IN EVIDENZA
DIECI BUGIE
SULL’UNIVERSITÀ
Erano quasi tutti di Napoli Federico II i docenti che si sono autotassati
per acquistare uno spazio sul Mattino e sul Corriere del Mezzogiorno, per
informare e coinvolgere l’opinione pubblica, denunciando le 10 Bugie
sull’Università più eclatanti:
1. In Italia ci sono troppe università-FALSO: abbiamo meno università, in rapporto alla
popolazione, di Spagna, UK, Germania, Francia. Inoltre, dal 2007 al 2015 c’è
stata una riduzione di matricole del 12.3% (al Sud è stata del 20.7%) ed
abbiamo una bassissima percentuale di laureati: tra la popolazione di 30-34
anni, solo il 23.9%, contro il 37.9% della media europea.
2. La ricerca italiana non è competitiva-FALSO: i lavori scientifici degli studiosi italiani,
rapportati agli investimenti in ricerca, sono più citati di quelli dei colleghi
di Francia, Germania e Stati Uniti: i docenti universitari italiani con pochi
mezzi per la ricerca riescono a mantenere una produzione scientifica di
prestigio internazionale.
3.
Laurearsi
in Italia non serve-FALSO: nel
2014, nonostante il protrarsi della crisi, il tasso di disoccupazione tra i
laureati è stato del 17.7%, tra i diplomati del 30.0% mentre tra quelli con
sola licenza media del 48.1%.
4.
L’Italia
spende adeguatamente per la ricerca–FALSO:
investe solo l’1.2% del PIL contro 2.8% di Germania, 2.2% di Francia, 1.7% di
Gran Bretagna (la media europea è circa del 2%).
5.
L’Italia
investe adeguatamente in istruzione universitaria-FALSO: nel periodo 2008-2014 si è avuta una riduzione del
21% dei finanziamenti all’Università Pubblica; in altri paesi c’è stato un
significativo incremento (Francia +3.9%, Germania +23.0%).
6.
In Italia
le tasse universitarie sono basse-FALSO. A parità di
potere d’acquisto, le tasse italiane sono tra le più alte d’Europa: 1,6 volte
le tasse svizzere e 1,9 volte quelle austriache. E’ da sottolineare che nei
paesi scandinavi, in Germania, ed in alcuni paesi dell’Est-europeo, gli
studenti universitari non pagano le tasse.
7.
L’Italia
garantisce il diritto allo studio-FALSO: nell’anno accademico 2014/15 il 25.1% degli studenti, che avrebbe avuto
DIRITTO a una borsa di studio, NON LA HA RICEVUTA. Questa percentuale sale al
Sud al 47.6%, con punte del 61.5% nelle isole. Nel 2015, il 23.3% delle
matricole residenti nel Sud si è iscritto in Università del Centro-Nord
determinando un nuovo fenomeno di emigrazione.
8.
Il
governo riconosce la dignità ed il ruolo della docenza universitaria–FALSO: tra le categorie del pubblico
impiego solo i docenti universitari hanno visto prolungato il blocco degli
stipendi per il 2015 e non hanno avuto il riconoscimento giuridico dell’anzianità
maturata nel quinquennio 2011-2015 durante il quale hanno continuato ad
insegnare, pubblicare articoli scientifici, tenere esami, seguire i tesisti,
ovvero a lavorare, senza che ciò abbia prodotto i dovuti effetti giuridici.
9.
Il
governo ha stanziato 2,5 miliardi di nuove risorse per la ricerca–FALSO: il governo si fa vanto di risorse
già previste in bilancio dal 2014 che, oltre a essere state ridotte, in parte
derivano proprio dal risparmio dovuto al mancato riconoscimento dell’anzianità
maturata dai docenti nel quinquennio 2011-2015. Per contro, il governo prevede
uno stanziamento di 1,5 miliardi in 10 anni per la realizzazione dello Human-Technopole
nell’ex area Expo, affidato all’Istituto Italiano di Tecnologia (ITT), fondazione di diritto privato.
10.
La
Valutazione della Qualità degli Atenei ha l’obiettivo di premiare gli Atenei
meritevoli–FALSO: l’attuale
sistema non prevede risorse aggiuntive per i “meritevoli”; viene solo
ridistribuita tra gli Atenei una quota dello scarso e decrescente finanziamento
ordinario sulla base di criteri che vengono cambiati continuamente (in 6 anni
22 diversi criteri!) e stabiliti a posteriori. (Fonte: https://dignitadocentiunina.wordpress.com/
26-05-16)
SULL'UNIVERSITÀ
ITALIANA SONO STATE SGANCIATE TRE BOMBE A EFFETTO RITARDATO NEGLI ULTIMI DUE
DECENNI
R. Simone prende spunto da un commento al libro di
Federico Bertoni (“Universitaly. La cultura in scatola”) per allargare il
discorso al processo di trasformazione dell’università. Le tre bombe del titolo
sono, secondo Simone, la riforma Berlinguer del 2000 che introdusse la
struttura didattica denominata 3+2, il cocciuto proposito del ministro Giulio
Tremonti (professore anche lui, sebbene solo come secondo lavoro) di ridurre
gli organici e prosciugare i finanziamenti, e, ciliegina sulla torta, la
riforma del 2010 che porta il nome dell'ex ministro Maria Stella Gelmini. La
prima riforma destrutturò l'organizzazione didattica col pretesto di renderla
europea; il piano Tremonti la impoverì restringendo il ricambio di personale e
i finanziamenti; la terza bloccò per anni il reclutamento, produsse un
terremoto strutturale del tutto insensato. Rilasciandosi negli anni, gli
effetti combinati delle tre bombe hanno prodotto la situazione attuale. Non
solo sono cambiate le condizioni materiali; è cambiata anche, in silenzio,
l'etologia dell'università, a cominciare dalla terminologia. I programmi di
studio si chiamano offerta formativa; le parti sociali portano nei consigli di
amministrazione la domanda del mondo del lavoro; il progresso degli studenti si
calcola in crediti e debiti; quel che esce dalla testa dei docenti
(pubblicazioni, brevetti, progetti, ecc.) si chiama prodotti della ricerca;
ogni docente (selezionato attraverso l'inenarrabile Abilitazione Scientifica
Nazionale, Asn) è sottoposto a cervellotiche Valutazioni della Qualità della
Ricerca (Vqr) che gli assegnano un voto che si porta appresso per la vita; le
università elaborano periodici piani strategici; i risultati dei ragazzi
vengono confrontati con benchmark; i dipartimenti compilano periodicamente la
Scheda Unica della Ricerca (Sua); i posti di docenza si calcolano a punti organico
(1 per gli ordinari, 0,70 per gli associati, ecc.); negli atenei si creano
Presidi di Qualità; le strutture che si progettano (dottorati, corsi,
master...) devono avere l'accreditamento passando per l'Ava (Auto-valutazione,
Valutazione, Accreditamento). Giuro che i termini e le sigle strampalate, che
ricordano le pianificazioni quinquennali sovietiche e cinesi, sono autentici e
quasi tutti fantasiosi parti dell'Anvur, il dispotico organo di valutazione
("di diretta nomina politica"), indifferente alle incessanti critiche
che suscita. Sono cambiate le egemonie: al ministero, dove una volta i guai li
facevano i pedagogisti, ora sono arrivati gli economisti che hanno un master
negli Usa. La mestizia si aggrava se si pensa che a ognuna di quelle sigle e
denominazioni corrispondano caterve di riunioni, documenti, circolari, moduli
elettronici, discussioni, difese corporative... Insomma una montagna di tempo
perso, che aumenta il carico burocratico della vita universitaria e ne distorce
gli scopi. A ciò si aggiungono alcuni tormentoni ossessivi:
l'internazionalizzazione, l'attrattiva, la digitalizzazione, l’e-learning...
Tra questi, istanze serie si mischiano inesorabilmente con le tante bufale alla
moda e le seduzioni di quel temibile complesso che io chiamo blocco
educativo-computazionale, formato da aziende e agenzie multinazionali che hanno
scoperto l'education (si dice così!) e intendono farci affari giganteschi.
(Fonte: R. Simone, Il Fatto Quotidiano 06-06-16)
I 100 ATENEI PIÙ
INNOVATIVI D’EUROPA
Le università più innovative d’Europa non sembrano avere
molto in comune. Alcune sono scuole cattoliche, altre laiche, alcune sono
statali e altre private. Una ha 920 anni. Un’altra è stata un’istituzione
indipendente per meno di un decennio. Sono sparse in tutto il continente,
alcune in grandi città, altre in zone rurali.
Unico punto in comune: quasi tutte enfatizzano la ricerca pratica e la
scienza applicata, al contrario degli studiosi puri. Politecnici e college
dominano la prima classifica Reuters delle 100 università più innovative
d’Europa, un elenco che identifica gli atenei che stanno facendo il massimo per
far progredire la scienza, inventare nuove tecnologie e contribuire a guidare
l’economia globale. L’università più innovativa d’Europa è la KU Leuven, una
scuola di lingua olandese con sede nella regione delle Fiandre (Belgio). Alcune
delle università top sulla lista sono state create quando le istituzioni più
grandi hanno staccato i loro dipartimenti tecnici. L’Imperial College di Londra
(al secondo posto) era precedentemente L’Imperial College of Science,
Technology and Medicine, parte della University of London. Sono cinque gli atenei italiani che compaiono nella lista: il
Politecnico di Milano, 42°, seguito dall’università degli Studi del capoluogo
lombardo, 52°, dalla Sapienza di Roma al 72° posto e da quella di Bologna al
79°. Chiude la classifica del Belpaese l’ateneo di Padova, alla 98° posizione.
Le università tedesche – tecniche e non – rappresentano 24 delle 100 università
più innovative in Europa, più di qualsiasi altro Paese. Il Regno Unito occupa
il secondo posto con 17 istituzioni sulla lista, tra cui i due più antichi
atenei di lingua inglese del mondo: l’università di Cambridge, terza, e quella
di Oxford, ottava. Su base regionale, l’Europa occidentale domina la lista, con
60 università nella top 100. Il Nord Europa arriva subito dopo, con 24; Il Sud
Europa ne ha 15. L’Europa orientale ha solo un ateneo nella lista, la
Jagiellonian University (Polonia), 92° in classifica. E solo cinque università
sulla lista si trovano in Paesi che non sono membri dell’Unione europea –
quattro in Svizzera e una in Norvegia (Università di Oslo, 41°). Le assenze di
rilievo nel top 100 includono le università di Russia e Turchia, due dei Paesi
più popolosi d’Europa; o qualsiasi ateneo nelle piccole ma ricche Svezia e
Finlandia. (Fonte: Roiters. http://www.dailyhealthindustry.it
14-06-16)
LA PROGRESSIVA
CONTRAZIONE DELLA DIMENSIONE DELLA FORMAZIONE SUPERIORE
Secondo i dati pubblicati da EUROSTAT lo scorso 20 aprile 2015 l’Italia è
precipitata all’ultimo posto in Europa per cittadini dotati di formazione
superiore, nella fascia di età 30-34 anni; vi sono paesi che si collocano ormai
ben sopra al 50%, come Lituania (53,3%), Lussemburgo (52,7%), Cipro (52,5%) e
Irlanda (52,2%) mentre, dalla parte opposta della scala, si collocano Italia
(23,9%), Romania (25%), Malta (26,6%), Slovacchia (26,9%) e Repubblica Ceca
(28,2%). L’Italia, con il suo deprimente 23,9% è proprio la peggiore, la
peggiore di tutti. L’obiettivo dell’Unione Europea è che tutti i suoi paesi
raggiungano il 40% entro il 2020; molti paesi lo raggiungeranno, alcuni lo
hanno già raggiunto, altri hanno già superato il 50% e qualche paese si propone
perfino di superare il 60%. L’Italia invece ha ridimensionato il proprio
obiettivo al 26%; è vero che anche altri paesi si pongono target inferiori al
40% ma, in ogni caso, tutti a livelli più elevati del 26% stabilito
dall’Italia. Ma la posizione dell’Italia merita un ulteriore approfondimento.
Nel 2012 l’Italia stava al 22,3%. Ad un’analisi superficiale si potrebbe
pensare che abbiamo fatto progressi in questi ultimi anni, che siamo cresciuti,
che siamo sulla buona strada e che, anche se forse non si raggiungerà proprio
il 26%, vi arriveremo vicini. Ebbene, le cose non stanno proprio così. Infatti,
gli studenti immatricolati, dopo aver raggiunto un numero massimo di 338.500
nel 2003/04, sono poi rapidamente scesi a circa 280.000 nel 2011/12, per
scendere ancora a 265.500 nel 2014/15, con una perdita annua di 73.000
studenti, pari al 21,6%. Il timido aumento riscontrato nelle immatricolazioni
20015/16, pari al 2,2%, non modifica la sostanza delle considerazioni svolte.
Corrispondentemente anche il numero degli iscritti è sceso da 1.824.000 del
2005/06 a 1.751.000 del 2011/12. Tutto questo fa capire che la lieve crescita
dei laureati in fascia di età i 30-34 anni non è altro che l’effetto dell’onda
lunga della crescita delle immatricolazioni nei primi anni del secolo e i dati
lasciano anzi prevedere che non avremo nessuna crescita dei laureati, ma
addirittura una diminuzione, che continuerà a lasciare l’Italia assai distante
da quel 40% che l’Unione Europea si è posto come obiettivo per il 2020. (Fonte:
A. Stella, IlBo 02-05-16)
CORSI
PROFESSIONALIZZANTI ALTERNATIVI ALLE LAUREE
Si sono diffusi nel Paese la nascita e l'affermarsi di
canali alternativi all’università, corsi che vengono avvertiti come un
passaggio più semplice verso un'occupazione. E fa niente che non rilascino una
laurea e che siano «diplomifici» a volte sospetti. Truccatori, osteopati,
informatici, montatori e tecnici tv. Spesso sono anche il sintomo della
proliferazione di lavori agganciati all'evoluzione economica e tecnologica,
come il web design. Così le università si sono trovate spiazzate e per correre
ai ripari inseriscono corsi professionalizzanti nel percorso di laurea. È un
modo per dare senso alle sempre più numerose sedi distaccate delle 90
università italiane che più di qualcuno considera troppe, anche se in verità
sono in linea con le medie europee: «Il punto non è il numero delle sedi. Sono
i doppioni che non vanno. Non hanno senso 90 sedi se sono tutte generaliste»
dice il rettore dell’UniBo Francesco Ubertini. Che senso ha, infatti, insegnare
giurisprudenza ovunque se tra l'altro è la facoltà che ha subito il maggior
tracollo di immatricolazioni: -45,6% dal 2004 a oggi? L'Italia è il Paese con
più avvocati al mondo. Colpa anche della mancanza di orientamento e della
formula dei tirocini in azienda durante gli studi. Una svolta che subisce le
resistenze culturali delle accademie. «Perché lasciare ai privati e a realtà
extrauniversitarie i corsi professionalizzanti che potremmo fa noi?». La
domanda del rettore Ubertini se la sta facendo il governo che in vista della
prossima legge di Stabilità studia forme di incentivi per università e aziende
che stringeranno accordi tra loro. Le prime ricaveranno punti di merito utili
nella competizione tra atenei, le seconde sconti contributivi se faciliteranno
stage e assunzioni tra gli studenti. (Fonte: La Stampa 12-06-16)
“FINCHE’ LA VOCE
RICERCA E LA VOCE WELFARE SARANNO CONSIDERATI COME VOCI DI SPESA E NON COME
VOCI D’INVESTIMENTO, DI PASSI IN AVANTI SE NE FARANNO MOLTO POCHI”
Questa dichiarazione è stata resa all’agenzia Dire da Mons. Nunzio
Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, presente
al convegno “Universita’ 2020”, l’incontro nazionale organizzato dall’AIDU -
Associazione Italiana Docenti Universitari, la più grande associazione di
docenti cattolici del Paese.
L’università «attende un cambio di prospettiva» ha evidenziato monsignor
Galantino. «La situazione dell'università - ha osservato il presule - è la
situazione di qualsiasi realtà che in questo momento attende: attende dei
segnali, attende un'attenzione maggiore come tutta quanta la ricerca, perché
penso che finché la voce ricerca e la voce welfare saranno considerati come
voci di spesa e non come voci d'investimento, di passi in avanti se ne faranno
molto pochi». L'università quindi «è una delle realtà in attesa di segnali
forti da parte di chi governa: segnali positivi ce ne sono, e bisogna anche
riconoscerli, però se si dice che questo basta è pericoloso».
Al convegno, svoltosi nell’aula Volpi dell’Università di “Roma Tre”, oltre
a Galantino e a circa un centinaio di professori, anche il rettore del terzo
ateneo capitolino Mario Panizza, rappresentanti della Chiesa e delle
istituzioni, esperti e ricercatori che hanno illustrato studi recenti sulla
condizione degli studenti italiani, ai quali e’ stata dedicata parte
dell’incontro. I riferimenti alla crisi e alla necessità di investire in
istruzione e ricerca sono venuti da più parti. (Fonte: www.dire.it 27-05-16)
ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
NUOVE REGOLE PER
L’ABILITAZIONE SCIENTIFICA NAZIONALE
Due le principali novità nelle nuove regole per l’Abilitazione Scientifica
Nazionale, il titolo necessario per poter insegnare all’Università, che ha
avuto il via libera in Consiglio dei Ministri. Viene introdotta la cosiddetta
procedura a “sportello”: gli aspiranti professori potranno presentare la loro
candidatura in qualsiasi momento dell’anno e non più solo entrano periodi
limitati fissati dal Miur. Sono state anche riviste le modalità di sorteggio
delle commissioni per garantire una maggiore rappresentatività dei settori
disciplinari. Il DPR approvato oggi in via definitiva è stato vagliato dal
Consiglio di Stato e dalle Commissioni parlamentari.
Si riporta una tabella con la sintesi
delle modifiche apportate.
(Fonte: http://www.giurdanella.it/2016/06/07/abilitazione-scientifica-nazionale-nuovo-regolamento-in-gazzetta/
07-06-16)
Un commento di Redazione Roars (09-06-16): Il nuovo
regolamento si spinge oltre il precedente nel prevedere che i cosiddetti indicatori
possano costituire una soglia imprescindibile per il conseguimento
dell’abilitazione: Sarà interessante vedere quali e quanti problemi – forieri
di contenzioso – potranno derivare dai possibili errori nel calcolo degli
indicatori. Tutto ciò premesso, è interessante osservare che, stando al sito
dell’ANVUR, «la procedura di revisione annuale per il riconoscimento delle
riviste scientifiche e di classe A ai fini della Abilitazione Scientifica
Nazionale, prevista inizialmente per il mese di Giugno 2016, è posticipata al
prossimo autunno». Ora, non sfuggirà ai lettori che, salvo un’inaspettata
rinuncia ai ranking di riviste, senza liste di riviste in fascia A non è
possibile: 1. valutare la severità dei valori soglia e, a maggior ragione,
valutare i percentili (se i valori soglia, saranno comunque agganciati a
nozioni statistiche). 2. far partire la selezione dei commissari. In un quadro
del genere, perdurerebbe il blocco del reclutamento universitario, rendendo
necessario prorogare ulteriormente gli RTDb.
ABILITAZIONI A
MAGGIORANZA SEMPLICE. SENTENZA DEL TAR LAZIO
In una recente sentenza il TAR Lazio afferma che in presenza di un’abilitazione
scientifica nazionale conferita a maggioranza semplice (3 commissari su 5) non
possa prevalere la mancata abilitazione conferita a minoranza (2 su 5). Il TAR
ritiene che la decisione del Consiglio di Stato relativa alla maggioranza per
il conseguimento dell’Abilitazione, in quanto volta ad annullare una
disposizione regolamentare, abbia efficacia erga omnes, e pertanto dichiara
abilitato, senza ulteriori approfondimenti del caso né rinvii, un candidato che
aveva proposto ricorso. Il ricorrente, avendo conseguito il voto positivo della
maggioranza dei commissari, deve considerarsi abilitato, essendo questo
l’effetto discendente direttamente dalla norma regolamentare annullata “in
parte qua”, una volta eliminato “ex tunc” ogni riferimento alla maggioranza dei
quattro quinti.
ASN. SENTENZA
TAR: CON 3 SÌ SU 5, ABILITAZIONE DIRETTA "ERGA OMNES"?
I rischi per il MIUR sono più che evidenti, scrive R.
Tomei su il foglietto.it: nell’estendere il principio generale a tutti quelli
che sono stati “condannati” all’inidoneità nonostante avessero ottenuto il
giudizio positivo di 3 commissari su 5 (anziché di 4 su 5, come illegittimamente
preteso dal Miur), lo stesso ministero e le università potrebbero trovarsi a
dover fare i conti con un folto gruppo di non abilitati, pronti a ricorrere per
ottenere “l’abilitazione diretta”, senza passare di nuovo per le relative
commissioni esaminatrici, essendo - scrive il Tar - "Il giudizio finale
abilitativo ... già insito in quello in concreto deliberato dalla Commissione
secondo il quorum deliberativo da considerare, oggi ma anche per allora,
legittimo e sufficiente". (Fonte: R.Tomei, http://tinyurl.com/hbfdbhf
26-05-16
CLASSIFICAZIONI DEGLI ATENEI
UK. LE 10
BUSINESS SCHOOL PIÙ SELETTIVE
Business e management sono due fra i corsi universitari
più ambiti, perché rappresentano la porta di accesso a ricche carriere nel
mondo della finanza e del business. Prendendo in considerazione i risultati
della guida annuale “The complete university ranking” delle 127 università
britanniche, Business Insider pubblica l’elenco delle 17 più selettive, sulla
base dei punteggi di ammissione (Ucas). Oxford e Cambridge non fanno parte
dell’elenco, perché offrono corsi avanzati. Di seguito, i nomi che si piazzano
ai primi dieci posti.
10 – Università di Edimburgo, 9 – Durham University. 8 –
Università di Exeter. 7 – Università di Bath. 6 – Università di Strathclyde. 5 – London School of
Economics. 4 – University College London. 3 – King’s College London. 2 – Università di
Warwick. 1 – Università di St. Andrews
Non solo St. Andrews è la business school più selettiva
del Regno Unito (punteggio minimo: 555), ma è anche considerata la migliore.
(Fonte: panorama.it 10-05-16)
SDA BOCCONI.
EXECUTIVE EDUCATION 2016 DEL FT LA CONFERMA NELLA TOP 10
Il ranking Executive Education 2016 pubblicato oggi dal Financial Times
evidenzia nella classifica relativa ai soli corsi su misura (customized
programs) l'SDA Bocconi posizionarsi al 6° posto al mondo, e 5° in Europa; tale
ranking è basato per circa il 70% sul feedback delle imprese clienti. Il
ranking, rimarca una nota dell'Università milanese, valuta la qualità dei corsi
a catalogo e su misura attraverso vari parametri e la posizione nella
classifica finale è calcolata attraverso la media dei punteggi nelle due
distinte classifiche. Nella classifica per i corsi a catalogo (open programs) SDA
Bocconi si colloca 39a al mondo, e 20a in Europa, e nella classifica generale
del ranking ottiene il 18° posto nel mondo, e il 10° in Europa. (Fonte: www.finanzaonline.com 23-05-16)
CLASSIFICA CENSIS. PER IL GRUPPO SCIENZE DELL’EDUCAZIONE E DELLA
FORMAZIONE AI PRIMI TRE POSTI GLI
ATENEI DI BOLOGNA, ROMA TOR VERGATA E URBINO CARLO BO
Come lo scorso anno ritornano in cima Bologna
e Roma, mentre scende di posto Siena. Ancora una volta
bisogna scendere nella classifica per trovare le Università siciliane. Al 23° posto troviamo
Catania, salita di due posti rispetto allo scorso anno, mentre
Palermo e Messina sono alla fine della classifica, precisamente al 36° e 37°
posto, prime solo alla 38esima, l’Aquila. Per quanto riguarda Palermo e Messina
il loro posto rimane quasi invariato rispetto alla classifica del 2015/2016. (Fonte: http://catania.liveuniversity.it/2016/06/14/classifica-censis-i-migliori-atenei-del-gruppo-scienze-della-formazione-per-il-20162017/
)

DOCENTI
LE POLITICHE
GOVERNATIVE DAL 2007 E LE MANCATE RISPOSTE DEL MIUR SULLA DISCRIMINAZIONE NEI
SOLI CONFRONTI DEI DOCENTI
Fra i danni determinati dalle politiche governative al sistema
universitario nel suo complesso dal 2007 ad oggi si segnala, in particolare:
- la preoccupante
riduzione, dal 2007, del 20% dei finanziamenti per le Università a fronte di un
incremento del finanziamento in altri Paesi Europei (Francia + 3.9%, Germania
+23%);
- la riduzione
degli stanziamenti per diritto allo studio che ha visto nell’anno accademico
2014/15 il 25,1% degli studenti non ricevere la borsa di studio, cui pure
avevano diritto, con punte del 47,6% al sud ed, in particolare, del 61,5% nelle
isole;
- la discriminazione operata nei confronti dei
soli Docenti Universitari che hanno visto, essi soli, prolungato il blocco
degli stipendi nel 2015, ed annullato il riconoscimento giuridico
dell’anzianità maturata nel quinquennio 2011-2015.
Sarebbe opportuno che, finalmente, il Ministro spiegasse:
- perché si è
consolidata un’incomprensibile discriminazione nei soli confronti della docenza
universitaria, a differenza di tutti gli altri dipendenti pubblici non
contrattualizzati, per i quali il blocco o non è mai esistito o è stato
applicato per il solo quadriennio 2011-2014 e comunque con il relativo
riconoscimento giuridico;
- perché questa
penalizzazione è particolarmente violenta nei confronti dei più giovani tra i
docenti, ed è pertanto inversamente proporzionale al reddito percepito;
- perché anche la
sollecitazione al Ministro del Presidente della Repubblica, in considerazione
di un’esplicita richiesta a lui indirizzata, non abbia ancora avuto pubblica
risposta;
- quali siano le
considerazioni che abbiano costretto lo Stato a violare in modo così palese i
principi primi di equità e di uguaglianza.
(Fonte: Mozione del Dipartimento di Ingegneria Elettrica
e Tecnologie dell’Informazione dell’Università di Napoli Federico II pubblicata
da Roars, 18-05-16)
LE VERTENZE NELLA
PIATTAFORMA PROPOSTA DAL “MOVIMENTO PER LA DIGNITÀ DELLA DOCENZA UNIVERSITARIA
La piattaforma proposta dal “Movimento per la Dignità della Docenza
Universitaria”, i cui documenti segnalavano a fine aprile 23.500 aderenti,
afferenti a 82 diverse sedi universitarie, prevede, in termini di vertenze a
breve termine, i seguenti punti:
1) subito per la Docenza il riconoscimento pieno del periodo 2011-2015, che
la riallinei a tutto il pubblico impiego dal 1° gennaio 2015, ripristinando la
dignità offesa;
2) subito la riapertura della contrattazione per il personale tecnico,
amministrativo e bibliotecario;
3) nella prossima legge di stabilità di fine 2016 il finanziamento di:
A. 6.000 posti da Professore Associato; infatti, non è logico mantenere nel
limbo di un ruolo ad esaurimento 17000 Ricercatori a tempo indeterminato […] ma
occorre dare a chi è nel vecchio ruolo la possibilità di assumere le funzioni
dei nuovi ruoli previsti;
B. 3.000 posti da Professore Ordinario (abbiamo 20.000 Professori Associati
a cui occorre dare le
possibilità di progredire);
C. 3.000 nuovi posti da Ricercatore di tipo B (l’Università ha bisogno di
nuove leve aggiuntive).
4) nella legge di stabilità del 2017 un piano di assunzioni identico a
quello del 2016 (quindi ulteriori 6.000 + 3.000 + 3.000 nuovi posti)
5) sempre nella legge di stabilità del 2017 uno stanziamento di 400 milioni
di euro da destinare
prevalentemente alla ricerca di base.” (Fonte: www.umanitanova.org 29-05-16)
CORTE
COSTITUZIONALE. ABOLITO IL TRATTENIMENTO IN SERVIZIO DEI PROFESSORI
UNIVERSITARI OLTRE I LIMITI DI ETÀ PER LA PENSIONE
Salva la legge Madia sui pensionamenti. E’ questo l’esito
della sentenza n. 133 del 10 giugno 2016, con la quale la
Corte Costituzionale, dichiarando non fondati o manifestamente infondati una
serie di ricorsi, ha bloccato il tentativo dei professori universitari e degli
avvocati dello Stato di continuare a restare in servizio oltre l’età
pensionabile. La Consulta dunque “promuove” il decreto legge Madia (convertito
nella legge n. 114 del 2014), che dice no al trattenimento in servizio oltre i
limiti di età per la pensione nella Pubblica amministrazione.
La Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato infondate
le questioni di incostituzionalità sollevate a proposito di alcuni casi
relativi a docenti universitari e avvocati dello Stato. Il provvedimento, tra
l’altro, dice la Corte, «favorisce il ricambio generazionale». La legge Madia
abolisce il trattenimento in servizio che permetteva di restare al lavoro anche
dopo il compimento dell’età richiesta per andare in pensione. Per la generalità
del pubblico impiego lo stop alla possibilità di rimandare la pensione è
scattato il 31 ottobre 2014, mentre una deroga è stata concessa ai magistrati
per i quali, pur con alcuni paletti, la scadenza è fissata alla fine del 2016.
(Fonte: LAPRESSE 10-06-16; A. Spera, Il Foglietto della ricerca 16-06-16)
COSTITUITA L'ASSOCIAZIONE NAZIONALE PROFESSORI e
RICERCATORI UNIVERSITARI PENSIONATI (ANPRUP)
Si è costituita l'Associazione nazionale professori e ricercatori
universitari pensionati (ANPRUP). La sottoscrizione dell'atto costitutivo a
norma dell'art. 36 del Codice civile è
stata completata alle h. 16,00 del 13 maggio 2016 dai 30 soci
fondatori. Il consiglio direttivo pro
tempore risulta così costituito: Prof.
Giovani Deriu-Padova (presidente),
Francesco Favotto-Padova (tesoriere),
Luigi Frati - Roma Sapienza; Pier
Francesco Ghetti-Venezia Ca' Foscari; Paolo Stefano Marcato - Bologna; Mauro
Marchionni - Firenze; Nicolò Rizzuto - Verona; Salvatore Franco - Napoli Federioco II; Enzo Siviero -
IUAV Venezia (segretario); Anna Spalla -
Pavia. L’Associazione non persegue scopi di lucro e si propone, mediante scambi
coordinati di informazioni e studio dei problemi comuni, di formulare proposte
e di intraprendere specifiche iniziative atte a veicolare nell’ambito delle
università delle istituzioni e della società civile il contributo ritraibile
dalle esperienze pregresse e dalla maturità intellettuale acquisite nel corso
della vita accademica e professionale; si impegna altresì a tutelare a tutti i
livelli i diritti, gli interessi e la dignità dei professori e ricercatori
universitari in quiescenza, promuovendo iniziative di carattere culturale,
assistenziale, previdenziale e legale in favore dei propri associati. La
strutturazione e' ancora in corso e prevede a regìme una sezione per ogni sede
universitaria del territorio nazionale. (Fonte:
www.francoabruzzo.it 13-05-16)
DOTTORATO
IL DOTTORATO VALE
AI FINI DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE CONTINUA
Il dottorato di ricerca universitario in materie specifiche sulla libera
professione vale ai fini della formazione professionale continua, sebbene non
sia contemplato dalla Tabella ex art. 15 “Riconoscimento dei crediti alle
attività formative particolari” del Regolamento per la formazione professionale
continua degli iscritti negli Albi tenuti dagli Ordini dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili.
A riconoscere la valenza del dottorato ai fini dell’attribuzione di crediti
formativi è il Pronto
Ordini n. 112/2016, pubblicato ieri sul sito istituzionale del CNDCEC. Per
il Consiglio, infatti, il dottorato può essere compreso tra gli eventi
formativi non accreditati, organizzati da Università, Autorità indipendenti o
altre Istituzioni pubbliche aventi ad oggetto materie professionali, di cui sia
attestata la partecipazione dal soggetto organizzatore, previsti dalla lettera
p) della menzionata Tabella. Si ricorda che per tali attività viene attribuito
1 credito formativo per ogni ora di svolgimento, con un limite massimo annuale
di 10 crediti. (Fonte: fiscopiu.it 25-05-16)
E-LEARNING
UNIVERSITÀ
TELEMATICHE. UN’OPPORTUNITÀ SOPRATTUTTO PER CHI GIÀ LAVORA
Le università telematiche sono 11 (un primato solo italiano) e contano
ormai circa 60mila iscritti, con una media di 5mila iscritti l’anno. Hanno
ormai in media dieci anni di vita e hanno retto alla crisi che invece ha
colpito gli atenei tradizionali. Secondo i dati dell’Anvur, il 72% degli
iscritti arriva da un’università statale: questa percentuale conferma che
l’e-learning proposto da questi atenei è un’opportunità per chi già lavora o ha
poco tempo per seguire lezioni frontali, oppure per chi in passato ha
abbandonato gli studi ed intende riprenderli. I corsi più quotati sono: scienze
economico-statistiche e giuridiche (insieme fanno più di un terzo di tutti gli
iscritti, circa 24mila), seguono le scienze storiche, filosofiche, pedagogiche
e psicologiche (11mila iscritti), scienze politiche e sociali (7,6mila), ingegneria
industriale e dell’informazione (6mila) e ingegneria civile e architettura
(4,6mila). (Fonte: http://tinyurl.com/hk8c3cr
11-05-16)
FINANZIAMENTI. RETRIBUZIONI
FINANZIAMENTO
DELLE UNIVERSITÀ. PROBLEMI CON IL NUOVO SISTEMA
Il finanziamento ordinario delle università dipende da
una quota base e una cosiddetta “premiale”. Nel 2015 la quota premiale è stata
pari al 21,6 per cento del finanziamento ordinario e sarà incrementata
annualmente fino a raggiungere il 30 per cento; la quota base è stata calcolata
in parte sul finanziamento storico e su basi perequative e in parte in
relazione al costo standard. A regime, il finanziamento ordinario delle
università sarà dunque la somma di due quote: 30 per cento di quota premiale e
70 per cento di quota per costo standard.
Il nuovo sistema di finanziamento pone un problema di
divari tra atenei, che nel nostro paese assume un carattere anche regionale. In
base alle stime fornite nel rapporto Anvur 2016, le riduzioni e gli incrementi
di finanziamento oscillano tra il -25 e il +27 per cento e le università in
perdita sono prevalentemente meridionali. Non si può ignorare che il
ridimensionamento di molti atenei meridionali (anche se in parte giustificato
dai peggiori risultati nella ricerca e dalla diminuzione degli iscritti) si
intreccia con la più ampia questione del divario Nord-Sud.
Inoltre, l’applicazione del nuovo modello di
finanziamento richiede una decisa inversione di tendenza nell’ammontare
complessivo dei finanziamenti concessi alle università. A regime, non sembra
esservi congruità tra finanziamenti attuali e teorici (definiti dal costo
standard). Secondo le stime fornite da Anvur (Agenzia nazionale di valutazione
del sistema universitario e della ricerca) nella relazione presentata a fine
maggio, se nel 2015 si fosse applicata integralmente la formula del costo
standard, sarebbe stato necessario un finanziamento di 6,5 miliardi di euro per
coprire il costo della didattica attualmente erogata. Considerando che vi è un
limite alla contribuzione studentesca (la legge stabilisce che le entrate
contributive non possano superare il 20 per cento del finanziamento ordinario),
sarebbero necessari 5,2 miliardi di euro per coprire la quota base. Per
assicurare una quota premiale del 30 per cento del finanziamento totale sono
quindi necessari circa 7,5 miliardi di euro. Il divario rispetto ai 6,3
miliardi di euro del 2015 è di circa 1,2 miliardi di euro. (Fonte: M. De Paola
e T. Jappelli, lavoce.info 10-06-16)
QUANDO INIZIANO E
QUANDO TERMINANO I TAGLI (IL “DEFINANZIAMENTO”) ALL’FFO DELLE UNIVERSITÀ
L’FFO sale da 6.90 miliardi di euro attribuiti nel 2006
al massimo di 7,35 miliardi nel 2008, per poi scendere poco e lentamente nel
2009 (7.27 miliardi) e nel 2010 (7.16 miliardi): ancora nettamente al disopra
dell’FFO 2006. Nessun dramma quindi: alla fine del periodo 2006-2010 per l’anno
2010 rimane un incremento dell’FFO di 260 milioni rispetto al 2006. Nel 2011
l’FFO scende bruscamente a 6.83 miliardi di euro, 330 milioni in meno rispetto
al 2010 e 70 in meno rispetto al 2006, e poi, con vicissitudini varie, scende
fino a 6.40 miliardi nel 2015. In questo 2016 risalirà un poco, a circa 6,52
miliardi, in virtù dei fondi stanziati nella legge di stabilità 2016 per i 1000
nuovi posti per ricercatori di tipo B, per i 500 professori “Giulio Natta”,
qualche posizione da Ordinario e 25 milioni senza finalità specifica. In
conclusione, fra la fine del 2010 (ultimo anno abbastanza “tranquillo”) e
quest’anno 2016 l’FFO è sceso da 7.16 miliardi a 6,52 miliardi: dal 2011 a
quest’anno i tagli assumono l’entità davvero rilevante di 640 milioni di euro.
In tale periodo sono compresi gli anni in cui si bloccano le classi e gli
scatti stipendiali dei Docenti e si attua il blocco del turnover, già iniziato
nel 2009 e che proseguirà oltre il 2016. (Fonte: C. Ferraro, http://tinyurl.com/hmumtml
09-05-16)
NOVITÀ SUL 20%
DEL FONDO PREMIALE DELL’FFO
Una delle principali novità annunciate dal comunicato MIUR
su FFO 2016 e programmazione universitaria per il prossimo triennio è la
seguente. Il 20% dell’FFO premiale ce lo giocheremo “a scommesse”: «a partire
dal 2017 il 20% della quota premiale dell’FFO verrà ripartita sulla base di
indicatori individuati dalle stesse università, da scegliere in un paniere
proposto dal Ministero che include indicatori per la ricerca, la didattica e
l’internazionalizzazione. A ciascun ateneo sarà richiesto, entro la fine del
2016, di identificare i propri indicatori. Gli atenei saranno poi misurati sia
sui risultati acquisiti in ciascun ambito strategico, sia sui miglioramenti
ottenuti con cadenza annuale». (Fonte: Redazione Roars 09-05-16)
UNA
"MORATORIA" SUI CRITERI DI RIPARTO DELL’FFO
In costanza di risorse sembra dunque naturale suggerire al Ministro di
valutare per il 2016 una "moratoria" sui criteri di riparto dell’FFO.
Lasciare cioè la quota premiale alla percentuale del 20% già raggiunta nel
2015, che è la soglia fissata dalla legge per il 2016, e iniziare subito una
riflessione sulle formule di calcolo del costo standard per ridurre gli effetti
distorsivi evidenziati dalla prima applicazione nel 2015. Queste formule fanno
riferimento a classi di studenti in corso di dimensioni ottimali, fissate in
modo uguale per tutte le università, senza tener conto né della densità di
popolazione dei diversi territori, né delle eventuali carenze infrastrutturali,
né della forte diminuzione delle immatricolazioni, soprattutto al Sud e nelle
isole, né infine della presenza nei singoli atenei di percentuali maggiori di
studenti in ritardo. La componente perequativa, commisurata per legge ai
differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali, è attualmente
davvero minuscola: in Sicilia pesa solo per il 5,9% del costo standard totale,
in Sardegna addirittura per il 3%.
Una moratoria non è una soluzione, ma permetterebbe di migliorare
l'efficacia di uno strumento innovativo importante come il costo standard senza
correre il rischio di costringere alla chiusura molti corsi di laurea a
carattere specialistico, soprattutto nelle aree interne e marginali del Paese,
comprese quelle decentrate del Nord, in assenza di una riflessione politica
approfondita e condivisa sui costi culturali, sociali ed economici di una
simile scelta. (Fonte: M. Ghizzoni, Unità 19-05-16)
CROWDFUNDING
Il crowdfunding nasce con l’obiettivo di raccogliere finanziamenti da parte
di una folla - crowd - disposta ad investire anche piccole somme in un
progetto, un’idea di business, una causa sociale.
In Italia ad oggi non abbiamo una cultura orientata al crowdfunding della
ricerca scientifica, la scienza rimane spesso chiusa nella sua torre d’avorio e
fatica a comunicare con il territorio, sia esso concepito come insieme di
imprese che come insieme di individui.
E’ ancora difficile in Italia implementare efficacemente il trasferimento
tecnologico e le relazioni università impresa, vuoi per le caratteristiche
tipiche del tessuto imprenditoriale, costituito prevalentemente da micro e
piccole imprese, vuoi per una scarsa valutazione dell’orientamento
imprenditoriale dei ricercatori operanti nelle nostre università. La
reputazione degli scienziati è spesso svincolata dalla capacità di produrre
qualcosa di “utile”, e più ancorata alla capacità di pubblicare su riviste di
alto valore scientifico. Di conseguenza la terza missione dell’università viene
spesso sacrificata. D’altro canto, i finanziamenti pubblici alla ricerca in
Italia rasentano il limite inferiore, e sebbene
gli atenei spingano verso la partecipazione a bandi europei e cercare
quindi altrove i contributi finanziari per portare avanti i progetti, anche di
eccellenza, dei nostri ricercatori, la probabilità di accedervi rimane molto
bassa, e la competizione molto alta. Appare dunque interessante esplorare nuove
forme di fundraising, e cercare di capire come queste possano inserirsi, con
un’ottica di complementarietà, in una sapiente strategia di pianificazione di
un portafoglio eterogeneo di possibili fonti di finanziamento. Il crowdfunding
è tra queste forme nuove e alternative. (Fonte: S. Sedita. IlBo 20-05-16)
FINANZIAMENTI
GOVERNATIVI ALLA RICERCA PUBBLICA. CONFONTO CNR - MP
La fotografia ad oggi mostra che la ricerca pubblica italiana, a dispetto
del suo cronico sotto-finanziamento (riconosciuto dallo stesso premier),
conserva il suo prestigio e continua ad occupare nel mondo un posto di tutto
rilievo considerando qualunque indice (produttività scientifica, capacità di
attrarre fondi esterni, ovvero stanziamenti diversi da quelli pubblici). Ad
esempio, il CNR riceve un finanziamento governativo di poco superiore ai 580
milioni di euro (che, fatti salvi i fondi vincolati in gran parte esterni
all’ente servono, sostanzialmente, per la copertura degli stipendi), mentre un
omologo ente tedesco, il Max Planck (MP), con un numero di ricercatori
paragonabile (circa 5600 il Max Planck, circa 4200 il Cnr) riceve un
finanziamento pubblico tre volte superiore. Malgrado ciò, la capacità di
attrarre fondi è confrontabile (430 milioni del MP a fronte di 320 del CNR,
cioè esattamente pari al rapporto del numero di ricercatori). Un dato ancor più
significativo, se si considera il contesto industriale più solido e disposto ad
investire in ricerca in cui opera il Max Planck. (Fonte: V. Mocella, http://tinyurl.com/h6szrx3 20-05-16)
LAUREE – DIPLOMI - FORMAZIONE POST
LAUREA - OCCUPAZIONE
LAUREA ABILITANTE
PER I MEDICI DAL 2018
Una rivoluzione che potrebbe tagliare, non poco, il corso
di studi per diventare medico: i tecnici del MIUR stanno valutando la laurea
abilitante che, ogni anno, potrebbe ridurre la carriera universitaria degli
aspiranti camici bianchi dai 6 ai 12 mesi. E ora si punta ad accelerare i tempi
e arrivare così con la riforma in vigore già a partire dal 2018. Un primo
tavolo tecnico, convocato dal MIUR, ha fatto incontrare le proposte del
Consiglio nazionale universitario e dalla Federazione degli ordini dei medici e
degli odontoiatri. Sostanzialmente in linea con le richieste avanzate anche dai
sindacati e dalle associazioni del settore al ministero della salute, che
puntano dritto a far rientrare nel corso di laurea il tirocinio formativo e il
relativo esame abilitante. Con cui poi si accede alla specializzazione o alla
scuola di medicina generale. (Fonte: Il Messaggero 10-05-16)
CUN. RACCOMANDAZIONE SULLA
FORMAZIONE SPECIALISTICA IN AREA SANITARIA
Il CUN, vista la bozza del disegno di legge delega in materia di gestione e
sviluppo delle risorse umane, ex art. 22 del Patto per la salute, ove si
prevede di ridurre la presenza dello specializzando nelle sedi atte alla sua
formazione, a favore di una cosiddetta attività nelle strutture del SSR, svolta
senza una garanzia di coordinamento da parte del Consiglio della Scuola di
specializzazione;
al fine di salvaguardare la qualità della formazione anche per í futuri
medici specialisti, mantenendo gli attuali standard, chiede con forza che il sistema della formazione medica
specialistica non sia ancora una volta sottoposto a modifiche che ne comportino
un ennesimo profondo ripensamento, quando ancora ci si sta confrontando con la
prima fase dell'applicazione della recentissima riforma e questa ancora deve
mostrare tutte le sue potenzialità di miglioramento e razionalizzazione; e che
il Ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca si adoperi affinché siano
evitate differenze nel percorso formativo di scuole di una medesima tipologia a
seconda della sede di frequenza, tali da comportare inadeguatezza del percorso
formativo stesso, rischiando di non garantire la conformità con i processi di
formazione europea e generando incertezze negli stessi specializzandi. (Fonte: CUN
Adunanza del 05-04-16)
I LAUREATI PIÙ
RICHIESTI NEI PROSSIMNI CINQUE ANNI
Quali saranno le lauree, in concreto, più richieste nel 2020? Secondo “Il
Sole 24 Ore” sono 2,5 milioni i lavoratori stimati che risponderanno al
fabbisogno lavorativo italiano nel 2020 e su 100 nuovi ingressi sarà richiesto
il 41% di lavoratori “molto qualificati” invece i “non qualificati”
costituiranno il 27% del fabbisogno complessivo. Al vertice della
classifica si pongono i laureati in
economia e statistica. Saranno, infatti, in 35.000 ad essere richiesti dal
mercato del lavoro nel 2020, seguiti da medici (31mila), ingegneri (24mila),
insegnanti (quasi 19mila unità) e giuristi (quasi 15 mila unità). A livello
territoriale, invece, sarà il Nord-Est ad offrire più opportunità: oltre
244mila assunzioni stimate per i laureati e 273mila per i diplomati. Il mercato
lavorativo italiano punterà nel futuro,
infatti, su personale sempre più qualificato ossia laureato e diplomato.
Secondo Unioncamere troverà lavoro nei prossimi 5 anni poco più di 2,5
milioni di persone in imprese private ed enti pubblici. Inoltre, coerentemente
alla richiesta di figure ad alta specializzazione, entreranno in attività
787mila laureati (il 31% del totale) e 837mila diplomati (33%). (Fonte: I.
Martorana, http://tinyurl.com/h4qohjo 16-05-16)
LAUREATI IN
MEDICINA. UN RAPPORTO DELL’OIS
Secondo l’Osservatorio internazionale della salute (OIS) l’85,1% di coloro
che completano il percorso universitario nelle facoltà di medicina, trovano
lavoro entro i 28 anni. Per quanto riguarda il profilo sociale, l’inchiesta
presenta alcune considerazioni da tener presente. Innanzitutto, il rapporto
svela che solo il 4,7% dei neo-laureati decide di trasferirsi all’estero per
cercare un impiego, preferendo restare entro i confini nazionali. Inoltre, il
37.7% dichiara di aver svolto attività di volontariato, considerandole
esperienze che possano completare la propria formazione professionale. Come si
legge dal documento ufficiale, le nuove generazioni di medici risultano essere
molto più dinamiche rispetto alle precedenti, prediligendo il lavoro in
ospedale per dedizione e spirito di servizio anziché per un discorso di tipo
economico. L’87,5% di questi ragazzi, oltretutto, è molto attento alla tutela
personale, in quanto possiede una copertura assicurativa. (Fonte: OIS, www.thegraduateschronicle.it 05-05-16)
BANDITO IL
CONCORSO PER L'ACCESSO DEI MEDICI ALLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE
Il Ministero dell'Università ha finalmente pubblicato il tanto atteso bando
del concorso per l'accesso dei medici alle scuole di specializzazione. Il via
alla prima prova, comune a tutte le tipologie di scuole, è fissata per il 19
luglio. La procedura di iscrizione on line al concorso era attiva da martedì 24
maggio 2016 e si è chiusa inderogabilmente alle ore 15.00 di martedì 7 giugno
2016. Quanto ai contratti, in totale verranno finanziate 6718 borse di studio:
di cui 6133 con fondi statali e 521 con contratti regionali. La prova d'esame
consiste in una prova scritta che prevede la soluzione di 110 quesiti a
risposta multipla, ciascuno dei quali con quattro possibili risposte. La prova
è divisa nelle seguenti parti: la prima, comune a tutte le tipologie di scuole
(70 quesiti), e la seconda specifica di Area (30 quesiti) e specifica di scuola
(10 quesiti).
Nell'ambito dei posti disponibili per l'ammissione alle Scuole di
specializzazione sono definite graduatorie nazionali per ciascuna tipologia di
Scuola in cui sono ammessi anche i candidati comunitari e non comunitari,
secondo l'ordine decrescente del punteggio conseguito dato dalla somma del
punteggio dei titoli e della prova. Per quanto riguarda il trattamento
economico la parte fissa annua lorda viene determinata in euro 22.700,00 per
ciascun anno di formazione specialistica. La parte variabile annua lorda,
calcolata in modo che non ecceda il 15% di quella fissa, è determinata in euro
2.300,00 per ciascuno dei primi due anni di formazione specialistica, mentre
per ciascuno dei successivi anni di formazione specialistica la stessa è
determinata in euro 3.300,00 annui lordi. (Fonte: quotidianosanita.it)
IL RAPPORTO TRA
UNIVERSITÀ E LAVORO
Rettore, ci spieghi in che modo l'offerta formativa della Sapienza sta
rispondendo ai cambiamenti nel mondo del lavoro. "Innanzitutto, stiamo
aumentando l'offerta a livello internazionale e introducendo concorsi tenuti
completamente in inglese per spingere i nostri all'estero e dall'estero
attrarre. Poi, abbiamo istituito nuove lauree, direttamente ispirate dal mondo
del lavoro. Un corso in inglese su fashion-moda, per esempio, pieno di storia,
geografia, cultura del Paese, peculiarità artistiche. Si parte a settembre.
Oggi un manager solo economico e giuridico è superato, dobbiamo formarli con
competenze umanistiche, psicologiche, filosofiche. Più contaminati e adeguati
al capitale umano che devono gestire". Quali le novità nell'area medica?
"È stata la prima ad adeguarsi e oggi offre i risultati migliori. Due i
pilastri: il numero programmato, non chiuso. Programmato in maniera
democratica. Consente di studiare e non solo di iscriversi. E poi tutte le lauree
di area medica sono professionalizzanti: clinici, tecnici di laboratorio,
infermieri. Una novità è stata la riforma delle scuole di specializzazione,
prima ancora l'esame unico nazionale. E 60 crediti assegnati per la pratica
medica provano a chiudere quella distanza tra sapere e saper fare che è un
limite dei nostri laureati. Presto arriveremo all'Esame di Stato consegnato
insieme alla laurea e i nostri universitari non butteranno via un anno".
(Fonte: C. Zunino, intervista a E. Gaudio
rettore della Sapienza di Roma, www.repubblica.it
23-05-16)
LAUREATI CHE
TROVANO LAVORO ENTRO 3 ANNI. LIEVE AUMENTO
Nel 2015, secondo i dati Eurostat, ha trovato lavoro entro i 3 anni il 57,5
per cento dei laureati italiani contro mediamente l’81,8 per cento nella UE a
28. Nel 2014 erano stati il 52,8 per cento e quindi nel giro di un anno si è
assistito ad un lieve ma significativo miglioramento. Tuttavia continua ad
essere una percentuale ancora piuttosto preoccupante. Risente fortemente della
Grande Crisi che ha imperversato a partire dal 2008, in Italia con effetti più
penetranti rispetto ad altri paesi europei. Infatti, peggio di noi stanno solo
i neolaureati della martoriata Grecia con appena il 49,9 per cento. All’altro
capo, in Germania, la percentuale dei laureati sotto i 35 anni che trova lavoro
entro i tre anni dal conseguimento del titolo è quasi da piena occupazione con
il 93,3 per cento. Quanto nel nostro Paese abbia infierito la crisi economica
anche sulle prospettive di lavoro a breve – medio termine dei neolaureati
emerge da un altro confronto: nel 2008, prima di sprofondare nella più lunga e
severa congiuntura negativa degli ultimi sessanta anni, questo dato in Italia
era pari al 70,5 per cento. (Fonte: www.siciliainformazioni.com
24-05-16)
A CONFRONTO GLI
ATENEI FREQUENTATI CON GLI STIPENDI POI OTTENUTI
Lo "University Report 2016" di JobPricing ha messo a confronto
gli atenei frequentati con gli stipendi poi ottenuti. Skuola.net lo ha
spulciato per bene per leggere il tuo futuro e rivelarti quando guadagnerai
dopo gli studi. Partiamo proprio dalla posizione geografica della tua
università, perché alla fine è lei a fare davvero la differenza. Se ne stai
frequentando una al Nord dello Stivale, la tua Ral attesa (retribuzione annua
lorda) è di 41.154 euro, contro i 40.271 di chi studia al Centro e i 36.505 di
chi invece sostiene i suoi esami al Sud. La speranza di ottenere guadagni molto
alti nella prima fase della tua carriera, quella che va dai 25 ai 34 anni di
età, è alle stelle se frequenti l'Università commerciale Luigi Bocconi, al
primo posto di questa classifica di JobPricing con una Ral di 34.637 euro. Ti
va comunque di lusso anche se stai frequentando il Politecnico di Milano, al
secondo posto con 32.936 euro, l'Università Cattolica del Sacro Cuore, terza
con una prospettiva di guadagno di 32.048 euro l'anno e la LUISS Libera
università internazionale degli studi sociali Guido Carli, al quarto posto con
una Ral 31.184 euro. Alla maggior parte delle università analizzate è stato
comunque associato un valore iniziale di carriera tra i 30.500 e i 29.000 euro,
mentre fanalino di coda sono le università di Messina e Cagliari, con una Ral
media inferiore a 27.500 euro. Bocconi e LUISS sembrano essere anche le
università che più delle altre favoriscono l'incremento di stipendio tra il
primo e ultimo step di carriera. In particolare, chi si laurea alla LUISS, tra
i 25 e i 34 anni ha una speranza di guadagno di 31.184 euro l'anno, tra i 35 e
i 44 anni di 44.478 euro e di 62.637 tra i 45 e i 54 anni di età. Chi invece ha
completato i suoi studi alla Bocconi, tra i 25 e 34 anni di età ha uno
stipendio atteso di 34.637 euro l'anno, tra i 35 e i 44 anni di 46.371 e tra i
45 e i 54 anni di 68.569. Al terzo posto c'è di nuovo l'Università Cattolica
del Sacro Cuore che promette ai suoi studenti di guadagnare 32.048 euro l'anno
tra i 25 e i 34 anni, 43.728 euro tra i 35 e i 44 anni e 61.877 euro nella loro
ultima fase di carriera. Un bello stacco con chi invece si laurea
all'Università degli Studi di Roma Tre, ultima nella classifica relativa agli
incrementi di stipendio per fase di carriera. Chi esce da questo ateneo con una
laurea in mano ha la speranza di guadagnare 29.921 euro l'anno tra i 25 e i 34
anni, 39.127 tra i 35 e 44 anni e 44.420 euro l'anno tra i 45 e i 54 anni, meno
di quanto un laureato alla Bocconi guadagnerà nella sua seconda fase di
carriera. (Fonte: Serena R., www.skuola.net
25-05-16)
QUALI SONO LE
MIGLIORI LAUREE SULLA BASE DEL RAPPORTO CON IL MONDO DEL LAVORO
l’ultima classifica redatta sulla base dell’ultimo rapporto AlmaLaurea
aiuta a scegliere università e corso di laurea sulla base del rapporto di
questa con il mondo del lavoro. La classifica delle università e facoltà è redatta
in base a stipendi medi dei laureati.
Ecco le migliori lauree:
Ingegneria: 1.705 euro;
Settore Scientifico: 1.614 euro;
Chimico-farmaceutico: 1.562 euro;
Medico (professioni sanitarie): 1.552
euro;
Geo-biologico: 1.326 euro;
Politico-sociale: 1.320 euro;
Agrario e veterinaria: 1.300
euro;
Architettura: 1.256 euro;
Giuridico: 1.209 euro;
Linguistico: 1.203 euro;
Letterario: 1.117 euro;
Insegnamento: 1.093 euro;
Educazione Fisica: 1.059 euro;
Psicologico: 980 euro.
(Fonte: http://tinyurl.com/jhur4nb
30-05-16)
500 POSTI DA
FUNZIONARIO PER LAUREATI. PRESSO MINISTERO BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
I bandi per la copertura http://tinyurl.com/h4qm2fd (24-05-16)
RICERCA. RICERCATORI
BASSA INTENSITÀ TECNOLOGICA DELLA NOSTRA STRUTTURA
PRODUTTIVA E “CERVELLI IN FUGA” NONOSTANTE L’OTTIMA QUALITÀ DELLA RICERCA
Le
conferme che l’attività di ricerca svolta in Italia sia di ottima qualità ci
provengono da più fronti, a partire dai dati sulla produttività scientifica,
espressa come rapporto tra numero di pubblicazioni ed ammontare delle spese in
ricerca, per arrivare al riconoscimento delle “eccellenze” nazionali premiate
con l’assegnazione dei prestigiosi fondi ERC (European Research Council), che
anche quest’anno si sono collocate ai primi posti insieme ai maggiori paesi
dell’Unione Europea. Ma c’è un’altra faccia della medaglia, non meno nota, che
contrasta profondamente con i brillanti risultati degli scienziati italiani e
che sta alzando i toni dell’allarme sulle non ottimistiche prospettive di
sviluppo della ricerca nel nostro paese. Quest’altra faccia si chiama “fuga”
dalla ricerca e ci mostra un paese che – paradossalmente – sta rinunciando a
qualcosa che sa fare bene e che per giunta risulta oggi più che mai essenziale
per la crescita di un’economia avanzata. Un fenomeno in netto peggioramento e
che gli stessi dati sui fondi ERC confermano impietosamente, indicando che tra
i titolari italiani del finanziamento in questione c’è una quota crescente di
ricercatori che li spende all’estero. E non basta. Perché a dispetto di qualche
commento, che vorrebbe ridimensionare l’entità del problema sostenendo che le
dinamiche di un mondo globalizzato – quale è quello in cui viviamo – prevedono inevitabilmente che via sia una
fisiologica circolazione dei saperi, le quote ERC spese oltreconfine
dall’Italia sono tra le più alte dei
paesi europei. Né i fondi spesi in Italia sono tali da compensare
l’emorragia delle uscite, poiché il nostro paese si rivela tra i meno
attrattivi. Questi dati – che attestano l’approfondirsi di un deficit del paese
nella capacità di produrre nuove conoscenze – sono d’altra parte consonanti con
tutta un’altra serie di risultati (negativi) che l’Italia sta inanellando
oramai da tempo sul fronte dell’alta formazione: dalla caduta della spesa
pubblica destinata all’università (in controtendenza rispetto agli stessi
andamenti della spesa pubblica complessiva al netto degli interessi sul debito,
che tra il 2014 e il suo minimo nel 2011 aumenta del 10,7%), alla
precarizzazione del corpo docente (solo il 48,3% è rappresentato da docenti e
ricercatori strutturati), a una riduzione delle posizioni di dottorato, che dal
2008 sono scese del 19% con un picco del 38% nel Meridione, per finire con un
crollo delle iscrizioni all’università, che ci porta ad essere fanalino di coda
per numero di laureati tra i maggiori paesi industrializzati.
La
conclusione dell’articolista (D. Palma) è che nella “fuga” dalla ricerca, sopra
ricordata, ha un ruolo chiave, ma trascurato dagli analisti, la bassa intensità
tecnologica della nostra struttura produttiva. La specializzazione in settori a
bassa intensità tecnologica condiziona la domanda di forza lavoro con alta
formazione, innescando a sua volta una pressione al ribasso sulla spesa
pubblica in ricerca che innesca un circuito vizioso che spinge alla contrazione
di quella privata. In assenza di un coordinamento tra politiche della ricerca e
politiche industriali il PIL italiano continuerà a crescere agli
insoddisfacenti ritmi degli ultimi anni. (Fonte: D. Palma, http://tinyurl.com/j69aab2 27-05-16)
RICERCA. PER
L’ITALIA RISULTATI MOLTO BUONI STANTE LE RISORSE INVESTITE
Sul piano prettamente quantitativo (numero di ricercatori e risorse
investite) troviamo in testa i grandi Paesi: Stati Uniti, Cina, Giappone, Regno
Unito, Germania, Francia, Russia e Sud Corea. L’Italia è lontana dalla
posizione che dovrebbe occupare stante la popolazione e il Pil. Il nostro Paese
è, infatti, agli ultimi posti nel numero di ricercatori per numero di occupati
e nella spesa unitaria. Paesi più piccoli, come Israele e quelli scandinavi,
occupano le prime posizioni. Questo è il primo gap del nostro Paese: ha pochi
ricercatori e investe poco. Sul piano qualitativo le cose cambiano. I
ricercatori italiani hanno una produttività molto elevata. Per numero di
articoli e considerato l’impatto citazionale ci collochiamo al 4° posto dopo
Svizzera, Olanda e Hong Kong. Subito dietro di noi c'è il Regno Unito. Tre
grandi Paesi come Russia, Cina e Giappone si collocano agli ultimi posti. Gli altri
grandi sono a metà. Se uniamo qualità e quantità, misurando la quantità
complessiva di ottimi lavori (H-index di Paese), il combinato disposto del
“pochi ma buoni” italiano ci fa risalire al 7° posto dopo gli altri Paesi del
G7. In altri termini siamo agli ultimi posti per la sola quantità mentre con la
qualità media dei nostri ricercatori torniamo complessivamente a difenderci.
Questo spiega perché, ad esempio, intercettiamo una percentuale di fondi
Horizon del circa 8% contro una contribuzione superiore al 13%. Ma dobbiamo
anche dire che lo facciamo con una percentuale di ricercatori molto inferiore
all'8 per cento. (Fonte: S. Paleari e L. Parisi, www.scuola24.ilsole24ore.com
20-05-16)
VIVACITÀ DEL
SISTEMA RICERCA IN ITALIA A DISPETTO DEL CRONICO SOTTO-FINANZIAMENTO
La ricerca pubblica italiana, a dispetto del suo cronico
sotto-finanziamento (riconosciuto dallo stesso premier), conserva il suo
prestigio e continua ad occupare nel mondo un posto di tutto rilievo
considerando qualunque indice (produttività scientifica, capacità di attrarre
fondi esterni, ovvero stanziamenti diversi da quelli pubblici). Ad esempio, il
Cnr riceve un finanziamento governativo di poco superiore ai 580 milioni di
euro (che, fatti salvi i fondi vincolati in gran parte esterni all’ente
servono, sostanzialmente, per la copertura degli stipendi), mentre un omologo
ente tedesco, il Max Planck, con un numero di ricercatori paragonabile (circa
5600 il Max Planck, circa 4200 il Cnr) riceve un finanziamento pubblico tre
volte superiore. Malgrado ciò, la capacità di attrarre fondi è confrontabile
(430 milioni del MP a fronte di 320 del Cnr, cioè esattamente pari al rapporto
del numero di ricercatori). Un dato ancor più significativo, se si considera il
contesto industriale più solido e disposto ad investire in ricerca in cui opera
il Max Planck. Il confronto fra i due Enti e mostrano la vivacità del sistema
ricerca in Italia, a dispetto del cronico sotto-finanziamento. Tuttavia, il sistema
è fragile. La ricerca richiede continuo impulso, freschezza. Mancano condizioni
strutturali, infrastrutturali e finanziarie per lo sviluppo delle ricerche, per
il reclutamento dei giovani ed anche per il riconoscimento professionale dei
ricercatori. Esiste un significativo divario rispetto agli altri paesi
sviluppati che va colmato, portando l’Italia ad un livello di finanziamento
stabile confrontabile con quello degli altri paesi occidentali. (Fonte: http://tinyurl.com/h7lysyz
14-05-16)
INQUADRAMENTO DEI
RICERCATORI FIR. UNA RICHIESTA AL PRESIDENTE DEL CDM
Il Consiglio Universitario Nazionale (CUN), in qualità di organo
consultivo e propositivo del MIUR,
aveva segnalato già nel
2011 l’opportunità di
adottare criteri di equipollenza tra
titolarità di progetti
nazionali/e europei e posizioni
accademiche, proponendo il
nostro inquadramento come
RTDb (https://www.cun.it/uploads/3965/par_2011_04_20.pdf
). Nel
Parere 2 del 09/05/2011, tuttavia, l’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della
Ricerca) proponeva l’inquadramento dei ricercatori FIR come RTDa (http://www.anvur.org/attachments/article/449/parere02_11.pdf
). Quest’ultima posizione
è stata poi adottata ufficialmente dal MIUR (DM 276
dello 01/07 /2011, art. 3) senza tuttavia fornire una motivazione che spiegasse
perché fosse prevalso il parere dell’ANVUR rispetto a quello del CUN. Va
sottolineato che per i progetti del programma “Rita Levi Montalcini” (RLM), sempre finanziati dal
MIUR, è invece previsto
l’inquadramento dei ricercatori come RTDb, agevolandone così l’inserimento nel
mondo della ricerca con una chiara penalizzazione per i programmi FIR.
Sulla base di quanto esposto, i Coordinatori e
Responsabili di Unità di progetti “Futuro in Ricerca” (FIR), in una lettera al
Presidente del CdM Renzi chiedono l’adozione di misure urgenti per sanare
queste incongruenze, ad esempio prevedendo
forme di premialità nel nuovo PNR e nell’accesso alle “Cattedre Natta” per
Coordinatori e Responsabili di Unità di progetti competitivi nazionali, tra i quali
i FIR. (Fonte: http://tinyurl.com/j5cza3x
26-05-16)
“MANCA
TRASPARENZA NEI FINANZIAMENTI ALLA RICERCA”. SERVE UNA AGENZIA PER LA RICERCA
CHE SIA TERZA E COMPETENTE E CHE AGISCA IN MODO INDIPENDENTE DALLA COMUNITÀ
SCIENTIFICA E DALLA POLITICA
La senatrice Elena Cattaneo lo afferma in un documento
di studio, relativo al progetto Human Technopole, per il Parlamento che è
scaricabile con il resoconto della seduta del Senato del 4 maggio 2016.
Stralcio quanto segue dal documento sulle denunce presentate dalla senatrice
sulla mancanza di trasparenza nei finanziamenti alla ricerca:
“Lo affermavo nel 2006 intervenendo al primo Congresso
mondiale per la libertà della ricerca scientifica. E in tutta la mia storia di
ricercatrice, accademica e cittadina non ho mai potuto fare a meno di
denunciare pubblicamente – coniugando i pensieri alle azioni – le distorsioni
del metodo scientifico, prescindendo da sempre dal colore e dall’appartenenza
politica dei policy makers di volta in volta responsabili dello specifico
settore. L’ho fatto nel 2001, con il Ministro Moratti, denunciando la
commissione staminali istituita presso l’Istituto Superiore di Sanità per
l’erogazione di fondi pubblici sul tema specifico, molti dei cui membri
sottomettevano i propri progetti a sé stessi. La denuncia arrivò anni dopo in
Parlamento e l’allora sottosegretario affermò che “la procedura adottata dalla
commissione staminali non era trasparente”. L’ho fatto nel 2007, con il
Ministro Turco, denunciando una distribuzione di fondi pubblici tramite “phone
calls”, le chiamate agli amici. Avvisato il Ministro, la denuncia si rese
pubblica settimane dopo sui quotidiani, in tempo per bloccarne la firma e
riportare quel cospicuo fondo entro i canali di un bando pubblico. E l’ho fatto
ancora nel 2009 quando denunciai il governo Berlusconi e il Ministero della
Salute per un bando pubblico che impediva di concorrere con progetti che includessero
ricerche anche con cellule staminali embrionali, questo nonostante quella
ricerca fosse legale e scientificamente pertinente rispetto al tema deciso dal
Governo. Da Senatrice a vita ho denunciato il caso di un professore
universitario che aveva manipolato i dati di alcuni studi sugli Ogm. Oggi ho
scelto di denunciare ancora il tentativo di “corrompere” il metodo della
scienza e l’etica pubblica che si sta attuando nell’area dell’ex Expo ... Al
Paese serve un’Agenzia per la ricerca (realtà acquisita da tutti i paesi con
tradizioni scientifiche importanti) che garantisca regole, controlli, procedure
e valutazioni per ogni assegnazione e verifica dell’impiego dei fondi pubblici
che sia terza e competente e che agisca in modo indipendente dalla comunità scientifica
e dalla politica”. (Fonte: E. Cattaneo, http://tinyurl.com/j5m2wmt
10-05-16)
ATTRARRE
RICERCATORI STRANIERI. L’ITALIA MIGLIORA
Una ricerca pubblicata sulla rivista britannica Nature ha
analizzato quali sono oggi i paesi europei più bravi e capaci nel richiamare e
trattenere scienziati da altre nazioni. Esaminando i dati dell’Unione Europea
tra il 2007 e il 2014 riguardanti la mobilità e legati ai fondi messi a
disposizione dal Settimo Programma Quadro, è emerso che il punteggio più alto
era conquistato dalla Svizzera e dalla Gran Bretagna. Nel gruppo di coda della
classifica si colloca l’Italia; una posizione segnalata come un caso perché —
si fa notare — nei sette anni del piano ha contemporaneamente perso scienziati
e non è stata in grado di attrarne in modo significativo. L’analisi dimostra
che il livello di fondi dedicati alla ricerca in un Paese è tanto importante
quanto l’abilità del governo a creare meccanismi di richiamo (ad esempio, salari
competitivi), oppure, per evitare la fuga, varare provvedimenti per assicurare
un futuro alla loro ricerca. Se le difficoltà nella Penisola esistono è anche
vero che negli ultimi anni si sono manifestate realtà e iniziative in grado di
funzionare da attrattori. Lo dimostra il campione di alcuni centri ricerca
uscito da una ricognizione nelle varie Regioni tra il Nord e il Sud. Con dei
record significativi, come l’Istituto Italiano di tecnologia (Iit) dove quasi
la metà dei sui 1.100 ricercatori arriva da una cinquantina di nazioni. Pure altri
centri possono vantare percentuali ragguardevoli (in media da un quarto ad
un terzo del numero complessivo). Proprio le cifre e la produttività
scientifica di questi gruppi rivelano che, nonostante tutto, c’è qualcosa che
cambia e che esiste una spinta a modificare la situazione in meglio ben
governata da coloro che sono alla guida dei centri considerati. (Fonte: G.
Caprara, CorSera 10-05-16)
RICERCA. LA
SITUAZIONE DEI FINANZIAMENTI
Due miliardi e mezzo in tre anni: questo lo stanziamento
contenuto nel Piano nazionale per la ricerca, presentato nei
giorni scorsi dal ministero per
l’Istruzione, l’università e la ricerca. Sono fondi
sufficienti? Dipende. Soprattutto da quanto il settore privato
riuscirà davvero a essere coinvolto e a incidere sul totale. Intanto, il quadro
di partenza, lo stesso contenuto nel rapporto. Ovvero i dati sulle
pubblicazioni scientifiche e sulle citazioni, vera e propria
unità di misura del valore della produzione scientifica, raccolti da Scimago Journal & Country Rank. Numeri che
collocano la ricerca del Belpaese nel top 10 mondiale secondo entrambi gli
indicatori. Più di 93mila gli articoli a firma italiana usciti
nel 2014, più di 60mila le citazioni, numeri che ci collocano rispettivamente
all’ottavo e al sesto posto della classifica. Per quanto riguarda la
percentuale di Pil investita in ricerca dai governi, l’Italia si piazza al
quarto posto, ma c’è poco da stare allegri. Nel 2013 Roma ha speso lo 0,33% del prodotto interno lordo per
sostenere i ricercatori, la Cina appena lo 0,09%. Ma il Pil italiano non è
nemmeno lontanamente paragonabile a quello di Pechino. Ancora più preoccupante,
siamo agli ultimi posti per
quanto riguarda la percentuale destinata alla ricerca di base. Quella cioè che non ha dirette applicazioni pratiche, ma che è essenziale per
espandere la conoscenza scientifica. E, di conseguenza, anche la tecnologia. Il
risultato? Le 3.360 domande di brevetto presentate in Italia nel 2013.
Anche in questo caso, siamo agli ultimi posti: guidano la classifica gli Stati
Uniti con oltre 57mila, praticamente 19 volte tanto quelle italiane. Nel 2013
appena il 45,19% dei finanziamenti alla ricerca è arrivato
dalle aziende, il risultato peggiore tra i Paesi
della top ten. In Giappone e Cina la
quota è del 75%, in Germania del 65, negli Usa del 60. Dall’altra parte il 41%
dei fondi è statale, la seconda percentuale più alta dopo quella spagnola.
(Fonte: wired.it http://tinyurl.com/h2p8zda
10-05-16)
IL CEPR IN OLTRE
DUE ANNI MAI CONVOCATO AL MIUR
Il Comitato degli Esperti per le Politiche della Ricerca (CEPR) “svolge, su
mandato del Ministro, attività di consulenza e di studio su problemi riguardanti
la politica, lo stato, la programmazione, la valutazione della ricerca,
nazionale e internazionale”. Il CEPR ha da poco perso per dimissioni uno dei
suoi componenti, Filippomaria Pontani, dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Alla base delle dimissioni il fatto che il ministro Giannini “non abbia
ritenuto di convocare o incontrare il comitato in oltre due anni”. Dalla
lettera di Pontani apprendiamo che il CEPR non è stato consultato in relazione
al Piano Nazionale per la Ricerca da poco approvato, e neanche in relazione
alla questione IIT-Human Technopole, “un tema sul quale - scrive Pontani - la
senatrice Cattaneo ha detto tutto ciò che c’era da dire”. Fonte: http://tinyurl.com/hvzzmk5
14-05-16)
RICERCA. PER GLI
ENTI PUBBLICI DI RICERCA SEGNALI ALLARMANTI
Come primo segnale il 26 febbraio scorso, un decreto del ministro Giannini
sul reclutamento di 215 giovani ricercatori negli enti di ricerca privilegiando
quelli con meno di cinque anni dal dottorato. Il proposito potrebbe essere
positivo se fosse stato preceduto da una politica di investimento. Nello stato
attuale, con gli enti di ricerca che non effettuano un reale reclutamento da
ben oltre cinque anni, soprattutto per mancanza di risorse economiche
governative, questa appare una misura ingiustamente punitiva per tutti i
giovani che operano nella ricerca da oltre cinque anni cui non è stata offerta
nessuna reale prospettiva negli ultimi anni.
Il secondo segnale, il 26 marzo successivo è l’annuncio del premier di
reclutamenti “per chiamata diretta”, che il Cnr sarebbe in procinto di fare,
con fondi propri, ai vincitori di Erc da reclutare in ruoli apicali. Sorvolando
sul fatto che il Cnr è un ente autonomo, la cui autonomia discende da un principio
fondante (l’articolo 33 della carta costituzionale) e che, ad oggi, non ha
deliberato su decisioni preannunciate sulle colonne di un quotidiano, quale
sarebbe la logica di una tale operazione?
Nelle attuali condizioni di fragilità, se il sistema non ritrova
condizioni stabili ed affidabili di efficienza, alcuni isolati vincitori di Erc
non potrebbero fare molto, i fondi
straordinari stanziati per loro non garantirebbero lo sviluppo delle loro
ricerche né la valorizzazione dei giovani colleghi che ne rappresentano il
futuro.
In una terza linea, le bozze del decreto attuativo della “delega per la
riforma delle amministrazioni pubbliche” prevedono una riforma della figura
professionale dei ricercatori e tecnologi degli Enti e nuove modalità di
assunzione, la principale delle quali è il cosiddetto “tenure track. Tale
modalità è simile a quanto avviene già
nelle Università, in cui i giovani ricercatori saranno reclutati con contratti
a tempo determinato, di 3 anni rinnovabili una sola volta per poi passare direttamente
al ruolo di Primo Ricercatore – equivalente del Professore associato
universitario. Ancora una volta, tali riforme che potrebbero fungere da stimolo
per un rilancio della Ricerca in Italia, se sprovviste di un reale investimento
economico, rischiano di rivelarsi sterili se non contro-produttive nei
confronti di chi opera già negli enti di ricerca.
Occorre che entrino nella nostra prassi il superamento delle modalità a
chiamata, la selezione di buoni progetti mediante bandi pubblici e valutazione
di “peer” come nel resto del mondo, la trasparenza, la certezza della
regolarità degli interventi (finanziamenti, assunzioni, carriere).
(Fonte: V. Mocella, http://tinyurl.com/h6szrx3 20-05-16)
CRUI. IL PRESIDENTE
SCRIVE A RENZI E GIANNINI SUL PROGETTO HUMAN TECHNOPOLE
Il Presidente della CRUI scrive a Renzi e Giannini a proposito del progetto
Human Technopole e del ruolo assegnato a IIT. «Riteniamo inopportuno attribuire
governo e direzione di un tal progetto ad un unico soggetto, di natura privata
e individuato senza alcuna valutazione comparativa. Se tale indirizzo è stato
assunto temendo l’eccessiva complessità e farraginosità in cui operano la
ricerca e le università pubbliche, allora il progetto HT diventi la leva per
cambiare le regole, per tutti e subito, in modo da potersi confrontare e
misurare sullo spessore e sul valore delle idee e dei progetti. Anche proposte
gestionali che prevedano una collaborazione pubblico-privata possono essere
nuovi strumenti di coinvolgimento e responsabilizzazione del sistema pubblico
della ricerca, quel sistema che già oggi permette all’Italia di essere nelle
prime posizioni al mondo per produttività di ricerca scientifica.» (Fonte
28-05-16)
FUGA DEI CERVELLI
E “ATTRATTIVITÀ” DI RICERCATORI STRANIERI
E. Vigna ha chiesto al rettore R. Rizzuto di UniPd: Sono
in molti a pensare che uno dei punti di rottura dell'intero sistema di studi in
Italia sia costituito, e ben provato, dalla "fuga dei cervelli". «Che
cosa vuoi dire questa espressione? Chi offre loro di
più? Ma questo è normale. Dov'è, invece, che siamo deboli? Nel fatto che, da
una parte il numero degli italiani che vanno all'estero è superiore al valore
fisiologico, dall'altra non attraiamo nessuno. Ma ormai ci troviamo in un
mercato della scienza, e della competizione nella scienza. Un indicatore
fondamentale è dato dal numero dei vincitori del progetto più competitivo della
Comunità europea, quello individuale, che si vince con un progetto individuale
e che corrisponde a un milione e mezzo di euro di finanziamento: l'Ere. Bene,
il primo livello, che è poi quello in cui si investe sui giovani più
promettenti, si chiama "Starting". Se si osserva quanti lo prendono,
si vede che la Germania ne conta più di 70, che il Regno Unito sta poco sotto,
mentre l’Italia non arriva a una ventina, dopo Francia e Spagna». Pessimo
piazzamento. «Poi però analizzi il dato. E ti accorgi che le cose sono diverse
da come appaiono. Gli italiani di passaporto che lo vincono, infatti, sono
molti di più: altri 23 assegnatari, infatti, lavorano all'estero. Se fai il
confronto con le altre nazionalità, scopri che gli inglesi di passaporto sono
meno degli italiani. Eppure le loro università attraggono più talenti di noi:
così, nella classifica, sono in alto in quanto grandi "attrattori". La
Francia non attira altrettanto, ma si tiene stretta i "suoi". I
tedeschi, in testa, conservano i propri ricercatori e ne attraggono qualcuno in
più. Il nostro problema, insomma, va messo nel contesto: noi
"perdiamo" anche perché non siamo attrattivi verso gli stranieri.
Così finiamo in una situazione di debolezza nei confronti dei grandi generatori
di scienza». (Fonte: E. Vigna, CorSera 10-06-16)
INTERVENTI
SEMPLICI PER MIGLIORARE LA RICERCA
Nelle more che aumentino gli scarsi finanziamenti, per
migliorare la ricerca in Italia sarebbero utili anche interventi semplici, a
bassissimo costo. Seguono tre esempi. 1. Migliorare le strategie di
finanziamento: il governo ondeggia fra proclami di nuovi investimenti (2,5
miliardi di euro, di cui 1/4 alla ricerca sanitaria; ottima scelta!) e strane
operazioni, impensabili in altri paesi, come quella di creare nelle aree di
Expo-Milano un polo di ricerca investendo 1,5 miliardi di Euro in 10 anni, da
attribuire ad un ente privato, l’Istituto italiano di Tecnologia, senza un
bando competitivo. Oppure, bypassare la legge nazionale per l’assegnazione del
ruolo di professore universitario, investendo 38 milioni di euro nel 2016 e a
75 a partire dal 2017 per 500 cattedre da retribuire con stipendi maggiori
rispetto a quelli dei “professori normali”. Sono chiamate cattedre “del
merito”; ma perché quelle tradizionali cosa sono, del demerito? 2.
Centralizzare valutazione e finanziamento dei progetti, togliendo dalle mani
delle solite consorterie politiche e scientifico-accademiche il potere di
elargire finanziamenti in maniera “controllata”. 3. Verificare gli esiti scientifici dei
finanziamenti erogati. (Fonte: V. Trischitta, http://tinyurl.com/jj6gtse 12-06-16)
DIFFICOLTÀ NEL
RIPRODURRE RISULTATI DI ALTRI RICERCATORI
Nature ha fatto diventare un rombo quello che prima era
un sussurro. Su 1.576 scienziati intervistati, più del 70 per cento dice di
avere difficoltà nel riprodurre risultati di altri ricercatori. Uno scienziato
su due (52%) ritiene che la riproducibilità degli esperimenti stia
attraversando una «crisi significativa», il 38% una crisi parziale, solo il 7%
afferma che non c'è crisi, il 3% non sa rispondere. Il campione di Nature
comprende 703 biologi, 106 chimici, 95 scienziati della Terra e dell'ambiente,
203 medici, 236 fisici e ingegneri, 233 ricercatori di altre discipline.
La mancata riproduzione del risultato di un esperimento
può dipendere da un errore in buona fede. In questo caso, ben venga. La scienza
procede così. Ma la frode non è da escludere. Nel libro “Cattivi scienziati”
Enrico Bucci, estrapolando dati statistici, arriva a una conclusione
inquietante: il 15 per cento delle pubblicazioni scientifiche nasconderebbe una
frode più o meno grave. I ricercatori nel mondo oggi sono dieci milioni: i
disonesti sarebbero qualcosa come 1.260.000. (Fonte: P. Bianucci, Il Foglio
06-06-16)
I CONSORZI
UNIVERSITARI DI RICERCA TEMATICA SENZA FONDI
I CIRT (Consorzi interuniversitari di ricerca tematica)
sono nati per favorire la collaborazione tra atenei, enti di ricerca e aziende
raccogliendo ottimi risultati. Nonostante questo, il MIUR ha azzerato gli
stanziamenti ad essi destinati già nel 2013 e nel 2015, e al momento non ci
sono tracce di finanziamento nella bozza di Fondo di Finanziamento Ordinario
2016. Una situazione che si traduce inevitabilmente in una discontinuità nelle
attività di ricerca e nella difficoltà di elaborazione di nuovi progetti. Ad
aprile, le senatrici Di Giorgi, Ferrara, Idem e Puglisi avevano presentato
un'interrogazione per segnalare il problema, sottolineando che «i Cirt si
contraddistinguono per un'alta efficienza gestionale e per bassi costi di
struttura». Il Programma Nazionale della Ricerca (PNR) approvato dal Governo
evidenzia le linee di sviluppo della ricerca italiana nei prossimi anni: se si
vuole investire nella ricerca, in linea con la strategia Horizon 2020, non
bisogna solo ridurre gli sprechi ma anche sostenere gli attori – come i Cirt –
che aumentano la capacità complessiva del sistema di sviluppare ricerca e
promuovere la formazione di giovani ricercatori. A tal fine, i Cirt hanno
chiesto l'istituzione di un "tavolo tecnico" di confronto che
riunisca i rappresentanti di Miur, Crui e Cirt per restituire a questi ultimi i
finanziamenti di cui hanno bisogno in un quadro di programmazione triennale.
(Fonte: I. Ceccarini, rivistauniversitas 25-05-16)
RICERCA. VALUTAZIONE DELLA RICERCA
LA RICERCA
UNIVERSITARIA (“ECCELLENZA MONDIALE CHE SOLO PER MERITI INDIVIDUALI RESISTE AI
TAGLI”) NELL’ULTIMO “RAPPORTO BIENNALE SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E
DELLA RICERCA” ELABORATO DALL’ANVUR
Nonostante anni di tagli alle risorse e al personale che hanno messo in
ginocchio le università del nostro Paese (meno fondi, meno docenti) la ricerca
italiana è ancora viva. Le pubblicazioni continuano a crescere e a
rappresentare una fetta consistente della produzione mondiale, mantenendosi
sopra la media europea. I dati sono contenuti nell’ultimo “Rapporto biennale
sullo stato del sistema universitario e della ricerca” elaborato dall’Anvur,
l’Agenzia nazionale di valutazione. Tanti numeri, tante ombre e qualche luce:
ad esempio lo stop all’emorragia di immatricolati che si era osservata a
partire da metà anni duemila; una parziale inversione di tendenza rispetto alla
stagione dei tagli selvaggi (in particolare dell’era Gelmini), o i buoni
risultati raggiunti a livello internazionale nella produzione scientifica. Il
quadro generale, però, resta negativo. Soprattutto sul piano economico: “Il
sistema, già sottofinanziato nel confronto internazionale, dal 2008 ha subito
una forte contrazione dei finanziamenti”, spiega il dossier. Né la situazione
sembra destinata a cambiare in futuro: “Anche per il 2016 il finanziamento
statale delle università si assesta su valori di poco superiori a quelli del
2015”, passando da 7,25 miliardi di euro a 7,34 miliardi, “valori simili a
quelli del 2013 e 2014, ma lontani dal massimo raggiunto nel 2009 di 8,44
miliardi”. Ciononostante, la ricerca continua a tenere il passo. Nel periodo
2011-2014, la quota italiana sul totale delle pubblicazioni mondiali si attesta
complessivamente al 3,5%, non troppo distante da Francia (4,2) e Germania
(5,8), i principali competitor europei, e meglio della Spagna (2,9).
Nell’ultimo quinquennio sono diminuite le risorse e pure il personale umano a
disposizione delle università: a seguito dei provvedimenti di blocco del
turnover, il numero complessivo di docenti di ruolo a disposizione degli atenei
(tra ordinari, associati e ricercatori) è passato dalle 62.753 unità del 2008
alle attuali 54.977, con un calo netto del 12%. “Nemmeno il piano straordinario
2016 che prevede il reclutamento di 861 nuovi ricercatori di tipo B riuscirà a
modificare questa configurazione”, avverte l’Anvur. (Fonte: L. Vendemiale, Il
Fatto Quotidiano 27-05-16)
VALUTAZIONE DELLA
RICERCA
Nelle aree scientifiche la valutazione è solida e fondata
sulle migliori esperienze internazionali. In quelle umanistiche non esistono
modelli sperimentati e l'esperienza italiana è oggetto di studio anche
all'estero. So anch'io che ci sono dei limiti, che per esempio per le
monografie il ministero è obbligato a utilizzare un codice commerciale come
l'Isbn, ma stiamo facendo passi avanti importanti. Aggiungo che è normale che
nella fase iniziale siano stati fatti anche errori, ma l'Anvur ha sempre
lavorato in modo critico, ed è sempre stata pronta a porvi rimedio, insieme
agli atenei e alla comunità accademica, oltre che naturalmente al ministero.
Come si spiega, allora, che alla richiesta di invio dei «prodotti di ricerca»
per la valutazione in molti dipartimenti è stata annunciata una
"rivolta"? Con tutto il rispetto per questa protesta, va detto che
anche il nuovo ciclo della valutazione ha avuto una partecipazione altissima,
al 94%, e fra chi non ha inviato nulla ci sono anche i docenti inattivi, che
non avevano nulla da inviare. È vero che in quel 94% vi sono anche colleghi che,
se la Vqr fosse intesa a valutare i singoli, cosa che non è, avrebbero
rifiutato. Ma quale altra Pubblica amministrazione mostra tassi di adesione
così alti a criteri di merito? È un fatto enorme. (Fonte: G. Trovati,
intervista a presidente Anvur Graziosi, IlSole24Ore 09-05-16)
POSSIBILI
ILLEGITTIMITÀ DEI PRELIEVI COATTI DEI PRODOTTI DELLA RICERCA AI FINI DELLA VQR
La strategia dell’astensione dalla VQR può essere
considerata un successo sotto vari profili: ha unificato circa un terzo del
corpo docente Italiano che con spirito critico cerca di ottenere il
riconoscimento giuridico di cinque (!) anni di lavoro effettuato e la
restituzione di una piccola fetta di quella torta che gli e’ stata sottratta,
senza nuocere agli studenti ed alle loro famiglie (che ne sostengono i costi
della loro educazione). Inoltre questa iniziativa ha avuto anche il grande
merito di far parlare un po’ di più della tragica situazione in cui vertono l’Università
e la ricerca in Italia. Bisogna però accettare che questa mossa, strategicamente
geniale, non ha sortito tutti gli effetti desiderati, la VQR e’ andata avanti,
la maggior parte delle Istituzioni ha fatto un “prelievo” coatto dei cosiddetti
prodotti della ricerca. In proposito su Roars si rileva che il prof. F. Strata
(ricercatore all’UNIPR) ha notificato al prof. C. Ferraro di aver inviato al
protocollo del suo Ateneo ed al Rettore una lettera diffidandoli dal fare un
uso non autorizzato dei suoi “prodotti della ricerca”. La lettera, stilata con
la collaborazione di un avvocato ed avvallata anche da altri giuristi, era
corredata di numeri di legge e articoli che evidenziavano le possibili
illegalità di un prelievo coatto. (Fonte: Redazione Roars 08-05-16)
LA MANCATA
COSTITUZIONE DELL’ANPREPS È UNO DEI PIU’ GRAVI OSTACOLI ALLA REALIZZAZIONE DI
UNA SERIA VALUTAZIONE DELLA RICERCA
L’Anagrafe Nazionale delle Ricerche esiste da circa 35
anni, in quanto istituita dall’Art. 63, comma 3 del D.P.R. 11 luglio 1980 n.
382, emanato in attuazione dell’art. 9 della L. 21 febbraio 1980 n. 28, al fine
di “evitare ogni superflua duplicazione e sovrapposizione di strutture e
finanziamenti pubblici in materia di ricerca”, Sono obbligati all’iscrizione
tutti i soggetti, pubblici e privati, che vogliono accedere ai finanziamenti
pubblici in materia di ricerca. L’indirizzo del sito e’ http://www.anagrafenazionalericerche.it. La legge 1/2009
non ha niente a che vedere con l’ANR, ma indica la necessità di costituire
l’ANPRePS (Anagrafe nominativa dei professori e dei ricercatori e delle
pubblicazioni scientifiche). La mancata costituzione dell’ANPRePS e’ uno dei più
gravi ostacoli frapposti alla realizzazione di una seria valutazione della
ricerca in Italia. A fronte di reiterate richieste del CUN e dell’ANVUR,
nessuno ha mai saputo spiegare perché in più di sette anni non si e’ potuto non
dico realizzare l’ANPRePS, ma almeno emanare il Decreto, previsto dalla Legge
1/2009, che e’ condizione preliminare per la sua realizzazione. (Fonte: P.
Rossi, Roars 13-05-16)
LO SCOPO DELLA
VQR SECONDO REDAZIONE ROARS E GIUSEPPE DE NICOLAO
Nel 2010 Francesco Giavazzi lodava la riforma Gelmini perché «riconosce che
i corsi devono essere ridotti, le università snellite, alcune chiuse». Giavazzi
è stato accontentato: i dati OCSE del 2015 mostrano che, come percentuale di
laureati nella fascia 25-34 anni, l’Italia ormai è ultima. Siamo stati superati
dal Cile e dalla Turchia. Qual è la risposta di Renzi? La risposta di Renzi non
è quella di garantire i diritti sul territorio nazionale, ma quella di
promettere l’uomo “quasi immortale”, dando soldi a IIT, una fondazione di
diritto privato; nascondere dietro un velo di opacità i soldi dei cittadini,
mettendoli a disposizione di qualcuno che ne può disporre senza troppi controlli.
In tutto ciò si inserisce il gioco della valutazione. Qual è lo scopo della
VQR? È stato spiegato nel 2012 da un membro del Consiglio Direttivo dell’ANVUR:
«quando la valutazione sarà conclusa, avremo la distinzione tra researching
university e teaching university» la serie A e la serie B. Soltanto che la
serie A sarà concentrata in una parte del paese e la serie B sarà quasi tutta nel
Centro-Sud. «E qualche sede dovrà essere chiusa» si aggiungeva. Ma questo è
proprio quello che chiedeva Giavazzi. Ecco lo scopo: la VQR serve a realizzare
il progetto che voleva Giavazzi. (Fonte: http://tinyurl.com/jtl865b 15-05-16)
MOZIONE M5S SU
UNIVERSITÀ E RICERCA
Tra gli altri impegni approvati oggi dall'Aula della Camera ricordiamo
quello che prevede di riformare il sistema di valutazione della qualità della
ricerca (VQR) anche attraverso l'introduzione di un sistema di premialità che
attribuisca risorse nuove ed aggiuntive rispetto a quelle destinate al
funzionamento ordinario. Abbiamo anche suggerito all'esecutivo di avviare nuovi
strumenti che consentano anche a privati cittadini di effettuare donazioni
destinate ai fondi statali per la ricerca di base. Infine, abbiamo impegnato il
governo a valorizzare i sistemi universitari e di ricerca italiani e di
garantirne l'efficienza, di regolare il turnover dei docenti universitari e di
valutare la rispondenza dei livelli occupazionali alle esigenze dei singoli
enti. In ambito europeo, l'Italia continua a essere la cenerentola in materia
di stanziamenti verso la ricerca. Per invertire questa tendenza ci sarebbe
bisogno di uno sforzo notevole e, in tal senso, non riteniamo sufficiente il
recente piano da 2,5 miliardi per la ricerca varato da Renzi dal momento che,
analizzando i conti, si evince che si tratta di risorse già in bilancio.
(Fonte: mozione M5S su università e ricerca, M5S Camera News 18-05-16)
LE ANOMALIE
DELL’ANVUR
In Italia la valutazione è entrata con la legge Gelmini: è stata creata
l’agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca. Questa
agenzia è stata variamente chiamata: qualcuno dice “un mostro istituzionale”.
Io, in maniera meno polemica, dico: è un’agenzia mal disegnata, perché si è
presa un’idea britannica e l’abbiamo messa dentro una struttura napoleonica,
che è il nostro ministero, che è il nostro sistema di controllo delle
università. Per cui noi abbiamo, a questo punto, un controllo ministeriale
molto centralizzato e l’agenzia che diventa lo strumento principale del
controllo centralizzato da parte del ministero.
L’agenzia ha delle anomalie perché gestisce tutte le attività di
valutazione mentre, per esempio in Inghilterra, dove ci sono agenzie che fanno
valutazione, le competenze sono separate, perché non ci può essere una sola
testa che decide su tutto. L’agenzia ANVUR fa la valutazione della ricerca, la
valutazione della didattica, fa la valutazione della performance delle attività
amministrative delle università. Di fatto, avendo tutte le competenze su tutti
gli aspetti di interesse di azione dell’università, la creazione dell’agenzia
ha creato un sistema completamente sbilanciato, un cui l’elite che viene
cooptata dentro l’agenzia ha il potere pieno nella definizione delle politiche,
anche se questo non è detto in modo esplicito. (Fonte: A. Baccini, Roars
20-05-16)
VQR. CHE COSA HA
PRODOTTO IN NEGATIVO E QUALI SONO OBIETTIVI IN POSITIVO
Secondo S.
Semplici su Roars questa VQR (Valutazione
Qualità Ricerca) ha prodotto in questi anni:
1. una politica di progressiva
riduzione delle già scarse risorse, coperta dalla parola d’ordine del merito;
2. la mortificazione dell’impegno
della didattica come pilastro irrinunciabile della missione dell’università;
3. la ricerca dell’eccellenza
contrapposta al dovere dell’equità;
4. l’erosione del diritto allo
studio e l’esasperazione di insostenibili squilibri tra le diverse aree del
paese;
5. la competizione con ogni mezzo,
contrapposta alla solidarietà e alla collaborazione che dovrebbero
caratterizzare la vita dei nostri atenei.
Quali sono dunque gli obiettivi in positivo?
1) Riportare il finanziamento dell’università e della ricerca a livelli
comparabili con quelli dei paesi più avanzati; 2) a didattica e ricerca deve
essere riconosciuta la stessa dignità; 3) l’obiettivo dell’eccellenza senza
equità non è compatibile con la Costituzione; 4) la presenza in tutte le aree
del paese di strutture di formazione e di ricerca di livello internazionale; 5)
l’esasperazione della competizione fra atenei, gruppi di ricerca e persone deve
essere superata. (Fonte: Intervento di Stefano Semplici nel corso dell’incontro “#STOPVQR il futuro
passa per una migliore valutazione della ricerca”, organizzato da M5S presso la
Sala Tatarella del Palazzo dei Gruppi della Camera dei Deputati 28-05-16)
SISTEMA UNIVERSITARIO
ANALISI E
PROPOSTE DEL CUN PER LA “MANUTENZIONE” DELLA L. 240/2010, C.D. “RIFORMA
GELMINI”
Il Consiglio Universitario Nazionale ritiene sia giunto il tempo di una
riflessione e di un’analisi volte a evidenziare i problemi emersi nel corso
dell’applicazione della legge di riforma (l. 30 dicembre 2010 n.240) e a
suggerire possibili soluzioni che rendano più facilmente raggiungibili alcuni
degli obiettivi che il legislatore si era a suo tempo prefissato o, quando ciò
risulti necessario, indichino la probabile o manifesta impraticabilità di
alcuni dei meccanismi indicati dalla norma.
L’intento del presente documento è quello di intervenire con alcune
modifiche mirate sulla l. n. 240/2010, pur restando all’interno del suo
impianto complessivo.
Tutte le indicazioni e le proposte formulate sono l’esito di un confronto
lungo e partecipato, che si era già in parte sedimentato in una serie di
documenti di cui sono largamente ripresi, e portati a sintesi, gli spunti
qualificanti posti qui all’attenzione delle sedi istituzionali, delle comunità
accademiche e scientifiche, come avvio di un percorso aperto alle riflessioni e
al contributo di quanti siano interessati. Questo documento si articola in tre
parti, che riflettono i tre Titoli della l. n. 240/2010:
I – Organizzazione del sistema universitario;
II – Norme e delega legislativa in materia di qualità ed efficienza del
sistema universitario;
III – Norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina
concernente il reclutamento.
Il seguente link consente di aprire il pdf per la lettura del documento del
CUN (Adunanza del 19-04-16):
RIFORMA
UNIVERSITARIA. PIÙ AUTONOMIA AGLI ATENEI, POTENZIAMENTO DEL DIRITTO ALLO STUDIO
E REVISIONE DEL PERCORSO DI ACCESSO ALLA DOCENZA
«È una riforma molto complicata, dobbiamo coinvolgere gli operatori e far
sì che atenei e ricerca escano fuori dal perimetro della Pa. I decreti della
riforma Madia interverranno sugli enti di ricerca e la riforma dell’università
si farà entro il 2016 ma non sarà calata dall’alto». A tornare a parlare di una
riforma dell’università (e della ricerca) è stato mercoledì scorso il premier
Matteo Renzi rispondendo a una domanda durante l’ormai consueto appuntamento su
Facebook «Matteo risponde». Poche parole che però fanno capire che un
intervento ci sarà entro l’anno. Ma su quali capitoli? La responsabile scuola
università e ricerca del Pd Francesca Puglisi ne ricorda alcuni - più autonomia
agli atenei, potenziamento del diritto allo studio e revisione del percorso di
accesso alla docenza - e annuncia: «Dopo quello di Udine, a giugno
organizzeremo a Roma un nuovo incontro con la comunità di ricercatori e docenti
delle università per parlarne insieme».
La senatrice del Pd ricorda in particolare che il primo intervento per
l’università - che lo accomuna alla ricerca e al riordino degli enti previsto
come attuazione della riforma Madia - punterà a togliere i vincoli tipici della
Pa agli atenei garantendogli «più autonomia e anche più responsabilità». Il
secondo intervento «urgente» per il mondo universitario è quello del
potenziamento e della rivisitazione dei meccanismi che oggi provano, con molte
difficoltà, ad assicurare il diritto allo studio: «Vogliamo garantire le stesse
opportunità a Bergamo e a Palermo assicurando una borsa a tutti quelli che
risultano idonei», avverte Puglisi. Che segnala come l’altro capitolo della
riforma universitaria riguarda l’accesso alla docenza e la revisione delle
figure pre-ruolo dei ricercatori che oggi si contraddistinguono per una
proliferazione di contratti che hanno favorito «solo la precarietà». Da qui
l’idea - già al centro dell’incontro di Udine dello scorso autunno - di creare
un percorso unico che preveda dopo un post doc (3 anni) al massimo altri cinque
anni (3+2) con un «tenure track» che apra la porta alla docenza. «Di questi e
altri aspetti ne parleremo in un incontro che vogliamo organizzare a Roma a
giugno, dopo le elezioni amministrative, aperto a tutti i protagonisti del
mondo della ricerca e dell’università». (Fonte: M. Bortoloni, www.sanita24.ilsole24ore.com
20-05-16)
RAPPORTO BIENNALE
SULLO STATO DEL SISTEMA UNIVERSITARIO E DELLA RICERCA, PRESENTATO il 24/05
DALL'ANVUR
Il sistema universitario italiano è basato sulle università statali (61
atenei), che accolgono nove iscritti su dieci. Negli ultimi due anni il calo delle
immatricolazioni
si è arrestato e negli ultimi dodici mesi si è registrata "una decisa
inversione di tendenza, con un incremento dell'1,6% del numero di
immatricolati". Nel triennio 2012-2015 gli atenei del Sud hanno perso il
17% degli studenti rispetto al 2007-2010 con una punta di -26 nelle Isole. Gli
studenti d'università non italiani sono passati dal 2% del Duemila al 9% di
oggi. Per quanto riguarda la scelta disciplinare, crescono le lauree
di Ingegneria, cala l'area giuridica. Oltre l'83% degli studenti è
concentrato in 41 atenei medio-grandi (almeno 15.000 studenti). Nelle lauree
triennali solo il 58% arriva in fondo al percorso. I tassi di accesso
all'istruzione terziaria successiva sono più bassi delle medie internazionali
(42% contro 63 della media Ue, 67 della media Ocse).
Anche per il 2016, fatta eccezione per il diritto allo studio, il finanziamento
statale delle università si assesta su valori di poco superiori a
quelli del 2015. Le entrate delle statali, dopo essere cresciute del 25% tra il
2000 e il 2008, si sono ridotte del 18% nel periodo successivo. La spesa per il
personale negli atenei è diminuita di un quinto rispetto al 2008.
L'importo medio delle tasse pagate per l'iscrizione a un
ateneo statale ammonta a 1.071 euro: 700 euro in media al Sud, quasi 1.400 euro
al Nord.
Si è registrato un crollo dei docenti in cattedra: erano 62.753
nel 2008, sono diventati 50.369 nel 2015. Negli ultimi ventisette anni il
processo di innalzamento dell'età dei docenti è stato continuo: dal 1988 al
2015 l'età media è aumentata di quasi 7 anni, arrivando a sfiorare i 53. I
professori associati insegnano per 111,6 ore l'anno, gli ordinari per 110,3
ore, i ricercatori a tempo indeterminato per 77,4 ore, i ricercatori a tempo
determinato 67,8 ore.
La quota del Prodotto interno lordo dedicata alla spesa in "Ricerca e
sviluppo" è rimasta stabile nell'ultimo quadriennio (2011-2014), su valori
decisamente inferiori alla media Ue: con l'1,27% sul Pil l'Italia è al 18°
posto insieme alla Spagna tra i principali paesi Ocse (media 2,35%). I
finanziamenti dedicati ai Progetti di ricerca di interesse nazionale delle
università (Prin) hanno toccato il picco nel 2009, poi sono diminuiti. Negli
ultimi anni i Prin sono stati banditi nel 2012 e alla fine del 2015. Anche le risorse
destinate al Fondo per gli investimenti della ricerca di base (Firb) si sono
attestate "ai livelli minimi". Il Fondo per i giovani Sir non è stato
finanziato negli ultimi tre anni. "Rispetto al 2007-2012, il sistema della
ricerca nazionale mostra comunque una maggiore capacità di partecipazione e un
più alto tasso di successo nei progetti collaborativi di Horizon 2020".
Nel periodo 2011-2014 la quota italiana sul totale delle pubblicazioni
scientifiche mondiali si attesta complessivamente al 3,5%. La
produzione scientifica nazionale cresce a un tasso medio annuo del 4%, in lieve
rallentamento. La produttività scientifica dei ricercatori italiani (pubblici e
privati) è in media la più alta: 0,61 è, infatti, il rapporto tra pubblicazioni
e ricercatori.
L'offerta formativa generale è caratterizzata
da pochi corsi di studio in lingua inglese (245) e solo 310 corsi (il 7% del
totale) utilizzano parzialmente la lingua inglese. (Fonte: http://tinyurl.com/h8ql5g6 25-05-16))
NOVITÀ
SULL’UNIVERSITÀ IN UN DECRETO SCUOLA IN VIA DI APPROVAZIONE DEFINITIVA
Nell’ambito del decreto scuola in arrivo un pacchetto di disposizioni a
parte è quello sulla formazione superiore e sulla ricerca. In particolare, sono
individuate le risorse per la stabilizzazione della Scuola sperimentale di
dottorato internazionale Gran Sasso Science Institute (3 milioni annui dal
2016) e viene diminuito il limite minimo dei crediti formativi universitari da
riconoscere, a conclusione dei percorsi realizzati dagli Its (Istituti tecnici
superiori), agli studenti che intendono iscriversi a un corso universitario.
Vi sono poi novità pure sul fronte degli ordinamenti professionali, delle
prestazioni sociali, degli acquisti culturali: per i periti industriali, si
innalza il titolo di studio richiesto per l'accesso alla libera professione
(dal diploma di istituto tecnico al diploma di laurea); si estende ai giovani
immigrati con permesso di soggiorno che compiono 18 anni nel 2016 il bonus da
500 euro per acquisti culturali; viene introdotta transitoriamente una nuova
modalità di calcolo dell'Isee relativo ai nuclei familiari al cui interno sono
presenti dei disabili certificati. (Fonte: http://tinyurl.com/ja2nu2d 25-05-16)
UNIVERSITÀ. È
URGENTE SEMPLIFICARE TAGLIANDO PROCEDURE GRAVOSE E NORME SOFFOCANTI
La scienza è libera e libero ne è l'insegnamento (articolo 33, primo comma
della Costituzione), sia come diritto individuale, sia in quanto attività
organizzata di scienziati e studenti. Proprio perché libera - e solo se libera
- l'università è capace di assolvere il compito di conoscenza di cui hanno
bisogno tutti: individui, imprese ed enti pubblici. Certo, le università sono
pubbliche amministrazioni - nessuna norma di legge può negare questa sostanza
-, ma sicuramente di una specie tutta particolare. Per garantire tutti la
libertà di scienza nega anzitutto l'assoggettamento a qualsiasi indirizzo
politico: del Governo, delle Regioni o dell'Unione europea. È pertanto fondata
in una norma costituzionale la richiesta delle università pubbliche di essere
liberate da procedure amministrative eccessivamente gravose con leggi,
regolamenti o anche solo con linee guida
capaci di sopprimere norme "obsolete o soffocanti". Le università
possono innovare se stesse, aprendo alla trasformazione delle altre pubbliche
amministrazioni. Le università come esempi di sperimentazione di una nuova
buona amministrazione, per diffusione delle tecnologie e analisi dei flussi
negli approvvigionamenti o nei servizi, che a propria volta inducono a nuove
forme di gestione, ma soprattutto alla partecipazione dei lavoratori e degli
studenti a una più adeguata e differenziata programmazione della ricerca, della
didattica o dell'attività di terza missione. È necessario introdurre contratti
tipici o norme per l'università che tengano conto dei vincoli europei: così per
l'assegnista europeo con orario di lavoro consacrato al progetto, pur
nell'ambito di un rapporto di lavoro autonomo; così per il ricercatore con un
vincolo didattico percentualmente ridotto al finanziamento europeo; così ancora
per le responsabilità giuridiche (civili, penali e amministrative) che debbono
essere unicamente per violazione di regole sulla ricerca universitaria che
siano uniche e certe, senza più distinzione tra ordinamento nazionale e
internazionale.
(Fonte: R. Cavallo Perin,
IlSole24Ore 23-05-16)
LE (EX) FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA E LE (EX) FACOLTÀ DI
SCIENZE POLITICHE. QUADRI FORMATIVI DA RIVEDERE
Le (ex) Facoltà di Giurisprudenza si orientano all’esasperazione della
tecnicità forense (più che giuridica) e perdono progressivamente il respiro
culturale generale che, in passato, le ha fatte sede elettiva di formazione per
le scienze sociali.
Le (ex) Facoltà di Scienze politiche esplodono in una serie di percorsi
sezionali e perdono l’ispirazione originaria di luoghi di formazione alla
scienza delle decisioni e delle scelte che non può accantonare nessuna delle
conoscenze settoriali (diritto, storia, economia, filosofia) dalle quali deve
saper trarre le competenze necessarie, dal metodo della comparazione interna a
ciascuna area disciplinare, dall’irrinunciabile contaminazione fra le varie
aree, dal superamento di ogni provincialismo.
Se una larga percentuale dei laureati in Giurisprudenza sceglie
professioni non forensi (per le quali oltre al diritto sarebbero necessarie ben
altre conoscenze) e se i laureati nei Corsi che provengono dall’(ex) Facoltà di
Scienze politiche sono poi costretti a misurarsi con professioni nelle quali il
diritto è essenziale (dal Commissario di Pubblica Sicurezza al Funzionario
amministrativo; dall’Assistente Sociale al Diplomatico convenzionale o non
convenzionale), forse sarebbe necessario rivedere tutto il quadro formativo di
primo, secondo e (necessariamente) di terzo livello, in modo da affrontare con
strumenti adeguati la domanda di professionalità come possesso delle conoscenze
di base e delle necessarie capacità per trasformarle in competenze. (Fonte: G.
Vecchio, http://tinyurl.com/jnxgwqf 26-05-16)
CUN. PARERE SU
«SCHEMA DI DECRETO RECANTE LE LINEE GENERALI D’INDIRIZZO DELLA PROGRAMMAZIONE
DELLE UNIVERSITÀ PER IL TRIENNIO 2016-2018 E GLI INDICATORI PER LA VALUTAZIONE
PERIODICA DEI RISULTATI»
STUDENTI. DIRITTO ALLO STUDIO
SETTIMA
INDAGINE EUROSTUDENT. UNA SINTESI
La Settima Indagine Eurostudent ha analizzato
le condizioni di vita e di studio degli studenti universitari italiani iscritti
a corsi di primo ciclo, di secondo ciclo o a ciclo unico (laurea, laurea
magistrale, laurea magistrale a ciclo unico) nell’anno accademico 2011-2012.
L’Indagine è stata promossa e co-finanziata dal Miur, ed è stata realizzata
dalla Fondazione Rui con la collaborazione dell’Università per Stranieri di
Perugia. L’Indagine italiana è stata condotta nell’ambito del progetto di
analisi comparata “Eurostudent V 2012-2015 – Social and economic conditions of student life
in Europe”.
L’Indagine ha rilevato una riduzione della
presenza di studenti provenienti da famiglie di condizione socio-economica non
privilegiata (genitori con livello di istruzione medio-basso e/o con
occupazioni da “colletti blu”). Poiché la composizione della popolazione
studentesca non è strutturalmente cambiata in conseguenza di tale riduzione,
questo risultato appare una conferma del fatto che gli effetti più pesanti
della crisi si sono avuti nel corso degli studi secondari, oppure prima
dell’accesso all’università. In alcuni casi, il mancato accesso può essere
stato la conseguenza di un vincolo, ossia il frutto dell’impossibilità di
sostenere i costi degli studi. In altri casi, invece, esso può essere stato la
conseguenza di un’analisi razionale del value for money, vale a dire
di una valutazione negativa dell’investimento in formazione per migliorare la
posizione sociale, trovare un buon lavoro e raggiungere rapidamente il livello di
reddito desiderato.
Il lavoro studentesco è diminuito di circa un
terzo, dal 39% della precedente edizione all’attuale 26%. La riduzione è frutto
principalmente dell’impatto negativo della crisi economica sull’occupazione
giovanile. L’Indagine
mostra come il lavoro studentesco sia motivato solo in parte dal bisogno
economico. In molti casi, lavorare soddisfa l’aspirazione all’autonomia degli
studenti, riducendo la dipendenza (non solo economica) dalla famiglia di
origine.
La crescita dell’area d’intervento del
sistema del Dsu, che si è registrata nel decennio precedente, si è arrestata
nell’ultimo triennio. Le dimensioni del Dsu non sono cambiate ma l’Indagine
segnala rilevanti cambiamenti nella diffusione delle tipologie di aiuti
erogati: gli studenti che hanno avuto la borsa di studio sono diminuiti, mentre
sono aumentati gli studenti che hanno ottenuto l’esonero totale o parziale
dalle tasse. In questi anni gli aiuti economici indiretti hanno sostituito
quelli diretti, limitando le conseguenze negative di una consistente riduzione
del finanziamento delle borse di studio. Inoltre, l’aumento del numero di
studenti con esonero totale, accompagnato dalla riduzione del numero di borse
erogate, ha determinato la crescita del numero di “idonei non beneficiari”.
L’Indagine
segnala inoltre che è cresciuto il divario territoriale del Dsu. La capacità di
intervento è più estesa nell’Italia settentrionale, soprattutto nel
Nord-est dove più del 40% degli studenti hanno avuto accesso agli aiuti
economici. La capacità è meno estesa nel Mezzogiorno, soprattutto nelle
Isole dove meno del 30% degli studenti hanno avuto accesso agli aiuti
economici.
Un certo numero di studenti ha rinviato
l’accesso all’università con l’obiettivo di esplorare il mercato del lavoro,
alla ricerca di un collocamento più o meno duraturo, o con l’obiettivo di
acquisire risorse per finanziare i propri studi, integrando il supporto delle
famiglie di origine. L’Indagine comparata Eurostudent segnala che l’accesso
differito all’università (delayed access) è un fenomeno in crescita
nella maggior parte dei paesi europei.
Scegliere sedi di studio raggiungibili con il
pendolarismo ha contribuito a mantenere relativamente alti i tassi di accesso
all’università post-riforma ma ha anche accresciuto il localismo – almeno in
parte forzato – delle scelte degli studenti.
Nei venti anni monitorati dall’Indagine Eurostudent, l’impegno degli studenti è cresciuto con regolarità: il monte ore settimanale per attività di studio è aumentato di circa il 38% rispetto ai primi anni ’90, ed è ora di 44 ore/settimana. A queste si aggiungono, per gli studenti che lavorano, altre 4,3 ore/settimana. L’Indagine segnala che esiste una relazione fra il crescere dell’impegno di tempo nello studio e la riduzione – per effetto della crisi economica – del numero di studenti che lavorano. La riduzione del lavoro ha reso disponibile una quota di tempo che molti studenti hanno reinvestito nello studio più che nel tempo libero.
Nei venti anni monitorati dall’Indagine Eurostudent, l’impegno degli studenti è cresciuto con regolarità: il monte ore settimanale per attività di studio è aumentato di circa il 38% rispetto ai primi anni ’90, ed è ora di 44 ore/settimana. A queste si aggiungono, per gli studenti che lavorano, altre 4,3 ore/settimana. L’Indagine segnala che esiste una relazione fra il crescere dell’impegno di tempo nello studio e la riduzione – per effetto della crisi economica – del numero di studenti che lavorano. La riduzione del lavoro ha reso disponibile una quota di tempo che molti studenti hanno reinvestito nello studio più che nel tempo libero.
Tutte le indagini Eurostudent possono essere
scaricate dal sito www.eurostudent.it.
(Fonte: G. Finocchietti, riv. Universitas e
Roars 14-06-16)
UN POSSIBILE
PERCORSO DI ORIENTAMENTO PER L’ACCESSO ALL’UNIVERSITÀ
Scopo di un percorso di orientamento universitario è fornire agli studenti
strumenti per poter scegliere in modo informato e consapevole il percorso
universitario più adatto alle loro abilità, attitudini e vocazioni, in modo da
ridurre gli abbandoni, accorciare il tempo necessario per conseguire la laurea
e favorire un proficuo proseguimento negli studi e ingresso nel mondo del
lavoro. Per ottenere questo risultato è indispensabile costruire un percorso
coordinato fra la Scuola secondaria e l’Università, organizzato da docenti
della Scuola assieme a docenti universitari, e che coinvolga gli studenti in
prima persona. Un percorso di orientamento efficace può essere costruito
combinando tre azioni principali:
- Orientamento dentro la Scuola
secondaria: a partire dal quarto anno, offrire un sistema integrato
Scuola-Università di orientamento, coordinato a livello nazionale e
implementato a livello locale, basato sia su trasmissione di informazioni (via
web o di persona) sia su esperienze dirette degli studenti (laboratori per il
riconoscimento delle abilità e lo sviluppo delle vocazioni, stage in Università
e nel mondo produttivo).
- Ingresso all’Università: offrire
un sistema di verifica delle conoscenze in ingresso, coordinato a livello
nazionale per gruppi affini di corsi di studio, che comunica con le procedure
d’ingresso ai corsi a numero programmato, e che fornisce ulteriori informazioni
per l’orientamento.
-
Orientamento dentro l’Università: offrire un anno propedeutico agli studenti
neo-immatricolati con preparazione più debole, organizzato per gruppi affini di
corsi di studio, con lo scopo di ridurre gli abbandoni, favorire il
conseguimento del titolo di studio in tempi brevi, e fungere da ulteriore
orientamento sul campo. (Fonte: CUN. Proposta in materia di «Orientamento
integrato fra Scuola e Università», Adunanza del 5 Aprile 2016)
SPOSTAMENTI E
STANZIALITÀ DELLE MATRICOLE
Una mappatura analitica degli spostamenti regione-regione degli
immatricolati 2015/2016 negli atenei italiani è stata tracciata da Il Sole 24
Ore, che ha elaborato i dati dell’Anagrafe nazionale degli studenti del Miur.
Diversi i fattori in gioco: se gli studenti del Nord possono contare su un
elevato numero di atenei a disposizione e su un’amplissima offerta didattica,
al Sud (in particolare nelle regioni più piccole) molti giovani decidono, dopo
il diploma, per il trasferimento, vissuto spesso come fonte di maggiori opzioni
formative e precondizione per una più agevole transizione verso il mondo del
lavoro. Guardando ai dati generali (riferiti dunque al corrente anno
accademico), rileviamo che l’“indice di stanzialità” nazionale (la percentuale
di residenti che scelgono un ateneo della propria regione) è in media elevato:
oltre il 71 per cento. Quasi tre studenti su quattro, per gli studi
universitari, rimangono nel proprio territorio. Ma, come si vedrà, il dato
generale offusca differenze profonde. L’analisi delle cifre porta a dividere
l’Italia in tre aree distinte. Anzitutto il gruppo delle regioni-calamita, in
cui il tasso di stanzialità è tra l’84 e il 90%: Piemonte, Lombardia,
Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Sardegna, Campania. Qui troviamo due casi
particolari rispetto al nucleo forte del Centro-Nord: la Sardegna, la cui
insularità ha probabilmente un peso rilevante nella permanenza dei suoi
immatricolati; e la Campania, unica regione peninsulare del Sud ad avere un
altissimo tasso di fedeltà degli studenti residenti.
Queste sette regioni si caratterizzano per essere i bacini collettori di
quasi tutti i propri abitanti; ma al loro interno, un sottogruppo di cinque
(Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio) riesce anche ad attirare
una quota importante di iscritti provenienti da altre regioni. (Fonte: M.
Periti, IlBo 24-.05-16)
FEDERCONSUMATORI
TROVA LE UNIVERSITÀ PIÙ CONVENIENTI IN BASE AI COSTI
La Federconsumatori ha stilato un “listino prezzi” degli atenei per far
fronte a chi vuole proseguire i propri studi, e pare proprio che la più
economica sia l’Università di Bologna con un costo complessivo di 159,64 € per
chi ha il reddito più basso, seguita da Bari. Per giungere a quella più cara
invece, non bisogna andare lontano: si tratta di Parma con un costo di ben
794,59 €.
Per quanto riguarda le Università siciliane, sono al secondo posto tra le
più convenienti per media regionale con un costo di 463,50 € per chi ha il
reddito più basso, precedute dalla Toscana con una media di 387,50 €. In
particolare gli studenti dell’Università di Catania pagano una retta minima di
478 € fino ad arrivare alla massima di circa 1758 €, senza distinzioni tra
facoltà scientifiche e umanistiche. Diversamente a Palermo, dove gli studenti
delle facoltà scientifiche sembrano essere penalizzati con tasse più alte a
partire dalla seconda fascia, fino ad arrivare ad una differenza di circa 180€
nell’ultima fascia reddituale.
Lo studio è stato effettuato dividendo le università italiane in tre
macroaree (Nord, Centro e Sud), per poi essere esaminate per ciascuna di esse
le tre regioni con maggior numero di studenti, ossia Lombardia, Piemonte,
Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. Infine, per
ogni regione, sono state considerate due università in ordine di grandezza e le
fasce reddituali secondo il nuovo Isee.
Da questa suddivisione è emerso, inoltre, che siano
proprio le università di centro Italia ad applicare tasse più basse, con uno
scarto del – 7, 94% per la prima fascia di reddito rispetto agli atenei del Sud
e, addirittura, del – 23,50% rispetto a quelli del Nord. Infatti, gli importi
medi della zona settentrionale risultano più alti del 16,79% rispetto al
meridione e del 15,47% rispetto alla media nazionale. (Fonte: http://tinyurl.com/ha5egqb 30-05-16)
STUDENTI. RENDERE
GRATUITI I CORSI TRIENNALI
Il XVIII Rapporto AlmaLaurea sul profilo e la condizione
occupazionale dei laureati evidenzia un paradosso: solo il 24% della
popolazione italiana tra i 25 e i 34 anni è laureato, contro una media europea
del 41%. Numero che costringe l'Italia a indossare la "maglia nera"
dell'ultimo posto dei giovani con in tasca una laurea. Ma il presidente del
consorzio interuniversitario Ivano Dionigi rivela che «i nostri ragazzi sono
molto apprezzati all'estero. Al 51% degli studenti che partecipa al programma
Erasmus+ viene proposto di restare a lavorare li, a fronte di una media europea
del 30%. E questo non avviene solo grazie alle università, ma anche alla scuola
secondaria che a mio avviso forma gli studenti più colti d'Europa». Si registra
una leggera ripresa, ma il calo delle iscrizioni è stato così costante che dal
2003 al 2015 gli atenei hanno perso il 20% delle matricole: «È avvenuto
nonostante si sappia che la laurea favorisce l'inserimento nel mondo del lavoro
e garantisce retribuzioni maggiori, anche se non adeguate al titolo», spiega
Dionigi, che propone: «Investire nel diritto allo studio è fondamentale. Chi,
se non l'università, deve supplire laddove famiglia e associazioni non
arrivano? Quello degli atenei è un ruolo sociale importante in particolare sui
fronti dell'orientamento in entrata e in uscita e dell'internazionalizzazione.
Per incentivare le iscrizioni ai corsi di laurea triennali e contribuire
concretamente ad aumentare il numero di laureati, è necessario un investimento
da parte del Governo per renderli gratuiti. Se la media delle tasse
universitarie è di 1.500 euro, parliamo di un investimento sul futuro di un
miliardo e 200 milioni in tre anni». (Fonte: La Repubblica 09-05-16)
STUDENTI. 139.170
BENEFICIARI A FRONTE DI 188.612 COSIDDETTI IDONEI PER LE BORSE DI STUDIO NEL
2014-15
Nell'anno accademico 2014-2015 uno studente su quattro
avente diritto al premio economico non ha ricevuto nulla. In numeri, parliamo
di 139.170 beneficiari a fronte di 188.612 cosiddetti idonei, che poi sono
coloro che hanno maturato il diritto a ricevere l'assegno che aiuta a sostenere
le spese per laurearsi. Quasi cinquantamila studenti in regola, quindi, sono
fuori, solo perché i bilanci regionali non possono contemplare il pagamento
delle borse di studio. Ma non basta. Perché quello che emerge dai dati è che,
con il passare del tempo, la percentuale di coloro che godono effettivamente
del fondo si abbassa di anno in anno. Di poco, ma è scesa: dal 74,25% del
2013-14 al 73,89% del 2014-15. Della questione si è interessata anche la
Fondazione Agnelli: nei sette anni, 2007-2014 i beneficiari sono passati da 151
mila a 139 mila e le previsioni per il 2015-2016 parlano di un'ulteriore
perdita di quattromila universitari. Nel 2014 nove regioni su venti avevano
bonificato la borsa di studio a tutti gli studenti idonei. Solo due erano del
Sud: Abruzzo e Basilicata. In Toscana una singola borsa di studio annuale vale
3.707 euro lordi, in Emilia Romagna 3.650, in Sardegna 1.200 euro. Per
restituire un diritto agli studenti fuori graduatoria serve un finanziamento
forte e la revisione dei metodi di assegnazione. Per gli studenti, bisognerebbe
toglierli alle inadempienti regioni e darli direttamente al ministero
dell'Istruzione. (Fonte: Giornale.it 12-05-16)
DIRITTO ALLO
STUDIO. DARE ALLO STATO CENTRALE LA GESTIONE DEL DIRITTO ALLO STUDIO CHE LA
COSTITUZIONE ASSEGNA ALLE REGIONI
Al sottosegretario all'Istruzione Davide Faraone non
sfuggono le difficoltà e i paradossi del sistema universitario italiano. Contro
il crollo delle immatricolazioni serve diritto allo studio? «Sì. E' una
priorità, da affrontare con politiche nazionali, più centralizzate. È il
meccanismo a produrre effetti paradossali e circoli viziosi, non solo la
carenza di risorse. Oggi vengono favoriti quegli atenei che si trovano in
territori dove l'ente Regione è più virtuoso e finanzia tutto il diritto allo
studio, come Toscana o Emilia Romagna. In Sicilia, dove neanche c'è una legge,
ci sono solo i fondi statali e non bastano. Così solo il 20% degli idonei
meritevoli riceve la borsa di studio e la Regione non ha mai messo un euro. Ciò
alimenta non solo la disaffezione ma anche l'impossibilità per alcuni di
accedere all'università. O si spingono le famiglie meridionali a mandare i
ragazzi a fuori, al Centro, al Nord, dove le borse di studio si prendono e i
servizi funzionano. La situazione per il Sud e le Isole è tragica. A perderci è
tutto il Paese». Il governo sta a guardare? «Affatto, da mesi ci lavoriamo. Io
sono per dare allo Stato centrale la gestione del diritto allo studio che la
Costituzione assegna alle Regioni. Con la nuova riforma costituzionale "le
regioni promuovono" ma non hanno più competenza esclusiva. Si tratta di
coordinare le risorse attuali, nazionali e regionali, come anche europee, per evitare
che chi è idoneo, per reddito e merito, non benefici della borsa di studio».
L'impoverimento progressivo delle famiglie non ha avuto
compensazioni per tutelare la crescita culturale dei figli: borse di studio,
alloggi, mensa, trasporti e servizi allo studente. Dall'inizio della crisi
molti Paesi europei hanno potenziato le risorse destinate agli studenti bravi
ma privi di mezzi, l'Italia no. Da noi i borsisti sono scesi del 9%, in Spagna
sono aumentati del 55%, in Francia del 36%, in Germania del 32%. In Italia solo
il 12% beneficia della borsa. In Francia è il 25,6%. E pensare che tra chi
riceve la borsa c'è un tasso di abbandono (altissimo in Italia: 45%) del 13% in
meno di chi non la riceve. Così il mito della meritocrazia si va a far
friggere? «Qualunque politica legata al merito non può essere immaginata senza
una base che dà a tutti le stesse opportunità» dice Francesco Ubertini, rettore
dell'Università di Bologna. I principali colpevoli del naufragio del diritto
allo studio costituzionalmente garantito sono le Regioni a cui è affidato dalla
Carta. Ma la causa è anche un meccanismo folle che produce paradossi su
paradossi. Dei 510 milioni di euro stanziati, 233 milioni vengono dalla tassa
regionale pagata al momento dell'iscrizione dagli stessi studenti. È già la
prima stortura. «Il 42% in media delle risorse per il diritto allo studio
proviene dalle tasche degli studenti. Non è un controsenso?» chiede Alberto
Campailla, leader del coordinamento universitario Link. (Fonte: La Stampa
12-06-16)
STUDENTI. ESENZIONE
IRPEF PER LE BORSE DI STUDIO ERASMUS+
L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato ieri 18 maggio la Circolare n.
20/E/2016 che fornisce chiarimenti generali sulle principali novità previste
dalla Legge di Stabilità 2016 (Legge n. 208/2015). Tra i chiarimenti forniti,
viene precisato, ad esempio, che sono esenti da Irpef le borse di studio per la
mobilità internazionale del programma Erasmus+. La Legge di stabilità 2016 ha
previsto, infatti, l’esenzione dall’Irpef per le borse di studio relative alla
mobilità internazionale erogate per gli studenti delle università e delle
istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica che partecipano
al programma Erasmus+ per il periodo 2014-2020 e ha previsto anche l’esenzione
dall’Irap per i soggetti che le erogano. (Fonte: www.fiscoetasse.com 19-05-16)
I GIOVANI
MERIDIONALI LASCIANO L'UNIVERSITÀ O SCAPPANO AL NORD
Fra il 2003 e il 2015 il calo delle immatricolazioni all'università nelle
regioni del Sud è stato del 30% (al Centro del 22% e al Nord del 3%). Si
potrebbe pensare che questo sia semplicemente il riflesso dell'impressionante
declino demografico che, al pari del Mezzogiorno stesso, rappresenta l'altro
profondo problema secolare dell'Italia. AlmaLaurea ci ricorda che negli ultimi
trent'anni il numero dei diciannovenni che vivono nel nostro Paese si è quasi
dimezzato. Ma il restringersi della popolazione giovane non basta a spiegare
tutto. La fuga dall'istruzione universitaria - la cui scarsa diffusione è la terza
grande questione secolare d'Italia - è ben visibile anche quando si elimina dal
calcolo il declino delle nascite. Nel 2004 si iscriveva all’università il 67%
dei giovani diplomati del Sud (il 76% di quelli del Centro e l'81% di quelli
del Nord). Otto anni dopo la quota di diciottenni o diciannovenni che sceglie
di continuare gli studi è scesa in tutta Italia, ma nel Mezzogiorno è ormai
appena a poco più della metà. E da allora ha proseguito il declino. Potrebbe
non essere gravissimo, se almeno questa residua metà dei giovani che ancora
nascono e crescono al Sud e comunque scelgono di costruire la loro istruzione, restasse
nella loro terra. Non lo fanno. Già sono meno di prima, già studiano meno di
prima. Ma fra i pochi che lo fanno, un numero crescente sceglie di andarsene.
Fra i laureati del ciclo triennale, ormai un quinto va a studiare al Centro, al
Nord o all'estero; fra quelli del diploma quinquennale, un quinto si sposta
subito e il 14% lo fa dopo il passaggio di boa dei primi tre anni di università.
L'unica certezza è che sta accadendo qualcosa di gravissimo, frutto di una
situazione con ogni evidenza insostenibile in una parte del Paese nella quale
il reddito per abitante è ormai sceso a poco più di metà di quello presente al
Nord. (Fonte: Corsera Sette 20-05-16)
STUDENTI ERASMUS.
SOLO IL 7,4% SCEGLIE IL NOSTRO PAESE
Un mercato in crescita quello dell'Erasmus che vale un miliardo e mezzo di
euro. Il bilancio di 27 anni di Erasmus parla di 3,3 milioni di studenti
partecipanti e di 3,2 miliardi di euro investiti dall'Ue. Gli appena 3.244
pionieri partiti da Paesi che nel 1987 sperimentarono la prima edizione del
programma, progettato per gli universitari che vogliono compiere un periodo di
studio in uno dei Paesi dell'Unione, nel 2014 sono diventati 272.497, di 28
nazioni e sei Paesi extra Ue. E Bruxelles punta a coinvolgere almeno il 20% di
tutti gli universitari entro il 2020. La classifica delle nazioni più gettonate
vede al primo posto la Spagna con 39.277 arrivi l'anno (14,4% del totale)
seguita da Germania con 30.964 (11,3%), Francia con 29.621 (10,8%), Regno Unito
con 27.401 e con appena 20.204 (7,4%) l'Italia.
La Spagna è anche il Paese in grado di mandare più universitari all'estero
(37.235), l'Italia è quarta (26.331), seguita a distanza dal Regno Unito dal
quale partono appena 15.610 studenti (quasi la metà di quelli che entrano).
L'età media degli studenti Erasmus è di poco superiore ai 23 anni, il 60,2 per
cento sono donne. Per quali ragioni non scelgono l'Italia? «C'è il limite della
lingua di studio - dice il rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone -
infatti, da quando abbiamo più corsi in inglese gli studenti internazionali
sono raddoppiati, fra Erasmus, scambi e doppie lauree erano 795 dieci anni fa,
sono 1.589 oggi. Incide anche il costo della vita, qui più alto che in
Spagna, e la difficoltà nel trovare alloggi. In Germania le università
hanno un sistema di residenze strutturato che qui non c'è. (Fonte: F. Cavadini,
CorSera 23-05-16)
ESODO DEI GIOVANI
DAL SUD. OCCORRE RIEQUILIBRARE LA SPESA PER FERMARE IL DIVARIO FORMATIVO
NORD-SUD
Sostiene l'economista Adriano Giannola che è un errore
fermare i giovani del Mezzogiorno, cervelli o non cervelli, che vogliono
trasferirsi altrove. «È assurdo pensare di poter negare loro la possibilità di
cercare lavoro laddove esistono le condizioni», dice. Ma poi aggiunge: «Certo,
se si riuscisse a garantire loro almeno l'opportunità di frequentare università
competitive con quelle del Nord perché dotate degli stessi parametri di
finanziamento e di spesa, se non altro si riuscirebbe a formarli qui: e già
sarebbe un enorme risultato». La sfida resta dunque il sistema della
formazione?
«Non è l'unica, sicuramente. Ma è quella che si potrebbe
vincere se esistesse un pizzico di maggiore consapevolezza da parte delle forze
parlamentari sulla possibilità di cambiare le cose senza grossi sforzi. Ormai
abbiamo capito, e non da oggi, che è stato commesso un grosso errore
nell'impoverire gli atenei del Sud: assegnare ad essi solo il 40 per cento
delle risorse e destinare il restante 60% alle università del Nord vuol dire
scavare un solco che ben difficilmente potrà essere
colmato». È necessaria una scelta politica che ha un
obiettivo tanto evidente quanto concreto: riequilibrare la spesa e impedire che
il divario formativo tra Nord e Sud aumenti ancora».
(Fonte: N. Santonastaso, Il Mattino 23-05-16)
AFAM (ALTA
FORMAZIONE ARTISTICA, MUSICALE E COREUTICA). TRIPLICATA LA PRESENZA DI STUDENTI
STRANIERI
Il Rapporto biennale curato da Daniele Checchi rivela che negli ultimi
quindici anni il sistema Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica)
ha raddoppiato gli studenti e l'11,8 per cento degli iscritti sono giovani
stranieri, aliquota ben al di sopra delle medie delle università italiane. Si
sale addirittura al 16 per cento nei corsi accademici, quelli parificati agli
universitari. Sono 140 le realtà sul territorio nazionale. Ci sono le 43
Accademie di belle arti, i 77 Istituti superiori di studi musicali, trentasette
dei quali al Nord, quindi gli Istituti superiori per le industrie artistiche,
l'Accademia nazionale di danza e l'Accademia nazionale di arte drammatica. I
6.441 corsi di studio (dati aggiornati al 2015) sono frequentati da 86.872
studenti. Sono 48 mila nel comparto musicale e più della metà ha doppia
frequentazione: accademia e scuola secondaria. La tradizione dell'ampia
disciplina è secolare, la presenza di studenti stranieri è ormai traccia
profonda. L'Accademia di Belle arti dal 1999 al 2015 ne ha triplicata la
presenza. Il 67 per cento degli studenti forestieri che raggiungono l'Italia la
sceglie come destinazione. Negli scorsi anni, tra l'altro, l'accesso dei cinesi
era diventato addirittura un problema: erano 1.968 su 3.757 stranieri nel 2012,
2.885 su un totale di 4.581 nel 2013. Troppi, le aule e i teatri scoppiavano.
Diverse accademie hanno deciso, allora, di introdurre un esame di italiano come
test d'accesso e gli ingressi dei cinesi si sono notevolmente ridotti. (Fonte:
Avvenire 26-05-16)
STUDENTI. LIEVI
MIGLIORAMENTI NELLE IMMATRICOLAZIONI E NEI TASSI DI ABBANDONO
Nel 2015-16 le immatricolazioni hanno ripreso a crescere, ma i tassi di
ingresso sono ancora inferiori alla media europea. Il ritardo più grave è
tuttavia nel numero dei laureati: l’Italia si posiziona al terzultimo posto dei
paesi Ue-27. La causa principale è da individuarsi nella bassa quota di
studenti che riescono a completare gli studi. Negli ultimi anni si è
riscontrato un lieve miglioramento, dovuto soprattutto alla riduzione delle
immatricolazioni da parte degli studenti più “deboli” piuttosto che a un più
efficace funzionamento del sistema universitario. Nel 2015-16 il rapporto tra
immatricolati con età pari o inferiore a 20 anni e popolazione di età compresa
tra i 18 e i 20 anni è cresciuto del 2,4 per cento. Per il secondo anno si è
registrata una leggera crescita rispetto a quello precedente, dopo circa dieci
anni di andamento negativo. È troppo presto per dire se si tratta di
un’inversione di tendenza duratura. L’alto rischio di abbandono e l’eccessiva
durata del percorso di studi, punti critici del sistema universitario italiano,
oltre a incidere negativamente sui laureati, possono aver scoraggiato le
immatricolazioni. Riguardo a questi indicatori il rapporto Anvur mostra qualche
lieve miglioramento. Mentre nel 2003-04 circa il 19 per cento degli
immatricolati alle lauree triennali terminava regolarmente gli studi, per gli
immatricolati nel 2011-12 la percentuale è salita a circa il 27. Un’evoluzione
positiva si evidenzia anche relativamente alla quota di immatricolati che non
prosegue al secondo anno: nello stesso periodo si è ridotta dal 27 per cento a
circa il 25 per cento. I tassi di abbandono, però, sono ancora a livelli
allarmanti, circa il 33 per cento dopo sei anni dall’immatricolazione per gli
immatricolati nel 2008-09. (Fonte: M. De Paola, lavoce.info 01-06-16)
Un commento di Max in calce all’articolo: Sulla durata ancora eccessiva
degli studi dopo il 3+2 potrebbe contribuire la possibilità degli studenti, nel
sistema italiano, di dare numerose (troppe) volte lo stesso esame sino a quando
non lo passano o ottengono il voto desiderato. Mettiamo 6 appelli all'anno, un
esame del primo anno può essere provato teoricamente 18 volte nel corso di tre
anni (laurea triennale)!
VARIE
LA COMPETENZA
MATEMATICA SECONDO L’OCSE
Il Consiglio Scientifico dell’Unione Matematica Italiana ha approvato un
documento di riflessioni sui risultati degli studenti italiani nella parte
matematica dei test OCSE-PISA. A leggere i documenti su cui si basano i test
PISA, distillati ormai da circa vent’anni di esperienza e da successivi
raffinamenti, appare evidente che l’idea di competenza matematica di cui l’OCSE
si fa portatrice è alquanto sbilanciata sulla capacità di utilizzare la
matematica nelle situazioni di realtà, o più precisamente in testi che simulano
situazioni reali, piuttosto che su quella di astrazione e controllo di
architetture logico-formali. Si può essere più o meno d’accordo su questa
visione dell’obiettivo prioritario dell’insegnamento della matematica: sta di fatto
che è la principale capacità ad essere rilevata da questi test, e dunque su
questa si basano soprattutto le varie classifiche. Ne segue che un paese, come
l’Italia, che, piaccia o no, nella sua tradizione culturale ha da sempre
privilegiato la seconda visione, risulta penalizzato. (Fonte: per leggere il
documento dell’UMI http://tinyurl.com/j7ks23k 14-05-16)
E’ NECESSARIO CHE
LA SCIENZA ENTRI NELLA POLITICA E NELL’INFORMAZIONE
Perché la chimica viene associata a veleni e non a farmaci salvavita?
Perché si ostacolano le ricerche sugli Ogm sapendo che possono darci varietà
vegetali più resistenti e sfamare più gente? Perché si è più preoccupati dalle
(ipotetiche) conseguenze negative delle scoperte scientifiche che dalla
certezza che la Terra non sarà in grado di sfamare la popolazione del 2050? Già
oggi stiamo usando le risorse dei nostri nipoti. Avremmo bisogno di una terra e
mezzo, e se continuiamo così ne serviranno due anche se riuscissimo ad azzerare
gli sprechi. Eppure è più facile credere a una opinione non scientifica che a
una supportata da esperimenti, da anni di lavoro di ricerca e da risultati
vagliati dalla comunità internazionale. Come arrestare questa deriva
oscurantista e irrazionale? Abbiamo bisogno che la scienza entri nella politica
e nella informazione. Abbiamo bisogno che chi conosce la ricerca scientifica
perché l’ha fatta sul campo (e non per sentito dire) sieda nei luoghi delle
decisioni politiche e partecipi alla costruzione delle notizie e alla
comunicazione. Molte delle difficoltà della ricerca in questo Paese, a partire
dal sotto-finanziamento cronico per finire ai meccanismi bizzarri di
reclutamento di ricercatori universitari, sono figlie di una cultura
socio-politica poco attrezzata per comprendere le reali necessità della ricerca
e dei ricercatori. Abbiamo bisogno di più politici e amministratori pubblici
con background scientifici e di maggiore “co-working” tra umanisti e scienziati
sociali e politici e chimici, fisici, biologi, matematici, informatici ecc. E
serve una nuova leva di comunicatori scientifici. (Fonte: D. Braga, http://tinyurl.com/hnt4rgf
13-05-16)
FFO: -22%.
DOCENTI: -17%. PERSONALE TA: -18%. IMMATRICOLATI: -20%
Dal 2008 al 2013, nonostante la crisi economica, Francia e Germania hanno
aumentato la spesa pubblica per l’università, mentre noi abbiamo tagliato FFO
(-22%), docenti (-17%) e personale tecnico-amministrativo (-18%). Il risultato?
La nostra spesa pubblica per l’università è ormai un terzo della Svezia e meno
della metà di quello che spendono Germania e Francia. Anche gli immatricolati
sono calati del 20%, ma ciò nonostante spendiamo per il diritto allo studio
meno di un sesto di quello che spendono Francia e Germania. Un arretramento
generale che però diventa una frana nelle regioni del centro sud. (Fonte: http://tinyurl.com/zd43euh
15-05-16)
SEMINARIO DI
STUDI «CONOSCENZA, TRASCENDENZA E VERITÀ. DIALOGI DE RATIONIBUS SCIENTIAE ET CARITATIS»
Il seminario di studi «Conoscenza, trascendenza e verità. Dialogi de
rationibus scientiae et caritatis» si è svolto a Roma alla Pontificia
Università Lateranense. L'incontro è stato organizzato in preparazione al
Giubileo delle università e dei Centri e delle Istituzioni dell'Alta formazione
artistica e coreutica, che si svolgerà dal 7 all'11 settembre prossimo a Roma
sul tema «Conoscenza e misericordia». «Noi docenti — ha spiegato Paolo Colombo
che insegna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano — abbiamo una
grande responsabilità etica verso gli studenti, e quindi diventa fondamentale
capire quali valori vogliamo trasmettere attraverso il nostro insegnamento». E
mettendo in evidenza una visione spesso sbagliata della generazione giovanile,
rappresentata come distratta e disinteressata a tutto, il docente ha
sottolineato. «Non è vero che i giovani non hanno più in cosa credere — ha
spiegato Colombo —: io trovo che loro possiedano un bagaglio di conoscenze
amplissimo confrontato al nostro, sanno probabilmente molte più cose di quanto
immaginiamo, però tocca a noi aiutarli a tirarle fuori, a dare a questo
bagaglio un ordine e una forma. Con loro non servono lezioni che sono in realtà
noiosi monologhi, ma costruttivi dialoghi, solo così potremo aiutarli davvero».
Fondamentale per le università sono anche lo sviluppo sempre maggiore della
ricerca. «Il nostro scopo — ha spiegato Massimo Inguscio presidente del
Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) — è quello di migliorare la vita delle
persone. Non si fanno studi su cose astratte ma sulla quotidianità dell'uomo».
E una delle basi più importanti, è una sempre più stretta collaborazione tra il
Cnr e gli atenei, per favorire anche una multidisciplinarità tra le materie. (Fonte:
M. Tomarro, Avvenire 27-05-16)

ATENEI. IT
UNIBO. PIANO
STRATEGICO PER I PROSSIMI SEI ANNI. UN QUESTIONARIO PER TUTTI GLI ISCRITTI
Il rettore dell’UNIBO Francesco Ubertini ha voluto coinvolgere gli studenti
nel piano strategico che presenterà quest’estate e che segnerà i prossimi sei
anni dell’Ateneo. Come? Con un questionario online che tutti gli 83 mila
studenti sono chiamati a riempire, con risposte chiuse e anche alcune aperte
che verranno poi studiate e analizzate da un laboratorio di semantica di Modena
con tecniche di intelligenza artificiale, per dire la loro sull’identità
dell’Ateneo e su quello che si aspettano dall’esperienza universitaria: «L’idea
- spiega Ubertini, che è stato eletto l’anno scorso ed è intenzionato a
ripetere l’iniziativa in futuro a scadenze regolari - è quella di chiederci chi
siamo e che cosa vogliamo essere come università che ha una storia così lunga.
Io ho naturalmente una mia visione delle cose da fare, ma accetto consigli e
soprattutto voglio fare una proposta che sia condivisa perché credo che anche
gli studenti debbano dire la loro». (Fonte: www.corriere.it/scuola/universita/
16-05-16)
UNIBO.
PROSPETTATA L'INTEGRAZIONE DELL'AREA MEDICA NEI CAMPUS UNIVERSITARI DELLA
ROMAGNA
Per dimensioni di docenti e studenti l’insediamento romagnolo dell’Alma
Mater, nato 27 anni fa con i campus di Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini
raggiunge oggi le dimensioni di un ateneo medio grande: quasi 20.000 studenti,
oltre 700 tra docenti e ricercatori e 450 tecnici amministrativi, più di
130.000 mq di aule, laboratori e servizi, 4 centri interdipartimentali di
ricerca industriale (CIRI).
Le prospettive di consolidamento e di sviluppo dell’esperienza Multicampus
sono state oggetto dell’incontro che si è tenuto tra il Rettore dell’Alma Mater
Francesco Ubertini, e i sindaci delle città romagnole. Tra gli argomenti
trattati durante l’incontro c’è stato lo sviluppo e l’integrazione dell’area
medica nell’area vasta romagnola con l’obiettivo di estendere la rete
formativa, la ricerca traslazionale e clinica e di valorizzare le eccellenze
delle strutture ospedaliere che insistono sui vari territori della Romagna.
Promuovere una ricerca e una formazione di qualità costituisce un investimento
che alimenta le conoscenze scientifiche, ma anche quelle operative con una
ricaduta immediata a beneficio della salute dei cittadini e della qualità del
sistema sanitario del territorio. Il tutto anche nell’ottica della
programmazione comunitaria 2020 la quale considera la salute un potenziale
driver di sviluppo sociale e anche economico per il suo elevato tasso di
innovazione. (Fonte: UNIBO Magazine 12-05-16)
UNIBO LAUNCH PAD
PREMIA LE IDEE DI IMPRESA
Torna Unibo Launch Pad, il primo (e unico) programma italiano di
accelerazione imprenditoriale interamente dedicato al mondo dei giovani
ricercatori, e da quest’anno alla Silicon Valley si aggiunge anche Londra tra
le mete internazionali destinate alle migliori idee di impresa.
Nato dalla collaborazione tra Università di Bologna, Istituto Italiano
Imprenditorialità, aziende e fondazioni dell’Emilia Romagna, Unibo Launch Pad è
un progetto pensato per costruire un percorso di formazione
all’imprenditorialità accademica di natura laboratoriale. Il percorso prevede
momenti di aula, affiancamento da parte di mentori, incontri sistematici con
imprenditori e, per i team più promettenti, una fase finale in California,
nella Silicon Valley. Inoltre, novità di quest’anno, l'acceleratore londinese
iStarter premierà uno dei team selezionati ospitandolo per un periodo di alcune
settimane nella City britannica, all'interno del loro programma di
accelerazione e ricerca di capitali. (Fonte: http://tinyurl.com/hhunnot 16-05-16)
UNIPI. LA
SITUAZIONE DELL’ATENEO PISANO SECONDO IL CANDIDATO RETTORE DONATO AQUARO
La situazione attuale dell’Ateneo sembra ingessata. La
spinta propulsiva dei singoli risulta frenata da un centralismo esasperato che
complica le procedure, rallenta le attività di ricerca e di didattica e crea
grande frustrazione fra coloro che hanno spirito di iniziativa e creatività.
Perché si è determinata questa situazione? “Ci sono cause dovute a decisioni
locali e cause dipendenti da politiche nazionali. L’applicazione della legge
Gelmini a Pisa è stata effettuata in una maniera tale da diminuire l’autonomia
dei dipartimenti e la loro rappresentatività. Si sono complicate le procedure a
causa di una soffocante centralizzazione. L’amministrazione con i suoi vertici
si è chiusa nel palazzo e ha trattato i dipartimenti come strutture periferiche
su cui versare incombenze continue e mal programmate. Per quanto riguarda le
politiche nazionali, perdura da anni il disinteresse del Governo verso
l’Università. I docenti Universitari sono gli unici per i quali il blocco degli
scatti è stato prorogato anche per il 2015 e non viene riconosciuta l’anzianità
maturata anche ai soli fini giuridici. Per il personale tecnico amministrativo
il blocco contrattuale che dura da un quinquennio, ha creato situazioni di
estremo disagio. La diminuzione costante del Fondo di Finanziamento Ordinario
ed il blocco del turn over hanno creato politiche restrittive negli
investimenti di infrastrutture, nella ricerca e nella didattica”. Solo colpa
dei tagli ministeriali o c'è una minor capacità di puntare investire in
ricerca? “Ovviamente i tagli ministeriali, diminuendo le risorse umane e
finanziare disponibili, hanno ridotto la capacità di effettuare ricerca di
eccellenza. Nonostante tutto questo, ci sono ancora a Pisa docenti o gruppi di
docenti che sono leader nei loro settori di ricerca in campo nazionale e
internazionale”. (Fonte: www.lanazione.it
18-05-16)
UPO. PIÙ SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE E POSTI
L'Università del Piemonte Orientale (UPO) vede aumentare sia il numero di
Scuole che il numero di posti assegnati. Le scuole di specializzazione dell'UPO
passano da 12 a 16: Endocrinologia e malattie del metabolismo (1 posto),
Geriatria (2 posti), Medicina fisica e riabilitativa (2 posti) e Oncologia
medica (1 posto) vanno ad aggiungersi alle altre scuole già attive. Il numero
complessivo di posti aumenta da 59 a 66, poiché i posti per Medicina interna
passano da 5 a 6. Rimangono invariate le suole aggregate all'Università di
Torino, con 27 posti disponibili, uno in più rispetto allo scorso anno (per la
scuola di Urologia). Piena soddisfazione dai vertici dell'Ateneo; il presidente
della Scuola di Medicina di Novara, Giorgio Bellomo, ha così commentato la
decisione ministeriale: «Sono veramente felice e desidero innanzitutto
ringraziare tutti coloro che hanno lavorato per arrivare a questi risultati. Li
interpretiamo come il meritato riconoscimento per il continuo lavoro svolto da
tutto il personale per far crescere la nostra Università e la nostra Scuola di
Medicina». (Fonte: Giornale Piemonte
20-05-16)
POLITO. DOMANDE PER IL DOTTORATO: +22% DALL’ANNO SCORSO
Cresce, e non poco, la domanda per accedere ai corsi di Dottorato del
Politecnico di Torino, riconosciuti sempre più come percorsi di eccellenza a
livello nazionale e internazionale. Quest’anno, rispetto a dodici mesi fa, c’è
stato il 22% di domande in più, per un totale di 921 candidature da parte di
persone laureate. Un risultato frutto anche di una politica di valorizzazione
del percorso di Dottorato che ha portato il Politecnico a investire 2,6 milioni
di euro nelle borse di valorizzazione della formazione di III livello: l’ateneo
in questo modo si propone di premiare in modo ancora più concreto il merito e
la qualità dei suoi studenti e, soprattutto, di attrarre i migliori laureati da
tutto il mondo. L’investimento straordinario nella formazione di terzo livello
è iniziato nel 2014, con un programma di sostegno al dottorato che prevedeva un
aumento del valore delle borse rispetto al minimo di legge, l’incremento del
20% del numero delle borse e premi per i dottorandi migliori. Un programma
rinforzato nel mese di dicembre 2015 con un ulteriore aumento del valore delle
borse (ora a 1300 euro netti mensili, il maggiore importo in Italia) e con un
ulteriore incremento del 25% del numero delle borse finanziate. In un anno in
cui si è registrata una flessione del finanziamento ministeriale per il
Dottorato, il Politecnico ha integrato quindi con risorse proprie il budget per
poter bandire 120 borse. (Fonte: www.diarioditorino.it
24-05-16)
UNIMORE. SI
INSEGNA LA FISICA DELLE MOTO NELL'OFFICINA-LABORATORIO DUCATI
In Ducati a Borgo Panigale hanno creato, in
collaborazione con le università di Modena e Reggio Emilia, un corso di fisica
applicato alle moto. L'edizione 2016 si terrà dal 18 al 22 luglio nella sede di
Borgo Panigale ed è rivolto a studenti maggiorenni delle scuole secondarie
superiori. I posti sono limitati, solo 25, e i partecipanti verranno
selezionati in base ai meriti accademici e alle motivazioni che verranno
esposte in un video di presentazione. Tutto questo si svolge all'interno di un
laboratorio creato appositamente per accogliere scolaresche e gruppi didattici,
il luogo ideale per approfondire in un ambito più pratico le nozioni di
meccanica e termodinamica apprese sui banchi. Alle lezioni saranno presenti
ingegneri Ducati e docenti universitari che impartiranno lezioni di dinamica
dei sistemi, modellazione e laboratori di ricerca sperimentale, oltre allo
studio degli effetti dei principi fisici su una vera Ducati da MotoGP. Come
iscriversi http://tinyurl.com/zh3l9zd .
UE. ESTERO
UE. ATTRARRE
STUDENTI E RICERCATORI QUALIFICATI DA PAESI TERZI
La concorrenza di altri paesi extra-Ue nell'attirare
talenti è alta, è per questo che con una direttiva approvata in seduta plenaria
dal Parlamento Europeo, l'Ue corre ai ripari. L'opportunità per ricercatori e
studenti è quella di rimanere dopo il compimento del proprio progetto o
ottenuto il proprio diploma di laurea. Per la prima volta vengono inserite
delle disposizioni facoltative anche sugli au pairs in una normativa europea.
La direttiva pone regole comuni sulla permanenza degli studenti o ricercatori
provenienti da paesi terzi: finito il corso di studio o il progetto di ricerca
potranno rimanere almeno nove mesi in un paese Ue per cercare lavoro o avere il
tempo di iniziare un'attività di business. In questo modo l'Europa oltre a
formare studenti stranieri, potrà trarre dei benefici dalle competenze che
avranno acquisito: disponibilità di lavoratori qualificati e creazione di posti
di lavoro attraverso nuove attività. Per quanto riguarda invece la permanenza
illegale del ricercatore, lo stato membro potrebbe chiedere alle organizzazioni
di ricerca con le quali lo studioso avrà stretto l'accordo, di dichiararsi
responsabili fino a che non avrà ottenuto un permesso di residenza con lo scopo
della ricerca di lavoro o per l'apertura di un'impresa. I ricercatori potranno
portare con loro i propri familiari che avranno anche la possibilità di
lavorare durante il soggiorno Ue. (Fonte: I. Giuntella, IlSole24Ore 13-05-16)
EU. NUOVE NORME
PER I RICERCATORI E STUDENTI UNIVERSITARI NON UE
Il Parlamento europeo ha approvato la scorsa settimana delle nuove norme di
ingresso e soggiorno che renderanno le Università europee ancora più attraenti
per gli studenti e i ricercatori altamente istruiti provenienti da paesi terzi.
Questo perché l’attuale legislazione europea è stata giudicata non sufficiente
ad affrontare le nuove sfide: da una parte l’invecchiamento della popolazione
dell’UE e la penuria di competenze, dall’altra la concorrenza da parte di altre
destinazioni in grado di attrarre quanti dispongono di talenti e di elevate
abilità.
Le nuove regole unificano due direttive già esistenti, su studenti
(2004/114/CE) e ricercatori
(2005/71/CE), per garantire che:
- studenti e
ricercatori possano soggiornare nell’UE per almeno nove mesi dopo aver
terminato i propri studi o ricerche per cercare un lavoro o di dare vita a
un’attività. In tal modo, anche l’Europa potrebbe beneficiare delle loro
competenze
- studenti e
ricercatori possano muoversi più facilmente all’interno dell’Unione europea
durante il loro soggiorno. In futuro, non sarà, infatti, più necessario
presentare una nuova domanda di visto al momento del trasferimento, ma basterà
semplicemente notificare lo Stato membro verso il quale ci si sta spostando, ad
esempio per uno scambio culturale di sei mesi. I ricercatori potranno inoltre
spostarsi per periodi più lunghi rispetto a quelli attualmente consentiti;
- i ricercatori
abbiano il diritto di portare i loro familiari con loro e, a loro volta, i
membri della famiglia potranno lavorare durante il soggiorno nell’UE;
- agli studenti sia
riconosciuto il diritto di lavorare almeno 15 ore a settimana.
(Fonte: GIOVANI,
News 17-05-16)
FRANCIA. LA
SELEZIONE DEGLI STUDENTI TRA IL PRIMO E IL SECONDO ANNO È ILLEGALE PER IL
CONSIGLIO DI STATO
Pour la juridiction administrative
suprême, il n'est possible d'opérer une sélection en master que dans les
formations inscrites dans un décret prévu à cet effet par la loi. Ce décret
n'existant pas à ce jour, toute sélection est donc illégale.
"L’admission à une formation
relevant du deuxième cycle ne peut faire l’objet d’une sélection basée sur les
capacités d’accueil de l’établissement, le succès à un concours, ou l’examen du
dossier des candidats, que si cette formation figure sur une liste limitative
établie par décret. Cette règle s’applique tant pour les formations de première
que de deuxième année de master", précise la juridiction.
"Je suis satisfait pour mes
clients, réagit Florent Verdier, avocat de nombreux étudiants dans ces affaires
de sélection en M2. Il n'y a aucune surprise, le Conseil d'État confirme sa
décision de principe de 1994: point de décret, point de sélection possible. Il
écarte au passage l'arrêté 'master' de 2002, que plusieurs universités
mettaient en avant pour justifier la sélection qu'elles opèrent à l'entrée du
M2." Quel décret? Prochaine étape attendue: la décision politique. La CPU
(Conférence des présidents d'université) appelle le secrétaire d'État à
l'Enseignement supérieur à adopter "sans délai, par décret, une liste
exhaustive des formations de master pratiquant actuellement une sélection entre
M1 et M2".
L'Unef en revanche, rappelle son
opposition à toute forme de sélection, tout en prônant une "solution de
compromis", afin de "répondre au double objectif de sécurité
juridique pour les établissements et de droit à la poursuite d’étude pour les
étudiants."
Le syndicat étudiant demande
"que le futur décret encadre une partie des pratiques de sélection à
l’entrée du master 2" mais aussi "garantisse à tous les titulaires
d’un master 1 le droit à la poursuite d’étude dans au moins un master 2 du même
grand domaine de formation dans leur université." (Fonte: C. Stromboni, http://tinyurl.com/jdwfye5 10-02-16)
FRANCIA.
PROBLEMATICA LA SELEZIONE DEGLI STUDENTI TRA M1 E M2
Ces dernières années, plusieurs
procès concernant la sélection à l'Université ont été médiatisés. Des étudiants
ayant validé leur M1 se voyaient refuser l'accès au M2 de leur choix pour des
motifs douteux (manque de place, résultats insuffisants malgré les semestres
validés...). Cette sélection informelle a presque toujours été jugée illégale
par les tribunaux, les étudiants obtenant presque systématiquement gain de
cause. Néanmoins, tous ne portaient pas plainte, et beaucoup d'entre eux se
retrouvaient désarmés, un demi Master en poche, sans perspectives de poursuite
d'études.
Cette sélection au beau milieu du
Master est une spécificité française, qui vient de la structure de notre
système universitaire avant l'application du processus de Bologne, débutée en
2003 et qui a remplacé l'ancien système par l'actuel schéma
Licence-Master-Doctorat (LMD). Auparavant, il y avait le DEUG (bac+2) puis la
maîtrise (bac+4), et une sélection s'opérait pour entrer en DESS/DEA (bac+5).
La sélection entre le M1 et le M2 est un reste de la sélection qui avait lieu
entre la maîtrise et le DESS/DEA. Néanmoins, cette sélection est aujourd'hui
problématique: un bac +4 n'est absolument plus reconnu dans le monde du
travail, et cette sélection illégale laissait donc un certain nombre
d'étudiants sur le carreau. Face à cette situation, le gouvernement a décidé de
réagir. Mais comme toujours, il a pris le problème à l'envers et propose
simplement de légaliser cette sélection pour un nombre «restreint» de M2. (Fonte:
uecstrasbourg.over-blog.com 15-05-16)
FRANCIA. GLI STUDENTI DIVISI SULLA QUESTIONE DELLA SELEZIONE ALL’INGRESSO NEL SECONDO ANNO DEL MASTER (CORSO DI LAUREA)
Les étudiants et lycéens sont partagés sur la question de la sélection à l’entrée en deuxième année de master (M2): un petit peu moins de la moitié d’entre eux (48,9 %) s’y opposent fermement, d’après un sondage réalisé par L’Etudiant en février et portant sur 2 500 de ses lecteurs. Plus surprenant, plus d’un étudiant sur quatre (26,8 %) serait tout à fait favorable à une sélection systématique à l’entrée en M2, quand 19,9 % préféreraient une sélection pour certaines filières seulement. Depuis que le Conseil d’Etat a confirmé le 10 février que la sélection entre les deux années de master ne reposait sur aucune base légale, le débat enfle sur ce sujet. Face aux demandes des universitaires, le gouvernement a annoncé une concertation sur l’organisation du master dans les mois à venir. Pour les autres grades universitaires, comme à l’entrée en première année de master (M1), deux étudiants sur trois (68,9 %) seraient favorables à une sélection. Parmi eux, la moitié n’envisagerait ce système que pour certaines filières, l’autre moitié ne serait pas contre la généraliser à tous les masters. En commentaire de sa réponse au sondage, un étudiant de L3 sciences humaines et sociales résume le problème: «Une sélection à l’entrée du M1 permettrait aux étudiants de se réorienter vers d’autres cursus. A l’inverse, une sélection à l’entrée du M2 n’est pas souhaitable car de nombreux étudiants seraient amenés à redoubler plus d’une fois pour passer cette sélection.» (Fonte: L. Buratti, www.lemonde.fr 16-05-16)
FRANCIA. ORIENTER
LES ELEVES AVANT LE BACCALAUREAT
La sélection des étudiants en première année d'université
est injuste et absurde, estime Vassili Joannidès de Lautour, professeur à
Grenoble Ecole de management. Selon notre contributeur,
il faudrait orienter les élèves avant le baccalauréat,
tout en valorisant les formations professionnalisantes. (Fonte: LesEchos
19-05-16)
UK. RISCHIO
BREXIT ANCHE PER LA RICERCA
La prospettiva di perdere i finanziamenti europei alla
ricerca è un rischio molto serio per gli scienziati britannici. Quando i
sostenitori di Brexit dicono che il Tesoro compenserà l'ammanco, danno prova di
ingenuità e leggerezza, visto che i governi britannici che si sono succeduti
non hanno finora fatto nulla per modificare una situazione che vede gli
investimenti per la ricerca in percentuale del Pil, in Gran Bretagna, lontani
sia dalla media Ocse che da quella dell'Unione.
Chi sostiene che la Gran Bretagna potrebbe continuare ad avere
accesso ai fondi pur uscendo dall'Unione dice un'inesattezza, perché questo
accesso sarebbe quasi certamente condizionato all'applicazione degli stessi
principi che la Brexit rigetta, in particolare quelli sulla libertà di
movimento. La scienza fiorisce grazie alla permeabilità delle idee e delle
persone e prospera in contesti che mettono in comune le intelligenze, riducono
al minimo le barriere e sono aperti a liberi scambi e collaborazioni. L'Unione
europea fornisce questo tipo di contesto che gli scienziati giudicano
preziosissimo. È per questo che un recente sondaggio pubblicato sulla rivista
Nature ha mostrato che l'83 per cento degli scienziati vuole che la Gran
Bretagna rimanga nell'Unione. (Fonte: La Repubblica 12-06-16)
UK. LIBRO BIANCO
SULL’ISTRUZIONE E RIFORME DELL’UNIVERSITÀ
Il Libro bianco sull'istruzione evidenzia che un quinto dei laureati non
trova lavori adeguati al titolo di studio; circa due terzi degli studenti
dicono che il corso di laurea è stato inferiore alle aspettative; le aziende si
lamentano che dalle università non escono potenziali dipendenti
sufficientemente preparati e, secondo il Chartered Institute of Personnel and
Development, più della metà dei laureati ha un'occupazione per la quale la
laurea non serviva nemmeno. Pertanto il ministro delle Università, Jo Johnson,
ha iniziato una riforma secondo principi di competizione e trasparenza, perché
è convinto che per troppo tempo varie forme di nepotismo, ostruzionismo e
barriere all'entrata abbiano corrotto lo spirito liberale e meritocratico del
sistema universitario britannico. Per questo ha prima di tutto liberalizzato il
mercato delle università: da questo momento, non saranno più le università
esistenti a decidere quali altri atenei o corsi possono essere aperti (finora è
stato così per un'esigenza di armonizzazione dell'offerta scolastica. Le
università esistenti che non dimostrano di mantenere alti i propri standard non
saranno più "salvate" dal governo: se scendono nella classifica degli
atenei più meritevoli, dovranno abbassare le loro rette, incentivando così ogni
ateneo a garantire un'offerta scolastica adeguata al proprio costo. Se invece
un'università dimostra di avere corsi eccellenti, potrà adeguare le rette
all'inflazione, alzandole, nei prossimi due anni. il Libro bianco prevede
l'istituzione di due organi, un Office for Students e il Teaching Excellence
Framework che permette di stilare una classifica di eccellenza per i corsi, i
professori e gli atenei.
(Fonte: P. Pedruzzi, Il Foglio 18-05-16)
USA. LA VALUTAZIONE
DELLE UNIVERSITÀ NON SI DEVE BASARE SOLO SULLA REPUTAZIONE DELL’ISTITUZIONE O
SULLA SPESA SOSTENUTA PER STUDENTE
Per frequentare un’università privata come Harvard, ad esempio, chi non può
fare affidamento su borse di studio deve sborsare poco meno di 50.000 dollari
di sole tasse annue d’iscrizione. Basta aggiungere poco più di 22.000 dollari
all’anno per permettersi di vivere nel campus. Per un’università statale come
UC Berkeley i costi partono dai 13.518 dollari annui, se si rinuncia a vivere
nel campus, ai 33.418 se si sceglie il “tutto incluso”. prosciugare i risparmi
famigliari non è sufficiente, bisogna allora ricorre ai loans, i prestiti da
restituire all’ateneo dopo la laurea. Secondo una ricerca Gallup, il 63% degli
studenti laureati fra il 2006 e il 2015
ha fatto ricorso a questo strumento finanziario per una somma la cui mediana si
aggira sui 30.000 dollari. Per il 35% di quei laureati il debito accumulato è
superiore ai 25.000 dollari, una cifra che segna il limite oltre il quale il
fardello economico sembra avere un impatto molto serio sulle vite dei laureati;
quella percentuale aumenta al 50% per i giovani di colore e al 42% per chi fa
parte della prima generazione di laureati nella propria famiglia. Studiare per
anni, pagando tasse altissime per permettersi un’università per la quale i
propri genitori hanno risparmiato una
vita, e a propria volta indebitarsi per gli anni a venire: ne vale veramente la pena? La ricerca Gallup
lo chiede ai diretti interessati, i laureati. Ad essere particolarmente
pessimisti sono soprattutto i laureati più recenti (dal 2006 al 2015), per i
quali la percentuale di soddisfazione scende drammaticamente dal 50 al 38; a
incupire i loro scenari è il debito in sospeso con l’università, soprattutto
quando superiore ai 25.000 dollari. Neanche a dirlo, solo il 18% di chi si è
indebitato per più di 50.000 dollari afferma che ne sia valsa la pena. Anche se
le università americane puntano sull’offerta di campus super attrezzati con
mense fornitissime e alloggi esclusivi per attrarre studenti, non è questo che
poi agli alumni rimane impresso. Questa ricerca Gallup fa pensare che forse è
tempo di rinunciare a valutare degli atenei
per mezzo di indicatori tradizionali, come la reputazione
dell’istituzione o la spesa sostenuta per studente, e di cominciare invece a
elaborarne di meno convenzionali per determinare il vero valore
dell’istruzione. (Fonte: C. Mezzalira, IlBo 16-05-16)
LIBRI. RAPPORTI
UNIVERSITALY. La
cultura in scatola
Autore: Federico Bertoni. Ed. Laterza. Collana: I
Robinson/Letture. Serie: Solaris, 2016. Pg. 150.
Perché un luogo di elaborazione e di trasmissione della
conoscenza diventa uno straordinario concentrato di stupidità, in cui
l’automazione frenetica delle pratiche svuota di significato le azioni quotidiane?
Questa è la domanda fondamentale da porre all’università italiana del XXI
secolo.
Mutazioni antropologiche, narrazioni egemoni, logiche del
potere e disegni politici più o meno occulti. Drogata da un falso miraggio
efficientista, l’università sta svendendo l’idea di cultura e la ragione stessa
su cui si fonda, ostaggio passivo e consenziente di indicatori astrusi,
procedure formali, parole vuote che non rimandano a nulla e che si possono
manipolare in base a interessi variabili – eccellenza, merito, valutazione,
qualità, efficienza, internazionalizzazione. Serve una diagnosi lucida per
denunciare le imposture e cercare gli ultimi punti di resistenza. Il libro
parte da casi concreti e da un’esperienza maturata sul campo. Senza alcun
rimpianto nostalgico per la ‘vecchia’ università ma con uno sguardo
disincantato, si rivolge a chi ha una percezione vaga del presente, spesso
distorta da stereotipi e pregiudizi. Quel che ne emerge è al tempo stesso un
racconto, un saggio di critica culturale e un testardo gesto d’amore per il
sapere, l’insegnamento e un’istituzione che ha accompagnato il progetto della
modernità occidentale. (Fonte: http://tinyurl.com/zhf4v95 )
CRONACHE DI 50
ANNI DI VITA UNIVERSITARIA TRA CONSERVAZIONE E RINNOVAMENTO. Il Comitato
Nazionale Universitario (CNU): passione, impegno e futuro
A cura di Paolo Gianni e Antonio Miceli, Edizioni ETS, Pisa (I Ed. 2014, II
2016).
L’opera racconta la storia
dell’Università Italiana nel periodo repubblicano attraverso le esperienze di
un gruppo di professori che si sono impegnati all’interno di una associazione
cultural-sindacale, il CNU. Affiancano questo
racconto le testimonianze di alcuni docenti, interni od esterni al CNU,
che hanno giocato ruoli importanti nel confronto tra il mondo politico, il
mondo sindacale e quello accademico nel corso del lungo dibattito sulla riforma
della nostra istituzione per la formazione
superiore. Tra i docenti che, a vario titolo, hanno contribuito
all’opera 3 ex-Presidenti della CRUI, uno del CNR e uno del CINECA. Il volume
contiene alcuni contributi monografici, come quelli sulla legislazione
universitaria e sul valore legale dei titoli di studio, e accenna qua e là ad
alcune idee per il futuro. Tra i nuovi
contributi della seconda edizione del libro (Febbraio 2016): 1) un articolo
dell’ex-Presidente del CNR Luigi Rossi Bernardi che, nel raccontare la storia
del CNR degli ultimi 25 anni, denuncia in modo documentato ed efficace la
politica attuata nei riguardi della ricerca da parte di tutti i governi che in
tale periodo si sono succeduti; 2) un ulteriore contributo di Giovanni Cordini
su “Università e Sistema Universitario fra tradizione e rinnovamento“ in cui
critica l’attuale modello di funzionamento e finanziamento del sistema
universitario. (Fonte: Scheda predisposta da Paolo Gianni 27-05-16).
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