesia alla scienza e viceversa, come se l’una fosse
intimamente legata all’altra. Così ci troviamo a camminare nel deserto, in mezzo
alla sabbia, a scorgere il “volto smangiato”, le “ciglia aggrottate” il “labbro
corrugato” della statua di Ozymandias nella poesia di Percy Bysshe Shelley, ci
scopriamo a riflettere sullo scorrere inesorabile del tempo. Una pagina dopo
siamo all’università del Queensland in Australia, dove John Mainston segue uno
degli esperimenti più lunghi della storia, la dimostrazione che la pece pur
sembrando solida è in realtà liquida. E impariamo che ad alcuni liquidi serve
molto tempo per muoversi. La poesia dunque introduce, intuisce, anticipa, in un
gioco di rimandi con la scienza. Non ha importanza che il lettore sia digiuno di questi
argomenti: Malvaldi lo accompagna, con uno stile a tratti sfrontato,
irriverente e sempre senza fronzoli, a scoprire personaggi, luoghi, ingranaggi.
Il filo del suo ragionamento è preciso e puntuale, come quello dello
scienziato, e partecipato, “sentimentale”, come ogni poeta che si rispetti,
perché i due aspetti sono comunque essenziali. (Fonte: dalla recensione di M. Panetto, IlBo 22-08-16)
LUMPEN ITALIA. IL
TRIONFO DEL SOTTOPROLETARIATO COGNITIVO
Autore: Davide Miccione. IPOC, Milano, 2015.
Si è affermata una nuova figura di indigenza cognitiva,
quella propria dello “ignorante ipermoderno”, di chi antisocraticamente “non sa
mai di non sapere”, non si accorge neanche di essere ignorante e scambia il
proprio digiuno culturale per la massima realizzazione del sapere. Tale nuova
specie umana, che si diffonde sempre più, è analizzata, descritta ed
accuratamente postillata in tutte le sue manifestazioni nel libro di Davide
Miccione. Non è facile riassumerlo, perché sono molti i motivi, gli esempi, gli
argomenti che esso tratta, non fosse che per il metodo utilizzato,
prevalentemente fenomenologico. F. Coniglione su Roars cerca di darne una presentazione muovendosi
sul sottile e pericoloso crinale tra esposizione e interpretazione, una sorta
di personale riflessione dialogante col testo e da esso ispirata.
RISCHIO E
PREVISIONI. CHE COSA LA SCIENZA CI DICE SULLA CRISI
Autore: Francesco Sylos Labini. Collana Sagittari
Laterza, 2016.
La crisi economica sta cambiando la struttura della
nostra società, introducendo disuguaglianze insormontabili, marginalizzando le
energie più giovani, soffocando la ricerca scientifica e così inibendo anche la
possibilità di sviluppare quelle idee e tecnologie innovative che potrebbero
contribuire a guidarci fuori dalla crisi stessa. La scienza può però fornire
degli strumenti chiave non solo per la comprensione dei problemi alla radice
della crisi attuale, ma può anche suggerire soluzioni possibili e originali.
Economisti e politici hanno bisogno di adottare una mentalità scientifica. Ecco
come la scienza può aiutarci a capire la crisi economica e può fornirci
soluzioni originali. Ogni giorno ci viene ripetuto che esistono delle leggi di
mercato, la domanda e l’offerta, che non possono che condizionare le nostre
vite. Queste norme appaiono come ‘naturali’ quanto la legge di gravità, e gli
economisti, utilizzando equazioni e modelli matematici, sono percepiti come gli
scienziati destinati a comprenderle e a interpretarle. Ma veramente possiamo
fidarci delle previsioni dell’economia come di quelle della fisica? Ancora di
più: l’economia è davvero una scienza? Il sistema economico è ancora descritto
come costantemente caratterizzato dalla ricerca di una condizione di equilibrio
stabile. A questa prospettiva, che rispecchia i limiti e le idee della fisica
dell’Ottocento, l’autore contrappone le intuizioni offerte dalla fisica moderna
prendendo in considerazione i recenti sviluppi sullo studio dei sistemi caotici
e complessi. (Fonte:
recensione dell’editore 06-08-16)
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